L`arrampicata nella formazione outdoor - Formazione
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L`arrampicata nella formazione outdoor - Formazione
L’arrampicata nella formazione outdoor di Umberto Santucci Gli esseri umani, da quando sono scesi dagli alberi, procedono in orizzontale, camminando, correndo, saltellando, oppure muovendosi su veicoli come ruote o slitte. Tuttavia l’istinto di procedere in verticale, salendo e scendendo, ci appartiene fin da bambini, e ci porta ad arrampicarci sulle sedie, sugli armadi, sugli alberi, sulle strutture di gioco. Anche da grandi proviamo sempre una certa emozione nel salire in alto, a piedi o con un veicolo come un ascensore o una funivia. La progressione in verticale, o in orizzontale su un terreno verticale, non è più naturale per noi. Perciò ci mette in una condizione percettiva alterata, diversa dal normale, e ci pone sfide e limiti inusitati. Su questa base si fonda l’uso dell’arrampicata come metafora esperienziale per outdoor training. Il seminario tipo Un team affiatato, formato da guide alpine e maestri di arrampicata, e di formatori esperti di problem solving strategico, può realizzare seminari di arrampicata finalizzati alla formazione manageriale, con diverse tipologie che vanno da un intervento di due ore presso l’azienda, in aula o in uno spazio chiuso, a seminari presso strutture artificiali, fino a seminari residenziali in luoghi attrezzati per l’arrampicata sportiva come le falesie della Valnerina in Umbria o di Sperlonga nel Lazio. I seminari possono essere autosufficienti, o si possono inserire in altri progetti formativi. Un seminario-tipo può avere la seguente struttura. Definizione del problema dei partecipanti Si comincia con la fase dell’ascolto, dove i partecipanti vengono aiutati uno per uno a definire il problema su cui vogliono lavorare o il limite che vogliono superare. In tal modo si personalizza la metafora arrampicatoria più adatta e si può indirizzare il seminario verso gli argomenti che interessano di più (competizione, cooperazione, team building, leadership, problem solving, creatività). I propri limiti Problemi e limiti lavorativi si trasformano in problemi e limiti arrampicatori: l’itinerario da scalare, la meta da raggiungere, la difficoltà da superare. In tal modo si rende concreto l’astratto, si rende fisico lo psichico, si sposta sul piano della simulazione e 1 www.formazione-esperienziale.it [email protected] del gioco una difficoltà di lavoro, di relazione, di percezione che sono ben più stressanti perché logorano ogni giorno in maniera silenziosa ma costante. I piccoli problemi arrampicatori sono più facili da gestire, con l’abile guida degli istruttori, che li adattano alle capacità di ognuno, e che li spezzettano in sottoproblemi. Tuttavia sono emozionanti e coinvolgenti, perché agiscono su sensazioni primarie, come il proprio peso, la forza delle braccia e delle gambe, il senso del vuoto e dell’altezza, la tensione per restare attaccati alla parete, o la distensione e l’abbandono quando si viene calati giù con la corda. Mettersi in gioco Le guide e gli istruttori attrezzano la parete con le corde, ed equipaggiano i partecipanti con imbragature, scarpette e moschettoni. Quindi i partecipanti iniziano a cimentarsi con la scalata di pareti facili, per cominciare in modo non troppo traumatico, anche se già emozionante per l’impatto col verticale e col vuoto. L’arrampicata sportiva proviene dall’alpinismo. Lo libera dalla sfida alla grande parete di montagna, con tutte le difficoltà inerenti (lunghezza dei percorsi, freddo e maltempo, zaini pesanti), per concentrarsi sul gesto arrampicatorio da fare su strutture naturali o artificiali già attrezzate per salire e scendere rapidamente. Gli itinerari si limitano a vie di una ventina di metri con difficoltà calibrate e numerate dal 4 al 9, dove il 4 significa vie facili, il 9 difficoltà limite delle possibilità umane attuali. Anche se una componente di rischio c’è sempre quando si sta su una parete a venti metri di altezza da terra, l’arrampicata è uno degli sport più sicuri, senza dubbio più sicuro dello sci o della mountain byke, e guide/istruttori assicurano il massimo della sicurezza possibile. L’arrampicata diventa così un gioco, con se stessi e con gli altri. Secondo la classificazione di Caillois è un gioco di vertigine, perché sfidiamo noi stessi a provare il brivido del vuoto, come avviene per l’altalena, per la giostra o l’otto volante, per lo sci o il paracadutismo. Si compete con se stessi per vedere fino a che punto si riesce a salire, se e come si riesce a superare un passaggio apparentemente impossibile. Si compete con gli altri che magari hanno già superato il passaggio, o li si aiuta quando noi siamo più avanti. C’è un cambiamento di prospettiva quando si affronta la progressione in verticale, o la progressione in orizzontale su una parete verticale, utile a stimolare la creatività e a far uscire dalle routine abituali. Ci si rimette in gioco perché si abbandonano percorsi facili e abituali e si affrontano percorsi difficili e inusitati. Dimensione verticale La • • • dimensione verticale si affronta in tre modi: scalare una parete dal basso verso l’alto; progredire in orizzontale su una parete verticale; strapiombante, scendere in moulinette o arrampicando. La scalata verso l’alto combina lo sforzo di tenersi attaccati alla parete con la gravità e il controllo del proprio peso corporeo in base ai gesti che si compiono e alla posizione 2 www.formazione-esperienziale.it [email protected] del baricentro in rapporto con braccia e gambe. Inoltre, man mano che si sale, aumenta la sensazione del vuoto e la paura di cadere. La progressione in orizzontale, che si pratica soprattutto su strutture artificiali, è comoda quando si è soli perché non c’è bisogno di un compagno che ci assicuri, ed è utile per capire le posizioni del corpo e l’anticipazione del movimento verso destra o verso sinistra. La discesa in moulinette, ossia con la corda che fa carrucola sull’ancoraggio a catena posto sulla sommità della via, abitua ad abbandonarsi alla manovra del compagno, ed è interessante come esperienza psicofisica specialmente per quelle persone che vogliono tenere tutto sotto controllo e sono incapaci di abbandonarsi e avere fiducia in un altro. La metafora L’arrampicata si presta a molte metafore formative. Innanzitutto il problem solving: come si fa a scalare una parete verticale o strapiombante? Poi la gestione del baricentro, che rende il peso corporeo sostenibile o insostenibile a seconda di come si dispone in relazione con le braccia. Quindi la percezione di se stessi: quando resisto e quando non ce la faccio più? Quando sto sù e quando cado? Ancora, il senso di solidarietà, espresso anche dalla corda che lega fra di loro i due compagni di ascensione. La comunicazione, che si risolve in pochi messaggi essenziali e inequivocabili. Altre metafore sono la meta da raggiungere, come obiettivo concreto, il limite da superare, la discesa come chiusura e conclusione del progetto, la competizione con le sue modalità win win e win lose, la leadership, quando un partecipante deve condurre l’altro e indicargli che cosa deve fare, il team building e la cooperazione, per realizzare insieme cose che non si saprebbe fare da soli. E così via. Il valore metaforico dell’arrampicata, in funzione del proprio lavoro e della propria vita, nel seminario viene ampiamente discusso e sviluppato nella fase di debriefing, a conclusione del seminario stesso. Link Metafore arrampicatorie Fitclimbing Note sull’autore Umberto Santucci, consulente e formatore di problem solving strategico, comunicazione multimediale, mappe mentali, agile project management e chaos management. Autore di libri, articoli, ipertesti on line. Responsabile della linea “problem solving” di AX Learning Amicucci Formazione. Partner creativo di Danny Rose che opera nella spettacolarizzazione di grandi eventi. Insegna presso l’Accademia dell’Immagine dell’Aquila, l’Istituto Superiore di Fotografia, l’Accademia delle Arti e Nuove Tecnologie di Roma. [email protected] 3 www.formazione-esperienziale.it [email protected]