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PROGRAMMA GEOGRAFIA ITI INFORMATICA INDICE UNITA’ 1 GLI SQUILIBRI E I CONFLITTI PARTE 1 • POPOLAZIONE E SVILUPPO……………………………………..p.3 UNITA’ 2 LE QUESTIONI AMBIENTALI PARTE 1 • LE ALTERAZIONI AMBIENTALI……………………………………p.9 PARTE 2 • LE ALTERAZIONI CLIMATICHE……………………………………p.12 PARTE 3 • L’INQUINAMENTO DELL’ACQUA…………………………………p.14 UNITA’ 3 LA POPOLAZIONE PARTE 1 • STORIA DELLA POPOLAZIONE…………………………………..…p.19 PARTE 2 • LE DINAMICHE DEMOGRAFICHE…………………………………..p.20 PARTE 3 • I FLUSSI MIGRATORI………………………………………………….p.22 UNITA’ 4 LE RETI DI COLLEGAMENTO PARTE 1 • TRASPORTI MARITTIMI……………………………………………….p.28 PARTE 2 • TRASPORTI AEREI……………………………………………………...p.32 PARTE 3 • RETI DI TRASPORTO……………………………………………………p.34 PARTE 4 • TELECOMUNICAZIONI………………………………………………….p.35 UNITA’ 5 LE RISORSE NATURALI PARTE 1 • RISORSE E RISERVE……………………………………………………..p.41 PARTE 2 • LE FONTI DI ENERGIA RINNOVABILI………………………………...p.44 UNITA’ 6 LE ATTIVITA’ DEL SETORE PRIMARIO PARTE 1 • AGRICOLTURA E AMBIENTE…………………………………………..p49. PARTE 2 • L’ALLEVAMENTO……………………………………………………….p.52 UNITA’ 7 ATTIVITA’ DEL SETTORE SECONDARIO PARTE 1 • SETTORE SECONDARIO……..…………………………………………p.53 UNITA’ 1 PARTE 1 POPOLAZIONE E SVILUPPO In ecologia si definisce popolazione l'insieme degli individui della medesima specie che popolano lo stesso habitat o area considerata. La popolazione animale numericamente sopravanza notevolmente quella umana e si riferisce tipicamente ad una dimensione globale. In geografia è il numero di abitanti di una località o regione. Le caratteristiche numeriche dei sottoinsiemi (p.e. le etnie) possono far parte della descrizione della voce popolazione. Eventuali variazioni di popolazione attraverso il tempo sono oggetto di studio della demografia. La popolazione del nostro pianeta ha raggiunto i 6 miliardi di abitanti nel 2000. Si suppone che la popolazione della terra sfiorerà gli 8 miliardi entro il 2025. In realtà non è possibile prevedere con sufficiente esattezza quali mutamenti economici, sociali e culturali si verificheranno nel mondo nel lungo periodo. La crescita della popolazione è caratterizzata da ritmi molto elevati negli ultimi due secoli e solo negli ultimi decenni ha rallentato (o si è quasi arrestata) nei paesi sviluppati e accenna a rallentare in alcuni fra i paesi meno sviluppati pur rimanendo globalmente ingente. In passato, la crescita è stata generalmente più lenta ma ha comunque conosciuto dei cambi di velocità. Non è facile ricostruire con esattezza la storia della popolazione mondiale. Oggi, in quasi tutti i paesi del mondo si svolgono più o meno regolarmente (in Italia, a partire dal 1861, ogni dieci anni) dei censimenti della popolazione che i governi organizzano con grande impegno. Tuttavia, ancora oggi, non dappertutto i censimenti si svolgono con la necessaria regolarità. Per esempio, ci sono paesi nei quali non vengono eseguiti perché un gruppo dominante religioso, etnico, linguistico, sociale vuole nascondere il fatto che un altro gruppo è cresciuto di più e potrebbe quindi avanzare delle rivendicazioni. Ma, soprattutto, il censimento generale della popolazione, eseguito con metodi scientifici, è uno strumento moderno che si è affermato negli ultimi due secoli (anche se non mancano illustri precedenti nellaRoma antica o nell'impero cinese). Una decisa ripresa, con l'inizio di un altro balzo, si ebbe verso la fine del Settecento. In poco meno di due secoli, fra il 1800 e il 1992, la popolazione del mondo si è quasi sestuplicata. Ma la crescita non è stata uguale per tutti i continenti. In Europa la popolazione è cresciuta di circa tre volte e mezzo; in Asia, di cinque volte; in Africa, di più di sei. Le Americhe fanno storia a sé. Conobbero un pauroso declino demografico fra il Cinquecento e il Seicento, dopo la conquista europea, quando le popolazioni native vennero sterminate soprattutto dalle malattie arrivate dall'Europa. Ancora all'inizio dell'Ottocento, le Americhe non ospitavano più di 24 milioni di persone. Questa cifra si è moltiplicata per più di 30 in meno di due secoli a causa dell'arrivo in America di coloni europei. In particolare l'America Latina è passata da 19 milioni di abitanti nel 1800 a 543 nel 2003. Quasi tutta l'umanità vive concentrata su poco più di un sesto delle terre emerse. Alcuni fattori hanno condizionato in passato, e in parte condizionano ancora oggi, il popolamento. In effetti, la distanza dall'Equatore porta verso le regioni a clima temperato e monsonico dove si concentra una buona parte dell'umanità. Sono le regioni in cui l'agricoltura si è sviluppata con buoni risultati fin dall'antichità. Verso i Poli, per il grande freddo, la popolazione diminuisce rapidamente. Un secondo fattore è la distanza del mare e dei grandi corsi d'acqua. In tutti i continenti il popolamento è molto elevato lungo le coste dei mari e degli oceani, mentre diminuisce man mano che ci si allontana dalla costa e dall'acqua. Un terzo fattore è l'altitudine. Il popolamento più fitto si trova nelle aree di pianura, mentre le montagne e glialtopiani elevati, freddi e di difficile coltivazione, hanno sempre respinto gli uomini. Infine, gli insediamenti dipendono dalle risorse che ogni ambiente offre e che gli uomini sono in grado di sfruttare. In effetti, le steppe aride, i terreni gelati, i luoghi desertici e privi di vie d'acqua, i territori scarsi di risorse alimentari hanno in passato respinto gli uomini. Oggi il popolamento dipende, per le diverse forme che assume, anche dal grado di sviluppo economico delle varie aree del mondo. Si può dire che il mondo sia diviso da una linea immaginaria, orizzontale, che separa le nazioni ricche ed evolute nel Nord e quelle povere e in via di sviluppo nel Sud della Terra. Le differenze nel livello di vita generano flussi migratori dai luoghi più miseri verso quelli più ricchi. Questo fenomeno accade anche all'interno di ogni stato, ricco o povero: le popolazioni tendono in genere a concentrarsi nelle aree urbane, abbandonando così le campagne. L'emisfero boreale è più popolato di quello australe. Però aree molto abitate si alternano ovunque ad aree poco popolate. La maggior densità demografica si trova in tre aree. La prima è situata in Asia e si estende tra la pianura del fiume Indo e quella del fiume Gange includendo Pakistan, India e Bangladesh, dove vivono oltre un miliardo di persone; dall'altro lato sono intensamente popolate aree della Cina e del Giappone e, più a Sud, dell'Indocina e dell'Indonesia. In totale, l'area monsonica asiatica accoglie più della metà della popolazione mondiale. L'insediamento umano risale a migliaia di anni fa, quando si svilupparono antiche civiltà dedite alla coltivazione del riso, che ancora oggi è la risorsa alimentare di base delle popolazioni asiatiche. La seconda area con elevate densità abitative è l'Europa, e in particolar modo l'Europa occidentale. La zona può includere anche laTurchia, a volte considerata parte dell'Europa a volte no, ma in questo caso facente parte di quest'area ad elevata densità abitativa; area che passa gli 800 milioni di abitanti. Una terza area fittamente abitata è l'America Settentrionale, in particolar modo la parte orientale della stessa, dove, oltre che per il clima temperato e le favorevoli risorse ambientali, la popolazione è cresciuta per motivi storici derivanti sia dall'immigrazione europea sia dallo sviluppo industriale e urbano. Non comparabile comunque la densità abitativa di quest'area alle prime due. Ci sono spazi immensi dove gli uomini abitano poco o nulla. Si tratta di luoghi bellissimi, necessari all'equilibrio globale della Terra, ma inospitali. Però anche in queste zone vi sono insediamenti di popolazioni che hanno saputo convivere con le difficilissime condizioni di vita. Le foreste tropicali, per esempio, hanno un clima caldo-umido, il suolo è invaso da una fittissima vegetazione spontanea e nelle vastissimepaludi ci sono insetti che rendono l'ambiente malsano (zanzare portatrici di malaria, di febbre gialla ecc.). Tuttavia, anche in questo ambiente si sono insediate varie popolazioni, molte delle quali rischiano oggi l'estinzione per la distruzione del loro habitat provocata dallo sfruttamento delle risorse di quelle terre vergini. Le zone aride e desertiche hanno piogge così scarse che i lunghi periodi di siccità rendono quasi impossibile l'agricoltura. Anche qui, tuttavia, sono riusciti a vivere popoli in grado di sfruttare le misere coltivazioni delle oasi e popoli nomadi, dediti alla pastorizia e al commercio (come i Tuareg del Sahara). Le zone montane offrono un habitat adatto all'uomo solo alle quote inferiori ai 2000 metri. Vi sono però popoli che vivono sull'altopiano del Tibet, in Asia, a più di 5000 metri di quota, testimoni, con i loro templi, di civiltà antichissime; inoltre, le popolazioni andine abitano gli altopiani della Cordigliera delle Ande a oltre 4000 metri di altezza. Gli immensi spazi glaciali dell'Artide e dell'Antartide, fondamentali per la regolazione del clima della Terra, sono inospitali, anche se nelle regioni artiche del Canada, dell'Europa e della Groenlandia vivono le popolazioni Inuit e lappone, organizzate in piccole comunità dedite alla caccia e alla pesca. La crescita delle città costituisce uno dei fenomeni più importanti della nostra epoca: in tutto il mondo la popolazione tende a concentrarsi negli insediamenti urbani e già oggi più della metà degli abitanti della Terra vive nelle città, mentre all'inizio del 1800 i cittadini erano solo 5 persone ogni 100. Nei paesi sottosviluppati, la popolazione urbana cresce a un ritmo tre volte superiore rispetto ai paesi sviluppati. C'è però una grande differenza tra quanto accade nei paesi ricchi e in quelli poveri. Nei paesi ricchi l'urbanizzazione è frutto dello sviluppo: le città offrono posti di lavoro e un modo di vita per molti più interessante. Dove la società è più ricca ed evoluta si sta anzi delineando una tendenza contraria: attività industriali, aree commerciali e zone residenziali si spostano dalla città verso altri luoghi. È il decentramento urbano. Numerose fabbriche sono sorte in zone agricole, perché le reti telematiche e i trasporti veloci tendono ad annullare le distanze. In aree extraurbane, talvolta in aperta campagna, sono sorti grandi centri commerciali e insediamenti residenziali. Nei paesi poveri, invece, le grandi masse che si accalcano nelle sterminate periferie delle città, inseguono solo la speranza, spesso solo illusoria, di migliorare la propria esistenza. Si definisce metropoli quella città che estende la propria influenza a vaste regioni che la circondano: la metropoli di Houston, in USA, si estende per 1500 chilometri quadrati, quella di Pechino, in Cina, per 16000. Le metropoli hanno una popolazione elevata, spesso superano i 10 milioni di abitanti, e un'alta densità di abitanti (per esempio, 14000 abitanti per chilometro quadrato a Tokyo). Diversa dalla metropoli è la conurbazione, che si è realizzata dove i centri urbani, con le proprie cinture di città satelliti, si sono congiunti senza perdere la propria identità e autonomia. La conurbazione è una configurazione territoriale più vasta e complessa di una singola città. Nelle regioni in cui diverse conurbazioni si sono saldate, si sono formate le megalopoli, costituite da serie di città di varie dimensioni, tra cui si allargano anche aree non edificate ricoperte di boschi e parchi, zone agricole dove si coltivano ortaggi e frutta destinati al consumo degli abitanti. Il territorio della megalopoli è molto articolato e alterna aree urbane a spazi agricoli, industriali, ricreativi. La più grande megalopoli si è formata nel Nord-Est degli Stati Uniti, sulla costa atlantica, lungo l'asse Washington - Boston. Essa è lunga circa 600 chilometri, larga circa 200. Conta circa 50 milioni di abitanti, con una densità media di 300 persone per chilometro quadrato. Comprende altre importanti città come New York, Filadelfia, Baltimora: in totale 30 aree urbane. La megalopoli chiamata "San San" daSan Francisco a San Diego, si affaccia per 800 chilometri di lunghezza sulla costa dell'Oceano Pacifico, in California. La megalopoli diChippitts, da Chicago a Pittsburgh, è disposta invece lungo i grandi laghi centrali. Una grande megalopoli è quella del Tokaido, inGiappone. Anch'essa è sorta lungo il mare e si sviluppa per circa 300 chilometri. Molte città dei paesi sottosviluppati hanno un'origine coloniale e furono fondate dagli europei dal nulla o sostituendo gli insediamenti precedenti. Queste città sorsero lungo le coste o sulle foci dei grandi fiumi perché servivano da punti di raccolta delle materie prime che provenivano dall'interno. Perciò le attività urbane si concentravano intorno alle funzioni del commercio e del trasporto delle merci. Nei centri cittadini abitavano gli europei, e alcune famiglie ricche locali associate alle attività dei conquistatori. I centri storici sono quindi molto simili a quelli delle città europee, soprattutto nell'America Meridionale, dove giunse l'azione colonizzatrice della Spagna e del Portogallo. Le città dei paesi sottosviluppati sono divise in due settori del tutto diversi. C'è il settore moderno, con alcuni grattacieli, sedi normalmente dibanche o compagnie internazionali, strade ampie e intasate di traffico, alberghi di lusso per i turisti stranieri. Nel settore tradizionale della città, invece, le case sono malandate, pullulano gli artigiani, i lustrascarpe, i piccoli commercianti adagiati sugli scalini di qualche casa. Colori, odori, oggetti di ogni tipo si mescolano e la confusione è sempre grandissima. La pulizia delle strade è scarsa e le auto circolanti sono vecchie e malandanti. La maggior parte della popolazione vive negli insediamenti abusivi che circondano l'area edificata centrale. Si tratta di costruzioni temporanee, innalzate dagli abitanti stessi e fatte con mezzi di fortuna: lamiere ondulate, cartone, legno, ferro, tanichedi plastica. Mancano l'acqua corrente, le fognature, la scuola, i negozi alimentari; quasi sempre c'è però un televisore! Sono le baraccopoliche prendono nomi suggestivi: favelas in Brasile, callampas in Cile, villas miseria in Argentina, bustess in India. Queste periferie brulicanti sono estesissime e ospitano più di metà della popolazione urbana dei paesi sottosviluppati. La Terra non è sempre stata popolata come oggi. All'inizio del 1900, il nostro pianeta aveva circa un miliardo e seicento milioni di abitanti. La popolazione mondiale per migliaia di anni era rimasta stazionaria: poi si è avviata una lenta crescita proseguita con alti e bassi fino al1700. In seguito è diventata sempre più intensa e oggi esiste il problema della crescita eccessiva. Normalmente la popolazione cresce di più dove le risorse sono abbondanti e dove l'economia più sviluppata ha migliorato le condizioni di vita. Infatti, nel corso della storia i grandi mutamenti hanno avuto profonde conseguenze sul movimento demografico. Nei paesi più poveri, sia la mortalità sia la natalità sono molto elevate. In molti stati dell'America Meridionale, dell'Africa, dell'Asia la natalità supera il 30 per mille. La mortalità rimane alta, malgrado i progressi della medicina, e la durata della vita media, che non supera i 50 anni, è molto più breve di quella dei paesi ricchi. Su questi valori bassi incide la mortalità infantile, provocata dall'insufficiente nutrizione e dalla scarsa igiene durante il periodo dello svezzamento. Tuttavia la popolazione cresce a ritmi frenetici. In Brasile oltre un quarto degli abitanti ha meno di 15 anni e la popolazione è, complessivamente, giovane. Il peso degli abitanti dei paesi in via di sviluppo sull'intera popolazione della Terra è in forte crescita. L'incremento demografico nei paesi poveri deriva dalle mancate rivoluzioni e cambiamenti culturali e sociali (come il [femminismo] o la rivoluzione culturale del [1968]) o anche solamente politiche degli stati atte a diminuire il numero della prole (vedasi la politica del figlio unico in Cina) che hanno provocato nei paesi più un forte declino della natalità. Per i paesi in via di sviluppo è stato più facile importare medicinali dai paesi sviluppati che trasformare i propri modelli di vita legati a precise culture. Di notevole importanza politica è l'aumento della popolazione nei paesi poveri in quanto potrebbe portare a futuri conflitti per appropriarsi delle riserve idriche o alimentari (la situazione dei paesi che si affacciano sul [Lago Vittoria] è particolarmente critica, in questo senso). Tuttavia l'aumento della popolazione nei paesi in via di sviluppo non è necessariamente un problema: il caso dell'India, che possiede la manodopera più giovane del mondo, ne è l'esempio, con tassi di crescita economica del 9.4% nel 2007. In un complesso mondiale comunque, nascono 3 individui ogni secondo e ne muoiono circa 2,6. Le politiche demografiche I governi degli stati realizzano una politica demografica quando vogliono esercitare un'influenza sulla struttura spontanea della popolazione per farla aumentare o per non farla aumentare troppo. In alcuni paesi europei (Francia, Belgio, Germania, Paesi Bassi), per esempio, i governi hanno incentivato le nascite con sostegni economici alle famiglie numerose. In alcuni paesi in via di sviluppo, invece, si cerca di ridurre le nascite. Per esempio, la Cina ha deciso di pianificare le nascite, anche perché ha una popolazione che supera il miliardo di persone. Si è così passati a una media di sei figli per donna a una media di tre e sono state approvate leggi che danno incentivi economici alle famiglie con un solo figlio e invece impongono tasse o altre punizioni alle famiglie che ne hanno tre o più. UNITA’ 2 PARTE 1 LE ALTERAZIONI AMBIENTALI L'inquinamento è un'alterazione dell'ambiente, di origine antropica o naturale, che produce disagi o danni permanenti per la vita di una zona e che non è in equilibrio con i cicli naturali esistenti. Non esiste una sostanza di per sé inquinante, ma è l'uso di qualsiasi sostanza o un evento che possono essere inquinanti: è inquinamento tutto ciò che è nocivo per la vita o altera in maniera significativa le caratteristiche fisico-chimiche dell'acqua, del suolo o dell'aria, tale da cambiare la struttura e l'abbondanza delle associazioni dei viventi o dei flussi di energia e soprattutto ciò che non viene compensato da una reazione naturale o antropica adeguata che ne annulli gli effetti negativi totali. Esistono molti tipi di inquinamento, suddivisi a seconda del tipo di inquinamento (ad esempio inquinamento dell'aria, acqua, suolo, chimico, acustico, elettromagnetico,luminoso, termico, genetico o nucleare) o della causa dell'inquinamento (ad esempio inquinamento naturale, domestico, architettonico, urbano, agricolo, industriale o biologico). Benché possano esistere cause naturali che possono provocare alterazioni ambientali sfavorevoli alla vita, il termine "inquinamento" si riferisce in genere alle attività antropiche. Generalmente si parla di inquinamento quando l'alterazione ambientale compromette l'ecosistema danneggiando una o più forme di vita. Allo stesso modo si considerano atti di inquinamento quelli commessi dall'uomo ma non quelli naturali (emissioni gassose naturali, ceneri vulcaniche, aumento della salinità). Quando si parla di sostanze inquinanti solitamente ci si riferisce a prodotti della lavorazione industriale (o dell'agricoltura industriale), ma è bene ricordare che anche sostanze apparentemente innocue possono compromettere seriamente un ecosistema: per esempio del latte o del sale versati in uno stagno. Inoltre gli inquinanti possono essere sostanze presenti in natura e non frutto dell'azione umana. Infine ciò che è velenoso per una specie può essere vitale per un'altra: le prime forme di vita immisero nell'atmosfera grandi quantità di ossigenocome prodotto di scarto per esse velenoso. Una forte presa di coscienza sui problemi causati dall'inquinamento industriale (ed in particolare dai cancerogeni) è avvenuta nel mondo occidentale a partire dagli anni settanta. Già negli anni precedenti tuttavia si erano manifestati i pericoli per la salute legati allo sviluppo industriale. n teoria tutte le attività e l'ambiente costruito dall'uomo costituiscono inquinamento dell'ambiente naturale, in quanto interagiscono con lo stesso, mutandone la sua conformazione originaria. Tuttavia in alcuni casi il costruito può "in armonia" con la struttura naturale, nel senso che non altera gli equilibri preesistenti nell'ambiente naturale o addirittura può aiutare a preservarli. La definizione di inquinamento dipende dal contesto, ovvero dal sistema naturale preso in considerazione e dal tipo di alterazioni introdotte; ecco alcuni esempi: Lo sviluppo massiccio di alghe e la conseguente eutrofizzazione di laghi e zone costiere è considerata inquinamento quando è alimentata da sostanze nutrienti provenienti da scarichi industriali, agricoli o residenziali. Sebbene l'ossido d'azoto prodotto dall'industria non sia di per sé dannoso, esso è spesso considerato inquinante, in quanto in quanto in seguito all'azione dell'energia solare viene trasformato in smog. Le emissioni di biossido di carbonio sono talvolta considerate inquinamento sulla base del fatto che hanno portato a un cambiamento climatico globale, determinato dal fenomeno dell'effetto serra. In ambienti politici di alcuni paesi occidentali (come gli Stati Uniti), si preferisce invece riferirsi al biossido di carbonio con il termine di emissioni. Inquinamento locale e globale L'inquinamento può realizzarsi a livello locale o a livello globale. In passato si pensava che solo il primo costituisse un problema. Per esempio, la combustione del carbone produce un fumoche in concentrazioni sufficienti può essere un pericolo per la salute. La teoria era che quando l'inquinante fosse sufficientemente diluito non potesse causare danni. Negli ultimi decenni ci si è resi conto che alcuni tipi di inquinamento costituiscono un problema globale. Per esempio l'attività umana, soprattutto i test nucleari, hanno consistentemente alzato il livello di "radiazione di fondo" in tutto il mondo, cosa che può portare a problemi di salute umana. Si può definire l'inquinamento atmosferico come la presenza nell'atmosfera di sostanze che causano un effetto misurabile sull'essere umano, sugli animali, sulla vegetazione o sui diversi materiali; queste sostanze di solito non sono presenti nella normale composizione dell'aria, oppure lo sono ad un livello di concentrazione inferiore. UNITA’ 2 PARTE 2 LE ALTERAZIONI CLIMATICHE L’instabilità del sistema climatico ha causato tsunami, alluvioni, uragani e incendi e di conseguenza il surriscaldamento del globo, un dato di fatto che il mondo non può più ignorare. 9 persone su 10 nel mondo sono consapevoli del problema del surriscaldamento del globo e più della metà (il 57%) lo considera un “problema molto serio”, ha affermato Patrick Dodd , Presidente di ACNielsen Europe, l’azienda leader mondiale nelle informazioni e ricerche di mercato, che di recente ha effettuato un’indagine online sul surriscaldamento globale. “E’ stato preso in considerazione un estremo e minaccioso esempio di sistema climatico capace di portare nelle case il messaggio che il surriscaldamento globale persiste a meno che non si faccia uno sforzo globale per modificarlo” , ha continuato Dodd. I risultati emergono dalla Online Consumer Opinion Survery, la ricerca semestrale condotta da ACNielsen tra la fine di Ottobre e i primi di Novembre dello scorso anno che coinvolge più di 25.000 utenti abituali di internet in 46 Paesi di Europa, Asia Pacifico, Nord America, Paesi Baltici e Medio Oriente* . Riscaldamento globale (global warming nella letteratura scientifica in inglese) è un'espressione usata per indicare, relativamente alla storia climatica della Terra, le fasi di aumento della temperatura media dell'atmosfera terrestre e degli oceani dovute a cause naturali (cicli solari, moti della Terra, variazioni dei gas atmosferici,...). Molto spesso l'espressione viene usata come sinonimo disurriscaldamento climatico che al contrario indica il contributo antropico al riscaldamento del clima registrato nell'ultimo secolo. Spesso le due espressioni sono utilizzate in relazione ai mutamenti climatici. Secondo quanto riportato dall'Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite (IPCC), la temperatura superficiale globale del pianeta sarebbe aumentata di 0,74 ± 0,18 °C durante gli ultimi 100 anni, fino al 2005. L'IPCC ha inoltre concluso che «la maggior parte dell'incremento osservato delle temperature medie globali a partire dalla metà del XX secolo è molto probabilmente da attribuire all'incremento osservato delle concentrazioni di gas serraantropogenici» attraverso un aumento dell'effetto serra. Viceversa i fenomeni naturali come le fluttuazioni solari e l'attività vulcanica hanno contribuito marginalmente al riscaldamento nell'arco di tempo che intercorre tra il periodo preindustriale e il 1950 e hanno causato un lieve effetto di raffreddamento nel periodo dal 1950 all'ultima decade del XX secolo. Queste conclusioni sono state supportate da almeno 30 associazioni e accademie scientifiche, tra cui tutte le accademie nazionali della scienza dei paesi del G8. Attualmente il dibattito è comunque ancora aperto all'interno della comunità scientifica dove diversi scienziati si sono opposti a questa interpretazione dei dati climatici attualmente disponibili, sebbene la grande maggioranza di coloro che si occupano di mutamenti climatici siano in accordo con le conclusioni principali dell'IPCC. Per il futuro, le proiezioni del modello climatico riassunte dall'IPCC indicano che la temperatura media superficiale del pianeta si dovrebbe innalzare probabilmente di circa 1,1 °C - 6,4 °C durante il XXI secolo. Questo intervallo di valori risulta dall'impiego di vari scenari sulle emissioni future di gas serra, assieme a diversi valori di sensibilità climatica. Benché molti studi riguardano l'andamento nel XXI secolo, il riscaldamento e l'innalzamento del livello dei mari potrebbero continuare per più di un migliaio di anni, anche se i livelli di gas serra verranno stabilizzati. Il ritardo nel raggiungimento di un equilibrio sarebbe dovuto alla grande capacità termica degli oceani. Il mantenimento della temperatura della biosfera terrestre attorno a valori medi adatti alla vita è dovuto principalmente all'azione combinata di quattro fattori: 1. Calore interno del pianeta 2. Irraggiamento solare, che fornisce l'energia per l'effetto serra 3. Presenza dell'atmosfera, che attenua gli sbalzi di temperatura giornalieri e stagionali 4. Effetto serra naturale, che amplifica l'effetto termico dell'irraggiamento solare La variazione quantitativa di uno o più di questi fattori può causare un riscaldamento globale o raffreddamento globale dell' atmosfera e superficie terrestre. UNITA’ 2 PARTE 3 L’INQUINAMENTO DELL’ACQUA L'acqua può raggiungere il mare non solo attraverso i fiumi ma anche passando dal suolo, dopo essersi infiltrata ed aver raggiunto una falda acquifera. Si può quindi facilmente intuire che l'acqua si può inquinare non solo tramite i fiumi ma anche con i prodotti inquinanti del suolo. Un'importante causa dell'inquinamento delle acque, in particolare delle acque dolci sono gli scarichi di materiale organico. Le principali fonti di inquinamento organico sono: • Le fogne delle città. I liquami che si trovano nelle fogne contengono grandi quantità di escrementi umani, perciò dovrebbero passare attraverso impianti di depurazione prima di essere scaricati nei fiumi purtroppo, in Italia meno della metà degli scarichi vengono depurati. I liquami fognari possono contenere microrganismi che provocano alcune malattie (colera, salmonellosi, ecc.). Una persona rischia di ammalarsi se ingerisce questi organismi (può capitare facendo il bagno nel fiume o mangiano molluschi contaminati). • Gli allevamenti. Negli allevamenti, gli escrementi vengono lavati via con l'acqua, i liquami così ottenuti vengono in parte utilizzati come fertilizzanti, in parte invece riversati nei fiumi. • Le industrie. Alcuni tipi di industrie, per esempio quelle alimentari, scaricano materiali organici direttamente nei fiumi. • L'agricoltura. I fertilizzanti, sia chimici che naturali, possono inquinare i fiumi come vedremo successivamente. L'autodepurazione Nelle acque si trovano dei microrganismi che si nutrono dei composti organici provenienti da organismi morti, liquami, ecc. e li trasformano in minerali non inquinanti. Le sostanze che possono essere distrutte da questi organismi sono dette biodegradabili. Oggi però, con l'aumento dell'inquinamento rispetto a qualche decina di anni fa, le sostanze biologiche sono presenti in quantità tale da superare la naturale capacità di autodepurazione; inoltre riversando sostanze non biodegradabili, l'autodepurazione non ha alcun effetto, le acque dolci rimangono perciò inquinate. I prodotti chimici in agricoltura Le numerose sostanze utilizzate in agricoltura non restano solo sul suolo o sulle piante. Quando la pioggia dilava il terreno, una parte di essa finisce sui canali di scolo e da qui ai fiumi e poi al mare. Quando l'acqua piovana (o anche quella d'irrigazione) filtra nel terreno, tralascia lentamente un'altra parte di queste sostanze in profondità, fino alle falde acquifere da cui si prende l'acqua per bere, che potrebbe divenire non potabile a causa dei nitrati e dei fosfati rilasciati dai fertilizzanti chimici utilizzati sul terreno. I fertilizzanti in particolare provocano uno sviluppo eccessivo di alghe nei laghi e nei mari. Questo fenomeno prende il nome di eutrofizzazione. Il fenomeno colpì soprattutto verso la fine degli anni ottanta i mari adiacenti le coste dell'Adriatico dove vaste zone vennero invase da alghe e fu in pericolo l'afflusso turistico estivo. Rappresentazione schematica del processo di eutrofizzazione. L'immissione di fosfati nelle acque dei mari e dei laghi fa aumentare le alghe. Quando queste muoiono, i batteri decompositori consumano l'ossigeno disciolto nell'acqua provocando la morte per asfissia degli altri organismi. Anche l'azione dei pesticidi (detti anche fitofarmaci) possono contaminare falde acquifere, l'acqua potabile e il cibo. Non sono tuttavia ancora noti gli effetti sull'uomo, pur essendo in ogni caso sostanze nocive. A questo problema si viene incontro utilizzando la coltivazione biologica, che però a causa dei raccolti più scarsi si hanno dei prezzi relativamente elevati nell'ambito dell'alimentazione. In quest'ultimo ventennio la situazione è migliorata complessivamente per l'uso più diffuso di impianti di depurazione di acque civili ed industriali, per l'uso detersivi biodegradabili al 90% e con il controllo dei rifiuti provenienti dalle attività agrozootecniche. Soprattutto le coste ne hanno tratto beneficio diventando balenabili e fruibili appieno da abitanti e turisti. I rifiuti tossici industriali Le industrie si liberano dei rifiuti tossici derivanti dalle diverse lavorazioni attraverso discariche speciali. Tuttavia alcuni tipi di rifiuti tossici finiscono nei fiumi, con i liquami di fogna. Tra i rifiuti tossici dell'industria chimica troviamo: • I metalli pesanti (mercurio, usato spesso come fungicida; piombo, usato nelle batterie, nei proiettili, nelle vernici e nelle benzine; cadmio, usato nei rivestimenti di metallo, a volte come colorante e in alcuni tipi di batterie). • Gli ossidi metallici e i sottoprodotti dell'industria farmaceutica. • Idrocarburi tossici (usati per produrre insetticidi tipo il DDT o nelle lavorazioni di plastiche e vernici) • Il cromo (usato per la "cromatura" dei metalli, nella lavorazione di pelli e nelle acque di raffreddamento delle industrie. Tutte queste sostanze si stanno accumulando nel ciclo dell'acqua. A Minamata, una città del Giappone abitata per lo più da pescatori, tra gli anni '60 e '70 molte persone furono avvelenate dal pesce che rappresentava il loro nutrimento abituale. Le acque del mare su cui si affaccia la città erano state infatti gravemente inquinate dagli scarichi di un'industria locale, che per decenni aveva riversato nella baia di Minamata tonnellate di mercurio. Un derivato organico del mercurio aveva avvelenato i pesci e, di conseguenza, le persone che se ne erano nutrite. Il mercurio ingerito ha provocato la nascita di bambini con gravi problemi al sistema nervoso centrale. Dopo un lungo processo, celebrato a Tokyo nel 1973, la Società Chisso, responsabile dell'inquinamento, è stata riconosciuta colpevole e condannata a pagare i danni alle vittime della intossicazione. Oggi il mercurio non viene più scaricato nelle acque di Minamata: tuttavia, l'inquinamento è ben lontano dall'essere eliminato, in quanto sul fondo del mare giacciono tonnellate di mercurio che a mano a mano si diffondono nell'oceano, rendendo pericolosa la pesca anche al largo (pesce avvelenato è stato pescato addirittura a 600 km di distanza da Minamata!). Il problema dell'inquinamento da mercurio, del resto, riguarda ormai gran parte degli oceani: per esempio in Svezia il governo raccomanda ai cittadini di non mangiare pesce più di una volta alla settimana, proprio per evitare che nell'organismo si accumulino dosi troppo elevate di questa pericolosa sostanza. L'inquinamento da petrolio La maggior parte dei mari del mondo è inquinata da petrolio. Una delle zone marine più inquinate al mondo (per quanto riguarda il petrolio) è il mediterraneo, ciò è dovuto al fatto che si tratta di una mare chiuso e le sue acque si rinnovano molto lentamente (80-100 anni). Il petrolio può diventare un pericolo per l'ambiente durante le fasi del ciclo produttivo: estrazione, trasporto, lavorazione. La fuoriuscita del greggio da i pozzi di estrazione è un evento abbastanza raro. L'episodio più grave risale al 1990, in Europa, quando alcuni pozzi del mare del Nord hanno versato petrolio in mare per ben due giorni. Il versamento in mare del greggio dal petroliere è l'evento più comune e temuto. L'elenco di incidenti è lungo. Per porvi rimedio le petroliere tradizionali sono via via sostituite con i modelli ad doppio scafo. Alcune petroliere lavano i loro serbatoi con acqua di mare. In questo modo, milioni di tonnellate di nafta vengono scaricate annualmente negli Oceani. Non di rado, il petrolio fuoriesce dalle petroliere in seguito a incidenti. Quando una petroliera subisce un incidente nel quale ci siano dei versamenti di petrolio in mare, si provocano molti danni all'ambiente. Il petrolio galleggia sull'acqua, formando uno strato che isola l'acqua dall'aria, impedendo gli scambi di gas. L'impoverimento d'ossigeno causato fa morire molti organismi marini. Con il passare dei mesi le sostanze più leggere o evaporano o vengono distrutte lentamente da microrganismi o reazioni chimiche; quelle più pesanti, invece, rimangono sotto forma di grumi e poi lentamente affondano e vengono a poco a poco attaccate da batteri o da reazioni chimiche. Prima di scomparire, però, distruggono anche gli organismi che vivono sui fondali. Nel Mediterraneo (appena l'1% dei mari del Pianeta) si concentra il 28% del traffico mondiale di petrolio: 300 petroliere che rilasciano complessivamente una scia nera di 2.800 tonnellate di petrolio al giorno, equivalenti a 15 "Prestige" l'anno (la petroliera naufragata al largo della Galizia nel 2002). Non a incidenti, ma a un'assurda volontà di rappresaglia è invece dovuta l'immissione nel Golfo Persico di enormi quantità di petrolio che gli iracheni hanno lasciato defluire deliberatamente dagli oleodotti del Kuwait nel corso della "guerra del Golfo". I danni per l'ambiente sono stati e saranno ancora per molto tempo gravissimi, forse irreparabili. Il petrolio forma infatti uno spesso, strato superficiale, chiamato comunemente "marea nera", che impedisce l'ossigenazione dell'acqua e la penetrazione della luce solare. Gli organismi non possono vivere in assenza di ossigeno e luce solare. Gli uccelli che rimangono imprigionati nel petrolio non possono più volare. UNITA’ 3 PARTE 1 STORIA DELLA POPOLAZIONE La popolazione del nostro pianeta ha raggiunto i 6 miliardi di abitanti nel 2000. Si suppone che la popolazione della terra sfiorerà gli 8 miliardi entro il 2025. In realtà non è possibile prevedere con sufficiente esattezza quali mutamenti economici, sociali e culturali si verificheranno nel mondo nel lungo periodo. La crescita della popolazione è caratterizzata da ritmi molto elevati negli ultimi due secoli e solo negli ultimi decenni ha rallentato (o si è quasi arrestata) nei paesi sviluppati e accenna a rallentare in alcuni fra i paesi meno sviluppati pur rimanendo globalmente ingente. In passato, la crescita è stata generalmente più lenta ma ha comunque conosciuto dei cambi di velocità. Non è facile ricostruire con esattezza la storia della popolazione mondiale. Oggi, in quasi tutti i paesi del mondo si svolgono più o meno regolarmente (in Italia, a partire dal 1861, ogni dieci anni) dei censimenti della popolazione che i governi organizzano con grande impegno. Tuttavia, ancora oggi, non dappertutto i censimenti si svolgono con la necessaria regolarità. Per esempio, ci sono paesi nei quali non vengono eseguiti perché un gruppo dominante religioso, etnico, linguistico, sociale vuole nascondere il fatto che un altro gruppo è cresciuto di più e potrebbe quindi avanzare delle rivendicazioni. Ma, soprattutto, il censimento generale della popolazione, eseguito con metodi scientifici, è uno strumento moderno che si è affermato negli ultimi due secoli (anche se non mancano illustri precedenti nella Roma antica o nell'impero cinese). Una decisa ripresa, con l'inizio di un altro balzo, si ebbe verso la fine del Settecento. In poco meno di due secoli, fra il 1800 e il 1992, la popolazione del mondo si è quasi sestuplicata. Ma la crescita non è stata uguale per tutti i continenti. In Europa la popolazione è cresciuta di circa tre volte e mezzo; in Asia, di cinque volte; in Africa, di più di sei. Le Americhe fanno storia a sé. Conobbero un pauroso declino demografico fra il Cinquecento e il Seicento, dopo la conquista europea, quando le popolazioni native vennero sterminate soprattutto dalle malattie arrivate dall'Europa. Ancora all'inizio dell'Ottocento, le Americhe non ospitavano più di 24 milioni di persone. Questa cifra si è moltiplicata per più di 30 in meno di due secoli a causa dell'arrivo in America di coloni europei. In particolare l'America Latina è passata da 19 milioni di abitanti nel 1800 a 543 nel 2003. UNITA’ 3 PARTE 2 LE DINAMICHE DEMOGRAFICHE L’evoluzione demografica: È molto difficile fornire un numero preciso sulla popolazione mondiale. Essa infatti cresce dell’ 1,4% all’anno, un valore che in termini assoluti vale cieca 86 milioni di persone. Da 3 milioni di individui a 6 miliardi, questa è stata la crescita della popolazione nell’arco di 30.000 anni ( l’epoca più lontana su cui possano fare stime ragionevoli ). A questo proposito gli studiosi hanno detto che la popolazione mondiale aumenta e diminuisce numericamente allo stesso modo. Da quando si hanno i primi dati è possibile dividere l’evoluzione demografica in tre fasi Regime demografico antico ( RDA ). In questa prima fase, la natalità e la mortalità sono allo stesso livello, provocando una situazione di equilibrio. Regime demografico intermedio ( RDI ). Questa seconda fase, si divide in due parti: nella prima la natalità è superiore alla mortalità, provocando un innalzamento del numero della popolazione. Nella seconda parte, sia la natalità che la mortalità scendono, provando ancora una situazione di crescita. Regime demografico moderno ( RDM ). In questa terza fase la natalità e la mortalità diminuiscono portando però ad una situazione di equilibrio. L’evoluzione storica della popolazione: La crescita della popolazione sulla Terra non si è realizzata secondo un percorso lineare. Secondo le più recenti teorie, il genere “homo” sarebbe comparso più di 2 milioni di anni fa. Dall’ homo habilis all’ homo sapiens, dalla conquista della stazione eretta alla scoperta del fuoco. L’inizio del Paleolitico superiore portò alla formazione dell’ homo sapiens sapiens che giunse ad alcuni cambiamenti significativi: abitazioni semplici, alcuni indumenti e le prime creazioni artistiche. Rispetto all’epoca degli ominidi, le zone ecumene si sono ampliate. Un’accelerazione consistente dell’incremento demografico si ebbe nell’età neolitica che portò all’ invenzione dell’ agricoltura. Le prime città sorsero lungo i corsi d’ acqua in fertili pianure irrigue dalle quali provenivano le materie prime al proprio sostentamento. Fu la maggiore disponibilità di risorse alimentari a favorire un rilevante incremento della popolazione umana. Nell’ epoca cristiana gli addensamenti urbani erano divenuti più numerosi. Le condizioni igieniche e il tasso di mortalità elevata determinarono la durata media della vita; la crescita dell’ umanità quindi in modo costante fino al III secolo d.C. Nel corso dell’ alto medioevo la popolazione subì numerose perdite a causa di conflitti e numerose epidemie. Una relativa e maggior stabilizzazione delle situazioni politiche favoriva la ripresa del settore produttivo e dell’ espansione umana, a partire dall’ anno mille. Una relativa e maggior stabilizzazione delle situazioni politiche favoriva la ripresa del settore produttivo e dell’ espansione umana, a partire dall’ anno mille. La grande pestilenza diffusasi a metà XIV secolo annullò praticamente tutto l’incremento di popolazione. Una fase di crescita si realizzò in età moderna con il popolamento del continente americano dopo la brusca contrazione del numero di abitanti seguita alla prima fase della conquista. Nel XX secolo l’ esplosione demografica ha raggiunto caratteri allarmanti. In un primo momento l’ incremento ha interessato soprattutto i paesi industrializzati. Dopo la seconda guerra mondiale le dinamiche demografiche dei paesi industrializzate tesero a stabilizzarsi. Il boom demografico si è così trasferito con conseguenze disastrose ai paesi in via di sviluppo. Tra il 1950 e il 1980, il tasso di incremento è stato pari all’ 1,9 %; attualmente la popolazione della terra aumenta i 90 milioni di unità. UNITA’ 3 PARTE 3 I FLUSSI MIGRATORI In ecologia si definisce popolazione l'insieme degli individui della medesima specie che popolano lo stesso habitat o area considerata. La popolazione animale numericamente sopravanza notevolmente quella umana e si riferisce tipicamente ad una dimensione globale. In geografia è il numero di abitanti di una località o regione. Le caratteristiche numeriche dei sottoinsiemi (p.e. le etnie) possono far parte della descrizione della voce popolazione. Eventuali variazioni di popolazione attraverso il tempo sono oggetto di studio della demografia. La popolazione del nostro pianeta ha raggiunto i 6 miliardi di abitanti nel 2000. Si suppone che la popolazione della terra sfiorerà gli 8 miliardi entro il 2025. In realtà non è possibile prevedere con sufficiente esattezza quali mutamenti economici, sociali e culturali si verificheranno nel mondo nel lungo periodo. La crescita della popolazione è caratterizzata da ritmi molto elevati negli ultimi due secoli e solo negli ultimi decenni ha rallentato (o si è quasi arrestata) nei paesi sviluppati e accenna a rallentare in alcuni fra i paesi meno sviluppati pur rimanendo globalmente ingente. In passato, la crescita è stata generalmente più lenta ma ha comunque conosciuto dei cambi di velocità. Non è facile ricostruire con esattezza la storia della popolazione mondiale. Oggi, in quasi tutti i paesi del mondo si svolgono più o meno regolarmente (in Italia, a partire dal 1861, ogni dieci anni) dei censimenti della popolazione che i governi organizzano con grande impegno. Tuttavia, ancora oggi, non dappertutto i censimenti si svolgono con la necessaria regolarità. Per esempio, ci sono paesi nei quali non vengono eseguiti perché un gruppo dominante religioso, etnico, linguistico, sociale vuole nascondere il fatto che un altro gruppo è cresciuto di più e potrebbe quindi avanzare delle rivendicazioni. Ma, soprattutto, il censimento generale della popolazione, eseguito con metodi scientifici, è uno strumento moderno che si è affermato negli ultimi due secoli (anche se non mancano illustri precedenti nellaRoma antica o nell'impero cinese). Una decisa ripresa, con l'inizio di un altro balzo, si ebbe verso la fine del Settecento. In poco meno di due secoli, fra il 1800 e il 1992, la popolazione del mondo si è quasi sestuplicata. Ma la crescita non è stata uguale per tutti i continenti. In Europa la popolazione è cresciuta di circa tre volte e mezzo; in Asia, di cinque volte; in Africa, di più di sei. Le Americhe fanno storia a sé. Conobbero un pauroso declino demografico fra il Cinquecento e il Seicento, dopo la conquista europea, quando le popolazioni native vennero sterminate soprattutto dalle malattie arrivate dall'Europa. Ancora all'inizio dell'Ottocento, le Americhe non ospitavano più di 24 milioni di persone. Questa cifra si è moltiplicata per più di 30 in meno di due secoli a causa dell'arrivo in America di coloni europei. In particolare l'America Latina è passata da 19 milioni di abitanti nel 1800 a 543 nel 2003. Quasi tutta l'umanità vive concentrata su poco più di un sesto delle terre emerse. Alcuni fattori hanno condizionato in passato, e in parte condizionano ancora oggi, il popolamento. In effetti, la distanza dall'Equatore porta verso le regioni a clima temperato e monsonico dove si concentra una buona parte dell'umanità. Sono le regioni in cui l'agricoltura si è sviluppata con buoni risultati fin dall'antichità. Verso i Poli, per il grande freddo, la popolazione diminuisce rapidamente. Un secondo fattore è la distanza del mare e dei grandi corsi d'acqua. In tutti i continenti il popolamento è molto elevato lungo le coste dei mari e degli oceani, mentre diminuisce man mano che ci si allontana dalla costa e dall'acqua. Un terzo fattore è l'altitudine. Il popolamento più fitto si trova nelle aree di pianura, mentre le montagne e glialtopiani elevati, freddi e di difficile coltivazione, hanno sempre respinto gli uomini. Infine, gli insediamenti dipendono dalle risorse che ogni ambiente offre e che gli uomini sono in grado di sfruttare. In effetti, le steppe aride, i terreni gelati, i luoghi desertici e privi di vie d'acqua, i territori scarsi di risorse alimentari hanno in passato respinto gli uomini. Oggi il popolamento dipende, per le diverse forme che assume, anche dal grado di sviluppo economico delle varie aree del mondo. Si può dire che il mondo sia diviso da una linea immaginaria, orizzontale, che separa le nazioni ricche ed evolute nel Nord e quelle povere e in via di sviluppo nel Sud della Terra. Le differenze nel livello di vita generano flussi migratori dai luoghi più miseri verso quelli più ricchi. Questo fenomeno accade anche all'interno di ogni stato, ricco o povero: le popolazioni tendono in genere a concentrarsi nelle aree urbane, abbandonando così le campagne. L'emisfero boreale è più popolato di quello australe. Però aree molto abitate si alternano ovunque ad aree poco popolate. La maggior densità demografica si trova in tre aree. La prima è situata in Asia e si estende tra la pianura del fiume Indo e quella del fiume Gange includendo Pakistan, India e Bangladesh, dove vivono oltre un miliardo di persone; dall'altro lato sono intensamente popolate aree della Cina e del Giappone e, più a Sud, dell'Indocina e dell'Indonesia. In totale, l'area monsonica asiatica accoglie più della metà della popolazione mondiale. L'insediamento umano risale a migliaia di anni fa, quando si svilupparono antiche civiltà dedite alla coltivazione del riso, che ancora oggi è la risorsa alimentare di base delle popolazioni asiatiche. La seconda area con elevate densità abitative è l'Europa, e in particolar modo l'Europa occidentale. La zona può includere anche laTurchia, a volte considerata parte dell'Europa a volte no, ma in questo caso facente parte di quest'area ad elevata densità abitativa; area che passa gli 800 milioni di abitanti. Una terza area fittamente abitata è l'America Settentrionale, in particolar modo la parte orientale della stessa, dove, oltre che per il clima temperato e le favorevoli risorse ambientali, la popolazione è cresciuta per motivi storici derivanti sia dall'immigrazione europea sia dallo sviluppo industriale e urbano. Non comparabile comunque la densità abitativa di quest'area alle prime due. Ci sono spazi immensi dove gli uomini abitano poco o nulla. Si tratta di luoghi bellissimi, necessari all'equilibrio globale della Terra, ma inospitali. Però anche in queste zone vi sono insediamenti di popolazioni che hanno saputo convivere con le difficilissime condizioni di vita. Le foreste tropicali, per esempio, hanno un clima caldo-umido, il suolo è invaso da una fittissima vegetazione spontanea e nelle vastissimepaludi ci sono insetti che rendono l'ambiente malsano (zanzare portatrici di malaria, di febbre gialla ecc.). Tuttavia, anche in questo ambiente si sono insediate varie popolazioni, molte delle quali rischiano oggi l'estinzione per la distruzione del loro habitat provocata dallo sfruttamento delle risorse di quelle terre vergini. Le zone aride e desertiche hanno piogge così scarse che i lunghi periodi di siccità rendono quasi impossibile l'agricoltura. Anche qui, tuttavia, sono riusciti a vivere popoli in grado di sfruttare le misere coltivazioni delle oasi e popoli nomadi, dediti alla pastorizia e al commercio (come i Tuareg del Sahara). Le zone montane offrono un habitat adatto all'uomo solo alle quote inferiori ai 2000 metri. Vi sono però popoli che vivono sull'altopiano del Tibet, in Asia, a più di 5000 metri di quota, testimoni, con i loro templi, di civiltà antichissime; inoltre, le popolazioni andine abitano gli altopiani della Cordigliera delle Ande a oltre 4000 metri di altezza. Gli immensi spazi glaciali dell'Artide e dell'Antartide, fondamentali per la regolazione del clima della Terra, sono inospitali, anche se nelle regioni artiche del Canada, dell'Europa e della Groenlandia vivono le popolazioni Inuit e lappone, organizzate in piccole comunità dedite alla caccia e alla pesca. La crescita delle città costituisce uno dei fenomeni più importanti della nostra epoca: in tutto il mondo la popolazione tende a concentrarsi negli insediamenti urbani e già oggi più della metà degli abitanti della Terra vive nelle città, mentre all'inizio del 1800 i cittadini erano solo 5 persone ogni 100. Nei paesi sottosviluppati, la popolazione urbana cresce a un ritmo tre volte superiore rispetto ai paesi sviluppati. C'è però una grande differenza tra quanto accade nei paesi ricchi e in quelli poveri. Nei paesi ricchi l'urbanizzazione è frutto dello sviluppo: le città offrono posti di lavoro e un modo di vita per molti più interessante. Dove la società è più ricca ed evoluta si sta anzi delineando una tendenza contraria: attività industriali, aree commerciali e zone residenziali si spostano dalla città verso altri luoghi. È il decentramento urbano. Numerose fabbriche sono sorte in zone agricole, perché le reti telematiche e i trasporti veloci tendono ad annullare le distanze. In aree extraurbane, talvolta in aperta campagna, sono sorti grandi centri commerciali e insediamenti residenziali. Nei paesi poveri, invece, le grandi masse che si accalcano nelle sterminate periferie delle città, inseguono solo la speranza, spesso solo illusoria, di migliorare la propria esistenza. Si definisce metropoli quella città che estende la propria influenza a vaste regioni che la circondano: la metropoli di Houston, in USA, si estende per 1500 chilometri quadrati, quella di Pechino, in Cina, per 16000. Le metropoli hanno una popolazione elevata, spesso superano i 10 milioni di abitanti, e un'alta densità di abitanti (per esempio, 14000 abitanti per chilometro quadrato a Tokyo). Diversa dalla metropoli è la conurbazione, che si è realizzata dove i centri urbani, con le proprie cinture di città satelliti, si sono congiunti senza perdere la propria identità e autonomia. La conurbazione è una configurazione territoriale più vasta e complessa di una singola città. Nelle regioni in cui diverse conurbazioni si sono saldate, si sono formate le megalopoli, costituite da serie di città di varie dimensioni, tra cui si allargano anche aree non edificate ricoperte di boschi e parchi, zone agricole dove si coltivano ortaggi e frutta destinati al consumo degli abitanti. Il territorio della megalopoli è molto articolato e alterna aree urbane a spazi agricoli, industriali, ricreativi. La più grande megalopoli si è formata nel Nord-Est degli Stati Uniti, sulla costa atlantica, lungo l'asse Washington - Boston. Essa è lunga circa 600 chilometri, larga circa 200. Conta circa 50 milioni di abitanti, con una densità media di 300 persone per chilometro quadrato. Comprende altre importanti città come New York, Filadelfia, Baltimora: in totale 30 aree urbane. La megalopoli chiamata "San San" daSan Francisco a San Diego, si affaccia per 800 chilometri di lunghezza sulla costa dell'Oceano Pacifico, in California. La megalopoli diChippitts, da Chicago a Pittsburgh, è disposta invece lungo i grandi laghi centrali. Una grande megalopoli è quella del Tokaido, inGiappone. Anch'essa è sorta lungo il mare e si sviluppa per circa 300 chilometri. Molte città dei paesi sottosviluppati hanno un'origine coloniale e furono fondate dagli europei dal nulla o sostituendo gli insediamenti precedenti. Queste città sorsero lungo le coste o sulle foci dei grandi fiumi perché servivano da punti di raccolta delle materie prime che provenivano dall'interno. Perciò le attività urbane si concentravano intorno alle funzioni del commercio e del trasporto delle merci. Nei centri cittadini abitavano gli europei, e alcune famiglie ricche locali associate alle attività dei conquistatori. I centri storici sono quindi molto simili a quelli delle città europee, soprattutto nell'America Meridionale, dove giunse l'azione colonizzatrice della Spagna e del Portogallo. Le città dei paesi sottosviluppati sono divise in due settori del tutto diversi. C'è il settore moderno, con alcuni grattacieli, sedi normalmente dibanche o compagnie internazionali, strade ampie e intasate di traffico, alberghi di lusso per i turisti stranieri. Nel settore tradizionale della città, invece, le case sono malandate, pullulano gli artigiani, i lustrascarpe, i piccoli commercianti adagiati sugli scalini di qualche casa. Colori, odori, oggetti di ogni tipo si mescolano e la confusione è sempre grandissima. La pulizia delle strade è scarsa e le auto circolanti sono vecchie e malandanti. La maggior parte della popolazione vive negli insediamenti abusivi che circondano l'area edificata centrale. Si tratta di costruzioni temporanee, innalzate dagli abitanti stessi e fatte con mezzi di fortuna: lamiere ondulate, cartone, legno, ferro, tanichedi plastica. Mancano l'acqua corrente, le fognature, la scuola, i negozi alimentari; quasi sempre c'è però un televisore! Sono le baraccopoliche prendono nomi suggestivi: favelas in Brasile, callampas in Cile, villas miseria in Argentina, bustess in India. Queste periferie brulicanti sono estesissime e ospitano più di metà della popolazione urbana dei paesi sottosviluppati. La Terra non è sempre stata popolata come oggi. All'inizio del 1900, il nostro pianeta aveva circa un miliardo e seicento milioni di abitanti. La popolazione mondiale per migliaia di anni era rimasta stazionaria: poi si è avviata una lenta crescita proseguita con alti e bassi fino al1700. In seguito è diventata sempre più intensa e oggi esiste il problema della crescita eccessiva. Normalmente la popolazione cresce di più dove le risorse sono abbondanti e dove l'economia più sviluppata ha migliorato le condizioni di vita. Infatti, nel corso della storia i grandi mutamenti hanno avuto profonde conseguenze sul movimento demografico. Nei paesi più poveri, sia la mortalità sia la natalità sono molto elevate. In molti stati dell'America Meridionale, dell'Africa, dell'Asia la natalità supera il 30 per mille. La mortalità rimane alta, malgrado i progressi della medicina, e la durata della vita media, che non supera i 50 anni, è molto più breve di quella dei paesi ricchi. Su questi valori bassi incide la mortalità infantile, provocata dall'insufficiente nutrizione e dalla scarsa igiene durante il periodo dello svezzamento. Tuttavia la popolazione cresce a ritmi frenetici. In Brasile oltre un quarto degli abitanti ha meno di 15 anni e la popolazione è, complessivamente, giovane. Il peso degli abitanti dei paesi in via di sviluppo sull'intera popolazione della Terra è in forte crescita. L'incremento demografico nei paesi poveri deriva dalle mancate rivoluzioni e cambiamenti culturali e sociali (come il [femminismo] o la rivoluzione culturale del [1968]) o anche solamente politiche degli stati atte a diminuire il numero della prole (vedasi la politica del figlio unico in Cina) che hanno provocato nei paesi più un forte declino della natalità. Per i paesi in via di sviluppo è stato più facile importare medicinali dai paesi sviluppati che trasformare i propri modelli di vita legati a precise culture. Di notevole importanza politica è l'aumento della popolazione nei paesi poveri in quanto potrebbe portare a futuri conflitti per appropriarsi delle riserve idriche o alimentari (la situazione dei paesi che si affacciano sul [Lago Vittoria] è particolarmente critica, in questo senso). Tuttavia l'aumento della popolazione nei paesi in via di sviluppo non è necessariamente un problema: il caso dell'India, che possiede la manodopera più giovane del mondo, ne è l'esempio, con tassi di crescita economica del 9.4% nel 2007. In un complesso mondiale comunque, nascono 3 individui ogni secondo e ne muoiono circa 2,6. Le politiche demografiche I governi degli stati realizzano una politica demografica quando vogliono esercitare un'influenza sulla struttura spontanea della popolazione per farla aumentare o per non farla aumentare troppo. In alcuni paesi europei (Francia, Belgio, Germania, Paesi Bassi), per esempio, i governi hanno incentivato le nascite con sostegni economici alle famiglie numerose. In alcuni paesi in via di sviluppo, invece, si cerca di ridurre le nascite. Per esempio, la Cina ha deciso di pianificare le nascite, anche perché ha una popolazione che supera il miliardo di persone. Si è così passati a una media di sei figli per donna a una media di tre e sono state approvate leggi che danno incentivi economici alle famiglie con un solo figlio e invece impongono tasse o altre punizioni alle famiglie che ne hanno tre o più. UNITA’ 4 PARTE 1 TRASPORTI MARITTIMI Per trasporto navale o trasporto marittimo si intende tutto quell'insieme di uomini, strumenti, idee e tecniche che consentono il trasporto di persone e merci sul mare per mezzo di navi. Più impropriamente, il concetto può essere esteso a quello più generale di trasporto acqueo comprendendo qualunque tipo di trasporto sull'acqua, sia dolce che marina, sia sopra che sotto la superficie, anche con mezzi differenti dalle navi, quali le barche, gli aliscafi, gli hovercraft, le chiatte, i pontoni, le zattere e i sottomarini. Il trasporto navale si serve delle acque navigabili, cioè tali da permettere il transito ai mezzi con un certo pescaggio. La navigabilità non è pertanto un concetto assoluto, ma relativo, dipendente sia dalla profondità delle acque (variabile nel tempo), che dalle necessità del mezzo (anch'esse variabili nel tempo). Le acque possono essere distinte tra: • • acque marittime, relative ai grandi bacini di acqua salata distinte tra oceani e mari, caratterizzate dall'ampiezza degli spazi e dalla potenza dei fenomeni naturali che vi si sviluppano: o un sottoinsieme delle acque marittime sono le acque costiere, cioè quelle situate in prossimità della costa, caratterizzate dalla vicinanza alle infrastrutture portuali e ai rifugi naturali; acque interne, cioè le acque dolci o salmastre di lagune, fiumi e laghi e canali, spesso caratterizzate da un insieme di chiuse e impianti di sollevamento, che permettono di superare le differenze di altitudine o collegare tra loro differenti bacini. La navigazione, cioè la capacità di muoversi sull'acqua, è essenzialmente caratterizzata dalla capacità di mantenere una determinata rotta con una data velocità. A tale scopo per un navigante è necessario saper sempre riconoscere o quantomeno stimare la propria posizione, così da poter verificare la propria rotta e calcolare la propria velocità: tale attività, piuttosto semplice nelle acque interne o costiere, diviene al contrario estremamente complicata nella scarsità o assenza di riferimenti proprie delle acque aperte, se privi dei moderni strumenti di posizionamento. Per quanto riguarda i mezzi di propulsione, nel corso della lunga storia dell'uomo ne sono stati sviluppati di numerosi e spesso fantasiosi. I principali sono comunque riconducibili alla propulsione meccanica, a quella a vela e a quella a remi. Per la navigazione moderna si utilizza una gran varietà di strumenti e infrastrutture: carte nautiche, segnalazioni marittime, fari, radar, sistemi di navigazione. La navigazione è inoltre regolata per mezzo di leggi e convenzioni valide nelle acque nazionali e internazionali, tra le quali le più importanti sono le norme per la prevenzione degli abbordi in mare, che dettano il comportamento da tenere nel corso della navigazione e in special modo in prossimità di altre imbarcazioni. Per la comunicazione si rivelano importanti, oltre alla radio, la segnalazione navale diurna (attraverso l'alfabeto marittimo, il linguaggio delle bandiere e l'alfabeto Winker) e la segnalazione luminosa notturna. Nel trasporto marittimo ci si serve poi di un linguaggio speciale fatto di termini e codici particolari, sviluppati per le particolari esigenze dei naviganti. Il trasporto mercantile è una fondamentale componente dell'infrastruttura dei trasporti, sia nelle acque interne che in quelle marittime, ed è essenziale nel commercio mondiale, poiché è attraverso il mare che la maggior parte delle merci viaggiano tra paesi e continenti diversi. Sul trasporto navale si reggono moltissime economie nazionali ed in generale la prosperità dei paesi dotati di un accesso al mare, il quale costituisce l'accesso alla più grande via di trasporto mondiale, attraverso il quale fluiscono carburanti, risorse naturali, prodotti chimici, prodotti agricoli e beni di consumo, provenienti da paesi produttori e diretti a paesi consumatori posti tra loro alle più disparate distanze. Tale sistema si basa essenzialmente su tre elementi: • • • i porti, che costituiscono i terminali in cui convergono le merci da e per la marittima, dotati di tutti gli impianti necessari per il carico/scarico delle merci (banchine, gru di carico, aree di stoccaggio, mezzi di movimentazione e dogane) e per soddisfare le esigenze delle navi in arrivo e partenza (mezzi di assistenza, impianti di rifornimento, bacini di manutenzione e piloti); i mercantili o cargo, che costituisce il mezzo attraverso il quale le merci vengono trasportate dal porto di partenza a quello di destinazione; le interconnessioni con le reti terrestri, attraverso le quali le merci possono essere smistate da e per l'entroterra. Caso particolare e in parte separato del trasporto mercantile è il trasporto passeggeri: in esso infatti la merce trasportata è rappresentata dalle persone, i passeggeri appunto, e dal loro bagaglio. Formalmente una nave è definita nave passeggeri quando è in grado di trasportare almeno dodici persone (oltre al proprio equipaggio) di età superiore ai sei mesi. Il trasporto passeggeri è caratterizzato da una diversa destinazione degli spazi a bordo, che devono essere per la gran parte destinati ad essere vivibili e fruibili dai passeggeri, e da una maggiore sicurezza determinata dalla particolare importanza e vulnerabilità di quanto trasportato. Il trasporto passeggeri è in generale destinato a due scopi principali: • • il traghetto, cioè il trasporto vero e proprio delle persone, attraverso un collegamento di linea necessario a creare una rete di connessione tra due luoghi a seconda dei punti di vista separati o uniti dall'acqua; la crociera, cioè la navigazione effettuata per piacere o per diletto, che rappresenta una forma impropria del trasporto navale. Allo scopo di soddisfare alle esigenze del trasporto mercantile i vari paesi marittimi si dotano, oltre alle infrastrutture, di una propria marina mercantile, che è quell'insieme di navi destinate al trasporto mercantile e passeggeri battenti bandiera del medesimo paese. Il trasporto navale commerciale presenta una storia millenaria. Le vie marittime e i canali importanti sono stati spesso nella Storia oggetto di rivendicazioni e scontri belliche per il loro grande significato economico e la loro grande importanza strategica per i paesi caratterizzati da un preponderante interesse marittimo. Per molti millenni, inoltre, il trasporto marino è stato anche l'unico mezzo per scoperte, comprensione del mondo e ricerche di territori sconosciuti e lontani. Per i paesi costieri, infine, le coste e le acque marittime sulle quali esse si affacciano costituiscono una vera e propria frontiera, spesso estremamente estesa e difficilmente controllabile attraverso la quale possono fluire sia opportunità e ricchezze che gravi minacce. Per questi motivi praticamente da sempre all'attività commerciale e pacifica sul mare si è accompagnato lo sviluppo di un'attività militare e guerriera di volta in volta destinata al predominio o alla difesa dei propri interessi sul mare. Tale attività è destinata essenzialmente alla creazione di un potere marittimo, cioè della capacità di esercitare il potere, in definitiva la propria volontà, sul mare e attraverso di esso. Tale concetto è fondamentale nel determinare la capacità di uno Stato di applicare la propria legge su di un elemento da sempre considerato di nessuno come il mare (recenti e non del tutto universalmente accettate sono accordi e norme internazionali che tentano di mettere ordine nella spartizione del controllo sulle acque). Praticamente tutti i paesi che si affacciano sul mare allestiscono dunque delle marine militari (in passato chiamate anche marine da guerra), più o meno grandi a seconda delle proprie capacità e del livello dei propri interessi marittimi. Fanno eccezione l'Islanda e la Costa Rica, che non dispongono di una propria marina: spesso tuttavia le marine di molti paesi si limitano alla presenza di sole imbarcazioni minori destinate alla sorveglianza delle proprie acque territoriali. Il potere marittimo che una marina militare è chiamata ad esercitare si esplica essenzialmente in tipi tre di attività: • il controllo, cioè la vigilanza e polizia sulle proprie acque territoriali e, più in generale, sul proprio mare (o su quello considerato tale) e la protezione dei propri traffici marittimi; • • l'asserzione di presenza, legata al concetto di mostrar bandiera, cioè una funzione essenzialmente di deterrenza, con la quale una nazione marittima attraverso la presenza del proprio naviglio militare ricorda alle altre la propria capacità militare e, appunto, la propria presenza sulle acque, sì da scoraggiare eventuali tentativi di modificare lo status quo. la proiezione di potenza, che è invece la vera e propria attività bellica o, meglio, la propria potenzialità bellica, cioè la capacità, in termini quantitativi e qualitativi, di usare la forza per imporre la propria volontà sul mare o per proiettare la propria potenza militare attraverso di esso contro il nemico (è in caso tipico degli sbarchi, cioè del trasferimento di truppe contro il nemico attraverso il mare, o dei blocchi navali, cioè del taglio delle vie di comunicazione marittime al traffico nemico). UNITA’ 4 PARTE 2 TRASPORTI AEREI Il trasporto aereo, consistente nel trasferire persone e merci da un punto all'altro utilizzando un mezzo viaggiante nell'aria, è oggi un fattore essenziale della globalizzazione economica e del progresso sociale. Viene attuato mediante velivoli specializzati in tale ruolo, sia ad ala fissa (aerei da trasporto) che ad ala rotante (elicotteri da trasporto). La data che, solitamente, ricorda la nascita del trasporto aereo è il 17 dicembre 1903, giorno in cui i fratelli Wright riescono a far volare per alcune centinaia di metri la loro macchina rudimentale. In realtà, già nel 1900, Zeppelin aveva costruito un dirigibile, munito di due motori a scoppio, che consentiva viaggi abbastanza confortevoli, anche se lenti, costosi e non molto sicuri. Ovviamente molta acqua è passata sotto i ponti dai dirigibili che lentamente procedevano nel cielo trasportando pochi "ricchi" eletti ai moderni jet che portano centinaia di persone di qualunque stato sociale o capacità economica. L'incremento delle rotte e l'apertura di nuovi aeroporti, oltre a dare molteplici possibilità di scelta, ha consentito di creare anche una sorta di pendolarismo, economicamente sostenibile grazie all'abbattimento dei costi della tratta, grazie soprattutto all'affermarsi di Compagnie Low Cost che, tagliando i servizi aggiuntivi ai passeggeri, possono fornire un servizio comunque adeguato alla necessità a prezzi anche decine di volte inferiori a quelli praticati dalle principali compagnie aeree nazionali ed internazionali. Internet e la possibilità di prenotare on-line, da parte sua, ha ulteriormente facilitato l'accesso al servizio aereo, rendendo semplice e facile la programmazione di un viaggio, d'affari o di piacere che sia. Secondo uno studio dell'Unione Europea nel triennio dal 2004 al 2006, negli aeroporti dei paesi europei si rilevano numerosi interessanti fattori statistici. In valori complessivi si è passati da 106 a 123 milioni di passeggeri, con un incremento medio annuo del 7,89%, che passa al 10,82% se si considera la sola quota di traffico internazionale che ha riscontrato un incremento di 13 milioni di passeggeri . Sempre a livello europeo, "nel settore internazionale mentre il traffico con il continente Americano ed Africano è rimasto pressoché inalterato ed il traffico verso l'Asia ha riscontrato un +23,6% con 4,2 milioni nel 2006, l'Europa ha movimentato 57 milioni di persone nel 2006, difatti i passeggeri nell’Unione Europea sono passati da 41,8 del 2004 a 51,6 milioni del 2006 mentre i Paesi non UE da 3,2 a 5,4". Questi numeri evidenziano come l'Asia, e segnatamente la Cina, stiano diventando sempre più parte del mercato europeo, sia per l'aumento delle importazioni, sia per l'incremento generale di tutti i tipi di rapporti commerciali. Il trasporto delle merci via aerea ha subito negli anni un notevole incremento sia per ragioni di necessità di velocità di approvvigionamento, che per ragioni di economicità del servizio reso. La moderna gestione delle scorte nelle aziende ha reso necessario un accorciamento dei tempi di approvvigionamento ed il trasporto aereo ha contribuito notevolmente in tal senso, permettendo l'arrivo in tempi brevissimi di ricambistica o componenti atti a viaggiare nella stiva di un aereo, vale a dire necessariamente piccoli, leggeri e ad alto valore. L'economicità del servizio è stata una conquista della liberalizzazione delle tratte e della concorrenza, grazie al quale la comparsa di nuovi vettori aerei sul mercato ha conseguentemente permesso l'abbattimento dei costi di trasporto Tale attività rappresenta un'importante branca sia del trasporto aereo che del trasporto militare ed identifica tutte le attività connesse con il movimento per via aerea di uomini, mezzi e materiali necessari per assicurare il sostegno logistico alle Forze armate, con particolare riferimento a quelle impegnate in Operazioni militari o in esercitazioni. Storicamente, il trasporto aereo militare si è sempre suddiviso in trasporto aereo tattico e trasporto aereo strategico, per caratterizzare i movimenti, rispettivamente, a corto raggio e a lungo raggio. Tale approccio era collegato allo scenario strategico della Guerra Fredda, caratterizzato dall'esistenza di un solo Teatro Operativo (quello europeo) e da un solo Paese che eseguiva trasporti per via aerea al di fuori di tale zona, ossia gli Stati Uniti d'America: i relativi movimenti intercontinentali transoceanici per via aerea vennero denominati "strategici". Sin dalla caduta del Muro di Berlino, però, e con l'apertura del primo Teatro Operativo "fuori area", ossia quello balcanico, le dottrine logistiche valide fino ad allora furono totalmente stravolte. Con le due Guerre del Golfo, infine, trovarono la loro prima applicazione i concetti di trasporto "intra-theatre" e "inter-theatre", che ampliavano e modificavano lo storico dualismo strategico - tattico. Attualmente, con l'apertura di nuovi Teatri Operativi lontani dal mare (Operazioni Enduring Freedom e ISAF in Afghanistan) e vista l'insicurezza delle linee terrestri, il trasporto per via aerea è diventato, di fatto, l'unica modalità logistica percorribile, assumendo un'importanza ed una valenza sulle Operazioni in corso mai avuta prima. UNITA’ 4 PARTE 3 RETI DI TRASPORTO Trasporto Trasferimento di persone (trasporto passeggeri) o di cose (trasporto merci) da una località all'altra; le attività economiche legate ai trasporti, che impegnano milioni di addetti in tutto il mondo, rientrano nella categoria dei servizi, vale a dire nel settore terziario dell'economia di un paese. Fino al XVI secolo, a parte qualche miglioramento delle strade e i progressi tecnologici nella fabbricazione di carri e carrozze, il settore dei trasporti terrestri non registrò trasformazioni di rilievo. Il trasporto di merci e soprattutto di posta, affidato nel 1502 dall'imperatore Massimiliano I alla casata dei Tasso della Torre, poi divenuti Thurn und Taxis (dal loro nome deriva il moderno 'taxi'), fu tra le prime iniziative a stimolare lo sviluppo del settore: in Francia e in Gran Bretagna si cominciarono a organizzare servizi di diligenze che collegavano una città all'altra portando merci e passeggeri. Questo modo di viaggiare segnò un'epoca che si chiuse quando il perfezionamento della locomotiva a vapore da parte di George Stephenson, nel 1825, aprì nuove opportunità ai trasporti di passeggeri e merci con la costruzione di ferrovie in tutto il mondo. Diligenze e grandi carri a quattro ruote, come il famoso Conestoga, furono comunque i protagonisti della corsa alla conquista del West negli Stati Uniti, anche dopo la metà dell'Ottocento, quando si andarono via via completando le linee ferroviarie transcontinentali. Per quasi un secolo le linee ferroviarie si moltiplicarono, collegando la costa orientale degli Stati Uniti a quella occidentale, unendo Mosca a Vladivostok attraverso la sconfinata Siberia, inoltrandosi nelle giungle dell'India e della penisola indocinese, superando le Alpi e le Ande con arditi trafori. Nuove frontiere allo sviluppo dei trasporti terrestri si aprirono dopo il 1910 con il miglioramento dei motori e dei telai di automobili e autocarri, che ebbe come immediata conseguenza lo sviluppo della rete stradale: dalle strade sterrate si passò nel giro di pochi anni a quelle asfaltate e poi alle autostrade per collegamenti sempre più veloci. Quasi contemporaneamente si andava sviluppando l'aviazione come mezzo di trasporto rapido per passeggeri, e poi anche per la posta e le merci in generale. Attualmente le ferrovie sembrano destinate a seguire la strada dell'alta velocità per essere concorrenziali, su distanze brevi e medie, fino a 600-800 km, rispetto agli altri mezzi di trasporto. Ma il mezzo aereo resta il più conveniente sulle lunghe distanze, mentre il trasporto su gomma, in particolare sui grandi autocarri, è il più semplice e diffuso, in quanto consente di trasportare le merci 'porta a porta', dal fornitore al domicilio del cliente, senza trasbordo. Tra l'altro i veicoli contraddistinti dalla sigla TIR (acronimo dal francese Transports Internationaux Routiers, cioè trasporti internazionali su strada) effettuano le operazioni di dogana alla partenza e a destinazione, evitando di sostare alla frontiera per i controlli sul carico. Particolari forme di trasporto sono quelle consentite da elettrodotti, gasdotti e oleodotti, che trasferiscono corrente elettrica, gas e petrolio da una località all'altra, anche sotto i mari, come tra Algeria e Italia. Un ulteriore sviluppo del sistema internazionale di trasporti è stato realizzato grazie a una nuova organizzazione di punti 'intermodali', dove le merci passano dalle navi al treno o al camion e viceversa, per poi proseguire il loro cammino. Operazioni di trasferimento rapido e relativamente sicuro rispetto al rischio di danni o furti sono possibili con i container, robusti contenitori in metallo dentro i quali si trasportano merci di ogni tipo, anche molto diverse tra loro, definite dagli operatori 'collettame'. I container sono adatti al trasporto su autocarri, su vagoni ferroviari, su aerei cargo, e su apposite navi portacontainer: grazie alla possibilità di sollevarli tramite gru tradizionali o magnetiche, i container vengono trasferiti facilmente da un mezzo di trasporto all'altro. Si calcola che nei depositi dove si effettuano tali operazioni, detti 'interporti', si lavorano 500 tonnellate di merci all'ora contro le 25 tonnellate di merci sfuse, e che per scaricare una nave si impiegano 13 ore invece di 84. Se si utilizzano navi di grande tonnellaggio, per le quali è talvolta difficile entrare in porto, si possono sfruttare per il trasbordo a terra, e viceversa, imbarcazioni specializzate indicate con la sigla LASH (Lighter Aboard Ship). UNITA’ 4 PARTE 4 TELECOMUNICAZIONI Telecomunicazioni Termine che definisce l’insieme dei sistemi di trasmissione a distanza delle informazioni. I mezzi di comunicazione che ne fanno parte sono basati su tecnologie ottiche, elettriche o elettroniche, e sono in grado di trasmettere le informazioni in varie forme, ossia in forma di suoni, immagini o dati. Il termine è composto dal prefisso greco têle (“lontano”) e dal latino communicare (“rendere comune, far partecipe di qualcosa”). Nel corso del XX secolo i mezzi di telecomunicazione hanno conosciuto uno sviluppo e una diffusione via via crescenti, che li hanno resi una componente fondamentale della nostra società, agevolando lo sviluppo economico e la comunicazione in generale. Il telefono, che è stato il primo mezzo di telecomunicazione a conoscere una diffusione globale e capillare, è stato successivamente integrato da una vasta gamma di servizi computerizzati disponibili attraverso le reti di comunicazione, prima fra tutte la rete globale Internet. Qualunque sistema di telecomunicazione si basa sulla combinazione di un dispositivo trasmettitore, di un mezzo di comunicazione e di un dispositivo ricevente. Ad esempio, nel caso della televisione tradizionale, il dispositivo trasmettitore è l’antenna, il mezzo di comunicazione è l’aria in cui si propagano le onde elettromagnetiche che veicolano il segnale e il dispositivo ricevente è l’insieme dell’antenna ricevente e del televisore. Un insieme complesso di più unità trasmettitrici, mezzi di trasmissione e unità riceventi si dice rete. Oggi si distinguono due grandi tecnologie di telecomunicazioni: quella analogica e quella digitale. Esse si differenziano per il tipo di segnale con cui vengono codificate e trasmesse le informazioni: nei sistemi analogici l’informazione è tradotta nelle variazioni di una grandezza che varia con continuità, ossia in modo analogico; nei sistemi digitali, invece, il segnale è dato da combinazioni di grandezze discrete, e in particolare da combinazioni di cifre 0 e 1. In questo caso le informazioni sono suddivise in pacchetti che viaggiano lungo la rete indipendentemente gli uni dagli altri, smistati da apposite centrali di switching. Tale sistema consente una più alta efficienza di trasmissione, oltre che una maggiore resistenza alle interferenze e al rumore rispetto ai sistemi analogici; per questo motivo la tecnologia digitale sta rapidamente sostituendo quella analogica, migliorando e diversificando i sistemi di telecomunicazione. Prima dello sviluppo dei mezzi di telecomunicazione basati sulle moderne tecnologie elettriche ed elettroniche, la comunicazione a distanza avveniva perlopiù tramite i servizi postali. Verso il 1790 Claude Chappe, uno scienziato francese, ideò un primo sistema di comunicazione a distanza che si può definire di telegrafia ottica. Si trattava di un ingegnoso sistema semaforico a palette basato sull’uso di telescopi e specchi riflettenti. Nonostante rendesse possibile la trasmissione di messaggi a molti chilometri di distanza, il metodo era piuttosto lento, perché ogni segnale doveva essere azionato manualmente e ripetuto per conferma da chi lo aveva ricevuto. Fu solo alla fine del XVIII secolo, quando le conoscenze in materia di elettricità e magnetismo lo consentirono, che nacquero i primi mezzi di telecomunicazione basati sulla trasmissione di segnali elettrici. Il primo di questi fu il telegrafo. Il telegrafo fu ideato nel XIX secolo; ne furono sviluppate diverse versioni, di cui le due principali furono quella britannica, messa a punto da Charles Wheatstone e William F. Cooke, e quella statunitense, di Samuel Morse (1836). A quest’ultimo si deve anche l’omonimo codice, un sistema di punti e linee di diversa durata che permetteva di codificare lettere e segni di punteggiatura; fu universalmente adottato per il funzionamento del nuovo strumento. A partire dalla prima trasmissione negli Stati Uniti, nel 1844, il sistema del telegrafo si diffuse in tutto il mondo, creando una fitta rete di telecomunicazioni. In Italia giunse nel 1852 La telegrafia rappresentò un grande progresso nelle comunicazioni rapide a distanza, ma aveva diversi limiti, come la modalità di trasmissione dei messaggi lettera per lettera. Gli studi si concentrarono allora sulla ricerca di un mezzo di comunicazione di tipo elettrico che fosse in grado di trasmettere la voce. I primi dispositivi progettati a questo scopo erano in grado di trasmettere vibrazioni sonore, ma non parole vere e proprie. Il primo telefono elettrico nel senso moderno della parola fu quello inventato dall’italiano Antonio Meucci nel 1860 e brevettato nel 1876 dallo statunitense Alexander Graham Bell. Perché il telefono iniziasse a diffondersi, tuttavia, si dovette aspettare il primo dopoguerra. In Italia il numero di apparecchi telefonici era di 130.000 nel 1925; salì a 500.000 nel 1940 e a 1 milione nel 1951. La crescita proseguì piuttosto lentamente e subì una forte accelerazione alla fine degli anni Sessanta, quando si toccarono i dieci milioni di apparecchi. Negli anni Ottanta, quando il numero di telefoni giunse a venti milioni, iniziavano a diffondersi i primi telefoni cellulari. Il telefono mobile era stato inventato già nel 1947, ma si diffuse solo a partire dai primi anni Ottanta. In Italia, l’affermazione del telefono cellulare ebbe un’impennata nella seconda metà degli anni Novanta, superando nel 1998 il numero di apparecchi della rete fissa. Oggi il telefono mobile ha ampliato l’offerta dei servizi, proponendosi non solo come uno strumento di comunicazione vocale, ma anche come mezzo di accesso alla rete Internet e a i suoi molteplici servizi basati su tecnologia digitale. I primi sistemi telegrafici e telefonici dipendevano dalla presenza fisica di fili conduttori per la trasmissione dei messaggi; le successive scoperte scientifiche mostrarono altre possibilità. La teoria dell’elettromagnetismo, esposta nel 1873 dal fisico britannico James Clerk Maxwell, trovò conferma nello studio del fisico tedesco Heinrich Hertz; questi, nel 1887, fornì la prova sperimentale dell’esistenza delle onde elettromagnetiche, ponendo così le basi teoriche della telegrafia senza fili. Il 1896 segna la nascita dei sistemi radio di telecomunicazione: fu in quell’anno che Guglielmo Marconi trasmise un segnale radio da Penarth a Weston-super-Mare, in Inghilterra, mentre nel 1901 ne inviò uno attraverso l’Atlantico, dalla Cornovaglia a Terranova. La nuova scoperta svincolava la telecomunicazione dalla necessità di fili di connessione, necessità che fino ad allora aveva imitato la diffusione del telegrafo nel mondo; nasceva così il “telegrafo senza fili”. Perché si sviluppasse la radiodiffusione, tuttavia, dovettero passare ancora degli anni. I primi esperimenti risalgono al primo ventennio del Novecento, quando furono messi a punto i componenti elettronici che sarebbero andati a far parte dell’apparecchio radio: ad esempio, la valvola termoionica a due elementi, o diodo, inventata dal fisico britannico John Ambrose Fleming nel 1904, e quella a tre elementi, o triodo (vedi Tubo a vuoto), inventata nel 1906 dallo statunitense Lee De Forest, entrambe parte del circuito amplificatore. La prima emittente radiofonica nacque negli Stati Uniti nel 1920. In Italia, la radio fece la sua comparsa nel 1924; di lì a poco, si sarebbe affermata come strumento di comunicazione di massa. La storia della telecomunicazione delle immagini si può far risalire al 1891, anno dell’invenzione della prima macchina capace di proiettare immagini in movimento: il cinetoscopio di Thomas Alva Edison. Seguirono diverse invenzioni importanti: nel 1895 il chimico e industriale francese Louis-Jean Lumière, con il fratello AugusteMarie, anch’egli chimico, presentò e brevettò il cinematografo (vedi Cinematografia). Nel 1897, invece, fu messo a punto il primo tubo elettronico, meglio conosciuto come tubo a raggi catodici, il principale componente dell’apparecchio televisivo tradizionale. Nel 1923 l’ingegnere elettronico Vladimir Kuzmič Zworykin inventò due macchine fondamentali per il successivo sviluppo della televisione: l’iconoscopio, per la trasmissione delle immagini a distanza, e il cinescopio, per la loro ricezione. Nel 1926 l’ingegnere britannico John L. Baird realizzò la prima trasmissione elettrica di immagini in movimento. La nuova tecnologia fu poi ulteriormente messa a punto negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Germania. Il primo sistema televisivo pubblico del mondo fu inaugurato nel 1937 in Gran Bretagna (vedi BBC) e si basava su un sistema di trasmissione via etere. Da allora, e soprattutto a partire dagli anni Cinquanta, la televisione si è andata affermando fino a raggiungere una diffusione capillare in tutto il mondo. In Italia, negli anni Novanta la diffusione dell’apparecchio televisivo ha raggiunto la quasi totalità della popolazione. Oggi, accanto alla tradizionale televisione analogica, si sono sviluppate tecnologie digitali che migliorano l’offerta sia dal punto di vista qualitativo sia da quello quantitativo: la televisione via cavo e quella via satellite offrono infatti servizi a pagamento alternativi a quelli della programmazione diffusa via etere. La prima sfrutta le reti di fibre ottiche dei servizi telematici (Internet e telefonia) per trasmettere il segnale digitale, che viene poi decodificato da un decoder prima di giungere all’apparecchio televisivo; la seconda – la televisione via satellite – prevede la trasmissione del segnale attraverso un satellite che lo riceve dalla trasmittente e lo diffonde a tutti gli utenti attrezzati con un’apposita antenna parabolica. Uno dei maggiori progressi nel campo delle telecomunicazioni è seguito all’avvento del computer, sviluppatosi a partire dagli anni Quaranta del Novecento. Fu negli anni Sessanta che la messa a punto delle tecnologie di trasmissione dei dati consentì di realizzare le prime reti di computer, facendo di questo dispositivo, oltre che un impareggiabile strumento di studio e di lavoro, anche un mezzo di comunicazione. La prima rete, chiamata ARPAnet, comparve nel 1969; da questa, nei primi anni Ottanta, trasse origine Internet, grazie alla definizione dei protocolli di trasmissione TCP/IP. Nel 1991, infine, Tim Berners-Lee del CERN di Ginevra mise a punto il protocollo HTTP, dando vita al World Wide Web. Quest’ultimo è un sistema di collegamenti ipertestuali tra risorse diverse fruibili su Internet; la sua semplicità e versatilità hanno consentito la straordinaria diffusione di Internet, che oggi permette l’acquisizione e la trasmissione rapida di enormi quantità di dati e informazioni di ogni genere in tutto il mondo. Il servizio di e-mail, inoltre, si è diffuso contestualmente divenendo presto uno dei sistemi di comunicazione più pratici e veloci tra utenti di computer. La maggior parte dei sistemi di telecomunicazioni continua ancor oggi ad affidarsi alla trasmissione su rete fissa: fili di rame o, più recentemente, cavi coassiali (vedi Cavo elettrico) e fibre ottiche. Per consentire la trasmissione di un volume sempre crescente di dati, tuttavia, la tecnologia delle telecomunicazioni è costantemente alla ricerca di sistemi di trasmissione più veloci ed efficienti. In quest’ottica i vecchi fili di rame stanno lasciando il posto alle fibre ottiche, che sono in grado di veicolare enormi quantità di dati a una velocità molto maggiore; consentono così agli utenti di fruire di servizi quali la televisione via cavo, Internet veloce e i tradizionali servizi telefonici, tutti lungo un’unica linea di trasmissione. Un’altra tendenza comune a tutti i sistemi di telecomunicazione è il passaggio dai sistemi analogici a quelli digitali. Questi ultimi permettono una trasmissione dei dati più efficiente, attraverso il sistema che suddivide le informazioni in pacchetti indipendenti che viaggiano attraverso la rete a seconda del traffico. Oggi, grazie alla tecnologia digitale, sulle reti di telecomunicazioni possono viaggiare diversi tipi di segnali, da quelli audio a quelli video, grafici e numerici. Uno dei canali più promettenti delle telecomunicazioni è la voce su Internet, ossia le trasmissioni telefoniche attraverso la Rete. Il sistema prende il nome di VoIP (Voice over IP), ossia “voce attraverso Internet Protocol”, il protocollo di trasmissione dei dati su cui Internet si basa. Il sistema permette un notevole abbattimento dei costi rispetto ai sistemi tradizionali: due utenti che si telefonano con VoIP, infatti, non devono più monopolizzare la linea telefonica che li connette per tutta la durata della conversazione, ma usufruiscono della caratteristica principale del sistema di trasmissione di dati su Internet: la suddivisione delle informazioni in pacchetti che viaggiano indipendentemente l’uno dall’altro nella Rete e vengono ricomposti all’arrivo. Accanto alle trasmissioni su rete fissa, inoltre, è oggi in via di sviluppo la tecnologia wireless: questa, non basata sull’uso di connessioni cablate (wired), sfrutta invece le onde radio o, più raramente, gli infrarossi. Sul fronte della telefonia, infine, è ben nota la tendenza alla continua miniaturizzazione degli apparecchi cellulari. D’altra parte, la diffusione del telefono cellulare è in continuo aumento, e così pure il numero di servizi da esso offerti. Nel prossimo futuro delle telecomunicazioni si prevede una progressiva scomparsa dei telefoni fissi e una convergenza tra computer e telefono cellulare. UNITA’ 5 PARTE 1 RISORSE E RISERVE Il concetto di riserva definisce la quantità disponibilie di una risorsa naturale, accertata mediante prospezioni e studi, che può essere sfruttata economicamente dall'uomo mediante le tecnologie esistenti. Solo una parte delle risorse naturali disponibili, quindi, viene definita come riserva. Inoltre, considerando il progresso tecnologico la stessa riserva può ridursi o aumentare nel tempo con le nuove conoscenze scientifiche del'uomo. La definizione di riserva ha quindi due elementi fondamentali: • • la tecnologia esistente in grado di estrarre e lavorare la risorsa naturale il mercato in grado di dare un valore economico ed una convenienza economica all'attività di estrazione e lavorazione (ricavi estrazione > costi). L'aspetto tecnologico non definisce da solo il concetto economico di riserva. I costi di estrazione potrebbero superare i ricavi e scoraggiare qualsiasi impresa anche in presenza di tecnologie esistenti. Ad esempio, alcune piccole riserve frastagliate non rendono facilmente estraibili le risorse naturali e i costi di estrazione superano abbondantemente i ricavi economici. In questi casi si parla di "riserve in senso allargato" o "riserve potenziali" per il futuro. Come già anticipato, le riserve di una risorsa naturale non sono costanti bensì variano nel tempo per diversi fattori. Col tempo le innovazioni tecnologiche tendono a risolvere i problemi tecnici di estrazione ed a ridurne i costi. D'altra parte le condizioni future del mercato possono generare un aumento del prezzo della materia prima tale da rendere conveniente lo sfruttamento di giacimenti precedentemente considerati anti-economico. Prendiamo un esempio storico: la crisi degli anni '70 e l'impennata del prezzo del petrolio spinse molti paesi ad investire nelle attività di prospezione ed estrazione delle riserve potenziali. Norvegia e Inghilterra investirono massicciamente nelle piattaforme petrolifere offshore nel Mare del Nord, dando vita a quello che ancora oggi conosciamo come petrolio del BrentLe riserve segrete. La scoperta di nuove riserve in futuro non è quindi un evento da escludersi a priori. A questo deve aggiungersi la convenienza dei paesi esportatori di petrolio a mantenere stabile il rapporto riserve/consumo di una materia prima per evitare ricadute nel prezzo o l'eccessiva volatilità. Le attività di prospezione e la scoperta di nuovi giacimenti hanno infatti l'effetto di ridurre la sensazione di scarsità e quindi di abbassare i prezzi della materia prima in questione sui mercati internazionali. E' quindi razionale che alcune informazioni sulle reali riserve potenziali di una materia prima restino spesso segrete e non accessibili. Cosa è esattamente una risorsa naturale? Una domanda semplice solo all'apparenza. E' infatti impossibile dare una definizione universale di risorsa naturale poiché questa è strettamente legata alla struttura economica in cui si vive. Nell'antichità erano considerate risorse naturali le terre da arare, i campi fertili o i prati in cui pascolare il gregge. Queste risorse oggi le conosciamo come "risorse agricole". Con l'industrializzazione, il concetto di risorsa naturale si spostò verso le materie prime come il carbone, necessario per far funzionare le macchine, e più in generale verso gli input minerari dei processi produttivi che oggi conosciamo come "risorse minerarie" e come "risorse energetiche". Infine, nella società attuale parlando di risorse naturali immaginiamo immediatamente le "risorse ambientali", la natura incontaminata ed il paesaggio. Osservando bene le definizioni, possiamo notare dei tratti in comune delle risorse naturali: • non sono prodotte dall'uomo • hanno un'utilità ed un valore economico Sono due caratteristiche fondamentali per qualsiasi risorsa naturale in ogni epoca. I prati dell'antichità, il carbone delle grandi fabbriche ottocentesche ed il petrolio della nostra epoca rispondono esattamente a queste qualità. L'uomo non crea il petrolio, si limita ad estrarlo, a lavorarlo ed infine a venderlo. Lo stesso avviene per ogni metallo, per l'energia del vento trasformata in energia dall'eolico, per i luoghi di pesca e le risorse ittiche ecc. Lo stesso paesaggio risponde ad un bisogno dell'uomo e può essere oggetto di valorizzazione economica (es. le aree protette). Volendo definire una risorsa naturale possiamo quindi concludere che: "Una risorsa naturale è ogni materia fisica non prodotta dall'uomo in grado di generare utilità economica". Le risorse naturali non devono infine essere confuse con le materie prime di cui sono la fonte. Le risorse naturali si distinguono in risorse rinnovabili o non rinnovabili. Le prime si rinnovano mediante un ciclo biologico breve mentre le seconde sono presenti in quantità predeterminate e si formano solo dopo lunghi cicli geologici. Con il termine risorse naturali si intendono le energie, i mezzi, le forze ambientali e biologiche che sono proprie del nostro pianeta e che opportunamente valorizzate sono in grado di produrre ricchezza. Queste si dividono in "risorse energetiche", risorse minerarie e "risorse biologiche". A sua volta possono poi, provenire da "fonti rinnovabili" o "fonti esauribili". Per millenni l'uomo ha sempre utilizzato risorse che provenivano da "fonti rinnovabili". L'energia solare, per produrre il cibo, la legna ed altri combustibili naturali come i rifiuti organici per attività di vita ed artigiane; l'energia idraulica per attività produttive (mulini ecc.); l'energia eolica per viaggiare e produrre (molini e navigazione). Con la rivoluzione industriale avviata a partire dal XVIII secolo queste fonti di energia divennero non più sufficienti al nuovo sviluppo e così iniziò lo sfruttamento sempre più intensivo dei combustibili fossili, dapprima il carbone, per arrivare poi, al petrolio ed al gas naturale. Le riserve di questi combustibili fossili, formatisi nel nostro pianeta durante le ere geologiche, seppure presenti in grandi quantità, sono limitate ed appartengono alle "fonti esauribili" di energia. Con la crisi petrolifera degli anni settanta del XX secolo nasce il problema energetico mondiale, con una nuova sensibilizzazione sull'uso razionale delle risorse, la ricerca di nuove "fonti rinnovabili" e lo sviluppo di nuove tecnologie che ne favoriscano il risparmio. UNITA’ 5 PARTE 2 LE FONTI DI ENERGIA RINNOVABILI Sono da considerarsi energie rinnovabili quelle forme di energia generate da fonti che per loro caratteristica intrinseca si rigenerano o non sono "esauribili" nella scala dei tempi "umani" e, per estensione, il cui utilizzo non pregiudica le risorse naturali per le generazioni future. Sono dunque generalmente considerate "fonti di energia rinnovabile" il sole, il vento, il mare, il calore della Terra, ovvero quelle fonti il cui utilizzo attuale non ne pregiudica la disponibilità nel futuro, mentre quelle "non rinnovabili", sia per avere lunghi periodi di formazione di molto superiori a quelli di consumo attuale (in particolare fonti fossili quali petrolio, carbone, gas naturale), sia per essere presenti in riserve non inesauribili sulla scala dei tempi umana (in particolare l'isotopo 235 dell'uranio, l'elemento attualmente più utilizzato per produrre energia nucleare), sono limitate nel futuro. La classificazione delle diverse fonti è comunque soggetta a molti fattori, non necessariamente scientifici, creando disuniformità di classificazione. Se la definizione in senso stretto di "energia rinnovabile" è quella sopra enunciata, spesso vengono usate come sinonimi anche le locuzioni "energia sostenibile" e "fonti alternative di energia". Esistono tuttavia delle sottili differenze: • • Energia sostenibile è una modalità di produzione ed uso dell'energia che permette uno sviluppo sostenibile: ricomprende dunque anche l'aspetto dell'efficienza degli usi energetici. Fonti alternative di energia sono invece tutte quelle diverse dagli idrocarburi cioè non fossili. Alla luce di ciò, non esiste una definizione univoca dell'insieme delle fonti rinnovabili, esistendo in diversi ambiti diverse opinioni sull'inclusione o meno di una o più fonti nel gruppo delle "rinnovabili". Secondo la normativa di riferimento italiana, vengono considerate "rinnovabili": Rientrerebbero in questo campo dunque: • • • • • • • Energia geotermica Energia idroelettrica Energia marina o Energia delle correnti marine o Energia a gradiente salino (osmotica) o energia mareomotrice (o delle maree) o energia del moto ondoso o energia talassotermica (OTEC) Energia solare o Solare termico e termodinamico o Solare fotovoltaico Energia eolica Energia da biomasse (o Agroenergie) o Biocarburanti, Gassificazione o Oli vegetali o Cippato Termovalorizzazione o Combustibile derivato dai rifiuti (o "CDR") o Dissociazione molecolare Una distinzione che spesso viene fatta in tale ambito è quella tra fonti rinnovabili "classiche" (essenzialmente idroelettrico e geotermia) e fonti rinnovabili "nuove" (anche dette "NFER"), tra cui vengono generalmente incluse l'energia solare, eolica e da biomassa. Nell'ambito della produzione di energia elettrica le fonti rinnovabili vengono inoltre classificate in "fonti programmabili" e "fonti non programmabili', a seconda che possano essere programmate in base alla richiesta di energia oppure no. Secondo la definizione del Gestore Servizi Elettrici (GSE, anche conosciuto come GRTN), nel primo gruppo rientrano "impianti idroelettrici a serbatoio e bacino, rifiuti solidi urbani, biomasse, impianti assimilati che utilizzano combustibili fossili, combustibili di processo o residui", mentre nel secondo gruppo (non programmabili) si trovano "impianti di produzione idroelettrici fluenti, eolici, geotermici, fotovoltaici, biogas". Talvolta, in alcuni ambiti, anche risparmio energetico ed efficienza energetica sono considerate -per estensione - "fonti rinnovabili", sebbene a rigore tali tematiche facciano parte dell'utilizzo razionale dell'energia, e non della loro produzione. Taluni, ancora, considerano questi due aspetti, legati all'uso piuttosto che alla produzione, all'interno della categoria dell'energia sostenibile. La tematica si intreccia anche con il problema del riscaldamento globale e delle emissioni di CO2: una definizione parallela di energie rinnovabili riguarda quindi anche il fatto che esse non contribuiscano all'aumento dell'effetto serra (pur fra difficoltà di effettiva verifica delle emissioni effettive e reali di tutta la filiera energetica/produttiva), sebbene anche in questo caso sia più rigoroso parlare di energia sostenibile, essendo l'accento posto sugli effetti ambientali della produzione di energia, piuttosto che sulle fonti da cui viene ottenuta. Le fonti rinnovabili generalmente dette "classiche" sono quelle che vengono sfruttate per la produzione di energia elettrica fin dall'inizio dell'età industriale. Le prospettive di uso futuro dipendono dall'esplorazione delle risorse potenziali disponibili, in particolare nei paesi in via di sviluppo e dalle richieste in relazione all'ambiente e all'accettazione sociale. Tra le più antiche si trovano certamente le centrali idroelettriche, che hanno il vantaggio di avere lunga durata (molte delle centrali esistenti sono operative da oltre 100 anni). Inoltre le centrali idroelettriche sono pulite e hanno poche emissioni. Tuttavia si è scoperto che le emissioni sono apprezzabili soltanto se associate con bacini poco profondi in località calde (tropicali), sebbene in generale le centrali idroelettriche producano molte meno emissioni nel loro "ciclo vitale" rispetto agli altri tipi di produzione di energia. Altre critiche dirette alle grosse centrali idroelettriche a bacino includono lo spostamento degli abitanti delle zone in cui si decide di fare gli invasi necessari alla raccolta dell'acqua e il rilascio di grosse quantità di biossido di carbonio durante la loro costruzione e l'allagamento della riserva. L'energia prodotta da fonte idroelettrica, che ebbe un ruolo fondamentale durante la crescita delle reti elettriche nel XIX e nel XX secolo, sta sperimentando una rinascita della ricerca nel XXI secolo. Le aree con più elevata crescita nell'idroelettrico sono le economie asiatiche in forte crescita, con la Cina in testa; tuttavia anche altre nazioni asiatiche stanno installando molte centrali di questo tipo. Questa crescita è guidata dai crescenti costi energetici e il desiderio diffuso di generazione energetica "in casa", pulita, rinnovabile ed economica. Le centrali geotermiche possono funzionare 24 ore al giorno, fornendo un apporto energetico di base e nel mondo la capacità produttiva potenziale stimata per la generazione geotermica è di 85 GW per i prossimi 30 anni. Tuttavia l'energia geotermica è accessibile soltanto in aree limitate del mondo, che includono gli Stati Uniti, l'America centrale, l'Indonesia, l'Africa orientale, le Filippine e l'Italia. Il costo dell'energia geotermica è diminuito drasticamente rispetto ai sistemi costruiti negli anni '70. La generazione di calore per il riscaldamento geotermico può essere competitiva in molti paesi in grado di produrlo, ma anche in altre regioni dove la risorsa è a una temperatura più bassa. Il mercato per le tecnologie delle NFER è forte e in crescita principalmente in paesi come la Germania, la Spagna, gli Stati Uniti e il Giappone. La sfida è allargare le basi di mercato per una crescita continuativa in tutto il mondo. La diffusione strategica in un paese non solo riduce i costi della tecnologia per gli utenti locali, ma anche per quelli negli altri paesi, contribuendo a una riduzione generale dei costi e al miglioramento delle prestazioni. I sistemi di riscaldamento solare sono tecnologie di seconda generazione ben conosciute e generalmente consistono di collettori termici solari, un sistema fluidodinamico per trasferire il calore dal collettore al punto di utilizzo e un serbatoio o una cisterna per lo stoccaggio del calore per usi successivi. Tali sistemi possono essere usati per riscaldare l'acqua domestica, quella delle piscine o per riscaldare ambienti. Il calore può anche essere usato per applicazioni industriali o come sorgente energetica per altri usi, come i dispositivi di raffreddamento. In molte zone climatiche un sistema di riscaldamento solare può fornire una percentuale molto alta (dal 50 al 75%) dell'energia necessaria a riscaldare l'acqua domestica Centrale elettrica solare da 11 MW vicino a Serpa, in Portogallo Negli anni '80 e nei primi anni '90 la maggior parte dei moduli fotovoltaici fornivano energia elettrica soltanto per le regioni isolate (non raggiungibili dalla rete elettrica), ma circa dal 1995 gli sforzi industriali si sono concentrati in modo considerevole sullo sviluppo di pannelli fotovoltaici integrati negli edifici e centrali allacciate alla rete elettrica. Attualmente la centrale fotovoltaica più grande del mondo si trova in Germania (Waldpolenz) con 30 MW di picco e un progetto di estensione a 40 MW, mentre quella più grande del nord America si trova presso la Nellis Air Force Base (15 MW). Ci sono proposte per la costruzione di una centrale solare nel Victoria in Australia, che diverrebbe la più grande al mondo con una capacità produttiva di 154 MW. Altre grosse centrali fotovoltaiche, progettate o in costruzione, includono la centrale elettrica "Girrasol" (da 62 MW), e il "Parco Solare di Waldpolenz" in Germania (da 40 MW) Energia prodotta tramite l'eolico nel mondo e previsione dal 1997 al 2010, sorgente: WWEA Alcune delle rinnovabili di seconda generazione, come l'eolico, hanno grossi potenziali di crescita e hanno già raggiunto dei bassi costi di produzione, comparabili con quelli delle altre fonti di energia. Alla fine del 2006 la capacità di produzione mondiale tramite generatori eolici era di 74,223 megawatt e nonostante attualmente fornisca meno dell'1% del fabbisogno mondiale, produce circa il 20% dell'elettricità in Danimarca, il 9% in Spagna e il 7% in Germania. Tuttavia esistono alcune resistenze al posizionamento delle turbine in alcune zone per ragioni estetiche o paesaggistiche. Inoltre in alcuni casi potrebbe essere difficile integrare la produzione eolica nelle reti elettriche a causa dell'"aleatorietà" dell'approvvigionamento fornito Informazioni su una pompa di benzina arricchita all'etanolo, California. Il Brasile ha uno dei più grandi programmi per l'energia rinnovabile al mondo, coinvolgendo la produzione di bioetanolo dalla canna da zucchero e l'etanolo ora fornisce il 18% del carburante automobilistico. Come risultato, assieme allo sfruttamento delle locali profonde riserve petrolifere, il Brasile, che in passato doveva importare una grande quantità di petrolio necessario al consumo interno, ha recentemente raggiunto la completa autosufficienza petrolifera. La maggior parte delle automobili usate oggi negli Stati Uniti possono utilizzare miscele fino al 10% di etanolo, e i costruttori di motori stanno già producendo veicoli progettati per utilizzare miscele con percentuali più elevate. La Ford, la Daimler AG e la General Motors sono tra le compagnie produttrici di automobili, camion e furgoni "flexible-fuel" (letteralmente a "carburante flessibile") che utilizzano miscele di benzina e etanolo dalla benzina pura sino all'85% di etanolo (E85). Dalla metà del 2006 sono stati venduti circa sei milioni di veicoli E85 compatibili negli Stati Uniti UNITA’ 6 PARTE 1 AGRICOLTURA E AMBIENTE L'agricoltura è comunemente considerata un'attività capace di porsi in stretto rapporto ed equilibrio con l'ambiente naturale, tanto che l'utilizzazione agricola del suolo è vista come un intervento umano capace non di distruggere ma di migliorare la qualità dei suoli, razionalizzare le zone incolte, bonificare i terreni insalubri. Il lavoro agricolo, frutto di tradizione ed esperienza, ha per secoli modellato, quasi plasmato, il territorio in vista delle esigenze della comunità senza stravolgerlo e deturparlo. Per questo tale attività è di frequente contrapposta all'attività industriale che, nel giro di pochi anni, può alterare le caratteristiche di vaste aree, modificandone il paesaggio e immettendo rifiuti difficilmente assorbibili dal territorio. Oggi, però, non possiamo fermarci ad una visione così riduttiva: l'agricoltura, infatti, costituisce un settore estremamente variegato e complesso che può e spesso produce ingenti danni all'ambiente sia nei paesi avanzati sia in quelli in via di sviluppo, anche se per motivi estremamente diversi. Agricoltura intensiva e agricoltura biologica possono considerarsi due poli, due modalità estremamente diverse di intendere il rapporto uomo-ambiente. Le problematiche di impatto ambientale legate all'agricoltura costituiscono un panorama di argomentazioni molto ampio e complesso e anche di difficile illustrazione con poche parole. L'agricoltura è il legame trofico tra l'uomo e l'ambiente in cui vive. Si configura come un complesso sistema di attività umane che interferiscono con l'ambiente, generando una complicata rete di interazioni socio-economiche e bio-fisiche che gerarchicamente si estendono dalla dimensione locale a quella planetaria. Il patrimonio di risorse naturali (suolo, aria, acqua, organismi) è principalmente affidato alla gestione agricola attraverso l'uso del territorio. In sintesi il sistema agricoltura tocca una serie di interessi e svolge una serie di compiti che riguardano non solo la produttività di colture e allevamenti animali, ma anche aspetti di vita sociale ed economica, gli indirizzi della politica, della ricerca, il ruolo dell'industria e la tutela dell'ambiente e della salute umana. Tutti questi aspetti sono interconnessi e la performance del sistema agricoltura può essere giudicata solo in base agli effetti prodotti a livello di tutti i suoi componenti e delle loro relazioni. Nelle aree dei paesi più industrializzati, il bilancio energetico complessivo del settore agricolo risulta essere negativo, dovuto principalmente all'eccessiva semplificazione strutturale del territorio, al continuo incremento nell'impiego di prodotti chimici di sintesi, all'eccessivo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, con il conseguente incremento di processi irreversibili di riduzione della fertilità naturale del suolo, di inquinamento dell'aria e delle acque superficiali e di falda, di eutrofizzazione delle acque, di rottura degli equilibri biologici, di avvelenamento della catena alimentare, di pericolo per la salute degli operatori agricoli e dell'intera società ecc. Le influenze negative del sistema agricoltura sull'ambiente, in breve e per grandi gruppi, concernono principalmente: a) impatto sugli ambienti naturali - modificazioni critiche delle risorse verso la desertificazione, della qualità e deflusso delle acque, della qualità dell'aria, del ciclo dei nutrienti ecc. - riduzione nel numero, nella diversità e nella produttività delle specie animali e vegetali; - perdita dei servizi naturali come la capacità di assorbimento dei rifiuti, del controllo dell'erosione, dell'equilibrio delle acque superficiali e di falda; - diminuzione dei servizi e benefici sociali ricreazionali, estetici, educazionali ecc. - altri impatti negativi secondari risultanti dall'incremento di accesso alle aree naturali attraverso le deforestazioni illegali, il disturbo alla fauna selvatica ecc. b) impatti dovuti alle operazioni aziendali - modificazione del tipo di vegetazione con la conseguente riduzione della qualità del suolo a medio e lungo termine; - incremento dell'erosione del suolo determinato dall'azione del vento e delle precipitazioni; - diffusione di fertilizzanti e pesticidi di sintesi con conseguente contaminazione delle acque superficiali e profonde e dell'aria; - presenza negli alimenti di residui tossici di prodotti utilizzati per il controllo degli organismi dannosi alle colture. Per valutare il livello di sostenibilità degli agroecosistemi, a ogni ambito di scala, l'OECD (Organisation for Economic Co-Operation and Development) riporta una serie di indicatori agroambientali che prendono in considerazione le problematiche di impatto ambientale legate al sistema agricoltura (OECD, 2001. Environmental Indicators for Agriculture: Methods and Results. Volume 3). Dalla consapevolezza del ruolo centrale e globale esercitato dall'agricoltura nella società e dall'evidenza delle conseguenze negative generate dall'agricoltura gestita in regime convenzionale, è emersa l'esigenza di indirizzare l'intero sistema agricoltura verso nuove forme di sviluppo e di attuazione che consentano l'inversione di tendenza verso il verificarsi di impatti positivi nei vari settori del sistema. Questo nuovo orientamento, corroborato da basi scientifiche agroecologiche che ne riconoscono la fattibilità, viene denominato agricoltura sostenibile o ecocompatibile. Secondo la definizione della American Society of Agronomy, l'agricoltura ecocompatibile è quella che: (a) migliora la qualità dell'ambiente e le risorse naturali dalle quali dipende; (b) fornisce cibo e fibre per i bisogni umani; (c) è economicamente valida; (d) migliora la qualità della vita per gli agricoltori e l'intera società. Agroecologia, agroecosistema e agricoltura sostenibile sono la chiave di un indissolubile processo logico per indirizzare lo sviluppo concreto dell'agricoltura secondo il funzionamento di base molto vicino a quello naturale. UNITA’ 6 PARTE 2 L’ALLEVAMENTO L'allevamento è l'attività di custodire, far crescere ed opportunamente riprodurre animali in cattività, totale o parziale, per ricavarne cibo, pelli, pellicce, lavoro animale e commercio degli stessi. In tempi recenti sono sorti allevamenti allo scopo di fornire anche selezionati animali (cani, gatti, uccelli) da compagnia. L'origine di questa attività è remotissima, probabilmente precedente all'agricoltura, e comunque da taluni indicata come una razionale evoluzione, organizzata ed in qualche misura programmatica, dell'attività di caccia, mediante la quale si nutrivano i nostri antenati. L'uomo, infatti, selezionò nel tempo animali di facile gestione ed apprese a ricavarne, oltre alle carni, anche prodotti secondari come il latte e le uova. Apprese quindi ad assicurarsi riserve future di cibo tenendo in vita le bestie sino al momento della necessità di nutrirsene e, in seguito, curando di lasciarne indenni una parte onde consentire la perpetuità attraverso la riproduzione del bestiame. Sempre contrapposta all'agricoltura, della quale è talvolta antagonista, tal altra piuttosto complementare, la produzione di bestiame ha sempre richiesto, almeno sino al Novecento, strutturazioni logistiche naturali (pascoli) che via via assorbivano maggiori risorse territoriali, sottraendole alla coltivazione. Del resto, in genere anche gli agricoltori praticano almeno piccole attività di allevamento (galline, oche, conigli, maiali: raramente bestiame vero e proprio) per sfruttare quella parte di produzione agricola non commestibile per l'uomo o troppo povera di nutrienti. Nel Novecento sono state introdotte tecniche di allevamento di stalla le quali, insieme all'introduzione dei mangimi chimicamente composti, hanno reso non più necessaria la disponibilità di spazi a verde per l'alimentazione del bestiame, che rimane pertanto in apposite celle per tutta la sua vita. Queste tecniche, va notato, non godono di unanime approvazione presso la collettività, sebbene rappresentino oggi la configurazione produttiva tipica delle aziende operanti sui mercati ordinari delle carni. Per le modalità di esercizio dell'attività, l'allevamento si divide in stanziale o nomade, secondo che si utilizzi uno stabile insediamento produttivo ovvero che il pastore si sposti costantemente, insieme alle greggi o alle mandrie, alla ricerca di nuove pasture non ancora impoverite da precedenti sfruttamenti. UNITA’ 7 PARTE 1 SETTORE SECONDARIO Il settore secondario riguarda la trasformazione delle materie prime (generati dalle attività del primario) in prodotti semilavorati o finiti. Il settore si è via trasformato nel tempo, infatti varie rivoluzioni industriali hanno scandito le principali trasformazioni del settore dalla fine del ‘700 ad oggi. L’evoluzione industriale e l’incremento del terziario sia come occupati sia come produzione di reddito hanno fatto sì che si possa parlare di rivoluzione post industriale. Dal punto di vista delle modalità di classificazione delle imprese si possono distinguere vari parametri (dimensioni, tipi di industrie in base alla produzione, livello tecnologico, tipo di proprietà ecc.). Un altro parametro è quello delle scelte localizzative delle imprese che si posizionano sul territorio in base a logiche di ricerca di economie esterne (ossia risparmi che si possono praticare sul territorio in base alle sue caratteristiche). Talvolta lo sfruttamento eccessivo di economie esterne di urbanizzazione e di agglomerazione porta all’insorgere di diseconomie. L’insieme delle caratteristiche dei vari Stati e delle scelte localizzative porta alla formazione di aree di sviluppo diverse in zone differenti del pianeta (emergono quindi diversi modelli industriali ed anche regioni industriali a diverso grado di sviluppo). Un esempio di collegamento fra il settore primario ed il settore secondario è dato dal sistema agroindustriale diffuso ormai in varie zone del mondo a sviluppo avanzato. Attività del settore secondario • • La produzione di energia, cui è legata anche la lavorazione dei derivati del petrolio e del carbone, di fibre chimiche, di carta, di gomma, del legno. L'industria di base e manifatturiera (lavorazione di materie prime, produzione chimica, farmaceutica, tessile, alimentare, metallurgica, meccanica, elettronica, dei mezzi di trasporto). • La distribuzione di acqua e di gas. • L'edilizia. • L'artigianato. Tipici esempi di economia di carattere industriale erano i paesi dell'area sovietica dell'Est europeo.