Per la storia di un capolavoro dell`arte ceramica
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Per la storia di un capolavoro dell`arte ceramica
Per la storia di un capolavoro dell’arte ceramica savonese. A partire da un’insegna araldica di Guido Farris Era l’unica rappresentazione che potesse costituire il punto di partenza per tentare di capire la decorazione, piuttosto affollata, dello straordinario piatto reale1 in maiolica policroma che stavamo esaminando. CERAMICA In questa pagina e alle pagine precedenti Piatto in maiolica diametro cm 45, modellato a stampo, decorato da Bartolomeo Guidobono, prodotto da officina ceramica savonese nel marzo 1680. Collezione privata. 56 S i trattava di un grande piatto2 del diametro di 45 cm, modellato a stampo e con una decorazione composta da un rilevante numero di raffigurazioni separate le une dalle altre da una cornice a cordone utilizzata anche per circoscrivere il cavetto e per delimitare le suddivisioni in quartieri della tesa. Al centro del piatto si trovava l’unico elemento che si potesse prendere in considerazione per accedere ad una traduzione di qualche significato filologico: si trattava dell’insegna araldica che occupava buona parte del cavetto. Tutte le rappresentazioni che si affollavano attorno alle insegne araldiche apparivano – ad un primo esame – un po’ misteriose o meglio non trovavamo modo per attribuire loro altro significato se non quello di una piacevole decorazione. Non vuol dire però che fossimo in grado di riconoscere a quale casato appartenessero le armi rappresentate… ma era facile ricorrere all’ausilio dei repertori araldici. L’unico riconoscimento che eravamo in grado di fare si limitava al cappello che timbrava lo scudo: si trattava di un cappello di dignità vescovile. Com’era nelle presunzioni, la ricerca araldica non fu difficile e rivelò che lo scudo portava l’arma dei Della Chiesa3. Fu allora evidente che era necessario seguire il suggerimento dell’informazione araldica: ricercare cioè chi fosse il vescovo appartenente al casato dei Della Chiesa. In considerazione delle palesi caratteristiche che il manufatto ceramico presentava sul piano stilistico, la consultazione della preziosa “Hierarchia Catholica” poteva essere limitata al XVII secolo. Scoprimmo però che si trattava di un compito più arduo di quello che avessimo previsto in quanto si trattava ora di capire chi fosse il vescovo Della Chiesa del nostro piatto dovendo scegliere tra le cinque persone che di quel casato erano state consacrate alla dignità vescovile nel XVII secolo. Ad offrirci un aiuto insperato furono i risultati scaturiti dalla consultazione del famoso repertorio iconologico del Ripa4 che avevamo deciso di sfogliare per tentare di attribuire un qualche significato a qualcuna delle numerose raffigurazioni. Riuscimmo ben presto a capire cosa volessero dire alcune rappresentazioni procedendo al confronto con le illustrazioni del Ripa – “…fatte per significare una diversa cosa da quella che si vede con l’occhio…” – e a stabilire quale ne fosse la lettura secondo le intenzioni del pittore e nel rispetto dei canoni ripani. Ad un’analisi un po’ più attenta tuttavia non tutte le rappresentazioni sembravano però doversi annoverare in questa categoria. Vi si trovavano anche figure che significavano solamente quello “…che si vede con l’occhio…”. Le due figure di angioletto poste a destra ed a sinistra del cavetto, nella parte medio-alta, erano una eccezione apparendo con evidenza come quelle di un’offerta: l’angioletto di sinistra portava ed offriva il pastorale con la mano destra ed il cappello di dignità vescovile con la mano sinistra, quello di destra portava ed offriva la mitra. Questa constatazione consentiva di formulare una ragionevole interpretazione e cioè che il bellissimo piatto in maiolica policroma fosse stato regalato al Della Chiesa in occasione della sua consacrazione alla dignità vescovile. Tra i primi risultati della ricerca iconologica ad attirare la nostra attenzione fu la lettura che veniva suggerita da due delle raffigurazioni. La prima, collocata in uno dei grandi quartieri della tesa, quello alla sinistra del cavetto, mostrava una donna dagli abiti un po’ arruffati, seduta in un bel paesaggio boschivo, che reggeva davanti a sé con ambe- CERAMICA Pagina a fronte Al centro del cavetto si trova lo scudo accartocciato con le armi dei Della Chiesa timbrate da cappello di dignità vescovile. Attorno, a partire dall’alto, sono rappresentate la Carità, la Speranza, la Fede, la Prudenza, la Giustizia, la Fortezza, e, subito al di sotto dello scudo, la Virtù. A completare la decorazione del cavetto sono anche due angioletti che tengono, a destra e a sinistra, la falda del cappello di dignità vescovile. In questa pagina, in alto: Angioletto che offre il pastorale e il cappello di dignità vescovile; angioletto che offre la mitra. In questa pagina, in basso: Raffigurazione della Povertà; la Povertà in uno che abbia bell’ingegno, di Cesare Ripa. 57 Raffigurazione del Dispregio del mondo. Il Dispregio del mondo di Cesare Ripa. In basso: Raffigurazione della Carità; la Carità di Cesare Ripa. 58 due le mani un pesante sasso legato con una cordicella: raffigura, secondo il Ripa, la “Povertà” seppure in termini non del tutto fedeli ai suoi canoni. La seconda, dipinta in uno dei quartieri di minore grandezza, quello che si trova in basso alla destra del cavetto, presenta una figura maschile con elmo e corazza che tiene un’asta con la mano destra, che calpesta col piede destro una corona e col piede sinistro uno scettro; vuol rappresentare il “Disprezzo del mondo” con trascurabili differenze (la mancanza del ramo di palma tenuto con la mano sinistra) rispetto alla prescrizione ripana. La ricerca storica5 ci aveva intanto fatto conoscere Francesco Agostino Della Chiesa, vescovo di Saluzzo nel 1642, Clemente Della Chiesa, vescovo di Acqui nel 1646, Didaco Della Chiesa, vescovo di Nizza nel 1665, Vittorio Nicolino Della Chiesa, vescovo di Alba nel 1667, Bernardino Della Chiesa, vescovo di Argos nel 1680, ma il fatto che, per quest’ultimo, “Bernardinus”, fosse precisato che apparteneva ad “Ordinis Fratrum Minorum Reformatorum” rivelò che questi era il solo al quale si addicessero gli attributi coerenti con “Povertà” e “Dispregio del mondo”. Per quanto attiene alla “Povertà” non si può tralasciare di mettere in evidenza un elemento che è sicuramente importante dal punto di vista interpretativo. Il pittore che l’ha dipinta si è trovato sicuramente nella necessità di trovare il modo per poter precisare che la “povertà” da lui rappresentata era quella di una condizione professionale liberamente scelta e non quella imposta dall’appartenenza ad una classe sociale inferiore. Ha risolto tale problema ricorrendo ad una scelta che è prova di una capacità intellettuale non comune oltre che di un ottimo livello culturale. D’altra parte aveva un ben preciso dovere di rappresentare una qualche forma di distinzione per il fatto che il censo del casato al quale il neo–consacrato apparteneva non poteva sicuramente accordarsi con la pura e semplice rappresentazione della povertà. Bastava leggere le precisazioni del Ripa – ed il nostro pittore mostrò di averle ben presenti – per trovare il modo di differenziare la raffigurazione della “povertà”: “…L’ali nella mano sinistra significano il desiderio d’alcuni poveri ingegnosi, i quali aspirano alle difficoltà della virtù, ma oppressi dalle proprie necessità, sono sforzati a starsi nell’abiettioni, e nelle viltà della plebe…”6. Non si addiceva certo ad un Della Chiesa lo “…star nelle abiettioni e nella viltà della plebe…” ed al colto pittore di maioliche bastò omettere la rappresentazione delle “ali nella mano sinistra” per raggiungere il suo scopo: quello di evitare che la persona della quale si dipingeva l’attributo fosse considerato appartenente ad un ceto di bassa estrazione. Anche tutte le altre raffigurazioni hanno mostrato poi di avere un significato laudativo od un atteggiamento reverenziale. Al di sopra del blasone vi sono due angeli che sorreggono – uno a destra ed uno a sinistra – il cappello di dignità vescovile e, quello che sta alla sinistra dello stemma, ha anche l’incarico di offrirlo, un cappello della stessa foggia, portato con la mano destra. Tra questi due angeli è una figura femminile che ha una fiamma sulla testa ed ha accanto a sé due bambini: è la raffigurazione della “Carità”, una delle virtù teologali; è qui vestita di azzurro mentre nella prescrizione del Ripa dovrebbe essere “vestita di rosso” ed avere vicino “tre fanciulli”. La ricerca delle altre due virtù teologali risulta facile. La “Fede” – il Ripa precisa “Fede Cattolica” – si trova alla destra dello stemma e la sua rappresentazione risulta molto fedele al Ripa “…Donna vestita di bianco, coll’elmo in testa terrà una candela accesa, e un cuore. E nella sinistra la tavola della legge vecchia, insieme con un libro aperto”. Piccola deroga del pittore è l’omissione della tavola mosaica ma, poiché ha raffigurato due libri nella mano sinistra, mostra di aver letto la precisazione “…sono il Testamento Nuovo, e Vecchio insieme…” 7. La “Speranza”, terza virtù teologale, si trova rappresentata alla sinistra dello stemma come giovane fanciulla vestita di verde che guarda verso il cielo; il pittore ha mostrato in questo caso di attenersi a comuni precisazioni piuttosto che alla raffigurazione del Ripa. Ricorrono infatti evidenti ragioni di ordine pratico “…Donna vestita di verde… Amore in braccio, al qual dia a suggere le proprie mammelle…” sarebbe stata rappresentazione incompatibile con le necessità di rispetto dovute al censo ecclesiastico della persona cui era indirizzato l’omaggio. Al di sotto della “Fede”, alla destra del blasone, è una figura a due facce che si sta specchiando e che, pur discostandosi per qualche particolare dalle prescrizioni del Ripa, rappresenta la “Prudenza”, una delle virtù cardinali. Più in basso succede alla “Prudenza” la rappresentazione di una figura femminile che ha vicino un elefante e che ha nella mano destra le redini e nella sinistra la clessidra; rappresenta, in adesione alle prescrizioni del Ripa, la “Temperanza”, un’altra delle virtù cardinali. È qui da rilevare il curioso particolare della preferenza data dal pittore allo strumento di misura del tempo: ha preferito la clessidra al pendolo del modello ripano. Le altre virtù cardinali sono poste a sinistra dello stemma, al di sotto della “Speranza”. La prima è una figura femminile che ha la spada nella mano destra e la bilancia nella mano sinistra; non corrisponde alla raffigurazione della “Giustizia” come è nelle edizioni seicentesche del Ripa in quanto il pittore ha preferito, in questo caso, ricorrere a quella tradizionalmente accettata. L’ultima rimasta delle virtù cardinali, la “Fortezza”, si trova rappresentata al di sotto della Giustizia ed è interpretata da una figura robusta di donna, con elmo e corazza, che tiene una lancia con la mano destra ed è appoggiata allo scudo con il braccio sinistro; il nostro pittore ha omesso, in questo caso, di rappresentare il ramo di quercia della mano destra e la scena di lotta tra il leone ed il cinghiale sullo scudo. Subito al di sotto dello stemma è presente un’altra figura di donna – “giovane e graziosa” precisa il Ripa – che ha grandi ali ed il sole sul petto, che tiene un’asta con la mano destra e una corona di alloro con la sinistra; è la raffigurazione della “Virtù” ed è molto fedele a quella che ne fa il Ripa. Possiamo descrivere le decorazioni della tesa iniziando dalla parte superiore dove si trova, in posizione centrale, con lo sfondo di un bel paesaggio, una figura di uomo con la barba bianca, vestito di un lungo abito bianco di foggia sacerdotale, che tiene una frusta nella mano destra ed una lampada ad olio nella mano sinistra; è la fedele riproduzione della figura che il Ripa fa dello “Zelo”, precisando che è “…amore della Religione…” . Raffigurazione della Virtù. La Virtù di Cesare Ripa. 59 Raffigurazione dello Zelo. Lo Zelo di Cesare Ripa. 60 Procedendo in senso orario troviamo l’angioletto offerente con la mitra, di cui abbiamo già parlato, e, subito dopo, in un bel paesaggio boschivo quella “Povertà” che ci è stata così utile per arrivare al riconoscimento del personaggio al quale venivano rivolte le illustrazioni celebrative. Abbiamo già sottolineato quale doveva essere il significato da attribuire alle differenze riscontrate tra la raffigurazione che realizza il nostro pittore e quella della prescrizione ripana. A questo soggetto riteniamo opportuno sottolineare come, molto verosimilmente, i canoni iconologici volessero costituire solo un generico canovaccio della descrizione che si voleva fornire attraverso la rappresentazione, ma che i particolari della stessa potevano essere modificati per fornire tutte le precisazioni che si fossero rese necessarie per proporre una distinzione soggettiva o per favorire una speciale esigenza colloquiale. Vogliamo dire che la prescrizione, pur avendo un suo ben preciso colorito apparentemente dogmatico, consentiva però tutte quelle deroghe che fossero necessarie per un adeguamento alla situazione particolare che si doveva descrivere. Subito dopo la raffigurazione della Povertà, si trova una figura femminile seduta che guarda verso l’alto e che indica il cielo con la mano sinistra: si tratta verosimilmente della “Longanimità”. La successiva figura è ancora quella di una donna contornata da alberi e cespugli, che ha vicino a sé una cornacchia e che tiene nella mano destra un ramo di cedro con i frutti; si tratta della “Misericordia” e la sua presentazione però non è del tutto fedele alle prescrizioni del Ripa in quanto non ha sul capo una corona d’ulivo. Il riquadro che segue è quello che ha il “Disprezzo del mondo” ed abbiamo già avuto modo di parlarne. Al suo seguito è una figura femminile seduta che ha sul capo una ghirlanda di fiori e che tiene una rosa con la mano destra: si tratta della “Affabilità, Piacevolezza, Amabilità”. Successivamente c’è l’altro degli angioletti offerenti quello con il pastorale ed il cappello di dignità vescovile. Se, partendo dalla lettura delle raffigurazioni, cerchiamo ora di trovare qualche elemento che ci possa essere di aiuto nel tentativo di dare una collocazione storica al capolavoro in maiolica che abbiamo avuto l’opportunità di esaminare, pensiamo si debba concludere che, come abbiamo già detto, tutte le rappresentazioni hanno la finalità di esaltare le qualità della persona che è ascesa alla consacrazione vescovile. Il piatto è stato sicuramente commissionato ed offerto in tale occasione e possiamo quindi affermare che sia stato prodotto nel febbraio/marzo del 1680. Il significato delle raffigurazioni è stato evidentemente scelto in modo da essere in stretta coerenza con le qualità caratterizzanti del ministero sacerdotale. E lo ha fatto, con cultura e capacità artistica, secondo la nostra convinzione, un pittore che aveva allora ventisei anni e che era anche un sacerdote; il suo nome, Bartolomeo Guidobono, rimarrà poi sempre, nella Storia della Pittura, seguito dalla connominazione “Il Prete Savonese”. Lo ha fatto per il “Bernardinus” che è possibile si trovasse, nei giorni precedenti o seguenti della sua consacrazione vescovile, nella città di Savona dove è documentato che vivevano dei Della Chiesa con i quali aveva sicuramente legami di parentela8. Non siamo riusciti a trovare alcun elemento che ci possa fornire informazioni sulla persona (o sulle persone) che hanno chiesto al giovane, ma già affermato, Bartolomeo Guidobono di dipingere un piatto in maiolica da offrire al neo-vescovo. Parte poco tempo dopo per la Cina, “Bernardinus”, sede della missione che gli viene affidata con il delicato incarico di comporre le controversie che si erano venute a creare nella comunità dei missionari cattolici. Affronta complessi e delicati problemi e viene anche a trovarsi in notevoli difficoltà fino al momento della sua morte a Lintsing nel 17229. Sembra ovvio pensare che il piatto in maiolica non lo abbia seguito nella sua missione estremo-orientale che è stata così tribolata da lasciar pensare che sarebbe andato in qualche modo perduto. È verosimile sia invece rimasto in Savona nella dimora dei Della Chiesa. La ineguagliabile qualità della pittura e la notevole dimestichezza che l’esecutore dimostra di avere con le prescrizioni iconologiche del Ripa, lasciano pensare che il pittore colto e di grandissima levatura artistica sia proprio quello che abbiamo proposto: Bartolomeo Guidobono. Le figure dei personaggi e degli angeli, nonché il paesaggio, richiamano suggestivamente quelle dei quadri e degli affreschi da lui eseguiti. Non sembra casuale, per esempio, la stretta identità che è presente nell’atteggiamento della Vergine, nel quadro della Natività (circa 1690)10 e della raffigurazione della “Longaminità” sul nostro manufatto ceramico. Val forse ricordare che un certo numero di opere guidoboniane può attestare la buona conoscenza che aveva dell’iconologia ripana; disegna, intorno al 1685, lo stemma dei Grillo e ricorre con evidenza ai canoni iconologici del Ripa nella rappresentazione della “Virtù” e della “Fama” che sorreggono lo scudo accartocciato11. Ma è proprio in questo disegno che troviamo anche suggestive analogie tra gli angioletti che sono attorno allo scudo dei Grillo e quelli offerenti del piatto vescovile. È, a nostro avviso, piuttosto convincente che il piatto in maiolica, dipinto per essere offerto a Bernardino Della Chiesa, consacrato vescovo il 20 marzo 1680 all’età di trentacinque anni – era nato a Venezia nel 1644 – sia proprio da attribuire al grande “Prete savonese”. Riteniamo si tratti di un capolavoro da collocare al massimo livello dell’Arte ceramica savonese. Il manufatto non presenta contrassegni che ci possano indirizzare a maggiori precisazioni riguardo all’officina savonese nella quale è stato eseguito. Bibliografia e note 1. Aggettivazione che, in Liguria, stava ad indicare che il diametro era al di sopra di una certa misura (FARRIS G.: Le misure delle ceramiche in Liguria; “Faenza”, LXXV, 1-2, 1991, pag. 12) 2. È stato esposto nel 1992 alla Mostra dedicata al Barocco (Genova Galleria Nazionale di Palazzo Spinola). L’attuale illustrazione vuole estendere, date le peculiari caratteristiche dell’oggetto, la sintetica descrizione che ne è stata data nella scheda n. 253 (pag. 377) del Catalogo (“Genova nell’Età Barocca”, a cura di Gavazza E. e Rotondi Terminiello G.; FARRIS G.: Ceramica, pag. 363; Genova 1992) e soprattutto ampliarne la parte iconografica. 3. D’argento alla chiesa di rosso; col capo di Francia (SPRETI V.: Enciclopedia StoricoNobiliare Italiana; vol. II, Milano 1929, pag. 444). Famiglia piemontese “…di remota nobiltà, originaria di Saluzzo... diramò largamente, dando luogo a varie linee salite in grande chiarezza...” 4. Iconologia / del Cavaliere / Cesare Ripa / Perugino / Notabilmente accresciuta d’Immagini, di Annotazioni, e di Fatti / Dall’Abate Cesare Orlandi... In Perugia MDCCLXIV: è, tra le edizioni del Ripa, quella che abbiamo utilizzato per le nostre ricerche. Come è noto l’ Iconologia ebbe un successo ed una diffusione di enorme portata a partire dalla sua comparsa; influenzò in Italia ed in gran parte d’Europa le Arti e la Letteratura del XVII e del XVIII secolo. Alla prima edizione del 1593 fecero seguito, fino al 1620, altre sei edizioni curate dal Ripa e ne comparvero poi altre quattro con le aggiunte di Giovanni Zaratino Castellini, tra il 1625 ed il 1667, ed una con quelle di Cesare Orlandi nel 1764. E’ molto probabile che il pittore del piatto dedicato al vescovo Della Chiesa abbia potuto disporre di una delle edizioni veneziane (1645 o 1667). 5. GAUCHAT P.: Hierarchia Catholica medii et recentioris Aevi; vol. quartum, Monasterii MCMXXXV. RITZLER R. et SEFRIN P.: id.; vol. quintum, Patavii MCMLII. 6. RIPA C.: I. c., pag. 394. 7. RIPA C.: I. c., pag. 42. 8. BRUNO F.: La famiglia dei nobili Della Chiesa di Savona; Atti Soc. savonese di Storia Patria, vol. III, 1920. 9. Enciclopedia Cattolica; vol. IV, pag. 1371, Città del Vaticano 1950, dove è precisato che “Bernardino Della Chiesa Francescano” è morto “m. in Lintsing il 21 dic. 1721” mentre in una comunicazione personale (scritta) della Curia Prov. O.F.M. sono informato del ritrovamento di una lapide con la scritta “F. Bernardinus ab Ecclesia…..obiit XXI December 1722”. 10. GAVAZZA E., LAMERA F., MAGNANI L.: La pittura in Liguria. Il secondo Seicento; Genova 1990, pag. 164, coll. privata. 11. Si trova a Roma all’Istituto Nazionale per la Grafica, Gabinetto dei disegni e delle stampe (n. F.N. 12382); illustrato da GAVAZZA E., LAMERA F., MAGNANI L.: 1. c., pag. 157. Bartolomeo Guidobono, Natività (part.). Raffigurazione della Longaminità. Bartolomeo Guidobono, disegno dello scudo con le armi dei Grillo (part.). 61