Spazio Club - Club Alfa Romeo Duetto

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Spazio Club - Club Alfa Romeo Duetto
Duetto News
numero
2 2013
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N. 2
2013
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Direttivo CARD 2013 - 2017
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Spazio Club Busseto
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Spazio Club Prossimi appuntamenti L‟Aquila
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La Tecnica Aftermarket.. ma a caro prezzo
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L‟Alfa e le Corse puntata 7
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I Piloti Achille Varzi
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La Musica I suoni dei motori Alfa
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I migliori amici del duettista Welsh Corgi
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Contatti
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Indirizzi utili
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Spazio Club
Direttivo CARD 2013 - 2017
Durante l' Assemblea dei Soci CARD del 12.5.2013 a Monforte (CN) è stato eletto il
Direttivo CARD
per il quadriennio 2013 - 2017 che risulta così composto:
Presidente: Mello Ceresa Massimo
Vice Presidente: Gori Francesco
Tesoriere: Gori Francesco
Segretario: Candeago Thomas
Commissario Tecnico: Mottini Marco
Responsabile Manifestazioni: Silvano Eugenio, Mello Ceresa Massimo
Addetto Stampa: Candeago Thomas
Consiglieri:
Giannetti Gian Piero
D'Avena Matteo
Vaccaro Gaetano
Brenna Massimiliano
Basilico Cesare
Silvano Eugenio
Probiviri:
Coraglia Fabrizio
Bucci Enrico
Adami Fabrizio
Revisori dei conti:
Dott. Piero Gori
Dott. Gianluca Zamagna
Dott.ssa Sabrina Acciarri
il nuovo Direttivo CARD appena insediato ha operato le seguenti nomine:
Delegati Regionali:
Adami Fabrizio e Coraglia Fabrizio - Piemonte
Grazioli Raimondo, Casagrande Paolo, Bucci Enrico Brenna Massimiliano Lombardia
Giusti Marco e D'Avena Matteo - Emilia
Gori Francesco - Romagna e Marche
Basilico Cesare - TriVeneto
Silvano Eugenio - Liguria
Giannetti Gian Piero - Toscana
Regoli Luca, Di Bella Salvatore, Vaccaro Gaetano - Lazio e parziale Sud Italia
Urbani Fabio - Puglia
Zarcone Beppe - Sicilia
Scuderia CARD: Candeago Thomas, Adami Fabrizio, Casagrande Paolo
Responsabile DuettoNews: Virgadamo Girolamo
Webmaster Forum CARD: Carnemolla Fabrizio
Biella, 12 Maggio 2013
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Spazio Club
Busseto
La stagione raduni 2013 del Club Alfa Romeo Duetto è partita domenica 17
Marzo da Busseto (PR), con il proposito di festeggiare il Bicentenario della
nascita del Maestro Giuseppe Verdi.
Nonostante le negative previsioni meteo e la quasi certa presenza di neve sulla
strada del ritorno, ben 54 equipaggi hanno voluto onorare questa importante
commemorazione e allo stesso tempo dare il via alla nuova stagione dei raduni in
Duetto.
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Punto d'incontro fissato in piazza Verdi a Busseto, messa gentilmente a
disposizione dalla Giunta Comunale della città parmense.
I partecipanti hanno subito goduto della colazione offerta dal Club AR Duetto e
allo stesso tempo perfezionato l'iscrizione al raduno, ricevendo in omaggio alcuni
gadget appositamente preparati per l'occasione.
Nel frattempo piazza Verdi veniva mano a mano coperta dalle variopinte spider,
mentre gli equipaggi socializzavano nuovamente fra di loro, dopo la lunga pausa
invernale.
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Alle h.11.00 circa, la lunga colonna di spider è partita alla volta di Villa Verdi,
guidata dagli organizzatori: Matteo D'Avena e Giacomo Stevani.
Giunti in loco, gli Alfisti hanno potuto parcheggiare le loro lucenti vetture in uno
spazio appositamente riservato e suddivisi in diversi gruppi hanno visitato la Villa
che fu la residenza ufficiale del Maestro. Onde evitare spiacevoli sovrapposizioni,
le solerti Guide hanno impostato percorsi di visita diversi, fornendo importanti
informazioni della Villa e della vita del Maestro.
Il parco della villa dispone di antiche e rare piante, spesso regalo dei vari principi
ed imperatori dell' epoca, i quali per ringraziare il Maestro donavano rare piante
provenienti da continenti extra-europei.
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Le stanze della villa sono mantenute in perfetto stato, così come i mobili e le
suppellettili che ornano le storiche dimore. Sono presenti alcuni famosi dipinti che
raffigurano il maestro, durante le varie età e tappe della sua vita. Documenti
originali vergati da Alessandro Manzoni, Richard Wagner, Vittorio Emanuele II
di Savoia, Francesco Crispi etc., che possono essere facilmente consultati, perché
sistemati in luminose a ampie teche in vetro.
Singolare il "garage" delle carrozze personali del Maestro, in cui fanno bella
mostra almeno sei imponenti carrozze di colore nero, che trasportarono Giuseppe
Verdi in tutte le principali città e capitali d'Europa e Russia compresa.
Al termine della visita c'è stato un piacevole incontro con il Sig. Carrara Verdi,
attuale proprietario della villa e discendente del grande Giuseppe Verdi, il quale
ha voluto osservare con cura i vari modelli di spider Duetto presenti al raduno. Ma
era giunta quasi ora di pranzo e a quel punto tutti gli equipaggi sono rientrati a
Busseto, dove li attendeva un buon pasto in un rinomato ristorante del luogo.
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La giornata Duettata è andata così avanti fino al momento della partenza, con
varie informazioni che si rincorrevano circa le condizioni climatiche e lo stato
delle strade.
Quindi i saluti e gli omaggi alle tante Signore presenti, con la promessa o meglio
l'appuntamento a domenica 14 Aprile a Volandia, per il secondo raduno on-theroad 2013 del Club Alfa Romeo Duetto – Registro Italiano.
Max
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Spazio Club
Prossimi appuntamenti
Omaggio a L’Aquila - settembre 2013
Pochi Soci sanno che nel mese di Giugno 2009 il nostro Club aveva programmato
un Raduno nel Parco Nazionale d’Abbruzzo, evento che fu annullato dopo il
terremoto che, nel mese di Aprile di quell’anno, sconvolse la regione ed in
particolare l’area aquilana.
A distanza di quattro anni, nel prossimo mese di Settembre, il C.A.R.D. renderà
omaggio a L’Aquila ed alla sua cittadinanza che, nel corso dei secoli, ha più volte
subito le conseguenze di eventi tellurici ed ogni volta ha saputo riprendersi con
grande coraggio e tenacia.
Vediamo dunque una breve storia della Città.
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Le origini
La fondazione della città fu programmata dall'imperatore Federico Il di Svevia
intorno al 1245, ma certamente il maggiore impulso costruttivo si ebbe sotto il
regno di Corrado IV che nel 1253, un anno prima della sua morte, la realizzò
quasi completamente.
La leggenda narra che furono gli abitanti dei 99 castelli confederati della conca
aquilana a contribuire, in maniera decisiva, all‟edificazione della città. Il continuo
ripetersi del numero 99 nella storia, e soprattutto nell‟architettura cittadina (le 99
cannelle della “Fontana Rivera”, i 99 rintocchi della campana della Torre civica),
ha fatto sì che nel corso dei secoli L‟Aquila fosse descritta come la città delle 99
piazze, delle 99 fontane e delle 99 chiese.
L'Aquila nel giro di pochi decenni divenne crocevia per il traffico con le altre città
del regno ed extra regno, con le quali era collegata per mezzo della cosiddetta "via
degli Abruzzi" che univa Firenze a Napoli passando per Perugia, Rieti, Aquila,
Sulmona, Isernia, Venafro, Teano, Capua.
La Perdonanza Celestiniana
Ma la fama della città si diffuse ben al di là dei confini del regno quando un
evento di eccezionale importanza ebbe luogo il 29 agosto 1294: la consacrazione
dell'eremita Pietro del Morrone come pontefice col nome di Celestino V. Alla
cerimonia solenne parteciparono due re, cardinali e nobili, ma soprattutto un
immenso popolo, composto, secondo le fonti, da più di duecentomila persone, che
ricevettero dal nuovo pontefice un dono di portata straordinaria: i fedeli che,
sinceramente pentiti, avessero visitato devotamente la basilica di Collemaggio
avrebbero ricevuto contemporaneamente la remissione dei peccati e l‟assoluzione
dalla pena.
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La Bolla del perdono di San Pietro Celestino, oggi nota come la Bolla della
Perdonanza, poneva come condizioni per l'ottenimento del perdono: l'ingresso
nella basilica nell'arco di tempo compreso tra le sere del 28 e del 29 agosto di ogni
anno e l'essere "veramente pentiti e confessati". La porta di Celestino V, situata
sul lato settentrionale della basilica è dunque a tutti gli effetti una Porta Santa.
Il corteo della Bolla, che ancora oggi ogni 28 agosto sfila per le strade della città,
è coevo al rito del Perdono. Sin dal suo primo apparire, ebbe la funzione di
accompagnare solennemente la Bolla dell‟indulgenza celestiniana dal Palazzo del
Magistrato, oggi sede del Comune, alla basilica di Santa Maria di Collemaggio.
Nella rievocazione odierna del corteo storico, infatti, le autorità civili e religiose
sono accompagnate da dame e cavalieri in costume d‟epoca, circa mille figuranti,
in rappresentanza del gruppo storico del comune di L‟Aquila, dei castelli che
contribuirono alla fondazione della città, ciascuno con il proprio gonfalone di
riconoscimento, dei Quarti (o quartieri) in cui essa è suddivisa.
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Dal Medio Evo a oggi
Il XV secolo rappresenta per L‟Aquila il periodo più prospero. La città ha perfino
il privilegio di battere moneta; viene istituita l‟Università e, nel 1482, viene
impiantata la prima tipografia da A. di Rottwill, discepolo del Gutemberg.
Il XVI secolo, al contrario, segna il lento ed inesorabile declino della città che
cade sotto il dominio spagnolo, decadenza alla quale contribuirono le epidemie
del 1503 e del 1505 che fecero sì che iniziasse per la città un periodo di crisi
demografica e di depressione economica.
Gran parte dell'antico volto medievale e rinascimentale fu distrutto dal terremoto
del 2 febbraio 1703: le case, le chiese, i palazzi, la fortezza subirono gravissimi
danni.
La città non è nuova a questi eventi avendo già subito violenti terremoti nel 1315,
nel 1349, nel 1461, quest‟ultimo particolarmente violento e distruttivo.
La ripresa è lenta e dura, ma L‟Aquila riesce ancora una volta a rinascere ed a
ritornare a primeggiare nel territorio, tanto da divenire nel 1860 capoluogo di
regione.
Alla fine del XIX secolo, la città, divenuta meta di turisti ed alpinisti, vede nascere
sul vicino Gran Sasso il primo rifugio dell‟Appennino (il Garibaldi, nel 1833) e
nel 1934 la funivia e l‟albergo di Campo Imperatore.
L'unificazione d'Italia fece sì che L'Aquila perdesse la caratteristica di città di
confine senza che la nuova posizione di centralità l'avvantaggiasse perché essa fu
esclusa dalla linea ferroviaria dei due mari con evidenti conseguenze economiche.
Nei primi anni settanta l‟apertura dell‟A24 che la collega a Roma e Teramo
permette alla città di rompere il suo tradizionale isolamento.
La presenza dell‟Università, di vari musei, del vicino Laboratorio di fisica del
Gran Sasso e di un fitto calendario di manifestazioni, hanno reso L‟Aquila un polo
culturale di livello nazionale.
Il terremoto
Il 6 aprile 2009, alle ore 3:32, dopo diversi mesi di lievi scosse localizzate e
percepite in tutta la zona, L'Aquila è stata colpita da un terremoto di magnitudo
6,3 e intensità parì al IX-X grado della Scala Mercalli. Nell'area colpita dal sisma
si sono contate 308 vittime ed oltre 1.500 feriti, mentre la quasi totale evacuazione
della città ha portato a 65.000 il numero degli sfollati. Alla luce dei danni e delle
vittime il sisma risulta il 5º terremoto più distruttivo in Italia in epoca
contemporanea dopo il Terremoto di Messina del 1908, il Terremoto di Avezzano
del 1915, il Terremoto dell'Irpinia del 1980 e il Terremoto del Friuli del 1976.
Il sisma ha riversato la sua forza anche sui paesi limitrofi, tra i quali Onna, Villa
Sant'Angelo, Castelnuovo, Tempera, San Gregorio e Paganica.
Il capoluogo stesso presenta crolli anche totali in molte zone e gravissimi danni
alla maggior parte degli edifici di valore storico e culturale.
Diversi edifici monumentali e civili sono crollati, tra cui una parte del transetto
della basilica di Santa Maria di Collemaggio, parte del transetto nel Duomo, la
cupola della chiesa delle Anime Sante, il campanile e l'abside della basilica di San
Bernardino, il cupolino della chiesa di Sant'Agostino, parte della facciata della
chiesa di San Vito. Registrati inoltre il crollo di parte della facciata e del
campanile della chiesa di San Pietro a Coppito ed ingenti danni alla chiesa di
Santa Maria Paganica.
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Inagibile il Museo nazionale d'Abruzzo. Crollata la Casa dello Studente.
Crollo totale del Palazzo della Prefettura, sede tra l'altro dell'Archivio di Stato, e
dell'hotel "Duca degli Abruzzi".
Gravissimi danneggiamenti all'Università dell'Aquila e all'ospedale San Salvatore.
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Mi permetto di citare quanto compare sul sito web de L’Espresso:
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/laquila-terremotati-per-sempre/2200741
L'Aquila, terremotati per sempre
di Emilio Fabio Torsello
“…Basterebbe andare a vedere. Basterebbe camminare per le vie del centro
storico dell'Aquila, di Onna, di San Gegorio, di Paganica, di ciò che resta di
Tempèra, per misurare le bugie di quanti raccontano che "L'Aquila è stata
ricostruita", che "l'obiettivo è stato raggiunto". La verità è che nella città più
martoriata dell'Abruzzo e nelle frazioni, tutto è imbalsamato, puntellato, tenuto su
da pesanti travi di legno su cui scolorano i nomi incisi dei gruppi dei Vigili del
Fuoco che le costruirono.…”
Monumenti e luoghi d'interesse
Basilica di Santa Maria di Collemaggio
Basilica romanica, costruita per volere di Pietro da Morrone nel 1288, è stata sede
di incoronazione papale ed è sede di un giubileo annuale unico nel suo genere. Nel
1972 è stata sottoposta ad un'importante restauro con cui si sono eliminate le
aggiunte barocche avvenute in seguito al terremoto del 1703 ed è stato riportato
alla luce l'originario splendore romanico.
Cattedrale di San Massimo (Duomo dell'Aquila)
Intitolata ai santi Giorgio e Massimo, è la chiesa episcopale dell'Arcidiocesi
dell'Aquila. Venne edificata nel XIII secolo ed abbattuta dal terremoto del 1703.
Successivamente venne restaurata in stile barocco mentre la facciata è in stile
neoclassico. Il terremoto del 2009 l'ha gravemente danneggiata provocando il
crollo della copertura del transetto.
Chiesa di Santa Maria del Suffragio (o delle Anime Sante)
Chiesa barocca costruita nel 1713 sul lato più lungo di Piazza Duomo. Presenta
una caratteristica facciata concava ed una piccola cupola, opera del Valadier.
Seriamente danneggiata nel terremoto dell'Aquila del 2009 è probabilmente oggi
il monumento cittadino più conosciuto in relazione al sisma.
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Chiesa di Santa Maria Paganica
Chiesa capoquarto del rione storico di Santa Maria, sorge sul punto più elevato
della città[30] e presenta un impianto settecentesco dovuto alla ricostruzione
avvenuta dopo il terremoto del 1703. Un altro violento terremoto nel 2009 ha
provocato il crollo dell'abside e dell'intera copertura.
Chiesa di San Pietro a Coppito
Chiesa capoquarto del rione storico di San Pietro, sorge nell'omonima piazzetta
abbelita da un grazioso fontanile a pianta dodecagonale. Eretta nel XIII secolo, la
chiesa è un classico esempio di romanico aquilano, con la facciata a coronameno
orizzontale, il portale ricco di decorazione e sovrastato da una finestra circolare e
l'adiacente torre campanaria. Più volte danneggiata, nel corso della sua storia, da
terremoti e ricostruita, è stata violentemente sfregiata dal terremoto 2009.
Fontana delle 99 cannelle (o della Rivera)
È probabilmente il monumento simbolo della città. Costruita nel 1272 nell'area
della Rivera, è opera dell'architetto Tancredi da Pentima, come si legge
nell'iscrizione sulla parete centrale. In origine, la fontana era più semplice di
quella che vediamo oggi e aveva meno cannelle. Nel corso dei secoli è stata più
volte rimaneggiata e ampliata, con l'aggiunta di nuovi lati, la sostituzione di conci
corrosi dagli elementi atmosferici, del rivestimento in pietra bianca e rosa, la
ricostruzione di altri mascheroni, la selciatura e, infine, la chiusura a cancellata.
Antiche mura
Nel 1276, a poco più di vent'anni dalla seconda fondazione della città, venne
realizzata la cinta muraria che ancora oggi cinge il centro cittadino. Sono state più
volte rimaneggiate e restaurate nel corso dei secoli, con l'aggiunta di porte (quelle
originali sono dodici), lo spostamento di alcuni tratti (come nel XVI secolo per far
posto al Forte spagnolo e la demolizione di altri (nel novecento con la creazione
dell'area degli impianti sportivi e il Quartiere Eritrea).
Forte spagnolo
Enorme fortezza cinta da fossato posta nella parte settentrionale della città, a
ridosso delle mura. Costruita dagli spagnoli a simbolo della repressione degli
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aquilani, è una struttura a pianta quadrata con quattro enormi bastioni agli angoli.
È sede del Museo Nazionale d'Abruzzo.
A tutti un arrivederci a L’Aquila!
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La Tecnica
Aftermarket… ma a caro prezzo
Il IV serie rappresenta l‟ultimo passo evolutivo delle nostre amate alfa spider e,
specialmente il 2000, adotta una serie di utili soluzioni che la rendono ancora
guidabilissima oggi a distanza di 20 anni dall‟uscita di produzione.
Un elemento però che stona non poco nell‟allestimento, è il volante, che dall‟FL2
del III serie, va a sostituire il modello a calice con corona in legno. Le normative
per la protezione dei guidatori impongono soluzioni più moderne ed imbottite ma a
farne le spese è soprattutto il fascino.
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Così molti possessori di queste auto, si rivolgono agli accessori aftermarket per
godersi il gusto di guidare con le mani a contatto di una corona in legno. In
moltissimi casi la scelta ricadeva sul volante classic di Nardi, che poteva
addirittura essere montato direttamente dal concessionario.
Nel mio caso, non ho avuto alcun problema a trovare un volante Nardi classic.
Anzi con il tempo ne ho acquistati due con diametri diversi da 36 e da 39 cm per
poter leggere tutti gli strumenti del quadro.
La cosa che non mi appagava era però il pulsante del clacson. Il pulsante Nardi
non è assolutamente brutto, ma lo volevo con il logo Alfa Romeo. Dopo aver girato
in diversi mercatini, mi sono reso conto che Nardi ha prodotto i loghi di tutte le
case automobilistiche in grandi quantità ma non di Alfa Romeo.
Questi ultimi esistono, ma sono rarissimi da trovare (forse perché i volanti Alfa
erano bellissimi e nessuno si prendeva la briga di sostituirli) oppure vengono
venduti a prezzi astronomici.
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Non volendo usare un pulsante Momo con il bordino nero perché rovina un po‟
l‟estetica del volante Nardi, ho cercato una soluzione fai da te.
Pulsante Momo Alfa Romeo
Ho recuperato un altro pulsante Nardi e con un po‟ di fantasia mi sono messo alla
ricerca di un logo Alfa Romeo della giusta dimensione e soprattutto di buona
qualità.
Dopo aver cercato inutilmente nei soliti mercatini, ho trovato la soluzione tra i
ricambi della MiTo. Infatti le borchiette centro ruota hanno lo stesso diametro del
pulsante Nardi e soprattutto sono in lamierino stampato e decorato.
Con un po‟ di attenzione si stacca il lamierino dal suo supporto di plastica ed
utilizzando un pezzetto di biadesivo, si può collocare sul pulsante Nardi.
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Questo è il risultato:
Pulsante Nardi originale e modificato
pulsante Nardi Alfa Romeo Milano
Duke
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L'Alfa e le Corse
Settima puntata: le auto di serie e le derivate, Alfetta,
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Alfetta e i rallies
Negli anni ‟70 i rallies erano molto popolari, almeno quanto le corse su pista, e
l‟ALFA decise di cimentarsi in queste competizioni.
Per l‟esordio, nel 1974, fu prescelto il Rally di San Martino di Castrozza, gara
inserita nel Campionato Europeo Rallies. L‟ALFA iscrisse un‟ALFETTA berlina
per Luciano Trombotto, che vinse il Gruppo 2 e una ALFASUD TI per Federico
Ormezzano, che vinse la classe 1300 del Gruppo 1.
Foto 1: Luciano Trombotto e l‟ALFETTA gr.2 al San Martino di Castrozza del „74
Il buon risultato ottenuto nella gara dolomitica convinse l‟ALFA a intensificare la
sua presenza nella specialità e per il 1975 decise di partecipare ufficialmente al
Campionato Italiano Rallies con l‟ALFETTA GT; consapevole di scontrarsi in un
campo in cui era priva di esperienza, con squadre oltremodo agguerrite, LANCIA e
FIAT allora erano ai vertici mondiali e le più titolate scuderie private si avvalevano
di vetture assai performanti, in primis PORSCHE 911, FORD Escort RS e ALPINE
A110, l‟ALFA si affidò a due campioni affermati, che potessero svolgere il ruolo
di consiglieri, di piloti e, soprattutto, di collaudatori: Amilcare Ballestrieri, ex
LANCIA, e Jean Claude Andruet, ex ALPINE; accanto a questi “mostri sacri” del
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rallismo, ingaggiò due giovani, Svizzero e Ormezzano. La preparazione delle
vetture e l‟assistenza in corsa furono effettuate dall‟AUTODELTA.
Pur se svantaggiata dal peso e dalle dimensioni rispetto alle vetture concorrenti,
l‟ALFETTA aveva le sue armi migliori nel telaio (la soluzione transaxle consentiva
di avere una distribuzione dei pesi ottimale) e nel motore (che forniva 200 CV nella
versione a 8 valvole e 240 CV in quella a 16 valvole, con una poderosa coppia in
basso). Ballestrieri, che la riteneva “molto stabile e molto facile da guidare, penso
che sia una delle vetture più facili tra quelle che ho guidato fin ad ora”, già al rally
Lyon-Charbonnieres ottenne la vittoria in gruppo 2 ed il terzo posto assoluto, poi, al
rally dell’isola d’Elba fece il capolavoro arrivando primo assoluto, davanti alla
vettura gemella del Jolly Club di Leo Pittoni, mentre Andruet, attardato nella prima
tappa da noie meccaniche, fu il mattatore della seconda tappa vincendo tutte le
prove speciali.
Al rally di San Martino di Castrozza, poi, Lo stesso Andruet fece tempi
sensazionali prima di ritirarsi nella seconda tappa per la rottura di un giunto e ancor
meglio si comportò al Tour de Corse vinto da Darniche su STRATOS; pur
penalizzato da un'uscita di strada che gli fece perdere ben sette minuti arrivò terzo
assoluto e primo del Gruppo 2.
Quell‟anno l‟ALFETTA GT conseguì la vittoria di gruppo 2 in tutte le corse portate
a termine e, analogamente, l‟ALFASUD TI vinse la classe fino a 1300 nel gruppo
1 scardinando il dominio che per anni era stato di FIAT e di OPEL.
Foto 2: Amilcare Ballestrieri e l‟ALFETTA primi assoluti al Rally dell‟Isola d‟Elba
1975.
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Per il 1976 l‟ALFA avviò un progetto molto ambizioso per provare a scalzare la
LANCIA STRATOS dal gradino più alto del podio al quale era ormai abbonata:
partendo da una versione speciale dell‟ALFETTA GT destinata al mercato tedesco,
la GTV 2.6 i V8, che dentro al cofano ospitava il motore della Montreal in luogo
del “solito” 4 cilindri, portò la cilindrata del motore a 3.0 litri raggiungendo la
potenza di 320 CV, ben 70 in più rispetto alla STRATOS. Una vera bomba!
Foto 3: la GTV 2.6 i V8 di serie
Foto 4: la GTV V8 per i rallies.
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Al debutto, il 6 dicembre 1975 al rally delle Valli Piacentine, l‟ALFETTA V8 creò
subito lo scompiglio tra gli avversari, ma poi fu costretta al ritiro e in seguito, dopo
alcuni test, la vettura fu abbandonata, probabilmente per la difficoltà ad approntare i
400 esemplari per ottenerne l‟omologazione; nel frattempo lo sviluppo della GTV 4
cilindri era stato rallentato e le stagioni 1976 e 1977 furono disputate con le stesse
vetture del 1975.
Nel 1978 l‟ALFA, orfana di Ballestrieri e Andruet, ingaggiò Mauro Pregliasco, che
era stato appiedato dalla LANCIA costretta dalla FIAT ad abbandonare la Stratos
per consentire alla 131 ABARTH di puntare al Campionato del Mondo.
A questo punto consentitemi una breve considerazione OT.
Oggi la FIAT, di fatto, sta facendo consumare il marchio LANCIA come una
candela e a parole sostiene di puntare sull‟ALFA, ma fa poco o nulla per
differenziare queste dalle altre (banali) vetture del gruppo; che cosa mai dovremo
aspettarci per il futuro da “MAMMA FIAT” visto che questa nel passato ha sempre
operato per annientare la concorrenza? Mi sembrerebbe azzeccato per lei lo slogan:
“ti piace vincere facile?”
Ora, scusandomi per la digressione, ritorno in argomento.
Come dicevo, nel 1978 arrivò Mauro Pregliasco che riuscì nella non facile impresa
di vincere nuovamente il Campionato Italiano Gruppo 2 battendo le fortissime, e
favoritissime, OPEL che avevano dominato il campo nel 1976 e nel 1977.
Anche la stagione 1979 fu disputata con la “vecchia” GTV, con la quale Pregliasco
riuscì comunque, ad ottenere ottimi piazzamenti, ma, nel frattempo fu avviato lo
sviluppo della GTV TURBODELTA per il gruppo 4.
Le prestazioni di quest'ultima erano notevoli, perché la potenza assicurata dal
generoso 4 cilindri sovralimentato superava i 270 CV già all‟esordio, al rally della
costa Brava nel febbraio 1980 in cui Pregliasco arrivò terzo, per spingersi fino ai
340 CV a fine sviluppo, ma i risultati sperati non arrivarono a causa della scarsa
maneggevolezza, da sempre una delle caratteristiche migliori di questa vettura,
pregiudicata dal turbo-lag, e, soprattutto, della scarsa affidabilità per le elevatissime
temperature che si raggiungevano nel vano motore.
Foto 5: L‟ALFETTA TURBODELTA di Ormezzano/Scabini alle Valli Piacentine
del 1980
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Senza aver ottenuto grandi risultati, a fine stagione l‟ALFA annunciò l‟abbandono
del mondo dei rallies, proprio quando la TURBODELTA aveva ormai raggiunto la
piena affidabilità e maturità, la cui progressione risultò direttamente proporzionale
al numero e alla dimensione delle aperture e dei convogliatori d‟aria del cofano
motore.
Pur in veste non ufficiale, però, l‟ALFETTA continuò la sua avventura nei rallies:
in Italia, con Bentivogli/Evangelisti vinse il Campionato Italiano Gr 2 nel 1982 e
Gr. A nel 1983-84-85, e soprattutto in Francia, con la versione GTV6 2.5. Che per
molti anni colse notevoli successi in Gruppo N ed A.
Foto 6: Yves Loubet e la GTV6
Le vittorie della GTV6 nell'EUROTURISMO ETCC
Successivamente alle vittorie nel campionato europeo turismo (ETCC) Marche del
1971 e 1972, si presentò un periodo di scarse soddisfazioni per l'ALFA; le GTam
nulla potevano per l'assoluto contro le FORD CAPRI 2.6 e 2.9 e, soprattutto,
contro le BMW 3.0 CSI e 3.3 CSI, e nella categoria inferiore arrivarono addirittura
motori da F2 per la FORD ESCORT. Lo stesso campionato ETCC perse
progressivamente interesse fino a quando, nel 1982, la FIA abbandonò le
regolamentazioni tecniche di "Gruppo 1" e "Gruppo 2" sostituendole,
rispettivamente, con quelle di "Gruppo N" e "Gruppo A".
L'ALFA si presentò al via dell'edizione 1982 del campionato con la GTV6 2.5
rispondente alle nuove specifiche e si rinnovarono i fasti degli anni '60, con la
vittoria nella classifica assoluta marche per quattro anni consecutivi, dal 1982
al 1985, anche se, occorre dirlo, l'enorme quantità di vittorie su tutti i terreni delle
vetture derivate dalla Giulia non fu mai più ripetuto.
Le GTV6 2.5 non furono portate in gara direttamente dall'ALFA, ma da tre scuderie
private:
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LUIGI RACING, fondata e diretta dal belga Luigi Cimarosti, che aveva vinto negli
anni precedenti come preparatore delle BMW CSI.
AUTOLODI, squadra collaudata da svariati anni di militanza nel trofeo ALFASUD
e ALFASPRINT, guidata da Beppe Bernabone.
JOLLY CLUB, storica scuderia milanese che affidò le proprie GTV6 alla
preparazione di Elio Imberti.
I risultati conseguiti da queste scuderie spesso sono stati notevoli, come nel 1984,
quando le coupè di Arese vinsero la divisione 2 in tutte le 12 gare in cui il
campionato era articolato, dietro ai mostri della divisione 3: JAGUAR XJ S HE,
BMW 635 CSi, VOLVO 240 turbo.
Le GTV erano condotte da piloti di primordine: Francia, Brancatelli, Naddeo,
Micangeli, Lella Lombardi (unica donna ad aver preso punti in F1), ma al di là
delle capacità dei piloti, una gran parte del merito delle quattro vittorie consecutive
nel campionato è da ascrivere alla GTV6 e alla straordinaria interpretazione che
l'ALFA diede al regolamento tecnico delle vetture di gruppo A.
Infatti a questo gruppo potevano essere omologate vetture a quattro posti la cui
produzione fosse di almeno 5000 esemplari in un anno.
L'elaborazione del motore era assai limitata perchè la testa cilindri doveva rimanere
immutata, inclusi i condotti di aspirazione e di scarico, il diametro delle valvole e la
loro alzata. Doveva anche rimanere immutato l'impianto di alimentazione, inclusa
la sezione di passaggio dell'aria di alimentazione ed era vietata l'adozione del carter
secco per vetture che ne fossero sprovviste nel modello di serie.; erano invece liberi
il disegno delle camme, il rapporto di compressione, il materiale delle molle, delle
valvole e dei pistoni.
E' evidente che un motore come il 6 cilindri "Busso", alimentato fin dall'origine ad
iniezione, era una base eccellente e proprio per le sue caratteristiche di origine
garantiva una grandissima affidabilità; Imberti nel 1982 dichiarò che, smontato per
revisione un motore con all'attivo 14 ore di gara più le prove di 3 corse, questo si
presentava praticamente intatto!
I pistoni utilizzati erano dei Borgo a manto intero, gli assi a camme erano elaborati
dall'AUTODELTA ma pensate: nessuna modifica veniva apportata ad albero
motore, bielle, frizione. Sempre Imberti diceva: "è un insieme così bene equilibrato
di serie che non si può migliorare".
L'unica limitazione era costituita dal gruppo trasmissione che, avendo il cambio al
retrotreno, girava alla stessa velocità di rotazione dell'albero motore e al di sopra
dei 7000 giri/min tendeva a centrifugare il giunto di gomma; per questo motivo non
era possibile spingere il regime di rotazione del motore a valori superiori.
La scocca non poteva subire alcuna modifica strutturale, non si potevano smontare
neppure i paraurti, e quella del GTV era talmente robusta che non fu nemmeno
necessario raddoppiare le saldature. il peso minimo della vettura era stabilito in
funzione della sua cilindrata e la GTV, come quasi tutte le altre vetture, non dovette
essere zavorrata.
Le sospensioni ed i freni, invece, rappresentarono quello che sopra ho indicato
come una straordinaria interpretazione del regolamento; infatti questo prevedeva
che le sospensioni potessero essere sostituite con altre purchè omologate anche
senza un minimo di produzione e mantenessero inalterati tutti i punti di ancoraggio
sulla scocca e all'ALFA, facendo tesoro delle esperienze maturate negli anni
precedenti omologarono in gruppo A le sospensioni delle ALFETTA preparate
secondo le specifiche rally di GR 4. Infine i freni erano liberi purchè fossero
26
omologati dal costruttore anche senza un minimo di produzione e all'ALFA,
smontati i gruppi di serie, omologarono apparati frenanti del tutto simili a quelli
presenti nelle F1; "sono formidabili" sosteneva Lella Lombardi!
Anche la BMW, comunque, seguì una metodologia progettuale assai simile a quella
dell'ALFA, la trasformazione dei freni per una 528i costava nel 1982 circa 8
milioni di lire.
Nella prima metà degli anni '80, parallelamente all'ETCC, crebbero anche numerosi
e combattuti campionati nazionali, dapprima in Francia, Gran Bretagna, Spagna,
Svezia, e, dal 1984, anche in Germania (quest'ultimo darà grandisime soddisfazioni
a noi alfisti con le tante vittorie delle 155). Al contrario, in Italia, ad ogni gara del
trofeo nazionale turismo (attenzione: trofeo, non campionato) risultavano
complessivamente iscritti non più di 15-20 piloti, un numero di partecipanti che si
raggiungeva, oltretutto, facendo gareggiare tutte le classi contemporaneamente. Va
da sè che il parco vetture fosse piuttosto vetusto e che fossero condotte da piloti
appassionati ma dilettanti.
Le vittorie più significative per le ALFA, oltre a quelle nell'ETCC, furono allora
ottenute nei Campionati nazionali esteri, in particolare sono da ricordare le vittorie
nel Campionato francese vetture di produzione del 1983 (Cudini) e del 1984
(Snobeck).
Foto 7: le GTV6 di Cudini e Snobeck vincitrici del Campionato Turismo di Francia
1983 e 1984
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L'ultima ALFA a trazione posteriore: la 75
Nel 1985, in occasione del 75° anniversario della nascita dell'ALFA, venne
presentata la 75: ultima evoluzione delle berline sportive a motore anteriore e
trazione posteriore; a campionato ETCC 1986 iniziato la scuderia Jolly Club
iscrisse una 75 Turbo alla partenza della 500 km di Anderstorp, ma la vettura era
ancora acerba e durante tutto l'anno dovette soccombere alle BMW 325 e alle
MERCEDES 190E 2.3 16; solamente nella massacrante 24 ore di SPA la 75 V6,
seguita dalle robustissime GTV6 2.5, ottennero il 2°, 3° e 4° posto della divisione 2
dietro ad una BMW 325, giungendo 8°, 9° e 10° assolute .
L'anno successivo, 1987, e solo per quell'anno, il campionato divenne mondiale
(WTCC), e la BMW si presentò con un'arma micidiale, che di colpo fece
invecchiare tutte le altre vetture della sua categoria: la M3 non solo dominava la
divisione 2, ma faceva addirittura l'assoluto, così La 75 ottenne solamente
posizioni di rincalzo, nonostante dalla 500 Km di Monza l'ALFA CORSE si sia
avvalsa di piloti del calibro di Nannini, Andretti, Laffite, Schlesser, Francia,
Barilla.
Foto 8: la 75 di Francia/Schlesser (1987)
In Italia, frattanto, nel tentativo di riportare la serie tricolore Turismo ai fasti degli
anni '60 e '70, la CSAI decise di conferire ad essa la validità di "Campionato
Italiano" riservata alle tre classi di gruppo A, mentre i piloti iscritti alle quattro
classi di gruppo N dovevano lottare per la vittoria nei due trofei "Centro Nord" e
"Centro Sud" e successivamente si confrontavano in gara unica a Vallelunga.
Va detto che la CSAI, una volta dettate le regole, non si preoccupò affatto nè di
promuovere le gare nè di dare loro una organizzazione decorosa; a partire dal 1988
a questo si dedicò con grandissimo merito la Scuderia SALERNO CORSE:
nasceva il Campionato Italiano Velocità Turismo (CIVT) riservato a 6 classi
conformi ai parametri del gruppo A e a 6 classi conformi a quelli del gruppo N.
L'iscrizione di vetture ufficiali da parte di ALFA e BMW, unitamente alla
partecipazione di scuderie del calibro di Jolly Club, CiBiEmme Sport, Tecnica
Racing, Pro Team Italia, Lombardi Autosport, diedero al neo campionato un
prestigio ed una notorietà immediata. Il numero dei piloti partecipanti si rivelò
subito elevatissimo, basti pensare che alla prima gara, sul circuito di Magione, si
presentarono ben 99 auto.
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In un parco auto e piloti assai competitivo i primi due posti del Campionato
furono occupati da Gianfranco Brancatelli e da Giorgio Francia sulla 75
TURBO EVOLUZIONE, con scocca alleggerita e irrobustita nelle parti più
sollecitate, sospensioni montate su snodi sferici e con campanatura regolabile al
retrotreno.
Nel 1990 ai due raggruppamenti maggiormente potenti dell'intero CIVT fu
riservato un campionato apposito che fu chiamato di "SUPERTURISMO" e che
vide epiche battaglie tra le ALFA 155, le BMW M3 e le AUDI 80.
Negli anni 1988 e 1989 vi fu molto fermento nel campo delle corse in Italia, perchè
oltre alla nascita del CIVT potemmo assistere al ritorno del Giro d'Italia
Automobilistico, competizione che ci aveva appassionato moltissimo negli anni
'70.
Foto 9: L'ALFETTA GTV di Pregliasco al "Giro" del 1979
La formula ricalcava quella del Tour de France automobilistico ed era
interessantissima perchè coniugava le diverse anime dell'automobilismo da
competizione: strada, pista, regolarità.
Il trasferimento avveniva lungo normali strade aperte al traffico e, passati i controlli
orari di rito, si svolgevano prove stradali cronometrate in percorsi appartenenti al
trofeo della montagna (Cesana-Sestriere, Parma-Berceto, Arezzo-Passo dello Spino,
Rieti-Terminillo), oppure manches in circuito (Monza, Varano, Imola, Casale,
Misano, Mugello, Vallelunga).
Il risultato era una competizione che si sviluppava su un percorso complessivo di
circa 2000 km durante più giornate.
Le due edizioni disputate, nel 1988 e nel 1989, furono entrambe appannaggio
della 75 turbo evoluzione.
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Nel 1988 vinsero Patrese/Biasion/Siviero su vettura preparata secondo le specifiche
IMSA, con Larini/Cerrato/Cerri al secondo posto e Nannini/Loubet/Andriè al terzo.
Nel 1989 vinsero Francia/Cerrato/Cerri, con Larini/Biasion/Siviero al secondo
posto e D'Amore/Noberasco/Cianci al terzo.
Foto 10: la 75 di Patrese/Biasion/Siviero vincitrice del 9° Giro
automobilistico d'Italia (1988)
Foto 11: una 75 al Tour auto del 1986
I modelli successivi alla 75 furono sviluppati su una piattaforme comuni a vetture
di altre Case (la 164, dopo uno sviluppo iniziale 100% ALFA fu rivista
condividendo il progetto con FIAT CROMA, LANCIA THEMA e SAAB 9000),
mentre la 155 era sorella della FIAT TIPO/TEMPRA e LANCIA DEDRA).
Tutte queste sono auto che si stanno affacciando ai fatidici "20 anni" di età, e
magari fra non molto tempo potremo raccontare le strepitose imprese della 155V6
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TI nel Deutsche Tourenwagen-Meisterschaft (DTM), che vinse pilotata da
Larini proprio 20 anni fa.
Foto 12: la 155 V6 TI DTM
Eugenio SILVANO
Socio C.A.R.D. N° 15
ecco alcuni link interessanti:
http://alfaromeosportclub.forumactif.com/t150-les-photos-de-l-epoque-de-dany-snobecket-de-alain-cudini forum specifico sulle GTV6 di Snobeck e Cudini
http://www.touringcarracing.net/ sito veramente completo sull'ETCC
http://www.racingsportscars.com/championship/ETCC.html parte dedicata all'ETCC
del sito che offre moltissime informazioni sullo sport auto
http://www.forum-auto.com/sport-auto/histoire-du-sport-auto/sujet378933.htm topic "le
ALFA nei rallies" del bellissimo forum francese sport-auto
http://www.forum-auto.com/sport-auto/histoire-du-sport-auto/sujet379270.htm topic "le
ALFA nelle corse" del bellissimo forum francese sport-auto
http://www.gtv6-156gta.be/LaGTV6competitionENp2.html per gli amanti della GTV6
2.5 e della 156 GTA
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I piloti
Achille Varzi
Se il 2004 è stato l‟anno del centenario della nascita di Achille Varzi, il grande
pilota cui il nostro Club è dedicato, il prossimo 1° Luglio ricorrerà il 65°
anniversario della sua morte.
Molto si è detto e si è scritto sulle gesta, sulle capacità del pilota, del suo
antagonismo con l'altro grande dell‟automobilismo sportivo dell‟epoca, Tazio
Nuvolari, e anche della profonda stima reciproca: avversari sì sull‟asfalto, ma
legati dalla comune passione e solidali nelle vicende della vita.
Così Achille scriverà di Tazio nel ‟47: “Nuvolari (…) non può essere definito un
maestro ma soltanto un artista del volante. Un maestro potrebbe insegnare.
L’arte non si insegna.”
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Ma forse non a tutti sono noti gli aspetti dell‟uomo Varzi, le cui vicende personali
condizionarono pesantemente la sua attività agonistica.
Nato da una famiglia più che benestante, il pilota cresce in una condizione socioeconomica che per l‟epoca poteva considerarsi privilegiata e che avrebbe dovuto
condurlo ad avere un ruolo prevalente nella società.
Le foto rimaste ci mostrano un Varzi raramente sorridente: carattere chiuso, a
volte scostante per la sua tendenza alla precisione assoluta, aveva tuttavia una
corte di “amici” che approfittavano largamente della sua liberalità ma che in realtà
amavano solo farsi fotografare in sua compagnia. Ma i suoi amici veri erano a
Galliate, con loro amava ritrovarsi dopo le gare per una battuta di caccia o per
qualche partita a carte, lontano dai clamori delle piste, e con loro sapeva essere
cordiale e sorridente, ben diverso da come appariva nell‟ambiente delle corse.
Il vero Varzi non era quello noto al pubblico, quello descritto nelle cronache
sportive e mondane, ma quello del “Caffè Umberto” di Galliate, dove si
incontrava con gli amici per esprimersi in dialetto, parlando di tutto fuorché di
corse automobilistiche: e dunque, il Varzi distaccato, poco incline a parlare,
freddo e meticoloso ai box come sulla pista, non era altro che un timido che si
costruiva una maschera di difesa.
Al di fuori della sua Città, Varzi amava la bella vita ed aveva stabilito la sua
residenza a Milano in un Hotel di lusso ove spesso trascorreva intere notti al
tavolo del poker; ben nota è la meticolosità che poneva nella cura del suo
abbigliamento: sempre impeccabile negli abiti di manifattura sartoriale, si faceva
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confezionare su misure anche le tute da gara, con una stoffa di seta azzurro
pallido, vietando addirittura al fornitore di vendere ad altri quel tessuto. Era
ricercato nei minimi particolari: il casco doveva essere di morbida pelle bianca, i
guanti della miglior marca sul mercato, gli occhiali non potevano essere meno di
due, in modo da averne un paio di riserva, la visiera per la pioggia non mancava
mai; pretendeva che la sua auto fosse sempre lucida e perfetta, tanto da rifiutarsi
di salirvi se avesse presentato il più piccolo segno.
Ma questo perfezionismo in realtà nascondeva due aspetti fondamentali della sua
personalità: una grande timidezza che lo faceva arrossire quando gli venivano
presentate persone nuove, anche quando ormai era un campione affermato, e
l‟esigenza di ottenere per se stesso il massimo; il bell‟uomo, ricco e famoso, di
famiglia agiata, sentiva l‟esigenza continua di mettersi alla prova per dimostrare –
prima di tutti a se stesso – di meritare rispetto non per quello che era ma per
quello che faceva.
Proprio per questo suo carattere e per la sua guida “pulita e precisa”, poco
spettacolare – specialmente se raffrontata a quella impetuosa di Nuvolari – nonché
per la sua condotta in gara molto razionale, Varzi non stimolò la nascita di una
tifoseria appassionata ma piuttosto gli apprezzamenti degli “addetti ai lavori”.
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Per comprendere meglio il carattere di Varzi e la sua scarsa propensione a farsi
amare dal pubblico appare emblematica una sua affermazione riportata da
Giovanni Canestrini: “Se questa gente che si occupa di me sapesse che io corro
per me stesso e per poche persone… non se la prenderebbe tanto.”
Ecco dunque perché intorno al nome di Varzi si scatenò una curiosità morbosa
solo riguardo alla sua vita privata ed ai suoi rapporti sentimentali.
La sua maniacale passione per tutto ciò che è bello lo fa restare di sasso quando,
nel 1935, incrocia – in occasione di sedute di collaudo dell‟Auto Union a Monza –
Ilse Hubach, moglie del pilota Paul Pietsch, compagno di squadra di Achille.
Le foto dell‟epoca ci rimandano l‟immagine di una donna dalla bellezza singolare,
elegante e sofisticata, alla Marlene Dietrich: Varzi se ne innamora all‟istante e da
quel momento ha occhi e pensieri solo per lei, alimentando lo scandalo anzichè
tentare di dissimularlo, e divenendo nell'immaginario collettivo l'incarnazione del
personaggio da rotocalco, tutto genio e sregolatezza, che da sempre piace ed
avvince il pubblico.
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Varzi diventa sempre più irascibile ed isolato. Un atteggiamento che però non può
essere causato solo dalla relazione con la bella Ilse: infatti, nella Gara di Tripoli
del 1936, Varzi è primo con due decimi di secondo di vantaggio sul compagno di
scuderia Hans Stuck che aveva avuto dai box l‟ordine di rallentare mentre era al
comando della corsa, proprio per favorire la vittoria dell‟italiano. Ma Italo Balbo,
Governatore italiano della Libia, che aveva notato le segnalazioni fatte al pilota
tedesco, dopo aver stretto la mano al vincitore reale, brinda a Stuck indicandolo
come il vincitore morale della corsa, forse per ingraziarsi l‟alleato tedesco.
Quella di Balbo fu una scelta politico-diplomatica che tuttavia Varzi – che già
aveva vissuto l‟esperienza di vedersi accantonato dalle squadre che gli avevano
preferito altri piloti, primo fra tutti Nuvolari – non percepì come tale e si allontanò
furioso dal ricevimento.
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E‟ a questo episodio che le cronache dell‟epoca ed alcune successive
interpretazioni biografiche fanno risalire l‟inizio dell‟uso della morfina da parte di
Varzi, attribuendone la responsabilità alla bella Ilse: la versione a lungo più
accreditata fu infatti quella che vedeva Achille, in preda alla rabbia per l‟affronto
subito da Balbo, raggiungere in albergo la sua compagna la quale gli offre una
dose di morfina di cui lei stessa fa uso da tempo.
Ma questa versione contrasta con le notizie e le testimonianze faticosamente
raccolte da G. Terruzzi direttamente da alcuni protagonisti, familiari, amici e
colleghi di Varzi, notizie che smentiscono innanzi tutto la presenza di Ilse a
Tripoli ed il suo uso di morfina: ed è proprio l‟ex pilota ed ex marito di Ilse, Paul
Pietsch, a negare categoricamente la tossicodipendenza della donna; e si fa
dunque sempre più strada l‟ipotesi che fa risalire l‟uso della droga da parte del
pilota per combattere i dolori che lo affliggevano in seguito ad un‟infiammazione
addominale da lungo tempo trascurata.
In effetti, nei mesi di Giugno e Luglio del ‟35 per ben tre volte Varzi lascia il
volante della sua auto ad altri piloti a causa dei forti dolori dovuti ad una
appendicite: Achille sta male, ma il calendario agonistico fino alla fine dell‟anno è
ricco di impegni e lui – già criticato dal pubblico per la scelta di lasciare l‟Alfa
Romeo per correre con l‟Auto Union, e dai benpensanti per la sua “scandalosa”
relazione con Ilse – non può permettersi di allontanarsi dalle corse per risolvere i
problemi fisici. Ed ecco allora spuntare la morfina, l‟unico mezzo che gli può
consentire di vincere i dolori e continuare a correre e vincere per tacitare i suoi
detrattori.
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Non c‟è dunque alcuna prova che confermi la versione, all‟epoca più accreditata,
che sia stata proprio la bella Ilse a fornire per prima la droga ad Achille, tuttavia
se pure non ne fu l‟artefice, la donna certamente non contrastò né tentò mai di
arginare la caduta di Achille nella spirale della morfina.
E non è da scartare del tutto l‟ipotesi avanzata da giornalisti e studiosi di
tossicodipendenze: che cioè Ilse sia stata coinvolta in quella sorta di complicità
che fatalmente unisce una coppia nella droga, che spesso intravede nell‟atto di
drogarsi reciprocamente una specie di equivalente della sessualità
Tuttavia, la morale dell‟epoca e la propaganda di regime non potevano permettere
che l‟immagine di un grande campione fosse oscurata dall‟essere volontariamente
divenuto tossicodipendente: meglio farlo apparire al pubblico come vittima di una
donna priva di scrupoli, essa stessa dipendente dalla droga, per amore della quale
il pilota aveva perso ogni pudore.
Nel 1936 inizia dunque per il campione di Galliate una china che lo porta a
diventare irriconoscibile anche per gli amici più intimi, schiavo della droga e della
sua amante, le uniche cose che davvero gli interessano: il suo rendimento in gara
diventa scarso ed incostante, spesso non si presenta nemmeno alle prove o alla
partenza, il suo carattere si fa sempre più scontroso ed irascibile.
A scandalo ormai conclamato, Varzi è costretto a ricoverarsi in una clinica
svizzera, dove dà fondo al patrimonio suo personale e della famiglia per sottoporsi
a una lunga cura di disintossicazione mentre, oltre alla licenza di pilota e alla
patente di guida, gli viene ritirato anche il passaporto.
In un secondo tempo, per evitare che Ilse potesse in qualche modo avere contatti
con Achille, il pilota viene trasferito dalla clinica svizzera in un posto segreto nel
modenese, ove famiglia e amici veglieranno sulla sua disintossicazione.
Il recupero dell‟uomo e del pilota è lungo e faticoso ma severo, e quello che
rientra a Galliate alla fine del 1938 è un uomo certamente provato nel fisico, ma
del tutto liberato dalla droga: i suoi familiari vigilano sulla ripresa delle vecchie
amicizie, delle vecchie abitudini, le partite a carte al bar del paese, le battute di
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caccia; e ricompare anche Norma Colombo, la donna che era stata la sua prima
compagna a Milano fino al 1935, e che ora, con immutato amore, contribuirà a
ripristinare ritmi e consuetudini di vita “normali”, e che Achille sposerà nel Luglio
1940.
Il ripristino delle condizioni di salute significa per Varzi il ripristino della voglia
di pilotare nuovamente un‟auto da corsa, ma il ritorno al volante gli è impedito
dalla guerra.
Terminata la guerra, Varzi si ripresenta alle competizioni e si unisce con l‟Alfa
Romeo che, in quel periodo, è praticamente invincibile su tutte le piste.
Quello che da molti fu definito “il secondo debutto di Varzi” ebbe luogo al Gran
Premio delle Nazioni a Ginevra il 21 Luglio 1946: il pilota, nonostante abbia circa
42 anni, è ancora lo stesso di quando, quasi trentenne, era il più grande rivale di
Tazio Nuvolari. Gli anni e l‟esperienza passata lo hanno comunque reso meno
sicuro di sé e forse meno pulito nello stile di guida, ed anche le auto sono molto
cambiate.
Già, le auto: Achille ora guida un‟Alfa Romeo 158 con compressore a doppio
stadio, un‟auto con circa 30 CV in più rispetto alle altre e con un‟erogazione quasi
brutale.
E‟ il primo luglio del 1948: Varzi, ormai quarantaquattrenne corre lungo la pista
di Bremgarten a bordo della sua 158 durante le qualifiche per l‟imminente Gran
Premio Svizzero ed Europeo. Improvvisamente, vicino alla curva Jordenrampe, la
macchina scivola sull‟asfalto bagnato ed esce di pista ribaltandosi: Achille batte
violentemente il capo contro il parabrezza rimanendo ucciso.
Anche sulle cause e sulla reale dinamica dell'incidente esistono più versioni,
dall‟errore del pilota, che pure non ne aveva mai commessi prima di allora, alla
momentanea perdita di visibilità dovuta alla nube d‟acqua sollevata dal passaggio
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del compagno di scuderia Wimille: l‟unico dato certo resta comunque la morte del
pilota in una vettura che le foto ci mostrano quasi intatta.
Questi dunque gli aspetti umani del campione di Galliate; per ricordarne le sue
grandi doti di pilota cito un episodio raccontato da Antonio Brivio, anche lui
pilota degli anni '30:
"...alle prove del Gran Premio di Tripoli del 1934 ruppi il motore e il mio
compagno René Dreyfus venne a rimorchiarmi lungo la pista. Per arrivare in
officina dovevamo attraversare la pista: bisognava procedere sulla destra
lentamente sino al bivio per la città e quindi, se non arrivava nessuno sulla pista,
attraversare. Ma Dreyfus non fece così: arrivato al bivio attraversò senza
guardare. Varzi stava arrivando. Poteva vederci solo all'ultimo istante perchè la
sede stradale era come incassata nella terra, come una trincea. Alle mie spalle il
meccanico lanciò un urlo tremendo. Varzi passò alla mia sinistra, montando con
due ruote sul terrapieno, volando sopra Dreyfus e cadendo al suolo più avanti. Se
avesse frenato sarebbe stata la fine per tutti. Varzi scese, ci guardò gridando
'Siete pazzi?'. A ripensarci, ed è successo molte volte, mi pare incredibile quello
che fece: una prontezza straordinaria. Anche perchè procedeva a duecento
chilometri orari. Gli cambiarono il telaio e il giorno dopo vinse la corsa".....
Sulla sua tomba è scritto:
"Forse tu eri destinato a morire, Achille, perché nella tua guida c’era quel
qualcosa di geniale che fa parte del mistero della natura, e la natura si sforza di
eliminare coloro che vi si avvicinano troppo. Beethoven venne colpito dalla
sordità quando sembrava che stesse per trascendere il potere umano
dell’espressione musicale, Galileo fu accecato quando stava per scoprire
l’infinito e le sue leggi, le mani di Leonardo da Vinci vennero colpite dall’artrite
quando era vicinissimo alla perfezione delle sue creazioni. Ed anche tu, Achille,
sei stato fermato quando stavi per attraversare le frontiere conosciute della
velocità.
Ora ti devi preparare per un’altra gara, l’ultima grande gara. Una gara senza
pericoli, preoccupazioni o dolore. Buona gara, Achille."
Gaetano
Fonti consultate:
G. Terruzzi: “Una curva cieca” – 1991
G. Terruzzi: “Varzi – L‟ombra oscura di Nuvolari” – 2010
G. Canestrini: “Achille Varzi” – 1968
G. Canestrini: “Una vita con le corse” – 1962
E. Ferrari: “Piloti, che gente...” – 1985
“Achillevarzi.org”
“F1box.it”
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La Musica
I suoni dei motori Alfa
Alcuni ani fa uscì questo “strepitoso” disco:
Ne abbiamo cercato una copia da digitalizzare, ma ancora non abbiamo avuto
fortuna.
Vuoi vedere che tra i duettisti del CARD non esca fuori un fortunato possessore?
E‟ un disco prodotto da LEA L‟editrice dell‟automobile con codici:
LEA 1966 – 1 2F7KY 15099
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E‟ registrato il rombo dei motori delle seguenti vetture:
Lato 1
Monoposto tipo b, 24 HP Torpedo, RL Targa Florio, RLSS, 1500 T,
1500 S, 1500 SS, 1750 T, 1750 GT, 1750 SS
Lato 2
1750 GS, 1750 GTC, 8C 2300 MM, 8C 2300 GT, 8C 2300 Monza
6C 1900 GT, 6C 2300 GT, 6C 2500 S, 6C 300 CM,
Giulia GTA, Monoposto tipo 159
La caccia e‟ aperta. Fateci sapere!
Max
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I migliori amici del duettista
Welsh Corgi
Dedico questo articolo all‟amico Eugenio (Trombyboy) che ha gentilmente fornito
tutte le immagini del fotomodello (Ettore) e ai suoi nipoti, legittimi proprietari.
STORIA:
Non è ben chiaro come e quando questa razza sia stata introdotta nell‟arcipelago
britannico: alcuni sostengono che il Corgi Pembroke, che presenta aspetti simili al
Västgötaspets (Swedish Vallhund), razza svedese di cane da pastore, sia stato
importato dai Vichinghi. Secondo altri, invece, l'origine del Corgi è autoctona,
poiché in Gran Bretagna si è trovata notizia in documenti storici del X secolo di
un "curre" o "cur dog", vocabolo che significa appunto cane da lavoro e il cui
suono è molto simile alla pronuncia gallese del termine Corgi. Un‟altra teoria
coesiste in merito all‟origine del nome della razza: deriverebbe dall‟unione delle
due parole gallesi Cor (nano) e Gi (cane).
La zona di origine e di maggior diffusione della razza resta comunque il
Pembrokeshire nel Galles e poco importa che questa vi sia arrivata per mare al
seguito dei navigatori nordici o sia il frutto dell'evoluzione dei soggetti presenti
nella regione al tempo dei primi insediamenti umani e per questo, la varietà senza
coda, prende il nome dalla regione stessa ed è conosciuta come Welsh Corgi
Pembroke.
Il nome gallese del Pembroke è "Ci Sodli", che significa garretto, per indicare la
caratteristica abitudine di mordere i garretti alle mucche per radunarle. Erano
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molto agili in questa operazione agevolati dalla compattezza in relazione alla
forza e all‟abilità nel riuscire a sdraiarsi immediatamente dopo il morso per
evitare l‟eventuale scalciare del bovino. Se il bovino riusciva poi a colpirli, erano
abbastanza robusti da riuscire a sopravvivere. Nelle fattorie gallesi il Corgi
svolgeva il compito di cane da pastore guidando la mandria al pascolo,
sorvegliandola di notte, riconducendo i soggetti che se ne erano allontanati.
Durante il trasferimento del bestiame al mercato lo accompagnava lungo il
percorso pronto a difenderlo dai numerosi pericoli frequenti nelle zone selvagge.
Il suo aspetto in quei tempi era senza dubbio piuttosto diverso da quello che
possiamo osservare oggi. Variava nel tipo e nella taglia a aveva pelo ruvido, ma
possedeva lo stesso temperamento attuale. La caratteristica di mordere i garretti
era utile nella guida dei bovini, ma si rivelava un grave errore se applicata alle
pecore per le ferite spesso gravi che ne conseguivano. Nel 1880 i pastori del
Cardiganshire (oggi Ceredigion), per ovviare a questo problema, pensarono di
incrociare il Corgi con il Welsh Collie, altra razza da pastore utilizzata nel Galles:
da questo incrocio si ritiene abbia avuto origine la varietà Cardigan, che conserva
tra le sue caratteristiche il mantello blue merle comune appunto a tutte le varietà
della razza Collie ed è provvisto di coda.
Il Corgi, nonostante le sue doti e le sue capacità non comuni, sarebbe rimasto un
cane da fattoria se il suo destino non avesse previsto un giorno l'incontro con una
bambina molto particolare. Nel 1933, l'allora duca di York, poi re Giorgio VI,
acquistò un cucciolo di questa razza, Rozavel Golden Eagle, per regalarlo alla
figlia Elisabetta (poi diventata regina Elisabetta II). Il cane venne ribattezzato
Dookie e conquistò immediatamente il cuore della famiglia reale. A questo primo
soggetto se ne aggiunsero presto molti altri dando vita all'allevamento della
famiglia reale conosciuto con l'affisso Windsor.
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Da allora i Corgi sono divenuti per definizione "i cani della regina", definizione
entrata nell'uso corrente e conosciuta da tutti, mentre il nome “Welsh Corgi
Pembroke” è ancora poco conosciuto in Italia.
CARATTERISTICHE:
l Welsh Corgi Pembroke è un vivace, curioso ed intelligentissimo piccolo cane,
con una caratteristica testa da volpe (sproporzionatamente piccola rispetto al resto
del corpo), gambe piuttosto corte e con o senza coda. Ma l'aggettivo "piccolo" va
riferito solo alla sua taglia, poiché il carattere è quello di un cane grande, di un
cane da lavoro. Le sue dimesioni ne fanno un compagno ideale che occupa poco
spazio in casa e che si adatta facilmente sia alla vita di citta' sia a quella di
campagna.
Non necessita di attivita fisica particolarmante intensa, anche se è piuttosto
difficile stancarlo. Il suo pelo corto richiede pochissime cure, pur rappresentando
un'ottima protezione contro il freddo e l'umido, dotato com'e' di un fitto sottopelo
a memoria della sua origine di cane da lavoro. Le sue capacita lavorative però,
45
non finniscono qui: il Corgi è un ottimo cacciatore di topi e conigli e talvolta
anche di fagiani e pernici, puo' essere addestrato all'obbedienza e alle prove di
agility, e resta per natura un ottimo cane da guardia.
Anche i soggetti cosiddetti "da esposizione" mantengono inalterate queste
caratteristiche, contrariamente a quanto è accaduto a molte altre razze che,
selezionate solo in base a caratteristiche morfologiche, hanno sì raggiunto alti
livelli di perfezione estetica, ma hanno perso nel contempo qualità di carattere e di
attitudine al lavoro.
LEGGENDA SULLA CODA DEL CORGI:
Esiste anche una vera e propria leggenda su come il Corgi Pembroke perse la sua
coda :
Tanto tanto tempo fa, quando la Terra era ancora giovane ed i folletti durante la
notte annodavano le code delle pecore e stropicciavano le criniere dei cavalli, il
Corgi era l'animale preferito dalla Regina dei folletti per andare a cavallo durante
la notte. I Pembrokes e i Cardigans avevano delle bellissime, lunghe e folte code
con le quali scodinzolavano piacevolmente durante le loro scorribande notturne.
Ma una notte, dopo una lunga giornata di lavoro a pascolare ed accudire il
bestiame, un Corgi Pembroke decise che ne aveva abbastanza e preferì andare a
dormire invece che essere decorato con fiori dai folletti e portare a cavallo la
Regina. La Regina arrivò e lui si tirò ancora più sotto le coperte e non volle
saperne di aprire gli occhi.I folletti lo scrollarono, lo spinsero e lo tirarono fino a
quando non si alzò con un sospiro: "Non voglio uscire sta notte" si lamentò, "sono
stanco e di pessimo umore e voglio dormire. Trovate un altro animale per la vostra
uscita notturna".
Detto ciò si sedette con sguardo fisso e si rifiutò di muoversi. I folletti gli
parlarono, lo pregarono, gli ordinarono, lo minacciarono, provarono a
corromperlo, urlarono; tutto senza ottenere niente. Il Corgi aveva preso la sua
decisione e niente gli avrebbe fatto cambiare idea. La Regina furiosa picchiò i
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piedini per terra e pronunciò una terribile maledizione: "inchioderò con una
formula magica la tua coda al pavimento
in modo da imprigionarti. Sarai liberato non appena accetterai di diventare mio
schiavo e servirmi per le mie cavalcate notture ogni qualvolta io lo desideri."
Questo non piacque per niente al Corgi. Fece un solenne giuramento che non si
sarebbe mai fatto corrompere e cominciò a tirare e tirare.Purtroppo però la sua
coda rimase inchiodata al pavimento. Tirò ancora e ancora fino a quando
finalmente si liberò ... ma la coda era ancora inchiodata. Aveva semplicemente
strappato la coda dal proprio corpo! Ed é da allora che il Corgi Pembroke non
ebbe più la coda, in ricordo del cagnolino che si ribellò alla Regina dei folletti. E
come ogni altro buon gallese é ancora fiero e orgoglioso, pieno di buona volontà e
non tollera minacce e maledizioni.
CURIOSITA’:
Per finire, è doveroso menzionare una gloriosa azienda che, a cavallo tra gli anni
‟50 e‟ 70 ha allietato molti bambini e, ancora oggi, allieta numerosi collezionisti
di giocattoli d‟epoca e di modellini di auto in particolare.
Si tratta della Corgi Toys il cui marchio apparve la prima volta nel luglio 1956 in
Galles, come competitore diretto dei veicoli della Dinky Toys di Meccano, che
avevano dominato il mercato inglese delle auto giocattolo per molti anni.
La società Mettoy fu fondata dall'emigrato tedesco Philip Ullmann nel 1933, che
creò una impresa sulla Stimpson Avenue, Northampton, Inghilterra. Negli anni
Quaranta e Cinquanta Mettoy produsse una gamma di veicoli pressofusi che,
sebbene acerbi, dimostrarono di essere popolari e Ullmann e Katz compresero che
una gamma più ampia di auto giocattolo non solo poteva avere successo, ma
poteva anche rompere il controllo che la gamma di Meccano aveva sul mercato
con i Dinky Toys.
Nacque così l‟impresa di Swansea (Galles) per produrre la nuova gamma di
modellini, offrendo fino a 6.000 posti di lavoro in un‟area con un‟alta
disoccupazione, a causa del fallimento di molte operazioni minerarie locali. Il
nome “Corgy Toys” venne scelto da Philip Ullmann in onore della nuova località
e venne preso appunto dalla razza gallese di cani popolari anche presso la Regina.
Tale nome era anche alla moda e veniva ricordato facilmente, richiamando il
nome del grande rivale. Il famoso logo del cane Corgi venne scelto per
rappresentare la nuova gamma.
Lo stratagemma iniziale delle vendite dei Corgi Toys includeva l‟applicazione di
vetri in plastica, che dava ai modelli una maggiore autotenticità. Tali modelli
vennero subito riconosciuti come “quelli con le finestre”. Le distribuzioni del
1956 si concentravano su veicoli che sarebbero stati familiari ai giovani del
tempo.
47
I primi sei modelli ad essere messi in vendita erano tutte berline: Ford Consul,
Austin A50 Cambridge, Morris Cowley, Vauxhall Velox, Rover 90, Riley
Pathfinder e Hillman Husky. Questi furono seguiti da due auto sportive: Austin
Healey 100 e Triumph TR2. Inizialmente tutti i modelli venivano venduti con
movimento libero, o con motori dotati di frizione, con l‟eccezione dei pesanti
veicoli commerciali, i quali sarebbero stati troppo voluminosi, e le auto sportive
che, con le loro basse sospensioni, non erano in grado di ospitare i motori. Le
versioni Meccaniche, così esse erano conosciute, venivano indicate con un
suffisso M nel numero del motore ed erano disponibili in diverse gamme di
colori.
Esse venivano distribuite con basi pressofuse più dure per sopportare il peso extra
del motore, e in numeri molto inferiori. Esse non si vendevano molto bene, in
parte a causa di un alto prezzo di acquisto, e vennero tolte dal commercio prima
del 1960. L‟ultimo modello Meccanico era il Ford Thunderbird.
Oggi queste versioni sono considerate veri oggetti da collezione a causa proprio
della loro rarità. Le basi pressofuse si sono espanse lungo la gamma per sostituire
l‟originale piatto di stagno. Le auto inglesi dominarono le vendite durante gli anni
successivi, riflettendo la concentrazione della società sul mercato locale, ma nel
febbraio 1958 vennero esplorati nuovi mercati e la prima auto americana, la
Studebaker Golden Hawk, venne messa in vendita.
Nei primi anni Sessanta la gamma Corgi venne esportata in modo consistente, con
una popolarità particolare in Europa, Australia e Stati Uniti. Gradualmente un
numero maggiore di veicoli stranieri venne incluso per attirare questi nuovi
mercati. La prima auto europea creata fu la Citroën DS19 nel dicembre 1957.
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I modelli venivano messi in vendita su base mensile e la gamma crebbe
velocemente fino ad includere veicoli di tutti i tipi. Gradualmente i modelli
divennero più sofisticati con l‟aggiunta di caratteristiche, come le sospensioni
“Glideamatic” e un interno dettagliato sulla Renault Floride nell‟ottobre 1959, e il
primo sistema di illuminazione in fibra ottica 'Trans-o-Lite' sulla Superior
Ambulance sulla carrozzeria Cadillac nell‟ottobre 1962.
La squadra di progettazione di Corgi esordì con il primo modello con un
meccanismo di apertura nel febbraio 1960: l‟Aston Martin DB4, con un cofano
apribile. Ruote anteriori sterzabili, fanali con rubini, luci posteriori e un bagagliaio
apribile, insieme alla ruota di ricambio, furono aggiunti al Bentley Continental
Sports Saloon nell‟aprile 1961, e nell‟ottobre 1963, con il lancio di Ghia L6.4,
vennero raggiunti nuovi livelli di autenticità.
Questo modello non solo aveva un bagagliaio apribile, ma anche porte apribili e
un interno dettagliato con specchietto retrovisore, sedili anteriori pieghevoli e un
modello di cane Corgi sul retro della macchina. La Ghia veniva venduta per 8
scellini e 6 pence, e perfino con tale prezzo relativamente alto vennero venduti
1.700.000 esemplari, prima di essere ritirata nel 1969.
49
La società si diversificò nel mercato dei collezionisti adulti nel 1964 e mise in
vendita una gamma di modelli di auto vintage molto dettagliati chiamati “Corgi
Classics”. Essi, seppur di buona fattura, erano piuttosto costosi e incontrarono un
successo mediocre. I primi ad essere messi in vendita furono una Bentley del
1927, una T Ford aperta del 1915 e una versione con cofano alzato, un Daimler 38
del 1938 e una Renault 12/16 del 1911.
Due anni più tardi una Rolls Royce Silver Ghost del 1912 venne aggiunta alla
gamma. Un furgoncino Ford Modello T in Lyons Tea apparve nel catalogo di
Corgi del 1967, ma non fu messo mai in vendita. Corgi Classics cadde nel 1969,
ma il suo nome fu rivalutato nei tardi anni Ottanta dai collezionisti di tutto il
mondo
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Dai primi anni ‟70 cominciò il lento declino dell‟azienda. Ci furono molte ragioni
collegate anche alla crisi dell‟intera industria delle auto giocattolo: i cambiamenti
dei gusti dei giovani, il costo a spirale per lo sviluppo di nuove caratteristiche che
catturassero l‟immaginario collettivo e il mercato emergente delle console dei
giochi per computer. L‟aumento dei costi e la diminuzione dei guadagni dalle
vendita significava che non c‟erano fondi disponibili per creare gli ingegnosi
modellini del passato e le vendite dei modellini passò all‟ordine delle migliaia
anziché milioni come era stato in passato.
La fine arrivò nel 1983, quando Corgi Toys fu obbligato a chiamare gli
amministratori giudiziari, non a caso solo dopo 3 anni dopo la dimessa del più
grande rivale Dinky Toys. Un‟epoca era passata nella storia.
Purtroppo rimase nel cassetto il modello che tutti i duettisti sognavano, magari
con questo stemma…
Fabrizio Angiolelli (Fabryvet)
51
Contatti
I soci che hanno bisogno di parlare con i membri del direttivo possono
contattare direttamente le seguenti persone, quali responsabili di zona:
Presidente
Massimo Mello Ceresa
Piemonte e Liguria
348.5725440 - [email protected]
Vicepresidente e Tesoriere
Francesco Gori
Romagna e Marche
333.1878926 - [email protected]
Segretario
A. Thomas Candeago
[email protected]
339.4475071
Consigliere
Gaetano Vaccaro
Lazio
[email protected]
Consigliere
Tiziano Nebuloni
Lombardia
349.1857449 - [email protected]
Consigliere (e Commissario Tecnico)
Marco Mottini
…
Consigliere
Gian Piero Giannetti
Toscana e Umbria
339.6853419 - [email protected]
Redazione Duetto News
Girolamo Virgadamo
[email protected]
335.8135321
i Sigg. Marco Mottini e Maurizio Buscaglia sono stati nominati
Commissario Tecnico CARD in ambito ASI
52
Scuderia CARD: Thomas Candeago, Paolo Casagrande, Fabrizio Adami
Probiviri: Fabrizio Adami, Bucci Enrico, Coraglia Fabrizio
Revisori dei Conti: Dott. Piero Gori, Dott.ssa Sabrina Acciarri,
Dott.Gianluca Zamagna
Responsabile Manifestazioni: Silvano Eugenio, Mello Ceresa Massimo
Addetto Stampa: Candeago Thomas
Delegati regionali
Toscana: Gian Piero Giannetti
Sicilia: Beppe Zarcone: [email protected]
Liguria: Eugenio Silvano.
Piemonte e Valle d' Aosta: Fabrizio Coraglia ([email protected]) e Fabrizio
Adami ([email protected])
Romagna e Marche: Francesco Gori
Lazio e parziale sud Italia: Salvatore Di Bella, Luca Regoli, Gaetano
Vaccaro
Lombardia: Casagrande Paolo, Bucci Enrico, Brenna Massimiliano
([email protected]), Raimondo Grazioli
([email protected])
TriVeneto: Cesare Basilico
Emilia: Matteo D'Avena, Marco Giusti
Puglia: Fabio Urbani
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Indirizzi utili: convenzioni, officine,
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CONVENZIONI
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