newsletter - vanzetti e associati

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newsletter - vanzetti e associati
NEWSLETTER
N°1 - 2010
STUDIO LEGALE VANZETTI & ASSOCIATI
Milano - Venezia
www.vanzettieassociati.it
[email protected]
1
GIURISPRUDENZA
LEGISLAZIONE
1.
1.
Trib. Torino, 3 settembre 2008, ord. – Trib. Torino, 14
luglio 2008, ord. Pag. 4
Pag. 12
Imitazione cinese di automobili europee: il caso
Panda.
Legislazione italiana: le modifiche apportate
dalla legge 99/09 (c.d. “legge sviluppo”) al Codice
della Proprietà Industriale e al Codice Penale.
2.
2.
Trib. Milano, 30 giugno 2008, ord. – Trib. Milano, 24 ott.
2008, ord. Pag. 5
3.
Il cuore nel marchio Lovable.
3.
La Corte d’Appello di Milano sanziona
l’imitazione servile delle borse Hermès
App. Milano, 18 settembre 2008. Pag. 6
4.
Il Tribunale di Milano tutela (ancora una volta) la
birra americana “Budweiser”.
Trib. Milano, 30 luglio 2008. Pag. 7
5.
Contraffatto un brevetto di procedimento
riguardante il recupero energetico di rifiuti.
(segue) La tutela del made in Italy. Pag. 13
Legislazione europea: la nuova direttiva sul
ravvicinamento delle legislazioni nazionali
in materia di marchi d’impresa e il nuovo
regolamento sul marchio comunitario. Pag. 14
4.
È in vigore il nuovo regolamento sul
contrassegno S.I.A.E.. Pag. 15
5.
Diritto di seguito: pubblicata la lista degli artisti
che non lo hanno ancora rivendicato. Pag. 16
Trib. Torino, 25 febbraio - 10 marzo 2009. Pag. 8
6.
Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato: alcuni provvedimenti in tema di
pratiche commerciali scorrette. Pag. 9
2
GIURISPRUDENZA
1.
Imitazione cinese di automobili europee: il caso Panda
Trib. Torino, 3 settembre 2008, ord. – Trib. Torino, 14 luglio 2008, ord.
La Great Wall “Peri”, automobile cinese riprodotta
nella foto qui sotto, non circolerà sulle strade europee:
almeno non per ora. Pochi mesi dopo aver proibito
l’importazione in Italia di autovetture (cinesi) in tutto
simili alla “Smart” (la “Noble” e la “Buble”: v. newsletter
n. 1/2009), il Tribunale di Torino ha infatti ritenuto che la
forma dell’utilitaria orientale costituisse violazione di
quella – registrata come modello comunitario - della Fiat
“Panda”, e ha dunque inibito in via cautelare ogni attività
di promozione e di commercializzazione della “Peri” nel
territorio dell’Unione Europea (misura confermata in
sede di reclamo). A questa decisione i Giudici torinesi
sono giunti rilevando che il carattere individuale
della “Panda” è “costituito dal design generale della
stessa”: e una simile considerazione, ha argomentato
il Tribunale di Torino, impone di concludere che le
differenze presenti nel modello cinese (riguardanti in
particolare il gruppo ottico anteriore) “non costituiscono
altro che … ritocchi di dettaglio, … inidonei a produrre
nell’utilizzatore informato una impressione generale
diversa rispetto” alla citycar italiana. Come è stato
efficacemente osservato dalla Sezione specializzata
torinese, l’impressione prodotta dalla “Peri” non è
infatti “quella di un’autovettura differente, ma quella di
una ‘Panda’ con un frontale differente, che è cosa ben
diversa”.
Great Wall “Peri”
Fiat “Panda”
4
2.
Il cuore nel marchio Lovable
Trib. Milano, 30 giugno 2008, ord. – Trib. Milano, 24 ott. 2008, ord.
La rinomanza acquisita da un marchio complesso
non si estende in via automatica a tutti gli elementi
di cui sia composto, e in particolare non si estende
agli elementi caratterizzati da una “debole originaria
capacità distintiva”. Sulla base di questo argomento, il
Tribunale di Milano ha escluso, in sede cautelare, che
vi sia interferenza tra un noto marchio composto dalla
figura di un cuore e da un elemento denominativo (fig.
1) e un marchio posteriore costituito dal disegno di un
cuore con inscritta una lettera “p” (fig. 2), entrambi
utilizzati per contraddistinguere abbigliamento intimo
femminile. Ad avviso del Tribunale, il cuore di cui era
stata invocata la tutela - sia per la modalità banale e
convenzionale di rappresentazione sia in considerazione
della circostanza che si tratta di un’immagine
largamente utilizzata “in tutti i generi merceologici ed
in particolare nel settore dell’abbigliamento al fine di
evocare impressioni di intimità, affettività, seduzione” era infatti dotato di scarsa capacità distintiva originaria;
cosicché – non essendo stato provato che il cuore
stesso avesse nel tempo acquisito una più spiccata
capacità distintiva - i Giudici milanesi hanno negato la
proteggibilità del segno figurativo.
Fig. 1
Fig. 2
5
3.
La Corte d’Appello di Milano sanziona l’imitazione servile delle
borse Hermès
App. Milano, 18 settembre 2008
La Sezione Specializzata della Corte d’Appello di
Milano ha confermato le sentenze (Trib. Milano, 14 e 17
luglio 2006, entrambe pubblicate in Giur. ann. dir. ind.,
2006, pp. 860 ss.) che avevano stabilito costituire atti di
concorrenza sleale per imitazione servile la produzione
e commercializzazione di borse di forma identica a
quella di alcuni celebri modelli Hermès. A fondamento
della propria decisione, i Giudici milanesi hanno posto
il rilievo (già espresso dal Tribunale) secondo cui questi
modelli sono immediatamente ricondotti dal pubblico
alla casa di moda francese: un rilievo peraltro confortato
dal fatto che, a decenni di distanza dalla loro creazione,
essi sono ancora noti con il nome originariamente
attribuito dalla maison (la “Kelly”, la “Birkin” e così via).
Sul punto, la Corte d’Appello ha in particolare osservato
che, “quando sui giornali, sulle riviste, nei programmi
televisivi o al cinema si parla di questo o di quel modello
Hermès, il nome della borsa è immancabilmente
accostato all’immagine della borsa stessa, cosicché non
può sostenersi che i nomi delle borse rappresentino per
il pubblico qualcosa di astratto non collegato ad una
immagine o forma ben determinata”.
Quanto al fatto che Hermès avesse in passato
registrato come modelli ornamentali la forma di alcune
delle borse imitate, e che queste registrazioni fossero
tuttavia scadute, i Giudici milanesi hanno rilevato che “la
disciplina della concorrenza sleale ha chiara funzione
integratrice della tutela dei diritti assoluti spettanti
in forza di altre norme di legge”. E che, pertanto, “la
cessazione d’efficacia nel tempo della registrazione
dei modelli o disegni … non fa venire meno il divieto
dell’imitazione servile delle caratteristiche esteriori
non generalizzate, le quali, proprio perché distintive,
servono ad individuare e a differenziare un determinato
prodotto davanti alla clientela cui è destinato”.
La “Kelly”
La “Birkin”
6
4.
Il Tribunale di Milano tutela (ancora una volta) la birra americana
“Budweiser”
Trib. Milano, 30 luglio 2008
Il Tribunale di Milano si è nuovamente pronunciato
in relazione al marchio “Budweiser”, utilizzato per
contraddistinguere una nota birra americana (si veda
Trib. Milano 26 novembre 1998, in Giur. ann. dir. ind.,
1998, pp. 922 ss.), per il quale - nel caso che qui si segnala
– è stata invocata tutela dal titolare e dal licenziatario
italiano, a fronte dell’utilizzo del marchio stesso da
parte degli importatori e distributori italiani di una birra
ceca. Del segno “Budweiser” – e più precisamente
del diritto di usarlo per contraddistinguere birra - la
giurisprudenza italiana si è invero già più volte occupata
(si vedano le pronunce, sempre favorevoli al titolare
americano del marchio, rese da Cass. n. 13168/02, in
Giur. ann. dir. ind., 2002, pp. 23 ss., da App. Milano, 1°
dicembre 2000, ivi, 2001, pp. 513 ss., e da Trib. Milano,
26 novembre 1998, ivi, 1998, pp. 992 ss.; da App. Roma,
5 marzo 2007, ivi, 2007, pp. 721 ss., e Trib. Roma, 17
maggio 2005, ivi, 2005, pp. 902 ss.; nonché da Trib.
Firenze, 16 ottobre 2009, di prossima pubblicazione
sulla medesima Rivista). Il Tribunale di Milano ha ora
ribadito che i marchi apposti sulle birre importate costituiti dall’espressione “Budweiser Budvar” e da
vari elementi figurativi - sono privi di novità, essendo
elemento dominante in questi segni proprio la
parola “Budweiser”; e che il loro uso costituisce sia
contraffazione del marchio anteriore “Budweiser” sia
atto di concorrenza sleale.
Determinante è una affermazione del Tribunale
relativa alla convalida dei marchi contestati, eccepita
dagli importatori ai sensi dell’art. 28 c.p.i.. I Giudici
milanesi hanno al riguardo precisato che questa
eccezione può essere sollevata solo dal titolare dei
marchi posteriori e non anche dal licenziatario degli
stessi o dai distributori dei beni contraddistinti dai
marchi in questione.
Budweiser
Budweiser Budvar
7
5.
Contraffatto un brevetto di procedimento riguardante il recupero
energetico di rifiuti
Trib. Torino, 25 febbraio - 10 marzo 2009
Con la sentenza che si segnala, il Tribunale di
Torino ha accertato la validità e la contraffazione della
frazione italiana di un brevetto europeo rivendicante un
“procedimento per il recupero energetico da rifiuti”, e
– precisamente - un procedimento per la produzione
di combustibile da rifiuti solidi urbani indifferenziati
(CDR), che sfrutta il processo di fermentazione aerobica
dei rifiuti stessi per conseguirne l’essiccazione. Il
Tribunale – applicando il consolidato principio secondo
il quale “per aversi contraffazione, non è necessaria
una precisa riproduzione ed applicazione dell’idea
inventiva in tutti i suoi elementi, anche se accessori o
secondari, ma è sufficiente che si attuino gli elementi
essenziali e caratteristici dell’idea” – ha ritenuto che la
pubblicizzazione di un procedimento per il trattamento
biologico dei rifiuti da parte di una delle due società
convenute, nonché la realizzazione da parte della
stessa società di un impianto in grado di attuare tale
procedimento per conto dell’altra società convenuta,
costituisse violazione del brevetto nonostante l’allegata
assenza nel procedimento contestato di una fase finale
bensì menzionata nel brevetto, ma giudicata meramente
aggiuntiva ed opzionale.
La decisione del Tribunale di Torino si segnala anche
per aver riconosciuto la contraffazione del brevetto
fatto valere in giudizio sulla base della circostanza che
l’impianto della convenuta risultava “idoneo a realizzare
il procedimento brevettato”, nonostante lo stesso fosse
in concreto impiegato per la produzione di un materiale
diverso dal CDR. Il principio che è stato enunciato al
riguardo dal Tribunale è il seguente: la realizzazione
di un impianto idoneo ad attuare un altrui brevetto di
procedimento integra di per sé contraffazione ai sensi
dell’art. 66 c.p.i..
8
6.
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato: alcuni
provvedimenti in tema di pratiche commerciali scorrette
Con i decreti legislativi n. 145 e n. 146 del 2 agosto
2007, il legislatore italiano ha dato attuazione alle
direttive comunitarie 2006/114/CE e 2005/29/CE.
In particolare il d.lgs. n. 145/07, che ha abrogato la
disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa
contenuta nel Codice del Consumo, regola i rapporti
tra imprenditori in materia – appunto - di pubblicità
ingannevole e comparativa; e il d.lgs. n. 146/07 (che
ha sostituito gli artt. 18-27 del Codice del Consumo,
introducendovi gli artt. 27-bis, ter e quater) disciplina
i rapporti fra imprenditori (chiamati, peraltro
impropriamente, “professionisti”) e consumatori,
sanzionando le “pratiche commerciali scorrette …
poste in essere prima, durante o dopo un’operazione
commerciale relativa ad un prodotto” (art. 1).
Rispetto alla normativa precedente i poteri
dell’Autorità Garante, sia in relazione alle pratiche
commerciali scorrette sia alla pubblicità ingannevole
e comparativa, sono stati rafforzati. L’Autorità Garante
può infatti oggi avviare i procedimenti anche d’ufficio,
e ha ampi poteri investigativi, che comprendono la
possibilità di accedere a qualsiasi documento pertinente;
di richiedere a chiunque informazioni e documenti
rilevanti con la facoltà di sanzionare l’eventuale rifiuto
o la trasmissione di informazioni e documenti non
veritieri; di effettuare ispezioni, di avvalersi della
Guardia di Finanza; e di disporre perizie. In entrambi
i decreti legislativi è stato poi previsto l’istituto degli
“impegni”: salvi i casi di manifesta scorrettezza e gravità,
l’Autorità Garante potrà rinunciare all’accertamento
dell’infrazione, a fronte dell’impegno dell’impresa
a eliminare i profili di illegittimità riscontrati nella
pubblicità o nella pratica commerciale scorretta.
Si segnalano qui di seguito alcuni provvedimenti
che l’Autorità Garante ha adottato in applicazione della
nuova disciplina in materia di pratiche commerciali
scorrette (d.lgs. 146/2007).
a) l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
ha avviato, d’ufficio, un procedimento conclusosi con
il riconoscimento dell’ingannevolezza delle pratiche
poste in essere da una società di trasporti marittimi.
Dopo aver disposto la sospensione in via cautelativa del
messaggio promozionale “Vai in Sardegna o Corsica.
TORNI GRATIS*”, diffuso da questa società su giornali
a tiratura nazionale, cartelloni pubblicitari e sul proprio
sito internet, con provvedimento del 5 novembre 2008
l’Autorità ha condannato la compagnia marittima al
pagamento della cospicua sanzione di 370.000,00
€ per essersi resa responsabile del compimento di
diverse pratiche, tutte giudicate ingannevoli. L’offerta
in questione presentava infatti diverse limitazioni,
non immediatamente percepibili dal destinatario
del messaggio “in quanto richiamate solo dal segno
grafico asterisco”, tra le quali – in particolare –
l’obbligo di comunque corrispondere (a dispetto della
dichiarata gratuità del servizio di trasporto) tasse,
diritti e supplementi, e la proposta di adesione alla
polizza assicurativa “annullamento viaggi”, che “non
si realizzava tramite una dichiarazione espressa bensì
attraverso un meccanismo di silenzio assenso da parte
del consumatore, chiamato a rinunciare alla clausola
assicurativa mediante lo spostamento dell’apposito
segno grafico nella casella predisposta per la rinuncia
all’acquisto di detto servizio accessorio”. Queste
limitazioni, ad avviso dell’Autorità Garante, “rendevano
di fatto oneroso, e non gratuito, per il consumatore, il
viaggio di ritorno … [dalla Sardegna o dalla Corsica,
n.d.r.], riducendo sostanzialmente sia la portata che
la convenienza dell’offerta anche rispetto a proposte
alternative della stessa compagnia”.
L’Autorità Garante ha dunque ritenuto che il claim
“Vai in Sardegna o Corsica. TORNI GRATIS*” violasse
il Codice del Consumo in numerosi punti: anzitutto, ai
sensi dell’art. 21, comma 1, lettere b) e d), il messaggio
pubblicitario è qualificabile come pratica commerciale
ingannevole poiché il consumatore è indotto in errore
sulla disponibilità, sui vantaggi o i rischi del servizio
offerto, e sul suo prezzo; in secondo luogo, realizza
un’omissione ingannevole secondo quanto disposto
dall’art. 22, commi 1 e 2, poiché non fornisce le
informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha
bisogno per prendere la sua decisione; infine viola l’art.
23, comma 1, lettere e) e v) in quanto il professionista
invita all’acquisto di un prodotto - il viaggio di ritorno – a
condizioni (nel caso di specie, gratuitamente) che sa di
non poter rispettare.
È di qualche interesse segnalare che la legge
n. 99 del 23 giugno 2009 ha introdotto nel Codice
del Consumo, all’art. 22-bis, una specifica (ed
alquanto singolare) normativa in materia di pubblicità
ingannevole delle compagnie marittime: “(Pubblicita`
9
ingannevole delle tariffe marittime). È considerata
ingannevole la pubblicità che, riguardando le tariffe
praticate da compagnie marittime che operano sul
territorio italiano direttamente o in code-sharing,
reclamizzi il prezzo del biglietto dovuto alla compagnia
marittima separatamente dagli oneri accessori, dalle
tasse portuali e da tutti gli oneri comunque destinati
a gravare sul consumatore, dovendo la compagnia
marittima pubblicizzare un unico prezzo che includa
tutte queste voci”.
b) L’invio - da parte di alcuni dei più importanti gestori
di telefonia mobile italiani nonché di altri professionisti
- di SMS che invitano la clientela a chiamare numeri
speciali a sovrapprezzo con prefisso 899, adducendo
l’esistenza di un messaggio vocale personale in una
segreteria telefonica (circostanza non vera), deve essere
considerato una pratica commerciale scorretta: così
ha disposto l’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato (provvedimento n. 19087 del 9 ottobre 2008),
intervenuta su segnalazione di alcune associazioni di
consumatori e di singoli utenti.
Per l’Autorità questa condotta viola numerose
disposizioni del Codice del Consumo.
Essa
è
in contrasto con gli artt. 20, 21 e 22 perché non esiste
alcun servizio di segreteria e il messaggio SMS non
precisa quale sia la finalità della pratica commerciale;
costituisce pratica commerciale aggressiva, ai sensi
degli artt. 24 e 25, in quanto limita la libertà di scelta
dell’utente attraverso un indebito condizionamento;
infine contrasta con il disposto dell’art. 26, lettera f), che
considera aggressiva la condotta del professionista che
esiga il pagamento immediato o differito di servizi da lui
forniti ma che il consumatore non ha richiesto.
L’Autorità
Garante
ha
irrogato
sanzioni
amministrative, da 15.000,00 € fino a 100.000,00 €, nei
confronti delle società coinvolte.
c) L’Autorità Garante ha inibito e sanzionato alcune
pratiche commerciali poste in essere da Trenitalia:
si tratta, in particolare, di pratiche riguardanti il
riconoscimento e la corresponsione del bonus dovuto
al viaggiatore in caso di ritardo del treno, la limitazione
dei posti disponibili per alcune tariffe scontate e
l’omissione di informazioni relative a queste tariffe,
l’onerosità dei servizi erogati dal call center telefonico,
le omissioni informative sulle caratteristiche tecniche
dei treni, nonché sul programma di fidelizzazione
denominato “Cartaviaggio”. Ad avviso dell’Autorità
Garante la condotta di Trenitalia – idonea a falsare il
comportamento del consumatore medio e ad indurlo ad
assumere decisioni che non avrebbe altrimenti preso costituisce pratica commerciale scorretta ai sensi degli
artt. 20, 21 e 22 del Codice del Consumo. Ad esempio
- quanto ai servizi fruibili attraverso il call center,
caratterizzati da un significativo sovrapprezzo - è stato
rilevato che alcuni di essi non sono accessibili ricorrendo
al canale tradizionale delle biglietterie e delle agenzie: e
ciò, secondo l’Autorità Garante, impone ai consumatori
“un onere economico aggiuntivo per l’esercizio di una
serie di facoltà e diritti del consumatore”, il quale
contrasta con gli artt. 20, comma 2, e 21, comma 1,
lettere b) e g) del Codice del Consumo.
10
LEGISLAZIONE
1.
Legislazione italiana: le modifiche apportate dalla legge 99/09
(c.d. “legge sviluppo”) al Codice della Proprietà Industriale e al
Codice Penale
È entrata in vigore il 15 agosto 2009 la legge n. 99
del 23 luglio 2009, recante “Disposizioni per lo sviluppo
e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in
materia di energia” (il testo integrale è consultabile
all’URL:
www.parlamento.it/parlam/leggi/09099l.
htm). Sono molte le novità previste dal provvedimento:
e - ciò che più interessa qui - numerose sono quelle
relative alla tutela, civile e penale, dei diritti di proprietà
industriale (e intellettuale).
Quanto alle modifiche apportate alla disciplina
civilistica, si segnalano:
1) il potere del Giudice di sospendere, in pendenza
del procedimento di registrazione o di brevettazione, il
giudizio di contraffazione o di nullità promosso appunto
sulla base di un titolo in corso di concessione (art. 120
c.p.i.);
2) l’introduzione nell’art. 47 c.p.i. del comma 3-bis,
ai sensi del quale, “per i brevetti di invenzione e per i
modelli di utilità, il deposito nazionale in Italia dà luogo
al diritto di priorità anche rispetto a una successiva
domanda nazionale depositata in Italia, in relazione a
elementi già contenuti nella domanda di cui si rivendica
la priorità” (c.d. priorità interna);
3) il reinserimento nel c.p.i., senza modifiche di
rilievo, dei commi 2° e 3° dell’art. 245 (in materia di
competenza delle Sezioni Specializzate in proprietà
industriale e intellettuale), precedentemente dichiarati
costituzionalmente illegittimi dalla Corte Costituzionale
per violazione dell’art. 76 Cost. (e, in particolare,
per eccesso di delega) con le sentenze n. 112 del 14
aprile-24 aprile 2008 (relativa al 2° comma) e n. 123 del
22 aprile-30 aprile 2009 (relativa al 3° comma);
4) la riformulazione dell’art. 239 c.p.i., che ora
dispone: “La protezione accordata ai disegni e modelli
ai sensi dell’articolo 2, numero 10), della legge 22
aprile 1941, n. 633, non opera nei soli confronti di
coloro che, anteriormente alla data del 19 aprile
2001, hanno intrapreso la fabbricazione, l’offerta o la
commercializzazione di prodotti realizzati in conformità
con disegni o modelli che erano oppure erano divenuti di
pubblico dominio. L’attività in tale caso può proseguire
nei limiti del preuso. I diritti di fabbricazione, di offerta
e di commercializzazione non possono essere trasferiti
separatamente dall’azienda”;
5)
l’istituzione
del
Consiglio
nazionale
anticontraffazione, presieduto dal Ministro dello sviluppo
economico (o da un rappresentante da lui designato),
con funzioni di indirizzo, impulso e coordinamento delle
azioni strategiche intraprese da ogni amministrazione,
al fine di migliorare l’insieme dell’azione di contrasto
della contraffazione a livello nazionale.
Deve poi rilevarsi che l’art. 19, comma 15, della l.
99/09 conferisce delega al Governo ad adottare, entro il
15 agosto 2010, disposizioni correttive o integrative del
Codice della proprietà industriale.
Per ciò che riguarda la tutela penale, da un lato la
l. 99/09 ha inasprito le sanzioni già previste dal Codice
penale per i reati di contraffazione, alterazione o uso
di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli
e disegni (art. 473 c.p.) e di introduzione nello Stato e
commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.); e
dall’altro ha sia introdotto, all’art. 517-ter c.p., il reato di
fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando
titoli di proprietà industriale, sia - con l’art. 517-quater
c.p. - attribuito rilevanza penale alla contraffazione di
indicazioni geografiche e denominazioni di origine di
prodotti agroalimentari.
La l. 99/09 ha inoltre apportato alcune modifiche
alla disciplina del made in Italy (e in particolare all’art.
4, comma 49, della legge finanziaria del 2004): a soli
due mesi dalla loro entrata in vigore, tuttavia, queste
modifiche sono state abrogate dal d.l. n. 135 del 25
settembre 2009 (sul quale v. la pagina seguente).
12
2.
(segue) La tutela del made in Italy
La disciplina delle indicazioni di provenienza o di
origine dei prodotti è stata negli ultimi anni oggetto di
numerosi provvedimenti legislativi. E, recentemente,
il legislatore è nuovamente intervenuto nella materia:
dapprima con la l. 99/09 (v. supra), che modificava l’art.
4, comma 49, della Legge Finanziaria 2004, prevedendo
tra le ipotesi di false o fallaci indicazioni di provenienza
punibili penalmente (ex art. 517 c.p.) anche “l’uso di
marchi di aziende italiane su prodotti o merci non
originari dell’Italia ai sensi della normativa europea
sull’origine senza l’indicazione precisa, in caratteri
evidenti, del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione
o di produzione, o altra indicazione sufficiente ad evitare
qualsiasi errore sulla loro origine estera” e stabilendo
che “le false e le fallaci indicazioni di provenienza o di
origine non possono comunque essere regolarizzate
quando i prodotti o le merci siano stati già immessi
in libera pratica”; e, appena due mesi dopo, con il d.l.
n. 135 del 25 settembre 2009 (c.d. “decreto Ronchi”,
convertito, con modificazioni, nella legge 20 novembre
2009, n. 166), che ha abrogato queste disposizioni per
sostituirle con altre, di portata sostanzialmente analoga,
e tuttavia presidiate da sanzioni amministrative anziché
penali.
Il decreto Ronchi ha infatti aggiunto all’art. 4 della
Legge Finanziaria 2004 il comma 49-bis, ai sensi
del quale “costituisce fallace indicazione l’uso del
marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con
modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il
prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della
normativa europea sull’origine, senza che gli stessi
siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti
sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti
ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore
sull’effettiva origine del prodotto …. Il contravventore
è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da
euro 10.000 ad euro 250.000”; e il comma 49-ter, per il
quale “è sempre disposta la confisca amministrativa del
prodotto o della merce di cui al comma 49-bis, salvo che
le indicazioni ivi previste siano apposte, a cura e spese
del titolare o del licenziatario responsabile dell’illecito,
sul prodotto o sulla confezione o sui documenti di
corredo per il consumatore”.
Penalmente rilevante, dispone l’art. 16, comma 4,
del decreto Ronchi, è invece la condotta di “chi fa uso di
un’indicazione di vendita che presenti il prodotto come
interamente realizzato in Italia, quale «100% made in
Italy», «100% Italia», «tutto italiano», in qualunque
lingua espressa, o altra che sia analogamente idonea
ad ingenerare nel consumatore la convinzione della
realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero
segni o figure che inducano la medesima fallace
convinzione, al di fuori dei presupposti previsti” dal
medesimo decreto Ronchi: condotta, questa, punita
con le pene previste dall’articolo 517 c.p., aumentate
di un terzo. Ai sensi dell’art. 16, comma 1, del d.l.
135/09, si considera “realizzato interamente in Italia
[e quindi presentabile al pubblico come «100% made in
Italy», n.d.r.] il prodotto o la merce, classificabile come
made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il
quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il
confezionamento sono compiuti esclusivamente sul
territorio italiano”.
Deve infine segnalarsi la recente approvazione della
Legge 8 aprile 2010, n. 55 (in vigore dal 6 maggio 2010),
che ha introdotto nel settore tessile, calzaturiero e della
pelletteria un sistema di “etichettatura obbligatoria
… che evidenzi il luogo di origine di ciascuna fase di
lavorazione e assicuri la tracciabilità dei prodotti stessi”
(art. 1, 1° comma), e in particolare l’obbligo, per i
prodotti privi dei requisiti per l’uso della dicitura “made
in Italy”, di una “etichettatura con l’indicazione dello
Stato di provenienza” (art. 1, 10° comma).
13
3.
Legislazione europea: la nuova direttiva sul ravvicinamento
delle legislazioni nazionali in materia di marchi d’impresa e il
nuovo regolamento sul marchio comunitario
Il 28 novembre 2008 è entrata in vigore la nuova
Direttiva europea sul ravvicinamento delle legislazioni
degli Stati membri in materia di marchi d’impresa Direttiva n. 2008/95/CE del 22 ottobre 2008 -, che ha
abrogato la precedente Direttiva n. 89/104/CEE. Come
si legge nel considerando n. 1, l’emanazione della nuova
direttiva, che non ha mutato la disciplina previgente,
si è resa opportuna a seguito delle molte modifiche
intervenute sul testo della Direttiva 89/104/CEE, e
risponde ad “esigenze di razionalità e chiarezza”.
Il 13 aprile 2009 è poi entrato in vigore anche il nuovo
Regolamento sul marchio comunitario: Regolamento
(CE) n. 207/2009 del 26 febbraio 2009, che ha abrogato il
precedente Regolamento (CE) n. 40/94 del 20 dicembre
1993. Anche in questo caso si è trattato di un mero
riordino delle disposizioni contenute nel previgente
testo normativo, che aveva subito nel corso degli anni
numerosi e sostanziali interventi di modifica (c.d.
ricodificazione).
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4.
È in vigore il nuovo regolamento sul contrassegno S.I.A.E.
Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
n. 31 del 23 febbraio 2009 ha abrogato il d.p.c.m. n. 338
dell’11 luglio 2001, in materia di contrassegni S.I.A.E.. La
disciplina di questi contrassegni - che ai sensi dell’art.
181-bis della legge sul diritto d’autore (legge 22 aprile
1941, n. 633) devono essere apposti su ogni supporto
contenente suoni, voci o immagini in movimento - è
dunque oggi contenuta nel nuovo regolamento, che dal
previgente si distingue per poche modifiche di scarso
rilievo, in parte dettate dall’opportunità di adattare la
disciplina in questione all’evoluzione tecnologica. Tra
queste differenze, si segnala l’ampliamento dell’elenco
dei supporti che non sono soggetti all’apposizione del
contrassegno, un elenco che comprende ora “i supporti
di lavoro realizzati dai disk jockey in possesso di
specifica autorizzazione della S.I.A.E. per lo svolgimento
della propria attività professionale” (art. 7, comma 3), “i
supporti allegati ad opere librarie i quali riproducono in
tutto o in parte il contenuto delle opere stesse ovvero
sono ad esse accessori … purché non commerciabili
autonomamente” (art. 7, comma 4) e “i libri o altri
prodotti editoriali a stampa contenenti microchip, sonori
o musicali strettamente legati alla fruizione dell’opera
letteraria e che propongono una melodia, ovvero una
canzone e una narrazione vocale che accompagnano le
situazioni previste nello stesso prodotto editoriale” (art.
7, comma 5).
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5.
Diritto di seguito: pubblicata la lista degli artisti che non lo
hanno ancora rivendicato
La S.I.A.E. ha pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
(del 30 aprile 2009, n. 99, consultabile presso il sito
web http://www.gazzettaufficiale.it) l’elenco degli
autori che non hanno ancora provveduto a rivendicare
i diritti di seguito a loro spettanti, ai sensi degli artt.
144-145 della legge sul diritto d’autore (l. 633/1941).
Come è noto, gli autori di opere dell’arte figurativa e di
manoscritti (o i loro eredi) hanno diritto a percepire una
quota del prezzo di ogni vendita successiva alla prima
degli originali delle proprie opere: ciò a condizione che
almeno uno dei soggetti della vendita sia un operatore
professionale del mercato dell’arte (ad esempio, una
casa d’aste, una galleria, un commerciante di opere
d’arte, etc…). Nella lunghissima lista degli artisti che
ancora non si sono “fatti vivi” per riscuotere i compensi
spettanti a titolo di diritto di seguito, figurano numerosi
nomi illustri, tra cui quelli di Enrico Baj, Damien Hirst,
Giò Pomodoro, Willem de Kooning, Vanessa Beecroft e
Maurizio Cattelan.
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