Il problema della prova dell`evasione fiscale mediante dati

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Il problema della prova dell`evasione fiscale mediante dati
Diritto tributario italiano
Il problema della prova dell’evasione fiscale
mediante dati trafugati
Franco Girino
Già professore dell’Università degli Studi di Verona
e giudice tributario
Breve rassegna della giurisprudenza italiana in materia di utilizzabilità, ai fini del giudicato penale e amministrativo-tributario, di elementi di prova originariamente acquisiti illecitamente
1.
Come è noto, la Svizzera da qualche tempo si adopera per
l’affermazione e la realizzazione della cosidetta “Weissgeldstrategie”[1] nei confronti della Comunità internazionale. Questa
sua strategia sembra muoversi parallelamente su due binari,
quello riferibile all’OCSE (cfr. in primis l’articolo 26 del Modello
di Convenzione fiscale dell’OCSE sui redditi e sul patrimonio, di
seguito Modello OCSE) e quello dei trattati bilaterali conclusi
sulla base del cosiddetto “Modello Rubik” (quest’ultimo, si ritiene preferibile rispetto al cosiddetto “scambio automatico di
informazioni”)[2]. In questo assumono particolare importanza
eventi di indole illecita, che riverberano i loro effetti su Stati
e contribuenti. È palese, in tal senso, il riferimento al trafugamento di dati sensibili da istituti bancari, da fiduciarie e da
studi professionali.
2.
Esposte queste premesse di carattere generale, si ritiene necessario inquadrare il tema del presente contributo nel più
ampio spettro della giurisprudenza di altri Stati europei in materia di utilizzabilità da parte delle amministrazioni finanziarie
di dati trafugati. Senza alcuna pretesa di completezza, si reputa opportuno fare solo un cenno alle fattispecie materiali dalle
quali tale giurisprudenza è scaturita.
Il più significativo trafugamento sarebbe quello avvenuto da
una banca ginevrina (la stessa oggetto di altro recente trafugamento, questa volta dalla sede nell’Isola di Jersey) ad
opera di un dipendente della medesima. Quei dati pervennero all’Amministrazione finanziaria francese che li trasferì alle
competenti amministrazioni finanziarie di altri Stati interessati. Grosso modo, questa fattispecie materiale è simile ad altre
ben note (ad esempio il caso di Vaduz ed ora il caso di Jersey).
Perlopiù, nelle motivazioni delle sentenze pubblicate non si
ravvisa molta chiarezza a proposito delle modalità di acquisizione dei dati da parte delle amministrazioni finanziarie, ossia
in merito al trasferimento dal trafugatore al fisco territorialmente competente e, da quest’ultimo, alle amministrazioni
finanziarie straniere rispetto a quel fisco: insomma, perlopiù
le notizie in punto non sono esaurienti. Tale lacuna informativa costituisce, peraltro, un significativo argomento di difesa
dei contribuenti alla luce di una risalente direttiva comunitaria
(Direttiva n. 77/799/CEE del 19 dicembre 1977)[3].
L’insieme dei dati sottoposti al vaglio della magistratura ha
partorito in Europa un’oscillante giurisprudenza in merito
all’utilizzazione tributaria (e talvolta penale) di quei dati da
parte delle amministrazioni finanziarie.
Sono reperibili decisioni nettamente contrarie all’utilizzo dei
dati trafugati (giurisprudenza austriaca e ceca), altre, invece,
favorevoli (giurisprudenza tedesca, olandese, elvetica), altre,
infine, oscillanti (giurisprudenza francese)[4].
Il quadro appena sintetizzato non può dirsi completo, né definitivo; è facile prevedere che altra giurisprudenza si aggiungerà presto e che non mancheranno altre oscillazioni.
3.
Per quanto concerne la giurisprudenza italiana, osserviamo
preliminarmente che, a nostro avviso, la sentenza della sezione
terza della Cassazione penale del 26 settembre 2012, n. 38753,
non appare decisiva e che, pertanto, non assume quell’importanza che taluni frettolosi commentatori le hanno attribuito.
La disamina della giurisprudenza italiana non seguirà il criterio cronologico, privilegiando, invece, un metodo di ricerca e
di analisi dei “motivi” in senso trasversale. L’esposizione che
seguirà evidenzierà i profili principali di siffatta metodologia.
Un primo problema affrontato dalla magistratura italiana è
quello afferente il percorso dei dati fiscali dalla banca derubata
al fisco italiano[5]. Nelle motivazioni, in fatto, si può leggere
che i dati sulle risorse finanziarie presso la banca ginevrina
erano nella disponibilità dell’Amministrazione finanziaria francese che li trasmise a quella italiana in osservanza dell’articolo 7 della citata Direttiva n. 77/799/CEE e della Convenzione
contro le doppie imposizioni tra la Francia e l’Italia[6].
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Nelle motivazioni di una sentenza, in particolare, si legge, riproponendo il testo del decreto di archiviazione del Giudice
per le Indagini Preliminari (di seguito GIP) presso il Tribunale di
Pinerolo del 4 ottobre 2011, che “non vi è dubbio” che si tratti di
documenti forniti mediante la raccolta illegale di informazioni
costituenti reato[7]. A tanto si è replicato che non è stata violata alcuna norma tributaria, in quanto i documenti in oggetto
non risultano acquisiti nell’ambito di un processo penale e che,
inoltre, l’accertamento dell’eventuale reato è materia che esula dalla giurisdizione italiana[8]. Altrove si è evidenziato come
vi fosse stata una richiesta delle informazioni da parte italiana
all’Amministrazione francese[9].
Ancora, la Cassazione penale, condividendo l’Ordinanza del 16
febbraio 2012 del GIP presso il Tribunale di Como, ha ritenuto
non raggiunta con certezza la prova dell’illegalità della raccolta delle informazioni all’estero[10].
Dalle suddette premesse discenderebbe, quindi, secondo alcune pronunce, la legittimità dell’accertamento d’ufficio ex articolo 41 del Decreto del Presidente della Repubblica (di seguito
D.P.R.) n. 600 del 29 settembre 1973[11].
penale italiano (alla luce della sentenza della Corte di Cassazione del 18 gennaio 2011, n. 24583), così come discettare sulla
distruzione di prove quando ciò sia giuridicamente impossibile
per difetto di giurisdizione. Peraltro, è incontestabile che il fatto sia stato ritenuto come veritiero e provato dalla magistratura italiana, la quale – senza scriverlo apertis verbis – ha in realtà
creduto alle concordanti notizie dei media ed ha in realtà fatto
ricorso al fatto notorio (articolo 115, comma secondo, del Codice di procedura civile, cui rinvia il secondo comma dell’articolo 1 del Decreto Legislativo [di seguito D.Lgs.] del 31 dicembre
1992, n. 546, il quale disciplina il processo tributario)[12].
Se quanto precede è esatto, le decisioni che si fermano allo
scambio di informazioni senza risalire retro e che, pertanto,
scelgono di giudicare in modo esclusivamente formalistico,
non appaiono condivisibili[13]. Ciò osservato, appare di poco
conto il richiamo all’articolo 53 della Costituzione della Repubblica italiana, in tema di capacità contributiva[14], in quanto il
suo rango costituzionale non autorizza lo svolgimento di procedimenti giudiziali legibus solutis[15].
L’analisi delle sentenze menzionate, inoltre, consente di distinguere le relative cause tra:
a) quelle concernenti violazioni di norme penali;
b) quelle concernenti violazioni di norme amministrativo-tributarie.
4.
Quanto precede merita qualche riflessione sul piano di un rigido formalismo e di una palese finzione. Ciò emerge, in particolare, da un’attenta lettura della motivazione della sentenza
della Cassazione penale, che esclude dal piano probatorio sia
articoli di stampa (di mezzo mondo), sia altra giurisprudenza
che ha deciso ritenendo rilevante la condotta del dipendente
bancario.
A fronte di queste posizioni improntate al formalismo più austero (summum jus…) e al più stretto rigore probatorio, si potrebbe ritenere che le sentenze siano formalmente ineccepibili,
ma che, probabilmente, avrebbero fruttato esiti diversi se si
fossero aperte a tre rilievi:
a) l’Amministrazione finanziaria non ha contestato che all’origine i dati furono trafugati mediante condotta delittuosa;
b) i dati vennero acquisiti dal Ministero delle finanze francese,
forse a titolo oneroso, stipulando un contratto con causa
illecita e pertanto nullo anche alla luce del code Napolèon;
c) il fatto penalmente rilevante è notorio.
È esatto che compete esclusivamente alla giustizia francese
giudicare penalmente il responsabile. Pertanto, sembra vano
ritenerlo colpevole della violazione di norme recate dal Codice
Con riferimento alla fattispecie sub a), si è trattato, da un lato,
di un procedimento penale ex articolo 4 del D.Lgs. del 10 marzo
2000, n. 74 (dichiarazione infedele) nel quale lo stesso Pubblico
ministero ha chiesto l’archiviazione, decretata dal GIP del Tribunale di Pinerolo con provvedimento del 4 ottobre 2011[16] e,
dall’altro, di un procedimento penale nel quale la Cassazione ha
emanato una sentenza con riferimento all’Ordinanza del GIP
del Tribunale di Como del 14 febbraio 2012, n. 39[17].
Con riferimento alla fattispecie sub b), si è trattato di alcuni giudizi tributari (di primo e di secondo grado) nei quali sono stati
impugnati atti di contestazione[18] oppure accertamenti[19].
5.
Magna pars della giurisprudenza si sofferma sul problema della
inutilizzabilità dei dati in applicazione dell’articolo 240, comma secondo, ultima parte, del Codice di procedura penale,
secondo il quale il Pubblico ministero dispone l’immediata secretazione e la custodia in luogo protetto dei documenti, dei
supporti e degli atti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni relativi a traffico telefonico e telematico
illegalmente formati o acquisiti. Parimenti il Pubblico ministero
provvede per i documenti formati mediante la raccolta illegale
di informazioni. Di essi è vietato effettuare copia in qualsiasi
forma e in qualunque fase del procedimento e il loro contenuto non può essere utilizzato.
Altra giurisprudenza va oltre, giungendo all’applicazione della
norma sulla distruzione dei dati medesimi. Il problema nasce
dalla ritenuta condotta criminosa del dipendente bancario infedele.
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La Cassazione penale ha condiviso la decisione impugnata
del GIP del Tribunale di Como per mancanza di prove della suddetta condotta criminosa[20]. Diversamente il GIP del
Tribunale di Pinerolo aveva ordinato al Pubblico ministero la
distruzione dei documenti, dei supporti e di ogni altro atto
concernente la illegale raccolta di informazioni, nella misura
in cui non fossero state rinvenute altre prove a carico dell’imputato-contribuente[21].
plicazione dell’articolo 246 del Codice di procedura civile[27].
Forse più convincente sarebbe stata la motivazione, se avesse fatto riferimento al divieto ex articolo 7, comma quarto del
pluricitato D.Lgs. n. 546/1992 (divieto di prova testimoniale
estensivamente inteso).
L’Amministrazione finanziaria ha sostenuto che l’articolo 12
del Decreto Legge (di seguito D.L.) del 1. luglio 2009, n. 78,
convertito dalla Legge del 9 aprile 2009, n. 33, fosse norma
procedurale[22], ma la tesi non appare fondata.
Rimane il fatto che, se i dati sono inutilizzabili, bene decise la
Corte di appello di Parigi (richiamata espressamente dalla magistratura italiana)[23], nel ritenere illegittima la loro trasmissione all’Amministrazione finanziaria italiana, che non può utilizzarli in applicazione del diritto tributario italiano[24].
Quanto sopra riapre l’antica disputa (non ancora sopita) sulla
relazione fra il diritto tributario e le altre branche del diritto,
nella fattispecie segnatamente il diritto processuale penale.
Un giudice ha escluso la rilevanza della normativa penale
nell’ambito tributario, a suo dire poiché il processo tributario è
autonomo e autosufficiente[25]. Tuttavia, la predetta tesi appare debole: infatti, contro l’autonomia e l’autosufficienza del
processo tributario non solo l’articolo 1, comma secondo, del
D.Lgs. del 31 dicembre 1992, n. 546 richiama expressis verbis il
Codice di procedura civile, ma la rilevanza (quando non pregiudiziale) del processo penale in quello tributario è affermata
passim. Vedasi, ad esempio, l’articolo 39 del citato D.Lgs. sulla querela di falso, l’articolo 295 del Codice di procedura civile
sulla sospensione necessaria del processo quando altro giudice
deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende
la decisione della causa (pensiamo all’ipotesi di pregiudizialità
amministrativa al fine di prevenire contradditorietà di giudicati), tutte ipotesi che – a mio parere – non sono venute meno
per effetto della contestata caduta della nozione di unità della
giurisdizione.
6.
Altro tema è quello della prova dell’evasione a prescindere dalla valutazione e dalla rilevanza della condotta criminosa del
dipendente bancario.
Su questa materia si sofferma soprattutto una magistratura
che evidenzia la rilevanza della omessa contestazione di quanto verbalizzato, della confessione e della rilevanza solo indiziaria delle dichiarazioni di terzi (nella fattispecie materiale, della
banca depositaria)[26]. Le motivazioni di quella magistratura
sono, nel complesso, condivisibili. I contribuenti interessati non
hanno contestato di avere giacenze non dichiarate all’estero e
non hanno contestato le risultanze di fatto riportate nei processi verbali di contestazione.
Meno persuasiva la giustificazione data da un giudice sull’irrilevanza delle dichiarazioni di terzi, secondo la quale il terzo
(nella fattispecie la banca) sarebbe parte interessata in ap-
7.
In conclusione, qualche riflessione.
Fare previsioni sulle future decisioni delle Commissioni tributarie italiane e della sezione tributaria del Supremo Collegio
è, a dir poco, difficile se non si risolve, magari mediante un
auspicabile intervento del legislatore, il contrasto fra finzioneformalismo da una parte e realtà-verità dall’altra.
Il fatto notorio può giovare molto ai contribuenti, ma non solo
a loro. Occorrerà conoscere gli esiti dei procedimenti penali a
carico dei dipendenti infedeli, ricordando che solo la magistratura del locus commissi delicti ha giurisdizione su quegli episodi
sconcertanti. Donde l’incontrovertibile pregiudizialità del giudicato penale rispetto a quello tributario. Le eventuali sentenze penali di condanna potranno ritualmente essere prodotte
in forma autentica dinanzi alla magistratura tributaria italiana
e costituire un rilevante tassello al fine di orientare verso una
giustizia sostanziale il Collegio giudicante, soprattutto se e
quando carente di qualsiasi altro mezzo probatorio.
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Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.ticinolibero.ch/wp-content/uploads/2010/12/CD-dati-rubati-banche-svizzere.jpg [24.06.2013]
h t t p://i m a g e s . nz z . c h/a p p. p h p/e o s/v2/i m a g e/v i ew/6 43/-/te x t /
ec6452df/1.17396523.1343135280.jpg [24.06.2013]
[1] Sul tema si veda Zuberbühler Daniel, Strategia dei soldi puliti: da brutto anatroccolo a cigno
bianco?, in: Novità fiscali, n. 7/2012, SUPSI, Manno, luglio 2012, pagine 2 e seguenti.
[2] In tema si veda Vorpe Samuele (a cura di), Il
segreto bancario nello scambio di informazioni
fiscali, SUPSI, Manno 2011; Capolupo Saverio,
Nuove regole sullo scambio di informazioni e
sulla cooperazione internazionale, in: Corriere
Tributario, 2010, pagine 974 e seguenti; Serino
Massimiliano, Scambio di informazioni e paradisi
fiscali. Questioni aperte, in: Il fisco, 2010, pagine
2963 e seguenti; Valente Piergiorgio, Lo scambio
di informazioni secondo l’OCSE, in: Il fisco, 2010,
pagine 4829 e seguenti.
[3] In argomento si veda Marino Giuseppe, La
politica dell’Unione europea sullo scambio di informazioni e il suo ruolo in relazione agli accordi
Rubik, in: RtiD I-2012, pagine 829 e seguenti.
[4] Tra le principali cito, per la contrarietà all’utilizzo delle prove illegittimamente acquisite, la Corte di appello di Parigi, 8 febbraio 2011, n. 14507;
la Corte di cassazione, 7 gennaio 2011, n. 587;
la Corte di cassazione, 7 aprile 2010, n. 15122.
In favore dell’utilizzabilità di tali prove, si veda
il Tribunale federale svizzero, 2 ottobre 2007;
la Corte costituzionale tedesca, 30 novembre
2010; la Corte di appello di Chambéry, 22 marzo
2011, n. 88; la Corte suprema dei Paesi Bassi, 10
marzo 2008. La sentenza del Tribunale federale
svizzero è criticata da Holenstein Daniel, Dürfen
im Ausland illegal erworbene Beweismittel in
schweizerischen Nachsteuer-, Steuerstrafverfahren und in Rechtshilfeverfahren verwendet
werden?, in: StR, 2008, pagine 317 e seguenti. Si
veda, in merito, anche Rigozzi Sabina, La Francia
si divide dinnanzi all’inutilizzabilità di dati di origine illecita da parte dell’amministrazione fiscale,
in: Novità fiscali, n. 4/2011, SUPSI, Manno, aprile
2011, pagine 18 e seguenti.
[5] Si vedano, in argomento, la Commissione tributaria provinciale di Como, 31 ottobre 2011,
n. 188; la Commissione tributaria provinciale di
Treviso, 5 giugno 2012, n. 64; la Commissione
tributaria provinciale di Treviso, 10 luglio 2012,
n. 59; la Corte di Cassazione, sezione penale, 26
settembre 2012, n. 38753; la Commissione tributaria regionale di Milano, 25 gennaio 2013, n. 11.
Inoltre la giurisprudenza italiana conosce almeno due precedenti del Supremo Collegio in tema
di utilizzazione di prove acquisite illegalmente.
In particolare, in una sentenza del 2003, la Corte ha escluso la vigenza in materia tributaria del
principio di inutilizzabilità delle prove acquisite
irritualmente fatta “salva la verifica dei limiti di utilizzabilità derivanti da eventuali preclusioni di carattere
specifico” (Corte di Cassazione, 26 maggio 2003,
n. 8273; si veda anche Corte di Cassazione, 18
luglio 2008, n. 11283).
[6] Sulla rilevanza di dati provenienti da autorità
straniere si rinvia anche alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, 15 dicembre
1999 (in: Foro italiano Repertorio, 2000, pagina
2361), secondo cui l’accertamento IVA ex articolo 54, quinto comma del Decreto del Presidente
della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 600/1972,
con cui è presunta l’effettuazione di operazioni
inesistenti, risulta non sufficientemente provato qualora le argomentazioni presuntive siano
fondate esclusivamente su elementi assunti informalmente da un’autorità straniera, che, non
accompagnati da riscontri oggettivi certi e concreti, non appaiono pienamente utilizzabili ai fini
probatori. Nello stesso senso, si veda la Commissione tributaria regionale di Milano, 25 gennaio
2013, n. 11.
[7] Segnatamente la Commissione tributaria
provinciale di Como, 31 ottobre 2011, n. 188.
[8] Commissione tributaria provinciale di Treviso,
5 giugno 2012, n. 64.
[9] Commissione tributaria provinciale di Treviso,
10 luglio 2012, n. 59.
[10] Corte di Cassazione, sezione penale, 26 settembre 2012, n. 38753.
[11] In tal senso Commissione tributaria provinciale di Treviso, 5 giugno 2012, n. 64; Commissione tributaria provinciale di Treviso, 10 luglio
2012, n. 59.
[12] La norma consente al giudice, senza che sia
necessario per le parti addurre prove al riguardo, di porre a base della sua decisione elementi
noti a persone di media cultura in quell’ambiente
e in quel determinato periodo storico. Si tratta
di un evento/circostanza che consiste in un fatto
conosciuto dal giudice come dato nozionistico
comune e generale (ad esempio, la guerra, o un
fatto di cronaca particolarmente rilevante).
[13] Si veda, conformemente, Marcheselli Alberto, “Lista Falciani”: le prove illecite sono utilizzabili nell’accertamento tributario?, in: Corriere
Tributario, 2011, pagine 3910 e seguenti, e, con
riferimento alla giurisprudenza svizzera, Hottelier Michel, Les droits de l’homme et la procédure
pénale suisse, in: RSDIE, 2007, pagine 493 e seguenti.
[14] Commissione tributaria provinciale di Treviso, 10 luglio 2012, n. 59.
[15] Sia appena il caso di richiamare gli articoli
24, 25 e 111 della Costituzione della Repubblica
italiana.
[16] Decreto archiviazione del GIP del Tribunale
di Pinerolo, 4 ottobre 2011.
[17] Corte di Cassazione, sezione penale, 26 settembre 2012, n. 38753.
[18] Commissione tributaria provinciale di Milano, 14 aprile 2012, n. 236 e n. 237; Commissione tributaria provinciale di Como, 31 ottobre
2011, n. 188; Commissione tributaria provinciale
di Treviso, 10 luglio 2012, n. 59. Sorvogliamo in
questa sede sul problema (aperto) dell’impugnabilità degli atti di contestazione, problema,
peraltro, non sollevato nei contenziosi in esame.
[19] Commissione tributaria provinciale di Treviso, 5 giugno 2012, n. 64.
[20] Corte di Cassazione, sezione penale, 26 settembre 2012, n. 38753.
[21] Decreto archiviazione del GIP del Tribunale
di Pinerolo, 4 ottobre 2011.
[22] Commissione tributaria provinciale di Treviso, 5 giugno 2012, n. 64.
[23] Commissione tributaria provinciale di Milano, 14 aprile 2012, n. 236.
[24] Al contrario, in Commissione tributaria provinciale di Treviso, 5 giugno 2012, n. 64, si è ritenuta rituale la trasmissione dei dati.
[25] Commissione tributaria provinciale di Treviso, 10 luglio 2012, n. 59.
[26] Commissione tributaria provinciale di Treviso, 5 giugno 2012, n. 64 e Commissione tributaria provinciale di Treviso, 10 luglio 2012, n. 59.
[27] Commissione tributaria provinciale di Treviso, 10 luglio 2012, n. 59.