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NEWSLETTER N°1 - 2010 STUDIO LEGALE VANZETTI & ASSOCIATI Milano - Venezia www.vanzettieassociati.it [email protected] 1 GIURISPRUDENZA LEGISLAZIONE 1. 1. Trib. Torino, 3 settembre 2008, ord. – Trib. Torino, 14 luglio 2008, ord. Pag. 4 Pag. 12 Imitazione cinese di automobili europee: il caso Panda. Legislazione italiana: le modifiche apportate dalla legge 99/09 (c.d. “legge sviluppo”) al Codice della Proprietà Industriale e al Codice Penale. 2. 2. Trib. Milano, 30 giugno 2008, ord. – Trib. Milano, 24 ott. 2008, ord. Pag. 5 3. Il cuore nel marchio Lovable. 3. La Corte d’Appello di Milano sanziona l’imitazione servile delle borse Hermès App. Milano, 18 settembre 2008. Pag. 6 4. Il Tribunale di Milano tutela (ancora una volta) la birra americana “Budweiser”. Trib. Milano, 30 luglio 2008. Pag. 7 5. Contraffatto un brevetto di procedimento riguardante il recupero energetico di rifiuti. (segue) La tutela del made in Italy. Pag. 13 Legislazione europea: la nuova direttiva sul ravvicinamento delle legislazioni nazionali in materia di marchi d’impresa e il nuovo regolamento sul marchio comunitario. Pag. 14 4. È in vigore il nuovo regolamento sul contrassegno S.I.A.E.. Pag. 15 5. Diritto di seguito: pubblicata la lista degli artisti che non lo hanno ancora rivendicato. Pag. 16 Trib. Torino, 25 febbraio - 10 marzo 2009. Pag. 8 6. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato: alcuni provvedimenti in tema di pratiche commerciali scorrette. Pag. 9 2 GIURISPRUDENZA 1. Imitazione cinese di automobili europee: il caso Panda Trib. Torino, 3 settembre 2008, ord. – Trib. Torino, 14 luglio 2008, ord. La Great Wall “Peri”, automobile cinese riprodotta nella foto qui sotto, non circolerà sulle strade europee: almeno non per ora. Pochi mesi dopo aver proibito l’importazione in Italia di autovetture (cinesi) in tutto simili alla “Smart” (la “Noble” e la “Buble”: v. newsletter n. 1/2009), il Tribunale di Torino ha infatti ritenuto che la forma dell’utilitaria orientale costituisse violazione di quella – registrata come modello comunitario - della Fiat “Panda”, e ha dunque inibito in via cautelare ogni attività di promozione e di commercializzazione della “Peri” nel territorio dell’Unione Europea (misura confermata in sede di reclamo). A questa decisione i Giudici torinesi sono giunti rilevando che il carattere individuale della “Panda” è “costituito dal design generale della stessa”: e una simile considerazione, ha argomentato il Tribunale di Torino, impone di concludere che le differenze presenti nel modello cinese (riguardanti in particolare il gruppo ottico anteriore) “non costituiscono altro che … ritocchi di dettaglio, … inidonei a produrre nell’utilizzatore informato una impressione generale diversa rispetto” alla citycar italiana. Come è stato efficacemente osservato dalla Sezione specializzata torinese, l’impressione prodotta dalla “Peri” non è infatti “quella di un’autovettura differente, ma quella di una ‘Panda’ con un frontale differente, che è cosa ben diversa”. Great Wall “Peri” Fiat “Panda” 4 2. Il cuore nel marchio Lovable Trib. Milano, 30 giugno 2008, ord. – Trib. Milano, 24 ott. 2008, ord. La rinomanza acquisita da un marchio complesso non si estende in via automatica a tutti gli elementi di cui sia composto, e in particolare non si estende agli elementi caratterizzati da una “debole originaria capacità distintiva”. Sulla base di questo argomento, il Tribunale di Milano ha escluso, in sede cautelare, che vi sia interferenza tra un noto marchio composto dalla figura di un cuore e da un elemento denominativo (fig. 1) e un marchio posteriore costituito dal disegno di un cuore con inscritta una lettera “p” (fig. 2), entrambi utilizzati per contraddistinguere abbigliamento intimo femminile. Ad avviso del Tribunale, il cuore di cui era stata invocata la tutela - sia per la modalità banale e convenzionale di rappresentazione sia in considerazione della circostanza che si tratta di un’immagine largamente utilizzata “in tutti i generi merceologici ed in particolare nel settore dell’abbigliamento al fine di evocare impressioni di intimità, affettività, seduzione” era infatti dotato di scarsa capacità distintiva originaria; cosicché – non essendo stato provato che il cuore stesso avesse nel tempo acquisito una più spiccata capacità distintiva - i Giudici milanesi hanno negato la proteggibilità del segno figurativo. Fig. 1 Fig. 2 5 3. La Corte d’Appello di Milano sanziona l’imitazione servile delle borse Hermès App. Milano, 18 settembre 2008 La Sezione Specializzata della Corte d’Appello di Milano ha confermato le sentenze (Trib. Milano, 14 e 17 luglio 2006, entrambe pubblicate in Giur. ann. dir. ind., 2006, pp. 860 ss.) che avevano stabilito costituire atti di concorrenza sleale per imitazione servile la produzione e commercializzazione di borse di forma identica a quella di alcuni celebri modelli Hermès. A fondamento della propria decisione, i Giudici milanesi hanno posto il rilievo (già espresso dal Tribunale) secondo cui questi modelli sono immediatamente ricondotti dal pubblico alla casa di moda francese: un rilievo peraltro confortato dal fatto che, a decenni di distanza dalla loro creazione, essi sono ancora noti con il nome originariamente attribuito dalla maison (la “Kelly”, la “Birkin” e così via). Sul punto, la Corte d’Appello ha in particolare osservato che, “quando sui giornali, sulle riviste, nei programmi televisivi o al cinema si parla di questo o di quel modello Hermès, il nome della borsa è immancabilmente accostato all’immagine della borsa stessa, cosicché non può sostenersi che i nomi delle borse rappresentino per il pubblico qualcosa di astratto non collegato ad una immagine o forma ben determinata”. Quanto al fatto che Hermès avesse in passato registrato come modelli ornamentali la forma di alcune delle borse imitate, e che queste registrazioni fossero tuttavia scadute, i Giudici milanesi hanno rilevato che “la disciplina della concorrenza sleale ha chiara funzione integratrice della tutela dei diritti assoluti spettanti in forza di altre norme di legge”. E che, pertanto, “la cessazione d’efficacia nel tempo della registrazione dei modelli o disegni … non fa venire meno il divieto dell’imitazione servile delle caratteristiche esteriori non generalizzate, le quali, proprio perché distintive, servono ad individuare e a differenziare un determinato prodotto davanti alla clientela cui è destinato”. La “Kelly” La “Birkin” 6 4. Il Tribunale di Milano tutela (ancora una volta) la birra americana “Budweiser” Trib. Milano, 30 luglio 2008 Il Tribunale di Milano si è nuovamente pronunciato in relazione al marchio “Budweiser”, utilizzato per contraddistinguere una nota birra americana (si veda Trib. Milano 26 novembre 1998, in Giur. ann. dir. ind., 1998, pp. 922 ss.), per il quale - nel caso che qui si segnala – è stata invocata tutela dal titolare e dal licenziatario italiano, a fronte dell’utilizzo del marchio stesso da parte degli importatori e distributori italiani di una birra ceca. Del segno “Budweiser” – e più precisamente del diritto di usarlo per contraddistinguere birra - la giurisprudenza italiana si è invero già più volte occupata (si vedano le pronunce, sempre favorevoli al titolare americano del marchio, rese da Cass. n. 13168/02, in Giur. ann. dir. ind., 2002, pp. 23 ss., da App. Milano, 1° dicembre 2000, ivi, 2001, pp. 513 ss., e da Trib. Milano, 26 novembre 1998, ivi, 1998, pp. 992 ss.; da App. Roma, 5 marzo 2007, ivi, 2007, pp. 721 ss., e Trib. Roma, 17 maggio 2005, ivi, 2005, pp. 902 ss.; nonché da Trib. Firenze, 16 ottobre 2009, di prossima pubblicazione sulla medesima Rivista). Il Tribunale di Milano ha ora ribadito che i marchi apposti sulle birre importate costituiti dall’espressione “Budweiser Budvar” e da vari elementi figurativi - sono privi di novità, essendo elemento dominante in questi segni proprio la parola “Budweiser”; e che il loro uso costituisce sia contraffazione del marchio anteriore “Budweiser” sia atto di concorrenza sleale. Determinante è una affermazione del Tribunale relativa alla convalida dei marchi contestati, eccepita dagli importatori ai sensi dell’art. 28 c.p.i.. I Giudici milanesi hanno al riguardo precisato che questa eccezione può essere sollevata solo dal titolare dei marchi posteriori e non anche dal licenziatario degli stessi o dai distributori dei beni contraddistinti dai marchi in questione. Budweiser Budweiser Budvar 7 5. Contraffatto un brevetto di procedimento riguardante il recupero energetico di rifiuti Trib. Torino, 25 febbraio - 10 marzo 2009 Con la sentenza che si segnala, il Tribunale di Torino ha accertato la validità e la contraffazione della frazione italiana di un brevetto europeo rivendicante un “procedimento per il recupero energetico da rifiuti”, e – precisamente - un procedimento per la produzione di combustibile da rifiuti solidi urbani indifferenziati (CDR), che sfrutta il processo di fermentazione aerobica dei rifiuti stessi per conseguirne l’essiccazione. Il Tribunale – applicando il consolidato principio secondo il quale “per aversi contraffazione, non è necessaria una precisa riproduzione ed applicazione dell’idea inventiva in tutti i suoi elementi, anche se accessori o secondari, ma è sufficiente che si attuino gli elementi essenziali e caratteristici dell’idea” – ha ritenuto che la pubblicizzazione di un procedimento per il trattamento biologico dei rifiuti da parte di una delle due società convenute, nonché la realizzazione da parte della stessa società di un impianto in grado di attuare tale procedimento per conto dell’altra società convenuta, costituisse violazione del brevetto nonostante l’allegata assenza nel procedimento contestato di una fase finale bensì menzionata nel brevetto, ma giudicata meramente aggiuntiva ed opzionale. La decisione del Tribunale di Torino si segnala anche per aver riconosciuto la contraffazione del brevetto fatto valere in giudizio sulla base della circostanza che l’impianto della convenuta risultava “idoneo a realizzare il procedimento brevettato”, nonostante lo stesso fosse in concreto impiegato per la produzione di un materiale diverso dal CDR. Il principio che è stato enunciato al riguardo dal Tribunale è il seguente: la realizzazione di un impianto idoneo ad attuare un altrui brevetto di procedimento integra di per sé contraffazione ai sensi dell’art. 66 c.p.i.. 8 6. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato: alcuni provvedimenti in tema di pratiche commerciali scorrette Con i decreti legislativi n. 145 e n. 146 del 2 agosto 2007, il legislatore italiano ha dato attuazione alle direttive comunitarie 2006/114/CE e 2005/29/CE. In particolare il d.lgs. n. 145/07, che ha abrogato la disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa contenuta nel Codice del Consumo, regola i rapporti tra imprenditori in materia – appunto - di pubblicità ingannevole e comparativa; e il d.lgs. n. 146/07 (che ha sostituito gli artt. 18-27 del Codice del Consumo, introducendovi gli artt. 27-bis, ter e quater) disciplina i rapporti fra imprenditori (chiamati, peraltro impropriamente, “professionisti”) e consumatori, sanzionando le “pratiche commerciali scorrette … poste in essere prima, durante o dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto” (art. 1). Rispetto alla normativa precedente i poteri dell’Autorità Garante, sia in relazione alle pratiche commerciali scorrette sia alla pubblicità ingannevole e comparativa, sono stati rafforzati. L’Autorità Garante può infatti oggi avviare i procedimenti anche d’ufficio, e ha ampi poteri investigativi, che comprendono la possibilità di accedere a qualsiasi documento pertinente; di richiedere a chiunque informazioni e documenti rilevanti con la facoltà di sanzionare l’eventuale rifiuto o la trasmissione di informazioni e documenti non veritieri; di effettuare ispezioni, di avvalersi della Guardia di Finanza; e di disporre perizie. In entrambi i decreti legislativi è stato poi previsto l’istituto degli “impegni”: salvi i casi di manifesta scorrettezza e gravità, l’Autorità Garante potrà rinunciare all’accertamento dell’infrazione, a fronte dell’impegno dell’impresa a eliminare i profili di illegittimità riscontrati nella pubblicità o nella pratica commerciale scorretta. Si segnalano qui di seguito alcuni provvedimenti che l’Autorità Garante ha adottato in applicazione della nuova disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette (d.lgs. 146/2007). a) l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato, d’ufficio, un procedimento conclusosi con il riconoscimento dell’ingannevolezza delle pratiche poste in essere da una società di trasporti marittimi. Dopo aver disposto la sospensione in via cautelativa del messaggio promozionale “Vai in Sardegna o Corsica. TORNI GRATIS*”, diffuso da questa società su giornali a tiratura nazionale, cartelloni pubblicitari e sul proprio sito internet, con provvedimento del 5 novembre 2008 l’Autorità ha condannato la compagnia marittima al pagamento della cospicua sanzione di 370.000,00 € per essersi resa responsabile del compimento di diverse pratiche, tutte giudicate ingannevoli. L’offerta in questione presentava infatti diverse limitazioni, non immediatamente percepibili dal destinatario del messaggio “in quanto richiamate solo dal segno grafico asterisco”, tra le quali – in particolare – l’obbligo di comunque corrispondere (a dispetto della dichiarata gratuità del servizio di trasporto) tasse, diritti e supplementi, e la proposta di adesione alla polizza assicurativa “annullamento viaggi”, che “non si realizzava tramite una dichiarazione espressa bensì attraverso un meccanismo di silenzio assenso da parte del consumatore, chiamato a rinunciare alla clausola assicurativa mediante lo spostamento dell’apposito segno grafico nella casella predisposta per la rinuncia all’acquisto di detto servizio accessorio”. Queste limitazioni, ad avviso dell’Autorità Garante, “rendevano di fatto oneroso, e non gratuito, per il consumatore, il viaggio di ritorno … [dalla Sardegna o dalla Corsica, n.d.r.], riducendo sostanzialmente sia la portata che la convenienza dell’offerta anche rispetto a proposte alternative della stessa compagnia”. L’Autorità Garante ha dunque ritenuto che il claim “Vai in Sardegna o Corsica. TORNI GRATIS*” violasse il Codice del Consumo in numerosi punti: anzitutto, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lettere b) e d), il messaggio pubblicitario è qualificabile come pratica commerciale ingannevole poiché il consumatore è indotto in errore sulla disponibilità, sui vantaggi o i rischi del servizio offerto, e sul suo prezzo; in secondo luogo, realizza un’omissione ingannevole secondo quanto disposto dall’art. 22, commi 1 e 2, poiché non fornisce le informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno per prendere la sua decisione; infine viola l’art. 23, comma 1, lettere e) e v) in quanto il professionista invita all’acquisto di un prodotto - il viaggio di ritorno – a condizioni (nel caso di specie, gratuitamente) che sa di non poter rispettare. È di qualche interesse segnalare che la legge n. 99 del 23 giugno 2009 ha introdotto nel Codice del Consumo, all’art. 22-bis, una specifica (ed alquanto singolare) normativa in materia di pubblicità ingannevole delle compagnie marittime: “(Pubblicita` 9 ingannevole delle tariffe marittime). È considerata ingannevole la pubblicità che, riguardando le tariffe praticate da compagnie marittime che operano sul territorio italiano direttamente o in code-sharing, reclamizzi il prezzo del biglietto dovuto alla compagnia marittima separatamente dagli oneri accessori, dalle tasse portuali e da tutti gli oneri comunque destinati a gravare sul consumatore, dovendo la compagnia marittima pubblicizzare un unico prezzo che includa tutte queste voci”. b) L’invio - da parte di alcuni dei più importanti gestori di telefonia mobile italiani nonché di altri professionisti - di SMS che invitano la clientela a chiamare numeri speciali a sovrapprezzo con prefisso 899, adducendo l’esistenza di un messaggio vocale personale in una segreteria telefonica (circostanza non vera), deve essere considerato una pratica commerciale scorretta: così ha disposto l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (provvedimento n. 19087 del 9 ottobre 2008), intervenuta su segnalazione di alcune associazioni di consumatori e di singoli utenti. Per l’Autorità questa condotta viola numerose disposizioni del Codice del Consumo. Essa è in contrasto con gli artt. 20, 21 e 22 perché non esiste alcun servizio di segreteria e il messaggio SMS non precisa quale sia la finalità della pratica commerciale; costituisce pratica commerciale aggressiva, ai sensi degli artt. 24 e 25, in quanto limita la libertà di scelta dell’utente attraverso un indebito condizionamento; infine contrasta con il disposto dell’art. 26, lettera f), che considera aggressiva la condotta del professionista che esiga il pagamento immediato o differito di servizi da lui forniti ma che il consumatore non ha richiesto. L’Autorità Garante ha irrogato sanzioni amministrative, da 15.000,00 € fino a 100.000,00 €, nei confronti delle società coinvolte. c) L’Autorità Garante ha inibito e sanzionato alcune pratiche commerciali poste in essere da Trenitalia: si tratta, in particolare, di pratiche riguardanti il riconoscimento e la corresponsione del bonus dovuto al viaggiatore in caso di ritardo del treno, la limitazione dei posti disponibili per alcune tariffe scontate e l’omissione di informazioni relative a queste tariffe, l’onerosità dei servizi erogati dal call center telefonico, le omissioni informative sulle caratteristiche tecniche dei treni, nonché sul programma di fidelizzazione denominato “Cartaviaggio”. Ad avviso dell’Autorità Garante la condotta di Trenitalia – idonea a falsare il comportamento del consumatore medio e ad indurlo ad assumere decisioni che non avrebbe altrimenti preso costituisce pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del Consumo. Ad esempio - quanto ai servizi fruibili attraverso il call center, caratterizzati da un significativo sovrapprezzo - è stato rilevato che alcuni di essi non sono accessibili ricorrendo al canale tradizionale delle biglietterie e delle agenzie: e ciò, secondo l’Autorità Garante, impone ai consumatori “un onere economico aggiuntivo per l’esercizio di una serie di facoltà e diritti del consumatore”, il quale contrasta con gli artt. 20, comma 2, e 21, comma 1, lettere b) e g) del Codice del Consumo. 10 LEGISLAZIONE 1. Legislazione italiana: le modifiche apportate dalla legge 99/09 (c.d. “legge sviluppo”) al Codice della Proprietà Industriale e al Codice Penale È entrata in vigore il 15 agosto 2009 la legge n. 99 del 23 luglio 2009, recante “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia” (il testo integrale è consultabile all’URL: www.parlamento.it/parlam/leggi/09099l. htm). Sono molte le novità previste dal provvedimento: e - ciò che più interessa qui - numerose sono quelle relative alla tutela, civile e penale, dei diritti di proprietà industriale (e intellettuale). Quanto alle modifiche apportate alla disciplina civilistica, si segnalano: 1) il potere del Giudice di sospendere, in pendenza del procedimento di registrazione o di brevettazione, il giudizio di contraffazione o di nullità promosso appunto sulla base di un titolo in corso di concessione (art. 120 c.p.i.); 2) l’introduzione nell’art. 47 c.p.i. del comma 3-bis, ai sensi del quale, “per i brevetti di invenzione e per i modelli di utilità, il deposito nazionale in Italia dà luogo al diritto di priorità anche rispetto a una successiva domanda nazionale depositata in Italia, in relazione a elementi già contenuti nella domanda di cui si rivendica la priorità” (c.d. priorità interna); 3) il reinserimento nel c.p.i., senza modifiche di rilievo, dei commi 2° e 3° dell’art. 245 (in materia di competenza delle Sezioni Specializzate in proprietà industriale e intellettuale), precedentemente dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla Corte Costituzionale per violazione dell’art. 76 Cost. (e, in particolare, per eccesso di delega) con le sentenze n. 112 del 14 aprile-24 aprile 2008 (relativa al 2° comma) e n. 123 del 22 aprile-30 aprile 2009 (relativa al 3° comma); 4) la riformulazione dell’art. 239 c.p.i., che ora dispone: “La protezione accordata ai disegni e modelli ai sensi dell’articolo 2, numero 10), della legge 22 aprile 1941, n. 633, non opera nei soli confronti di coloro che, anteriormente alla data del 19 aprile 2001, hanno intrapreso la fabbricazione, l’offerta o la commercializzazione di prodotti realizzati in conformità con disegni o modelli che erano oppure erano divenuti di pubblico dominio. L’attività in tale caso può proseguire nei limiti del preuso. I diritti di fabbricazione, di offerta e di commercializzazione non possono essere trasferiti separatamente dall’azienda”; 5) l’istituzione del Consiglio nazionale anticontraffazione, presieduto dal Ministro dello sviluppo economico (o da un rappresentante da lui designato), con funzioni di indirizzo, impulso e coordinamento delle azioni strategiche intraprese da ogni amministrazione, al fine di migliorare l’insieme dell’azione di contrasto della contraffazione a livello nazionale. Deve poi rilevarsi che l’art. 19, comma 15, della l. 99/09 conferisce delega al Governo ad adottare, entro il 15 agosto 2010, disposizioni correttive o integrative del Codice della proprietà industriale. Per ciò che riguarda la tutela penale, da un lato la l. 99/09 ha inasprito le sanzioni già previste dal Codice penale per i reati di contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni (art. 473 c.p.) e di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.); e dall’altro ha sia introdotto, all’art. 517-ter c.p., il reato di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale, sia - con l’art. 517-quater c.p. - attribuito rilevanza penale alla contraffazione di indicazioni geografiche e denominazioni di origine di prodotti agroalimentari. La l. 99/09 ha inoltre apportato alcune modifiche alla disciplina del made in Italy (e in particolare all’art. 4, comma 49, della legge finanziaria del 2004): a soli due mesi dalla loro entrata in vigore, tuttavia, queste modifiche sono state abrogate dal d.l. n. 135 del 25 settembre 2009 (sul quale v. la pagina seguente). 12 2. (segue) La tutela del made in Italy La disciplina delle indicazioni di provenienza o di origine dei prodotti è stata negli ultimi anni oggetto di numerosi provvedimenti legislativi. E, recentemente, il legislatore è nuovamente intervenuto nella materia: dapprima con la l. 99/09 (v. supra), che modificava l’art. 4, comma 49, della Legge Finanziaria 2004, prevedendo tra le ipotesi di false o fallaci indicazioni di provenienza punibili penalmente (ex art. 517 c.p.) anche “l’uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine senza l’indicazione precisa, in caratteri evidenti, del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione o di produzione, o altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro origine estera” e stabilendo che “le false e le fallaci indicazioni di provenienza o di origine non possono comunque essere regolarizzate quando i prodotti o le merci siano stati già immessi in libera pratica”; e, appena due mesi dopo, con il d.l. n. 135 del 25 settembre 2009 (c.d. “decreto Ronchi”, convertito, con modificazioni, nella legge 20 novembre 2009, n. 166), che ha abrogato queste disposizioni per sostituirle con altre, di portata sostanzialmente analoga, e tuttavia presidiate da sanzioni amministrative anziché penali. Il decreto Ronchi ha infatti aggiunto all’art. 4 della Legge Finanziaria 2004 il comma 49-bis, ai sensi del quale “costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto …. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000”; e il comma 49-ter, per il quale “è sempre disposta la confisca amministrativa del prodotto o della merce di cui al comma 49-bis, salvo che le indicazioni ivi previste siano apposte, a cura e spese del titolare o del licenziatario responsabile dell’illecito, sul prodotto o sulla confezione o sui documenti di corredo per il consumatore”. Penalmente rilevante, dispone l’art. 16, comma 4, del decreto Ronchi, è invece la condotta di “chi fa uso di un’indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale «100% made in Italy», «100% Italia», «tutto italiano», in qualunque lingua espressa, o altra che sia analogamente idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione, al di fuori dei presupposti previsti” dal medesimo decreto Ronchi: condotta, questa, punita con le pene previste dall’articolo 517 c.p., aumentate di un terzo. Ai sensi dell’art. 16, comma 1, del d.l. 135/09, si considera “realizzato interamente in Italia [e quindi presentabile al pubblico come «100% made in Italy», n.d.r.] il prodotto o la merce, classificabile come made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano”. Deve infine segnalarsi la recente approvazione della Legge 8 aprile 2010, n. 55 (in vigore dal 6 maggio 2010), che ha introdotto nel settore tessile, calzaturiero e della pelletteria un sistema di “etichettatura obbligatoria … che evidenzi il luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione e assicuri la tracciabilità dei prodotti stessi” (art. 1, 1° comma), e in particolare l’obbligo, per i prodotti privi dei requisiti per l’uso della dicitura “made in Italy”, di una “etichettatura con l’indicazione dello Stato di provenienza” (art. 1, 10° comma). 13 3. Legislazione europea: la nuova direttiva sul ravvicinamento delle legislazioni nazionali in materia di marchi d’impresa e il nuovo regolamento sul marchio comunitario Il 28 novembre 2008 è entrata in vigore la nuova Direttiva europea sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa Direttiva n. 2008/95/CE del 22 ottobre 2008 -, che ha abrogato la precedente Direttiva n. 89/104/CEE. Come si legge nel considerando n. 1, l’emanazione della nuova direttiva, che non ha mutato la disciplina previgente, si è resa opportuna a seguito delle molte modifiche intervenute sul testo della Direttiva 89/104/CEE, e risponde ad “esigenze di razionalità e chiarezza”. Il 13 aprile 2009 è poi entrato in vigore anche il nuovo Regolamento sul marchio comunitario: Regolamento (CE) n. 207/2009 del 26 febbraio 2009, che ha abrogato il precedente Regolamento (CE) n. 40/94 del 20 dicembre 1993. Anche in questo caso si è trattato di un mero riordino delle disposizioni contenute nel previgente testo normativo, che aveva subito nel corso degli anni numerosi e sostanziali interventi di modifica (c.d. ricodificazione). 14 4. È in vigore il nuovo regolamento sul contrassegno S.I.A.E. Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 31 del 23 febbraio 2009 ha abrogato il d.p.c.m. n. 338 dell’11 luglio 2001, in materia di contrassegni S.I.A.E.. La disciplina di questi contrassegni - che ai sensi dell’art. 181-bis della legge sul diritto d’autore (legge 22 aprile 1941, n. 633) devono essere apposti su ogni supporto contenente suoni, voci o immagini in movimento - è dunque oggi contenuta nel nuovo regolamento, che dal previgente si distingue per poche modifiche di scarso rilievo, in parte dettate dall’opportunità di adattare la disciplina in questione all’evoluzione tecnologica. Tra queste differenze, si segnala l’ampliamento dell’elenco dei supporti che non sono soggetti all’apposizione del contrassegno, un elenco che comprende ora “i supporti di lavoro realizzati dai disk jockey in possesso di specifica autorizzazione della S.I.A.E. per lo svolgimento della propria attività professionale” (art. 7, comma 3), “i supporti allegati ad opere librarie i quali riproducono in tutto o in parte il contenuto delle opere stesse ovvero sono ad esse accessori … purché non commerciabili autonomamente” (art. 7, comma 4) e “i libri o altri prodotti editoriali a stampa contenenti microchip, sonori o musicali strettamente legati alla fruizione dell’opera letteraria e che propongono una melodia, ovvero una canzone e una narrazione vocale che accompagnano le situazioni previste nello stesso prodotto editoriale” (art. 7, comma 5). 15 5. Diritto di seguito: pubblicata la lista degli artisti che non lo hanno ancora rivendicato La S.I.A.E. ha pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (del 30 aprile 2009, n. 99, consultabile presso il sito web http://www.gazzettaufficiale.it) l’elenco degli autori che non hanno ancora provveduto a rivendicare i diritti di seguito a loro spettanti, ai sensi degli artt. 144-145 della legge sul diritto d’autore (l. 633/1941). Come è noto, gli autori di opere dell’arte figurativa e di manoscritti (o i loro eredi) hanno diritto a percepire una quota del prezzo di ogni vendita successiva alla prima degli originali delle proprie opere: ciò a condizione che almeno uno dei soggetti della vendita sia un operatore professionale del mercato dell’arte (ad esempio, una casa d’aste, una galleria, un commerciante di opere d’arte, etc…). Nella lunghissima lista degli artisti che ancora non si sono “fatti vivi” per riscuotere i compensi spettanti a titolo di diritto di seguito, figurano numerosi nomi illustri, tra cui quelli di Enrico Baj, Damien Hirst, Giò Pomodoro, Willem de Kooning, Vanessa Beecroft e Maurizio Cattelan. 16 STUDIO LEGALE VANZETTI E ASSOCIATI MILANO, 20122 - Via Daverio n. 6 - Tel.: +39.02.898295 - Fax: +39.02.55019030 VENEZIA MESTRE, 30171 - Via Allegri n. 9 - Tel.: +39.041.984786 www.vanzettieassociati.it [email protected] 17