IL MEDIOEVO CHIUSINO

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IL MEDIOEVO CHIUSINO
IL MEDIOEVO CHIUSINO
Di Stefano Bistarini e Francesco Reali
Lo splendore della Chiusi Longobarda
Paradossalmente, con le invasioni barbariche l'importanza di Clvsivm crebbe notevolmente, atteso che per proteggersi
dalle invasioni fu distrutto il ponte sul Tiber della Via Flaminia presso Otricoli all'inizio del V secolo, interrotta (anche
in altri tratti), e che l'Aurelia era in buona parte impraticabile, cosicché la Cassia Vetus, più volte ristrutturata, e la Via
Amerina con l’Aureliana tornarono in grande auge, e con loro Clvsivm. La Città ebbe un periodo florido sotto
Odoacre e, successivamente, sotto Teodorico e i loro successori. Basta pensare che il re Vitige la fece presidiare dal
suo più valente generale : Gibimere. Con la disfatta dei Goti (553), ad opera delle truppe greche di Belisario, presso il
Trasimeno, essendo Clvsivm il quartier generale e la capitale dei gerarchi goti, la città (quantomeno la parte
sommitale) subì devastazioni, ma fu immediatamente ricostruita dai Bizantini che ne fecero la capitale di una
Prefettura; e fu subito restaurata la Cattedrale (che era stata data alle fiamme), con il supporto delle nuove autorità
facenti capo a Bisanzio, grazie al vescovo Florentinus (ricordato in un pulvino del nuovo Duomo [VI sec.] e nel
Decretum di Graziano da Chiusi [XII sec.]), in stile bizantino, quasi identica ma di più ridotte dimensioni, a quella di
S. Apollinare in Classe a Ravenna.
A partire dal 569-570, sotto la dominazione longobarda, per alcuni secoli Clvsivm toccò il massimo splendore. La
città divenne sede di Ducato, uno dei primi nel suolo italico, essendo Faolfo – il celebre “longobardo d'oro” ritrovato
nel sec. XVIII, vissuto a cavallo dei sec. VI-VII – un probabile Duca chiusino [. Il Ducato si espanse notevolmente
durante il secolo VII, anno in cui fu fondata Clusii novi (Chiusi della Verna) che con la Clvsi vetere segnavano i limiti
occidentali dei confini del Ducato clvsino, infatti erano rispettivamente al confine con il Ducato di Lucca e con il
corridoio bizantino. Tra la fine del secolo VI e la prima metà di quello successivo il Ducato di Clvsivm (Tuscia
Longobardorum centro meridionale) si estendeva dal colle di Camaldoli a Nord, sino al lago di Vico a Sud,
comprendendo il Casentino, l'area aretina (il vescovo ariano di Arezzo dipendeva dalle gerarchie longobarde clvsine) e
cortonese, parte dell'odierna Provincia di Perugia ( Castiglione chiusino, Paciano, Piegaro, S. Arcangelo, Agello, S.
Venanzo, Mugnano, S. Biagio della Valle, Castrum Plebis e Montegabbione, tutto il Chiugi poi detto “perugino”, ecc.),
parte dell'odiena provincia di Terni, come Orvieto, l'alto Lazio (l'odierna “Tuscia”) e tutta la Maremma; la spopolata
diocesi di Populonia era il confine tra Tuscia lucchese e Tuscia clvsina.
E' attestata la presenza di un vescovo metropolita (“Ecclesio”), a Clvsivm, alla fine del sec. VI, omaggiato dal vescovo
di Roma e da altri vescovi del circondario.
Il sec. VIII fu ancora più rigoglioso per Clvsivm, per la sua posizione strategica ai confini del corridoio bizantino,
utilizzata come quartier generale per le campagne militari volte alla conquista di territori bizantini, verso Roma. I
documenti dell'VIII secolo attestano una città centrale per un vasto territorio, con una densità abitativa elevata e una
cultura e civiltà di tipo superiore, sede di svariati studi notarili, di avvocati in quanto sede giudiziaria di I e di II grado,
anche ecclesiastica, e di medici di professione. Questo è il periodo dei Duchi Gregorio e Agiprando, nipoti del re
Liutprando.Nel 746 il Re longobardo Rachis spostò la capitale del Regnum Italiae a Clvsivm, per via della minaccia
dei Franchi che avevano superato lo scoglio delle dighe alpine (create dai Longobardi per difesa militare), in
particolare in Val di Susa, avendo così facile accesso al suolo italico, richiamati dal pontefice romano; la storica
capitale Pavia, a ridosso delle Alpi, era così un facile bersaglio per i Franchi, e parimenti Lucca si trovava subito dopo
alcuni valichi appenninici, quindi per questo Clvsivm fu prescelta, tra l'altro il luogo ideale per tenere sotto controllo il
corridoio bizantino, che univa l'Esarcato di Ravenna a Roma.
La dominazione Franca: dal Ducato al Gastaldato
Quando arrivarono i franchi di Carlo Magno era duca Regimbaldo che è ricordato soprattutto per aver organizzato nel
776, insieme ad Arichi duca di Benevento, Radagaiso duca del Friuli, Ildebrando duca di Spoleto e Leone I
arcivescovo di Ravenna una lega antipapale e anti franca.
Con la nuova dominazione franca (dal 774), a Clvsivm non cambiò nulla, fatta eccezione per gli atti notarili in cui
viene richiamata l'autorità Carolus (Carlo Magno) anziché di un Re longobardo, e convivono popolazioni di origine
longobarda, salica e etrusco-romana, con l'applicazione di tre diverse leggi, così che i giuristi (advocati, iudices,
notarii, ecc.) dovevano cimentarsi un una quantità enorme di raccolte di leggi e di consuetudini per stare al passo.
Convivevano anche ariani e cattolici – le due basiliche di Santa Mustiole e di San Secondiano lo dimostrano. A
Clvsivm così come a Spoleto rimase il Duca longobardo, affiancato da un Gastaldo salico, diretto fiduciario di Carlo
Magno che sovrintendeva la riscossione dei tributi. Paradossalmente, la conquista franca agevolò le storiche famiglie
longobarde di Clvsivm in quanto non esistendo più le truppe bizantine negli abbandonati castellari militari, che
proteggevano il corridoio nei crinali era più facile da parte dei gerarchi longobardi avventurarsi alla conquista e
all'annessione di nuovi territori al Ducato, con campagne militari verso Sud, talvolta giungendo sino a Roma, più
sguarnita. Pertanto, per limitare ciò, anche su sollecito del vescovo di Roma che richiamò Carolus contro il Duca di
Clvsivm, si cominciò la frammentazione del Ducato longobardo chiusino, specie sotto Ludovico il Pio. Dalla prima
metà del secolo IX, pertanto, Clvsivm cessa di essere un Ducato (a differenza di Spoleto e Benevento) e rimane a tutti
gli effetti un Gastaldato, stavolta nelle mani del solo Gastaldo salico, alle dirette dipendenze del neo costituito
Imperatore. I confini del Gastaldato erano ridotti a quelli dall'antica Lucumonia poi Municipium poi Prefettura, ma
ancora il vescovo di Clvsivm era un primate rispetto a molti vescovi del circondario, considerato che per secoli la città
era stata sede di Ducato di cui manteneva le strutture.
Chiusi Capitale della Parte Merdidionale del Marchesato e le Prime Guerre con Perugina e Orvieto
Dopo la caduta dell'organizzazione salica, sul finire del sec. IX, Clvsivm diventa la sede di un Gastaldo fedele al
neocostituito Marchesato di Toscana, con sede a Lucca. Clvsivm era la capitale della parte meridionale della Tuscia
(Marchesato di Toscana), essendo contesi tra il Patrimonio romano e i territori chiusini-lucchesi quelli compresi tra il
lago di Vico e il fiume Paglia, Orvieto compreso, che erano sotto il dominio di famiglie fedeli in parte al Marchesato,
che aveva come capoluogo Clvsivm in quei territori, e in parte al papa.
A partire dalla seconda metà del sec. X, tuttavia, per Clvsivm iniziano i primi problemi, in quanto la politica del
ricostituito Sacro Impero Germanico, sotto la dinastia ottoniana, è quella di indebolire il Marchesato, di cui aveva
paura, per ragioni politiche e specialmente militari, nonché per la paura di perdere la corona imperiale e per il
controllo delle vie d'accesso a Roma, che attraversavano l'Etruria, specie la Via Cassia che transitava per Clvsivm, la
via dell’Alpe di Serra e una via all'epoca secondaria detta Francigena o Romea. In effetti, controllare Roma
significava garantirsi la corona imperiale... E pertanto, l'impero germanico cominciò a mettere le comunità locali le
une contro le altre, indebolendo il suolo italico che nella prima metà del secolo X stava ricominciando ad
autogovernarsi, seppure con divisioni territoriali, sotto l'insegna del Regnum Italiae. Le spaccature volute dagli Ottoni
ebbero buon esito, e cominciarono così le guerre tra Clvsivm e Orvieto e tra Clvsivm e Perugia (che si era affrancata
dal Ducato di Spoleto e dal Marchesato di Toscana), guerre che furono difensive per Clvsivm che era coadiuvata da
una lega con Siena, Pisa e Arezzo e offensive per le altre due. Pertanto, a meno di venti chilometri a Sud di Clvsivm, si
creò un confine militare tra l'esercito della lega militare che sosteneva Clvsivm e la nascente città-stato di Orvieto,
affrancata da Clvsivm da Ottone II nella seconda metà del sec. X. Non di rado le truppe orvietane o perugine (il cui
confine era il Trasimeno) oltrepassavano i confini e conquistavano la sede di Contea, di Diocesi e di città giudiziaria di
Clvsivm, prendendo così il controllo della contea clusina attraverso famiglie fedeli in zone comitali.
Nel frattempo il Marchesato di Toscana, di cui faceva parte l'indebolita ma ancora importante Clvsivm, aveva spostato
la sua sede a Firenze, a partire dal 1001, dopo la morte di Ugo Marchio, e di lì a poco sarebbe stato inglobato
all'interno dello Stato dei Canossa, di grandissime dimensioni, che andava dal lago di Vico sino al territorio di
Mantova, futura capitale di questo Stato feudale.
Siamo nel pieno del feudalesimo, ma al contempo ci sono emergenti città-stato che lottano per essere autonome... e
Clvsivm rappresentava l'antica sede dei dominatori del territorio, anche dopo la creazione della piramide feudale
creata da Carlo Magno e quindi il suo possesso era di straordinaria importanza.
I Chiusini erano divisi in tre fazioni: coloro che volevano essere legati al mondo feudale del Marchesato, coloro che
volevano sottomettersi a Perugia o Orvieto, e coloro che volevano l'indipendenza.
Prevalse quest'ultima fazione, e molte famiglie (soprattutto appartenenti alla seconda fazione)furono costrette a
fuggire da Clvsivm e rifugiarsi nella vicina Orvieto, dove prepararono la vendetta.
Nel Pieno del Medioevo Chiusino: tra il Marchesato, il Papato, Orvieto e la Malaria
Per svariate ragioni, per lo più militari, non solo di carattere locale, all'alba della lotta per le investiture, al tempo del
papa tedesco Leone IX, tra il 1052 e il 1055 furono realizzare opere strategiche di carattere militare, tese a spaccare
vasti territori, sulla base di precisi progetti e volontà politiche. Uno di questi fu l'allagamento della Valle del Clanis,
che consentì di isolare Clvsivm attraverso la costruzione di una diga di mastodontiche dimensioni (21 metri alta, 120
metri larga e 8 metri di spessore) nella parte più stretta della Valle detta stretta di Olevole, pressappoco nel punto di
confine tra le antiche Lucumonie di Chiusi e di Orvieto. Allagata la Via consolare Cassia, la parte nevralgica e
industriale di Clvsivm che si trovava nel fondovalle lungo il Clanis Clvsivm rimase isolata, e indebolita essendo il suo
territorio spaccato in due.
Quindi, dopo il 1055, quando Orvieto costruì la diga del Murogrosso sul Clanis creando la fetida palude delle Chiane
che distrusse città (solo la città portuale di Chiusi e il porto di Montallese era abitata da decine di migliaia di persone)
e fece morire migliaia di persone con la malaria, Chiusi perse molta della grandezza che l’aveva vista a capo
dell’Etruria, vincitrice di Roma, Municipium romano e ducato Longobardo.
Nonostante che la popolazione della Città di Chiusi fosse eterogenea i soldati chiusini erano indomiti e non avevano
paura a combattere contro eserciti importanti come quelli del Piccinino, del Papa o del re di Napoli. Per ribadire il
loro potere sulle acque della palude dal 1055 in poi, la Domenica in Albis Deponendis di ogni anno, effettuavano il
cosiddetto sposalizio delle Chiane (ancora praticata anche se molto modestamente). Una cerimonia tipo quella di
Venezia con il Bucintoro, solo che qui venivano sposate le acque dolci e con più parsimonia e lì le acque del mare e
con cerimonie fastose. Come sappiamo Chiusi era un grande centro di cultura e nel XV secolo, nonostante la miseria e
le distruzioni, mantenne la tradizionale cultura emanando, ogni anno, un bando per chi volesse mandare i propri figli
alla “scuola del leggere e scrivere abbaco” (istituzione rimasta attiva fino agli anni settanta del secolo scorso. La
cultura del bello portò Chiusi a compiere azioni sublimi in un secolo orribile: Durante le feste per la Pasquetta rosata
(Pentecoste) i nobili designavano 12 fanciulle povere che si sfidavano in una gara di ballo e la vincitrice otteneva
come premio una dote e un “paio di scarpette pavonazze”.
Dalla seconda metà del secolo XI Clvsivm, sotto Matilde di Canossa, nonostante le spaccature del suo territorio, non
solo dovute all'artificiale impaludamento della valle, che interessava migliaia di ettari, sino quasi ad arrivare ad Arezzo
(le celebri Chiane, da cui Val di Chiana), riprese vigore e cominciò a rinforzarsi, con più grandi fortificazioni,
espansione urbanistica, e l'allargamento della cittadella vescovile, che prese il nome di Claustrum Sancti Secundiani
Clusini Episcopatus, una sede giudiziaria ecclesiastia di primaria importanza, dove nella prima metà del secolo
successivo operò Graziano da Chiusi, che divenne vescovo di tale città, autore della prima versione della celebre
Concordia discordantium canonum.
Nel 1111 la linea di confine tra papato e impero fu spostata a nord, e divise a metà la diocesi di Clvsivm .
Con la morte di Matilde di Canossa (1115) ebbe termine la gerarchia feudale e le città-stato dell'ex Marchesato di
Toscana divennero a tutti gli effetti liberi comuni. Quasi tutto il secolo XII è segnato da continui sconvolgimenti,
attorno a Clvsivm , ma la città che era sede di Contea e di Diocesi si rafforza, con alterne vicende, essendo il Vescovo
ancora Conte.
Tuttavia, alla fine del secolo XII arrivò la prima grande ondata di malaria dovuta alle Chiane e la città cominciò a
spopolarsi.
Dopo un periodo molto difficile in cui il capoluogo di Contea e Diocesi, spaccato da apposte fazioni e confini politici
che la dividevano, finalmente Clvsivm torna all'indipendenza nel 1137, riuscendo a cacciare la lega militare guelfa di
orvietani e perugini, dandosi un nuovo proprio Statuto. Alla fine del XII secolo, con la morte dell’imperatore del
Sacro Impero Germanico Enrico VI e a causa della malaria Chiusi si è però indebolita al punto da essere per
l’ennesima volta riconquistata dalla città-stato di Orvieto, mentre a Est delle Chiane i coloni della città-stato di Perugia
occupano l’area orientale della contea chiusina, il cosiddetto Chiugi perugino.
Il secolo XIII: i Guelfi e i Ghibellini
Nel 1200 il vescovo conte Gualfredo I [1200-1227], orvietano, aderì alla politica di papa Innocenzo III e partecipò ad
affogare nel sangue l’eresia dei Patarini che si erano stabiliti ad Orvieto e Chiusi. Contribuì, così, a far tornare al
potere in Orvieto la parte guelfa. In questa situazione Gualfredo capì che per mantenere sicuro il suo potere e
giurisdizione non poteva che legare la Città di Chiusi ad Orvieto. Però Ottone IV, in Foligno, il 13 Dicembre 1209, lo
riconobbe come “grande vassallo” alle dirette dipendenze dell’imperatore dimostrando così che, dopo aver aderito nel
1200 alla parte guelfa cioè della Chiesa che dominava Orvieto passò, nel 1209, a quella ghibellina, cioè con
l’imperatore. La rottura tra papa Innocenzo III e l’Imperatore Ottone IV portò, nel 1212, con la Dieta di Norimberga,
alla fine dell’imperatore che si vide deposto e sostituito con Federico II. Ottone IV morì nel 1218 e il vescovo
Gualfredo e la Città di Chiusi ne seguirono la sorte. Nel 1215 il vescovo Gualfredo fu rimosso da papa Innocenzo III
dalla sede vescovile di Chiusi perché ghibellino e sostituito con Ermanno I della famiglia orvietana dei Monaldeschi,
quindi guelfo. Non solo ma il papa Innocenzo III, prima di morire colpì la Città di Chiusi togliendole la giurisdizione
temporale di buona parte del suo territorio detto Chiugi(da Castiglione Chiusino a Montegabbione) e lo concesse a
Perugia. Morto finalmente Innocenzo III il suo successore Onorio III[1216-1227], pur con apprensione pensò che era
opportuno riammettere nella sede vescovile della Città di Chiusi Gualfredo che era notoriamente ghibellino e che,
essendosi posto sotto la protezione di Siena, aveva continuato ad esercitare le sue funzioni nonostante la presenza di
Ermanno. La decisione del papa, in quell’anno 1216, dipendeva anche dal fatto che la Diocesi di Chiusi era terra di
confine tra lo Stato Pontificio e l’Impero e una delle più contrastate come parte dell’eredità di Matilde di Canossa.
Scrive Jacomo Gori nella sua “Istoria della Città di Chiusi” che:L’anno 1228 i perugini ed orvietani con i Salimbeni
guelfi fuoriusciti da Siena e col favore del Papa andarono a porre assedio alla Città di Chiusi”. I senesi intervennero in
forze e ruppero l’assedio.
Nel 1230, Orvieto, alleata con le guelfe Firenze e Montepulciano, riuscì però a conquistare la libera ghibellina Città di
Chiusi e Andrea Jacobi della Ciaja,insediato di forza nella carica di podestà, giurò la sottomissione.
La città di Chiusi, nel 1230, fu governata dalla fazione guelfa con a capo Andrea Jacobi della Ciaja posto in
quell’ufficio , come già detto, dal Vescovo conte Ermanno II che aveva ripreso il potere e non lasciava la completa
autonomia al Comune.
Nel 1232 i Senesi, con i ghibellini esuli di Montepulciano, assediarono di nuovo il castello di Montepulciano. La
guelfa Firenze fece ritorsioni nel Chianti senese, ma Siena riuscì a collegarsi con i ghibellini della Città di Chiusi e con
tale esercito occupò Montepulciano e ne demolì la rocca e le mura castellane. A seguito di tali fatti Chiusi tornò ad
essere governata dai ghibellini che elessero Sindaco Ranieri Dei padre di Omodeo Dei (la cui famiglia era a capo della
fazione ghibellina della Città di Chiusi)
Nel 1235 Chiusi con il lodo del Cardinale Jacopo Colonna, legato del papa, fu costretta a sottomettersi ad Orvieto.
Il 13 Maggio 1250, presente il vescovo della Città di Chiusi Pietro III De Predio [1248 – 1260], Castel della Pieve si
concedette forzatamente a Perugia.
Quando la Città di Chiusi , tra il 1243 e il 1250, rimase in mano alle truppe imperiali comandate dal Capitano Simone
Estense, i ghibellini della Città di Chiusi si sentirono forti per la presenza degli imperiali e fecero un colpo di mano
togliendo al vescovo conte la giurisdizione temporale sulla Città e suo distretto e i beni che il vescovo aveva avuto
dall’antico feudatario Conte Manente II nel 1196 nonché quelli della Cattedrale di San Secondiano e della Basilica e
prepositura di Santa Mustiola. A causa di questo il Vescovo Pietro ebbe un grave contrasto con la Città che non voleva
restituire i beni e quindi le lanciò l’interdetto.
Purtroppo, in seguito alla morte dell’imperatore Federico II avvenuta il 13 Dicembre 1250, i guelfi della Città di
Chiusi uccisero molti tedeschi e ripresero il sopravvento nella Città. Comunque nemmeno i guelfi restituirono la
giurisdizione temporale e i beni al vescovo conte per cui la scomunica gravò sulla Città fino al 1302.
Nel 1261 dopo la vittoria dei ghibellini, compresi quelli Chiusini, a Monteaperti gli esuli ghibellini tornarono a
Chiusi, ma nel 1266, dopo la grave sconfitta subita dalla stessa fazione a Benevento e la morte di re Manfredi il
vescovo conte riprese il sopravvento. Questi, però, non ottenendo la restituzione dei beni usurpati mantenne
l’interdetto sulla Città.
Nel 1287 i ghibellini, che avevano ripreso il sopravvento in Arezzo, intervennero anche a Chiusi e cacciarono la parte
guelfa dalla Città.
Nel 1288, sulla via Romea, presso Radicofani, i militi chiusini catturarono due mercanti genovesi, Guglielmo di
Negrone e Obertino detto Stancone e li condussero in prigione a Chiusi. Il papa Niccolo IV ordinò al suo cappellano
Percivalle Vicario in Toscana di ordinare “ai predoni chiusini” di liberare i due genovesi, ma non ottenne quasi
certamente obbedienza e i prigionieri furono liberati altrettanto certamente a causa della sconfitta dei ghibellini
chiusini , guidati da Lapo Farinata degli Uberti, subita il 16 Agosto 1289.
I guelfi, forti della loro vittoria, si scatenarono contro i ghibellini nonostante l’esortazione alla pace tra le fazioni fatta
loro da papa Niccolo IV.
Tra i più accaniti fu Marco Saraceni pievano di San Martino super Clanas (Vicino a Mongiovino) che nel 1291 fu
processato dalla curia romana perché aveva fatto scacciare tutti i ghibellini dal territorio della sua pieve.
Dal 1337 al 1355 – La Libera Città di Chiusi
(il capitolo seguente è tratto in buona parte dall’articolo di Fulvio Barni “Quando Chiusi Batteva Moneta propria”
pubblicato su Chiusi Blog,con aggiunte di Stefano Bistarini)
Dopo vari anni di sanguinose lotte tra guelfi e ghibellini, orvietani, perugini e senesi, che si avvicendarono per secoli
nel sottomettere la nostra città al proprio volere, i chiusini si stancarono di sentirsi oppressi e decisero di respirare un
po’ di libertà.
Nel 1337 Chiusi divenne libero comune e batté moneta propria fino al 1355. L’avvenuta coniazione è cosa certa,
infatti, tutti i numismatici(ad esempio il Bellini, nel suo “De Monetis italiae” o il Promis, nelle “Tavole sinottiche”)
l’attribuiscono a quegli anni. Non mancano però le controversie a proposito di chi deteneva il potere nella nostra
città in quel momento. Nell’archivio storico comunale è del tutto mancante la parte che riguarda il 1300, quindi non si
può riscontrarvi le poche notizie pervenuteci da altre fonti di cui siamo in possesso.
Proviamo in ogni modo a fare un po’ di luce su quel periodo. Nel 1327, Chiusi, con un atto che porta la data del 15
dicembre, si sottomise completamente alla città di Perugia. Gli umbri però le lasciarono lo stesso un’ampia autonomia.
La capitolazione, infatti, oltre a riconoscerne gli statuti e le magistrature esistenti prevedeva che il nostro comune
esercitasse una propria autorità giurisdizionale. Solo per quanto riguardava la nomina del Podestà, che aveva il
compito di sovrintendere sull’operato dell’amministrazione comunale e mantenere contatti con la città dominante, era
previsto che avvenisse nella persona di un perugino. Era Chiusi stesso, di fatto, ad eleggerlo, ma con l’obbligo di
scegliere i candidati tra i nobili di Perugia.
Sempre secondo tali fonti, la città umbra vi mantenne la propria autorità fino al 1355. Ne costituirebbe prova l’invito
fatto ai chiusini dal podestà di Perugia per la festa di Sant’Ercolano del 1351, dove per tale occasione, gli stessi,
furono obbligati a pagare un “censo”. Da altre fonti apprendiamo che nel 1328 Orvieto, sotto il cui dominio Chiusi si
sarebbe trovata in quel periodo, mise a capo della stessa, Napoleuccio di Pietro Novello Monaldeschi del
Cane, Capitano di guerra.
Nel 1355 si ha ancora notizia di un nuovo atto di sottomissione a Perugia. E questa informazione darebbe piena
ragione a chi sostiene la tesi della completa autonomia di Chiusi, libero comune, dal 1337 al 1355.
Lo storico J. Gori scrive a proposito della libertà comunale di Chiusi: “Successe ancora che li cittadini di Chiusi,
avendo inteso la morte di Ermanno con trattato entrarono dentro la rocca di Chiusi e cacciarono fuora il Capitano
che vi stava per gli Orvietani. Et, essendosi ancora levato il popolo contro li reggenti di Chiusi, cacciarono fuori dalla
loro città quelli con tutti i soldati orvietani a forza d’arme et, essendo poi favoriti dalli Senesi loro amici, restarono in
libertà e cominciarono reggere là città secondo i propri costumi”. Arrivati a questo punto non possiamo affermare con
assoluta certezza se i chiusini cacciarono gli Orvietani o i Perugini, sappiamo però che chiunque fosse stato
l’oppressore la città restò per circa diciotto anni nella piena autonomia.
La moneta, cui è stato fatto cenno, è in argento e porta impressa sul davanti l’effige di San Silvestro. Lo stesso è
raffigurato sotto le sembianze di un vescovo con la mitra, il pastorale, il pallio e la mano destra sollevata nell’atto di
benedire. L’immagine è circondata dal motto “S. Silvester”. Sul retro vi è rappresentata invece, una croce con due
stelle agli angoli, contornata dalla scritta ”De Clusio”, interrotta da fiordalisi caducei.
Nel 1355, quindi, Chiusi cessò definitivamente di vivere in piena libertà. Nel 1354, l’imperatore Carlo IV giunse in
Italia per ribadire il suo dominio. Andò a Milano dove i Visconti, signori del luogo, fecero in modo che ricevesse la
corona di ferro . Si fermò a Siena, dove appoggiò una sommossa popolare che tolse il potere ai Signori della
Repubblica e nominò suo Vicario imperiale l’Arcivescovo di Praga. Di passaggio verso Roma, dove si stava recando
per essere incoronato dal Legato del Papa, si fermò a Chiusi. Placò gli animi dei nobili locali, ricompose le
controversie che vi erano e prima di proseguire il suo viaggio designò anche qui un proprio Vicario. Durante la sosta
nella nostra città, volle recarsi in Cattedrale per vedere e venerare l’anello nuziale della Madonna quello che poi nel
1473 fu rubato su ordine del vescovo di Perugia Jacopo Vagnucci e portato nella stessa città dal frate francescano
Wintherius Roberti da Magonza e dove ancor oggi è collocato.
Il 18 Gennaio 1369 i senesi cacciarono i guelfi e i ghibellini di Chiusi, approfittando di questa situazione e della lotta
che i perugini, alleati dei Visconti, avevano intrapreso contro papa Urbano V, si allearono con quest’ultima e i guelfi di
Chiusi furono costretti a lasciare la Città.
L’8 Dicembre 1373, però, Carlo V, concesse in feudo a Guglielmo di Beaufort, nipote di papa Clemente VI e fratello
di papa Gregorio XI, denominato il Visconte o Conte di Turenna chiamato anche il Villata, la Città di Chiusi e tutte le
terre e i castelli compresi nella Diocesi della Città di Chiusi.
Secondo il Gori nel 1379: “il Sig.Villata Visconte di Lorena lassò la Città di Chiusi in libertà, perché i patrizi Chiusini
gli pagarono 20.000 fiorini d’oro ed egli se ne tornò in Lotaringia.” Quasi certamente i 20.000 fiorini furono pagati da
Cione dei Salimbeni perché i patrizi chiusini non avevano certamente quella somma. E’ così che Cione dei Salimbeni
divenne signore della Città di Chiusi
Cione morì a Castiglion d’Orcia il 2 Marzo 1397 . Appena morto i senesi cacciarono i suoi figli dalla città e Cocco di
Cione dei Salimbeni, per tornare in patria, il 18 Marzo 1404 sottopose alla Repubblica di Siena Chiusi e altre città e
castelli.
Il 25 Dicembre 1409 Antonia di Cocco di Cione dei Salimbeni si sposò col capitano di ventura Muzio Sforza Attendoli
da Cutignola (borgata tra Imola e Faenza) che da semplice contadino era giunto nell’esercizio delle armi a grande
fama e potenza.
Quando il re di Napoli Ladislao invase lo Stato Senese i magistrati di questa città, il 2 Maggio 1410, vennero ai patti
con Sforza Attendoli e con Cocco Salimbeni. La conseguenza fu che Cocco di Cione per ottenere la protezione del
Conte Sforza gli donò la Città di Chiusi.
Lo Sforza era al servizio di re Ladislao e quando questi mori avvelenato a Perugia si recò presso la sorella regina
Giovanna successa nel regno di Napoli dove, però fu arrestato a seguito di intrighi di corte.
I senesi, appena conosciuto questo fatto, spedirono la loro armata guidata da Goro (Gregorio) Catasti e da Androccio
di marco Bindi a riprendere le terre che Srforza aveva nel territorio senese. L’esercito passò da Chiusi, dove, avendo
incontrato poca resistenza, pagando mille fiorini al Castellano, ripresero pacificamente la Città.
Immediatamente i Chiusini decisero di aderire alla Repubblica senese.
Il 1400 Chiusino: contro Perugia e contro la Peste
Nel 1415, finalmente la fiera e bistrattata Città di Chiusi, visto che le lunghe guerre l’avevano semidistrutta e
consumata facendole perdere città e castelli che possedeva nel Chiugi, decise, per difendere la sua libertà, di allearsi
con la potente Siena. I senesi accettarono volentieri l’alleanza lasciando alla Città di Chiusi il diritto alle sue leggi e
chiedendo in cambio solo che il Podestà di Giustizia sia civile che criminale e il Capitano per la Rocca fossero
appartenenti alla nobiltà senese ( di questa facevano parte anche gli antichissimi nobili chiusini delle famiglie Dei,
Della Ciaja, Bonci e Samuelli).Da quel momento, fino alla caduta della Repubblica di Siena la nobile Città di Chiusi
restò fedele ai patti nonostante le angherie che fu costretta a subire. Perugia, ovviamente, non gradì questa alleanza e
con prepotenza, forte della sua ricchezza e dell’alleanza con il papa, continuò ad attaccare la povera città. Chiusi, però
non cedette e per meglio difendersi costruì una bella torre difensiva ottogonale a ridosso del ponte sulle Chiane e le
pose l’offensivo nome di “Beccati questo”. I perugini, sdegnati occuparono una collinetta davanti al ponte, sul
territorio usurpato ai chiusini e vi costruirono una brutta torre squadrata a cui posero un altrettanto offensivo nome di
“Beccati quello” o (Beccati quest’altro), ma la Città e le Paludi del Chiani restarono di proprietà della Città di Chiusi e
sotto la protezione senese. Chiusi, immersa sempre più in fetide paludi divenne una specie di Cajenna senese dove si
moriva di malaria e a fronte di 400-500 abitanti risiedevano in permanenza, a spese della povera collettività, circa
1000 stipendiari (mercenari) mandati lì dalla Repubblica a difendere i confini. Ovviamente i mercenari facevano più
danni dei nemici. Era tanta la miseria morale che i Magistrati della Città furono costretti a scrivere nello Statuto che
era vietato vendere agli stipendiari le figlie minori. Per vincere la battaglia contro la peste che proveniva da Perugia e
dalla soldataglia furono prese misure draconiane: Un’intera famiglia fu bruciata perché ritenuta infetta. Comunque per
fronteggiare le pestilenze, i medici si basavano su una sorta di prevenzione raccomandando alle donne di cospargere i
pavimenti di casa con piante aromatiche, di lavarli con acqua, aceto e petali di rosa di macchia. Le case dovevano
essere asperse con acqua profumata e consigliavano di bruciarvi rosmarino e bacche di ginepro. Le persone a contatto
con gli appestati avevano l’obbligo di disinfettarsi la bocca e le mani con vino aromatizzato con pepe, cannella,
zenzero e chiodi di garofano. Dato che la popolazione era decimata dalla peste, dalla malaria, dalle guerre e dalla fame
La Comunità di Chiusi chiese alla Repubblica di inviare a Chiusi tutti coloro che erano condannati per debiti
rimpinguando così la popolazione. Nonostante che Chiusi fosse una Città aperta, di fronte alla peste che decimava la
popolazione chiese soccorso e la città nemica di Montepulciano le inviò il medico cerusico Maestro Moisè Aliucci da
Viterbo, ebreo. Nemmeno un mese dopo il Vescovo Gabriele Piccolomini scomunicò la città perché aveva introdotto
un ebreo che oltretutto prestava ad usura. I Magistrati ricorsero a papa Pio II che diede ragione alla città. Ma il
vescovo non volle sentir ragioni e peste o non peste il medico ebreo fu costretto ad andarsene.
Tra le tante prepotenze che Chiusi fu costretta a subire fu quella del 1473 in cui, su istigazione del Vescovo cortonese
di Perugia Jacopo Vagnucci, un maledetto frate conventuale tedesco Wintherius Roberti da Magonza, rubò l’Anello
della Madonna e lo portò a Perugia( dove tutt’ora è). La reazione di Chiusi e di Siena al doppiamente sacrilego furto
fu immediata e le rappresaglie si sprecarono. Nonostante che fosse chiara la ragione della Città di Chiusi il papa Sisto
IV brigò per prendere la reliquia per sé invece di condannare duramente i sacrileghi ladri. Chiusi diminuì la sua lotta
per riottenere la reliquia solo dopo che, nel 1487, Pandolfo Petrucci si impadronì, con un colpo di stato, della Città di
Siena ed annullò tutti gli atti presi contro Perugia e lasciò sola la piccola e bistrattata città nella sua lotta che dura
ancora. Nel Maggio 1474, dopo innumerevoli visioni avute da diversi cittadini, fu riportato alla luce il corpo della
Santa Mustiola patrona della Città.
La prima metà del 1500
Il 14 Settembre 1523 moriva improvvisamente papa Adriano VI e ci vollero 50 giorni per scegliere il successore che
fu Giulio de’ Medici (figlio di Giuliano ucciso nella congiura de’ Pazzi). Assunse il nome di Clemente VII. Questo
infame papa durò sfortunatamente per Chiusi dal 1523 al 1534. Su ordine di questo papa il suo capitano Renzo
dell’Anguillara Orsini da Ceri, entrò con numerosi armati dentro i confini della Repubblica. La povera città,
comunque, fedele ai suoi ideali di libertà resistette all’assalto e lo respinse. Nel 1527 Clemente VII inviò 500 fanti e
molti fuoriusciti senesi, guidati da Pirro Colonna di Castel di Piero contro Chiusi. Giunto sotto la città, grazie al
tradimento dei noveschi della famiglia guelfa dei Della Ciaja, Teo Piumacci e soprattutto l’infame arciprete Aquilante,
prese la città. “la mise a sacco di tal sorte che ai miseri chiusini non restò cosa alcuna, oltre che furono uccisi molti
cittadini e plebei. Vi stette 40 giorni con le sue genti e poi se ne partì.” Portandosi dietro i traditori. I chiusini, però,
riuscirono a catturare nella Città di Perugia l’arciprete Aquilante e lo riportarono a Chiusi dove lo decapitarono sulla
pubblica piazza.
Nel 1545 gli spagnoli occuparono Siena e la Val di Chiana facendo immani distruzioni.
La Pasqua di sangue Chiusina
(parte del capitolo seguente è tratta dall’articolo di Fulvio Barni “La Pasqua di sangue chiusina: una pagina cruenta
della nostra storia” pubblicato su Chiusi Blog)
Nel 1552 i reggitori della Repubblica di Siena fecero sapere al re di Francia Enrico II che sarebbero passati volentieri
al suo servizio, purché li avesse aiutati a liberarsi degli spagnoli che occupavano la città e difesi dalle mire
espansionistiche di Firenze e del suo signore Cosimo I De’ Medici. Enrico II accettò e ben presto le truppe francesi,
con a capo il comandante Lanssac, occuparono Siena liberandola dai soldati spagnoli al servizio di Carlo V. L’
imperatore, a seguito dell’affronto, decise che si sarebbe vendicato a qualunque costo dell’onta subita a causa
dell’accordo che i senesi fecero con il re francese.
Dopo aver unito le sue truppe a quelle fiorentine di Cosimo I De’ Medici, tentò, senza successo, l’assalto alla città di
Siena. Il colpo di mano non ebbe buon esito, ma i due eserciti riuscirono in ogni modo a seminare dietro di loro morte
e distruzione su tutto il territorio senese. Dietro a questo tanto soffiare di venti di guerra s’imponeva per Siena il
rafforzamento delle fortificazioni dei paesi che facevano parte della sua giurisdizione. Nel novembre del 1552 venne a
Chiusi, inviato dai priori della repubblica, il famoso architetto Giovan Battista Pelori, che disegnò le nuove
fortificazioni di cui la città si riteneva avesse bisogno.
Tali opere di difesa militare furono costruite soprattutto nella zona dei giardini pubblici, chiamati ancora oggi, non a
caso, “I Forti”. La spesa per la realizzazione dell’opera non fu esigua, tanto è vero che per reperire il denaro
occorrente il Consiglio generale di Chiusi si vide costretto ad imporre nuove tasse , chiedere prestiti ai cittadini più
ricchi e mandare ambasciatori a Siena per supplicare i signori di Balìa che elargissero un cospicuo contributo. Molti
delegati ancora, però, dovettero inviare i chiusini prima di vedere esaudite le loro richieste. Solo nel dicembre del
1553, infatti, i senesi dettero il loro assenso.
Non erano però soltanto queste le spese da sostenere per la povera Chiusi: le truppe franco-senesi si erano
acquartierate in difesa della città e pertanto pretendevano di essere mantenute. Per fortuna che ogni tanto fornivano
anche prove di valore. Sempre nello stesso anno, il 1553, il comandante della piazza di Chiusi, Capitano conte Paolo
Orsini da Pitigliano, uscì dalle mura con una sua compagnia ed ingaggiò una battaglia con alcune truppe di
cavalleggeri di Carlo V, che tentavano di occupare la campagna chiusina.
Rientrarono vittoriosi dopo aver fatto prigionieri trenta uomini a cavallo e con la perdita di un solo soldato e tre feriti.
Il 7 gennaio del 1554, Piero Strozzi divenne comandante delle truppe francesi in Siena e pochi giorni dopo, visitando
il dominio senese per rendersi conto della situazione strategica, giunse anche a Chiusi. Ordinò nuove fortificazioni e
questa volta, oltre ai mille scudi promessi, inviò immediatamente anche 50 prigionieri per impiegarli nei lavori. La
guerra era ormai alle porte, le truppe imperiali e quelle fiorentine di Cosimo I stavano per attaccare: lo fecero il 26
gennaio.
Nello stesso giorno, mentre il comandante Marignano tentava di assalire Siena, Ridolfo Baglioni cercava di fare la
stessa cosa a Chiusi. Il tentativo fallì ed il Baglioni fu respinto con gravissime perdite. Cosimo dei Medici però non si
dette per vinto e volle riprovarci ancora nei primi giorni di marzo. Questa volta servendosi di un
personaggio considerato molto più astuto che valoroso e che per Chiusi rappresentava il suo nemico giurato numero
uno: il marchese di Castiglione del Lago, Ascanio Della Cornia .
Giunse quindi la notizia che una grossa guarnigione di milizie, formata da tremila fanti e duecento lance, con a capo il
signore di Castiglione del Lago, aveva dato luogo ad una serie di scorrerie per tutta la Val di Chiana ed era riuscita a
forzare anche il ponte di Valiano, dove vi era un consistente presidio della repubblica senese. In un primo momento il
comandante della fortezza di Chiusi, Giovacchino Guasconi,ed il suo vice, Santi Borri da Cutigliano, fuoriuscito
pistoiese, detto Santaccio da Pistoia (4), avevano sperato si trattasse di qualche azione militare di disturbo.
Ben presto invece si resero conto che si trattava di un’operazione più impegnativa. L’intenzione di Ascanio Della
Cornia era quella di interrompere l’arrivo delle vettovaglie verso Siena e di impossessarsi delle fortezze della zona.
Nel frattempo anche Asinalonga (Sinalunga) e Torrita erano cadute. I fuggiaschi dai paesi limitrofi oggetto delle
incursioni, raccontavano di molte decine di morti e numerose case coloniche date alle fiamme. In risposta a ciò vi
furono molte uscite delle milizie dalla rocca chiusina, che inseguendo le truppe fiorentine, ogni volta le ricacciavano
oltre il confine.
A questo punto però, entrò in giuoco l’astuzia di Ascanio Della Cornia, al quale venne in mente di avere la fortezza di
Chiusi per tradimento. Il marchese di Castiglione del Lago aveva alle proprie dipendenze un certo Bati
Rospigliosi, anch’egli di Pistoia. A questi il marchese ordinò di trattare con Santaccio, da lui già conosciuto,
offrendogli la revoca del bando da Pistoia, se avesse dato loro la possibilità di entrare segretamente all’interno di
Chiusi. Il nome di Santaccio a quel tempo era sinonimo d’imbrogli e d’inganni, non per nulla godeva fama di uomo
fiero, spietato, ma anche molto propenso ad ogni forma di tradimento.
Il Rospigliosi riuscì ad avere un colloquio con Santaccio e dopo avergli proposto una bella somma in denaro, il rientro
in possesso di tutti i beni e le terre sequestratigli dai Medici, oltre naturalmente alla revoca del bando, riuscì a
strapparglila promessa di far entrare di nascosto nel castello chiusino le truppe imperiali. Le trattative si protrassero
per alcuni giorni e alla fine i due convennero che l’azione era da farsi nella settimana prima della Pasqua, durante la
notte tra il giovedì 22 ed il Venerdì Santo 23 marzo.
A questo punto, Santaccio sparì da Chiusi per ricomparire alcuni giorni dopo, in compagnia di Giovacchino Guasconi
e del Capitano Flaminio Orsini dell’Anguillara, comandante delle truppe francesi, venute daRadicofani e San
Quirico per dare manforte alle truppe franco-senesi di stanza a Chiusi. Egli si era recato a Siena per riferire ai reggenti
della repubblica della proposta di Ascanio Della Cornia, fattagli per mezzo di Bati Rospigliosi. Piero Strozzi ebbe per
lui parole di elogio e gli ordinò, come del resto Santaccio aveva già deciso, di fingere di accettare.
Gli ultimi dettagli per l’ingresso in città delle truppe imperiali, furono quindi pattuiti con il marchese di Castiglione
del Lago: a Santaccio non sarebbe rimasto altro da fare che aprire le porte della fortezza al momento del segnale
convenuto. Ascanio Della Cornia tolse le tende dai pressi di Gracciano, dove era accampato, e passata la mezzanotte,
sotto un tremendo temporale, s’incamminò con le proprie truppe in direzione di Chiusi. Dopo alcune ore di marcia
giunsero al ponte del Passo alla Quercia, lo attraversarono e quando ritennero di essere in vista della rocca di Chiusi, si
nascosero in attesa del cenno di Santaccio per proseguire.
Il tempo passava inesorabile. Mancava meno di due ore all’alba, ma del segnale convenuto non si vedeva traccia. Il
della Cornia allora inviò dal Borri due uomini: il capitano Federigo degli Oddi e Alessandro da Città della
Pieve, informandolo che voleva urgentemente colloquiare con lui. Passò ancora del tempo e non vedendo ritornare
nemmeno gli ambasciatori, Ascanio spedì una squadra di circa venti soldati. Questi riuscirono ad introdursi all’interno
della rocca passando da una porta secondaria, lasciata aperta dai chiusini per trarli in inganno.
Appena ebbe varcata la soglia, la truppa fu investita da un violento colpo di spingarda caricata a piombo.
Immediatamente, per tutto il perimetro delle mura della fortezza, furono accesi dei fuochi, ma non erano i segnali
convenuti con Ascanio, bensì quelli per le truppe francesi. Le quali, scendendo dai pendii della collina antistante, dove
si erano nascoste in precedenza, colsero di sorpresa le soldatesche imperiali, distruggendole quasi totalmente, dopo un
breve ma aspro combattimento. Il marchese di Castiglione del Lago fu fatto prigioniero e subito inviato a
Siena insieme a circa quattrocento dei suoi soldati. Questa fu l’unica vera vittoria della guerra di Siena e Chiusi ne
fu la protagonista.
“La Pasqua di sangue chiusina”, fu per Cosimo I De’ Medici un brutto scherzo, che gli creò notevoli problemi nei
confronti dell’imperatore Carlo V. I chiusini, dopo il successo ottenuto, proposero in Consiglio Generale di costruire
sulla sommità di Montevenere una chiesa intitolata alla Madonna della Vittoria, ma data la miseria che regnava
sovrana sulle casse della comunità, questa rimase solo una proposta.
La vittoria delle truppe franco-senesi a Chiusi, non dette però grandi risultati. Fu vanificata dalla calma con cui gli
ufficiali del re di Francia, Enrico II, organizzarono successive azioni contro le guarnigioni fiorentine ed imperiali e
dalla significativa disfatta subita da Piero Strozzi, il 2 agosto successivo a Marciano.
Lo Strozzi, ferito gravemente, si rifugiò a Montalcino, lasciando il comando di Siena al capitano francese Biagio di
Monluc. A pochi mesi di distanza, esattamente il 17 d’aprile del 1555, anche l’ufficiale francese, insieme al capitano
del popolo Mario Bandini e molti altri nobili senesi con le proprie famiglie, lo raggiunsero:Siena era caduta in mano ai
suoi nemici. Da lì a poco, sempre a Montalcino, sotto la protezione della Francia, fu costituita la Repubblica senese in
Montalcino, alla quale Chiusi rimase fedele fino alla definitiva conquista dello stato di Siena da parte di Cosimo I De’
Medici.
La tregua firmata il 17 gennaio 1556, dall’imperatore Carlo V con il re di Francia Federico II, sembrò rianimare i
senesi, e di conseguenza i chiusini, ma, di fatto, non portò a niente di concreto. Cosimo De’ Medici era sempre in
agguato con le proprie truppe e non abbandonava l’idea di impadronirsi della Signoria di Siena. I due anni successivi,
videro Chiusi nella miseria più nera, dovuta principalmente ai tanti soprusi imposti dai soldati francesi che
pretendevano d’essere mantenuti alla pari degli ospiti di riguardo.
Poi, il 4 agosto del 1559, fu la fine: la Repubblica si arrese alle armate medicee. Chiusi fu costretta a cedere essendo
rimasta sola dopo la caduta di Montalcino, senza grano e con una fame nera tra la popolazione.“Così anche la nostra
Chiusi, sommersa da distruzioni, rovine e miserie indescrivibili, ma sempre e fino all’ultimo, nonostante tutto, fedele
alla libertà sua e quella senese, accettò il dominio vittorioso del nuovo padrone. La sua fedeltà la pagò cara. Per
ricompensa, infatti, sul finire del 1559 Siena, divenuta medicea (è facile per i ricchi cambiar carro per mantenere i
vecchi privilegi), cominciò a torturare con esose richieste di tutti i tipi la sua antica e fedele alleata.