CASSETTO: GIURIDICO

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CASSETTO: GIURIDICO
Giurisprudenza di legittimità
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE
Sez. II, 29 aprile 2010, n. 10343
Depenalizzazione - Applicazione delle sanzioni - Cause di esclusione della responsabilità Caso fortuito e forza maggiore - Rilevanza - Desumibilità dall’art. 45 c.p. - Fattispecie in tema
di furto di motoveicolo e di conseguente guida dello stesso senza casco.
In tema di sanzioni amministrative, il caso fortuito e la forza maggiore, pur non essendo
espressamente menzionati dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, debbono ritenersi implicitamente
inclusi nella previsione dell’art. 8 di essa ed escludono la responsabilità dell’agente, incidendo il
caso fortuito sulla colpevolezza e la forza maggiore sul nesso psichico. La relativa nozione va
desunta all’art. 45 cod. pen., rimanendo integrata con il concorso dell’imprevedibilità ed
inevitabilità da accertare positivamente mediante specifica indagine. (Nella specie la S.C. ha
confermato la sentenza di merito, che aveva escluso ricorressero dette figure nel caso di un
motociclista postosi alla guida di un motoveicolo senza indossare il casco, ancorché lo stesso fosse
stato oggetto poco prima di furto, osservando che la condotta di guida era stata tenuta
consapevolmente e volontariamente dopo il furto e che, dunque, essa era pienamente assistita
dall’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo). (Cass. Civ., sez. II, 29 aprile 2010, n. 10343)
[RIV-1009P711] Artt. 3 – 4 L. 689/81
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata in data 11 novembre 2005, il Giudice di pace di Catania, in parziale
accoglimento dell’opposizione proposta da S. P. avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa nei suoi
confronti dal Prefetto di Catania in data 3 marzo 2005, confermava le sole sanzioni di cui al verbale
elevato il 3 agosto 2004 dalla Polizia Municipale di Catania.
Il Giudice, premesso che l’ordinanza impugnata si riferiva al verbale di contestazione della
violazione dell’art. 171 c.s., perché l’opponente, alla guida di un motociclo, aveva omesso di
indossare il prescritto casco protettivo, rilevava che, a fronte del disposto di cui al citato art. 171,
appariva del tutto fuori discussione la responsabilità dell’opponente, dovendosi escludere che
l’allegata circostanza, secondo cui il mancato uso del casco era dipeso dal furto dello stesso, valesse
a giustificare l’accertata trasgressione alla indicata norma. Il Giudice, peraltro, tenuto conto della
buona fede dell’opponente, confermava l’ordinanza impugnata relativamente alla sola sanzione
pecuniaria e a quella accessoria.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre S. P. sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria;
l’intimata amministrazione resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di
diritto (art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento agli artt. 40 e 45 c.p.).
Il Giudice di pace, sostiene il ricorrente, non avrebbe adeguatamente considerato la circostanza che
il furto del casco avvenuto poco prima dell’accertamento della violazione escludeva la sua volontà
di violare l’obbligo di indossare lo stesso, essendosi egli trovato nella impossibilità di adottare
comportamenti diversi da quello in concreto tenuto e sanzionato. In sostanza, la condotta avrebbe
dovuto essere ritenuta scriminata per caso fortuito o forza maggiore. Chiede quindi che la Corte
affermi il seguente principio di diritto: “non è punibile il conducente di ciclomotore o motoveicolo
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-2che durante la marcia non indossa il casco protettivo per averne poco prima subito il furto,
determinando, tale situazione, per l’assoluta imprevedibilità dell’evento, un caso fortuito o di forza
maggiore.
Il motivo è manifestamente infondato.
Occorre premettere che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “in tema di sanzioni
amministrative il caso fortuito e la forza maggiore, pur non essendo espressamente menzionati dalla
L. 24 novembre 1981, n. 639, debbono ritenersi implicitamente inclusi nella previsione dell’art. 3 di
essa ed escludono la responsabilità dell’agente, incidendo il caso fortuito sulla colpevolezza e la
forza maggiore sul nesso psichico. La relativa nozione va desunta dall’art. 45 c.p. e secondo la
corrente interpretazione giurisprudenziale rimane integrata con il concorso dell’imprevedibilità ed
inevitabilità da accertare positivamente mediante specifica indagine” (Cass., n. 9738 del 2000;
Cass., 14168 del 2002).
Ne consegue che correttamente il Giudice del merito ha ritenuto che l’avvenuto furto del casco non
potesse valere ad escludere la responsabilità del ricorrente in ordine alla infrazione contestatagli. E’
indubbio, infatti, che la condotta di chi si sia messo volontariamente alla guida di un motoveicolo
senza essere in possesso del prescritto casco protettivo possiede sia il carattere della volontarietà sia
quello della consapevolezza della illiceità della condotta. Il fatto che dovrebbe escludere la
riferibilità soggettiva della condotta al suo autore si è infatti verificato prima dell’inizio della
condotta vietata, sicché il soggetto che in quelle condizioni si è posto comunque alla guida di un
motoveicolo non può certamente invocare la insussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito
amministrativo contestato.
Nè può ritenersi che l’unico rimedio alla indisponibilità del casco, anche se in ipotesi perché rubato
poco prima, sia quello di porsi in ogni caso alla guida del motoveicolo, giacché una simile
affermazione avrebbe una efficacia abrogativa dell’obbligo di indossare il casco.
Del resto, non può non rilevarsi come, in relazione ad un diverso illecito previsto dal codice della
strada, questa Corte ha avuto modo di escludere che la stessa circostanza che un’apparecchiatura
obbligatoria si fosse guastata non valeva ad integrare il caso fortuito e ad escludere l’elemento
soggettivo dell’illecito. Si è infatti ritenuto che “in relazione alla fattispecie prevista dall’art. 179
c.s., che sanziona il titolare della licenza o dell’autorizzazione al trasporto di cose il quale mette in
circolazione un veicolo con cronotachigrafo non funzionante, la circostanza che il cronotachigrafo
non sia stato manomesso e che il guasto sia dovuto al caso fortuito non è sufficiente a dimostrare
l’assenza della colpa, ben potendo sussistere l’elemento psicologico dell’illecito per il solo fatto che
il conducente, pur essendo o dovendo essere consapevole dell’avaria facendo uso dell’ordinaria
diligenza, abbia ugualmente deciso di mettersi alla guida del mezzo” (Cass., n. 19586 del 2009).
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art.
360 c.p.c., n. 3, in riferimento agli artt. 2,8, 13 e 16 Cost.). Il ricorrente si duole della rigidità della
normativa, la quale prescrive una serie di sanzioni (multa, decurtazione dei punti dalla patente e
fermo amministrativo) applicabili tutte contemporaneamente senza alcuna possibilità di
graduazione. L’art. 171 c.s., sarebbe quindi contrario al principio di legalità e al buon senso, nonché
ai principi di eguaglianza, di libertà personale e di libera circolazione.
Con il terzo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360
c.p.c., n. 3, in riferimento agli artt. 24, 25, 102, 111 e 113 Cost., nonchè alla L. n. 241 del 1990, artt.
7, 8 e 10, come modificati dalla L. n. 15 del 2005 e rispettivamente recepiti dalla L.R. Sicilia n. 10
del 1991, artt. 8, 9 e 11, come modificata dalla L.R. n. 17 del 2004). Il ricorrente lamenta la
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-3violazione, ad opera dell’art. 171 c.s., e per effetto della sua rigidità, anche dei principi indicati dalle
citate disposizioni costituzionali.
Il secondo e il terzo motivo, all’esame dei quali sì può procedere congiuntamente, sono
manifestamente infondati.
Come esattamente osservato dall’amministrazione resistente, e a prescindere dal rilievo che la
violazione di molti dei parametri costituzionali è meramente evocata ma non è adeguatamente
argomentata, deve rilevarsi che la questione della prescrizione dell’obbligo di indossare il casco
protettivo e il relativo regime sanzionatorio hanno già formato oggetto di esame da parte della Corte
costituzionale, la quale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale nelle quali
si sostanziano i due motivi di ricorso in esame.
Nella sentenza n. 180 del 1994, la Corte costituzionale ha infatti affermato che “l’assunto, secondo
cui l’art. 32 Cost., consentirebbe limitazioni al diritto di circolazione solo se venisse in gioco il
diritto alla salute di soggetti terzi rispetto a colui cui vengono imposte quelle limitazioni, con la
previsione di sanzioni in caso di inosservanza, non può essere condiviso. Specie quando, come nella
materia in esame, si è in presenza di modalità, peraltro neppure gravose, prescritte per la guida di
motoveicoli, appare conforme al dettato costituzionale, che considera la salute dell’individuo anche
interesse della collettività, che il legislatore nel suo apprezzamento prescriva certi comportamenti e
ne sanzioni l’inosservanza allo scopo di ridurre il più possibile le pregiudizievoli conseguenze, dal
punto di vista della mortalità e della morbosità invalidante, degli incidenti stradali. Non può difatti
dubitarsi che tali conseguenze si ripercuotono in termini di costi sociali sull’intera collettività, non
essendo neppure ipotizzabile che un soggetto, rifiutando di osservare le modalità dettate in tale
funzione preventiva, possa contemporaneamente rinunciare all’ausilio delle strutture assistenziali
pubbliche ed ai presidi predisposti per i soggetti inabili. Le misure dirette ad attenuare le
conseguenze che possano derivare dai traumi prodotti da incidenti, nei quali siano coinvolti
motoveicoli, appaiono perciò dettate da esigenze tali da non far reputare irragionevolmente
limitatrici della “estrinsecazione della personalità” le prescrizioni imposte dalle norme in questione.
D’altronde si deve osservare che queste non limitano in alcun modo la libertà di circolazione, intesa
nel senso di spostamento da una parte all’altra del territorio, che è la libertà essenzialmente tutelata
dall’art. 16 della Costituzione anch’esso invocato dal giudice a quo, ma dettano solo alcune
modalità da osservarsi da chi voglia utilizzare determinati mezzi semoventi. Se dunque la
prescrizione è diretta a prevenire i danni alle persone, il che costituisce in modo indubitabile
interesse della collettività, essa, anche sotto questo aspetto, deve ritenersi immune dalle censure
prospettate”.
Per il resto, non può qui non ribadirsi quanto costantemente affermato dalla Corte costituzionale in
ordine alla individuazione delle condotte illecite e alla determinazione del relativo trattamento
sanzionatorio, e cioè che trattasi di attività rientrante nella discrezionalità del legislatore con l’unico
limite della manifesta irragionevolezza e della arbitrarietà: limiti, che, in considerazione delle
finalità perseguite dalla prescrizione dell’obbligo di indossare il casco protettivo per chi guida
ciclomotori o motoveicoli, certamente non possono ritenersi nella specie violati.
Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia vizio di motivazione per avere il Giudice di pace
omesso qualsiasi riferimento alle dichiarazioni da esso ricorrente rese al funzionario della prefettura
in ordine al furto del casco subito poco prima della contestazione della violazione.
Anche questo motivo è manifestamente infondato. Invero, una volta che il Giudice di pace ha
correttamente ritenuto che la situazione rappresentata dal ricorrente non potesse valere ad escludere
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-4l’elemento soggettivo dell’illecito contestato, non si vede quale obbligo avesse il medesimo Giudice
di pace di esaminare le dichiarazioni rese dal ricorrente nel corso del procedimento amministrativo.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato perché manifestamente infondato, con conseguente
condanna del ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese
del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo. (Omissis) [RIV-1009P711] Artt. 3 – 4 L.
689/81
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