Forme e usi della Business Intelligence nella

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Forme e usi della Business Intelligence nella
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Forme e usi della Business
Intelligence nella Pubblica
Amministrazione
Il contesto della Pubblica Amministrazione
L’adozione di soluzioni innovative nella Pubblica Amministrazione (PA) rappresenta una sfida ancora più avvincente rispetto a quella riferita al settore industriale.
Tradizionalmente, infatti, la PA non è da ritenere una realtà di per sé innovativa,
bensì un contesto in cui l’adesione a delle best practices in termini di principi e
regolamenti spesso ostacola l’adozione di nuove tecnologie. In questo senso, il
primo passo per poter creare inducement da parte delle imprese nei confronti della
Pubblica Amministrazione è rappresentato dalla sensibilizzazione del personale
attualmente in servizio. Un personale ben qualificato rappresenta il presupposto
per l’adozione e la ricezione di buoni servizi tecnologici. Allo stesso tempo, però,
l’adozione della tecnologia comporta riorganizzazioni interne che non sempre
sono efficaci. In questo contesto, dunque, un elemento di grande importanza è costituito dalla capacità dell’ente pubblico di saper riorganizzare la propria struttura
interna, in modo da recepire meglio l’innovazione tecnologica.
Un ulteriore aspetto, non meno importante da considerare, è rappresentato dal
vincolo finanziario. Come noto la Pubblica Amministrazione in Italia è endemicamente carente dal punto di vista dell’utilizzo di fondi ai fini di innovazione tecnologica. Tuttavia, anche quando i fondi diventano disponibili, possono poi non risultare carenti in un momento successivo all’adozione di un software per garantire
il conseguente maintenance.
Da questo punto di vista, dunque, affinché la diffusione di servizi innovativi alla
Pubblica Amministrazione possa avere successo, è necessario prevedere contratti
di servizio che contemplino un minimo costo per il maintenance dei software. A
tale proposito, è forse più efficiente per le imprese richiedere un prezzo per il software più elevato all’inizio, per poi richiedere canoni di servizio inferiori.
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Un ulteriore elemento cruciale è rappresentato dalla compatibilità del software
con la soluzione già in possesso dell’amministrazione. In questo senso, il punto
di partenza è costituito dalla qualità del software e dalla sua compatibilità. Solo
attraverso tali strumenti è possibile vincere e assumere un vantaggio competitivo,
sia per la Pubblica Amministrazione che per le imprese.
Un elemento di successo affinché l’innovazione tecnologica possa essere concretamente assorbita dalla Pubblica Amministrazione risulta l’adozione di una logica
incentivante più stringente, che fino ad ora è mancata. A tale scopo, è opportuno
ricordare che le recenti riforme della Pubblica Amministrazione, volte a migliorare la produttività del settore, possono avere effetto soltanto se accompagnate da
serie politiche incentivanti sul lavoro. L’efficacia di tali riforme si registrerà in un
contesto limitato, quale è quello della prevenzione dell’assenteismo o di altri fenomeni più macroscopici, ma non influenzerà radicalmente il sistema incentivante
alla base del rapporto di lavoro vigente nel settore pubblico.
Le difficoltà del settore pubblico in materia di innovazione tecnologica non appaiono caratteristiche di una specifica nazione o contesto sociale, ma hanno piuttosto
una connotazione del tutto omogenea, riguardo alle difficoltà di implementazione
e realizzazione. Particolarmente interessanti sono le esperienze riguardanti l’adozione di servizi di e-goverment, come discusso in Pieterons, Ebbers and Van Dijk
(2007), Hinnant and O’Looney (2003), Hoegler and Schuster (2002), Hoffman,
Novak and Peralta (1999), Hoogwout, M. (2003).
Dopo alcuni decenni di normative tese a ricercare l’efficienza e l’efficacia all’interno della Pubblica Amministrazione, la nuova riforma – conosciuta come “Riforma Brunetta” – sembrerebbe essere maggiormente orientata a modificare i comportamenti di cittadini e imprese, affinché contribuiscano ad indurre la Pubblica
Amministrazione a trasformarsi. Questo diverso approccio istituzionale costituisce,
allora, un’importante indicazione strategica per tutte quelle imprese del terziario
innovativo che vorranno interagire in futuro con la Pubblica Amministrazione.
Verso la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione:
il quadro normativo
L’ordinamento italiano si è occupato dell’utilizzo delle nuove tecnologie nell’ambito della Pubblica Amministrazione fin dagli anni ’90. L’esigenza di informatizzare la PA è da ricercare nel “buon andamento” contenuto nell’art. 97 della Costituzione, che impone la riduzione dei costi e dei tempi dell’azione amministrativa, e
nell’attuazione della Legge 241/90, riguardante le nuove norme in materia di procedimento amministrativo, che individuava nel supporto informatico lo strumento
per l’ottimizzazione dei servizi della Pubblica Amministrazione. Il momento di
crisi politica ed istituzionale di quegli anni ha necessariamente coinvolto e modificato la PA, decentrando molte funzioni dallo Stato agli Enti Locali e riformando i
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principi base partendo da criteri di efficienza, efficacia ed economicità. Dagli anni
’92-’93 sono state proposte leggi significative riguardanti l’informatizzazione della
PA: nel 1993 venne istituito, con D. Lgs. n. 39, il CNIPA (Centro Nazionale per
l’Informatica nella Pubblica Amministrazione)5, affinché venisse promosso l’utilizzo dell’informatica nella PA. Da allora si sono succedute varie leggi, fra cui la legge
n. 59 del 1997, che all’art. 15 ha riconosciuto la rilevanza giuridica del documento
informatico e della trasmissione telematica.
Il principale intervento normativo che ha disciplinato questo settore è stato il
DPR n. 445 del 2000, che racchiudeva disposizioni riguardanti la documentazione
amministrativa: oltre all’archiviazione cartacea, per la prima volta furono inserite
anche disposizioni specificatamente inerenti all’utilizzo dei computer e delle nuove tecnologie. In seguito, con l’emanazione del “Codice dell’amministrazione digitale”, D. Lgs. n. 82 del 2005, si è compiuto un significativo salto di qualità: il Codice
è, infatti, sostenuto dall’idea che l’utilizzo delle nuove tecnologie debba avvenire
contestualmente ad una riorganizzazione dei processi e delle strutture, da realizzare in base alle potenzialità dei nuovi strumenti. Viene così ridefinito il rapporto
fra cittadini, che divengono utenti di servizi e titolari di precisi interessi, e Pubblica
Amministrazione, erogatrice di servizi mirati a soddisfare i bisogni degli utenti6.
Esperienze “intelligenti” di Pubblica Amministrazione
L’introduzione della Business Intelligence (BI) nel processo di informatizzazione
della PA, ha trovato risposte estremamente positive nel corso degli ultimi anni: un
ente pubblico, infatti, non deve solo poter accedere facilmente e rapidamente ad
informazioni archiviate nel proprio sistema informativo, ma deve anche poterle
misurare ed interpretare grazie a strumenti di BI che consentano l’identificazione di modelli e tendenze. L’applicazione della BI nella Pubblica Amministrazione permette di supportare attività quali l’analisi di bilancio, la pianificazione e la
programmazione del lavoro, il piano dettagliato degli obiettivi, la pianificazione
e controllo strategico, il controllo di gestione, il controllo delle performance e la
valutazione degli obiettivi. Queste (e molte altre) applicazioni della BI sono accomunate non solo dalla rapidità con la quale vengono eseguite le attività, ma anche
dall’efficacia delle decisioni prese.
5 Il 29 dicembre 2009 è entrato in vigore il Decreto Legislativo 1 dicembre 2009, n. 177: “Riorganizzazione del Centro nazionale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione, a norma dell’art.
24 della legge 18 giugno 2009, n. 69”. Ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, comma 1, il Centro nazionale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione (CNIPA) assume la denominazione
“DigitPA”. Ai sensi e per gli effetti dell’art. 22, comma 4, le funzioni del CNIPA sono trasferite a DigitPA,
secondo quanto disposto dallo stesso d. lgs. n. 177/2009.
6 www.digitpa.gov.it
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È importante sottolineare come l’applicazione della Business Intelligence non si
limiti semplicemente all’utilizzo di tecnologie innovative: è infatti necessario avere
a disposizione un management qualificato che espliciti le esigenze informative e
risorse umane che siano in grado di gestire i dati elaborati dal sistema. Ogni singolo deve rapportare le proprie prestazioni alla strategia generale perseguita e agli
obiettivi prefissati, mantenendo un’elasticità che gli consenta di compiere modifiche e cambiamenti necessari per ottenere i risultati desiderati.
Dal 2001 ad oggi, il mercato della Business Intelligence del Performance Management si è radicato, per esempio, in modo importante nel territorio dell’Emilia
Romagna. Sono state realizzate soluzioni per valorizzare l’identità ed aumentare la
competitività delle aziende a seconda delle specifiche esigenze. Nell’ambito della
Pubblica Amministrazione, sono molteplici i casi di eccellenza, quali la Regione
Emilia-Romagna, il Comune di Bologna e il Comune di Reggio Emilia.
La Regione Emilia Romagna, per far fronte alle molteplici esigenze analitiche regionali, ha beneficiato dello sviluppo di numerosi progetti, con l’obiettivo di valorizzare l’immenso patrimonio
informativo e di facilitare il processo decisionale dell’ente. Per coprire questa necessità è stata
sviluppata una piattaforma completa di Business Intelligence costituita da una Staging Area (per
l’integrazione, storicizzazione e certificazione della qualità del dato), un Data Warehouse (per
la centralizzazione e la storicizzazione) e diverse interfacce utente. La piattaforma di Business
Intelligence complessiva ha reso possibile interrogare contemporaneamente dati provenienti da
sistemi informativi eterogenei, interrogare le serie storiche dei dati gestionali, affiancare ai flussi
informativi dati non completamente strutturati ed automatizzare l’invio di report (in formato
paperless), condivisibili da tutti i dipendenti in modalità self-service. I progetti sviluppati fino ad
oggi riguardano l’area finanziaria, personale, attività produttive, reti infrastrutturali, commercio,
ambiente, statistica, consolidato territoriale e controllo strategico.
Il progetto di “analisi della contabilità finanziaria” ha permesso agli analisti della Direzione Risorse Finanziarie e Strumentali di usufruire di un sistema costantemente aggiornato di reporting
multidimensionale e cruscotti direzionali. Grazie alla Business Intelligence, i referenti regionali
del servizio finanziario sono indipendenti nella fruizione di report istituzionali, nello sviluppo
di analisi estemporanee e nel monitoraggio dei principali indicatori di efficacia, efficienza ed
economicità dell’ente.
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Il progetto del “personale” è una piattaforma analitica che permette di effettuare analisi multidimensionali su presenze, assenze, orari di lavoro, missioni, attività formative, stipendi e sistemi
di valutazione e incentivazione. Conti Pubblici Territoriali è invece un progetto a coordinamento
nazionale che mira a costituire una banca dati unificata per l’analisi dell’andamento della spesa
per l’intero paese. Nell’ambito di questo progetto ogni Nucleo Regionale censisce e raccoglie i
dati di bilancio di un elevato numero di soggetti del Settore Pubblico Allargato, che comprende,
oltre alle amministrazioni comunali e provinciali, le unioni di enti locali, i consorzi, le aziende
sanitarie, le società partecipate da capitale pubblico, etc. Il Conto Territoriale raccolto dalla Regione Emilia-Romagna è costituito dai dati di bilancio di oltre mille enti operanti sul territorio. A
supporto di questo processo l’amministrazione regionale si è dotata di un sistema informativo
in grado di soddisfare efficacemente diverse necessità di elaborazione tra cui raccordare i dati
dei diversi bilanci raccolti, seguendo logiche unificate di riclassificazione emanate dal Ministero
dell’Economia e delle Finanze e consentire di applicare agevolmente logiche di consolidamento
delle spese, simili a quelle che intervengono all’interno dei bilanci consolidati in ambito privatistico fra società appartenenti allo stesso gruppo ripartendo secondo criteri condivisi la spesa
di ciascun ente censito sul territorio in cui l’ente stesso opera, in maniera da poter analizzare
i dati complessivi di spesa anche sulla dimensione territoriale a livello di provincia. Infine, per
quanto riguarda il progetto del DPEF, è stata sviluppata una piattaforma che facilitasse l’analisi
multidimensionale e di confronto sui trend annuali e il costante monitoraggio dell’attuazione
delle misure intraprese.
Un altro caso di eccellenza è rappresentato dal Comune di Bologna, che, con 373.000 cittadini
residenti e 150.000 non residenti, affronta una spesa annuale di 500 milioni di euro per un organico di 5.500 persone impiegate nella Pubblica Amministrazione. Operando in diverse aree è
stato necessario differenziare il progetto in base alle differenti esigenze di ogni settore: statistica,
controllo di gestione, servizi alla persona, polizia municipale, IT Governance. I benefici comuni
ottenuti sono molteplici: la valorizzazione del patrimonio informativo contenuto nei sistemi
gestionali dell’ente, l’automatizzazione di processi di aggiornamento e creazione di report, la
capacità di analisi (a diversi livelli di dettaglio) a seconda delle esigenze degli utenti, la focalizzazione sul raggiungimento degli obiettivi strategici e la possibilità di ricercare, nelle informazioni
contenute nel sistema, le cause legate ad un eventuale mancato raggiungimento di un obiettivo.
Questi benefici vengono ottenuti tramite misure differenti a seconda dell’ambito di applicazione.
L’area della polizia municipale ad esempio utilizza un sistema di analisi delle contravvenzioni e
di controllo per i pagamenti, i ricorsi, le archiviazioni, oltre ad un sistema in grado di prevedere e
stimare gli incassi futuri. Il sistema permette inoltre di vagliare tutti gli aspetti riguardanti gli accessi alla Zona a Traffico Limitato, distinguendo tipologia di accesso e profilo del trasgressore.
L’area personale trova l’applicazione del software nel monitorare la produttività delle risorse
attraverso l’analisi di presenze, assenze, straordinari, recupero ferie e permessi, mentre l’area
affari istituzionali e quartieri è in grado di valutare l’efficienza nella gestione dei procedimenti
attraverso l’analisi della durata (dettagliata per fasi, settore e stato dei lavori).
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Anche il Comune di Reggio Emilia ha sviluppato un’esperienza di eccellenza, applicando sistemi differenti nell’ambito del monitoraggio delle riscossioni ICI (e dell’abusivismo) e adottando
sistemi di Business Intelligence per i Servizi Sociali e per l’analisi e reporting del PEG (Piano
Esecutivo di Gestione).
Per combattere l’abusivismo edilizio e l’evasione relativa all’ICI, si è reso necessario mappare
e monitorare fenomeni quali la scissione fittizia del nucleo familiare, il sovraffollamento degli
immobili, la presenza di più famiglie in un immobile, l’utilizzo dell’immobile prima della dichiarazione di fine dei lavori e gli abusi edilizi. Per un efficiente controllo dell’ICI è indispensabile
l’integrazione tra diverse banche dati, considerata la complessità dei controlli da effettuare e
la notevole mole di dati. Per questo motivo, è stato necessario non solo curare l’estensione
dell’Anagrafe con le informazioni storiche, ma garantire l’integrazione delle base dati di Anagrafe, Toponomastica e Catasto, la correzione degli errori e il miglioramento della qualità dei dati
attraverso l’introduzione di un nuovo processo di gestione e monitoraggio.
Il Comune di Reggio Emilia ha usufruito delle potenzialità delle applicazioni di Business Intelligence anche nell’Area Servizi Sociali. Si tratta di un’area complessa, che, partendo dalla centralità dei bisogni della persona, si occupa di molteplici servizi sociali (rivolti ad anziani, immigrati,
disabili, minori, ecc.). Il processo di estrazione delle informazioni, a fini analitici o a supporto
di decisioni, è sempre stato estremamente difficoltoso, e ha spesso richiesto l’utilizzo di molte risorse umane, vista la necessaria ma faticosa ricerca dei dati. Per questo motivo si è reso
necessario un Data Warehouse che integrasse a monte i dati provenienti dalle varie procedure
gestionali. L’integrazione dei diversi dati con quelli dell’anagrafe comunale, già presenti nel Data
Warehouse, rende possibile eseguire analisi sulla singola persona o sui nuclei familiari coinvolti,
al fine di misurare il reale impatto delle politiche sociali a seconda del caso in esame.
Sempre all’interno del comune di Reggio Emilia, nell’ambito del progetto del Piano Esecutivo di
Gestione, sono state integrate informazioni e documenti disponibili per collegare le informazioni del PEG con quelle relative alle linee strategiche della Relazione Previsionale e Programmatica
(RPP). In questo modo è possibile valutare in tempo reale come le linee strategiche si attuino in
relazione al controllo operativo e di gestione, permettendo di analizzare l’impiego delle risorse
nell’ambito dei progetti e dei prodotti del PEG, dei Centri di Responsabilità, delle aree dell’Organizzazione e delle linee strategiche della RRP. È stato, inoltre, reso possibile monitorare le
risorse attribuite a prodotti e progetti in termini di entrate e di uscite analizzando, in particolare,
gli eventuali scostamenti con gli stanziamenti ed effettuando proiezioni fino al termine dell’anno
per i prodotti che hanno andamenti di spesa di tipo “continuo” nell’arco del tempo considerato.
Il sistema, accedendo ad archivi interni ed esterni all’ente, collegando i dati ad informazioni certificate e significative per l’analisi, è in grado di calcolare e di mettere a disposizione indicatori
che valutino la qualità dei servizi offerti e la corrispondenza rispetto agli indicatori economici.
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I casi di eccellenza presentati dimostrano come l’applicazione della Business Intelligence sia strumento non solo necessario, ma ormai imprescindibile nell’ambito della Pubblica Amministrazione, poiché valorizza il patrimonio informativo
contenuto nei sistemi gestionali mettendolo a disposizione dell’utente finale, reso
ora indipendente nella fruizione delle informazioni. Il sistema rende inoltre possibile collezionare dati da sorgenti interne ed esterne, trasformandoli in informazioni integrate a disposizione dell’utente e dell’analisi di suo interesse. La Business
Intelligence permette certamente di ottimizzare i processi aziendali, sia dal punto
di vista del controllo che da quello della pianificazione, ma consente soprattutto all’utente di intervenire direttamente e tempestivamente sui processi operativi
dell’azienda, facilitando la previsione sull’andamento futuro di impresa nonché
consentendo di valorizzare alcune decisioni di carattere strategico. Grazie al Data
Warehouse (DW) i manager sono in grado di sfruttare le informazioni aziendali
ed esterne al fine di effettuare analisi di business a supporto delle decisioni. Ed è
proprio la qualità del processo di preparazione dei dati che misura il valore di un
progetto di Business Intelligence.
Un quadro sinottico delle esperienze “intelligenti” di PA
ECCELLENZE
AREE/PROGETTI
Progetto Conti
Pubblici Territoriali
Regione
Emilia-Romagna
Progetto di analisi
della contabilità
finanziaria
Progetto analisi del
personale
Progetto DPEF
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BENEFICI
Il Conto Territoriale raccolto dalla Regione
Emilia-Romagna è costituito dai dati di bilancio di oltre 1000 enti operanti sul territorio. A
supporto di questo processo l’amministrazione
regionale si è dotata di un sistema informativo
di raccordare i dati dei diversi bilanci raccolti,
seguendo logiche unificate di riclassificazione
emanate dal Ministero dell’Economia e delle
Finanze e consentire di applicare agevolmente
logiche di consolidamento delle spese
Sistema di reporting multidimensionale e cruscotti direzionali. Indipendenza nella fruizione
di report istituzionali, nello sviluppo di analisi
estemporanee e nel monitoraggio dei principali
indicatori di efficacia, efficienza ed economicità
dell’ente
Piattaforma analitica che permette di effettuare
analisi multidimensionali su presenze, assenze,
orari di lavoro, missioni, attività formative, stipendi e sistemi di valutazione e incentivazione
Semplificazione dell’analisi multidimensionale e di confronto sui trend annuali e costante
monito- raggio dell’attuazione delle misure intraprese
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ECCELLENZE
Comune
di Bologna
ECCELLENZE
AREE/PROGETTI
BENEFICI
Analisi polizia
municipale
Sistema di analisi delle contravvenzioni e di
controllo per i pagamenti, i ricorsi, le archiviazioni. Controllo accessi ZTL.
Progetto analisi
del personale
Analisi affari
istituzionali e quartieri
Valutazione dell’efficienza nella gestione dei
procedimenti attraverso l’analisi della durata
(dettagliata per fasi, settore e stato dei lavori).
IT Governance
Monitoraggio degli indicatori di performance
dell’area Information Technology comunale
AREE/PROGETTI
BENEFICI
Analisi evasione
ed elusione ICI
Tramite l’ambiente di Business Intelligence è
possibile integrare catasto, toponomastica,
anagrafe e dichiarazioni ICI e mappare e monitorare la scissione fittizia del nucleo familiare, il
sovraffollamento degli immobili, la presenza di
più famiglie in un immobile, l’utilizzo dell’immobile prima della dichiarazione di fine dei lavori e gli abusi edilizi, etc.
Analisi Servizi Sociali
Data Warehouse che integra a monte i dati provenienti dalle varie procedure gestionali dei servizi sociali integrandoli nativamente con l’anagrafe comunale
Progetto del Piano
Esecutivo di Gestione
Analisi scostamenti con i dati di budget. Proiezioni al termine dell’anno per i prodotti che
hanno andamenti di spesa di tipo “continuo”
nell’arco del tempo considerato.
Reggio Emilia
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Sistema di analisi delle contravvenzioni e di
controllo per i pagamenti, i ricorsi, le archiviazioni. Controllo accessi ZTL.
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6.
Nuove opportunità
alla diffusione delle soluzioni
di Business Intelligence
nella Pubblica Amministrazione
La pubblica amministrazione di fronte a vecchie e nuove sfide:
la scarsità come risorsa
Ragionare sul ruolo della Pubblica Amministrazione (PA) in materia di sostegno e di promozione dello sviluppo dell’industria italiana dell’informatica e dei
servizi di Business Intelligence (BI) è esercizio tanto complesso quanto rischioso.
La pubblica amministrazione è da troppo tempo invischiata in un lungo processo di rivisitazione dei propri schemi organizzativi, delle regole operative interne,
degli approcci e delle decisioni verso i propri sistemi informativi. L’informatica è
così rimasta strumento di pochi e la gestione delle informazioni un compito tanto
determinante quanto, almeno fin qui, nei fatti, marginale. Grandi investimenti,
grandi progetti, molti e ambiziosi traguardi, ma nella realtà anche l’estrema difficoltà a trasformare le risorse messe in campo in un processo di modernizzazione e
di sviluppo della burocrazia, delle imprese, del Paese.
Le imprese dal canto loro sembrano distratte dalla visione generale (l’unica che
in concreto aiuta a definire un ruolo alto dell’informatizzazione) e fin troppo attente al micro. Grandi sforzi di comunicazione, grande interesse al mercato pubblico,
tante critiche alle difficoltà a spendere risorse scarse, ma poi in definitiva vince
la logica dell’appalto da spuntare con il minor sforzo e il massimo margine. Non
sembra essere compito del settore privato quello di dare senso, missione, coerenza
ai flussi ininterrotti di denaro che, dalle amministrazioni ogni anno, pagano sistemi e infrastrutture tecnologiche sempre più costose ma sempre meno intelligenti.
Forse non tutti e non sempre, ma certo sembra mancare una sponda del confronto
dal lato degli imprenditori.
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Università, centri studi, consulenti vari hanno da dire la loro ma, tra rumore di
fondo (tagliare la burocrazia, possibilmente senza tagliare risorse o teste eccellenti!) e ripetitività delle cose dette ( il peso della burocrazia per lo sviluppo dell’economia è insostenibile), l’attenzione sembra scesa oggi ai minimi termini. Anche la
sponda dei soggetti intermedi sembra aver perso vigore e soprattutto capacità di
dare senso allo sviluppo dei sistemi informativi pubblici.
In altre parole, guardando all’informatizzazione dell’azione amministrativa pubblica da un lato e, dall’altro versante, al ruolo del settore informatico privato si
ha l’impressione di riconoscere quasi ovunque e a prima vista scarsa credibilità
e insufficiente intelligenza nel promuovere iniziative di largo spettro e di medio
periodo. L’industria italiana dell’informatica, una volta punta di eccellenza nel panorama mondiale, è relegata al ruolo di piattaforma commerciale e la committenza
pubblica al ruolo di semplice sottoscrittore di programmi che, per inerzia, avanzano; va da sé che dove c’è solo intermediazione lo sviluppo fatica a mettere radici.
In realtà, per fortuna, anche se quanto detto è vero e riflette la visione superficiale
della informatica nella pubblica amministrazione, le cose non stanno proprio così
o, meglio, non stanno sempre così. Lo sforzo di investimento e di miglioramento
c’è ed è considerevole, purtroppo sembra essere spesso disarticolato e poco incline
a costruire applicazioni concrete e funzionali attraverso piattaforme tecnologiche
almeno compatibili se non dialoganti.
Questa fragile articolazione, seppur vera, non basta a spiegare la “scivolosità”
dell’affrontare il tema. Nelle prossime pagine si cercherà di dare, quantomeno, un
punto di vista e di spiegare l’approccio che si può seguire per innovare qualcosa
e per migliorare attraverso l’uso intelligente delle risorse informatiche la gestione
della cosa pubblica.
Per poterlo fare in maniera efficace occorre definire prima il contesto e i contorni
rispetto ai quali il ragionamento può essere svolto, in parte per contestualizzare le
riflessioni su pubblica amministrazione e Business Intelligence, e in parte per rendere espliciti i limiti che l’attuale situazione organizzativa, in larghissima misura,
ed economico-finanziaria, in misura ben più ridotta, pongono all’introduzione di
tecniche intelligenti dell’uso dell’informazione dei decisori pubblici.
Il quadro generale nel quale opera la pubblica amministrazione è caratterizzato
da due processi di lunga deriva e da una serie di comportamenti più episodici che
strutturali. I processi strutturanti sono su un lato la riforma delle modalità e delle
regole di azione amministrativa e, sull’altro, la progressiva riduzione delle risorse a
disposizione per interventi pubblici a sostegno del miglioramento degli strumenti
di funzionamento interni e per l’innovazione dei prodotti e dei servizi da parte del
sistema industriale. I comportamenti riflettono, al contrario, una dis-integrazione
delle forme di governo centrale e locale delle risorse e delle politiche pubbliche per
la tutela sociale e lo sviluppo economico.
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6. Nuove opportunità alla diffusione delle soluzioni di Business Intelligence nella PA | 61
Il primo processo strutturante:
la riforma della pubblica amministrazione
La riforma introdotta con il decreto legislativo n.150 del 2009 (cosiddetta Riforma Brunetta) appare a prima vista come l’ennesima, sebbene apparentemente
incisiva, riforma dell’azione amministrativa. Nel passato abbiamo visto la riforma Giannini, quella Cassese, le due riforme Bassanini, solo per citare quelle più
recenti (si fa per dire essendo passati quasi trent’anni). Ciascuna con le proprie
innovazioni e i propri strumenti: dalla misurazione dei carichi di lavoro al ridimensionamento del controllo preventivo della legittimità degli atti, dall’introduzione
di nuove forme di controllo alla misurazione dei risultati, dal cittadino al centro
di tutto alla aziendalizzazione delle forme di gestione delle strutture pubbliche. Il
Preside manager, il medico manager, il dirigente manager. Ciascuno doveva essere
manager e il “cliente” essere la società, il cittadino, l’impresa a seconda dei contesti
nei quali le riforme si collocavano. Le parole d’ordine erano qualità, misurazione,
merito, efficienza, standard di servizio
Guardando alla riforma appena introdotta non molto sembra essere cambiato
sotto il sole dell’amministrazione pubblica. Tuttavia un elemento ne caratterizza
l’approccio se non la sostanza: l’aver invertito, o almeno tentato di invertire, in una
misura rilevante la direzione della pressione al cambiamento.
Le riforme fin qui immaginate spingevano l’amministrazione a ripensare se stessa dal di dentro, a introdurre strumenti di controllo interni, a progettare schemi
organizzativi e soluzioni procedurali adatti al cambiamento. L’amministrazione,
soggetto autoreferenziale e dall’enorme massa inerziale per eccellenza, ha resistito, si è trasformata senza cambiare granché, ha ridisegnato la propria matrice di
funzionamento mantenendone inalterato il determinante.
Insomma, tanto rumore per nulla? Tante riforme per non concludere granché?
Un disegno capace di appassionare esperti e consulenti ma poco efficace sul lato
pratico?
In realtà no. Qualcosa delle riforme introdotte negli ultimi decenni rimane, anche
se pochi sembrano accorgersene. Rimane un’attenzione agli interessi del cittadino
e dell’impresa come componente essenziale dell’azione amministrativa, rimangono gli strumenti del controllo di risultato, rimane una cultura del cambiamento
che lentamente va radicandosi nei dirigenti pubblici. L’amministrazione pubblica
cambia lentamente ma una volta che ha iniziato a cambiare fermarla è difficile. Il
problema è semmai nella lentezza del cambiamento, nel progetto di strumenti e di
culture che finiscono per essere superati dai fatti non appena (dopo anni) iniziano
a produrre qualcosa.
Il lettore comprenderà che se questa lentezza finisce per incardinarsi nei sistemi
informativi e, più in generale, nelle tecnologie il ritardo diventa drammatico, a
volte ridicolo.
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Manca una vera spinta propulsiva alla modernizzazione dell’azione pubblica,
un motore di spinta concreto all’introduzione del nuovo, soggetti e processi capaci di accelerare e catalizzare il nuovo e mancano, soprattutto, gli strumenti per
realizzarlo. Occorreva dunque cambiare il gioco e tentare di introdurre nei meccanismi di riforma una pluralità di strumenti messi in mano a un terzo esterno per
“destrutturare da fuori” la macchina burocratica. Da qui la riforma ulteriore dello
scorso anno, non tanto e non solo per modificare le regole, quanto per delineare
un quadro generale all’interno del quale inserire i frammenti di trasformazione,
ciascuno dei quali (e l’insieme nel suo complesso) sia capace di spingere dall’esterno al cambiamento. Operazione rischiosa, alla fine infatti potrebbero rimanere per
lo più macerie, finire il gioco prima ancora che si metta mano alla ricostruzione.
A quel punto lo scenario o sarà drammatico o sarà, cinicamente, comico. Ognuno
corre la sua corsa senza sapere bene dove andare.
Il tentativo di modernizzare mettendo fuori i processi di spinta al cambiamento
è in corso. In pochi mesi dall’avvio della legislatura il Ministro per la Pubblica
Amministrazione e l’innovazione ha promosso la trasparenza dell’azione amministrativa fino quasi all’eccesso, la posta certificata come strumento facile e gratuito
per scrivere alle amministrazioni, ma anche per combattere frodi ed evasione, la
comunicazione digitale certificata tra cittadino e PA, i servizi integrati di comunicazione e informazione al cittadino, la critica feroce ai fannulloni, l’attivazione di
Linea Amica e Reti Amiche, l’integrazione internet telefonia con il progetto Vivifacile, oltre 150 protocolli di collaborazione con altre amministrazioni e con enti
privati, i piani e-gov 2012, il Nido nella PA, la lotta agli sprechi, il contrasto alle
auto blu; e via così di provocazione in provocazione; di strumento in strumento.
Non a caso molti dei quali legati alla gestione delle informazioni e dei sistemi
informatici. La critica naturale a questi processi è che siano appunto “frammenti”, elementi singoli che non fanno sistema, provocazioni del quotidiano più che
processi strutturanti la riforma. In parte questo è vero e in larga parte è voluto.
Tuttavia tanti pezzi separati hanno il pregio di offrire una pluralità di strumenti
alla pubblica amministrazione e la possibilità, almeno potenziale, di “convergere”
successivamente verso un modello organizzativo più integrato.
Ecco allora le parole chiave sulle quali si dovrebbe leggere la riforma: convergenza e integrazione. Convergenza dei mezzi; dei canali di comunicazione tra cittadino, imprese e professionisti verso la pubblica amministrazione; della capacità
di esigere dalla amministrazione pubblica. Convergenza che richiede un grande
sforzo di credibilità e di intelligenza informatica poiché la tecnologia, forse per la
prima volta nella nostra amministrazione pubblica, è chiamata a sostituire l’analisi
organizzativa e dei processi nella guida e nella visione della riforma. Se metto fuori
il motore di spinta al cambiamento non è più necessario come in passato dedicare
tempo e risorse a leggere l’organizzazione, ma devo potenziare i canali di ricezione
e di risposta.
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Il secondo processo strutturante:
la progressiva, feroce, inarrestabile contrazione delle risorse
In queste settimane si moltiplicano gli interventi tesi a tagliare la spesa pubblica
e le iniziative mirate a introdurre strumenti e servizi per porla sotto controllo. Se
sui secondi l’attenzione della opinione pubblica e delle amministrazioni appare
piuttosto blanda sui primi si concentra invece il dibattito dentro e fuori le sedi della
burocrazia.
Si tratta per lo più di tagli lineari, indipendenti cioè dalla destinazione delle risorse ridotte o cancellate, cioè di tagli che per loro natura e per scelta sono poco
intelligenti e poco inclini a dettare una azione virtuosa di risparmio.
Meno spese per il funzionamento dei ministeri e degli enti pubblici (riduzione
del 10% circa) senza margini di flessibilità (il risparmio è destinato alle entrate del
bilancio dello Stato), blocco delle progressioni automatiche e di merito delle retribuzioni dei pubblici dipendenti, tagli ai trasferimenti agli enti locali, meno spese
per formazione, viaggi e missioni, servizi di telefonia, collaborazioni esterne, convegni ed eventi, organi collegiali degli enti pubblici e così via.
Tale contrazione risponde a diverse logiche concomitanti: salvaguardare i saldi
di finanza pubblica, favorire l’introduzione di una dimensione federale della gestione delle risorse pubbliche, se non degli assetti dello Stato, conquistare il consenso della opinione pubblica e dei soggetti intermedi colpendo più o meno apparenti privilegi, costringere le amministrazioni a ridurre le spese e a non impegnare
eventuali residui rimasti nelle pieghe dei bilanci.
Sia per le tipologie di riduzioni che per loro motivazioni l’attenzione alla spesa
non sembra dettata dal tentativo di generalizzare e distribuire i sacrifici in un momento difficile dei sistemi economici internazionali. Sembra piuttosto un modo
(forse aggressivo, forse arrogante) di indurre le amministrazioni pubbliche a ridurre anche non in modo intelligente le spese pur non offrendo alcuna sponda concreta per una rimodulazione delle risorse disponibili che faccia premio al merito,
alla efficienza, alla modernizzazione.
La rigidità della contabilità pubblica e la compulsività dei tempi e dei modi parlamentari hanno fatto sì che non ci fossero margini di discussione sui tagli e sulle
contrazioni di spesa. La possibilità di rimodulare le spese e di distribuire le riduzioni su capitoli meno sensibili o più capaci di offrire efficienza senza che ne vada
a detrimento l’efficacia, al momento non appare percorribile, anche se è a tutti
evidente che sarebbe la strada ottimale.
La riduzione della spesa è motore, almeno potenzialmente, altrettanto potente
della riforma della burocrazia, ma per molti versi è ancora più rischioso se non è
accompagnata da progetti e servizi capaci di impedire una caduta dell’economia
italiana. Meno spese significa in primo luogo minori investimenti, minori investimenti producono rallentamento del processo di modernizzazione della ammini-
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strazione pubblica, peggiore burocrazia produce maggiori fabbisogni di sopravvivenza della macchina amministrativa e così via.
Viceversa se accanto alla riduzione, delle risorse necessaria per spingere le amministrazioni non a spendere meno ma a spendere meglio, si innervano processi
virtuosi di trasformazione della amministrazione e del sistema economico in generale, il vantaggio non può che essere di tutti.
E anche in questo la tecnologia informatica, o meglio il suo uso intelligente, gioca un ruolo di primaria importanza. Se occorre spendere meglio nella sanità occorre sapere dove mettere mano, così nella giustizia, così nella gestione dei patrimoni
immobiliari pubblici, così nella scuola o nei fondi per l’agricoltura.
Il contesto in questo senso appare desolante. Basterebbe un’anagrafe ben fatta
per gestire le relazioni con il cittadino senza troppe duplicazioni e ridondanze. Basterebbe un concreta applicazione delle norme sulla giustizia telematica per rendere più rapida e più trasparente la giustizia. Basterebbe un dialogo tra amministrazioni centrali e tra queste e gli enti locali sui sistemi informativi di scambio dei
dati per evitare che ciascuno vada per conto proprio e che si duplichino strumenti e
servizi. Sarebbe sufficiente condividere i dati territoriali per non sprecare le costose
rilevazioni e censimenti.
Ma questa appare essere l’unica strada e le difficoltà dei bilanci pubblici ne rappresentano in parte il senso e la vocazione e in parte il combustibile propulsivo.
Il senso perché sulla parola d’ordine del risparmio difficilmente si potrebbe non
essere d’accordo e perché potrebbe essere la chiave unificante di molte iniziative di
modernizzazione in corso. Basti pensare alla fatturazione elettronica, alla tracciabilità dei pagamenti verso tutte le amministrazioni, alla Carta Nazionale dei Servizi
come carta di pagamento. Il motore perché come è detto dalla saggezza popolare:
“Il bisogno aguzza l’ingegno”.
I comportamenti di dis-integrazione
La qualità e l’efficacia dei processi di medio-lungo periodo: richiamati brevemente nelle pagine precedenti; sono tutte ancora da dimostrare. Non è detto, infatti, che la riforma abbia successo né che la contrazione delle spese induca realmente comportamenti virtuosi.
Nell’immediato, tuttavia, nascono iniziative tali da far ben sperare. Tra queste la
principale e quella con un vero ruolo aggregante è la diffusione reale e pervasiva
del concetto e degli strumenti di trasparenza. Resa possibile e virtuosa dalla tecnologia orientata al web. Tema sul quale ritorneremo nei paragrafi successivi.
L’articolo 11 del decreto 150/2009 definisce cosa si intende per trasparenza nelle pubbliche amministrazioni: è accessibilità totale e riguarda in primo luogo il
rapporto fra amministrazione e cittadini. Ma non solo, perché la trasparenza ha
come scopo quello di “favorire forme diffuse di controllo”e, quindi, di mettere altre
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istituzioni preposte al controllo (principalmente la Corte dei Conti e la Ragioneria
dello Stato) nelle migliori condizioni per svolgere il proprio ruolo. Stipendi e incarichi, tassi di assenteismo, appalti e servizi, albo pretorio on-line e chi più ne ha
più ne metta, sul sito a disposizione di tutti.
Certo sarà poi da valutare in che modo questo contribuisca a migliorare l’azione amministrativa e, soprattutto, in che modo reagiranno le solitamente astute
pubbliche amministrazioni per difendersi. Tuttavia il controllo, come figlio della
trasparenza, comincia a far sentire la propria capacità di pressione massiccia nei
processi della pubblica amministrazione.
Il secondo comportamento sostenuto da molti, se non introdotto, è argomento
più oscuro nei mezzi e nei modi ma non nel fine: la promozione del merito. Il
principale intento del legislatore del 2009 è stato quello di segnare una inversione
di rotta rispetto alla generale tendenza alla distribuzione a pioggia dei benefici,
che da decenni ha prevalso nei fatti. Il che si traduce nell’affermazione di un “effettivo criterio di selettività nell’attribuzione degli incentivi economici e di carriera,
in modo da premiare i capaci e i meritevoli, incoraggiare l’impegno sul lavoro e
scoraggiare comportamenti di segno opposto.
Il tutto in un contesto di piena affermazione di quella cultura della valutazione
la cui carenza ha sino ad oggi frenato ogni possibilità di produrre un tangibile miglioramento della performance delle amministrazioni pubbliche”.
Il concetto di “merito” subentra a quello di “produttività individuale e collettiva”
e quello di “premi” ai “trattamenti economici accessori”, collegati alla medesima
produttività. Il tutto da rendere coerente con il risparmio effettivamente conseguito. L’articolo 27 della riforma Brunetta introduce infatti il “dividendo dell’efficienza”, che consente di destinare, secondo criteri generali definiti dalla contrattazione
integrativa, una quota fino al 30% dei risparmi sui costi di funzionamento derivanti da processi di ristrutturazione, riorganizzazione e innovazione all’interno delle
pubbliche amministrazioni e di premiare il personale direttamente e proficuamente coinvolto (fino a due terzi) e incrementare le somme disponibili per la contrattazione (fino a un terzo). Il tutto a condizione che tali risparmi siano documentati
nella relazione di performance e validati sia dall’Organismo di valutazione che dalla
Ragioneria Generale dello Stato.
Per le regioni, gli enti locali e le amministrazioni del servizio sanitario nazionale
è, invece, sufficiente che i risparmi siano documentati nella relazione di performance e validati dall’Organismo di valutazione.
Il merito può essere parola vuota. Basta pensare non tanto a come riconoscerlo,
cosa questa relativamente facile, ma soprattutto a come certificarlo in ambito pubblico, questo sì ai limiti del possibile. Ma può essere parola potente se se ne riconosce appunto il suo ruolo disgregante, di rottura cioè di quel perverso equilibrio
che faceva della burocrazia “di tutta l’erba un fascio”.
Sulla riforma dell’azione amministrativa incide anche la revisione, avviata in
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questi mesi, del Codice della Amministrazione Digitale (CAD), ossia della base
normativa che regola interamente i diversi passaggi verso un’amministrazione realmente on-line.
La base giuridica costituita dal CAD può essere oggetto di mille critiche quasi
tutte fondate ma, nei fatti, essa rappresenta uno dei principali strumenti con i quali
innovare i sistemi informativi e i relativi processi e con i quali dettare le regole per
rendere più agevoli i rapporti tra le amministrazioni e i cittadini.
Il nuovo CAD è ormai alle soglie della lettura finale da parte delle Commissioni
Parlamentari del decreto legislativo di attuazione della legge delega di riforma e, a
breve, dovrebbe incardinarsi nel nostro ordinamento. Il nuovo Codice resta nella
scia del precedente ma lo rende attuale e attuabile. Vengono superati i veti incrociati, i rinvii a troppi decreti attuativi, che non hanno mai visto la luce. Vengono
individuate le responsabilità e introdotte le sanzioni per chi non adempie a quanto
prescritto.
In altre parole anche la norma guarda verso una nuova stagione dell’informatica
nella pubblica amministrazione, destrutturando l’esistente ma gettando le basi di
un nuovo ciclo.
Infine va segnalato il percorso di introduzione di elementi essenziali allo sviluppo
dei sistemi informativi e di revisione dei processi, quali ad esempio l’introduzione
di costi standard, la gestione elettronica dei protocolli e dei flussi documentali, i
pagamenti e gli incassi elettronici, la tracciabilità elettronica dei flussi connessi a
finanziamenti pubblici… Tutti elementi, questi, che contribuiscono a delineare il
contesto complessivo nel quale la pubblica amministrazione si sta muovendo.
Dis-integrazione (in una miriade di frammenti), dunque, come processo virtuoso che si coniuga e si interseca con i processi strutturanti prima richiamati. Tanto i
primi quanto i secondi rischiosi, ma essenziali strumenti di modernizzazione della
macchina pubblica. I primi come i secondi orientati a una sostanziale e profondissima revisione dei sistemi informativi della pubblica amministrazione.
Revisione sulla quale la Business Intelligence gioca un ruolo di primissimo piano
sia come cornice concettuale che come schema operativo.
Gli investimenti in strumenti informatici delle pubbliche
amministrazioni
Qual’è allora, in questo quadro, il ruolo dell’informatica (per inciso una delle
poche voci di spesa non sottoposte a tagli lineari). E, soprattutto, è credibile un
vero piano di rimodulazione e innovazione degli investimenti e delle spese per
IT della amministrazioni pubbliche, tale da sostenere lo sviluppo della modernità
delle amministrazioni stesse ma ben di più del sistema Paese?
Nei capitoli seguenti si affronta questo tema in maggior dettaglio. Il quadro generale, tuttavia, appare confortante.
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Nel triennio in corso (2010-2012) la sola amministrazione centrale ha pianificato
interventi, secondo i dati provvisori del Piano Triennale per l’IT dell’amministrazione centrale, per circa 5,5 miliardi di euro. Questo dato va letto con prudenza anche perché potrebbe essere sottostimato in quanto la definizione di “beni e servizi
informatici” è sufficientemente lasca e ambigua da far sfuggire una serie di spese
interne e di costi di investimento anche considerevoli.
Tabella 5.1. Piano triennale ICT 2010-12 (mln di euro)
Amministrazione Centrale
2010
2011
2012
Totale
950
800
750
2.500
Enti
1.050
1000
950
3.000
Totale PAC
2.000
1.800
1.700
5.500
Fonte: DigitPA.
Da segnalare il particolare peso degli Enti pubblici non economici (in larghissima misura previdenziali e assicurativi), segno ulteriore di spostamento delle risorse da un mero principio di “dotazione” della strumentazione informatica ad un più
complesso riferimento alla “prestazione” verso cittadini e imprese.
La spesa in IT, a sua volta, va distribuita tra iniziative di sviluppo e la gestione
corrente delle risorse e dei sistemi. La tabella seguente riporta la suddivisione della
spesa pianificata per le iniziative di sviluppo. Anche se perdura la consistenza degli
investimenti in infrastrutture (con una significativa riduzione nel corso dei prossimi anni) è interessante notare come la componente applicativa e lo sviluppo di
software su specifiche del cliente siano in sostanziale tenuta nel triennio.
Tabella 5.2. Iniziative di sviluppo per tipologia di spesa
2010
2011
2012
Totale
150
95
95
340
Software di base
55
55
45
155
Software applicativo
65
50
40
155
330
300
270
900
Infrastrutture di rete
40
30
30
100
Consulenza organizzativa e di progetto
60
45
45
150
Formazione
15
15
10
40
Altri servizi
285
245
200
730
1.000
835
735
2.570
Infrastrutture hardware IT
Sviluppo software custom
Totale
Fonte: DigitPA.
Come si vede la parte preponderante è ancora lo sviluppo di software su specifiche del committente, segno inequivocabile di un percorso virtuoso di investimento
sulle applicazioni e sulle linee di servizio, ma al tempo stesso segno di un ritardo
cronico degli investimenti verso i bisogni della società e non dell’amministrazione
stessa, sebbene ci siano alcuni segnali confortanti di inversione. L’incapacità di es-
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sere dentro sistemi standardizzati (perché specifiche del Committente se il quadro
dei bisogni è chiaro e le necessità condivise?) è infatti testimonianza di debolezza
e di affaticamento.
Analogamente si va trasformando l’assetto infrastrutturale e tecnologico per la
comunicazione digitale da parte delle amministrazioni pubbliche. Cresce il trend
positivo nel numero degli accessi ai siti pubblici. Tutte le amministrazioni hanno
almeno un sito istituzionale per un totale di 1.065 siti. Poco più del 50% dei siti
fornisce le informazioni chiave per l’accesso ai procedimenti amministrativi (modulistica, scadenze, modalità). L’informazione sulle gare e i concorsi, così come
le informazioni sulla struttura organizzativa, sono presenti in oltre l’80% dei siti.
Scarse, quelle sulla descrizione dei procedimenti legati alla L.241/90, la presenza di
caselle di PEC e l’elenco dei servizi attivi e di futura attivazione. A due anni dall’entrata in vigore della legge 4/2004, sull’accessibilità per i disabili agli strumenti informatici, circa il 70% delle amministrazioni rispetta la normativa.
Tabella 5.3. Siti gestiti, visite e accessi alla home page, anni 2007 e 2008
Amministrazioni
Con un solo sito
Con più siti
N° visite anno
(in milioni)
N° siti
2007
2008
2007
2008
2007
2008
2007
Amm.ni centrali
7
7
16
17
703
734
210
2008
433
Enti
9
8
11
9
344
325
161
261
Tutte
16
15
27
26
1.078
1.065
371
694
Fonte: DigitPA.
L’utilizzo della posta elettronica evidenzia come il ricorso ad essa sia ormai pienamente diffuso, sia per l’utilizzo all’interno che per gli scambi verso l’esterno.
Invece rimane ancora limitato l’utilizzo della posta elettronica certificata (PEC). Su
questo fronte le recenti iniziative del Ministro Brunetta portano a ritenere che tale
strumento veda una significativa accelerazione nel corso del 2010.
Tabella 5.4. Caselle di posta elettronica e messaggi scambiati, anni 2007 e 2008
Amministrazioni
Amm.ni centrali
Enti
Totali
Caselle di posta
elettronica
e-mail scambiate all’interno
(in migliaia)
e-mail scambiate con l’esterno
(in migliaia)
2007
2008
2007
2008
2007
2008
672.990
697.410
329.842
627.931
551.040
808.827
93.526
91.322
105.721
108.375
274.725
290.228
766.516
788.732
435.563
736.306
825.765
1.099.056
Fonte: DigitPA.
Il sistema IT italiano ha in buona misura sottovalutato questo strumento, attribuendo un ruolo esclusivo alla posta elettronica certificata come canale controllato
di comunicazione (sostanzialmente una raccomandata con avviso di ricevimento
elettronico). In realtà la posta certificata è molto di più: è lo strumento che impone
la necessità di ripensare dal profondo tutto lo schema organizzativo dell’ammini-
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strazione pubblica. La posta è infatti il canale di ingresso di tutte le strutture burocratiche e rivederne schemi e strumenti presuppone una rivisitazione completa
dei processi interni.
Nel corso dei prossimi anni si assisterà ad una vera e propria esplosione dei messaggi di posta elettronica tra amministrazioni e tra cittadino e uffici pubblici. A tale
proposito la conoscenza dei processi e delle effettive modalità di reingegnerizzazione, sulla base della conoscenza dei dati di effettivo funzionamento, può essere
la chiave di volta di tutto lo sviluppo dei sistemi informativi pubblici.
Infine le risorse umane, probabilmente il vero punto di debolezza della condizione attuale, ma anche la base di competenze su cui costruire una più moderna
pubblica amministrazione. Complessivamente le amministrazioni impiegano nel
settore informatico circa 23.600 persone, pari al 4,2% dei dipendenti, con una riduzione, rispetto al 2007, di circa 800 unità.
Tabella 5.5. Addetti IT, numerosità e percentuale su dipendenti
Amministrazioni
Addetti IT (v.a.)
Addetti IT su dipendenti (%)
2007
2008
2007
2008
Amministrazioni centrali
21.380
20.375
4,5
4,3
Enti
3.040
2.842
4,2
4,1
Tutte
24.420
23.217
4,5
4,2
Fonte: DigitPA.
Al personale informatico sono associati alcuni fattori di criticità legati essenzialmente alla scarsità del numero degli addetti IT e all’aumento dell’età media che si
associa ad uno scarso turnover con ricadute negative sui processi di innovazione.
Su questo fronte, in particolare, gli spazi di manovra per assumere nuovo personale sono quasi nulli e si rischia di infragilire tutto il governo dell’informatica
pubblica.
L’introduzione di nuove piattaforme decisionali aperte a un numero significativo di utenti potrebbe rappresentare un punto di equilibrio tra competenze specialistiche e competenze utili all’alta direzione nei ministeri come negli enti pubblici,
in particolare previdenziali.
Il modello organizzativo, infine, vede nelle sedi cent
rali il personale informatico impegnato prevalentemente in funzioni di governo del sistema (coordinamento, pianificazione, gestione di progetti e contratti) e di realizzazione di progetti
(studio e progettazione, sviluppo software e avviamento e messa in produzione)
mentre, nelle sedi periferiche, prevale l’utilizzo nelle attività di gestione e conduzione dei sistemi (gestione sistemi, gestione reti, acquisizione dati, assistenza
utenti). Sembra poi utile segnalare la crescita notevole, in particolare nelle amministrazioni centrali, del tempo medio dedicato alla formazione degli addetti IT
(2,3% del tempo lavorativo, lo 0,6% nel 2008). Cresce del 250% sia il numero degli
allievi sia il numero di giornate allievo. Tuttavia, permane una carenza di perso-
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nale capace di indirizzare, governare e controllare saldamente gli interventi sui
sistemi informativi, oltre che di raccordarli con le trasformazioni organizzative. E
resta critica la definizione del ruolo del Responsabile dei sistemi informativi, le cui
funzioni sono ancora limitate, in alcune amministrazioni, ad un ambito tecnico e
strumentale. Solo in alcuni casi il responsabile assume una chiara connotazione di
supporto alle strategie.
Conoscere per governare: IT e Business Intelligence nella
pubblica amministrazione
Un insieme di norme recentemente approvate o in via di approvazione pone
l’esigenza di un incisivo “ammodernamento” dei sistemi informativi delle pubbliche amministrazioni. Tra queste basti ricordare che oltre alla Riforma Brunetta,
che introduce tra l’altro il meccanismo del full cost come base per l’introduzione
del dividendo dell’efficienza, sono ormai in dirittura d’arrivo le riforme del Codice dell’Amministrazione Digitale e della Contabilità di Stato, la trasformazione in
senso federale della gestione di buona parte dei servizi di interesse collettivo, nonché l’introduzione della validità legale della sola pubblicazione sui siti istituzionali
di avvisi e bandi.
Quadro normativo che, anche indipendentemente dall’entrata in vigore di norme specifiche, pone in primo piano sia lo sviluppo dei servizi on line, sia una accelerazione della dematerializzazione dell’azione amministrativa (pagamenti e fatturazione elettronica, uso della posta elettronica certificata, protocollo informatico)
sia, e soprattutto una formulazione a largo spettro di criteri per il “taglio intelligente” delle risorse effettivamente disponibili.
Conseguentemente debbono essere “oggetto di manutenzione straordinaria”,
se non addirittura di ridisegno radicale, i sistemi informativi dedicati alla gestione
delle risorse finanziarie (controllo di gestione e dintorni); delle risorse di personale;
dei documenti (cosiddetto flusso documentale elettronico avanzato) e infine delle
pratiche (workflow).
È in questo quadro di revisione complessiva dei sistemi informativi, come detto
nelle pagine precedenti, che si deve inserire l’attuale attenzione verso i sistemi cosiddetti di Business Intelligence, quei sistemi cioè dedicati ad interagire con le basi
dei dati delle amministrazioni, in modo da consentire agli utenti abilitati di avere
una visione puntuale dell’andamento delle attività.
Tra i concetti chiave utili a definire e a rendere in sintesi il problema della Business Intelligence nelle amministrazioni pubbliche si possono citare:
• riprendere in mano il controllo dell’esplorazione dei dati. Tra le principali difficoltà di analisi delle basi informative le amministrazioni segnalano infatti la
totale o quasi dipendenza dai fornitori di IT per interrogare i sistemi ed estrarre
informazioni necessarie a definire un quadro di insieme;
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•
•
•
fare emergere la conoscenza. Tra i dati e le informazioni che le amministrazioni
detengono si annida, evidentemente un tesoro, in larga misura inesplorato, di
conoscenza utile non solo alla gestione delle attività istituzionali ma, molto di
più, al governo delle politiche pubbliche. Basti pensare, ad esempio, ai dati degli
enti di previdenza e tutela sociale;
governare e programmare le decisioni. Di conseguenza ai due punti sopra richiamati si apre un tema di esercizio delle responsabilità di governo della cosa
pubblica, di tempestività e di efficacia, ma anche di corretta rappresentazione dei
temi e della loro rilevanza;
unificare, consolidare e condividere il patrimonio informativo pubblico, non solo
per i processi decisionali interni quanto soprattutto per i servizi resi al cittadino
e alla società nel suo complesso.
Il problema, come si vede, è complesso e in larga misura ancora non affrontato,
o almeno non affrontato in via sistematica, viceversa si stanno moltiplicando le iniziative da parte di diverse amministrazioni per l’acquisizione di sistemi di Business
Intelligence, al di fuori di una logica integrata.
In queste pagine sembra così necessario più che analizzare il bisogno, che peraltro appare sufficientemente chiaro, richiamare le linee di ragionamento e di progressione che il settore pubblico sta affrontando.
In primo luogo sta diventando necessario e urgente un radicale rinnovamento
dell’architettura delle basi di dati per assicurare fruibilità coordinata. Taglio delle risorse, federalismo, trasparenza dell’azione amministrativa, razionalizzazione,
dematerializzazione sono tutti processi che, a diverso titolo, scardinano l’architettura esistente dei sistemi informativi.
Come la riforma Brunetta sposta il motore del cambiamento nelle mani del cittadino così la necessità di sviluppare applicazioni informatiche condivise sposta nella gestione del metadato e nella Business Intelligence il motore del cambiamento
delle infrastrutture informatiche.
Le caratteristiche delle piattaforme di Business Intelligence sono infatti orientate
a garantire le funzionalità di analisi dei dati, specie di carattere multidimensionale
e di creazione di nuove strutture interpretative in modo da essere indipendenti dall’hardware e dai sistemi operativi, consentire la portabilità del cruscotto di
report su altre piattaforme e, infine, ma essenziale, garantire la scalabilità sia verticale (ossia a seguito del potenziamento del numero e della capacità degli elaboratori utilizzati) sia orizzontale (con aumento del numero e del tipo di elaborazioni
richieste).
Le basi informative significative censite nella pubblica amministrazione centrale
(dati riferiti alla fine del 2008 ma che mantengono il loro significato complessivo)
sono oltre 1.400. Questo dato esprime bene la complessità di un disegno articolato
di cooperazione intelligente delle applicazioni. Nel dettaglio si può vedere come le
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basi date più numerose, a parte quelle per il funzionamento delle amministrazioni
(per il personale e per la gestione corrente), si registrino nei bacini di utenza della
fiscalità e dei servizi previdenziali e per il lavoro. Una massa di informazioni non
solo di rilevanti dimensioni, ma soprattutto di significativo impatto sui disegni di
governo della spesa e sulle politiche di sostegno economico e sociale.
Circa un terzo delle basi di dati è acceduto dall’esterno, anche dalle amministrazioni locali. Dato questo che segnala non solo una dimensione cooperatva nella
gestione dei dati pubblici, ma ancora di più un modello di esercizio delle basi dati
pubbliche. Con ovvi e difficili problemi connessi alla tutela della concorrenza, della
privacy e della autonomia funzionale delle diverse amministrazioni.
Per quanto riguarda poi la dinamica nella interoperabilità tra banche dati e
servizi pubblici, si registra un incremento del numero di basi di dati accessibile
dall’esterno, ma si conferma anche l’esistenza di una domanda elevata, ancora
inevasa, di interoperabilità.
Tabella 5.6. Basi informative, anni 2007 e 2008
Amministrazioni
Amministrazioni Centrali
Enti
Totale
Numero
Terabyte
2008
Var % 2008/2007
2008
Var % 2008/2007
1.079
- 1,9
258
38
369
-
92
-
1.448
-1,7
350
24
Fonte: DigitPA.
La Business Intelligence in questo quadro diventa lo strumento attraverso il quale costruire sistemi di metadati rivolti agli utenti finali e gestiti in modo tale che
ogni utente abilitato possa interagire con le diverse fonti di dati senza conoscerne
le strutture fisiche e logiche ed utilizzando un’ontologia ed una semantica non necessariamente condivisa. Mantenendo, come è naturale, tutti i sufficienti elementi
di sicurezza negli accessi ai dati, senza per questo incidere sulla capacità di utenti
non specialisti di utilizzare report parametrizzati in modalità web.
Accanto alla struttura condivisa delle basi di dati opera, poi, una rete di postazioni e di piattaforme particolarmente ricca ed articolata, ponendo anch’essa grandi
opportunità e complessità alla costruzione di piattaforme di Business Intelligence.
La quasi totalità dei dipendenti pubblici dispone ormai di almeno un personal
computer come forse non è del tutto scontato attendersi, viceversa appare del tutto
logico che stia rapidamente aumentando il numero di postazioni di lavoro connesse ad internet.
Quanto ai sistemi tecnologici, cresce la capacità elaborativa dei server centrali e,
soprattutto, la capacità dei sistemi di memorizzazione. Si registra l’aumento delle
postazioni di lavoro e dei PC desktop, e aumenta il numero di dipendenti che hanno un personal computer desktop: il fenomeno è particolarmente evidente nelle unità
organizzative periferiche.
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6. Nuove opportunità alla diffusione delle soluzioni di Business Intelligence nella PA | 73
Tabella 5.7. Infrastruttura di base nella PAC, anni 2007 e 2008
Piattaforma
Caratteristica
Sistemi elaborativi grandi
numero
2007
75
2008
82
Sistemi elaborativi medi
numero
30.694
26.883
Sistemi di memorizzazione
capacità in Tbyte
Postazioni di lavoro
numero
Personal Computer esterni
numero
5.959
5.286
Personal computer desktop
numero
491.482
520.158
Personal computer portatili
numero
69.278
69.881
2.879
3.772
570.081
595.325
Fonte: DigitPA.
Analogamente si può dire per la rete e le infrastrutture. Il 75% delle postazioni
di lavoro sono ormai connesse in rete e si può ritenere completata la migrazione
dei servizi RUPA (rete unitaria della pubblica amministrazione) verso il Sistema
Pubblico di Connettività (SPC) e di Cooperazione, vera e propria intranet delle
amministrazioni centrali e locali, con oltre 800 amministrazioni connesse e con
diverse opportunità di crescita nel corso dei prossimi mesi, sia attraverso l’integrazione con la rete internazionale (con oltre 450 sedi estere collegate) sia con la
costruzione del Nodo per i pagamenti elettronici.
Tabella 5.8. Indicatori di connettività, anni 2007 e 2008
(in percentuale)
Descrizione
2007
PdL in rete locale / totale PdL (%)
79,6
75,5
PdL in rete geografica / totale PdL(%)
74,8
72,5
PdL con accesso ad internet / totale PdL (%)
66,9
66,2
PdL con accesso ad internet in banda larga / totale PdL (%)
49,8
56,2
0,4
0,5
PdL in rete locale wireless / totale PdL (%)
2008
Fonte: DigitPA.
Sul fronte dei sistemi di trasporto e, più in generale, sulla connettività il nostro
Paese ha fatto enormi progressi nel corso degli ultimi anni. Infatti continua a diminuire il costo dei servizi di connettività mentre continua a crescere la banda
disponibile.
I risparmi ottenuti sono notevoli: si passa, nel passaggio da RUPA ad SPC, da
una spesa di 120 milioni di euro del 2004 ad una di 78,7 milioni di euro nel 2008,
con un risparmio complessivo nel triennio 2006-2008 di 84 milioni di euro.
In sintesi, così come esistono le condizioni normative ed organizzative per le
pubbliche amministrazioni tali da favorire l’introduzione di sistemi, piattaforme,
strumenti e persone, per la Business Intelligence esistono anche i requisiti tecnologici e funzionali.
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Tabella 5.9. Ampiezza di banda (Gbps) RUPA e SPC disponibile e spesa (milioni di euro),
dal 1999 al 2008
Descrizione
Pre
RUPA
1998
1999
2000
2007
2002
2003
2004
2005
Ampiezza di banda
dispon.le (Gbps) (*)
0,69
1,69
2,27
70
5
9
13,8
43
77
83
84
80,5
95
103
120
107
Spesa
amministrazioni
RUPA/
SPC
SPC
2006
2007
2008
52,7
70
83
95
80,5
78,7
RUPA
(*) Banda massima in accesso acquisita dalle amministrazioni (dato aggregato su 426 PA). Essendo vietate le politiche di
traffic shaping, in alcuni momenti è possibile superare la banda massima in accesso attraverso l’utilizzo dell’intera banda
fisica.
Fonte: DigitPA.
La pubblica amministrazione rappresenta, cioè, potenzialmente, uno dei segmenti di mercato di maggiore interesse per le imprese, capaci di elaborare progetti
e proposte all’altezza della complessità del tema. Viceversa, un’eventuale fragilità
del nostro sistema dell’industria informatica, dei suoi servizi di progettuali e ingegneristici, rischia di riflettersi in misura davvero significativa sulle opportunità di
sviluppo del Paese.
Lo si è già detto ma appare opportuno ripeterlo: sembra iniziare una nuova stagione di riforme nella quale l’industria informatica può davvero giocare un ruolo
chiave, se solo ha forza e intelligenza per porsi nuovamente alla guida dello sviluppo.
Tra gli elementi di politica dell’innovazione aggiuntivi rispetto all’obiettivo primario dell’aumento dell’efficienza e qualità nella pubblica amministrazione basta
ricordare:
• la rottamazione di dotazione tecnica superata attraverso domanda pubblica con
specifiche impegnative (high tech public procurement) e quindi la necessità di avvio di un nuovo ciclo di gare su sistemi innovativi. Il che pone un problema di
risposta alle gare ma ancora di più di progettazione esecutiva dei servizi e delle
tecnologie da appaltare;
• la rottura ormai prossima dei tradizionali “equilibri” nella prosecuzione di contratti “storici” nel rapporto singola amministrazione e singolo fornitore IT, rottura dettata sia dalla evoluzione tecnologica sia dalla difficoltà del sistema tradizionale di fornitura di cambare radicalmente approccio alla soluzione dei bisogni
pubblici di sistemi informativi;
• l’evoluzione dell’architettura dei sistemi informativi da “monolitici” a modulari, con conseguente abbattimento dei costi e relativa facilitazione delle interazioni tra amministrazioni e all’inerno delle diverse strutture di ogni singola
amministrazione;
• la valorizzazione della struttura SPC per attività di cooperazione applicativa, ma
anche per la costruzione di un sistema di metadati capace di garantire una reale
ed efficace condivisione delle informazioni.
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Tra le funzioni che il sistema pubblico di governo e di indirizzo delle innovazioni
nella progettazione e gestione dei sistemi informativi, appare sempre più importante ed urgente garantire:
• la definizione e la verifica degli standard tecnologici necessari a garantire la piena interoperabilità degli strumenti e a favorire la concorrenza nel mercato
• la promozione, accompagnamento, consulenza alle amministrazioni pubbliche
nella integrazione delle molte forme di comunicazione digitale verso le imprese
e i cittadini (dai servizi on-line al progetto Vivifacile, dalla televisione digitale
interattiva alla PEC)
• il monitoraggio e controllo degli investimenti in IT delle amministrazioni per
valorizzare la condivisione di strumenti e informazioni e favorire lo sviluppo
dell’industria IT italiana.
La piattaforma tecnologica e contrattuale dell’amministrazione pubblica appare
in via di definizione rispetto ai bisogni più evoluti e questo non può che essere
letto come un segnale positivo, lasciando aperti spazi di collaborazione e di condivisione con il mercato sul piano della definizione delle regole e degli standard
operativi.
Elementi di preoccupazione, tuttavia, restano e devono essere segnalati sia sul
fronte pubblico che su quello privato, elementi che rischiano di ridurre la partita
della grande innovazione a poco più di una ritinteggiatura dei sistemi attuali, non
per il gioco legittimo degli interessi (diversi tra pubblico e privato), quanto proprio
per una difficoltà di risposta da parte dell’industria IT italiana.
Innovazione IT, imprese e spesa pubblica
L’impegno di spesa per l’acquisto di beni e servizi informatici nel 2008 è stato
di 1.700 milioni di euro, con una crescita del 6,4% rispetto al 2007. In particolar
modo, cresce del 7,2 % la spesa esterna IT che torna ai valori del 1995 e del 1998,
rimanendo fortemente concentrata in sole sei amministrazioni.
Tabella 5.10. Spesa esterna per l’informatica, anni 2007 e 2008 (in migliaia di euro)
Amministrazioni
Amministrazioni centrali
Enti
Totale
Spesa
Variazione sul 2007
2007
2008
%
Valore
1.069.043
1.160.721
8,6
91.678
517.889
540.742
4,4
22.853
1.586.932
1.701.463
7,2
114.531
Fonte: DigitPA.
La spesa IT dell’amministrazione centrale rappresenta una quota pari a circa il
6,6% del mercato italiano dell’IT e allo 0,11% del PIL. Mediamente rimane costante la spesa per dipendente (1.900 euro) e diminuisce quella per postazione di
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lavoro (6.800 euro), ma tali indici registrano valori molto differenti tra le amministrazioni.
Tabella 5.11. Confronto tra mercato IT e spesa PAC in Italia, anni 2007 e 2008 (in milioni di euro) al
netto dell’IVA
Tipo di risorsa (b)
Mercato IT (a)
Quota mercato
PA centrale (%)
PA centrale (b)
2007
2008
Var %
2007
2008
Var %
2007
6548
6518
-0,5
271
305
12,5
4,1
4,7
Software e servizi (d)
13.642
13.825
1,3
1.060
1.046
-1,3
7,8
7,6
Totale
20.190
20.343
0,8
1.331
1.350
1,5
6,6
6,6
Hardware (c)
2008
Note: (a) dati preliminari per il Rapporto sull’Informatica e le telecomunicazioni 2008 dell’Assinform/NetConsulting. (b)
La voce altro della spesa della PA è stata distribuita in percentuale. (c) La voce hardware comprende tutto l’hardware,
esclusi gli accessori, i materiali di consumo, i materiali e le infrastrutture necessari per i servizi di “site preparation”, e
sistemi utilizzati. Comprende, invece, la manutenzione hardware e i servizi di assistenza tecnica pre e post vendita. (d) La
voce software e servizi comprende anche tutti i restanti servizi.
Fonte: DigitPA e Assinform/NetConsulting.
Quanto all’impiego delle risorse finanziarie, si rileva una leggera riduzione della
quota di spesa destinata alla gestione e manutenzione dei sistemi informativi a
favore di quella destinata allo sviluppo e agli investimenti.
Andando poi ad analizzare alcuni dati di carattere generale, riguardanti la spesa
per IT nelle Regioni, nei Comuni e nelle Province si vede che anche a livello locale
si vive una condizione simile all’amministrazione centrale: grande attenzione ai
temi dell’informatica, difficoltà a progettare nuovi percorsi di innovazione grazie
all’uso cooperativo dei sistemi informativi, scarsità di risorse.
Sul fronte della spesa per le IT si rileva per le Regioni un comportamento differenziato in funzione degli interessi locali, della coesione amministrativa e istituzionale, del livello di innovazione disponibile sul territorio, del ruolo giocato da
Province e Comuni.
Del valore complessivo della spesa pari a 1.124 milioni di euro, la parte destinata
al funzionamento e al sistema informativo interno delle Amministrazioni regionali, pur variando da area ad area, si attesta attorno ad una media nazionale del 34%.
Quanto al generale livello di informatizzazione, risulta elevato. Alle principali e più
tradizionali funzioni amministrative delle Regioni, quali quelle relative alla contabilità e al personale (100%), delibere, pagamenti e controllo di gestione (oltre il
91%), patrimonio, contratti, bandi (oltre l’82%).
Quanto alla tipologia degli acquisti IT, per le Regioni prevale in larghissima misura l’acquisto di servizi: per essi il 67% della spesa contro il 25% per il software
e l’8% per l’hardware. Ciò è dovuto sia al fatto che la Regione è un organismo di
programmazione più che di erogazione di servizi (nella spesa IT delle regioni si
colloca anche l’insieme di servizi professionali che hanno a che fare con la programmazione, la realizzazione ed il monitoraggio degli interventi per lo sviluppo
della società dell’informazione e piani di e-government regionali) sia alla larga
diffusione, nelle regioni, delle società in house.
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Per le Province i dati parlano di una spesa complessiva per IT nelle Province
stimata in 102 milioni di euro nel 2008. La tipologia di informatizzazione presente
nelle Province riflette le funzioni che caratterizzano tali amministrazioni (lavoro,
ambiente, territorio, edilizia scolastica e servizi per l’istruzione).
Quanto alle altre funzioni più classiche, anche qui si registra una copertura piena per le funzioni di protocollo, contabilità e amministrazione del personale; una
copertura superiore al 90% per pagamenti e delibere e, per tutte le altre funzioni la
percentuale di informatizzazione si attesta oltre l’85%.
I Comuni con dimensione demografica superiore a 100.000 abitanti sono 45 e
sviluppano una spesa complessiva per IT che nel 2008 è stata pari a 341 milioni di
euro con una ripartizione tra gestione e sviluppo, analoga in tutte le ripartizioni
geografiche, pari al 61/62% per attività di gestione, e al 39/38% per sviluppo.
I Comuni con dimensione demografica tra 30.000 e 100.000 abitanti, sviluppano
una spesa complessiva per IT che nel 2008 è stata superiore a 141 milioni di euro,
con una suddivisione per tipologia di acquisto tra gestione e sviluppo analoga a
quella dei Comuni maggiori, ma più variegata per area geografica.
Nei Comuni con dimensione demografica fino a 30.000 abitanti si sviluppa una
spesa complessiva per IT che nel 2008 è stata superiore a 193 milioni di euro, con
una suddivisione tra spesa di gestione e sviluppo molto articolata a livello territoriale. Le criticità riguardanti il mondo degli Enti locali e delle Regioni sono molteplici. A voler, tuttavia, sintetizzare al massimo, possono essere indicati i seguenti
elementi di difficoltà:
• il differenziale di capacità di governo dei processi IT da parte delle Regioni: in alcune parti del Paese, pur in presenza di volumi di spesa IT potenzialmente molto
elevati, l’articolazione dei processi di cooperazione applicativa e di “federalismo
digitale” è oggettivamente complessa;
• la numerosità di presenza, sul mercato degli Enti locali, di Enti appaltanti, soprattutto tra i Comuni: un intervento che razionalizzasse la spesa dei Comuni
sotto una soglia demografica sarebbe auspicabile e necessario per dare senso
all’azione di queste Amministrazioni locali;
• il livello di preparazione, generalmente carente, del personale IT impiegato nelle
Amministrazioni pubbliche specie di piccole dimensioni.
In definitiva, dunque, se si somma la spesa dell’amministrazione centrale con
quella delle Regioni, delle Province e dei Comuni, si ottiene una cifra di investimenti in informatica all’anno non inferiore a 3,5 miliardi di euro.
Un mercato rilevante e una straordinaria opportunità di utilizzare le risorse per
modernizzare la pubblica amministrazione e contemporaneamente contribuire
alla crescita di un settore industriale essenziale allo sviluppo del Paese.
In questo entra la fisiologia del rapporto tra imprese e pubblica amministrazione, che nel nostro Paese ha diversi strati sovrapposti e sovrastrutture di ogni ge-
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nere, tali da far mettere seriamente in discussione la possibilità di avviare percorsi
virtuosi di innovazione, specie nel settore dell’informatica.
Basta ricordare rapidamente alcuni di questi. Il principale: in Italia la catena di
subappalti nei contratti con la pubblica amministrazione è troppo lunga e troppo
costosa. Alcune imprese si sono specializzate nel rapporto con il settore pubblico
imparando a partecipare in modo efficace alle gare, comprendendo come gestire
i tempi delle amministrazioni (per una decisione che viene tradotta in contratto
occorrono non meno di 18 mesi), offrendo servizi ritagliati sulla pubblica amministrazione.
Il mercato pubblico non è un’alternativa al mercato privato per tutti, né una
via di innovazione perché costringe a pensare a nuovi progetti, né un polmone
di lavoro per chi in quel periodo fatica in altri settori. Questo è tanto più vero per
l’informatica e per i servizi di sviluppo dei sistemi informativi che hanno una naturale ciclicità e che offrono alle imprese punte di lavoro intenso ma anche periodi
di rallentamento.
L’impresa che si aggiudica il contratto (ripetiamolo, sono poche e non solo per
responsabilità della amministrazione) tende ad affidare il lavoro a un’altra impresa
la quale provvede a fare altrettanto e così via, con inevitabile perdita di qualità e
aggravio dei costi ma, soprattutto, con una perdita di motivazione e di interesse a
mettere cuore, passione e intelligenza nel lavoro.
Il secondo fronte di difficoltà è nella scarsa capacità di dialogo tra società di
informatica e sistema pubblico, dialogo confinato per lo più nei livelli tecnici dei
Responsabili dei Servizi Informativi Automatizzati (DGSIA) e sempre esposto
all’ombra del sospetto di un conflitto di interessi tra acquirente e fornitore. In realtà il dialogo è essenziale, anche per mettere in condizione i decisori all’interno delle le amministrazioni di conoscere le possibilità che l’informatica realmente offre.
Capacità di dialogo e accorciamento della catena di fornitura insieme segnano
il ruolo che la pubblica amministrazione in generale si attende dal mercato: una
proposta adeguata e intelligente. Oggi spesso non è così: alle amministrazioni si
vendono sistemi adeguati alla bene e meglio e non progettati ad hoc, con scarso
approfondimento dei problemi, con poca o nulla intelligenza strategica e operativa. Questo è comprensibile se si guarda al rischio di investire su un Cliente che
fidelizzare è molto difficile (oggi ci sono, domani chissà), che paga in ritardo, che
non ha grande chiarezza dei suoi bisogni, che ha rigidità contrattuali significative
ma è anche, profondamente, sbagliato.
Assetti, politiche e prospettive per un futuro non troppo
lontano
•
In sintesi, per quanto fin qui visto:
non sempre le amministrazioni dispongono di un quadro completo e aggiornato
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dell’intera spesa IT, che di fatto viene gestita da molteplici centri decisionali senza un forte coordinamento interno;
•
le amministrazioni dispongono di personale informatico caratterizzato da età
elevata e da un livello di competenze tecnico-gestionali non sempre adeguato
e si vedono spesso costrette a delegare ai fornitori anche funzioni strategiche
quali l’analisi dei fabbisogni, l’individuazione delle soluzioni, il governo dei
progetti;
•
tale situazione è aggravata dalla consolidata mancanza di un ricorso al mercato
per la progettazione distinto da quello per l’individuazione delle imprese da incaricare della fase realizzativa degli interventi;
•
l’assenza di metriche di valutazione degli impatti e di strumenti di incentivazione delle strutture pubbliche a risparmiare sui costi preventivati, di gestione
e di sviluppo, comporta ridondanze di strumenti informatici, non interoperabilità degli archivi, soluzioni tendenti a “blindare” modelli autarchici di agire
amministrativo;
•
non è sconfitta la pratica della duplicazione di software di utilizzo comune,
mentre rimane molto basso il livello di “riuso” di componenti funzionali, pur in
presenza di una normativa (gli articoli 68 e 69 del CAD) che obbliga le amministrazioni ad effettuare una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico
tra diverse soluzioni, tra cui il riuso di programmi sviluppati per conto e a spese
dell’amministrazione medesima o di altre amministrazioni;
•
non risulta consolidata la prassi di rivedere le finalità complessive di servizio
delle Amministrazioni, alla luce dei benefici che le IT disponibili possono comportare; spesso manca una committenza politico-istituzionale di settore chiara
negli obiettivi e determinata nel mettere a disposizione i mezzi necessari;
•
nello sviluppo dei sistemi le PA continuano a privilegiare, di conseguenza, il
punto di vista della “domanda interna”; la richiesta di supporto ai procedimenti
amministrativi e al funzionamento è privilegiata rispetto alla “domanda esterna” di servizi e di semplificazione amministrativa (le performance conseguite nei
sistemi di gestione del personale rappresentano un benchmark in assoluto);
•
resta irrisolta la questione relativa alla piena disponibilità e circolarità di basi di
dati e di informazioni di rilevanza fondamentale per il funzionamento di una PA
che voglia dirsi “digitale”, quali i dati delle anagrafi sulla popolazione residente,
delle imprese, del catasto, con conseguente grave sofferenza informativa per la
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gestione delle basi informative sugli assistiti del sistema sanitario, la popolazione
scolastica, gli aventi diritto all’assistenza sociale, il mercato del lavoro, etc.;
•
al contrario, permane una produzione di banche dati spesso ridondanti e non
collegate tra di loro aventi gli stessi oggetti e, non di rado, le stesse finalità. Tra
le cause di questa situazione va segnalata la pratica inesistenza di forme di cooperazione amministrativa tra amministrazioni diverse;
•
sopravvive una modalità di ricorso all’innovazione dettata più da considerazioni strettamente tecnologiche e dalla spinta degli operatori di mercato che da
un’analisi dei fabbisogni informativi e funzionali dei bacini d’utenza interessabili. Ne consegue una gestione degli interventi attenta a spendere tutto quello
che è possibile spendere, ma non sempre attenta al “senso” delle innovazioni
prodotte e a coinvolgere gli utenti finali nel loro pieno utilizzo;
•
i servizi on-line delle amministrazioni diventano sempre più numerosi, completi
e complessi; si moltiplicano i siti web e la loro frequentazione, ma difficilmente si
trova traccia dell’impatto che l’innovazione prodotta ha determinato nella soddisfazione dell’utenza, nella riduzione dei “tempi” dedicati alla PA da cittadini e
imprese, ad esempio, o nel taglio dei costi di produzione della stessa PA
•
si avverte una certa resistenza nell’affermare politiche e prassi di collaborazioni
strutturate tra le amministrazioni nella condivisione dei propri patrimoni informativi e nell’avvio di investimenti IT per la cooperazione applicativa;
•
permangono differenti contesti culturali per quanto attiene il governo amministrativo delle IT che non facilitano l’ottimizzazione della spesa e la condivisione
di soluzioni di back-office per applicazioni a rilevanza interna (gestione contabile,
controllo di gestione , gestione del personale, etc.).
Questo il quadro dello stato dell’informatica nella pubblica amministrazione che
pure, per la sola amministrazione centrale, rappresenta un committente da oltre
1,5 miliardi di euro all’anno. Un quadro per molti aspetti sconfortante, anche se,
come detto in precedenza, è proprio l’insieme delle difficoltà delle amministrazioni che rappresenta una straordinaria opportunità per chi saprà coglierne la portata
innovativa e per chi cercherà nuovi modi di interazione con il pubblico.
La parola che forse rende meglio lo stato dell’informatica nella pubblica amministrazione è “rottamazione”, ossia abbandono del vecchio (in tutti i sensi) per
costruire il nuovo. Nuovo che superi e integri il modello standard (monolite di sistemi e di rapporti) con un’architettura modulare, che dopo aver investito centina-
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ia di miliardi di euro per il “funzionamento” (ossia per la gestione della macchina
burocratica) inizi a investire anche nei processi di servizio.
Per farlo ha bisogno di conoscere, di esplorare le informazioni che ha in casa,
di rappresentare correttamente dati e processi, di mettere insieme i dati in modo
semplice, in altre parole ha davvero bisogno di piattaforme di Business Intelligence; meno ha bisogno di sistemi che invece di liberare alcuni dei legami attuali ne
aggiungono solo di ulteriori.
Nel corso dei prossimi tre anni si può stimare un mercato dell’amministrazione
centrale per piattaforme di questo tipo non inferiore a 50 milioni di euro (limitandosi ai prodotti specifici di Business Intelligence) con tempi di progettazione
e acquisto nell’ordine di poco più di un anno e con gare da preparare e svolgere
piuttosto complesse.
Su questo fronte il sistema pubblico può lavorare (e in parte lo sta già facendo)
per semplificare le procedure di acquisto. L’industria privata può mettere in campo
uno sforzo di promozione e accompagnamento (formativo, di consulenza, progettuale), ma soprattutto di iniezione di intelligenza nel sistema.
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