Pubblici dipendenti assenteisti e danno all`immagine della P.A.

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Pubblici dipendenti assenteisti e danno all`immagine della P.A.
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Pubblici dipendenti assenteisti e danno all’immagine della P.A.
CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. REGIONE LIGURIA - sentenza 30 dicembre 2014*, con commento di NICOLA
NIGLIO, Il danno patrimoniale e il danno all’immagine arrecato alla P.A. per condotta dolosamente assenteista dei
dipendenti.
CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. REGIONE LIGURIA - sentenza 30 dicembre 2014 n. 153 - Pres. Coccoli, Est.
Salamone - P.R. c. Ilardo ed altri.
1. Responsabilità amministrativa - Pubblico impiego - Assenza arbitraria dal lavoro di pubblici dipendenti Danno erariale - E’ costituito dai compensi indebitamente erogati senza ricevere in cambio la
corrispondente attività lavorativa.
2. Responsabilità amministrativa - Pubblico impiego - Assenza arbitraria dal lavoro di pubblici dipendenti Danno all’immagine della P.A. - Nel caso in cui il comportamento assenteista sia stato reso noto mediante
gli organi di stampa - Sussiste - Quantificazione di tale danno - Criteri - Fattispecie.
1. L’assenza arbitraria dal lavoro del pubblico dipendente comporta la violazione del fondamentale obbligo
di servizio, rappresentato dal dovere di fornire la prestazione di lavoro secondo le condizioni previste dal
rapporto di impiego intrattenuto con la propria Amministrazione, cagionando alle pubbliche finanze un
danno pari ai compensi da questa indebitamente erogati senza ricevere in cambio la corrispondente
attività lavorativa. Al riguardo, l’art. 55-quinquies, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, introdotto
dall’art. 69 del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, statuisce che: “Il lavoratore dipendente di una pubblica
amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi
di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente,……….. ferme le responsabilità penali e
disciplinari e le relative sanzioni è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto
a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno
all'immagine subiti dall'amministrazione”.
2. Nel vigente ordinamento il “danno all’immagine” ed “al prestigio” della P.A. – riconducibile alla
categoria del danno “non patrimoniale”, ex art. 2059 cod. civ. - consiste nella diminuita reputazione
dell’ente presso i consociati, o presso una certa platea di consociati, conseguente alla lesione di diritti
fondamentali della persona, riconosciuti e garantiti dalla Costituzione all’art. 2 e all’art. 97 per la “Pubblica
Amministrazione” nel suo complesso. Sussiste tale tipo di danno nel caso in cui l’abituale condotta
assenteista realizzata con modalità fraudolente da alcuni dipendenti pubblici (nella specie addetti alla
Commissione Tributaria) abbia arrecato pregiudizio all’immagine della P.A., ingenerando presso
l’opinione pubblica un notevole discredito nei riguardi dell’attività istituzionale (1).
------------------------------------(1) La sentenza in rassegna ha precisato che, ai fini della quantificazione del danno all’immagine per condotta
assenteista, la valutazione in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., doveva nella specie tenere conto dei
seguenti criteri:
a) della rilevanza del servizio prestato dagli interessati in quanto dipendenti di un Ufficio preposto alla gestione del
contenzioso in materia fiscale;
b) della reiterazione di comportamenti socialmente riprovevoli e penalmente rilevanti posti in essere in assenza di
qualsiasi giustificazione;
c) della propalazione della notitia criminis a livello esclusivamente locale, i fatti essendo stati riportati, come
documentato dall’accusa, dalla stampa locale (“Il Secolo XIX”, “La Nazione”, “La Gazzetta della Spezia”).
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Commento di
NICOLA NIGLIO
Il danno patrimoniale e il danno all’immagine arrecato alla P.A.
per condotta dolosamente assenteista dei dipendenti
1. La sentenza n. 153/2014 della Corte dei Conti.
Le assenze ingiustificate dal servizio del dipendente pubblico, laddove venga accertata la grave, dolosa e arbitraria
condotta assenteista dello stesso nonchè tutti i presupposti previsti dall’ordinamento giuridico, costituiscono fonte
di responsabilità per danno patrimoniale e all’immagine arrecati alla medesima amministrazione. E’ quanto
afferma la recente sentenza n. 153 del 30 dicembre 2014 della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la
Regione Liguria, secondo cui l’abituale condotta assenteista tenuta dal dipendente pubblico con modalità
fraudolente, determina un danno di natura patrimoniale nei confronti della medesima amministrazione e,
conseguentemente, un grave pregiudizio all’immagine della stessa.
L’oggetto della citata pronuncia del giudice contabile riguarda un fatto collegato a una problematica
improvvisamente ritornata alla ribalta della cronaca scandalistica, che riguarda il ben noto fenomeno
dell’assenteismo nella pubblica amministrazione.
2. La condotta assenteista.
Presso la Commissione Tributaria Provinciale di La Spezia l’ex direttore e alcuni dipendenti timbravano il cartellino
e abitualmente uscivano dall’ufficio. In particolare, come è affermato nella medesima sentenza, i fatti contestati
nella vicenda di che trattasi, riguardano alcuni dipendenti della citata Commissione i quali “… con artifici e raggiri
consistiti nel far falsamente risultare la propria presenza (e quella degli altri concorrenti) in ufficio mediante la
timbratura del cartellino personale, inducendo in errore il Ministero di appartenenza (MEF) circa le giornate e le ore
da retribuire, procuravano a sé e ad altri un ingiusto profitto con danno per il Ministero stesso (pari al valore del
tempo sottratto all'attività d'ufficio ma regolarmente retribuito dal Ministero stesso)..”.
I medesimi dipendenti mediante la timbratura del proprio cartellino, nonostante non fossero in ufficio, facevano
falsamente risultare la presenza nello stesso per un determinato arco temporale, così ottenendo ingiustamente una
retribuzione.
La Procura contabile, in esito all’istruttoria ed agli accertamenti dalla stessa condotta, ha accertato che i citati
dipendenti in numerose giornate, pur risultando presenti sul luogo di lavoro, in realtà:
- non si presentavano affatto sul posto di lavoro;
- arrivavano più tardi rispetto alla strisciata d’ingresso del badge personale (ad es. il dipendente arrivava alle ore
9,00 ma la strisciata del badge risulta alle ore 7,30);
- uscivano in anticipo rispetto alla strisciata d’uscita del badge personale (ad es. il dipendente usciva alle ore 13,00
ma la strisciata del badge risulta alle ore 15,00).
Gli stessi potevano realizzare le condotte illecite di cui sopra, in quanto “si interscambiavano, vicendevolmente, nei
ruoli, strisciandosi reciprocamente i badges personali, per registrare l’ingresso e/o l’uscita dal luogo di lavoro”.
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Il giudice contabile requirente, per le gravi e dolose condotte illecite sopra descritte, ha chiesto nei confronti dei
medesimi dipendenti in conseguenza di numerose assenze ingiustificate dal servizio e incontrovertibilmente
accertate, la loro condanna al risarcimento:
- del danno patrimoniale per la percezione di emolumenti indebiti;
- del danno cagionato all’immagine del medesimo Ministero dell’economia e delle finanze.
Tali condotte, ribadisce la stessa Corte dei conti, sono state “… dolosamente assenteiste dei convenuti risultanti
dalle discordanze tra le presenze registrate mediante la strisciata elettronica del badge e gli inserimenti manuali
hanno trovato conferma nel confronto tra gli orari di ingresso ed uscita dall'ufficio e le cellule telefoniche agganciate
dai dipendenti nei periodi in cui gli stessi risultavano essere sul luogo di lavoro…” .
Un ulteriore elemento atto a riscontrare in modo irrefutabile le citate gravi condotte assenteiste dei medesimi
dipendenti è dato dalle riprese delle telecamere poste negli uffici della Commissione Tributaria, regolarmente
autorizzate con decreto del giudice. Da dette registrazioni video-fotografiche risulta che i medesimo dipendenti “…
erano soliti scambiarsi reciprocamente i cartellini di rilevamento delle presenze (badge), strisciarli sull'apposito
apparato elettronico, sostituendosi reciprocamente al titolare…”.
3. Il danno patrimoniale.
Relativamente al danno patrimoniale, sulla base di tali elementi il medesimo giudice contabile ha ritenuto che le
contestate condotte assenteiste hanno violato il fondamentale obbligo di servizio, rappresentato dal dovere di
fornire la prestazione di lavoro secondo le condizioni previste dal rapporto di impiego intrattenuto con la propria
amministrazione, cagionando alle pubbliche finanze un danno pari ai compensi da questa indebitamente erogati
senza ricevere in cambio la corrispondente attività lavorativa.
Il giudice ha quantificato il danno patrimoniale per tutti i dipendenti coinvolti sulla base delle assenze già contestate
in sede penale e tenuto conto che le medesime condotte illecite sono state poste in concorso, pertanto, il
medesimo danno è stato ascritto ai medesimi con vincolo di solidarietà.
4. Il danno all’immagine della P.A.
Relativamente al danno procurato per la grave lesione all’immagine e al prestigio subita dall'Amministrazione
finanziaria in conseguenza dell’accertata fraudolenta condotta assenteista tenuta dai medesimi dipendenti, il
medesimo Giudice contabile, nella sentenza in commento, ha posto a fondamento della pretesa risarcitoria l’art.
55-quinquies, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, introdotto dall’art. 69 del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.
Tale normativa, infatti, prevede che “Il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta
falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con
altre modalità fraudolente,……….. ferme le responsabilità penali e disciplinari e le relative sanzioni è obbligato a
risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia
accertata la mancata prestazione, nonché il danno all'immagine subiti dall'amministrazione”.
Pertanto, la predetta disposizione, nel prevedere l’obbligo specifico di risarcire il danno connesso all’assenteismo
realizzato nel pubblico impiego con modalità fraudolente, ha, nel contempo, configurato tale condotta assenteista
come una specifica ipotesi di responsabilità per danno all’immagine dal carattere innovativo rispetto al previgente
quadro normativo e svincolata dalle condizioni e dai limiti posti dal legislatore con l’art. 17, comma 30-ter, del D.L.
n. 78/2009, convertito dalla L. n. 102/2009.
Infatti, prima dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 150/2009 (cd. decreto “Brunetta”), vigeva l’art. 17, comma 30 ter,
del D.L. 1 luglio 2009 n. 78, convertito nella legge 3 agosto 2009, n. 102, il quale prevedeva che le Procure della
Corte dei Conti "esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti
dall'articolo 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97", secondo cui l'azione di risarcimento del danno all'immagine della
P.A. necessariamente presuppone che sia intervenuta una sentenza irrevocabile "di condanna" del pubblico
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funzionario (1).
Successivamente, per il danno all’immagine conseguente a fenomeni di assenteismo previsto dagli artt. 67 e 69
del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, di attuazione della legge 4 marzo 2009 n. 15, invece, si prescinde
totalmente dall’esistenza di un procedimento penale e, addirittura, da quella di un reato, poiché l’intento del
legislatore è stato quello di implementare la produttività dei pubblici dipendenti contrastando i fenomeni di
assenteismo indipendentemente dalla loro sussumibilità in una norma incriminatrice. Pertanto, tale modifica
introdotta nel nostro ordinamento ha comportato l’autonoma risarcibilità a titolo patrimoniale e morale delle
condotte assenteistiche le quali, comunque, costituendo eventualmente delitti di truffa e falso sfuggirebbero
all’applicazione dell’art. 17 comma 30 ter della legge 3 agosto 2009, n. 102 e s.m.i..
Quindi, la nuova normativa, anche al fine di prevenire il diffuso fenomeno dell’assenteismo nella P.A., ha fornito al
Giudice contabile gli strumenti necessari per agire prontamente nel caso di condotte assenteiste illecite tenute da
dipendenti pubblici che hanno arrecato un danno all’immagine dell’Ente, prescindendo totalmente, rispetto al
passato, dall’esistenza di un procedimento penale e, addirittura, da quella di un reato.
La prevalente giurisprudenza in materia di danno all’immagine alla P.A., fa rientrare tale fattispecie di danno tra
quello “non patrimoniale” previsto dall’art. 2059 C.C. e consiste “nella diminuita reputazione dell’ente presso i
consociati conseguente alla lesione di diritti fondamentali della personale, riconosciuti e garantiti per la P.A. dagli
artt. 2 e 97 della Costituzione” (2).
Pertanto, il danno erariale all’immagine dell’amministrazione consiste nella lesione alla credibilità esterna
dell’amministrazione medesima e nella perdita di fiducia, da parte dei consociati, nella corretta e trasparente
gestione, poiché l’articolo 97 della Costituzione prescrive al Legislatore di introdurre nell’ordinamento un modello
di pubblica amministrazione il cui buon andamento e imparzialità si concretizzano nell’azione ispirata
costantemente al rispetto dei principi generali di legalità, efficacia, efficienza, economicità. Inoltre, il predetto danno
all’immagine costituisce, come peraltro ribadisce la medesima Corte nella sentenza in commento, un “danno
conseguenza”, anziché un “danno evento”, in quanto coincide non già con il fatto lesivo, ma con la lesione (perdita
di prestigio), che costituisce una conseguenza (3).
Infine, la Corte si sofferma nella quantificazione del danno all’immagine che dovrà tenere conto della concreta
dimensione della lesione stessa, da valutare in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., non essendo possibile
l’esatta determinazione dell’ammontare di un danno di tale natura (4).
La concreta dimensione della lesione attiene al fatto che l’abituale condotta assenteista realizzata con modalità
fraudolente dai convenuti abbia arrecato pregiudizio all’immagine del medesimo Ministero dell’economia e delle
finanze, ingenerando presso l’opinione pubblica un notevole discredito nei riguardi dell’attività istituzionale propria
della Commissione Tributaria.
Pertanto, afferma il giudice contabile che, ai fini della quantificazione di detto danno, la procedura è quella in via
equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., tenendo conto dei criteri elaborati dalla consolidata giurisprudenza contabile
e ordinaria (5), quali:
- la rilevanza del servizio prestato dagli interessati in quanto dipendenti di un Ufficio preposto alla gestione del
contenzioso in materia fiscale, ad esempio il dipendente che rivestiva la posizione di Direttore della Commissione
Tributaria;
- la reiterazione di comportamenti socialmente riprovevoli e penalmente rilevanti posti in essere in assenza di
qualsiasi giustificazione;
- la diffusione della notitia criminis. Nel caso oggetto della sentenza in commento, tale diffusione è stata a livello
esclusivamente locale, i fatti essendo stati riportati, come documentato dall’accusa, dalla stampa locale (“Il Secolo
XIX”, “La Nazione”, “La Gazzetta della Spezia”).
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(1) Cfr. Corte dei Conti, Sez. Giur. Friuli Venezia Giulia, sentenza 17 febbraio 2011 n. 19.
(2) Cfr. Cassazione Civile, sez. III, sentenza 2 febbraio 2007, n. 2311, Cassazione civile, sez. II, sentenza 6
febbraio 2007, n. 2546, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 11 maggio 2007, n. 10847, Cassazione civile, sez. III,
sentenza 4 giugno 2007, n. 12929, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 8 ottobre 2007, n. 20987, Cassazione
Civile, sez. III, sentenza 19 ottobre 2007, n. 21976, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 24 ottobre 2007, n. 22338,
Cassazione Civile, sez. III, sentenza 30 ottobre 2007, n. 22884, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 6 dicembre
2007, n. 25458, Cassazione Civile, sez. I, sentenza 7 gennaio 2008, n. 31, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 17
gennaio 2008, n. 870, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 12 febbraio 2008, n. 3284, Cassazione Civile, sez. III,
sentenza 4 marzo 2008, n. 5795, Tribunale di Milano, sez. V civile, sentenza 4 marzo 2008, n. 2847, Cassazione
Civile, sez. III, sentenza 6 marzo 2008, n. 6033, Corte d'Appello di Genova, sez. I civile, sentenza 7 marzo 2008, n.
281, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 10 marzo 2008, n. 6288, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 11
marzo 2008, n. 6436, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 12 marzo 2008, n. 6684, Tribunale di Monza, sez. I,
sentenza 23 aprile 2008, Tribunale di Modena, sez. II, sentenza 21 maggio 2008, Cassazione Civile, sez. III,
sentenza 6 giugno 2008, n. 15029, Tribunale di Trieste, sez. civile, sentenza 1 luglio 2008, Tribunale di Chiavari,
sentenza 9 agosto 2008, n. 373, Tribunale di Lecce, sez. Maglie, sentenza 3 settembre 2008, Cassazione Civile,
sez. III, sentenza 18 settembre 2008, n. 23846, Tribunale di Cassino, sentenza 7 novembre 2008, n. 757, Corte
d'Appello di Perugia, sentenza 24 novembre 2008, Tribunale di Torino, sez. IV civile, sentenza 27 novembre 2008,
Tribunale di Lecce, sez. Maglie, sentenza 29 novembre 2008, n. 368, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 12
dicembre 2008, n. 29185, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 12 dicembre 2008, n. 29191, Cassazione Civile,
sez. III, sentenza 12 dicembre 2008, n. 29211, Tribunale di Trieste, sez. civile, sentenza 15 dicembre 2008, n.
2806, Tribunale di Firenze, sez. II civile, sentenza 17 dicembre 2008, Giudice di Pace di Verona, sentenza 1
gennaio 2009, Corte d'Appello di Salerno, sez. penale, sentenza 8 gennaio 2009, Cassazione Civile, sez. III,
sentenza 13 gennaio 2009, n. 458, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 13 gennaio 2009, n. 469, Cassazione
Civile, SS.UU., sentenza 14 gennaio 2009, n. 557, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 20 gennaio 2009, n. 1343,
Tribunale di Nola, sez. II civile, sentenza 22 gennaio 2009, Tribunale di Brindisi, sentenza 2 febbraio 2009,
Tribunale di Cassino, sentenza 5 febbraio 2009, Consiglio di Stato, sez. IV, decisione 10 febbraio 2009, n. 8464,
Cassazione Civile, sez. III, sentenza 11 febbraio 2009, n. 3357, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 11 febbraio
2009, n. 3359, Tribunale di Lecce, sez. Maglie, sentenza 11 febbraio 2009, Cassazione Civile, SS.UU., sentenza
16 febbraio 2009, n. 3677, Tribunale di Milano, sez. V civile, sentenza 19 febbraio 2009, n. 2334, Cassazione
Civile, sez. III, sentenza 19 febbraio 2009, n. 4053, Tribunale di Montepulciano, sentenza 20 febbraio 2009, n. 74,
Tribunale di Milano, sentenza 23 febbraio 2009, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 25 febbraio 2009, n. 4493,
Cassazione Civile, sez. III, sentenza 3 marzo 2009, n. 5057, Tribunale di Milano, sentenza 5 marzo 2009, n. 3047,
Cassazione Civile, sez. III, sentenza 13 marzo 2009, n. 6168, Tribunale di Torino, sez. IV civile, sentenza 17 marzo
2009, Tribunale di Pinerolo, sentenza 17 marzo 2009, Tribunale di Pordenone, sentenza 18 marzo 2009,
Cassazione Civile, sez. III, sentenza 9 aprile 2009, n. 8703, Cassazione Penale, sez. VI, sentenza 16 aprile 2009,
n. 16031, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 22 aprile 2009, n. 9549, Tribunale di Milano, sez. V civile, sentenza
6 maggio 2009, n. 6076, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 7 maggio 2009, n. 10495, Cassazione civile, sez. III,
sentenza 13 maggio 2009, n. 11059, Tribunale di Catanzaro, sez. I civile, sentenza 18 maggio 2009, Cassazione
civile, sez. III, sentenza 20 maggio 2009, n. 11701, Cassazione Penale, sez. IV, sentenza 22 maggio 2009, n.
21505, Tribunale di Piacenza, sentenza 4 giugno 2009, Tribunale di Nola, sentenza 23 giugno 2009, Tribunale di
Roma, sez. XI, sentenza 13 luglio 2009, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 14 luglio 2009, n. 16374, Tribunale di
Palermo, sez. III civile, sentenza 3 giugno 2009, Cassazione Civile, SS.UU., sentenza 19 agosto 2009, n. 18356,
Cassazione Civile, sez. III, sentenza 2 settembre 2009, n. 19092, Tribunale di Messina, sentenza 11 settembre
2009, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 29 settembre 2009, n. 20819, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza
30 settembre 2009, n. 20980, Corte d'Appello di Torino, sez. III civile, sentenza 5 ottobre 2009, Cassazione Civile,
sez. III, sentenza 13 ottobre 2009, n. 21680, Tribunale di Rovereto, sentenza 18 ottobre 2009 , Tribunale di Roma,
sez. Ostia, sentenza 22 ottobre 2009, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 30 ottobre 2009, n. 23053, Cassazione
Civile, sez. II, sentenza 10 novembre 2009, n. 23807, Corte d'Appello di Reggio Calabria, sez. civile, sentenza 11
novembre 2009, n. 750, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 19 novembre 2009, n. 24435, Tribunale di Roma,
sez. XII civile, sentenza 1 dicembre 2009, n. 10413, Tribunale di Alba, sentenza 15 dicembre 2009, Cassazione
Civile, sez. III, sentenza 18 dicembre 2009, n. 26777, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 4 gennaio 2010, n. 13,
Cassazione Civile, sez. III, ordinanza 25 gennaio 2010, n. 1325, Cassazione Civile, sez. I, sentenza 29 gennaio
2010, n. 2122, Tribunale di Monza, sez. IV civile, sentenza 2 marzo 2010, n. 770, Cassazione Civile, sez. III,
sentenza 8 aprile 2010, n. 8360 e Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 20 aprile 2010, n. 9379; Corte dei
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Conti, Sez.III, sentenza n. 335/2009.
(3) CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. REGIONE LAZIO - sentenza 16 ottobre 2012 n. 993; CORTE DEI CONTI,
SEZ. GIUR. ABRUZZO - sentenza 11 dicembre 2012 n. 414. CORTE COSTITUZIONALE, sentenza 15-12-2010, n.
355. CORTE DEI CONTI, SEZ.III, sentenza n. 143/2009, SEZ.II sentenza n. 106/2008, SEZ. Prima sentenza n.
316/2011. Corte di Cassazione - Sezioni Riunite - sentenza n. 1/2011/QM. Vedere anche A. VETRO, L’evoluzione
della
giurisprudenza
in
materia
di
danno
all’immagine
della
P.A.,
pag. http://www.lexitalia.it/p/12/vetro_immagine.htm; M. PERIN, Lodo Bernardo, decreto correttivo ancora molto
limitativo delle indagini e la quasi abolizione della lesione all’immagine pubblica, pag.
web http://www.lexitalia.it/articoli/perin_bernardo.htm; M. PERIN, La Corte costituzionale conferma la tutela
minimale dell’immagine della pubblica amministrazione (commento a CORTE COSTITUZIONALE - sentenza 15
dicembre 2010, n. 355), in LexItalia.it n. 12/2010, pag. http://www.lexitalia.it/p/10/ccost_2010-12-15-2.htm.
(4) CORTE DEI CONTI, Sez. III, sent. n. 143/2009, cit.; Cfr. Sez. Liguria, sent. n. 184 del 2012.
(5) Corte di Cassazione - Sezioni Riunite - sentenza n. 10/2003/QM.
SENT.153/2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LIGURIA
composta dai magistrati:
Dott. Luciano Coccoli Presidente
Dott. Tommaso Salamone Consigliere relatore
Dott. ssa Maria Riolo Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 19559 del registro di segreteria, promosso dalla Procura Regionale
presso la Sezione nei confronti di:
ILARDO Pietro, nato il 27.06.1950 a Napoli e residente in La Spezia (SP), in viale Niccolò Fieschi, n. 432.
MONTEFIORI Mirco, nato il 23/10/1956 a Vezzano Ligure (SP) e residente in Vezzano Ligure (SP), in via S.
Maggiani, n. 49.
BONATI Sandro, nato l’11/01/1960 a La Spezia (SP) e residente in La Spezia (SP) in via dei Colli, n. 157.
tutti rappresentati e difesi dall'Avv. Piera Sommovigo del Foro di Genova, unitamente e disgiuntamente con l'Avv.
Prof. Elena Bassoli del Foro di Genova, in forza di mandati a margine della comparsa di costituzione ed
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elettivamente domiciliati presso lo studio della prima, sito in Genova, via Malta 4A int. 14;
e nei confronti di:
BERTANI Daniela, nata il 27/12/1951 a La Spezia (SP) e residente in La Spezia (SP), in via Luigi Galvani, n. 60/B;
GAGLIARDELLI Paolo, nato il 15/06/1943 a Lucca (LU) e residente in La Spezia (SP) in via XXI Reggimento di
Fanteria, n. 20, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Lucia Avalli e Ilaria Poggetti, presso il cui studio in La Spezia,
via Manzoni n. 22, ha eletto il proprio domicilio;
Uditi, nella pubblica udienza del 3 dicembre 2014, il consigliere relatore Tommaso Salamone, gli avv.ti Bassoli e
Sommovigo in rappresentanza dei convenuti Ilardo, Bonati e Montefiori, l’avv. Avalli per il Gagliardelli ed il
Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore Generale dott. Claudio Mori;
Visti tutti gli atti di causa.
Ritenuto in FATTO
Con atto di citazione, depositato il 13 giugno 2014, regolarmente notificato, il Procuratore Regionale, previa rituale
contestazione degli addebiti, ai sensi dell' art. 5, comma 1, del decreto legge 15 novembre 1993, n° 453, convertito
dalla legge 14 gennaio 1994, n° 19, ha convenuto in giudizio innanzi a questa Sezione i signori Ilardo Pietro,
Montefiori Mirco, Bertani Daniela, Gagliardelli Paolo e Bonati Sandro, chiedendone la condanna in solido al
risarcimento in favore del Ministero dell’economia e delle finanze della somma di euro 76.853,68, di cui, euro
36.853,68 per danno patrimoniale da indebita percezione di compensi ed euro 40.000,00 per danno all’immagine.
Espone il Procuratore Regionale che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di La Spezia in data 11
settembre 2013 ha esercitato l’azione penale nei confronti dei convenuti in epigrafe indicati per il “reato p. e p.
dagli artt. 110- 640 co.2, c.p. perché in concorso tra loro, in qualità di dipendenti della Commissione Tributaria
Provinciale di La Spezia (Montefiori, Bonati, Ilardo e Bertani) e di Direttore Pro Tempore (Gagliardelli) ed in
concorso con persone ancora da identificare, con artifici e raggiri consistiti nel far falsamente risultare la propria
presenza (e quella degli altri concorrenti) in ufficio mediante la timbratura del cartellino personale, inducendo in
errore il Ministero di appartenenza (MEF) circa le giornate e le ore da retribuire, procuravano a sé e ad altri un
ingiusto profitto con danno per il Ministero stesso (pari al valore del tempo sottratto all'attività d'ufficio ma
regolarmente retribuito dal Ministero stesso).
In particolare:
Ilardo Pietro, mediante la timbratura del proprio cartellino nonostante non fosse in ufficio, faceva falsamente
risultare la presenza in ufficio per 48 ore e così otteneva ingiustamente 1.116 euro;
Montefiori Mirco, mediante la timbratura del proprio cartellino nonostante non fosse in ufficio, faceva falsamente
risultare la presenza in ufficio per 46 ore e così otteneva ingiustamente 825 euro;
Bonati Sandro mediante la timbratura del proprio cartellino nonostante non fosse in ufficio, faceva falsamente
risultare la presenza in ufficio per 23 ore e così otteneva ingiustamente 380 euro;
Bertani Daniela mediante la timbratura del proprio cartellino nonostante non fosse in ufficio, faceva falsamente
risultare la presenza in ufficio per 401 ore e così otteneva ingiustamente 7.965 euro;
Gagliardelli Paolo mediante la timbratura del proprio cartellino nonostante non fosse in ufficio, faceva falsamente
risultare la presenza in ufficio per 570 ore e così otteneva ingiustamente 15.500 euro;
In la Spezia nel periodo ricompreso tral’1.1.2010 e il 30.9.2010.”
La Procura contabile, in esito all’istruttoria dalla stessa condotta, avvalendosi delle prove raccolte in sede penale,
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cui la predetta rinvia espressamente [atti di P.G., verbali di sommarie informazioni, riprese video-filmate, tabulati
telefonici, timbrature giornaliere; cfr. doc. n. 7, CD all.to, annotazione di P.G. 31.5.2012, doc. n. 18], ha accertato
che i convenuti in numerose giornate, pur risultando presenti sul luogo di lavoro, in realtà:
- non si presentavano affatto sul posto di lavoro;
- arrivavano più tardi rispetto alla strisciata d’ingresso del badge personale (ad es. il dipendente arrivava alle ore
9,00 ma la strisciata del badge risulta alle ore 7,30);
- uscivano in anticipo rispetto alla strisciata d’uscita del badge personale (ad es. il dipendente usciva alle ore 13,00
ma la strisciata del badge risulta alle ore 15,00).
Gli stessi potevano realizzare le condotte illecite di cui sopra, in quanto “si interscambiavano, vicendevolmente, nei
ruoli, strisciandosi reciprocamente i badge personali, per registrare l’ingresso e/o l’uscita dal luogo di lavoro”.
Tanto premesso, la Procura contesta ai convenuti, anzitutto, il danno patrimoniale per la percezione di emolumenti
indebiti, secondo la quantificazione operata dal Ministero delle finanze, cui rinvia per i particolari (documenti nn. 2,
3, 1/44, 4.1, 7.1 e 19).
Il danno è stato quantificato per tutti i convenuti, escluso il Gagliardelli, sulla base delle assenze contestate in sede
penale, temporalmente limitate al 2010.
Con riferimento al Gagliardelli l’Amministrazione ha provveduto a verificare anche le assenze anteriori, a partire
dal 2005, di cui la Procura ha tenuto conto nella quantificazione di entrambe le voci danno contestate.
Il Procuratore regionale, ritenuto che la fattispecie illecita in questione sia stata “posta in essere con condotte
dolose, in concorso”, chiede che il danno patrimoniale sia ascritto ai convenuti con vincolo di solidarietà, nella
suindicata misura complessiva di euro 36.853,68, oltre alla rivalutazione, e, ai soli fini del riparto interno, nelle
seguenti quote:
- Gagliardelli Paolo, euro, 26.645,10, oltre alla rivalutazione;
- Bonati Sandro, euro 380,00, oltre alla rivalutazione;
- Montefiori Mirco, euro 825,00, oltre alla rivalutazione;
- Bertani Daniela, euro 7.965,00 oltre alla rivalutazione;
- Ilardo Pietro, euro 1.038,58 (1.116,00-77,42), oltre alla rivalutazione.
Per i comportamenti illeciti sopra descritti il requirente chiede anche la condanna dei convenuti al risarcimento del
danno cagionato all’immagine del Ministero dell’economia e delle finanze, che dal medesimo viene quantificato, in
via equitativa, nella somma complessiva di euro 40.000,00. Quest’ultima richiesta è stata avanzata, ai sensi
dell’art. 55- quinquies del D.lgs. 30 marzo 2001, n.165 (introdotto dall’art. 69, del D.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, in
attuazione della delega di cui all’art. 7, della legge 4 marzo 2009, n. 15), disposizione che, tra l’altro, prevede
espressamente nei confronti del “lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la
propria presenza in servizio, mediante l`alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità
fraudolente”, il risarcimento del danno all’immagine subito dall’amministrazione, svincolato dalla pregiudiziale
penale (sentenza penale di condanna definitiva), introdotta in via generale per tale voce di danno, in forza dell’art.
17, comma 30-ter, del d.l. 1.7.2009, n. 78, convertito dalla l. 3.8.2009, n. 102, come modificato dal d.l. 3 agosto
2009, n. 103, convertito con modificazioni dalla l. 3.10.2009, n. 141.
A supporto della sussistenza di tale voce di danno ed a giustificazione della sua quantificazione il P.R. deduce la
gravità delle condotte criminose per le quali gli interessati sono stati rinviati a giudizio penale, l’intensità e la durata
dei comportamenti socialmente riprovevoli dei responsabili, la rilevanza del bene “legalità” leso (trattandosi di
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responsabilità amministrativa espressamente disciplinata), il ruolo di Direttore dell’Ufficio di uno dei convenuti, il
rilevante impatto sull’opinione pubblica, il clamor fori (con riferimento al quale ha prodotto la prova della diffusione
a mezzo stampa della notizia)….
Sulla base degli elementi predetti il requirente ha determinato il danno all’identità pubblica - dolosamente causato
dagli odierni convenuti al Ministero dell’Economia e Finanze - nella misura complessiva di euro € 40.000,00
(quarantamila/00), oltre alla rivalutazione.
Come per il danno patrimoniale, trattandosi di fattispecie dolosa posta in essere dai nominati in concorso tra loro, la
condanna viene richiesta in solido e, ai soli fini del riparto interno, nelle seguenti quote individuali:
Gagliardelli Paolo, 72%, pari ad euro 28.800,00 oltre alla rivalutazione;
Bonati Sandro, 1 %, pari ad euro 400,00, oltre alla rivalutazione;
Montefiori Mirco, 2 %, pari ad euro 800,00, oltre alla rivalutazione;
Bertani Daniela, 22%, pari ad euro 8.800,00, oltre alla rivalutazione;
Ilardo Pietro, 3%, pari ad euro 1.200,00, oltre alla rivalutazione.
Le quote del danno all’immagine da addebitare a ciascun convenuto sono state determinate in proporzione al
danno patrimoniale causato da ciascuno rispetto al totale del danno da retribuzioni non dovute.
Il requirente ha precisato nell’atto di citazione che dalla documentazione in atti risulta l’avvenuto recupero di euro
77,42 da Ilardo Pietro; mentre per Bertani Daniela risulta adottata la misura cautelare del fermo amministrativo sul
Fondo di Previdenza del Ministero dell’Economia e delle Finanze limitatamente alle somme fino alla concorrenza
dell’importo di euro 2.977,34
I convenuti Ilardo Pietro, Montefiori Mirco e Bonati Sandro si sono costituiti in data 1 novembre 2014 con comparsa
di costituzione degli Avv.ti Piera Sommovigo ed Elena Bassoli.
I difensori eccepiscono, anzitutto, l’assoluta carenza probatoria in ordine agli illeciti ascritti ai propri assistiti.
In particolare, contestano, con il supporto di relazione redatta in vista del dibattimento penale dall’avv. Elena
Bassoli, l’attendibilità dei tabulati relativi alle timbrature dei loro assistiti per il periodo di riferimento, in quanto,
nonostante il sistema SIAP risultasse predisposto per la timbratura automatica, lo stesso veniva usato, peraltro in
maniera sporadica, per l’inserimento di dati manuali. Per cui le sue risultanze non avrebbero alcun valore
probatorio.
Né, secondo i patrocinanti, le lacune dedotte possono considerarsi superate dal fatto che il Direttore della
Segreteria nell’ottobre 2010, abbia provveduto, previa intesa con il personale SIAP, ad inserire manualmente
presenze e assenze per il periodo 1 Gennaio 2010 — 30 Settembre 2010, sulla base di autocertificazioni rese dal
personale.
I tabulati relativi agli orari di entrata ed uscita dei convenuti non offrirebbero, infatti, alcuna garanzia di correttezza
ed attendibilità, posto che nessun documento esplicita le operazioni di quadratura dei dati eseguite, sicché
risulterebbe impossibile stabilire quali informazioni siano state tratte dal precedente sistema automatico di
timbratura, quali dalle validazioni manuali e quali invece siano frutto delle deduzioni e valutazioni della Sig.ra Ratti.
Parimenti del tutto irrilevanti, ai fini dei presente giudizio, come dettagliatamente illustrato nella relazione dell'avv.
Prof. Bassoli, sarebbero le verifiche incrociate eseguite sui telefoni cellulari degli interessati, “atteso che il
rilevamento del luogo di ricevimento e/o partenza del traffico di un telefono cellulare nulla prova se non l'ubicazione
dello stesso in un dato momento e al più del suo detentore che è soggetto non necessariamente coincidente con il
titolare della relativa scheda”.
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In ogni caso, eccepiscono la mancanza di rilevanza probatoria dei tabulati per essere stati acquisiti nell'ambito di
un'attività di indagine gravemente viziata da irregolarità procedurali, poiché effettuata in spregio ai dettami della
Convenzione di Budapest del 2001, nonché della decisione della Corte di Giustizia Europea dell'8 Aprile 2004.
In relazione a quanto dedotto non ricorrerebbero gli estremi degli illeciti ascritti, di cui all'art. 55-quinquies del D
Lgs. n. 165 del 2001, aggiunto dal D.Lgs. n. 150 del 2009, non sussistendo alcuna "alterazione dei sistemi di
rilevamento della presenza, né altre attività fraudolente".
Per quanto attiene al danno non patrimoniale relativo all'immagine dell'Ente, eccepiscono la nullità dell'atto di
citazione, ai sensi dell’ art. 17, comma 30-ter, d.l. n. 78/2009, atteso che tale disposizione “limita l'esercizio della
azione contabile in tema di danno all'immagine a quando sia intervenuta sentenza penale irrevocabile di
condanna”.
D’altra parte, i difensori sostengono che, non essendo i propri assistiti responsabili degli illeciti loro ascritti per
mancanza di prove sia sull’an che sul quantum, gli stessi “non possono neppure essere passibili di condanna al
risarcimento del danno all'immagine ai sensi dell'art. 55-quinquies d. Igs. 30 marzo 2001 n. 165”.
In ogni caso, anche ove fosse ritenuta la sussistenza del danno erariale, non sarebbe provato il danno
all’immagine, inteso dalla giurisprudenza come danno-conseguenza, non avendo la Procura fornito la prova che
l’Ente ha dovuto sopportare specifiche conseguenze dannose in relazione ai comportamenti delittuosi contestati ai
convenuti. Mancherebbe, inoltre, la dimostrazione del nesso causale tra l’illecita condotta e l’incidenza negativa
sull’immagine dell’ente.
Ancora, sulla questione, ad avviso dei convenuti, occorre tener conto dei principi affermati dalla Corte
Costituzionale nella sentenza n. 355/2010, secondo cui, per effetto del richiamo all’art. 7 della legge n. 97 del
2001, operato dall’art. 17, comma 30 ter del D.L. n. 78/2010, soltanto nelle ipotesi in cui ricorrano taluni, specifici
reati ascrivibili alla categoria dei delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione, e precisamente
quelli previsti nel capo I del titolo ll del libro secondo del codice penale (peculato, concussione, corruzione, etc.),
sarebbe in astratto ipotizzabile una concorrente lesione dell'immagine pubblica; in tutti gli altri casi non sarebbe
ammissibile, in radice, alcuna tutela dell'immagine pubblica.
Infine, i convenuti sottolineano di non essere stati ancora condannati e che l’articolo di giornale, peraltro a limitata
diffusione locale, non avrebbe leso la reputazione dell’Ente.
I difensori concludono, chiedendo l’assoluzione dei propri assistiti per i motivi sopra illustrati e, in via subordinata,
di dichiarare non operante la solidarietà con gli altri soggetti coinvolti. Con vittoria di spese, diritti ed onorari di
causa.
Il sig. Gagliardelli si è costituito con comparsa degli Avv.ti Lucia Avalli e Ilaria Pogetti.
I difensori hanno eccepito preliminarmente la prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale per
decorrenza del termine quinquennale di cui all'art. 1, c. 2, della L. n. 20/94.
Più specificamente, posto che l’evento dannoso coincide con l’effettivo depauperamento dell’Ente pubblico,
verificatosi con la corresponsione degli emolumenti stipendiali contestati e che l’unico atto interruttivo della
prescrizione è costituito dall’invito a dedurre, notificato in data 3.4.2014, risultano prescritte tutte le somme erogate
anteriormente al 3.4.2009.
Per il resto i patrocinatori del Gagliardelli hanno svolto deduzioni analoghe a quelle degli altri convenuti, di cui si è
sopra riferito.
All’odierna pubblica udienza, l’avv. Sommovigo ha illustrato le argomentazioni svolte in memoria, ribadendo,
anzitutto, l’inattendibilità dei tabulati relativi alle timbrature dei convenuti, atteso che il programma, che prevedeva
un sistema di lettura ottica, veniva utilizzato con l’inserimento manuale dei dati, vero che la Dirigente aveva dovuto
ripristinare il sistema manuale di attestazione delle presenze, facendo autocertificare le presenze a ciascun
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dipendente. Il difensore insiste, inoltre, per la non utilizzabilità dei tabulati telefonici, in quanto acquisiti nell’ambito
di un’indagine viziata da gravi irregolarità per l’avvenuta violazione della Convenzione di Budapest del 2001 e
della decisione della Corte di Giustizia Europea del 2004.
Relativamente al contestato danno all’immagine, lamenta la mancanza di una sentenza penale di condanna,
anche solo di primo grado, a fronte di una normativa che per reati più gravi richiede una sentenza irrevocabile di
condanna.
L’avv. Bassoli, intervenuta successivamente, ha ribadito l’insussistenza di danno erariale, in quanto le
manomissioni del sistema sarebbero state effettuate dalla Dirigente della Commissione, facendo correggere i dati
risultanti dalle timbrature.
L’avv. Avalli ha prodotto diversi atti della Commissione Tributaria a firma del proprio assistito, Gagliardelli Paolo,
protocollati in alcune delle giornate in cui lo stesso, secondo l’accusa, avrebbe fatto risultare falsamente la propria
presenza sul luogo di lavoro.
Il Pubblico ministero, nella persona del Vice Procuratore Generale dott. Claudio Mori, ha confutato tutte le
eccezioni sollevate dalla difesa e, in primis, quella di prescrizione, sottolineando che nella specie si tratta di fatto
doloso, per cui la prescrizione decorre dal rinvio a giudizio, in data 11 settembre 2013, o, al più, dalla data in cui è
stato scoperto dalla nuova dirigente della Commissione in data 28 novembre 2012. Nega qualsiasi valore
probatorio circa la presenza in ufficio del Gagliardelli nella data in cui sono stati protocollati gli atti firmati dallo
stesso, essendo fatto noto che non vi è necessariamente coincidenza tra la data in cui un atto viene firmato e
quella in cui viene protocollato. Per il resto ribadisce le argomentazioni svolte nell’atto di citazione, confermandone
le conclusioni.
Celebrata l’udienza, la causa è stata trattenuta per la decisione.
Considerato in DIRITTO
In via pregiudiziale, deve essere esaminata l’eccezione di prescrizione sollevata dal Gagliardelli relativamente ai
fatti dannosi verificatisi anteriormente al 3/4/2009, ossia al quinquennio precedente la notifica dell'invito a dedurre
effettuata in data 3.4.2014.
L’eccezione è infondata.
In proposito si osserva che il diritto al risarcimento del danno, nei giudizi di competenza della Corte dei Conti, è
disciplinato dall’art. 1, c. 2, della legge n. 20 del 1994, in base al quale lo stesso “si prescrive in ogni caso in
cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del
danno, dalla data della sua scoperta”.
Ciò premesso, la Sezione ritiene che nella specie ricorra l’ipotesi del doloso occultamento in relazione alla quale il
Legislatore con la norma suindicata ha espressamente sancito il principio per cui la prescrizione decorre dalla data
della sua scoperta.
A tale riguardo, la giurisprudenza della Corte dei conti, pur avendo chiarito da tempo che l’occultamento non può
coincidere, puramente e semplicemente, con la commissione (dolosa) del fatto dannoso, ma richiede un'ulteriore
condotta indirizzata specificamente ad impedirne la conoscenza, ha tuttavia precisato che in talune fattispecie
criminose, quale quella dedotta in cui i convenuti hanno posto in essere condotte finalizzate a dare una falsa
rappresentazione della realtà – presenza in servizio -, la volontà di occultare il danno deve ritenersi in re ipsa, cioè
insita nelle concrete modalità di svolgimento dei fatti, le quali implicano un obiettivo impedimento ad agire - di
carattere giuridico e non di mero fatto -. In tali casi l’inizio del termine di prescrizione è stato pacificamente
individuato, non nel momento in cui il fatto viene meramente scoperto, ma allorché il danno stesso viene accertato
in tutte le sue componenti, a seguito del provvedimento di rinvio a giudizio in sede penale, senza che alcun rilievo
abbia la mera notizia del fatto (cfr., ex plurimis, SS.RR.; sentenza 25.10.1996, n. 63; Sezione Prima, nn. 712 e
1115 del 2014; Sezione Seconda, n. 296 del 2007; Sezione Terza, n. 10 del 2002 e n. 311 del 2011; Sezione App.
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Sicilia, n. 66 del 2004).
Acclarato, dunque, che nella specie ricorre un’ipotesi di doloso occultamento del danno erariale, ai fini
dell’individuazione del dies a quo, dal quale far decorrere la prescrizione quinquennale, deve aversi riguardo alla
data dell’11 settembre 2013, allorché è stata depositata la richiesta di rinvio a giudizio innanzi al Tribunale di La
Spezia. Per cui nella data in cui è stato notificato al Gagliardelli l’invito a dedurre (3.4.2014) il termine
quinquennale di prescrizione era ancora quasi interamente da decorrere.
Sempre in via preliminare, deve respingersi l’eccezione, sollevata da tutti i convenuti costituiti, di inutilizzabilità
delle prove acquisite nel processo penale (tabulati telefonici, riprese video attraverso l'installazione di
viodeocamere......), in quanto frutto di attività di indagine gravemente viziata per violazione della Convenzione di
Budapest del 2001, nonché di decisione della Corte di Giustizia Europea del 2004.
Al riguardo questa Sezione ha già avuto occasione di affermare con la sentenza n. 269/2011 (cfr., sent. n.
219/2013), in sintonia con la giurisprudenza della Corte di Cassazione, che l’adozione di più stringenti limitazioni,
in materia di acquisizione delle prove, riguarda esclusivamente il processo penale, in cui viene posta a rischio la
libertà personale dell’imputato o dell’indagato (Cass. SS.UU. n. 12717 del 2009, n. 15314 del 2010; Cass. Sez.
Trib. n. 4306 del 2010).
Sarebbe, pertanto, arbitrario estendere l'efficacia di una norma processuale penale (art. 191 c.p.p.), posta a
garanzia dei diritti della difesa in quella sede, ad un ambito processuale diverso, come quello contabile, munito di
regole proprie ispirate all’accertamento della verità, nel quale le risultanze degli atti compiuti dall'A.G. in un
precedente processo entrano non come prove in senso tecnico, ma come elementi da valutare ai sensi degli artt.
2727 e 2729 c.c., che concorrono ex art. 116 c.p.c. alla formazione del libero convincimento del giudice (Corte
conti, Sez. Liguria, n. 269/2011, cit.; Sez. Prima d’appello n. 3 del 2011 e n. 133 del 2004; Sez. Terza d’appello
nn. 75 e 371 del 2005).
In tal caso il rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa è assicurato dalla possibilità riconosciuta
alle parti di svolgere proprie osservazioni critiche e di dedurre altre prove sui medesimi fatti.
Passando ad esaminare il merito in senso stretto, oggetto del presente giudizio è la domanda risarcitoria promossa
dalla Procura nei confronti dei convenuti per i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dal Ministero
dell’economia e delle finanze in conseguenza di numerose assenze ingiustificate dal servizio.
Al riguardo, il Collegio osserva anzitutto che, sulla base dei numerosi elementi probatori versati nel giudizio, stante
la loro gravità, precisione e concordanza, ex art. 2729 c.c., la condotta assenteistica dei convenuti risulta
incontrovertibilmente accertata.
Ed invero, premesso che il sistema di rilevamento delle presenze in ufficio presso la Commissione Tributaria
Provinciale di La Spezia veniva effettuato, ai sensi dell'art. 23, comma 3, lett. a) ed e) del C.C.N.L. del 1995,
attraverso timbrature giornaliere in entrata e in uscita, le quali venivano salvate dal programma installato nel lettore
(SIGMA e dal 2010 SIAP-SPRING), è stato accertato che in numerose giornate dal 2005 al 2010 il Gagliardelli (il
solo per il quale il controllo delle presenze è stato esteso a ritroso sino al 2005) e da gennaio a settembre 2010 i
restanti convenuti avevano omesso di timbrare il proprio cartellino, mediante la “strisciatura” del “badge”
personale, sia in entrata che in uscita o solo in entrata o in uscita, mentre gli orari di presenza erano stati fatti
risultare da inserimenti manuali effettuati a posteriori, sulla base di autodichiarazioni degli interessati, comportanti
eccedenze di orario rispetto alle registrazioni del rilevatore automatico degli accessi e delle uscite.
Con riferimento alla dedotta inattendibilità dei tabulati relativi alle timbrature in entrata e in uscita effettuate dai
convenuti mediante “strisciata” del badge, deve rilevarsi che le stesse, contrariamente all’avviso espresso dai
difensori, risultano essere state regolarmente acquisite dal programma installato sul lettore ottico ed è di queste
che si è tenuto conto per verificare l’effettiva presenza in servizio dei dipendenti. I problemi lamentati dalla
Dirigente della Commissione, cui fanno riferimento i difensori, riguardavano il fatto che le timbrature regolarmente
salvate dal programma dei “files day”, non venivano acquisiti dal programma che avrebbe dovuto elaborarli (sulla
base dell’orario di lavoro ordinario, delle cause di interruzione o assenza, dei recuperi fatti……), ai fini della
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validazione da effettuarsi ad opera del funzionario responsabile, per cui la Dirigente ha provveduto manualmente
alla loro validazione mensile, previa estrazione delle registrazioni effettuate sul programma del lettore,
accorgendosi in tale circostanza che per alcuni dipendenti (i convenuti), tra cui il direttore dell’epoca (il
Gagliardelli), le timbrature di diverse giornate mancavano del tutto o erano incomplete (era stata timbrata solo
l’entrata o solo l’uscita), donde la necessità di richiedere a questi ultimi di autocertificare l’orario di servizio
osservato per poter procedere alla validazione.
Al fine di dimostrare l’inattendibilità del sistema automatico di rilevazione dei dati delle presenze, i difensori del
Gagliardelli hanno prodotto diversi atti della Commissione Tributaria, a sua firma, protocollati nelle giornate in cui lo
stesso, secondo l’accusa, avrebbe fatto risultare falsamente la propria presenza sul luogo di lavoro.
Al riguardo, premesso che molti di detti documenti risultano firmati in giorni per i quali non è stata contestata
l’assenza per l’intera giornata lavorativa (in via meramente esemplificativa, seguendo l’ordine di produzione, si
evidenziano i documenti protocollati 2 marzo 2006, 9 giugno 2006, 19 giugno 2006, 12 luglio 2006, 8 novembre
2006, 30 novembre 2006, 21 dicembre 2006), il collegio ritiene, in ogni caso, fondata l’obiezione del Pubblico
Ministero in ordine alla inidoneità di tali documenti a provare la presenza in ufficio del Gagliardelli nella data in cui
sono stati protocollati, essendo noto che non vi è necessariamente coincidenza tra la data in cui un atto viene
firmato e quella in cui viene protocollato.
Tanto considerato circa la piena attendibilità dei tabulati presi in considerazione per la determinazione dei periodi di
assenza ingiustificata dal servizio, va rilevato che le condotte dolosamente assenteiste dei convenuti risultanti dalle
discordanze tra le presenze registrate mediante la strisciata elettronica del badge e gli inserimenti manuali hanno
trovato conferma nel confronto tra gli orari di ingresso ed uscita dall'ufficio e le cellule telefoniche agganciate dai
dipendenti nei periodi in cui gli stessi risultavano essere sul luogo di lavoro.
Dai tabulati telefonici acquisiti agli atti è risultato, infatti, che le utenze dei convenuti Gagliardelli, Bertani, Ilardo,
Montefiori e Bonati durante l'orario in cui figuravano essere in ufficio agganciavano celle telefoniche distanti
chilometri dallo stesso.
I difensori eccepiscono l'irrilevanza di tale elemento di prova, stante che lo stesso proverebbe la presenza in un
luogo distante dall'Ufficio dell’utenza telefonica, ma non del suo titolare, che avrebbe potuto darla in uso ad altri.
L'assunto è infondato. E invero, le indagini hanno anche evidenziato che nei nove mesi in cui è stato sottoposto a
controllo il traffico telefonico delle utenze dei convenuti queste hanno spesso comunicato tra loro – fino a circa 250
volte Bertani e Gagliardelli e Bertani e Ilardo - sì che, essendo detto accertamento agli atti del processo, e quindi
noto ai difensori, appare all'evidenza pretestuoso ipotizzare che fosse un parente o un amico del titolare
l’utilizzatore delle utenze predette.
Ulteriore elemento atto a riscontrare in modo irrefutabile le dolose condotte assenteiste dei convenuti Ilardo,
Montefiori e Bonardo è dato dalle riprese delle telecamere poste negli uffici della Commissione Tributaria,
regolarmente autorizzate con decreto del giudice.
Da dette registrazioni video-fotografiche risulta che Ilardo, Montefiori e Bonati erano soliti scambiarsi
reciprocamente i cartellini di rilevamento delle presenze (badge), strisciarli sull'apposito apparato elettronico,
sostituendosi reciprocamente al titolare.
Sulla base della rilevanza e concordanza dei numerosi elementi probatori versati nel giudizio dall'accusa, non può
dunque revocarsi in dubbio che tutti i convenuti abbiano tenuto le contestate condotte assenteiste come pure il
fatto che, nell’assentarsi arbitrariamente dal lavoro, gli stessi abbiano violato il fondamentale obbligo di servizio,
rappresentato dal dovere di fornire la prestazione di lavoro secondo le condizioni previste dal rapporto di impiego
intrattenuto con la propria amministrazione, cagionando alle pubbliche finanze un danno pari ai compensi da
questa indebitamente erogati senza ricevere in cambio la corrispondente attività lavorativa.
Dette condotte risultano certamente caratterizzate dall’elemento soggettivo del dolo, atteso che l’abitualità e le
descritte modalità con cui sono state poste in essere non possono non presupporre la piena consapevolezza e
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volontà di violare i propri doveri d’ufficio.
La Sezione non ha, però, trovato riscontri probatori al vincolo di solidarietà apoditticamente prospettato dalla
Procura tra tutti i convenuti.
A tale riguardo va considerato che il danno contestato dalla Procura è relativo ai periodi lavorativi in cui gli
interessati sono risultati falsamente presenti in ufficio a seguito del raffronto tra l’orario inserito a sistema
manualmente sulla base di autocertificazioni e quello risultante dalle timbrature in entrata e in uscita effettuate dagli
interessati con la strisciatura del proprio badge.
Orbene, con riferimento a tale danno, non vi è prova del fatto che ciascuno dei convenuti abbia concorso con la
propria condotta a porre in essere gli illeciti riguardanti gli altri convenuti, che nella prospettazione attorea, giova
ripeterlo, sono rappresentati dall’inserimento manuale di orari di servizio maggiori di quelli risultanti dalle
timbrature effettuate con il badge.
Né, a tal fine, può soccorrere l’acquisita prova videofotografica dello scambio reciproco dei badge tra i convenuti
Ilardo, Montefiori e Bonardo: detti comportamenti fraudolenti, sopra valutati quali indizi della condotta assenteista
dei predetti convenuti, sono estranei allo specifico danno oggetto di contestazione, il quale scaturisce unicamente
dall’inserimento manuale di un falso orario di lavoro e non dalla timbratura fatta dal collega.
Quanto alla somma per cui deve essere pronunciata condanna in relazione al danno patrimoniale inferto da
ciascuno dei convenuti all'Amministrazione di appartenenza, la Sezione ritiene corretta la quantificazione fatta dalla
Procura, e pertanto gli stessi debbono essere condannati a rimborsare le somme indebitamente percepite nella
misura seguente:
Gagliardelli Paolo euro 26.645,10;
Bertani Daniela euro 7.965;
Ilardo Pietro euro 1.038,58;
Montefiori Mirco euro 825,00;
Bonati Sandro euro 380,00.
Dette somme dovranno essere rivalutate a decorrere dall’11 settembre 2013, data del rinvio a giudizio dei
medesimi.
Passando all’esame dell’altra voce di danno richiesta dalla Procura per la grave lesione all’immagine subita
dall'Amministrazione finanziaria in conseguenza dell’accertata fraudolenta condotta assenteista tenuta dai
convenuti, la Sezione osserva anzitutto che il requirente ha posto a fondamento della propria pretesa risarcitoria
l’art. 55-quinquies, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, introdotto dall’art. 69 del D.Lgs. 27ottobre 2009, n.
150, il quale statuisce che “Il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la
propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità
fraudolente,……….. ferme le responsabilità penali e disciplinari e le relative sanzioni è obbligato a risarcire il danno
patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata
prestazione, nonché il danno all'immagine subiti dall'amministrazione”.
La predetta disposizione, nel prevedere al comma 2 l’obbligo specifico di risarcire il danno connesso
all’assenteismo realizzato nel pubblico impiego con modalità fraudolente, ha nel contempo configurato tale
condotta assenteista come una specifica ipotesi di responsabilità per danno all’immagine dal carattere innovativo
rispetto al previgente quadro normativo e svincolata dalle condizioni e dai limiti posti dal legislatore con l’art. 17,
comma 30-ter, del D.L. n. 78/2009, convertito dalla L. n. 102/2009.
La specialità di detta disposizione permette di superare l’eccezione di inammissibilità dell’azione sollevata dai
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difensori dei convenuti per mancanza di sentenza irrevocabile di condanna (cfr. Sez. Toscana n. 46 del 2013 e
Sez. Abruzzo n. 414 del 2012).
Il fatto, poi, che l’art. 55 quinquies, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001 configuri un’ipotesi di danno all’immagine
nuova comporta l’irretroattività della disposizione e, quindi, l’applicabilità della stessa ai soli comportamenti posti
in essere successivamente alla sua entrata in vigore, per effetto del principio generale ricavabile dall’art. 11 delle
Preleggi, secondo cui la Legge non dispone che per l’avvenire (Sez. Piemonte, n. 54 del 2013; Sez. Trentino- Alto
Adige n. 12 del 2012; Sez. Basilicata, n. 54 del 2013; Sez. Toscana n. 169 del 2013).
Ciò premesso, passando ad esaminare il merito di tale pretesa, si osserva che nel vigente ordinamento il “danno
all’immagine” ed “al prestigio” della Pubblica Amministrazione – riconducibile alla categoria del danno “non
patrimoniale”, ex art. 2059 cod. civ. - consiste nella diminuita reputazione dell’ente presso i consociati, o presso
una certa platea di consociati, conseguente alla lesione di diritti fondamentali della persona, riconosciuti e garantiti
dalla Costituzione all’art. 2 e all’art. 97 per la “Pubblica Amministrazione” nel suo complesso (Corte conti, Sez. III,
n. 335 del 2009; Cass. sentenze nn. 8827, 8828 del 2003, n.12929 del 2007, n. 26972 del 2008).
La giurisprudenza della Corte di cassazione, a conclusione di un complesso percorso interpretativo, ha superato la
concezione che individuava tale danno nella lesione dell’immagine in sé (danno evento), pervenendo ad una
configurazione dello stesso come conseguenza della predetta lesione, rappresentata dalla diminuita
considerazione che l’ente ha presso i consociati (danno conseguenza). Tale danno, secondo quanto affermato
nella sopra citata sentenza della Corte di cassazione n.12929 del 2007, risulta risarcibile “indipendentemente dal
fatto che l’incidenza negativa sull’agire delle persone fisiche che rappresentano gli organi dell’ente abbia
determinato un danno in senso economico, cioè un danno patrimoniale”; ed infatti, l’agire dell’ente con la
consapevolezza di dover superare la negatività connessa alla lesione dell’immagine non potrà non risentirne in
termini di efficacia, “onde - a prescindere da eventuali riflessi economici - tale conseguenza integra di per sé un
danno non patrimoniale” .
Alla luce dei principi affermati dalle Sezioni di appello della Corte dei conti (ex plurimis, Sez. III, n. 143/2009; Sez. II
n. 106/2008) e del surriferito più recente orientamento della Corte di cassazione (successivo a SS.RR. n.
10/QM/2003), le Sezioni Riunite di questa Corte hanno rivisitato tale figura di danno erariale, precisando che
(Corte conti, SS.RR. sent n. 1/2011/QM; cfr., Sezione Prima sent. n. 316 del 2011).
In proposito osserva, tuttavia, la Sezione che, indipendentemente dalla configurazione del danno all’immagine come danno-evento o come danno-conseguenza – attenendo tale pregiudizio ad un bene immateriale, la prova è,
in ogni caso, eminentemente presuntiva, potendo costituire anche l’unica fonte per la formazione del
convincimento del giudice (Cass. sent. n. 26972 del 2008), mentre la sua quantificazione va disposta in
considerazione della concreta dimensione della lesione stessa, da valutare in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226
c.c., non essendo possibile l’esatta determinazione dell’ammontare di un danno di tale natura (Corte conti, Sez.
III, sent. n. 143/2009, cit.; Cfr. Sez. Liguria, sent. n. 184 del 2012).
Tanto rappresentato, nel caso di specie, non può dubitarsi che l’abituale condotta assenteista realizzata con
modalità fraudolente dai convenuti abbia arrecato pregiudizio all’immagine del Ministero dell’economia e delle
finanze, ingenerando presso l’opinione pubblica un notevole discredito nei riguardi dell’attività istituzionale propria
della Commissione Tributaria.
Passando alla quantificazione di detto danno, la Sezione ritiene di dovervi procedere in via equitativa, ai sensi
dell’art. 1226 c.c., tenendo conto dei criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte dei conti, e, in special modo,
dalle Sezioni Riunite nella sentenza n. 10/QM/2003.
In particolare, nella specie, vengono in considerazione:
- la rilevanza del servizio prestato dagli interessati in quanto dipendenti di un Ufficio preposto alla gestione del
contenzioso in materia fiscale, nonché per il Gagliardelli la posizione rivestita di Direttore della Commissione
Tributaria;
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- la reiterazione di comportamenti socialmente riprovevoli e penalmente rilevanti posti in essere in assenza di
qualsiasi giustificazione;
- la propalazione della notitia criminis a livello esclusivamente locale, i fatti essendo stati riportati, come
documentato dall’accusa, dalla stampa locale (“Il Secolo XIX”, “La Nazione”, “La Gazzetta della Spezia”).
Infine, con riguardo al Gagliardelli, cui è stato contestato il danno all’immagine, oltre che per le assenze
ingiustificate relative al 2010, anche per quelle degli anni precedenti (dal 2005), osserva il collegio che nella
determinazione del danno non patrimoniale deve tenersi conto esclusivamente dei comportamenti assenteisti tenuti
dallo stesso successivamente al 15 novembre 2009, data di entrata in vigore dell’art. 55 – quinquies del d.lgs. n.
161/2001, disposizione che per i motivi suesposti non può avere efficacia retroattiva.
Ciò posto, in applicazione degli elementi sopra considerati, il collegio ritiene di dovere ridimensionare la
quantificazione di tale voce di danno operata dalla Procura, che ha chiesto la condanna, in via solidale, dei
convenuti per la somma complessiva di euro 40,000,00. Ne consegue che per il danno all’immagine inferto
all’Amministrazione di appartenenza debbono essere condannati Gagliardelli Paolo ad euro 10.000,00, Bertani
Daniela ad euro 2.000,00, Ilardo Pietro, Montefiori e Bonati Sandro ad euro 500,00 ciascuno. Tutti senza vincolo di
solidarietà per i motivi già esposti.
Conclusivamente, alla luce delle osservazioni che precedono, i convenuti debbono essere condannati in favore del
Ministero dell'economia e delle finanze, a titolo di dolo, ma senza vincolo di solidarietà, al pagamento delle somme
seguenti:
-Gagliardelli Paolo euro 26.645,10 (ventiseimilaseicentoquarantacinque/10) per danno patrimoniale ed euro
10.000,00 (diecimila/00) per danno all'immagine;
- Bertani Daniela euro 7.965,00 (settemilanovecentosessantacinque/00) per danno patrimoniale ed euro 2.000
(duemila/00) per danno all'immagine;
- Ilardo Pietro euro 1.038,58 (milletrentotto/58) per danno patrimoniale ed euro 500,00 (cinquecento/00) per danno
all'immagine;
-Montefiori Mirco euro 825,00 (ottocentoventicinque/00) per danno patrimoniale ed euro 500,00 (cinquecento/00)
per danno all'immagine;
- Bonati Sandro di euro 380,00 (trecentoottanta/00) per danno patrimoniale ed euro 500,00 (cinquecento/00) per
danno all'immagine.
Le somme predette dovranno essere rivalutate, secondo gli indici ISTAT, a decorrere dal’1 gennaio 2013 fino al
deposito della presente sentenza; da quest’ultima data le somme risultanti dovranno essere maggiorate degli
interessi legali fino all’integrale pagamento.
Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico dei convenuti in parti uguali.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Liguria, definitivamente pronunciando, in parziale
accoglimento della domanda attrice, condanna i convenuti al pagamento in favore del Ministero dell'economia e
delle finanze delle somme seguenti:
- Gagliardelli Paolo euro 26.645,10 (ventiseimilaseicentoquarantacinque/10) per danno patrimoniale ed euro
10.000,00 (diecimila/00) per danno all'immagine;
-Bertani Daniela euro 7.965,00 (settemilanovecentosessantacinque/00) per danno patrimoniale ed euro 2.000
(duemila/00) per danno all'immagine;
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- Ilardo Pietro euro 1.038,58 (milletrentotto/58) per danno patrimoniale ed euro 500,00 (cinquecento/00) per danno
all'immagine;
-Montefiori Mirco euro 825,00 (ottocentoventicinque/00) per danno patrimoniale ed euro 500,00 (cinquecento/00)
per danno all'immagine;
- Bonati Sandro di euro 380,00 (trecentoottanta/00) per danno patrimoniale ed euro 500,00 (cinquecento/00) per
danno all'immagine.
Le somme per cui è condanna dovranno essere maggiorate della rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT,
a decorrere dall'11 settembre 2013 fino al deposito della presente sentenza; da quest’ultima data sulle somme
risultanti saranno dovuti gli interessi legali fino all’integrale pagamento.
Condanna, inoltre, i medesimi al pagamento in parti uguali delle spese di giudizio che vengono liquidate in
Euro.1441,05 (millequattrocentoquarantuno/05).
Così deciso in Genova, nella camera di consiglio del 3 dicembre 2014.
L’Estensore f.to (Tommaso Salamone)
Il Presidente f.to (Luciano Coccoli)
Depositata in segreteria 30 dicembre 2014.
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