Gruppo di lavoro “Legislazione e Regole Comunitarie”
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Gruppo di lavoro “Legislazione e Regole Comunitarie”
Area Giuridica Gruppo di lavoro “Legislazione e Regole Comunitarie” PARTE I Roma 20 gennaio 2009 Gruppo di Lavoro “Legislazione e Regole Comunitarie” Roma, 20 gennaio 2009 ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI DI INTERESSE ECONOMICO GENERALE AGGIORNAMENTI NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI Regolamenti attuativi ex art. 23 bis Circolare Confservizi Prot. n. 425/08/AG/GC/gg, 1 dicembre 2008: Pubblicazione in G.U. del Decreto Legge 29 novembre 2008, n. 185, recante “Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale”. ................................................................................................................................................ 1 Corte di Giustizia CE, sez. III – sentenza 13 novembre 2008 in causa C 324/07 - sui presupposti per l’affidamento diretto di un pubblico servizio da parte di un comune ad una società cooperativa intercomunale. ........................................................................................................ 4 Corte Costituzionale - sentenza 23 dicembre 2008 n. 439 - sull’illegittimità di alcune disposizioni dettate in materia di affidamento in house di servizi pubblici dalla Provincia autonoma di Bolzano nella parte in cui prevedono requisiti meno rigorosi di quelli fissati in sede comunitaria. .................................................................................................................................. 14 Consiglio di Stato Sez. VI - sentenza 23 settembre 2008 n. 4603 - sui presupposti per l’affidamento diretto di lavori o servizi pubblici a società miste ed in particolare sulla legittimità o meno di una gara indetta per scegliere il socio privato di una società mista, nel caso di indeterminatezza dei compiti che la società stessa sarà chiamata ad assolvere. .................. 22 Consiglio di Stato Sez. VI - sentenza 7 ottobre 2008 n. 4829 - sull’applicabilità o meno del divieto previsto dall’art. 13 del D.L. n. 223 del 2006 anche nel caso in cui la partecipazione dell’ente locale alla società sia meramente indiretta e sulla necessità o meno che la maggioranza dei componenti della commissione di gara siano in possesso di adeguata professionalità. ...................................................................................................................................... 28 Consiglio di Stato Sez. V - sentenza 28 ottobre 2008 n. 5392 - sulla legittimità o meno della scelta del socio di minoranza di una società mista, operata dalla P.A. direttamente, senza l’esperimento di una gara. ..................................................................................................................... 41 TAR Lombardia – Milano, Sez. III - sentenza 10 dicembre 2008 n. 5758 - sugli elementi che debbono essere presenti nello statuto della società e nel contratto di servizio per ritenere sussistente il presupposto del cd. "controllo analogo" necessario per l’affidamento in house di servizi pubblici. ...................................................................................................................................... 44 Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture – segnalazione 26 novembre 2008 - Segnalazione al Governo e al Parlamento sulla applicazione dell'art. 23 bis della L. 133/88. ...................................................................................................................................... 59 Circolare Confservizi Prot. n. 361/08/AG/PR/gg, 21 ottobre 2008: Comunicazione sulle procedure di applicazione dell’articolo 23-bis del Decreto Legge n. 112/2008, convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n.133. ....................................................................................... 73 Agenzia delle Entrate – risoluzione 5 novembre 2008 n. 423E - sulla corretta interpretazione delle deduzioni dalla base imponibile IRAP disposte al numero 2), 3) e 4) della lettera a), del comma 1, dell'articolo 11 del D.Lgs n. 446 del 1997. ........................................................................... 84 II Agenzia delle Entrate – risoluzione 10 novembre 2008 n. 428 - sulla corretta interpretazione delle deduzioni dalla base imponibile IRAP disposte al numero 2), 3) e 4) della lettera a), del comma 1, dell'articolo 11 del D.Lgs n. 446 del 1997. ........................................................................... 88 Agenzia delle Entrate – risoluzione 10 novembre 2008 n. 429 - sulla corretta interpretazione delle deduzioni dalla base imponibile IRAP disposte al numero 2), 3) e 4) della lettera a), del comma 1, dell'articolo 11 del D.Lgs n. 446 del 1997. ........................................................................... 91 Dipartimento della funzione pubblica - parere 16 ottobre 2008 n. 50 - sul contratto di assicurazione degli amministratori per i rischi derivanti dall'espletamento dei compiti istituzionali connessi con la carica. ...................................................................................................... 93 DIRITTO DI ACCESSO E PRIVACY Consiglio di Stato Sez. VI - sentenza 1 ottobre 2008 n. 4739 - sulla accessibilità degli atti anche aventi natura privata di gestori di servizi pubblici ed in particolare degli enti pubblici economici. ............................................................................................................................................... 95 TAR Lazio - Roma, Sez. II - sentenza 31 ottobre 2008 n. 9516 - sulla sussistenza o meno del diritto di accedere agli atti del procedimento tributario ed agli atti detenuti dal gestore privato di un servizio pubblico. ........................................................................................................................ 101 PROFILI PUBBLICISTICI LEGATI ALL’OPERATO DELLE SOCIETÀ DI GESTIONE DEI SERVIZI DI INTERESSE GENERALE Corte dei Conti, Sez. Controllo Regione Piemonte – parere 3 dicembre 2008 n. 33 sull'interpretazione e la concreta applicazione della normativa introdotta dall'art. 3, c. 27 e seguenti, della l. n. 244 del 2007, in materia di società partecipate da amministrazioni pubbliche. ............................................................................................................................................. 104 NORMATIVA E GIURISPRUDENZA DI SETTORE RIFIUTI Corte di Giustizia CE, sez. VIII – sentenza 22 dicembre 2008 in causa C 283/07 - sulla nozione di rifiuto. .............................................................................................................................................. 108 Consiglio di Stato, Sez. V - sentenza 28 ottobre 2008 n. 5385 - sulla legittimità o meno di una gara indetta da un Comune per il servizio di raccolta differenziata dei rifiuti. .............................. 120 Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture - deliberazione 26 novembre 2008 n. 53 - Indagine conoscitiva sul settore dei Servizi di Gestione Integrata dei rifiuti urbani. ....................................................................................................................................... 126 SERVIZIO IDRICO INTEGRATO Corte Costituzionale – sentenza 10 ottobre 2008 n. 335 - sulla natura non tributaria ma di corrispettivo delle tariffe previste per il servizio idrico integrato e sull’illegittimità delle disposizioni secondo le quali il pagamento della tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. ................................................................ 130 Corte dei Conti, Sez. Controllo Regione Campania – parere 6 novembre 2008 n. 24 - sugli effetti della pronuncia di incostituzionalità dell'art.14, c. 1, della l. n. 36/1994 e dell'art. 155, c. 1, primo periodo del d.lvo n. 152/2006 sancita dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 335/2008. .............................................................................................................................................. 141 III Corte dei Conti, Sez. Controllo Regione Calabria – parere 21 novembre 2008 n. 386 - sugli effetti della pronuncia di incostituzionalità dell'art.14, c. 1, della l. n. 36/1994 e dell'art. 155, c. 1, primo periodo del d.lvo n. 152/2006 sancita dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 335/2008. .............................................................................................................................................. 147 TAR Veneto Sez. III - sentenza 24 dicembre 2008 n. 3990 - sulla legittimità o meno di una delibera di una Autorità d’ambito ottimale che ha modificato, con effetto retroattivo, le tariffe del servizio idrico integrato. ................................................................................................................ 153 Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture – segnalazione 26 novembre 2008 n. 52 - Procedimento volto ad accertare l'eventuale inosservanza della normativa per l'affidamento del servizio idrico integrato. Comunicazione delle risultanze istruttorie. ............................................................................................................................................ 159 ALTRI SETTORI Consiglio di Stato Sez. V - sentenza 5 dicembre 2008 n. 6049 - sulla natura o meno di servizio pubblico del servizio di illuminazione votiva di aree cimiteriali e sulla possibilità o meno di affidare quest’ultimo in via diretta e senza gara. .............................................................................. 166 TAR Lazio– Roma, Sez. II bis – sentenza 18 dicembre 2008 n. 11697 - sulla rilevanza economica dell’attività di vendita al dettaglio al pubblico di farmaci. ............................................. 174 IV Area Giuridica Roma, 1 dicembre 2008 Ai Presidenti, Amm.ri Delegati e Direttori delle Imprese e degli Enti associati Ai Presidenti e Direttori - delle Federazioni - delle Associazioni Regionali Prot. n. 425/08/AG/GC/gg LORO SEDI Oggetto: Pubblicazione in G.U. del Decreto Legge 29 novembre 2008, n. 185, recante “Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale”. Si informa il sistema delle aziende associate che il Decreto Legge n. 185 del 29 novembre 2008, il cui testo è disponibile sul sito www.confservizi.net, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 280 del 29 novembre 2008, S.O. n. 263. Tra le principali novità contenute nel testo citato si segnalano le seguenti: - viene sospesa, fino alla data del 31 dicembre 2009, l’efficacia delle norme statali che “obbligano o autorizzano organi dello Stato ad emanare atti aventi ad oggetto l'adeguamento di diritti, contributi o tariffe a carico di persone fisiche o persone giuridiche in relazione al tasso di inflazione ovvero ad altri meccanismi automatici”. La norma esclude, peraltro, espressamente i provvedimenti relativi alle tariffe del servizio idrico mentre, per quel che riguarda i settori dell’energia elettrica e del gas, ribadisce la piena efficacia e validità delle previsioni tariffarie contenute negli atti convenzionali vigenti. L’applicabilità di tale disposizione in caso di tariffe di pertinenza degli enti territoriali è “rimessa all'autonoma decisione dei competenti organi di governo” (art. 3); - viene prevista una nuova modalità di recupero degli aiuti di Stato dichiarati illegittimi ed incompatibili dalla decisione della Commissione 2003/193/CE del 5 giugno 2002: il recupero, infatti, verrà effettuato sempre dall’Agenzia delle Entrate, ma “secondo i principi e le ordinarie procedure di accertamento e riscossione previste per le imposte sui redditi” e “tenuto conto di quanto già liquidato dall'Agenzia” (art. 24). Confederazione nazionale dei dei servizi 00184 Roma Via Cavour, 179/a Tel. 06.47865.1 Fax 06.47865.250 www.confservizi.net Codice Fiscale 80047990587 Partita IVA 02117401006 Si ricorda, infine, che il Decreto Legge, entrato in vigore lo scorso 29 novembre, inizierà ora l’iter Parlamentare prescritto dalla Costituzione per la conversione in legge entro 60 giorni, pena la perdita di efficacia ex tunc delle disposizioni da esso recate. Riservandoci eventuali approfondimenti a comunicazioni successive, si informa che la Confservizi, in aggiunta agli interventi che proporrà in sede di conversione del D.L. in oggetto, sta valutando le eventuali ulteriori iniziative da intraprendere, anche in sede comunitaria. Vi terremo tempestivamente informati sugli ulteriori sviluppi. Cordiali saluti Il Direttore Giuseppe Sverzellati Allegati: 1 Estratto DECRETO-LEGGE 29 novembre 2008, n. 185 Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale. TITOLO IV Servizi pubblici Art. 24. Attuazione di decisione europea in materia di recupero di aiuti illegittimi 1. Al fine di dare completa attuazione alla decisione 2003/193/CE della Commissione, del 5 giugno 2002, il recupero degli aiuti equivalenti alle imposte non corrisposte e dei relativi interessi conseguente all'applicazione del regime di esenzione fiscale previsto dagli articoli 3, comma 70, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, e 66, comma 14, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, in favore delle societa' per azioni a partecipazione pubblica maggioritaria, esercenti servizi pubblici locali, costituite ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142, e' effettuato dall'Agenzia delle Entrate ai sensi dell'art. 1, comma 1, del decreto-legge 15 febbraio 2007, n. 10, convertito, con modificazioni, con la legge 6 aprile 2007, n. 46, secondo i principi e le ordinarie procedure di accertamento e riscossione previste per le imposte sui redditi. Per il recupero dell'aiuto non assume rilevanza l'intervenuta definizione in base agli istituti di cui alla legge 27 dicembre 2002, n. 289 e successive modificazioni e integrazioni. 2. Il recupero degli aiuti equivalenti alle imposte non corrisposte e dei relativi interessi di cui al comma 1, calcolati ai sensi dell'articolo 3, terzo comma, della decisione 2003/193/CE della Commissione, del 5 giugno 2002, in relazione a ciascun periodo di imposta nel quale l'aiuto e' stato fruito, deve essere effettuato tenuto conto di quanto gia' liquidato dall'Agenzia ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 15 febbraio 2007, n. 10, convertito con modificazioni dalla legge 6 aprile 2007, n. 46. 3. L'Agenzia delle entrate provvede alla notifica degli avvisi di accertamento di cui al comma 1, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, contenente l'invito al pagamento delle intere somme dovute, con l'intimazione che, in caso di mancato versamento entro trenta giorni dalla data di notifica, anche nell'ipotesi di presentazione del ricorso, si procede, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ad iscrizione a ruolo a titolo definitivo della totalita' delle somme non versate, nonche' degli ulteriori interessi dovuti. Non si fa luogo, in ogni caso, all'applicazione di sanzioni per violazioni di natura tributaria e di ogni altra specie comunque connesse alle procedure disciplinate dalle presenti disposizioni. Non sono applicabili gli istituti della dilazione dei pagamenti e della sospensione in sede amministrativa e giudiziale. 4. Gli interessi di cui al comma 2, sono determinati in base alle disposizioni di cui al capo V del regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, secondo i criteri di calcolo approvati dalla Commissione europea in relazione al recupero dell'aiuto di Stato C57/03, disciplinato dall'articolo 24 della legge 25 gennaio 2006, n. 29. Il tasso di interesse da applicare e' il tasso in vigore alla data di scadenza ordinariamente prevista per il versamento di saldo delle imposte non corrisposte con riferimento al primo periodo di imposta interessato dal recupero dell'aiuto. 5. Trovano applicazione le disposizioni degli articoli 1 e 2 del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 6 giugno 2008, n. 101. SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione) 13 novembre 2008 (*) «Appalti pubblici – Procedure di aggiudicazione – Concessioni di servizi pubblici – Concessione relativa alla gestione di una rete comunale di teledistribuzione – Assegnazione da parte di un comune ad una società cooperativa intercomunale – Obbligo di trasparenza – Presupposti – Esercizio, da parte dell’autorità concedente sull’ente concessionario, di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi» Nel procedimento C-324/07, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Conseil d’État (Belgio) con decisione 3 luglio 2007, pervenuta in cancelleria il 12 luglio 2007, nella causa Coditel Brabant SA e Commune d’Uccle, Région de Bruxelles-Capitale, con l’intervento di: Société Intercommunale pour la Diffusion de la Télévision (Brutélé), LA CORTE (Terza Sezione), composta dal sig. A. Rosas, presidente di sezione, dai J. N. Cunha Rodrigues (relatore), J. Klučka e A. Arabadjiev, giudici, sigg. A. Ó Caoimh, avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak cancelliere: sig.ra C. Strömholm, amministratore vista la fase scritta del procedimento in seguito all’udienza del 9 aprile 2008, considerate le osservazioni presentate: – per la Coditel Brabant SA, dagli avv.ti F. Tulkens e V. Ost, avocats; – per la Commune di Uccle, dall’avv. P. Coenraets, avocat; – per la Société Intercommunale pour la Diffusion de la Télévision (Brutélé), dagli avv.ti N. Fortemps e J. Bourtembourg, avocats; – per il governo belga, dal sig. J. C. Halleux, in qualità di agente, assistito dall’avv. B. Staelens, avocat; – per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e J. Möller, in qualità di agenti; – per il governo dei Paesi Bassi, dai sigg. C. Wissels e Y. de Vries, in qualità di agenti; 4 – per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. B. Stromsky e D. Kukovec, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 4 giugno 2008, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione degli artt. 43 CE e 49 CE, dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione in base alla nazionalità, nonché dell’obbligo di trasparenza che ne discende. 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che vede contrapposta la Coditel Brabant SA (in prosieguo: la «Coditel»), alla Commune di Uccle (in prosieguo: il «comune»), alla Région de Bruxelles-Capitale e alla Société Intercommunale pour la Diffusion de la Télévision (Brutélé) (in prosieguo: la «Brutélé»), relativamente all’assegnazione, da parte del Comune di Uccle, della gestione della rete di teledistribuzione comunale ad una società cooperativa intercomunale. Contesto normativo La normativa nazionale 3 L’art. 1 della legge 22 dicembre 1986 sulle associazioni intercomunali (Moniteur belge del 26 giugno 1987, pag. 9909; in prosieguo: la «legge sulle associazioni intercomunali») così dispone: «Più comuni hanno facoltà, alle condizioni previste dalla presente legge, di associarsi per perseguire determinate finalità di interesse comunale. Tali associazioni sono dette intercomunali». 4 L’art. 3 della legge in parola prevede che: «Le associazioni intercomunali sono persone giuridiche di diritto pubblico che non hanno carattere commerciale, a prescindere dalla loro forma giuridica e dalle loro finalità». 5 L’art. 10 della medesima legge stabilisce che: «Ogni associazione intercomunale deve dotarsi di un’assemblea generale, di un consiglio di amministrazione e di un collegio dei commissari». 6 Ai sensi dell’art. 11 della medesima legge: «A prescindere dalla proporzione degli apporti delle varie parti alla costituzione del capitale sociale, ai comuni spetta in ogni caso la maggioranza dei voti nonché la presidenza nei vari organi di gestione e di controllo dell’associazione intercomunale». 7 L’art. 12 della legge sulle associazioni intercomunali è così formulato: «I rappresentanti dei comuni associati nell’assemblea generale sono nominati dal consiglio comunale di ogni comune tra i consiglieri comunali, il sindaco e gli assessori del comune. Il numero di voti di ciascun comune nell’assemblea generale è pari alla sua quota sociale». 5 Causa principale e questioni pregiudiziali 8 Dal 1969 al 1999 il Comune di Uccle ha concesso alla Coditel d’installare e di gestire una rete di teledistribuzione sul suo territorio. Il 28 ottobre 1999 detto comune decideva di riacquistare la rete in parola con effetto dal 1º gennaio 2000. 9 A tal fine il Comune di Uccle, con decisione sempre in data 28 ottobre 1999, deliberava di bandire una gara di appalto al fine di assegnare ad un futuro concessionario lo sfruttamento della rete di cui trattasi. Quattro società, fra cui la Coditel, presentavano la loro candidatura per tale gara. 10 Il 25 maggio 2000 il Comune di Uccle decideva di rinunciare a concedere lo sfruttamento della sua rete di teledistribuzione, orientandosi verso la vendita di quest’ultima. 11 Un bando di gara per i candidati acquirenti veniva pubblicato sul Bulletin des adjudications del 15 settembre 2000. Cinque società, fra cui la Coditel, presentavano offerte d’acquisto. Inoltre, la Brutélé, società cooperativa intercomunale, presentava al Comune di Uccle non un’offerta d’acquisto, ma una proposta di affiliazione come membro associato. 12 Il Comune di Uccle, reputando quattro delle cinque offerte irricevibili e che l’unica offerta ricevibile, ossia quella della Coditel, fosse eccessivamente bassa, il 23 novembre 2000 decideva di rinunciare alla messa in vendita della rete di teledistribuzione comunale. 13 Con decisione parimenti del 23 novembre 2000 il Comune di Uccle decideva di associarsi alla Brutélé, concedendo a quest’ultima la gestione della sua rete di teledistribuzione. 14 I motivi di tale decisione includevano segnatamente le considerazioni seguenti: «Considerato che la Brutélé propone al Comune di Uccle, qualora si associ, di costituire un proprio sottosettore di gestione che dispone di autonomia decisionale. Considerato che tale autonomia riguarda in particolare: – la scelta dei programmi distribuiti; – le tariffe di abbonamento e di allacciamento; – la politica degli investimenti e dei lavori; – i ristorni o i vantaggi da concedere a talune categorie di soggetti; – la natura e le modalità di altri servizi da prestare tramite la rete e la possibilità di affidare all’associazione intercomunale realizzazioni di interesse comunale che combaciano con il suo obiettivo statutario, come ad esempio, la realizzazione di un Intranet comunale, di un sito WEB e la formazione a tal fine del personale. Considerato che in questo contesto: – la Brutélé redigerà un conto profitto e perdite e un bilancio delle attività sulla rete di Uccles; – [il Comune di] Uccle disporrà di un amministratore nel consiglio di amministrazione della Brutélé e di tre amministratori nel consiglio del settore di gestione di Bruxelles, di un mandato nel collegio dei sindaci e di un esperto comunale. 6 Considerato che la Brutélé si impegna a coprire la totalità della rete di Uccle e ad aumentare la capacità della rete per svilupparvi, entro il termine massimo di un anno, se il comune lo auspica, tutti i seguenti servizi: – estensione dell’offerta TV: programmi supplementari e di “bouquet”; – programmi televisivi a pagamento (c.d. “pay per view”); – accesso a Internet; – telefonia vocale; – video-sorveglianza; – trasmissione di dati a grande velocità. Considerato che il canone annuo offerto è costituito come segue: a) canone fisso pari al 10% degli introiti da abbonamento di base alla teledistribuzione (sulla base di 31 000 abbonati e BEF 3 400 di abbonamento annuo (al netto di IVA e di diritti d’autore): BEF 10 540 000 all’anno); b) pagamento del 5% del fatturato di Canal + e del “bouquet”; c) pagamento di tutti gli utili realizzati su tutti i servizi forniti». 15 Dalla decisione di rinvio risulta che il Comune di Uccle doveva sottoscrivere 76 quote sociali della Brutélé, ognuna pari a BEF 200 000. Detto Comune, peraltro, chiedeva ed otteneva dalla Brutélé la possibilità di ritirarsi in qualsiasi momento per scelta unilaterale dall’associazione intercomunale di cui trattasi. 16 Dalla decisione di rinvio risulta altresì che la Brutélé è una società cooperativa intercomunale, i cui soci sono costituiti da comuni nonché da un’associazione intercomunale, la quale raggruppa a sua volta esclusivamente comuni. La Brutélé non è aperta a cooperatori privati. Il suo consiglio di amministrazione è composto di rappresentanti dei comuni (tre al massimo per comune) nominati dall’assemblea generale, anch’essa composta dei rappresentanti di questi ultimi. Il consiglio di amministrazione è dotato dei più ampi poteri. 17 Sempre dalla decisione di rinvio emerge che i comuni sono divisi in due settori, uno dei quali raggruppa i comuni della Regione di Bruxelles, a loro volta suddivisibili in sottosettori. In seno a ciascun settore si costituisce un consiglio di settore, formato da amministratori nominati dall’assemblea generale, riunita in gruppi distinti che rifletterebbero i rapporti tra le quote sociali per ciascun settore, su proposta dei comuni. Il consiglio di amministrazione può delegare ai consigli di settore i poteri che esso detiene per quanto riguarda, da un lato, i problemi propri dei sottosettori, segnatamente le modalità di applicazione delle tariffe, i programmi di lavori e investimenti, il finanziamento di questi ultimi, le campagne pubblicitarie, nonché, dall’altro, i problemi comuni ai vari sottosettori che costituiscono il settore di gestione. Gli altri organi statutari della Brutélé sono l’assemblea generale, le cui decisioni sono vincolanti per tutti i soci, il direttore generale, il collegio degli esperti, costituito da funzionari comunali il cui numero è pari a quello degli amministratori e che assistono questi ultimi, e il collegio dei commissari revisori. Il direttore generale, gli esperti e i commissari sono, a seconda dei casi, nominati dal consiglio d’amministrazione o dall’assemblea generale. 18 La decisione di rinvio precisa, inoltre, che la Brutélé svolge la parte essenziale della sua attività con i suoi soci. 7 19 Con atto introduttivo del ricorso presentato il 22 gennaio 2001 la Coditel ha proposto, dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato belga), un ricorso diretto segnatamente all’annullamento della decisione del 23 novembre 2000 con cui il Comune di Uccle si è associato alla Brutélé. In tale contesto la Coditel addebita al comune in parola di essersi associato alla Brutélé, affidandole la gestione della propria rete di teledistribuzione senza procedere al confronto dei vantaggi di tale formula con quelli che avrebbe offerto la concessione della sua rete di teledistribuzione ad un altro operatore. La Coditel sostiene che, così facendo, il Comune di Uccle ha violato, in particolare, il principio di non discriminazione e l’obbligo di trasparenza sanciti dal diritto comunitario. 20 La Brutélé ha contestato siffatta asserzione, facendo valere che essa costituisce un’associazione intercomunale «pura», le cui attività sono destinate e riservate ai comuni associati, e che il suo statuto consente al Comune di Uccle, quale sottosettore di gestione, di esercitare un controllo immediato e preciso delle attività della Brutélé in tale sotto settore, identico a quello che il comune in parola eserciterebbe sui propri servizi interni. 21 Il Conseil d’État è del parere che l’associazione del Comune di Uccle alla Brutélé non costituisca un appalto pubblico di servizi, bensì una concessione pubblica di servizi ai sensi del diritto comunitario. Le direttive comunitarie in materia di appalti pubblici non sarebbero applicabili ad una concessione del genere, ma il principio di non discriminazione in base alla nazionalità implicherebbe un obbligo di trasparenza nell’assegnazione della concessione, conformemente alla giurisprudenza della Corte derivante dalla sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324/98, Telaustria e Telefonadress (Racc. pag. I-10745). Per rispettare i requisiti del diritto comunitario il Comune di Uccle avrebbe dovuto, in linea di principio, procedere ad un bando di gara al fine di verificare se la concessione del suo servizio di teledistribuzione ad un operatore economico diverso dalla Brutélé avrebbe potuto rappresentare un’alternativa più vantaggiosa di quella prescelta. Il Conseil d’État si chiede se tali requisiti di diritto comunitario debbano essere esclusi in base alla giurisprudenza della Corte, derivante dalla sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal (Racc. pag. I-8121), secondo cui detti requisiti non trovano applicazione allorché un ente concessionario è controllato da un’autorità pubblica concedente e realizza la parte più importante della propria attività con quest’ultima. 22 In tale contesto il Conseil d’État ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se un comune possa, senza bandire una gara d’appalto, associarsi ad una società cooperativa che raggruppa esclusivamente altri comuni e associazioni di comuni (detta “intercomunale pura”) al fine di trasferirle la gestione della sua rete di teledistribuzione, quando la società cooperativa realizza la parte essenziale delle proprie attività con i suoi soli associati, liberandoli dai loro obblighi, e le decisioni ad esse relative vengono adottate dal consiglio di amministrazione e dai consigli di settore, nei limiti delle deleghe che questo accorda loro, quali organi statutari composti di rappresentanti delle autorità pubbliche e che statuiscono a maggioranza. 2) Se i poteri così esercitati, tramite organi statutari, da tutti i cooperatori, o da una parte di questi nel caso di settori o sottosettori di gestione, sulle decisioni della società cooperativa possano essere considerati tali da consentire loro di esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello esercitato sui loro propri servizi. 3) Se tali poteri e tale controllo, per poter essere qualificati analoghi, debbano essere esercitati individualmente da ciascun associato o se sia comunque sufficiente che vengano esercitati dalla maggioranza degli associati». Sulle questioni pregiudiziali 8 Sulla prima e seconda questione 23 Tenuto conto della connessione fra loro esistente, occorre esaminare congiuntamente la prima e la seconda questione. 24 Dalla decisione di rinvio risulta che, associandosi alla Brutélé, il Comune di Uccle le ha affidato la gestione della sua rete di teledistribuzione. Risulta parimenti che la remunerazione della Brutélé proviene non già dal comune, bensì dai pagamenti effettuati dagli utenti della rete di cui trattasi. Tale forma di remunerazione caratterizza una concessione di pubblici servizi (sentenza 13 ottobre 2005, causa C-458/03, Parking Brixen, Racc. pag. I-8585, punto 40). 25 I contratti di concessione di servizi pubblici non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1), applicabile alla data in cui si sono verificati i fatti di cui alla causa principale. Benché siffatti contratti siano esclusi dalla sfera di applicazione della direttiva citata, le pubbliche amministrazioni che li attribuiscono sono tenute a rispettare le norme fondamentali del Trattato CE, i principi di non discriminazione in base alla nazionalità e di parità di trattamento, nonché l’obbligo di trasparenza che ne deriva (v., in tal senso, sentenze Telaustria e Telefonadress, cit., punti 60-62, e 21 luglio 2005, causa C-231/03, Coname, Racc. pag. I-7287, punti 16-19). Senza necessariamente comportare un obbligo di far ricorso ad una gara, detto obbligo di trasparenza impone all’autorità concedente di assicurare, a favore di ogni potenziale offerente, un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura delle concessioni di servizi pubblici alla concorrenza, nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione (v., in tal senso, citate sentenze Telaustria e Telefonadress, punto 62, nonché Coname, punto 21). 26 L’applicazione delle regole enunciate agli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE, nonché dei principi generali di cui esse costituiscono la specifica espressione, è tuttavia esclusa se, al tempo stesso, il controllo esercitato sull’ente concessionario dall’autorità pubblica concedente è analogo a quello che essa esercita sui propri servizi e se il detto ente realizza la parte più importante della sua attività con l’autorità o le autorità che la detengono (v., in tal senso, citate sentenze Teckal, punto 50, e Parking Brixen, punto 62). 27 Relativamente alla seconda delle condizioni menzionate, nella decisione di rinvio il giudice nazionale ha precisato che la Brutélé svolge la parte essenziale della sua attività con i suoi soci. Resta pertanto da esaminare la portata della prima condizione, vale a dire quella secondo cui l’autorità o le autorità pubbliche concedenti devono esercitare sull’ente concessionario un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. 28 Per valutare se un’autorità pubblica concedente eserciti sull’ente concessionario un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi è necessario tener conto di tutte le disposizioni normative e delle circostanze pertinenti. Da quest’esame deve risultare che l’ente concessionario è soggetto a un controllo che consente all’autorità pubblica concedente di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detto ente (v., in tal senso, sentenze Parking Brixen, cit., punto 65, e 11 maggio 2006, causa C-340/04, Carbotermo e Consorzio Alisei, Racc. pag. I-4137, punto 36). 29 Fra le circostanze pertinenti delineate dalla decisione di rinvio vanno considerate, in primis, la detenzione del capitale dell’ente concessionario, in secondo luogo, la composizione degli organi decisionali di quest’ultimo e, in terzo luogo, la portata dei poteri riconosciuti al suo consiglio d’amministrazione. 9 30 Quanto alla prima di dette circostanze, si deve ricordare che è escluso che un’autorità pubblica concedente possa esercitare, su di un ente concessionario, un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi se un’impresa privata detiene una partecipazione nel capitale di detto ente (v., in tal senso, sentenza 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I-1, punto 49). 31 Per contro, la circostanza che l’autorità pubblica concedente detenga, da sola o insieme ad altre autorità pubbliche, l’intero capitale di una società concessionaria potrebbe indicare, pur non essendo decisiva, che tale autorità pubblica esercita su detta società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi (sentenze Carbotermo e Consorzio Alisei, cit., punto 37, e 19 aprile 2007, causa C-295/05, Asemfo, Racc. pag. I-2999, punto 57). 32 Dalla decisione di rinvio risulta che, nella causa principale, l’ente concessionario è una società cooperativa intercomunale i cui soci sono costituiti da comuni nonché da un’associazione intercomunale, che raggruppa a sua volta esclusivamente comuni, e che tale ente non è aperto a cooperatori privati. 33 In secondo luogo, dal fascicolo emerge che il consiglio di amministrazione della Brutélé è composto di rappresentanti dei comuni nominati dall’assemblea generale, anch’essa composta di rappresentanti dei comuni associati. Questi ultimi, conformemente all’art. 12 della legge sulle associazioni intercomunali, sono designati dal consiglio comunale di ogni comune tra i consiglieri comunali, il sindaco e gli assessori del comune. 34 La circostanza che gli organi decisionali della Brutélé siano composti di delegati delle autorità pubbliche ad essa associate indica che queste ultime controllano gli organi decisionali dell’ente di cui trattasi e sono dunque in grado di esercitare un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti della Brutélé. 35 In terzo luogo, dal fascicolo risulta che il consiglio d’amministrazione della Brutélé è dotato dei più ampi poteri e, in particolare, stabilisce le tariffe. Esso ha inoltre la facoltà, ma non l’obbligo, di delegare ai consigli di settore o sottosettore la soluzione di taluni problemi propri di detti settori o sottosettori. 36 Si pone la domanda se, ciò posto, la Brutélé ne abbia tratto una vocazione commerciale e un grado di autonomia che renderebbero precario il controllo esercitato dalle autorità pubbliche che le sono associate. 37 In proposito si deve rilevare che la Brutélé non è costituita in forma di società per azioni o di società anonima, tale da poter perseguire obiettivi indipendentemente dai suoi azionisti, ma in forma di una società cooperativa intercomunale, disciplinata dalla legge sulle associazioni intercomunali. Inoltre, in forza dell’art. 3 di detta legge, le associazioni intercomunali non hanno carattere commerciale. 38 Dalla legge menzionata, letta unitamente allo statuto della Brutélé, sembra risultare che lo scopo statutario di quest’ultima sia la realizzazione della missione di interesse comunale, per il conseguimento della quale è stata creata, e che non si prefigga altri interessi diversi da quello delle autorità pubbliche le sono associate. 39 Con riserva della verifica dei fatti da parte del giudice del rinvio, ne risulta che, nonostante la portata dei poteri riconosciuti al suo consiglio d’amministrazione, la Brutélé non gode di un margine di autonomia tale da escludere che i comuni che le sono associati esercitino su di essa un controllo analogo a quello esercitato sui loro servizi. 40 Siffatte considerazioni valgono a fortiori nel caso in cui le decisioni relative alle attività della società cooperativa intercomunale vengano adottate dai consigli di settore o di sottosettore, nei limiti delle deleghe che il consiglio d’amministrazione accorda loro. Allorché, infatti, uno o 10 più comuni associati sono riconosciuti come costituenti un settore o un sottosettore dell’attività della società in parola, il controllo che tali comuni possono esercitare sulle questioni delegate ai consigli di settore o di sottosettore è ancora più stringente di quello che esercitano con il complesso dei soci all’interno degli organi plenari di detta società. 41 42 Da quanto precede risulta che, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio dei fatti rispetto al margine di autonomia di cui fruisce la società cooperativa intercomunale di cui trattasi, in circostanze come quelle di cui alla causa principale, il controllo esercitato attraverso organi statutari dalle autorità pubbliche associate ad una siffatta società cooperativa intercomunale sulle decisioni adottate da quest’ultima può essere considerato tale da consentire alle autorità in parola di esercitare su detta società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. Occorre pertanto risolvere la prima e la seconda questione come segue: – Gli artt. 43 CE e 49 CE, i principi di parità di trattamento e di non discriminazione in base alla nazionalità nonché l’obbligo di trasparenza che ne discende non ostano a che un’autorità pubblica assegni, senza bandire una gara d’appalto, una concessione di servizi pubblici a una società cooperativa intercomunale i cui soci sono tutti autorità pubbliche, dal momento che dette autorità pubbliche esercitano su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società in parola svolge la parte essenziale della sua attività con dette autorità pubbliche. – Con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio dei fatti attinenti al margine di autonomia di cui fruisce la società in causa, in circostanze come quelle di cui alla causa principale, ove le decisioni relative alle attività di una società cooperativa intercomunale detenuta esclusivamente da autorità pubbliche sono adottate da organi statutari di detta società composti da rappresentanti delle autorità pubbliche associate, il controllo esercitato su tali decisioni dalle autorità pubbliche in parola può essere considerato tale da consentire loro di esercitare sulla società di cui trattasi un controllo analogo a quello che esercitano sui propri servizi. Sulla terza questione 43 Con la terza questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se, allorché un’autorità pubblica si associa a una società cooperativa intercomunale i cui soci sono tutti autorità pubbliche, al fine di trasferirle la gestione di un servizio pubblico, il controllo che le autorità associate a detta società esercitano su quest’ultima debba, per poter essere qualificato come analogo a quello che esse esercitano sui propri servizi, venire esercitato individualmente da ognuna delle autorità in parola o se possa essere esercitato congiuntamente dalle stesse, deliberando, eventualmente, a maggioranza. 44 Da un lato, va ricordato che, secondo la giurisprudenza della Corte, quando un ente concessionario è detenuto da varie autorità pubbliche, la condizione relativa alla parte più importante della sua attività può ricorrere considerando l’attività che tale ente svolge con l’insieme di dette autorità (v., in tal senso, citate sentenze Carbotermo e Consorzio Alisei, punti 70 e 71, e Asemfo, punto 62). 45 Sarebbe coerente con il ragionamento sotteso alla citata giurisprudenza considerare che la condizione relativa al controllo esercitato dalle autorità pubbliche possa essere parimenti soddisfatta tenendo conto del controllo esercitato congiuntamente sull’ente concessionario dalle autorità pubbliche che lo detengono. 46 La giurisprudenza impone che il controllo esercitato sull’ente concessionario da un’autorità pubblica concedente sia analogo a quello che la medesima autorità esercita sui propri servizi, ma non identico ad esso in ogni elemento (v., in tal senso, sentenza Parking Brixen, 11 cit., punto 62). L’importante è che il controllo esercitato sull’ente concessionario sia effettivo, pur non risultando indispensabile che sia individuale. 47 D’altro canto, allorché varie autorità pubbliche scelgono di svolgere le loro missioni di servizio pubblico facendo ricorso ad un ente concessionario comune, è di norma escluso che una di tali autorità, salvo che detenga una partecipazione maggioritaria nell’ente in questione, eserciti da sola un controllo determinante sulle decisioni di tale ente. Richiedere che il controllo esercitato da un’autorità pubblica in un caso del genere sia individuale avrebbe la conseguenza d’imporre una gara di appalto nella maggior parte dei casi in cui un’autorità pubblica intendesse associarsi ad un gruppo formato da altre autorità pubbliche, come una società cooperativa intercomunale. 48 Orbene, un risultato del genere non sarebbe conforme al sistema di norme comunitarie in materia di appalti pubblici e concessioni. Si riconosce, infatti, che un’autorità pubblica ha la possibilità di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi (sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, cit., punto 48). 49 Detta possibilità per le autorità pubbliche di ricorrere ai propri strumenti per adempiere alle loro missioni di servizio pubblico può essere utilizzata in collaborazione con altre autorità pubbliche (v., in tal senso, sentenza Asemfo, cit., punto 65). 50 Occorre quindi riconoscere che, nel caso in cui varie autorità pubbliche detengano un ente concessionario cui affidano l’adempimento di una delle loro missioni di servizio pubblico, il controllo che dette autorità pubbliche esercitano sull’ente in parola può venire da loro esercitato congiuntamente. 51 Trattandosi di un organo collegiale, la procedura utilizzata per adottare la decisione, segnatamente il ricorso alla maggioranza, non incide. 52 Siffatta conclusione non è inficiata dalla citata sentenza Coname. Di sicuro la Corte ha ivi considerato che una partecipazione dello 0,97% è talmente esigua da non consentire ad un comune di esercitare il controllo su un concessionario che gestisce un servizio pubblico (v. sentenza Coname, cit., punto 24). Tuttavia, in questo stralcio della sentenza considerata, la Corte non affrontava la questione se un siffatto controllo potesse essere esercitato in maniera congiunta. 53 Del resto, in una sentenza successiva, cioè la citata sentenza Asemfo (punti 56-61), la Corte ha dichiarato che, in talune circostanze, la condizione relativa al controllo esercitato dall’autorità pubblica poteva essere soddisfatta nel caso in cui tale autorità detenesse solamente lo 0,25% del capitale di un’impresa pubblica. 54 Si deve pertanto risolvere la terza questione nel senso che, qualora un’autorità pubblica si associ ad una società cooperativa intercomunale i cui soci sono tutti autorità pubbliche, al fine di trasferirle la gestione di un servizio pubblico, il controllo che le autorità associate a detta società esercitano su quest’ultima, per poter essere qualificato come analogo al controllo che esse esercitano sui propri servizi, può essere esercitato congiuntamente dalle stesse, deliberando, eventualmente, a maggioranza. Sulle spese 55 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. 12 Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara: 1) Gli artt. 43 CE e 49 CE, i principi di parità di trattamento e di non discriminazione in base alla nazionalità nonché l’obbligo di trasparenza che ne discende non ostano a che un’autorità pubblica assegni, senza bandire una gara d’appalto, una concessione di servizi pubblici a una società cooperativa intercomunale i cui soci sono tutti autorità pubbliche, dal momento che dette autorità pubbliche esercitano su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società in parola svolge la parte essenziale della sua attività con dette autorità pubbliche. 2) Con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio dei fatti rispetto al margine di autonomia di cui fruisce la società in causa, in circostanze come quelle di cui alla causa principale, ove le decisioni relative alle attività di una società cooperativa intercomunale detenuta esclusivamente da autorità pubbliche sono adottate da organi statutari di detta società composti di rappresentanti delle autorità pubbliche associate, il controllo esercitato su tali decisioni dalle autorità pubbliche in parola può essere considerato tale da consentire loro di esercitare sulla società di cui trattasi un controllo analogo a quello che esercitano sui propri servizi. 3) Qualora un’autorità pubblica si associ ad una società cooperativa intercomunale i cui soci sono tutti autorità pubbliche, al fine di trasferirle la gestione di un servizio pubblico, il controllo che le autorità associate a detta società esercitano su quest’ultima, per poter essere qualificato come analogo al controllo che esse esercitano sui propri servizi, può essere esercitato congiuntamente dalle stesse, deliberando, eventualmente, a maggioranza. Firme * Lingua processuale: il francese. 13 CORTE COSTITUZIONALE - sentenza 23 dicembre 2008 n. 439 - Pres. Flick, Red. Quaranta (giudizio promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 28 gennaio 2008, depositato in cancelleria il 4 febbraio 2008 ed iscritto al n. 7 del registro ricorsi 2008). SENTENZA N. 439 ANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Giovanni Maria FLICK Presidente - Francesco AMIRANTE Giudice - Ugo DE SIERVO " - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " - Giuseppe FRIGO " - Alessandro CRISCUOLO " ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 3, e 5, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 novembre 2007, n. 12 (Servizi pubblici locali), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 28 gennaio 2008, depositato in cancelleria il 4 febbraio 2008 ed iscritto al n. 7 del registro ricorsi 2008. Visto l'atto di costituzione della Provincia autonoma di Bolzano; 14 udito nell'udienza pubblica del 2 dicembre 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta; uditi l'avvocato dello Stato Vittorio Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giuseppe Franco Ferrari e Roland Riz per la Provincia autonoma di Bolzano. Ritenuto in fatto 1.— Con ricorso notificato il 28 gennaio 2008 e depositato il successivo 4 febbraio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato la legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 novembre 2007, n. 12 (Servizi pubblici locali), «con particolare riferimento agli artt. 3, comma 3, e 5, comma 1», per violazione dei principi comunitari in materia di tutela della concorrenza (artt. 43, 49 e 86 del Trattato 25 marzo 1957, che istituisce la Comunità europea), nonché degli artt. 8, comma 1, del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione. Il ricorrente premette che le Province autonome, pur essendo titolari di competenza legislativa primaria in materia di «assunzione diretta di servizi pubblici e loro gestione» ex art. 8 dello statuto speciale, devono disciplinare tale materia nel rispetto dei limiti posti dall'art. 4 dello stesso statuto, tra i quali è ricompresa l'osservanza del diritto internazionale e dei vincoli comunitari. Sul punto, si rileva come, nonostante le concessioni di pubblici servizi siano escluse dalla sfera di applicazione della direttiva 18 giugno 1992, n. 92/50/CE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, gli enti aggiudicatori debbano ugualmente rispettare le norme fondamentali del Trattato e, in particolare, gli artt. 43, 49 e 86, nonché il principio di non discriminazione in base alla nazionalità, sancito dall'art. 12 del Trattato stesso. In questo senso si è espressa la Corte di giustizia nella sentenza Parking Brixen del 13 ottobre 2005, in C-458/2003, con cui si è statuito che la concessione di pubblici servizi in assenza di gara non è conforme agli artt. 43 e 49 del Trattato, nonché ai «principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza». 1.1.— Alla luce di tali premesse, l'Avvocatura generale dello Stato ritiene che la legge provinciale impugnata contrasti con le suindicate disposizioni comunitarie e, pertanto, violi l'art. 8, comma 1, dello statuto speciale e l'art. 117, primo comma, Cost. In primo luogo, si censura specificamente l'art. 3, comma 3, della predetta legge, il quale – prevedendo che «la rilevanza dell'attività (…) è considerata in base al fatturato e alle risorse economiche impiegate» – fornirebbe una definizione del requisito della "rilevanza dell'attività" dell'ente concessionario difforme da quella elaborata dalla Corte di giustizia con la sentenza Carbotermo dell'11 maggio 2006, in C-340/04, nella quale il giudice comunitario ha affermato che il requisito in esame deve essere inteso non soltanto in termini quantitativi, ma anche qualitativi. Ne consegue che si può ritenere che la società concessionaria svolga una parte rilevante della sua attività con l'ente che la controlla solo «se l'attività di detta impresa è principalmente destinata all'ente in questione e ogni altra attività risulta avere solo un carattere marginale». Secondo la difesa dello Stato, il legislatore provinciale avrebbe fornito una nozione del requisito della "rilevanza dell'attività" meno restrittiva rispetto a quella elaborata dalla Corte di giustizia, con conseguente ampliamento dei casi in cui sarebbe possibile il ricorso all'affidamento diretto a società a capitale interamente pubblico e restrizione del regime di concorrenza. Da qui la asserita violazione dei principi comunitari in materia di tutela della concorrenza (artt. 43, 49 e 86 del Trattato CE) e del combinato disposto degli artt. 8, comma 1, dello statuto e 117, primo comma, Cost. In secondo luogo, censure specifiche vengono indirizzate all'art. 5, comma 1, della medesima legge provinciale nella parte in cui esso prevede la possibilità di disporre un affidamento diretto dei servizi pubblici di rilevanza economica a soggetti privati, purché nei loro confronti la Provincia e gli enti da essa dipendenti ovvero le comunità comprensoriali ed i Comuni esercitino una influenza dominante. Tale norma contrasterebbe con i principi comunitari elaborati dalla Corte di giustizia con le sentenze Teckal del 18 novembre 1999, in causa C-107/98, e Stadt Halle dell'11 gennaio 2005, in causa C-26/03, le quali hanno messo in rilievo che l'affidamento in house è legittimo quando ricorrono i seguenti requisiti: a) il capitale della società sia interamente pubblico; b) l'amministrazione eserciti sul soggetto affidatario un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; c) il soggetto affidatario svolga la maggior parte della propria attività in favore dell'ente pubblico di appartenenza. La mancata osservanza da parte della norma impugnata di tali requisiti determinerebbe la violazione degli artt. 43, 49 e 86 del Trattato e conseguentemente del 15 vincolo del rispetto del diritto comunitario di cui agli artt. 8 dello statuto di autonomia, e 117, primo comma, nonché secondo comma, lettera e), Cost., in materia di tutela della concorrenza. 2.— Si è costituita in giudizio la Provincia autonoma di Bolzano, la quale, in via preliminare, ha eccepito la inammissibilità del ricorso per carenza di motivazione e mancata indicazione dei parametri costituzionali e statutari che si assumono violati. Infatti, si osserva che, avendo la deliberazione del Consiglio dei ministri ad oggetto unicamente gli artt. 3, comma 3, e 5, comma 1, della legge provinciale n. 12 del 2007 e dovendo l'oggetto dell'impugnazione definirsi in conformità alla decisione assunta dal Consiglio dei ministri, la Provincia «si oppone in modo deciso al tentativo, da parte dell'Avvocatura dello Stato, di estendere la materia del contendere all'intera legge provinciale». Nel merito, la difesa della Provincia chiede che il ricorso venga respinto. Si sottolinea, al riguardo, come la Provincia autonoma, in base allo statuto, abbia una competenza legislativa primaria in materia di assunzione diretta di servizi pubblici e loro gestione a mezzo di aziende speciali (art. 8, n. 19) e sia titolare della connessa potestà amministrativa (art. 16). Da quanto esposto conseguirebbe la impossibilità che nel settore in esame possa operare il titolo di legittimazione statale trasversale rappresentato dalla tutela della concorrenza ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Si aggiunge, inoltre, che le norme impugnate rispettano i vincoli comunitari, così come interpretati dalla Corte di giustizia. Quest'ultima, infatti, pur affermando che in materia di concessione di servizi pubblici debbono essere osservati i principi generali posti dal Trattato, ha ammesso la legittimità dell'affidamento diretto qualora l'autorità pubblica concedente svolga sull'ente concessionario un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e «detto ente esercita la maggior parte della sua attività con l'autorità detentrice». Le norme impugnate rispetterebbero quanto affermato dai giudici europei. Innanzitutto, si osserva come l'art. 3 della legge censurata imponga, ai fini della legittimità dell'affidamento diretto, il rispetto non solo dei requisiti del controllo analogo e dello svolgimento della parte essenziale dell'attività con l'autorità pubblica affidante, ma anche che quest'ultima detenga per intero il capitale sociale; requisito quest'ultimo che la stessa Corte di giustizia non ritiene necessario. Per quanto attiene poi al presupposto dello svolgimento dell'attività più rilevante con uno o più degli enti che la controllano, si sottolinea come gli stessi giudici europei abbiano riconosciuto che, per accertare la sussistenza di tale requisito, occorra tenere conto del fatturato realizzato dall'ente affidatario, specificando che in tale contesto si deve tenere conto non solo del fatturato realizzato con l'ente locale affidante o di quello realizzato nel territorio di detto ente, ma occorre considerare tutte le attività realizzate dall'ente affidatario «indipendentemente da chi remunera tale attività» o «su quale territorio siano erogate tali prestazioni» (citata sentenza Carbotermo dell'11 maggio 2006). La difesa della Provincia conclude sul punto osservando come la norma censurata sia finalizzata a garantire proprio il pieno rispetto di tale requisito, nella parte in cui prevede che per stabilire se la società realizzi la parte più rilevante della propria attività con uno o più degli enti che la controllano bisogna rifarsi al fatturato dell'ente affidatario ed alle risorse economiche da esso impiegate, «uniche fonti per accertare la vera attività dell'ente sia sotto il profilo quantitativo, sia sotto il profilo qualitativo». Per quanto attiene, invece, al primo comma dell'art. 5, lo stesso, prevedendo che i servizi di rilevanza economica possono essere affidati direttamente a soggetti privati, purché nei loro confronti gli enti pubblici ivi indicati esercitino influenza dominante, sarebbe conforme al requisito del controllo analogo richiesto dalla Corte di giustizia. Infatti, tale norma stabilisce, ai fini della determinazione del concetto di influenza dominante, specifiche restrizioni e limitazioni, introducendo, inoltre, un apposito organo con il preciso compito di assicurare il rispetto delle condizioni richieste. Infine, si sottolinea che, qualora questa Corte avesse dubbi sulla conformità delle norme censurate ai principi del diritto comunitario in materia di concessione di pubblici servizi, dovrebbe sospendere il giudizio a quo e sottoporre le relative questioni alla Corte di giustizia europea. 16 3.— La Provincia autonomia di Bolzano ha depositato, nell'imminenza dell'udienza pubblica, una memoria con la quale, in via preliminare, ha rilevato come il contenuto dell'impugnato art. 5, comma 1, sia stato integralmente sostituito dall'art. 7, comma 2, della legge provinciale 10 giugno 2008, n. 4 (Modifiche di leggi provinciali in vari settori e altre disposizioni). Essa chiede, pertanto, che, sul punto, venga dichiarata cessata la materia del contendere, atteso che la disposizione impugnata, durante la sua vigenza, non avrebbe mai trovato applicazione. Per il resto, nella memoria si ribadiscono tutte le argomentazioni difensive contenute nell'atto di costituzione. 4.— Nel corso dell'udienza pubblica, la difesa della Provincia ha eccepito anche la tardività della notifica del ricorso. Considerato in diritto 1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 novembre 2007, n. 12 (Servizi pubblici locali), «con particolare riferimento agli artt. 3, comma 3, e 5, comma 1», per violazione dei principi comunitari in materia di tutela della concorrenza (artt. 43, 49 e 86 del Trattato 25 marzo 1957, che istituisce la Comunità europea), nonché degli artt. 8, comma 1, del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il TrentinoAlto Adige), e 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione. 2.— Ha carattere preliminare l'esame dell'eccezione, sollevata dalla difesa della Provincia autonoma di Bolzano nel corso dell'udienza pubblica, relativa alla tardività del ricorso. Essa non è fondata. L'art. 31 della legge 11 marzo 1953, n. 87, prevede che i ricorsi proposti dallo Stato nei confronti di leggi regionali (e delle Province autonome) devono essere notificati entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla pubblicazione dell'atto oggetto di impugnazione. Nel caso in esame tale termine è stato rispettato. La legge contenente le norme censurate è stata pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione Trentino Alto Adige/Südtirol il 27 novembre 2007; il ricorso, notificato il 28 gennaio 2008, è stato consegnato all'ufficio notifiche presso la Corte d'Appello di Roma il 26 gennaio 2008 e dunque il sessantesimo giorno utile. È a tale momento temporale, infatti, che occorre avere riguardo, ai fini della valutazione della tempestività del ricorso, essendo irrilevante la successiva attività posta in essere dal predetto ufficio, che è sottratta al controllo ed alla sfera di disponibilità del soggetto che richiede la notifica (ex plurimis, sentenze n. 477 del 2002 e n. 383 del 2005). 3.— Ancora in via preliminare, deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla Provincia autonoma, sotto il profilo che, mentre la deliberazione del Consiglio dei ministri autorizza l'impugnazione soltanto degli artt. 3, comma 3, e 5, comma 1, con il ricorso è stata proposta l'impugnazione dell'intera legge n. 12 del 2007, sia pure «con particolare riferimento» ai citati articoli, dei quali è stata chiesta, nel petitum, la declaratoria di illegittimità costituzionale. Infatti dall'esame congiunto del ricorso e della suindicata deliberazione risulta, con sufficiente chiarezza, che oggetto di gravame sono esclusivamente le disposizioni contenute nei due articoli in questione. 4.— Tanto premesso, deve rilevarsi che l'art. 5, comma 1, della legge provinciale n. 12 del 2007 è stato abrogato dall'art. 7, comma 2, della legge della stessa Provincia autonoma 10 giugno 2008, n. 4 (Modifiche di leggi provinciali in vari settori e altre disposizioni), che ha introdotto una disposizione dal contenuto completamente diverso, relativa agli affidamenti a società a partecipazione mista pubblica e privata. Poiché la norma censurata, contenuta nell'abrogato art. 5, comma 1, non ha ricevuto attuazione medio tempore – come risulta dalla dichiarazione resa dalla difesa della Provincia autonoma di Bolzano e non contestata dal ricorrente – deve essere dichiarata sul punto la cessazione della materia del contendere. 17 5.— L'analisi nel merito deve, pertanto, essere condotta soltanto con riguardo a quanto previsto dal comma 3 del citato art. 3. Tale disposizione deve essere esaminata nel quadro della normativa provinciale avente ad oggetto l'affidamento di servizi pubblici a società di capitale interamente pubblico. Al riguardo, va precisato che il suddetto art. 3, al comma 1, prevede che i servizi pubblici di rilevanza economica possono essere affidati alle suddette società qualora l'ente o gli enti: «a) detengano per intero il capitale sociale; b) esercitino sulla società un controllo analogo a quello da essi esercitato sui propri servizi; c) la società realizzi la parte più rilevante della propria attività con uno o più degli enti che la controllano». Il comma 2 del medesimo articolo, a sua volta, dispone, in relazione al requisito del controllo analogo di cui alla lettera b) sopra citata, che tale controllo sussiste qualora gli enti: «a) provvedano direttamente alla nomina ed alla revoca degli amministratori e dei sindaci della società; b) svolgano funzioni di indirizzo, indicando gli obiettivi dell'attività e dettando le direttive generali per raggiungerli; c) esercitino attività di controllo gestionale e finanziario, attraverso l'esperimento di sopralluoghi ed ispezioni nonché attraverso l'esame di report periodici sull'efficacia, sull'efficienza e sull'economicità del servizio». In relazione, invece, al secondo requisito previsto dalla lettera c) del comma 1, la norma, contenuta nel comma 3, specificamente oggetto di censura, prescrive che «la rilevanza dell'attività (…) è considerata in base al fatturato e alle risorse economiche impiegate». Secondo la difesa dello Stato, il riferimento contenuto in tale norma agli elementi del «fatturato» e delle «risorse economiche impiegate» atterrebbe esclusivamente ad elementi quantitativi, sicché la mancanza di ogni riferimento ad elementi qualitativi darebbe luogo ad una normativa, in tema di «rilevanza dell'attività», meno restrittiva rispetto a quella elaborata in sede comunitaria e determinerebbe, pertanto, «un ampliamento dei casi in cui è possibile il ricorso all'affidamento diretto a società a capitale interamente pubblico», tale da comportare una «effettiva restrizione del regime di concorrenza». 6.— La questione è fondata. Va premesso che la Provincia autonoma di Bolzano è titolare di potestà legislativa primaria in materia di «assunzione diretta di servizi pubblici e loro gestione a mezzo di aziende speciali» (art. 8 n. 19 dello statuto di autonomia). Nell'esercizio di tale potestà essa, però, per espressa previsione statutaria (medesimo art. 8), deve rispettare, tra l'altro, gli obblighi internazionali e i vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. Ai fini della risoluzione della presente questione di legittimità costituzionale, occorre, pertanto, muovere dalla ricognizione delle norme comunitarie nella specie rilevanti e dei principi affermati in materia dalla Corte di giustizia, dal momento che i limiti alla potestà legislativa anche delle Province autonome derivano dalle singole disposizioni europee come interpretate dalla suddetta Corte. Più in particolare, le norme del Trattato CE poste a tutela della concorrenza, nel significato che ad esse è attribuito dalla giurisprudenza comunitaria e in ragione del richiamo operato dall'art. 8 dello statuto di autonomia, sono direttamente applicabili nell'ordinamento interno e dunque assumono rilevanza agli effetti del giudizio di costituzionalità, essendo pacifico che «la precisazione o l'indicazione del significato normativo» di disposizioni del Trattato «compiuta attraverso una sentenza dichiarativa della Corte di giustizia abbiano la stessa immediata efficacia delle disposizioni interpretate» (così sentenza n. 389 del 1989; nello stesso senso sentenza n. 168 del 1991). 7.— L'art. 86, secondo paragrafo, del Trattato CE prevede che «le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale (…) sono sottoposte alle norme del presente Trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto o di fatto, della specifica missione loro affidata». Nella prospettiva comunitaria, pertanto, da un lato, è necessario che gli Stati membri attivino ampi processi di liberalizzazione finalizzati ad abbattere progressivamente le barriere all'entrata, mediante, tra l'altro, l'eliminazione di diritti speciali ed esclusivi a favore delle imprese, ed attuare la concorrenza "nel mercato"; dall'altro, si impone alle pubbliche amministrazioni di osservare, nella scelta del gestore del servizio, adeguate procedure di evidenza pubblica finalizzate a garantire il rispetto della concorrenza "per il mercato" (sentenza n. 401 del 2007, con riferimento al settore degli appalti pubblici). Il perseguimento di tali obiettivi è inoltre volto ad assicurare, tra l'altro, la libera circolazione delle merci, delle persone e dei servizi; con la 18 puntualizzazione che il rispetto delle citate norme fondamentali del Trattato si impone anche in un settore, quale quello dei servizi pubblici locali, attualmente estraneo alla sfera di applicazione di specifiche discipline comunitarie. In tale contesto, la giurisprudenza della Corte di giustizia (ex multis, sentenza Stadt Halle dell'11 gennaio 2005, in causa C-26/03) ha, però, riconosciuto che rientra nel potere organizzativo delle autorità pubbliche "autoprodurre" beni, servizi o lavori mediante il ricorso a soggetti che, ancorché giuridicamente distinti dall'ente conferente, siano legati a quest'ultimo da una "relazione organica" (c.d. affidamento in house). Nella prospettiva europea, infatti, la pubblica amministrazione può decidere di erogare direttamente prestazioni di servizi a favore degli utenti mediante proprie strutture organizzative senza dovere ricorrere, per lo svolgimento di tali prestazioni, ad operatori economici attraverso il mercato. Il meccanismo dell'affidamento diretto a soggetti in house, deve, però, essere strutturato in modo da evitare che esso possa risolversi in una ingiustificata compromissione dei principi che presiedono al funzionamento del mercato e, dunque, in una violazione delle prescrizioni contenute nel Trattato a tutela della concorrenza. In altri termini, il modello operativo in esame non deve costituire il mezzo per consentire alle autorità pubbliche di svolgere, mediante la costituzione di apposite società, attività di impresa in violazione delle regole concorrenziali, che richiedono che venga garantito il principio del pari trattamento tra imprese pubbliche e private (art. 295 del Trattato CE). La giurisprudenza della Corte di giustizia – proprio al fine di assicurare il rispetto di tali regole e sul presupposto che il sistema dell'affidamento in house costituisca un'eccezione ai principi generali del diritto comunitario – ha imposto l'osservanza di talune condizioni legittimanti l'attribuzione diretta della gestione di determinati servizi a soggetti "interni" alla compagine organizzativa dell'autorità pubblica. La Corte, infatti, con la sentenza Teckal del 18 novembre 1999, in causa C-107/98, ha affermato che è possibile non osservare le regole della concorrenza: a) quando l'ente pubblico svolge sul soggetto affidatario un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; b) quando il soggetto affidatario «realizzi la parte più importante della propria attività» con l'ente o con gli enti che la controllano. In relazione al primo requisito, la Corte di giustizia, in particolare con la citata sentenza Stadt Halle dell'11 gennaio 2005, ha sottolineato che esso non sussiste quando la società sia partecipata da privati, atteso che «qualunque investimento di capitale privato in un'impresa obbedisce a considerazioni proprie degli interessi privati», rifuggendo da «considerazioni ed esigenze proprie del perseguimento di obiettivi di interesse pubblico» che devono caratterizzare «il rapporto tra un'autorità pubblica (…) ed i suoi servizi». Inoltre, tra le altre, nelle sentenze Carbotermo dell'11 maggio 2006, in causa C-340/04 e Parking Brixen del 13 ottobre 2005, in causa C-458/03, si è puntualizzato che, ai fini del riconoscimento della sussistenza del presupposto in esame, accanto alla "dipendenza finanziaria", risultante dalla detenzione pubblica dell'intero capitale della società affidataria, rilevano profili di natura prettamente gestionale. In particolare, i giudici europei ritengono che l'ente pubblico debba essere dotato di poteri di controllo sull'attività del consiglio di amministrazione più ampi e pregnanti di quelli che normalmente il diritto societario riconosce alla maggioranza dei soci. Inoltre, è stata esclusa la sussistenza del controllo analogo quando l'impresa abbia «acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo» e che risulterebbe dalla presenza di elementi, quali, a titolo esemplificativo: l'ampliamento dell'oggetto sociale; l'apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; l'espansione territoriale dell'attività della società (citata sentenza Parking Brixen del 13 ottobre 2005; così anche Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 3 marzo 2008, n. 1). In relazione al secondo requisito, rappresentato, come si è precisato, dalla prevalenza dello svolgimento dell'attività a favore dell'ente pubblico conferente, va, innanzitutto, chiarito come esso non impedisca che l'istituto dell'affidamento diretto sia configurabile anche in relazione al settore dei servizi pubblici. La circostanza, infatti, che tale settore si caratterizza per il fatto che le relative prestazioni sono rivolte, diversamente da quanto accade in presenza di un contratto di appalto, a favore dell'utenza, non costituisce un ostacolo alla riconduzione dell'attività all'autorità pubblica. Gli stessi giudici europei hanno, sul punto, sottolineato che non rileva stabilire se il destinatario dell'attività posta in essere dal gestore del servizio sia la stessa amministrazione o l'utente delle prestazioni. Si deve infatti «tener conto di tutte le attività realizzate» da tale gestore sulla base di un affidamento effettuato dall'amministrazione, «indipendentemente da chi remunera tale attività», potendo trattarsi della medesima amministrazione o degli utenti delle prestazioni erogate (citata sentenza Carbotermo dell'11 maggio 2006). 19 Quanto al significato da attribuire all'espressione che identifica il requisito in esame, la giurisprudenza comunitaria ha sostanzialmente affermato che è necessario che il soggetto beneficiario dell'affidamento destini la propria attività "principalmente" a favore dell'ente. L'effettuazione di prestazioni che non siano del tutto marginali a favore di altri soggetti renderebbe quella determinata impresa "attiva sul mercato", con conseguente alterazione delle regole concorrenziali e violazione dei principi regolatori delle gare pubbliche e della legittima competizione. In altri termini, nella prospettiva comunitaria, una lettura non rigorosa della espressione «parte più importante della sua attività» inciderebbe sulla stessa nozione di soggetto in house alterandone il dato strutturale che lo identifica come una mera "articolazione interna" dell'ente stesso. Una consistente attività "esterna" determinerebbe, infatti, una deviazione dal rigoroso modello delineato dai giudici europei, con la conseguenza, da un lato, che verrebbe falsato il confronto concorrenziale con altre imprese che non usufruiscono dei vantaggi connessi all'affidamento diretto e più in generale dei privilegi derivanti dall'essere il soggetto affidatario parte della struttura organizzativa dell'amministrazione locale; dall'altro, che sarebbero eluse le procedure competitive di scelta del contraente, che devono essere osservate in presenza di un soggetto "terzo" (quale deve ritenersi quello che esplica rilevante attività esterna) rispetto all'amministrazione conferente. Va, inoltre, rimarcato che anche questa Corte ha avuto modo di affermare, sia pure con riferimento ad un settore diverso da quello in esame, che le esigenze di tutela della concorrenza impongono di tenere distinto lo svolgimento di attività amministrativa posta in essere da una società di capitali per conto di una pubblica amministrazione dal libero svolgimento di attività di impresa. L'esigenza di mantenere separate le due sfere di attività, ha puntualizzato la Corte, è finalizzata ad «evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività d'impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto pubblica amministrazione» (sentenza n. 326 del 2008, punto 8.3. del Considerato in diritto). Sul piano poi della verifica del rispetto del requisito in esame, la Corte di giustizia, in particolare, con la citata sentenza Carbotermo dell'11 maggio 2006, ha affermato che il giudice competente deve prendere in considerazione «tutte le circostanze del caso di specie, sia qualitative sia quantitative» (par. 64). Sul piano quantitativo, la stessa sentenza, al successivo paragrafo 65, fa espresso riferimento all'elemento del fatturato, osservando che «occorre considerare che il fatturato determinante è rappresentato da quello che l'impresa in questione realizza in virtù di decisioni di affidamento adottate dall'ente locale controllante». Inoltre, per mantenere una impostazione coerente con l'esigenza che l'indagine si svolga su un piano casistico, non sono ammesse rigide predeterminazioni connesse all'indicazione della misura percentuale di fatturato rilevante. Sul piano qualitativo, alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza comunitaria (citata sentenza Carbotermo dell'11 maggio 2006), tale profilo incide o può incidere sulla natura dei servizi resi e, quindi, sul criterio per ritenere che una attività di impresa sia svolta in modo preponderante per l'ente pubblico conferente e solo marginalmente per il mercato perché, a prescindere dal dato quantitativo del fatturato, tale profilo può – in astratto – riverberare i suoi effetti sulla rilevanza dell'attività svolta dal soggetto al fine di considerare prevalente o solo marginale l'attività "libera" in una prospettiva di futura espansione della stessa nel mercato o in zone del territorio diverse da quelle di competenza del soggetto pubblico conferente. 7.1.— Orbene, alla luce di quanto sopra, deve ritenersi sussistente il contrasto tra la norma impugnata e gli invocati parametri costituzionali. Ed infatti, la suddetta norma – sul presupposto che l'affidamento in house possa essere giustificato se, tra l'altro, «la società realizzi la parte più rilevante della propria attività con uno o più degli enti che la controllano» (art. 3, comma 1, lettera c) – prevede, come si è già sottolineato, che «la rilevanza dell'attività (…) è considerata in base al fatturato e alle risorse economiche impiegate». Il giudizio di verifica della sussistenza del requisito in esame è, dunque, limitato alla valutazione di dati di tipo quantitativo; e tali devono ritenersi quelli che, al fine di stabilire se il soggetto in house possa considerarsi "attivo" sul mercato in ragione della rilevanza esterna dell'attività di impresa svolta, attribuiscono valenza esclusiva all'entità del fatturato e delle risorse economiche impiegate. Nella prospettiva comunitaria, invece, è necessario assegnare rilievo anche ad eventuali aspetti di natura qualitativa idonei a fare desumere, ad esempio, la propensione dell'impresa ad effettuare determinati investimenti di risorse economiche in altri mercati – anche non contigui – in vista di una eventuale espansione in settori diversi da quelli rilevanti per l'ente pubblico conferente. 20 Deve, pertanto, ritenersi che effettivamente il legislatore provinciale abbia indicato criteri di verifica del requisito della "rilevanza dell'attività" meno rigorosi rispetto a quelli enucleati – sia pure nell'ambito di un complessivo giudizio che mantiene una valenza necessariamente casistica modulata sulle peculiarità delle singole fattispecie concrete – dalla giurisprudenza che si è formata al riguardo. Di qui la violazione delle regole comunitarie sulla concorrenza poste dalle norme del Trattato invocate dal ricorrente, alla cui tutela è finalizzata la delimitazione, effettuata, in via interpretativa, dalla Corte di giustizia, dell'ambito di operatività del modello gestionale dell'affidamento diretto dei servizi pubblici locali. Pertanto, la valutazione in ordine alla rilevanza preponderante dell'attività nei confronti dell'ente pubblico conferente deve essere effettuata mediante la diretta applicazione della normativa comunitaria, quale risulta dall'interpretazione datane dai giudici europei. E sotto l'indicato profilo è indubbio che la declaratoria di illegittimità costituzionale del comma in esame conduce ad una maggiore chiarezza nella applicazione della normativa provinciale, contenuta nei commi 1 e 2 dell'art. 3 della legge impugnata, che deve essere interpretata alla luce dei principi sopra richiamati. Sulla base delle considerazioni che precedono, non sussistono i presupposti per il rinvio pregiudiziale, chiesto – in via subordinata – dalla difesa della Provincia autonoma, in quanto nella specie non vi sono dubbi sulla interpretazione della normativa comunitaria, il cui significato è chiaro sulla base della giurisprudenza della Corte di giustizia; sicché ciò che residua nella specie è solo la questione di legittimità costituzionale della normativa provinciale per contrasto con i principi affermati in sede europea. In conclusione, dunque, l'art. 3, comma 3, della legge provinciale in esame deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione delle norme comunitarie sulla tutela della concorrenza, come interpretate dalla Corte di giustizia CE, e, dunque, dell'art. 8, comma 1, dello statuto speciale per il Trentino Alto-Adige e dell'art. 117, primo comma, Cost. Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 novembre 2007, n. 12 (Servizi pubblici locali); dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 1, della predetta legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 12 del 2007. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2008. F.to: Giovanni Maria FLICK, Presidente Alfonso QUARANTA, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2008. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA 21 CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - sentenza 23 settembre 2008 n. 4603 - Pres. Barbagallo, Est. Vigotti - Idra Patrimonio s.p.a. (Avv. Viviani) c. Impresa Luigi Giudici s.p.a. (Avv.ti Bologna e Lavatelli), Impresa Ronzoni s.r.l. ed altri (n.c.) e Cooperativa Selciatori ed altri (Avv.ti Vaiano, Bellocchio e Ciampoli) N. 4603/08 Reg. Dec. N. 9886 Reg. Ric. ANNO 2007 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente DECISIONE sul ricorso in appello n. 9886/2007 proposto da IDRA PATRIMONIO SPA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Mario Viviani con domicilio eletto in Roma Lungotevere Flaminio n. 46 pl.IV/B, presso lo studio Grez; contro IMPRESA LUIGI GIUDICI SPA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv. Giuliano Bologna e Mario Lavatelli con domicilio eletto in Roma via Merulana n. 234, presso lo studio del primo; IMPRESA RONZONI SRL, IMPRESA COSTRUZIONI CERRI SRL, ATI - ARTIFONI SRL, ATI - CEIS SRL, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., non costituitesi; COOPERATIVA SELCIATORI E POSATORI STRADE E CAVE SRL NQ ATI, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv. Diego Vaiano, Francesco Bellocchio e Giustino Ciampoli con domicilio eletto in Roma Lungotevere Marzio n. 3, presso lo studio del primo; e nei confronti di GIAVAZZI SRL, in persona del legale rappresentante p.t., non costituitasi; per l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia sede di Milano Sezione III, n.5849/2007, resa tra le parti, Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti intimate; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Alla pubblica udienza dell’8 luglio 2008 relatore il Consigliere Roberta Vigotti. Uditi gli avv.ti Viviani, Bologna, Ciampoli e Vaiano; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: FATTO 22 Idra Patrimonio s.p.a., società ad integrale capitale pubblico locale, proprietaria delle reti, impianti e dotazioni per lo svolgimento del servizio idrico integrato nel territorio di 37 comuni dell’area milanese, espone di essere impresa di costruzione qualificata per l’esecuzione di lavori per le categorie relative alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle reti e degli impianti e per il completamento degli stessi. Per l’esecuzione di tali lavori lo statuto della società prevede l’esecuzione diretta o tramite controllate, quale Idra s.p.a., il cui capitale è interamente posseduto da Idra Patrimonio, anch’essa qualificata per i lavori in questione. Tali lavori sono finanziati per il 70% dall’ATO (ambito territoriale ottimale) della provincia di Milano con erogazioni annuali la cui entità variabile non consente affidamenti separati con appalti oggetto di specifiche ed autonome procedure; l’unitarietà funzionale dell’intero sistema infrastrutturale e la sua stretta connessione con l’erogazione del servizio idrico integrato rendono necessario che l’intervento per manutenzioni, completamenti ed estensioni sia effettuato dal medesimo operatore, almeno per un consistente arco temporale. In ragione di tali peculiarità, la società ricorrente ha dato vita ad una procedura finalizzata alla creazione di una entità ad hoc, facendo leva sulla nozione di partenariato pubblico privato e all’istituto dell’accordo quadro: con bando pubblicato sulla GUCE il 4 marzo 2005 e sulla GURI il 10 marzo 2005 ha pertanto indetto una licitazione privata con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi dell’art. 21 secondo comma legge n. 109 del 1994 (da determinarsi in base al prezzo offerto, al piano di gestione aziendale, all’ottimizzazione di ogni aspetto della gestione della società) per la “realizzazione dei lavori di manutenzione straordinaria, potenziamento ed estensione delle infrastrutture di proprietà e/o comunque strumenta-li al servizio idrico integrato”, “mediante selezione di un soggetto imprenditore con il quale costituire una società a responsabilità limitata”, specificando che tali lavori avrebbero avuto importo ciascuno inferiore a 3.000.000 euro, un costo complessivo annuale non superiore a 6.000.000 euro e massimo totale di 30.000.000 nel quinquennio. Il medesimo bando richiedeva, per la partecipazione, il possesso della qualificazione all’esecuzione dei lavori pubblici SOA, ai sensi del DPR n. 34 del 2000, per le categorie OG1, OG3, OG6, OG8 e OS24 e precisava che l’istituenda società, con il nome di Costruzion.e s.r.l. avrebbe avuto durata di cinque anni, con restituzione ai soci, all’atto dello scioglimento, della quota parte del capitale residuo versato. Termini, modalità e contenuti per la presentazione delle offerte sono stati specificati con lettera di invito del 3 maggio 2005; all’incontro indetto per fornire eventuali chiarimenti, che si è tenuto il 18 maggio 2005, hanno partecipato numerose imprese, tra le quali la società Giu-dici in associazione temporanea con Costruzioni Cerri srl, ricorrente in primo grado; alle richieste di chiarimenti la società appellante ha dato tempestivo riscontro, in particolare precisando che “nei cinque anni di vita societaria Costruzion.e realizzerà tutti quei lavori che l’ATO della provincia di Milano deciderà di finanziare con i suoi piani annuali”. Entro il termine stabilito (27 giugno 2005) sono pervenuti i plichi di quattro associazioni temporanee di imprese, ma le società Luigi Giudici, Ronzoni e Costruzioni Cerri, che non avevano presentato offerta, hanno impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica il bando di gara, il disciplinare e la lettera di invito; il ricorso è stato trasposto davanti al TAR della Lombardia, a seguito dell’opposizione di Idra Patrimonio. Con ordinanza in data 17 novem-bre 2005 il TAR ha respinto l’istanza cautelare avanzata dalle ricorrenti e la commissione di gara, nella seduta del 7 dicembre 2005, ha proceduto alla valutazione delle offerte pervenute, giudicando la migliore quella dell’ATI con capogruppo Cooperativa Selciatori e Posatori; il verbale della seduta è stato approvato con deliberazione del 16 dicembre 2005 dal consiglio di amministrazione di Idra Patrimonio, la quale, con deliberazione n. 80 del 2005, ha approvato lo schema di statuto della nuova società, indicando quali soci le imprese aggiudicatarie e procedendo quindi alla costituzione della srl Costruzion.e. In data 12 settembre 2006 Idra Patrimonio è stata informata dal dipar-timento per le politiche comunitarie presso la presidenza del consiglio dei ministri dell’esistenza di un reclamo presentato alla commissione europea e relativo alla procedura di cui trattasi ed ha quindi provveduto ad inviare alla commissione la documentazione richiesta, con i relativi chiarimenti, evidenziando in particolare che la procedura si poneva in linea con il modello di società mista ipotizzato nel libro verde re-lativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni, presentato dalla commissione eu-ropea a Bruxelles il 30 aprile 2004. La commissione, nella seduta del 21 marzo 2007, ha deciso di archiviare il reclamo. Con sentenza del 10 ottobre 2007, il TAR ha invece accolto il ricorso, annullando gli atti impugnati. Ritenendo errata tale sentenza, Idra Patrimonio la impugna, eviden-ziando le seguenti censure: 23 Infondatezza dei motivi primo e quarto del ricorso, accolti dal TAR sul presupposto che l’operazione in esame si ponga in contrasto con il principio di tassatività e nominatività degli istituti e strumenti dell’ordinamento pubblico, anche di derivazione comunitaria e che non possa ammettersi che attraverso la società mista sia possibile dar corso all’esecuzione di lavori pubblici, per il cui affidamento è invece imposto l’espletamento di gare ad evidenza pubblica, non essendo la società a partecipazione mista espressamente contemplata dall’art. 10 legge n. 109 del 2004 tra i soggetti ai quali è possibile l’affidamento diretto di tali lavori, contrariamente a quanto previsto per i servizi pubblici. Nè, secondo il TAR, potrebbe trovare applicazione l’art. 113 comma 5 ter d.lgs. n. 267 del 2000, poiché il modulo operativo di cui trattasi non è riconducibile all’istituto delle concessioni di costruzione (neppure nella forma del partenariato pubblico-privato di tipo istituzionalizzato) o a quello dell’appalto di lavori; infine, neppure potrebbe essere invocato il modello dell’accordo quadro, difettandone i caratteri e la struttura tipici (in particolare, la sottoscrizione di una convenzione di carattere normativo cui conformare i successivi rapporti contrattuali). Tali argomentazioni sono in realtà basate sull’erroneo presupposto che l’amministrazione procedente abbia utilizzato lo schema della costituzione della società mista al fine di operare un affidamento in house alla società stessa dell’esecuzione di lavori pubblici, mentre scopo della procedura era l’affidamento di lavori strumentali al servizio idrico integrato, con l’effetto ulteriore che l’impresa aggiudicataria avrebbe acquisito la posizione di socio della costituenda società, effetto che non vale ad escludere la qualificazione dell’operazione come procedura ad evidenza pubblica diretta anche all’affidamento di un appalto di lavori. Con la gara per la scelta del socio veniva anche definito l’affidamento delle opere al socio operativo, conformemente a quanto richiesto dalla commissione europea per garantire la legittimità dell’affidamento diretto del lavori alla costituenda società: la documentazione di gara consentiva, infatti, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, l’esatta individuazione dei lavori oggetto della procedura, soprattutto mediante la messa a disposizione del supporto informatico relativo allo stato di fatto della rete fognaria dei Comuni interessati e gli interventi in progetto, con relativi costi in preventivo e progettazione esecutiva. Si tratta, quindi, di un appalto disciplinato secondo lo schema dell’accordo quadro, figura della quale mutua la funzione di semplificazione della aggiudicazione di appalti seriali, secondo la definizione contenuta nella direttiva 2004/18/CE, art. 1, paragrafo 5; inoltre, mancando una definizione tassativa a livello europeo delle forme del partenariato pubblico privato, il TAR non ha avvertito che tale strumento può essere utilizzato anche per l’affidamento di un appalto di lavori, come ha chiarito la risoluzione del parlamento europeo n. 2006/2043. In realtà, lo schema operativo utilizzato si pone in linea con il libro verde presentato dalla commissione europea il 30 aprile 2004, essendo soddisfatta la condizione della completezza del bando al fine della non necessità di una ulteriore gara per l’affidamento dei lavori. Quanto all’eccezione di inammissibilità dell’atto di opposizione ex art. 10 dpr n. 119 del 1971 proposto da Idra Patrimonio spa, sollevata in primo grado dalle ricorrenti, sul presupposto che tale società non sarebbe un ente pubblico: trattasi di eccezione che renderebbe il ricorso inammissibile, posto che comporterebbe la giurisdizione del giudice ordinario, ovvero l’incostituzionalità della norma epigrafata. Inammissibilità per mancata notifica del ricorso di primo grado ad almeno un controinteressato, non ravvisata dal TAR che ha riconosciuto solo all’aggiudicatario del contratto la posizione di controinteressato nelle controversie inerenti a gara d’appalto pubblico, mentre, in realtà, rivestono tale ruolo tutte quelle imprese che hanno interesse al mantenimento del procedimento, imprese ben note alle ricorrenti in primo grado in quanto, tra l’altro, partecipanti all’incontro del 18 maggio 2005. Inammissibilità per carenza di interesse, non avendo le ricorrenti presentato offerta e non essendo stati sottratti al mercato i lavori di cui trattasi: anzi, pur possedendo i requisiti necessari per eseguire i lavori, Idra Patrimonio ha offerto agli operatori del mercato la possibilità di realizzarli per il prossimo quinquennio. Di conseguenza, l’eventuale annullamento degli atti impugnati non comporterebbe l’obbligo di affidare mediante gara l’appalto dei lavori. Inammissibilità della domanda subordinata di disapplicazione del bando di gara, che è atto non regolamentare. In subordine: infondatezza del ricorso secondo quanto esposto sub 1) per quanto riguarda il primo e il quarto motivo. Inoltre sul secondo, terzo, quinto, sesto, settimo, ottavo, nono, decimo, undicesimo, dodicesimo motivo: il modulo adottato rispetta l’art. 2 legge reg. n. 26 del 2003; l’art. 113 legge n. 267 del 2000 non trova applicazione, perchè riguarda la gestione delle reti o l’erogazione di servizi, mentre il comma 5 ter non limita i tipi contrattuali utilizzabili, ma conferma la necessità di esperire gare ad evidenza pubblica, come nella specie è avvenuto. 24 Le ragioni dell’iniziativa in discorso, che ha aperto e non chiuso il mercato, sono state compiutamente esternate; il 20% degli utili riservato al socio operativo rappresenta una remunerazione ulteriore rispetto al pagamento dei lavori secondo il prezzo offerto in gara; l’operazione presenta aspetti convenienti anche per l’amministrazione; l’esecuzione ad opera del socio di parte degli interventi che formano l’oggetto sociale risponde al modello del partenariato pubblico privato; la possibilità che l’atto costitutivo stabilisca l’obbligo dei soci di una società per azioni di eseguire prestazioni accessorie deriva dall’art. 2345 cod. civ.; dall’attestazione SOA di Idra Patrimonio spa e di Idra spa e dal contratto di servizio tra le due si evince che sono sufficienti le iscrizioni delle società per far fronte alla qualificazione necessaria a realizzare i lavori in questione; i criteri definiti negli atti di gara garantiscono l’obiettività della scelta. La società appellante conclude per la riforma della sentenza impugnata, con consequenziale rigetto del ricorso di primo grado. Hanno proposto appello anche le imprese che, riunite in ATI, sono risultate aggiudicatarie della gara, e che solo dalla notificazione del ricorso in appello hanno appreso dell’esistenza del ricorso di primo grado, deciso con la sentenza impugnata. Poiché tale decisione arreca un grave pregiudizio agli interessi delle vincitrici, esse, anche se non parti del giudizio di primo grado, la impugnano, sostenendone l’erroneità sotto profili sostanzialmente analoghi a quelli sopra illustrati. Con ordinanza in data 22 gennaio 2008 l’istanza di sospensione della sentenza, proposta con entrambi gli appelli, è stata accolta. All’odierna pubblica udienza l’appello è stato trattenuto in decisione. DIRITTO La questione posta all’attenzione di questo Consiglio riguarda la legittimità della procedura con la quale Idra Patrimonio s.p.a., società ad integrale capitale pubblico locale, proprietaria delle reti, degli impianti e delle dotazioni patrimoniali per lo svolgimento del servizio idrico integrato nel territorio di trentasette comuni dell’area del nord-est milanese, ha indetto gara ristretta per reperire, a livello europeo e con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il socio privato di minoranza con il quale costituire una società a responsabilità limitata alla quale affidare, senza ulteriore gara, la realizzazione dei lavori di manutenzione straordinaria, potenziamento ed estensione delle infrastrutture di proprietà o comunque strumentali al servizio stesso. I) Gli atti di tale procedura, ad iniziare dal bando di gara, sono stati impugnati da alcune imprese del settore che, pur non avendo presentato offerta benché invitate, ritengono di avere interesse a contestare il modulo stesso scelto dall’amministrazione aggiudicatrice per affidare l’esecuzione dei lavori, che li renderebbe indisponibili per il mercato e alla concorrenza per un quinquennio. L’amministrazione resistente, sia in primo grado che in appello, eccepisce invece l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, dal momento che essa stessa potrebbe eseguire i lavori direttamente, possedendo i requisiti necessari. L’eccezione non può essere condivisa: l’interesse delle ricorrenti interseca precisamente l’atto di indizione della gara, perché è al modulo prescelto dall’amministrazione che esse riferiscono l’esclusione lamentata, e che esse rifiutano, ritenendolo lesivo: ne deriva che, come hanno rilevato i primi Giudici, il ricorso è stato esattamente indirizzato avverso il bando, inteso come manifestazione della scelta e a prescindere dalla sua concreta espansione procedurale, senza che assumano rilevanza la mancata presentazione di offerta e la possibilità, per Idra Patrimonio, di eseguire direttamente le opere di cui trattasi. Ulteriore conseguenza dell’esatta individuazione dell’interesse fatto valere e dell’oggetto del giudizio è l’infondatezza anche dell’eccezione di inammissibilità per mancata notificazione ad almeno un controinteressato, e di quella, sostenuta dalle ditte che, in raggruppamento temporaneo, hanno vinto la gara, di improcedibilità per omessa impugnazione dell’aggiudicazione. Una volta chiarito che il senso del ricorso è da ricondurre alla contestazione dello stesso schema operativo con il quale l’amministrazione intende assolvere i propri compiti, l’emergere di posizioni di controinteresse e l’esito della procedura si situano in un momento successivo ed eventuale, necessariamente ininfluente sull’interesse tempestivamente azionato. Per esaurire l’ambito delle eccezioni preliminari, il Collegio deve ancora esaminare quella relativa alla pretesa inammissibilità dell’atto di opposizione ex art. 10 dpr n. 1199 del 1971 proposto da Idra Patrimonio, eccezione svolta dalle ricorrenti in primo grado e respinta dal TAR. 25 L’eccezione è palesemente infondata ed è smentita dallo stesso comportamento processuale delle parti ricorrenti, che hanno proposto il gravame proprio sul presupposto della qualità di ente pubblico della amministrazione procedente, della quale, del resto, è indubitabile la funzione di amministrazione aggiudicatrice e la natura di organismo di diritto pubblico. Ad Idra Patrimonio, pertanto, nello specifico settore di competenza, appartengono tutte le facoltà e i diritti propri delle pubbliche amministrazioni procedenti, ivi compresi quelli inerenti il diritto di difesa in giudizio, tra i quali quello previsto dalla norma richiamata. II) Le eccezioni di rito, proposte in primo grado e riproposte in appello da entrambe le parti, sono quindi infondate, e può passarsi, pertanto, all’esame del merito del ricorso. L’argomento della possibilità, per l’amministrazione pubblica, di avvalersi del modello organizzativo della società mista per l’espletamento dei compiti di istituto è stato oggetto, negli ultimi tempi, di elaborazione giurisprudenziale in sede sia comunitaria che nazionale. In particolare, con il parere della seconda Sezione di questo Consiglio di Stato n. 456 del 18 aprile 2007 e con la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 1 del 3 marzo 2008, sono state indagate le condizioni alle quali è subordinata la legittimità dell’affidamento diretto di un servizio pubblico ad una società. A tale proposito, è stata posta in luce la differenza tra la società in house e la società mista, laddove la prima agisce come un vero e proprio organo dell’amministrazione “dal punto di vista sostantivo” (in ragione del controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi dall’amministrazione aggiudicatrice e della destinazione prevalente dell’attività dell’ente in house in favore dell’amministrazione stessa), mentre la diversa figura della società mista a partecipazione pubblica maggioritaria, in cui il socio privato sia scelto con una procedura ad evidenza pubblica, presuppone la creazione di un modello nuovo, nel quale interessi pubblici e privati trovino convergenza. III) Il caso di specie, nel quale una amministrazione aggiudicatrice indice una gara per reperire il socio privato (operativo) di minoranza, si inserisce nel paradigma della creazione di una società mista: irrilevanti, pertanto, sono gli accenni, contenuti negli atti di causa, a forme diverse quali o più generali, quali il partenariato pubblico privato (che è figura ampia, nella quale rientra qualsiasi collaborazione tra ente pubblico e soggetto privato, anche sotto forma di concessione) ovvero l’accordo quadro, di cui alla direttiva 93/38 CE, che postula la fissazione di regole generali di realizzazione di un programma e le modalità di determinazione di successivi rapporti negoziali, ma non la creazione di una specifica e apposita società. Come si è detto, la giurisprudenza che si è formata sul tema che ci occupa ha riferimento a casi di affidamento della gestione di un servizio pubblico: nel caso in esame, sia pure nella non sufficiente chiarezza circa l’attività oggetto della gara, pare che la costituenda società debba essere affidataria non del servizio o di parte di esso, ma del compito inerente la manutenzione e l’adeguamento della rete idrica (secondo quanto si legge nella documentazione di gara). Comunque, come rileva il citato parere della seconda Sezione, il modello delle società miste è previsto in via generale dall’art. 113 comma 5 lett. b) d.lgs. n. 267 del 2000, come modificato dall’art. 14 d.l. n. 269 del 2003 e dalla relativa legge di conversione, n. 326 del 2003, norme che, pur avendo attinenza ai contratti degli enti locali, delineano un completo paradigma, valido anche al di fuori del settore dei servizi pubblici locali. E che tale modello valga anche al di fuori del settore dei servizi, lo si evince dall’art. 1 comma 2 e dall’art. 32 del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006), che contemplano il caso di società miste per la realizzazione di lavori pubblici e per la realizzazione e/o gestione di un’opera pubblica. IV) Condizione perché possa essere ritenuto legittimo il ricorso alla scelta del socio, al fine della costituzione di una società che divenga affidataria dell’esecuzione dell’opera senza necessità di gara, è, secondo il predetto parere, che attraverso la procedura non si realizzi un affidamento diretto alla società mista, ma piuttosto un affidamento con procedura di evidenza pubblica dell’attività operativa della società mista al partner privato, tramite la stessa gara volta all’individuazione di quest’ultimo. Il modello, in altre parole, trae la propria legittimità dalla circostanza che la gara ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato abbia ad oggetto, al tempo stesso, l’attribuzione dei compiti operativi e quella della qualità di socio. La illegittimità della procedura esperita da Idra Patrimonio nel caso di specie, allora, non risiede, come ha ritenuto il Tar nella sentenza impugnata, nel “contrasto della forma di società delineata con il principio di nominatività e tassatività degli istituti e degli strumenti dell’ordinamento pubblico, anche di derivazione 26 comunitaria”, che, invece, conosce da tempo tale modulo operativo, ma nella indeterminatezza dei compiti che la nuova società sarà chiamata ad assolvere, in definitiva nella mancata identificazione dei concreti compiti operativi collegati all’acquisto della qualità di socio. Come si è gia accennato, infatti, gli atti di gara non identificano con sufficiente precisione le opere oggetto dell’appalto, limitandosi la stazione appaltante a indicare gli importi e i costi in termini di massima e a precisare che la società avrebbe dovuto realizzare “tutti quei lavori …che l’ATO della provincia di Milano deciderà di finanziare con i suoi piani annuali”. La scelta del socio, ancorchè selezionato con gara, non avviene dunque per finalità definite, ma solo al fine della costituzione di una società “generalista”, alla quale affidare l’esecuzione di lavori non ancora identificati al momento della scelta stessa: tale circostanza rende di per sé illegittimo l’affidamento diretto dell’esecuzione dei lavori, secondo il modulo delineato con i contestati provvedimenti. Sul piano sostanziale, può essere ancora aggiunto che la riscontrata illegittimità non riposa solamente su un motivo formale, ma trova corrispondenza sulla distorsione della concorrenza che concretamente ne deriva: è infatti evidente che la scelta di assumere l’incarico operativo per l’esecuzione di lavori indeterminati ma di rilevanti importi, e per la durata di un quinquennio, è di per sé discriminante in danno delle imprese di piccole dimensioni, che ben potrebbero, invece, concorrere per singoli lavori, di portata più limitata e ben precisata. L’appello principale e quello proposto sotto forma incidentale dalle imprese sostanzialmente controinteressate in primo grado devono dunque essere respinti, mentre la sentenza impugnata deve essere confermata, sia pure con diversa motivazione. Le spese del grado possono essere compensate tra le parti in causa, in ragione della complessità e della novità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge gli appelli e, per l’effetto, conferma con diversa motivazione la sentenza appellata. Spese del grado compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, l’8 luglio 2008 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori: Giuseppe Barbagallo Presidente Domenico Cafini Consigliere Roberto Garofoli Consigliere Bruno Rosario Polito Consigliere Roberta Vigotti Consigliere est. Presidente GIUSEPPE BARBAGALLO Consigliere ROBERTA VIGOTTI DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 23/09/2008 27 CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - sentenza 7 ottobre 2008 n. 4829 - Pres. Barbagallo, Est. Taormina - Baldassini Tognozzi Pontello Costruzioni Generali spa (Avv.ti Pezzana e Vinti) c. Azienda Speciale Molise Acque (Avv.ti Neri e Rivellino) e Consorzio Cooperative Costruzioni (Avv. Colalillo) .4829/08 Reg.Dec. N. 8469 Reg.Ric. ANNO 2007 Disp.vo 403/2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente DECISIONE sul ricorso in appello n. 8469/2007, proposto da BALDASSINI TOGNOZZI PONTELLO COSTRUZIONI GENERALI SPA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Aldo Pezzana e Stefano Vinti con domicilio eletto in Roma via Emilia n. 88, presso lo studio del secondo; contro AZIENDA SPECIALE MOLISE ACQUE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Claudio Neri e Demetrio Rivellino con domicilio in Roma piazza Capo di Ferro n.13, presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato; CONSORZIO COOPERATIVE COSTRUZIONI, in persona del legale rappresentante p.t., in proprio e quale mandataria ATI COSTRUZIONI FALCIONE GEOM. LUIGI SRL, FAVELLATO CLAUDIO SPA, ANTONIO E RAFFAELE GIUZIO SRL, ZURLO DOMENICO, rappresentati e difesi dall’Avv. Vincenzo Colalillo con domicilio eletto in Roma via Albalonga n. 7, presso l’Avv. Clementino Palmiero; per la riforma della sentenza del TAR Molise sede di Campobasso Sez. I, n.628/2007, resa tra le parti; Visto l’atto di appello con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate; vista la memoria di costituzione della appellata amministrazione Azienda Speciale "Molise Acque" e la memoria di costituzione del "Consorzio Cooperative Costruzioni"; Visti gli atti tutti della causa; Alla pubblica udienza del 20 Maggio 2008, relatore il Consigliere Fabio Taormina ed uditi, altresì, gli avvocati Pezzana, Neri, e l’avv.to Buccellato per Colalillo; Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue: FATTO Con il ricorso di primo grado l’ odierna appellante aveva chiesto l'annullamento della determinazione dirigenziale 22.2.2007, n. 033, con cui erano state approvate le risultanze della gara indetta dalla Molise Acque per l’affidamento della progettazione definitiva e dell’esecuzione dell’acquedotto molisano centrale e 28 dell’interconnessione con lo schema Basso Molise, con conseguente aggiudicazione definitiva;- del verbale della seduta pubblica del 16.2.2007, con il quale era stata dichiarata l’aggiudicazione provvisoria nei confronti dell’A.T.I. controinteressata; - dei verbali relativi alle sedute riservate per la valutazione delle offerte tecniche; - di ogni altro atto antecedente, preordinato, connesso e consequenziale; Con successivo ricorso per motivi aggiunti era poi stata proposta impugnazione nei confronti: - del verbale della seduta pubblica del 13.2.2007; - dei verbali delle sedute riservate del 14 e 15.2.2007; - dell’atto di nomina della Commissione giudicatrice e del Presidente; - di ogni altro atto antecedente, preordinato, connesso e consequenziale. Era stato altresì richiesto il risarcimento del danno per equivalente ai sensi dell’art. 7 della L. n. 205/2000. Con il ricorso incidentale, la controinteressata aggiudicataria aveva a sua volta richiesto l’annullamento in parte qua del disciplinare di gara, nella parte in cui, con riferimento all’offerta tecnica, prescriveva che "la documentazione di cui alle lettere dalla a) alla h) devono essere costituite da un massimo di cinque pagine di formato A3 per ogni lettera".. Con la decisione oggetto dell’odierna impugnazione, il Tar ha accolto il ricorso principale con conseguente annullamento degli atti gravati; ha rilevato che non poteva procedersi alla rinnovazione della gara, per l’impedimento ex lege rappresentato dalla disposizione di cui all’art. 246, 4° comma del D.Lgs. 12.4.2006, n. 163, ed ha in parte accolto la domanda di risarcimento del danno avanzata dall’odierna appellata, limitatamente ai costi subiti per prendere parte alla gara, da maggiorarsi degli interessi legali, sino al soddisfo. Ha dichiarato improcedibile il ricorso incidentale proposto dall’A.T.I. controinteressata. In particolare, i primi giudici, hanno preliminarmente esaminato il ricorso incidentale e -rilevato che esso era (unicamente) teso a prevenire una specifica censura avanzata dalla originaria ricorrente, e che tale ultima censura era infondata nel merito- ne hanno dichiarato la improcedibilità. Hanno di seguito vagliato le censure contenute nel ricorso principale e, dopo averne respinte numerose, hanno accolto (punto n. 15 della decisione appellata) quella relativa alla lamentata mancata produzione da parte dell’aggiudicataria odierna appellata delle dichiarazioni relative all’insussistenza di cause di esclusione cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, con riferimento ai procuratori del Consorzio Cooperative Costruzioni muniti di poteri di rappresentanza. Ha sul punto comunque rilevato il Giudice di I grado che, avuto riguardo a tale riscontrata illegittimità, non poteva ravvisarsi l’elemento della colpa a carico dell’amministrazione, respingendo, sotto tale specifico aspetto, il petitum risarcitorio avanzato dall’odierna appellante. Accolto con riferimento al suindicato motivo di censura il ricorso di primo grado, si è poi proseguito da parte del Tar Molise nell’esame delle ulteriori censure contenute nel ricorso di primo grado, afferenti, alla composizione ed ai poteri della Commissione di gara, ed all’operato della medesima. Sono stati funditus vagliati anche tali profili di critica, per comodità espositiva raggruppati, ed è stata esclusa la fondatezza di numerosi di essi; è invece stata accolta la doglianza afferente la lamentata circostanza che la commissione giudicatrice aveva proceduto alla valutazione dell’offerta tecnica, attribuendo un mero punteggio numerico, non accompagnato da alcuna motivazione/giustificazione. Al riguardo, si è osservata da parte del Tar "l’assoluta insufficienza del giudizio espresso esclusivamente in termini numerici"… " violazione di una certa gravità". 29 E’ stato quindi ritenuto dal Tar, quanto a tale comprovata illegittimità, che sussistessero "…gli elementi costitutivi della fattispecie dell’illecito extracontrattuale, ravvisandosi in primo luogo una condotta illecita connotata da colpa, quanto meno sotto forma di negligenza, considerato anche il rilievo attribuito dalla giurisprudenza alla necessità di esplicare il punteggio, in assenza di criteri dettagliati precostituiti." Accolte tali doglianze contenute nel ricorso di primo grado, si è poi ritenuto di non potere disporre la reintegrazione specifica sotto forma di aggiudicazione dell’appalto alla ricorrente di primo grado vittoriosa o di rinnovazione della gara, ostando a tale soluzione il disposto di cui all’art. 246, 4° comma del D.Lgs. 12.4.2006, n. 163 (concernente, come è noto, le infrastrutture di interesse strategico, qual è pacificamente quella per cui è stata bandita la gara per cui è causa). In particolare è stato respinto il rilievo mosso dalla Società ricorrente, secondo cui nel caso in esame non sarebbe stato possibile applicare la menzionata disposizione, avendo la "Molise Acque" disatteso la norma di cui all’art. 11, 10° comma del citato D.Lgs. n. 163/2006, secondo la quale "il contratto non può comunque essere stipulato prima di trenta giorni dalla comunicazione ai controinteressati del provvedimento di aggiudicazione " – termine inderogabile per le infrastrutture strategiche, qual è quella di specie. Si è infatti osservato, nella appellata decisione, che detta ultima norma, "avente natura sostanziale, è indirizzata alle stazioni appaltanti e non già al giudice, vincolato, nell’applicazione, a quella – di carattere processuale - contenuta nel citato art. 246, 4° comma del Codice dei Contratti pubblici, rispetto alla quale essa deve necessariamente recedere, di fronte all’interesse pubblico alla sollecita realizzazione delle opere di che trattasi, senz’altro prevalente su quello particolare delle società controinteressate", rilevandosi altresì che "eventualmente la violazione del richiamato art. 11 potrebbe assumere rilievo in altra sede, ove se ne dovessero ravvisare i presupposti ed, in particolare, l’elemento soggettivo, quanto meno, della colpa grave, per l’individuazione del danno erariale". I primi giudici hanno pertanto unicamente disposto in favore della originaria ricorrente il risarcimento del danno per equivalente, rilevando che nella specie la stazione appaltante e l’A.T.I. originaria aggiudicataria avevano stipulato in data 19.3.2007 il contratto d’appalto rep n. 35557. Hanno quindi quantificato il quantum debeatur, rilevando che non potevano essere risarciti il mancato utile ed il mancato incremento del requisito tecnico ed economico, atteso che entrambi tali "voci" risarcitorie presupponevano la certezza dell’aggiudicazione, (elemento non ravvisabile con riferimento alla posizione della società odierna appellante. Hanno in particolare rilevato che "nel dubbio circa l’esito si sarebbe potuto conseguire in caso di corretto svolgimento della gara, nei modi sottolineati in ultimo, il danno suscettibile di risarcimento va quantificato nella misura delle spese e costi sopportati per la preparazione dell’offerta e per la partecipazione alla procedura di gara. Segnatamente, sono risarcibili i costi riferibili unicamente alla gara in parola debitamente documentati, non potendo per esempio risarcirsi lo stipendio corrisposto dalla Società ricorrente ai propri dipendenti a tempo indeterminato, in assenza di prova della sottrazione di tali dipendenti ad altri specifici compiti, essendo il relativo onere a carico della medesima, in applicazione dell’art. 2697 c.c..Sulle somme così quantificate dovranno essere corrisposti gli interessi, nella misura legale, dall’esborso fino al soddisfo, mentre non è dovuta la rivalutazione, mancando la prova ex art. 1224, 2° comma c.c. e risultando il tasso d’inflazione attuale inferiore a quello d’interesse legale." La sentenza è stata (soprattutto con riferimento ai profili concernenti la statuizione risarcitoria) appellata dall’ originaria ricorrente vincitrice che ne ha parzialmente contestato la fondatezza. In particolare ha rilevato che,avendo i primi giudici accolto alcune (esclusivamente quella relativa alla violazione del disposto di cui all’art. 38 del d.lvo n. 163/2006) delle censure che criticavano l’ammissione dell’Ati originariamente aggiudicataria della gara, appariva illogico che, quanto a tale profilo, avessero poi ritenuto insussistente il profilo della colpa in capo all’amministrazione appaltante. Sotto altro aspetto, e quanto al profilo di accoglimento del ricorso di primo grado in ordine al quale il Tar, valutando la condotta dell’amministrazione appaltante, ha ritenuto sussistere gli elementi integrativi dell’illecito extracontrattuale (con riguardo alla assoluta assenza di motivazione dei giudizi espressi sulle offerte tecniche), ha evidenziato la contraddittorietà della mancata previsione della risarcibilità anche della voce del lucro cessante. 30 Invero era errata la statuizione che aveva limitato il disposto risarcimento alle spese e costi sopportati: la perdita di chance costituiva posizione attiva risarcibile, anche e soprattutto allorchè non si avesse avuto modo di dimostrare la certezza dell’aggiudicazione in ipotesi di rinnovazione della procedura di gara. Ha all’uopo riproposto- al dichiarato fine di valutare la complessiva condotta dell’amministrazione appellante- le censure relative alla erroneità della decisione del seggio di gara di ammettere l’Ati originariamente aggiudicataria (motivi I e II del ricorso in appello) e quella relativa alla composizione del seggio di gara. Ha poi esaminato i capi della sentenza che hanno affrontato la questione della ammissibilità e della quantificazione della pretesa risarcitoria criticando gli approdi cui erano pervenuti i primi giudici e rilevando che anche a cagione della circostanza che l’amministrazione appaltante aveva disatteso la norma di cui all’art. 11, 10° comma del citato D.Lgs. n. 163/2006, parte appellante si era vista privare della tutela reintegratoria in forma specifica. La sentenza pertanto doveva essere in parte qua riformata: a tale invocata statuizione doveva conseguire la concessione della piena tutela risarcitoria in favore dell’appellante, comprensiva del risarcimento per la perdita di chance. Ha provveduto a quantificare l’importo risarcitorio graduandolo in relazione al possibile accoglimento delle singole censure contenute nel ricorso in appello. L’appellata amministrazione si è costituita chiedendo respingersi il ricorso in appello, ed evidenziando che esattamente il Tar aveva respinto numerose delle censure avanzate dall’appellante. Con riferimento a quelle (unicamente due) accolte, esattamente il quantum risarcitorio era stato restrittivamente determinato, a cagione della circostanza che – proprio in relazione al lamentato vizio motivazionale nella attribuzione e determinazione dei punteggi- non era possibile stabilire che probabilità avrebbe avuto l’appellante di aggiudicarsi la gara. Non era pertanto risarcibile la voce di danno rappresentata dalla c.d. "perdita di chance". Sotto altro profilo, l’amministrazione appellata aveva provveduto ad applicare disposizioni normative di ardua interpretazione, di guisa che nessun profilo di grave colpa era ravvisabile nella condotta da questa spiegata. La controinteressata appellata (ed originaria aggiudicataria) si è costituita in giudizio depositando una articolata memoria chiedendo del pari di respingere il ricorso in appello perché infondato: esattamente invero il Tar aveva respinto le tre principali censure postulanti la doverosità della immediata esclusione dalla gara dell’aggiudicataria. Ed altrettanto correttamente aveva escluso la risarcibilità della "perdita di chance", atteso che, la (riscontrata dal Tar) inattendibilità dei punteggi attribuiti dal seggio di gara rendeva impossibile stabilire quale delle numerose (18) partecipanti alla gara avesse la maggiore chance di aggiudicarsela. A fortiori tale impossibilità attingeva la posizione della odierna appellante. DIRITTO L’appello è parzialmente fondato e deve essere parzialmente accolto, con conseguente parziale riforma della appellata sentenza, nei termini di cui alla motivazione che segue. Appare in via preliminare fare presente che il Collegio condivide la impostazione della giurisprudenza amministrativa secondo cui spetta al giudice amministrativo individuare l'ordine di esame dei motivi dedotti dal ricorrente, sulla base della loro consistenza oggettiva, e del rapporto fra gli stessi esistente sul piano logico-giuridico, mentre, l'accoglimento di una censura, che sia in grado di provocare la caducazione dell'atto impugnato, fa venire meno l'interesse del ricorrente all'esame degli altri motivi da parte del giudice e la potestà di questi di procedere a tale esame, autorizzando la dichiarazione di "assorbimento". (Consiglio Stato, sez. VI, 05 settembre 2002, n. 4487 , ma anche in argomento, Sez. V, 29 ottobre 1992, n. 1095). In particolare, si è condivisibilmente affermato che "è rimesso alla discrezionalità dell'organo giudicante l'ordine con il quale intenda procedere all'esame delle questioni sottoposte al suo esame. In particolare, nel processo amministrativo di tipo impugnatorio, nell'affrontare le diverse questioni prospettate dal ricorrente, il giudice adito deve procedere, nell'ordine logico, preliminarmente all'esame di quelle questioni o di quei motivi che, evidenziando in astratto una più radicale illegittimità del provvedimento impugnato, appaiono 31 idonei a soddisfarne pienamente ed efficacemente l'interesse sostanziale dedotto in giudizio; per passare poi, soltanto in caso di rigetto di tali censure, all'esame degli altri motivi che, pur idonei a determinare l'annullamento dell'atto gravato, evidenzino profili meno radicali d'illegittimità.(Consiglio Stato, sez. V, 05 settembre 2006, n. 5108) Tale aspetto, come meglio si vedrà in tema di individuazione dei criteri di cui all’art. 35 comma II del d.lvo n. 80/1998, lungi dall’assumere rilievo esclusivamente processuale, assume portata nodale, con riguardo agli aspetti sostanziali della controversia. Invero deve rammentarsi che l’odierna appellante ha – mercè il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado ed il ricorso per motivi aggiunti in detta sede proposto – sottoposto alla cognizione del Tar due distinti gruppi di censure (è bene ribadire, sebbene il dato emerga dalla esposizione in fatto, che identico schema è stato seguito nel ricorso in appello) . Un primo gruppo di censure attiene in via diretta alla posizione della contro interessata aggiudicataria: l’accoglimento di ciascuna singola doglianza facente parte di tale gruppo, postula che quest’ultima dovesse essere immediatamente esclusa dalla gara e che, conseguentemente, la selezione dovesse essere aggiudicata immediatamente alla odierna appellante. Non v’è dubbio che – avuto riguardo all’interesse diretto ed immediato dell’appellante- essa fosse massimamente interessata all’accoglimento di una, o tutte, le censure aventi tale natura. Ciò, in via teorica, avrebbe comportato (in disparte la questione della anticipata stipulazione del contratto rispetto al termine di legge di cui all’art. 11, 10° comma del D.Lgs. n. 163/2006, sulla quale pure ci si soffermerà): la piena salvaguardia delle procedure di gara; la aggiudicazione della stessa in capo alla seconda classificata (id est: l’odierna appellante). Su una di tali doglianze il Tar si è favorevolmente pronunciato, accogliendo il ricorso di primo grado (con statuizione in parte qua regiudicata) sia pur non ravvisando colpa in capo all’amministrazione (aspetto della richiamata decisione, quest’ultimo, gravato dalla odierna appellante). Senonchè, l’appellante, già nel giudizio di primo grado, ha devoluto all’attenzione del Tar, un secondo gruppo di censure (criteri e motivazione dell’attribuzione dei punteggi, nomina della commissione di gara e professionalità dei componenti del seggio di gara, etc). Essa ha riproposto tali doglianze in grado di appello. L’accoglimento di una o tutte delle doglianze ascrivibili a tale gruppo, comporta un effetto ben più radicale: la elisione dell’intera procedura selettiva, almeno a partire dal segmento attinto dal vizio di illegittimità, comprensiva dell’aggiudicazione, con teorico onere di ripetizione delle operazioni di gara. In simili ipotesi, infatti. ritiene giurisprudenza amministrativa che - in ossequio alla necessità di coniugare l'esigenza di ripristinare la legalità amministrativa, in conformità al pertinente accertamento giurisdizionale, con il principio di conservazione degli atti amministrativi- laddove l'azione amministrativa "si articoli in diversi segmenti procedimentali, ciascuno connotato dall'emanazione di veri e propri provvedimenti (come ad esempio le esclusioni, nel caso delle procedure di affidamento di appalti pubblici), il vincolo derivante dalla statuizione di annullamento consiste nella riedizione della sola fase procedurale colpita dal "dictum" di illegittimità, fatto, comunque, salvo il potere di annullamento d'ufficio dell'intera procedura, e quindi nella ripetizione delle operazioni di gara affette dal vizio riscontrato in sede giudiziaria."(ex multis, si veda Consiglio Stato, sez. IV, 28 febbraio 2005, n. 692, ma Consiglio Stato , sez. IV, 22 settembre 2003, n. 5356). E’ bene rammentare che anche con riferimento ad una delle doglianze riconducibili a tale gruppo, il Tar si è favorevolmente pronunciato, accogliendo il ricorso di primo grado (con statuizione in parte qua regiudicata), ravvisando l’elemento della colpa in capo all’amministrazione, e pur tuttavia limitando le voci risarcitorie alle spese ed ai costi dalla odierna appellante sopportati (aspetto quest’ultimo, della richiamata decisione, gravato dalla odierna appellante). 32 L’appellante ha riproposto nell’odierno appello numerose delle doglianze, non accolte dal Tar, ascrivibili ad entrambi i "gruppi" come sopra classificati. E’ palese che essa (avesse ed) abbia soprattutto interesse all’accoglimento di quelle facenti parte del primo gruppo: di ciò essa si è perfettamente resa conto, tanto che, nella articolata memoria conclusiva da ultimo depositata, ha distinto le "voci" e gli importi risarcitori richiesti, in relazione alle singole doglianze delle quali ha postulato l’accoglimento, distinguendo in ordine ai "gruppi" di riferimento. Senonchè – e qui riposa la particolarità della questione oggetto dell’odierno giudizio- si ha una netta divaricazione tra ciò che è pregiudiziale con riferimento all’interesse dell’appellante (giudizio affermativo sulla necessità di escludere l’aggiudicataria controinteressata e di aggiudicare alla seconda classificata la gara) e ciò che è pregiudiziale sotto il profilo logico e giuridico (giudizio declaratorio della illegittimità delle operazioni di gara con riguardo a segmenti temporalmente ed ontologicamente antecedenti all’aggiudicazione) . La questione si riflette avuto riguardo al petitum "finale", a natura risarcitoria e di specie "quantificatorio", devoluto alla cognizione del Collegio. E più in particolare, lo si anticipa, la compresenza di tali elementi non consente di ritenere comunque accoglibile tout court (sul merito delle singole doglianze ci si pronuncerà di seguito) la richiesta dell’appellante volta ad ottenere l’attribuzione del risarcimento dei danni in misura piena (mancato utile, impossibilità di fare valere nelle successive gare il requisito legato alla esecuzione dei lavori) con riguardo all’accoglimento delle censure postulanti la doverosa esclusione della controinteressata aggiudicataria dalla selezione e l’aggiudicazione a se stessa della gara. Ciò perché, devolute al Tar (e da questo accolte, almeno in parte,) censure postulanti una illegittimità coinvolgente operazioni di gara antecedenti all’aggiudicazione, e comprensive di segmenti a quest’ultima prodromici (addirittura, si è articolata senza successo in primo grado, e si è riproposta in appello una doglianza, concernente la nomina della commissione di gara ed i requisiti professionali dei componenti della medesima che, laddove accolta, determinerebbe la declaratoria di illegittimità di tutte le operazioni susseguenti) di tale giudizio deve altresì tenersi conto in sede determinativa del quantum risarcitorio. In via di principio, quindi, non può condividersi l’iter logico seguito dall’appellante nel ricorso in appello (e nella memoria conclusiva da essa presentata) volto a quantificare la propria richiesta risarcitoria obliando la circostanza che v’è comunque stato un giudizio di illegittimità coinvolgente operazioni di gara distinte dalla verifica dei requisiti partecipativi delle aspiranti, e coinvolgente, allo stato, l’attendibilità dei piazzamenti dalle stesse conseguiti. Ciò premesso, e con l’avvertenza che in relazione al superiore orientamento, ed alla stregua delle illegittimità denunciate, assume portata recessiva -in termini di importanza avuto riguardo al petitum- la singola partita disamina delle doglianze dedotte dall’appellante con riguardo all’ intero svolgimento della procedura selettiva, si può passare all’esame delle doglianze specificate nel ricorso in appello. L’esame delle stesse si impone comunque, avuto riguardo al dettato normativo di cui all’art. 2055 co.II cc e 2056 cc, in relazione al disposto di cui all’art. 1227 cc ivi richiamato, postulante a fini di graduazione dell’importo risarcitorio, l’accertamento in ordine al grado della colpa. Tale necessità è sempre stata tenuta presente dalla giurisprudenza amministrativa che ha ancora di recente affermato che "l' azione di risarcimento conseguente all' annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento illegittimo implica la valutazione dell' elemento psicologico della colpa, alla luce dei vizi che inficiavano il provvedimento stesso e della gravità delle violazioni imputabili all'Amministrazione, secondo l' ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all' organo amministrativo nonché delle condizioni concrete in cui ha operato l' Amministrazione, non essendo il risarcimento una conseguenza automatica della pronuncia del giudice della legittimità."(Consiglio Stato, sez. IV, 01 ottobre 2007, n. 5052); Con più specifico riferimento alla tematica devoluta alla cognizione della Sezione, si è condivisibilmente affermato che "in tema di risarcimento danni per illegittima aggiudicazione di una gara pubblica, ferma restando la permanente difficoltà di individuare un quid pluris rispetto alla stessa illegittimità dell'atto, la colpa dell'amministrazione deve essere valutata tenendo conto dei vizi che inficiano il provvedimento, della gravità delle violazioni imputabili all'amministrazione, anche alla luce del potere discrezionale da essa 33 concretamente esercitato, delle condizioni concrete e dell'apporto eventualmente dato dai privati al procedimento." (Consiglio Stato, sez. IV, 11 ottobre 2006, n. 6059). Ciò premesso,e quanto alle critiche avanzate alla sentenza di primo grado riferibili al mancato accoglimento delle doglianze postulanti la necessità dell’immediata esclusione dalla gara della controinteressata aggiudicataria, ritiene innanzitutto il Collegio che meriti accoglimento il primo motivo del ricorso in appello e che debba conseguentemente essere riformato il corrispondente capo della appellata decisione (punti 9 e 10 della sentenza). Ivi si è negato che l’ATI aggiudicataria dovesse essere esclusa dalla gara a cagione del fatto che la mandante del raggruppamento di progettisti fosse la Acque Ingegneria SRL, (società interamente posseduta dalla Acque SPA,a capitale prevalentemente pubblico locale). Si è negata, in particolare, l’operatività, nel caso di specie, del divieto di cui all’art. 13 del DL n. 223/2006 conv. in legge n. 248/2007. Invero – come esattamente rilevato nel ricorso in appello- la prevalente giurisprudenza amministrativa ha interpretato il divieto di cui all’art. 13 del DL n. 223/2006 conv. in legge n. 248/2007 in modo conforme alla ratio del medesimo, che è quella, illustrata nell’incipit della citata disposizione, di "evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori ". Di conseguenza, (si veda da ultimo, deliberazione Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi, e forniture n. 35/2007) si è condivisibilmente affermato che "non può considerarsi rilevante, ai fini della non ricorrenza del divieto previsto dalla citata disposizione " la circostanza che la partecipazione dell’ente locale alla società sia meramente indiretta, come nel caso di specie. Infatti, ammettere che i vincoli posti dalla norma speciale riguardino esclusivamente le partecipazioni dirette degli enti pubblici alle società di cui trattasi, varrebbe a sostenere che i vincoli stessi possano agevolmente essere aggirati mediante meccanismi di partecipazioni societarie mediate. Al contrario, anche nelle società c.d. di terzo grado, come nel caso in esame, individuandosi, con detta definizione, quelle società che non sono state costituite da amministrazioni pubbliche e non sono state costituite per soddisfare esigenze strumentali alle amministrazioni pubbliche medesime, rimane pur sempre il rilievo che l’assunzione del rischio avviene con una quota di capitale pubblico, con ciò ponendo in essere meccanismi potenzialmente in contrasto con il principio della par condicio dei concorrenti. L’interpretazione anzidetta trova ulteriore e indiretta conferma nel comma 3 del medesimo art. 13 suindicato, laddove il legislatore ha previsto un regime transitorio, durante il quale le società pubbliche o miste dovranno dismettere in particolare le loro partecipazioni in altre società.". (così, Deliberazione Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi, e forniture n. 35/2007). Tale interpretazione appare al Collegio corretta e condivisibile: essa è l’unica che consente che la norma possa dispiegarsi coerentemente con la ratio della sua introduzione, impedendo che attraverso il collaudato meccanismo delle partecipazioni societarie essa non trovi applicazione in ipotesi del tutto analoghe a quelle oggetto di espressa previsione. E da ciò consegue che, posto che la gara in questione era stata bandita in epoca successiva alla entrata in vigore del c.d. "Decreto Bersani" e della legge di conversione, la Acque Ingegneria SRL neppure avrebbe potuto giovarsi della disposizone di cui al III comma del citato articolo 13 (arg. ex art. 13 comma IV del DL n. 223/2006 predetto). Essa rientrava pertanto nel divieto di cui alla più volte citata disposizione, anche in considerazione della circostanza che la società in oggetto non poteva dirsi essere operante nei "servizi pubblici locali" svolgendo attività strumentale in favore dei soggetti preposti alla gestione del servizio (sulla distinzione in oggetto, tra le tante, Cassazione civile, sez. un., 30 marzo 2000, n. 72). Né il rilevo svolto dalla contro interessata aggiudicataria a pag 3 della propria articolata memoria può svalutare le superiori considerazioni ed indurre ad un contrario divisamento, atteso che il termine di riferimento del divieto di cui all’art. 13 del DL 223/2006 deve essere unicamente la società partecipante alla gara, neutro apparendo il dato afferente all’attività svolta dalla società detentrice della partecipazione in quest’ultima. La doglianza doveva quindi essere accolta, ed hanno errato i primi giudici nel disattenderla. Per quanto si dirà di seguito in tema di individuazione dell’elemento psicologico della colpa, poi, l’accoglimento della medesima esonera il Collegio dal prendere in esame la ulteriore doglianza, afferente al medesimo tema, e del pari contenuta nel primo motivo del ricorso in appello, relativa al possesso dei requisiti 34 economici in capo alla Tecnodaf e quella relativa alle lamentate carenze certificative della polizza fideiussoria presentata dalla controinteressata aggiudicataria e riproposta al motivo n. II del ricorso in appello. Passando adesso all’esame delle doglianze non accolte dal Tar Molise e riproposte nel ricorso in appello, volte a censurare la conduzione della gara da parte dell’amministrazione, ritiene la Sezione meritevole di accoglimento quella contenuta nel quarto motivo dell’atto di impugnazione (e sintetizzata, nei termini essenziali, nella memoria conclusiva depositata dall’odierna appellante). L’appellante invero, ha omesso di riproporre in grado d’appello numerose censure attingenti procedura di nomina della commissione di gara, la posizione del Presidente della stessa, etc che erano state disattese dal Tar; ha invece sottoposto alla cognizione della Sezione la doglianza relativa alla erroneità del capo n. 25 della decisione in epigrafe appellata Ivi, i primi giudici hanno escluso la fondatezza della censura relativa alla composizione della commissione alla stregua del dato letterale contenuto all’art. 84 co. VIII del D-lvo n. 163/2006, facendo presente che (si riporta il passaggio di maggiore interesse dell’iter motivazionale ivi esposto) "nella specie i componenti della commissione – tutti funzionari dipendenti della "Molise Acque", inquadrati giuridicamente nel livello D3 svolgono le funzioni di capo ufficio, con la specifica responsabilità di aree. Segnatamente, il geom Di Bernardo, avente un’anzianità di servizio dal 17.9.1990, è capo ufficio della zona orientale, il geom. Gallo, con anzianità dal 13.8.1978, è responsabile dell’Ufficio "Dighe e Controllo", il perito industriale Giustiniani, avente un’anzianità risalente addirittura all’1.11.1977, è capo ufficio per la zona "Molise centrale" ed infine il perito industriale Ullo, con anzianità maturata dal 20.1.1978, è a capo dell’Ufficio zona occidentale. Pertanto le funzioni svolte, che consentono di conoscere le strutture gestite dalla "Molise Acque", confrontandosi con i problemi che di volta in volta ivi si presentano ed individuandone la soluzione più opportuna, rivalutate ulteriormente alla luce dell’anzianità maturata presso l’Azienda, per quasi tutti pressoché trentennale, li rendono del tutto adeguati a valutare un progetto relativo a quel genere di opere che gestiscono quotidianamente, qual è quello di specie." Ritiene il Collegio che, in parte qua, la appellata decisione non resista alle censure formulate nel ricorso in appello. Invero il comma VIII dell’art. 84 del d.lvo n. 163/2006 (la cui rubrica è intestata Commissione giudicatrice nel caso di aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa) così statuisce:"i commissari diversi dal presidente sono selezionati tra i funzionari della stazione appaltante. In caso di accertata carenza in organico di adeguate professionalità, nonché negli altri casi previsti dal regolamento in cui ricorrono esigenze oggettive e comprovate, i commissari diversi dal presidente sono scelti tra funzionari di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'art. 3, comma 25, ovvero con un criterio di rotazione tra gli appartenenti alle seguenti categorie: a) professionisti, con almeno dieci anni di iscrizione nei rispettivi albi professionali, nell'ambito di un elenco, formato sulla base di rose di candidati fornite dagli ordini professionali; b) professori universitari di ruolo, nell'ambito di un elenco, formato sulla base di rose di candidati fornite dalle facoltà di appartenenza". Con riferimento alle competenze tecniche e professionali che devono possedere i componenti delle Commissioni giudicatrici di gare aventi ad oggetto lavori,servizi, e forniture, la giurisprudenza amministrativa formatasi sotto l’usbergo della antevigente disposizione di cui all’art. 21 della legge n. 109/1994 e succ. mod. ha avuto modo in passato di evidenziare che "se nei componenti della commissione giudicatrice di un appalto concorso risiedono le competenze professionali per il vaglio economico e tecnico delle offerte, queste competenze sono anche idonee a valutare gli aspetti correlativi alle varie giustificazioni che possono essere addotte a sostegno della serietà dell'offerta sospettata di anomalia; pertanto, sussiste una discrezionalità tecnica nel vagliare l'adeguatezza dei chiarimenti forniti dall'impresa offerente e ciò che rileva è il possesso, da parte di cui conduce l'esame, dei requisiti professionali necessari." (Consiglio Stato, sez. V, 28 giugno 2002, n. 3566). 35 Ne consegue, quindi, che "la composizione della commissione incaricata del vaglio delle offerte presentate per l'aggiudicazione di un contratto ad evidenza pubblica con il sistema dell'appalto concorso deve rispondere, per lo meno, a certi requisiti imposti dalla natura stessa dell'opera da eseguire, nonché dalla razionalità e logicità delle scelte compiute in relazione alle finalità perseguite; pertanto è illegittima la composizione della commissione stessa qualora tra i componenti della stessa prevalgano elementi privi di competenze tecniche specifiche."(Consiglio Stato, sez. VI, 25 luglio 1994, n. 1261). Più di recente, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il riferimento al possesso in capo ai commissari dei requisiti tecnici e della professionalità necessaria a formulare un giudizio pienamente consapevole, costituisca principio "immanente nell'ordinamento generale, che trascende il settore dei lavori pubblici, per rendersi operativo in qualsiasi gara, in quanto risponde ai criteri di rango costituzionale di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa; pertanto, pur in mancanza, nel settore degli appalti di servizi, di un'espressa disposizione concernente la composizione della commissione giudicatrice, questa, avendo anche in detto settore il compito di valutare la qualità del servizio offerto, deve essere composta, almeno prevalentemente, da persone fornite di specifica competenza tecnica o munite di qualificazioni professionali che tale competenza facciano presumere." (Consiglio Stato, sez. V, 18 marzo 2004, n. 1408). Pare al Collegio potere affermare che -senza per questo dovere ricorrere, con sistematicità ad "indagini" sul possesso in capo ai commissari dei requisiti in parola- emerga dal condivisibile orientamento giurisprudenziale succitato, una "tensione" verso la necessità dell’affermazione di un principio che individui i commissari quali "periti peritorum" della materia sulla quale devono esprimere il loro delicato giudizio e che il possesso dei requisiti di cui si è discorso debba essere valutato anche in relazione ai concreti aspetti sui quali i medesimi devono formulare il loro giudizio. Ciò al fine di evitare che sussistano, a monte, elementi che inducano in via anticipata i consociati (ed i partecipanti alla gara, soprattutto) a dubitare dell’adeguatezza professionale di chi è chiamato a giudicare comparativamente le proposte aggiudicatorie Ovviamente, nella impossibilità di saggiare in anticipo ed in concreto la preparazione specifica dei commissari, può farsi riferimento ad alcuni dati che, in via presuntiva, consentano una prognosi tranquillizzante sul punto. Tali dati non possono che essere due: possesso di un titolo di studio adeguato, e pregressa esperienza nel settore. Esigenze di economicità hanno suggerito al legislatore la previsione di un archetipo di composizione formato da funzionari delle stazioni appaltanti. Come è agevolmente ricavabile dalla disposizione di cui al comma VIII dell’art. 84 del d.lvo n. 163/2006 il principio non è assoluto, ma deve essere coniugato con il dato afferente al possesso della necessaria professionalità (che costituisce "prerequisito" per la nomina, vien fatto di affermare). Orbene: il punto di fatto dal quale occorre prendere e mosse è rappresentato, nel caso di specie, dalla circostanza che quattro dei cinque commissari (l’eccezione è rappresentata dal Presidente)non possedevano alcun diploma di laurea. Non avrebbero potuto progettare ciò su cui erano chiamati ed esprimere il proprio giudizio. In disparte le acute osservazioni dell’appellante (pag 30 del ricorso in appello) circa la specificità delle valutazioni che i commissari erano chiamati a formulare (criteri proposti per risolvere le prescrizioni in materia ambientale imposte dal CIPE) ritiene il Collegio che la sentenza appellata, nel richiamarsi esclusivamente alla pregressa attività lavorativa dei commissari abbia obliato la necessità della specificità della valutazione della professionalità di questi ultimi, in relazione al giudizio che erano chiamati a rendere (si trattava della costruzione di un nuovo acquedotto, e non già di strutture relative a quelli già esistenti e da essi, dipendenti dell’amministrazione appaltante ben conosciuti). E’ condivisibile, pertanto la doglianza di cui al quarto motivo del ricorso in appello, anche in relazione al richiamato orientamento dell’ Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi, e forniture reso con la deliberazione n.142/2007 riportato a pag 31 del ricorso in appello. 36 Peraltro – la materia riguarda pubblici concorsi e pertanto il principio è solo indirettamente trasponi bile al caso in esame – già in passato, a seguito della sentenza della Consulta n. 453/1990 che era intervenuta su alcune disposizioni legislative della Regione Siciliana, si era affermato in giurisprudenza (si noti, in particolare, il richiamo ad una valutazione da formularsi in termini di concretezza) che "le commissioni esaminatrici di pubblici concorsi possono ritenersi legittimamente composte solo quando i membri chiamati a farne parte in qualità di esperto rivestano effettivamente tale qualità nelle materie oggetto d'esame; con la conseguenza che per essi il possesso del titolo di studio, di livello quanto meno pari a quello richiesto per l'ammissione al concorso, deve essere corroborato dal possesso di ulteriori titoli (di studio, di servizio o professionali) idonei a dimostrare la specifica competenza in concreto dell'esaminatore nelle materie delle prove concorsuali. (Cons.giust.amm. Sicilia sez. giurisd., 18 ottobre 1996, n. 344). Conclusivamente, sul punto, può affermarsi quanto segue: l’art. 84 del d.lvo 163/2006, in sostanziale continuità con l’art. 21 della legge n. 109/1994 e succ. mod e con la previsione regolamentare di cui all’art. 92 del dpr n. 554/1999, laddove ha inteso prevedere che i commissari siano "selezionati tra i funzionari della stazione appaltante" non ha inteso privilegiare in senso assoluto il requisito dell’inserimento nell’organico dell’ente appaltante rispetto a quello del titolo di studio, come può evincersi dalle ulteriori previsioni normative delle citate disposizioni. La valutazione prognostica sulla professionalità di chi giudica quindi, non può prescindere dalla concreta disamina di ciò che costituisce oggetto di giudizio, ed a tal fine il possesso del titolo di studio adeguato è elemento che garantisce a monte, sotto un profilo presuntivo, dell’adeguatezza della scelta. Nel caso di specie, ed avuto riguardo anche ai temi oggetto del giudizio che i commissari dovevano formulare, la valutazione concreta in oggetto non soddisfa i requisiti di professionalità prescritti dalla norma (ed indizio in tal senso è anche rappresentato dalla dialettica sviluppatasi in seno all’ente appaltante circa la composizione della commissione di gara, riportata alle pagg. 32 e segg. del ricorso in appello e non contestata dall’amministrazione appellata). La sentenza ha errato laddove, ancorandosi unicamente al dato letterale normativo non ha svolto una verifica concreta attualizzata,e pertanto non resiste alla censura contenuta nel ricorso in appello: la doglianza avrebbe dovuto conseguentemente essere accolta, con conseguente riforma in parte qua della sentenza appellata. Così conclusa la disamina in ordine alle doglianze investenti la gara celebratasi, può procedersi a rassegnare le conseguenze che da tali statuizioni devono trarsi in relazione al petitum risarcitorio. In sintesi, deve rilevarsi che, con riguardo alle statuizioni demolitorie rese in primo grado e regiudicate, ed a quelle contenute nel ricorso in appello, sono state accolte ben quattro doglianze di illegittimità riferentesi alla gara in oggetto. Due di esse attengono alla esclusione della controinteressata aggiudicataria (una di queste, come esposto nella premessa in fatto, era stata accolta già dal Tar ed è rimasta inimpugnata); altre due (una delle quali, concernente il deficit motivazionale dei giudizi espressi, già accolta in primo grado ed inimpugnata) riguardano, in generale, la conduzione della gara e, come si è dianzi evidenziato la composizione del seggio di gara. Occorre a questo punto interrogarsi su due distinti ma collegati aspetti al fine di provvedere in ordine alla domanda risarcitoria. Il primo di essi, riguarda la sussistenza, o meno, della colpa dell’amministrazione (ed il grado di essa) nei termini richiesti mediante il ricorso in appello (ed esuberanti rispetto alla statuizione soltanto parzialmente ricognitiva di tale elemento resa dai primi giudici). Il secondo, logicamente susseguente,e ricollegabile a quanto già parzialmente evidenziato nell’incipit della presente decisione, concerne l’entità della misura risarcitoria. Quanto al primo, ritiene la Sezione che nel complessivo comportamento dell’amministrazione possa ben ravvisarsi l’elemento colposo. E che esso sia connotato del requisito della gravità. 37 Invero il Consiglio ha avuto modo in passato di evidenziare il ridotto onere dimostrativo che grava in subiecta materia sul privato, atteso che "fermo restando l'inquadramento della maggior parte delle fattispecie di responsabilità della p.a., tra cui quella in esame, all'interno della responsabilità extracontrattuale, non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio sotto il profilo dell'elemento soggettivo. Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di un'espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell'amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all'art. 2727 c.c., desunta dal singolo caso. Il privato danneggiato può, quindi, invocare l'illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile. Spetterà, di contro, all'amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una disposizione, di formulazione incerta di fonti normative recenti di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.(Consiglio Stato, sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3981). Non si ravvisano ragioni per discostarsi dal superiore orientamento. La complessiva condotta dell’amministrazione deve essere valutata unitariamente e, con riferimento alle quattro doglianze oggetto di accoglimento, non ritiene la Sezione che la possibile incertezza concernente la portata del disposto di cui all’art. 13 del cd. "decreto Bersani" scrimini la condotta dell’amministrazione appaltante in termini si scusabilità delle violazioni poste in essere (già il Tar, peraltro, con riguardo alla espressione dei punteggi in termini meramente numerici aveva espresso tale -condivisibile in parte qua- divisamento). Ciò che il Tar non ha colto, viceversa, è la necessità di una valutazione complessiva e non parcellizzata dell’azione dell’amministrazione; e del pari ha immotivatamente (pag 18 della impugnata decisione) escluso che colpa potesse ravvisarsi quanto alla inosservanza della disposizione di cui all’art. 38 del d.lvo n. 163/2006 con riferimento ai procuratori del CCC muniti di rappresentanza e la doverosità che anche essi rendessero le prescritte dichiarazioni, avuto riguardo ai poteri ad essi attribuiti. Ma v’è di più. E’ sintomatico (sebbene si tratti di un post-factum rispetto alle doglianze articolate nel ricorso di primo grado) di un approccio quantomeno disattento e negligente dell’amministrazione, la riscontrata violazione da parte di questa del disposto di cui all’art. 11 co. X del d.lvo n. 163/2006. Il dato storico è incontestato. Le "giustificazioni" addotte dall’amministrazione a tale condotta (si veda sul punto pagg. 3 e 4 della memoria depositata in appello) fanno riferimento ad una generica esigenza di "urgenza" (elemento questo, ricorrente di massima in ogni iniziativa delle pubbliche amministrazioni aventi ad oggetto contratti pubblici) e non appaiono in alcun modo scalfire la portata della violazione. Pare al Collegio che essa connoti viepiù in termini colposi l’operato dell’amministrazione, sol che si consideri che quest’ultima, così procedendo, ha (in via astratta, per ciò che di seguito ci si accinge a chiarire) frustrato il diritto alla pienezza della tutela giurisdizionale dell’appellante nei termini già in passato evidenziati dalla Sezione, secondo cui "nel processo amministrativo la tutela risarcitoria, oramai accessibile in via generale dopo la l. n. 205 del 2000, può essere assicurata attraverso la reintegrazione in forma specifica, o attraverso il risarcimento per equivalente, ma questa modalità ha carattere sussidiario rispetto alla prima, che più puntualmente risponde al principio della effettività della tutela del cittadino nei confronti dell'attività provvedimentale o materiale della p.a., perciò il risarcimento per equivalente può essere riconosciuto solo in quanto il ricorrente abbia espressamente limitato la propria domanda a detta modalità risarcitoria.".(Consiglio Stato, sez. VI, 05 dicembre 2005, n. 6960). Sulla circostanza che ricorra nella complessiva azione spiegata dall’amministrazione l’elemento colposo, e che quest’ultimo sia grave, non ritiene la Sezione necessario vieppiù immorare: tanto si ritiene raggiunta la piena prova della sussistenza di tale elemento, peraltro, che si è omesso di approfondire l’esame delle ulteriori doglianze postulanti la immediata esclusione dell’aggiudicataria). 38 Dalla considerazione che l’art. 2043 c.c. è norma immediatamente precettiva, discende in via immediata la necessità di affermare che all’appellante pertenga la tutela risarcitoria. I criteri quantificatori delle voci di danno esposti nel ricorso in appello, ed i presupposti da cui essi muovono, non sono tuttavia condivisibili in toto. E’ in particolare da disattendere la convinzione espressa dall’odierna appellante (e sottesa all’articolazione delle proprie richieste) secondo cui essa avrebbe conseguito la piena restaurazione della propria aspettativa all’aggiudicazione della gara ove – accolte le doglianze che comportavano la immediata esclusione della contro interessata aggiudicataria- l’amministrazione non avesse stipulato il contratto, in violazione dell’art. 11 del d. lvo 163/2006 (ostando alla reintegrazione in forma specifica -come puntualmente rilevato dal Tar Molise- la cogente disposizione di cui al comma IV dell’art. 246 del citato "codice dei contratti"). E ciò, per un motivo assai semplice, che di seguito si ribadisce: la gara in oggetto è stata attinta da due vizi di legittimità (omessa motivazione dei punteggi e, ancora preliminarmente, composizione della commissione) che si pongono "a monte" dell’aggiudicazione; e che ad essa sono pregiudiziali. Entrambi tali vizi erano stati devoluti alla cognizione del Tar dalla odierna appellante; uno di essi era già stato rilevato dal Tar . Un altro ha trovato accoglimento mercè la presente decisione. La esistenza di tali vizi -che si pongono in termini pregiudiziali rispetto all’aggiudicazione- non può essere obliata. Avuto riguardo al contenuto della presente decisione ( in relazione ai vizi devoluti alla cognizione della Sezione, ed a quanto già statuito dal Tar Molise) appare destituita di fondamento la prospettazione, contenuta nel ricorso in appello ed a pag.12 della memoria conclusiva, secondo cui laddove (come è avvenuto) si fosse riscontrata la fondatezza di uno dei primi tre motivi di censura contenuti nel ricorso in appello, ciò avrebbe comportato "l’aggiudicazione della gara in favore dell’appellante". Ciò perché si sono individuati vizi antecedenti al passaggio aggiudicatorio e rispetto a quest’ultimo preliminari. Invero costituisce costante approdo della giurisprudenza amministrativa quello secondo cui l'annullamento degli atti di gara legata ad irregolarità formali delle operazioni svolte, comporta il travolgimento dell'intera procedura e, quindi, l'impossibilità di prevedere l'esito della gara e di accogliere la domanda di risarcimento danni proposta dalla ricorrente, poiché la stessa trova ristoro nella nuova opportunità che le viene offerta, derivante dalla ripetizione della procedura. Nel caso di specie, tuttavia, l’avvenuta stipula del contratto rende impossibile tale conclusione. L’inattendibilità dei punteggi attribuiti, poi, rende impossibile la esatta definizione della chance violata in capo all’appellante, del pari inquantificabile secondo i consueti criteri (si veda Consiglio Stato, sez. VI, 03 aprile 2007, n. 1514) a cagione del riscontrato vizio di illegittimità della composizione della commissione. Detta situazione di incertezza, tuttavia, non può ridondare in danno del danneggiato. Men che mai laddove essa sia dipesa da una grave negligenza posta in essere dall’amministrazione. In simili ipotesi, la concorde giurisprudenza amministrativa consente il ricorso al criterio equitativo, essendosi condivisibilmente affermato che "ai fini della liquidazione del risarcimento dei danni il criterio equitativo ex art. 1226 c.c., soccorre nel solo caso di impossibilità o estrema difficoltà di dimostrare la misura esatta del danno subito per effetto dell'atto illegittimo posto in essere dall'amministrazione e non anche per dimostrare l'esistenza stessa di un danno risarcibile, sotto il duplice profilo del danno emergente e del lucro cessante."(Consiglio Stato, sez. V, 21 aprile 2006, n. 2256). Ritiene la Sezione che detto criterio equitativo possa applicarsi nel caso di specie. E che esso possa saldarsi alla previsione di cui all’art. 35 comma II del d.lvo n. 80/1998 (si veda, in ordine alla compatibilità delle due citate disposizioni, Consiglio Stato, sez. V, 06 giugno 2002, n. 3181 laddove si è affermato che nel caso in cui la determinazione dei criteri per il risarcimento del danno a norma dell'art. 35 39 d.lg. 31 marzo 1998 n. 80, sia stata richiesta in alternativa alla liquidazione del danno in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c., la ricorrente non può dolersi che il giudice abbia fatto la scelta nel secondo senso, rimessa, peraltro, al suo prudente ed insindacabile apprezzamento). L’amministrazione dovrà pertanto risarcire il danno arrecato all’odierna appellante. La somma offerta dall’amministrazione determinata ex art. 1226 cc, dovà – nei limiti di seguito fissati dal Collegio - tenere conto degli elementi determinativi che ci si accinge ad indicare. Essa dovrà ricomprendere le spese sostenute dall’appellante per la partecipazione alla gara, nei termini individuati dal Tar Molise (punto n. 28.1 della appellata decisione, che merita integrale e piena conferma, difformemente da quanto sostenutosi nel ricorso in appello, anche con riferimento alla posizione dei dipendenti a tempo indeterminato della società predetta). Terrà conto poi, nella quantificazione del complessivo importo risarcitorio, che il danno arrecato è stato cagionato da una condotta gravemente negligenteAvrà riguardo altresì alla circostanza che comunque -anche in relazione ad operazioni attributive di punteggi inattendibili, ed ad opera di una commissione la cui composizione era attinta dal vizio di illegittimità rilevato dalla Sezione- l’appellante ebbe a classificarsi al secondo posto –e che l’aggiudicataria sarebbe dovuta essere esclusa dalla gara- e provvedere a calcolare, ex art. 1226 cc, avendo riguardo alla molteplicità (17, una volta esclusasi l’aggiudicataria) dei partecipanti alla gara medesima, la percentuale risarcibile dell’utile derivante dalla probabilità di aggiudicarsi la gara in capo all’appellante, e quella relativa al conseguente mancato incremento del requisito tecnico ed economico. Ritiene il Collegio che la concorrenza della superiori "voci determinative" conduca ad individuare, quale somma comprensiva dei danni tutti arrecati alla società appellante, una cifra determinata attualmente (con esclusione quindi, di rivalutazione ed interessi pregressi) in una percentuale dell’offerta oscillante tra il 4 % ed il 5% della medesima, da concretamente determinarsi in contraddittorio con l’appellante, da parte della soccombente amministrazione appellata. Alla stregua delle superiori argomentazioni l’appello deve essere parzialmente accolto, nei termini di cui alla motivazione che precede, con conseguente parziale riforma della appellata decisione. Possono essere compensate per un mezzo le spese processuali dei due gradi di giudizio e deve essere condannata l’amministrazione appellata al pagamento della restante parte in favore dell’appellante, che appare congruo liquidare in €. 6000,00 oltre IVA e CPA. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie in parte, nei termini di cui alla motivazione l’appello, e per l’effetto in riforma dell’appellata sentenza condanna l’amministrazione appellata al risarcimento dei danni in favore dell’appellante da liquidarsi ai sensi dell’art. 35 del D.lvo n. 80/1998, secondo i criteri enunciati in motivazione. Compensa per un mezzo le spese processuali dei due gradi di giudizio e condanna l’amministrazione appellata al pagamento della restante parte in favore dell’appellante, liquidandola in €. 6000,00 oltre IVA e CPA. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 20 Maggio 2008 con l’intervento dei Sigg.ri: Giuseppe Barbagallo Presidente Paolo Buonvino Consigliere Domenico Cafini Consigliere Aldo Scola Consigliere Fabio Taormina Consigliere Est. Presidente GIUSEPPE BARBAGALLO Consigliere FABIO TAORMINA DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 7/10/2008 40 CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza 28 ottobre 2008 n. 5392 - Pres. Iannotta, Est. Marchitiello - Comune di Bisaccia (Avv.ti Sorrentino e Pennetta) c. Società Edilgeo s.r.l. (n.c.) e nei confronti di Società Tecnoservizi s.n.c. (n.c.) e Gestione Servizi Comunali s.r.l. (n.c.) N. 5392/08 REG.DEC. N.11174 REG.RIC. ANNO 1998 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, (Quinta Sezione) ha pronunciato la seguente DECISIONE sul ricorso in appello 11174/1998, proposto dal Comune di Bisaccia, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli Avvocati Federico Sorrentino e Donato Pennetta ed elettivamente domiciliato presso il primo in Roma, Lungotevere delle Navi, n. 30, CONTRO la Società Edilgeo, s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita, e nei confronti della Società Tecnoservizi, s.n.c., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita, la Gestione Servizi Comunali, s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita, per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, I Sezione, del 18 settembre 1998, n. 2922; Visto il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti tutti di causa; Relatore, alla pubblica udienza del 3 giugno 2008, il Consigliere Claudio Marchitiello; Udito l’Avv. Sorrentino, come da verbale d’udienza; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: FATTO La Edilgeo, s.r.l., ha impugnato in primo grado: la deliberazione della Giunta Municipale del 14 ottobre 1997, con la quale il Comune di Bisaccia ha individuato come socio di minoranza della costituenda società mista per la gestione dell’impianto di metanizzazione "Gescom", la società Tecnoservizi, s.n.c.; la deliberazione della Giunta Municipale del predetto Comune del 4 settembre 1997, n. 292, di approvazione del testo dell’avviso pubblico per la selezione del socio; la deliberazione del Consiglio comunale dello stesso Comune del 30 luglio 1997, n. 36, di approvazione dello statuto della costituenda società. 41 Il Comune di Bisaccia e la società Tecnoservizi si sono costituiti in giudizio opponendosi all’accoglimento del ricorso. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, I Sezione, con la sentenza del 18 settembre 1998, n. 2922, ha accolto il ricorso, annullando le deliberazioni n. 338 e n. 292. Il Comune di Bisaccia ha proposto appello avverso tale pronuncia, domandandone la riforma. Non si sono costituite in appello né la società controinteressata né le altre società alle quali l’appello è stato notificato. All’udienza del 3 giugno 2008, il ricorso in appello è stato ritenuto per la decisione. DIRITTO La 1^ Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con la sentenza del 18 settembre 1998, n. 2922, ha annullato, su ricorso della Società Edilgeo, la deliberazione della Giunta Municipale del 14 ottobre 1997, n. 338, con la quale il Comune di Bisaccia ha individuato la società Tecnoservizi, s.n.c., come socio di minoranza della costituenda società mista per la gestione dell’impianto di metanizzazione "Gescom". La sentenza ha annullato anche la deliberazione della Giunta Municipale del predetto Comune del 4 settembre 1997, n. 292, di approvazione dell’avviso pubblico per la selezione del socio della costituenda società mista. L’appello proposto dal Comune di Bisaccia avverso tale sentenza è infondato. Come correttamente ha evidenziato il Tribunale Amministrativo Regionale, nella presente controversia non viene in rilievo la questione, riproposta anche in appello dal Comune di Bisaccia, se sia necessario o meno per la scelta del socio di minoranza di una società mista di iniziativa comunale il ricorso a procedure di evidenza pubblica. Nella specie, infatti, lo stesso Comune, nella deliberazione della Giunta Municipale del 4 settembre 1997, n. 292, ha stabilito di indire una procedura di evidenza pubblica per la scelta del socio di minoranza della costituenda società mista comunale per la gestione dell’impianto di metanizzazione "Gescom". Dal bando di gara, poi, emerge che tale procedura ha la finalità di scegliere il socio privato, "in maniera trasparente e democratica e con tutte le garanzie di competenza tecnico-professionale e di solidità economica". Il Comune, nonostante tali presupposti, non ha posto in essere alcun atto che potesse configurare la preannunciata procedura concorsuale (con la predisposizione di criteri di valutazione dei concorrenti, la nomina di una commissione, la valutazione concorrenziale dei concorrenti, ed altro) ma ha individuato direttamente, come socio della costituenda società mista, la Tecnoservizi, la società, cioè, che gia aveva in gestione il servizio fin dal 1995. La illegittimità di tale determinazione è evidente ed è stata sanzionata con l’annullamento dal giudice di primo grado della deliberazione della Giunta Municipale del 14 ottobre 1997. In appello, il Comune di Bisaccia ha dedotto di non avere voluto porre in essere "una formale procedura di selezione mediante le forme dell’asta pubblica o della licitazione privata", ma di avere ugualmente perseguito l’obiettivo di procedere alla selezione del socio "in maniera trasparente, democratica e con tutte le garanzie di competenza tecnico-professionale e di solidità economica" attraverso una procedura negoziata preceduta da un avviso pubblico. L’avviso pubblico, sostiene ancora il Comune appellante, lungi dal rappresentare la volontà di indire una formale gara, ha avuto il solo scopo di raccogliere le disponibilità di tutte le imprese private in possesso dei requisiti minimi di affidabilità con cui, quindi, avviare la procedura negoziata. Del resto, la scelta della Tecnoservizi, precedente gestore del servizio, a detta del Comune, sarebbe stata molto conveniente per l’amministrazione, in quanto tale impresa aveva già dato prova della sua idoneità e 42 adeguatezza nell’espletamento del servizio dal quale sono derivati molti vantaggi all’ente appellante (mantenendo inalterato il costo del servizio senza alcun aumento, raddoppiando il numero degli utenti, realizzando notevoli ampliamenti di rete, eseguendo numerosi lavori di ristrutturazione degli impianti, incrementando il fatturato, specializzando il personale locale ed altro). Tali argomenti, contrariamente all’obiettivo prefissosi dall’ente appellante di difendere gli atti impugnati in primo grado, valgono solo a sottolineare che il Comune, contraddicendo alle prescrizioni che esso stesso si era imposto, è venuto meno all’obbligo di porre in essere la procedura concorsuale, che aveva stabilito di effettuare nella deliberazione n. 292 del 1997, e ha proceduto alla scelta del socio in base a valutazioni eseguite liberamente senza la previa fissazione di criteri selettivi. Il Comune era invece tenuto al rispetto di tale obbligo, principalmente in considerazione che una procedura concorsuale era stata prevista per dare concretezza ai principi informatori delle gare pubbliche che sono principalmente quelli di trasparenza, di concorrenzialità e di "par condicio". Ciò senza dire che la scelta del socio, secondo principi divenuti ormai "ius receptum", non si può sottrarre ai suddetti principi di concorrenzialità e di par condicio, sia che si tratti di società miste di maggioranza che di società miste di minoranza, indipendentemente dalla esistenza di specifiche norme, essendo ormai considerato immanente nell’ordinamento il principio dell’evidenza pubblica ogni qualvolta occorra individuare un operatore privato al quale affidare attività per conto e nell’interesse della pubblica amministrazione. Le considerazioni fin qui svolte sono sufficienti a confutare anche le ulteriori argomentazioni svolte dal Comune di Bisaccia, tutte rivolte a sostenere la legittimità della scelta del socio della costituenda società mista mediante la realizzata forma di negoziazione diretta. L’appello del Comune di Bisaccia, in conclusione, va respinto. Nulla è da disporre in ordine alle spese del secondo grado del giudizio non essendosi costituite le società appellate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione, rigetta l’appello. Nulla per le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa. Così deciso, in Roma,in Camera di Consiglio, il 3 giugno 2008, con l'intervento dei signori: Raffaele Iannotta Presidente Claudio Marchitiello Consigliere est. Aniello Cerreto Consigliere Nicola Russo Consigliere Giancarlo Giambartolomei Consigliere L’ESTENSORE IL PRESIDENTE F.to Claudio Marchitiello F.to Raffaele Iannotta IL SEGRETARIO F.to Agatina Maria Vilardo DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 28/10/08 (Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186) IL DIRIGENTE 43 TAR LOMBARDIA - MILANO, SEZ. III - sentenza 10 dicembre 2008 n. 5758 - Pres. Giordano, Est. De Berardinis - Pizzamiglio Andrea S.r.l. (Avv.ti Ruscigno, Basile e Mantini) c. Comune di S. Martino Siccomario (Avv.ti Robecchi Majnardi ed Aiani) e A.S.M. Pavia S.p.A. (Avv. Colucci) N. 5758/08 Reg. Sent. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA (Sezione III) ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso con motivi aggiunti R.G. n. 2928/2005, proposto dalla Pizzamiglio Andrea S.r.l., in persona del suo Amministratore Unico, sig.ra Maria Luisa Pizzamiglio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Costantino Ruscigno, Francesco Basile e Pierluigi Mantini e con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Milano via Morigi n. 2/A contro il Comune di S. Martino Siccomario, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Ambrogio Robecchi Majnardi e Maria Luigia Aiani e con domicilio eletto presso lo studio della seconda, in Milano, via Fontana 25 e contro la A.S.M. Pavia S.p.A., in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Martino Colucci e con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R., in Milano, via del Conservatorio 13 a) quanto al ricorso originario per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, - della deliberazione del Consiglio Comunale di S. Martino Siccomario n. 31 del 30 giugno 2005, pubblicata all’Albo Pretorio del Comune dal 7 al 21 luglio 2005, recante l’affidamento del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e dei servizi attinenti all’igiene ambientale all’A.S.M. Pavia S.p.A.; - in via incidentale e per quanto occorrer possa, della deliberazione del Consiglio Comunale di S. Martino Siccomario n. 12 del 15 marzo 2002, avente ad oggetto l’approvazione dei patti parasociali relativamente alla partecipazione azionaria del Comune di S. Martino Siccomario all’A.S.M. Pavia S.p.A.; - di tutti gli atti preordinati, consequenziali o comunque connessi. b) quanto ai motivi aggiunti, depositati il 12 maggio 2008 per l’annullamento - della deliberazione del Consiglio Comunale di S. Martino Siccomario n. 11 del 27 marzo 2008, recante modifiche allo statuto dell’A.S.M. Pavia S.p.A. ed alla convenzione tra i Comuni soci che affidano servizi alla predetta società, nonché determinazioni sull’affidamento del servizio di igiene urbana in base all’art. 113, comma 5, del T.U.E.L.; 44 - di ogni altro atto preordinato, conseguente e connesso, tra cui, in particolare, la deliberazione del Consiglio Comunale di S. Martino Siccomario del 20 dicembre 2007, n. 66 e per la condanna dell’Amministrazione comunale al risarcimento del danno subito dalla ricorrente, in forma specifica o, in via subordinata, per equivalente. VISTO il ricorso con i relativi allegati; VISTI gli atti di costituzione in giudizio del Comune di S. Martino Siccomario e dell’A.S.M. Pavia S.p.A.; VISTA la domanda di sospensione dei provvedimenti impugnati con il ricorso originario, proposta in via incidentale dalla società ricorrente e preso atto del suo rinvio al merito; VISTO l’atto di rinunzia al mandato depositato dai difensori della ricorrente; VISTI, altresì, gli atti di conferimento di nuovo mandato da parte della medesima ricorrente; VISTO il ricorso per motivi aggiunti depositato il 12 maggio 2008; VISTE le memorie ed i documenti depositati dalle parti a sostegno delle rispettive tesi e difese; VISTI gli atti tutti della causa; NOMINATO relatore alla pubblica udienza del 3 luglio 2008 il Referendario dr. Pietro De Berardinis ed udito lo stesso; UDITI, altresì, i difensori presenti delle parti costituite, come da verbale; RITENUTO in fatto e considerato in diritto quanto segue FATTO La ricorrente, Pizzamiglio Andrea S.r.l., espone di essere una società esercitante la propria attività imprenditoriale nel settore della gestione dei rifiuti, con particolare riferimento all’espletamento dei servizi di nettezza urbana, raccolta e trasporto dei rifiuti, e di avere, perciò, interesse a partecipare a gare di appalto per l’affidamento del servizio di igiene urbana da parte degli Enti locali. Questo interesse è ancora più spiccato nei confronti dei servizi relativi ai Comuni della Provincia di Pavia, poiché la società ha la propria sede, anche operativa, per l’appunto nella Provincia di Pavia (nel Comune di Siziano). Con deliberazione del Consiglio Comunale n. 31 del 30 giugno 2005, pubblicata all’Albo Pretorio dal 7 al 21 luglio 2005, il Comune di S. Martino Siccomario ha disposto di affidare il servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani nel territorio comunale, nonché i servizi attinenti all’igiene ambientale del Comune, alla società A.S.M. Pavia S.p.A., per un periodo di sette anni. Tale affidamento, peraltro, non è stato preceduto da alcuna procedura di confronto concorrenziale, ad evidenza pubblica o in via informale, ma è stato disposto in via diretta, ai sensi della disciplina dettata, in tema di affidamento dei servizi pubblici, dall’art. 113, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000, nel testo modificato dall’art. 14 del d.l. n. 269/2003 (conv. con l. n. 326/2003). Ciò, in quanto secondo il Comune nel caso di specie ricorrerebbero le condizioni che, in base a detta norma, consentono che l’erogazione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica avvenga anche a mezzo di società a capitale interamente pubblico (senza procedura ad evidenza pubblica). 45 Tali condizioni – 1) sussistenza, in capo all’Ente o agli Enti pubblici titolari del capitale sociale, di un controllo sulla società analogo a quello esercitato sui propri servizi, e 2) realizzazione, da parte della società stessa, della parte più importante della propria attività con l’Ente o con gli Enti che la controllano – ricorrerebbero, infatti, con riguardo ad A.S.M. Pavia S.p.A., nonostante la partecipazione in essa del Comune di S. Martino Siccomario sia pari solo allo 0,01%, poiché i poteri di controllo in capo agli Enti pubblici partecipanti previsti dallo statuto societario sarebbero tali da consentire agli stessi "l’esercizio in posizione predominante nei rapporti societari". Inoltre, il complesso delle attività della società verrebbe svolto principalmente a favore degli Enti pubblici partecipanti. Dolendosi che la suddetta deliberazione le ha precluso la possibilità di partecipare alla gara per l’affidamento del servizio, la società esponente l’ha impugnata con il ricorso in epigrafe, chiedendone l’annullamento, previa sospensione. A supporto del gravame la Pizzamiglio Andrea S.r.l.(che ha impugnato pure in via incidentale la deliberazione consiliare con cui il Comune di S. Martino Siccomario ha stabilito di sottoscrivere la quota dello 0,01% dell’A.S.M. Pavia S.p.A. al fine di procedere eventualmente alla gestione dei servizi pubblici ad esso facenti capo con il metodo dell’affidamento diretto) ha dedotto le censure di: - violazione e falsa applicazione dell’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000, eccesso di potere per sviamento e carenza di legittimo presupposto, motivazione pretestuosa, giacché l’art. 113 cit. non consentirebbe l’affidamento diretto del servizio in casi – come quello in esame – in cui l’Ente locale affidante sia titolare di una percentuale irrisoria del capitale sociale della S.p.A. affidataria e manchi qualsivoglia accordo che assicuri altrimenti al predetto Ente locale l’esercizio di un effettivo potere di direzione e controllo sulla gestione della società; - violazione della direttiva 92/50/CEE, nonché del d.lgs. n. 157/1995, degli artt. 12, 43, 46, 49 e 89 del Trattato di Roma e dei principi di non discriminazione, parità di trattamento e trasparenza, perché il diritto comunitario non consentirebbe l’affidamento senza gara del servizio di raccolta rifiuti da parte di un Ente locale in favore di una società per azioni, ancorché partecipata, in tutto o in parte, dall’Ente affidante, atteso che, nella vicenda in esame, il ricorso allo strumento societario escluderebbe la configurabilità di quel "controllo analogo", in presenza del quale si ammette l’affidamento diretto (il cd. affidamento in house); - eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, nonché apoditticità, pretestuosità, irrilevanza e genericità della motivazione, illogicità manifesta e contraddittorietà, violazione dell’art. 97 Cost., violazione dell’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000 sotto ulteriore profilo e violazione dei principi di efficacia, efficienza e economicità, in quanto, da un lato, il Comune non avrebbe dato alcuna appropriata giustificazione della scelta di gestire il servizio tramite A.S.M. Pavia S.p.A. al di fuori di una selezione concorsuale, dall’altro lato del tutto irrazionali sarebbero le motivazioni addotte illo tempore a fondamento della deliberazione con la quale il Comune medesimo si era determinato a sottoscrivere una partecipazione azionaria nell’A.S.M. Pavia S.p.A.. Si è costituito il Comune di S. Martino Siccomario, depositando memoria in vista della discussione sull’istanza di sospensiva, con cui ha preliminarmente eccepito l’irricevibilità del ricorso quanto all’impugnazione della deliberazione consiliare n. 12 del 15 marzo 2002. Ha poi eccepito l’insussistenza del fumus boni juris e del periculum in mora, chiedendo la reiezione dell’istanza cautelare. Si è costituita pure l’A.S.M. Pavia S.p.A., eccependo l’inammissibilità del ricorso per omessa tempestiva impugnazione della deliberazione consiliare n. 12/2002 (di cui la deliberazione n. 31/2005 costituirebbe mera attuazione sul piano del servizio rifiuti), nonché, a propria volta, l’assenza dei presupposti per la concessione della tutela cautelare e chiedendo, perciò, la reiezione della relativa istanza. Nella Camera di Consiglio del 17 novembre 2005, su richiesta dei difensori, la causa è stata rinviata al merito. In prossimità dell’udienza pubblica del 12 aprile 2006, poi rinviata su richiesta delle parti, queste ultime hanno depositato tutte una memoria difensiva a sostegno delle rispettive tesi. Con nota depositata il 13 ottobre 2006 i difensori della società ricorrente hanno comunicato di aver rinunciato al mandato. 46 Nel frattempo, in vista dell’udienza del 19 ottobre 2006 era stata presentata nuova istanza di rinvio (per pendenza di trattative tra le parti), con atto recante a margine il conferimento di nuovo mandato difensivo ad opera della ricorrente. Anche l’udienza pubblica del 19 ottobre 2006 veniva quindi rinviata e così pure la successiva, fissata al 27 marzo 2008 (sempre su richiesta delle parti). Con ricorso per motivi aggiunti depositato in data 12 maggio 2008, la Pizzamiglio Andrea S.r.l. ha impugnato la deliberazione del Consiglio Comunale di S. Martino Siccomario n. 11 del 27 marzo 2008, con la quale il Comune ha approvato alcune modifiche allo statuto dell’A.S.M. Pavia S.p.A. ed alla convenzione tra i Comuni soci che affidano servizi a detta società, ed ha, altresì, confermato l’affidamento a A.S.M. Pavia S.p.A., senza gara, dei "servizi di igiene urbana" (e cioè del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, e dei servizi attinenti l’igiene ambientale) fino al 31 luglio 2012. La ricorrente ha inoltre impugnato la deliberazione del Consiglio Comunale di S. Martino Siccomario n. 66 del 20 dicembre 2007, recante approvazione del nuovo statuto di A.S.M. Pavia S.p.A. e della convenzione tra i Comuni soci che affidano servizi a siffatta società , nonché la revoca della deliberazione n. 12 del 15 marzo 2002 (gravata con il ricorso originario). A supporto dei motivi aggiunti la società ha formulato, con un unico motivo di gravame, le doglianze di: - violazione dell’art. 113, comma 5, n. 3, del d.lgs. n. 267/2000, nonché dell’art. 6 della direttiva n. 92/50/CEE e dell’art. 49, primo comma, del Trattato, ed eccesso di potere nelle sue varie figure sintomatiche, in quanto le modifiche statutarie e la adesione alla convenzione costitutiva di uno speciale organismo – l’Assemblea di coordinamento e controllo intercomunale – non sarebbero sufficienti a costituire il requisito del "controllo analogo", necessario per giustificare l’affidamento diretto ai sensi dell’art. 113, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000. In vista dell’udienza di merito, tutte le parti hanno presentato memorie. In particolare, mentre la ricorrente ha insistito nelle proprie tesi, il Comune di S. Martino Siccomario ha ulteriormente eccepito l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, perché questi non propongono alcun gravame nei confronti della deliberazione del Consiglio Comunale n. 66 del 20 dicembre 2007, rispetto alla quale la deliberazione n. 11 del 27 marzo 2008 si porrebbe come atto meramente confermativo, nonché l’irricevibilità di esso, avuto riguardo alla data (21 gennaio 2008) di pubblicazione della deliberazione n. 66/2007. Nel merito, ha poi insistito per la complessiva infondatezza del gravame, concludendo per il suo rigetto. Dal canto suo, l’A.S.M. Pavia ha eccepito la sopravvenuta carenza di interesse sul ricorso originario, per effetto del riaffidamento del servizio nel rinnovato contesto istituzionale e societario e non potendosi prefigurare alcun legame tra il gravame originario ed un’eventuale pretesa risarcitoria. Ha poi eccepito l’infondatezza del ricorso per motivi aggiunti, concludendo per la sua reiezione (inclusa la domanda di risarcimento dei danni). All’udienza del 3 luglio 2008 la causa è stata riservata per la decisione. DIRITTO Il ricorso in epigrafe attiene alla complessa vicenda dell’affidamento, da parte del Comune resistente, dei "servizi di igiene urbana" (comprensivi della raccolta, del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, nonché dei servizi attinenti l’igiene ambientale) fino al 2012 senza gara, poiché ritenuto dall’Amministrazione ricompreso nel cd. in house providing, ai sensi dell’art. 113, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 267/2000. Iniziando l’analisi dal ricorso originario, vanno innanzitutto esaminate le eccezioni pregiudiziali sollevate dalle difese della resistente e della controinteressata. In particolare, il Comune di S. Martino Siccomario ha eccepito l’irricevibilità del gravame per quanto concerne l’impugnazione della deliberazione consiliare n. 12 del 15 marzo 2002, la quale si porrebbe, rispetto alla deliberazione di affidamento del servizio, come atto presupposto già di per sé lesivo degli interessi della società ricorrente (che perciò avrebbe dovuto tempestivamente impugnarla). 47 In senso analogo – ma illustrandone in modo più compiuto le ricadute giuridiche – si è espressa anche l’A.S.M. Pavia S.p.A., che ha eccepito l’inammissibilità in toto del ricorso originario per la mancata tempestiva impugnazione della menzionata deliberazione consiliare n. 12/2002. Ciò, alla luce dell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’incisione degli interessi delle imprese operanti nel settore si produce con il provvedimento attraverso il quale il Comune, a monte, opta per la forma di gestione del servizio pubblico locale che esclude il ricorso al mercato, e non con il provvedimento che, a valle, opera l’affidamento della gestione. Sempre in via pregiudiziale, l’A.S.M. Pavia eccepisce poi, nell’ultima memoria, la sopravvenuta carenza di interesse sul ricorso originario, giacché il servizio sarebbe stato riaffidato con la deliberazione n. 11/2008, impugnata con i motivi aggiunti, con il corollario che, nel mutato contesto istituzionale e societario, l’affidamento troverebbe completo ed espresso fondamento nella predetta deliberazione, senza che sussista più alcun interesse in merito alla deliberazione del 2005 di originario affidamento del servizio, neppure in correlazione a pretese risarcitorie. Nessuna delle eccezioni ora esposte può essere condivisa. Ed invero, iniziando l’esame dalle eccezioni incentrate sulla mancata tempestiva impugnazione della deliberazione consiliare n. 12 del 15 marzo 2002, la lettura di quest’ultima porta ad escludere che essa sia in qualche modo direttamente lesiva degli interessi della ricorrente. A tale esclusione conduce soprattutto il punto 1 del dispositivo della deliberazione in parola, lì dove è detto esplicitamente che la partecipazione azionaria ad A.S.M. Pavia S.p.A. (per un importo di € 5.000,00) è stata decisa "al fine eventualmente di procedere alla gestione dei servizi pubblici ad esso (sic) facenti capo attraverso il modello organizzativo" introdotto dall’art. 22, lett. e), della l. n. 142/1990, ossia dall’attuale art. 113, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 267/2000. Ne deriva che all’epoca in cui, con la deliberazione de qua, il Comune resistente decise di entrare nel capitale azionario di A.S.M. Pavia S.p.A., nessuna decisione era stata ancora presa circa le modalità di gestione del servizio rifiuti e degli altri "servizi di igiene urbana", essendo reputata, quella della gestione con affidamento diretto tramite il cd. in house providing, una semplice eventualità. Nello stesso senso, inoltre, depone anche la premessa della deliberazione n. 12 cit., lì dove si legge che "nel caso si scelga di gestire il servizio direttamente a mezzo di una società di capitali, costituita o partecipata, non vi è necessità di confronti concorrenziali". Anche da questo passaggio, quindi – ma ancor più nettamente dal paragrafo del dispositivo della deliberazione più sopra riportato – si evince come la scelta della gestione tramite il cd. in house providing fosse considerata, a quel tempo, in termini di mera eventualità: rispetto ad essa, certo, l’acquisizione della partecipazione azionaria nell’A.S.M. Pavia S.p.A. si presentava come strettamente strumentale; tuttavia, a giudicare dal tenore della deliberazione, nessuna decisione definitiva circa le modalità di gestione del servizio rifiuti era stata ancora presa, in linea di principio non potendosi escludere che questo servizio sarebbe stato ancora gestito selezionando l’affidatario con procedura di gara. In altri termini, secondo il Collegio non risulta verosimile che la ricorrente potesse e dovesse, all’indomani dell’approvazione della deliberazione consiliare n. 12 del 2002, impugnarla immediatamente perché prefigurante – in termini, però, di mera eventualità – una futura possibile gestione dei servizi pubblici locali con il metodo del cd. in house providing, senza peraltro specificare di quali servizi si trattasse ed in particolare senza indicare esplicitamente se quello di raccolta e smaltimento dei rifiuti vi fosse ricompreso. È fin troppo verosimile, invece, che se la società avesse così agito, il Comune resistente le avrebbe eccepito l’inammissibilità del gravame per mancanza di una lesione diretta ed attuale e per l’esistenza di una lesione solo potenziale, magari descrivendo l’iniziativa giudiziale della società come un vero e proprio processo alle intenzioni, ancora non tradottesi in iniziative concrete, della Amministrazione comunale. Per queste ragioni – e cioè per le modalità di formulazione della deliberazione del Consiglio Comunale n. 12/2002, che (saggiamente) lasciavano margini di ampia discrezionalità all’Amministrazione circa le future scelte in ordine alle modalità di gestione dei servizi pubblici locali, limitandosi a predisporre le condizioni per una loro eventuale, futura gestione con il cd. in house providing (rectius, quello che il Comune considerava tale) – il Collegio reputa non congruenti ed anzi fuorvianti i richiami giurisprudenziali operati dalla difesa comunale e da quella della società controinteressata. 48 A ben vedere, infatti, i precedenti giurisprudenziali citati si riferiscono a vicende in cui le Amministrazioni locali avevano agito ben diversamente. Per es., nel caso esaminato da C.d.S., Sez. V, 30 giugno 2003, n. 3864, il Supremo Consesso ha optato per la necessità dell’immediata impugnazione delle delibere con cui i Comuni avevano deciso di costituire una società (peraltro mista e quindi al di fuori del concetto di in house) e di acquisirne una partecipazione alla stregua del contenuto dei provvedimenti controversi. In particolare, si è ritenuta decisiva la ripetuta affermazione, nelle indicate delibere, della preordinazione delle relative determinazioni al successivo affidamento diretto alla Qualità e Servizi del servizio di refezione delle scuole comunali e del concorso delle appellanti alla procedura indetta dal Comune per la selezione del partner privato della società mista (con il corollario della comunicazione diretta alle suddette appellanti dell’esito, per esse sfavorevole, della gara). Sono evidenti, pertanto, le differenze tra la fattispecie analizzata dal Consiglio di Stato e quella oggetto del ricorso in epigrafe, in special modo perché nella prima le delibere comunali specificavano di che servizio si trattasse, mentre nella gravata deliberazione n. 12/2002 – come già detto – il riferimento al modello gestionale dell’in house non solo è ipotetico ed eventuale, ma, soprattutto, è genericamente svolto in relazione all’indistinto novero dei servizi pubblici locali. Ancora più netta, sotto questo aspetto, è la differenza rispetto al caso deciso da C.d.S., Sez. V, 30 agosto 2005, n, 4428, nel quale, come sottolineato dal Supremo Consesso, dal tenore della deliberazione di acquisizione della partecipazione nella società mista si ricavava inequivocabilmente che l’acquisizione stessa era rivolta proprio al successivo conferimento alla società del servizio di igiene urbana, tanto che nel medesimo atto si specificava che con provvedimenti successivi si sarebbe provveduto all’affidamento diretto in tal senso. Né paiono davvero convincenti, quantomeno con riferimento alla fattispecie qui in esame, le contrarie argomentazioni ricavabili da C.d.S., Sez. V, 3 febbraio 2005, n. 272, secondo cui la costituzione di una società mista cui affidare direttamente la gestione di servizi di competenza comunale pone a carico delle imprese di settore l’onere dell’immediata impugnazione della delibera di costituzione. Infatti, ove la delibera stessa potesse essere impugnata successivamente, in concomitanza con l’affidamento diretto del servizio pubblico alla società mista, l’Ente locale che ha provveduto a costituirla, con evidente impegno economico, resterebbe in perpetuo esposto all’annullamento del relativo atto costitutivo, con ovvia compromissione negativa della propria azione organizzativa dei servizi che è tenuto ad assicurare alla collettività. Tuttavia, nel caso oggetto del presente giudizio – in disparte il rilevante elemento che non si tratta di società mista – l’impegno economico del Comune resistente, e cioè una partecipazione per € 5.000,00, pari allo 0,01% del capitale della società, è del tutto insignificante. Né può ipotizzarsi alcuna compromissione dell’organizzazione e della gestione dei servizi pubblici locali, tenuto conto – si ribadisce – che all’epoca dell’acquisizione della partecipazione il ricorso all’affidamento in house era prospettato come mera eventualità per il futuro. In definitiva, la suesposta eccezione di inammissibilità e/o di irricevibilità (almeno parziale) del ricorso originario deve essere respinta. Va parimenti respinta, inoltre, l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse, in ragione del fatto che l’affidamento diretto del servizio di igiene urbana troverebbe ora completo ed espresso fondamento nella deliberazione consiliare n. 11/2008 (la quale avrebbe perciò assorbito e sostituito quella n. 31/2005, gravata con il ricorso originario). In senso contrario, infatti, è sufficiente richiamare l’oramai consolidato indirizzo giurisprudenziale, seguito anche da questo Tribunale (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 15 marzo 2007, n. 434), secondo cui, in linea generale, l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse è fondata sull’accertamento, da parte del giudice, dell’inesistenza delle condizioni per l’adozione della decisione giurisdizionale richiesta dal ricorrente a tutela di una concreta situazione giuridica di vantaggio. Ciò si verifica quando, a seguito di una rigorosa indagine in merito all’utilità ricavabile dalla definizione del ricorso, vi sia un sicuro convincimento che le modifiche della situazione di fatto o di diritto, intervenute in corso di causa, impediscono di riconoscere in capo al ricorrente alcun interesse, anche meramente strumentale o morale, alla decisione nel merito (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. VI, 27 luglio 2007, n. 4174; id., Sez. IV, 19 giugno 2007, n. 3297; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 20 febbraio 2008, n. 1542). 49 Al riguardo si è quindi precisato che la persistenza dell’interesse alla decisione va valutata considerando anche le possibili ulteriori iniziative attivate o attivabili dal ricorrente per soddisfare la pretesa vantata (per es. di natura risarcitoria), od ogni possibile effetto pregiudizievole, pur indiretto, tuttora derivante dal provvedimento impugnato (T.A.R. Lazio, Roma, n. 1542/2008, cit.). Non vale, perciò, obiettare, come fa la difesa dell’A.S.M. Pavia S.p.A., che quanto alla deliberazione di originario affidamento, non vi sarebbe ormai alcun interesse, nemmeno ricollegabile ad una pretesa risarcitoria, giacché il ricorso non contiene una consimile domanda e quella formulata nei motivi aggiunti, peraltro solamente nel petitum, sarebbe nulla per la sua assoluta genericità. Infatti, alla stregua dei principi enunciati dalla giurisprudenza amministrativa, per la quale l’azione risarcitoria è ammissibile solo a condizione che venga coltivato con successo il giudizio di annullamento del provvedimento illegittimo, impugnato tempestivamente (cfr., ex multis, C.d.S., A.P., 26 marzo 2003, n. 4), nel caso qui in esame occorre in prima battuta valutare la fondatezza delle domande demolitorie proposte con il ricorso originario e con quello per motivi aggiunti, e solo in esito a detto giudizio sarà possibile esprimersi sull’ammissibilità ed eventualmente sulla fondatezza della domanda di risarcimento. In definitiva, pertanto, il ricorso originario risulta ricevibile, ammissibile e tuttora procedibile. Esso è anche sicuramente fondato. Ciò si desume con certezza anche dallo stesso operato del Comune resistente ed in particolare dal contenuto della deliberazione consiliare n. 11 del 27 marzo 2008. In tale provvedimento, infatti, l’Ente locale ha mostrato un’acuta consapevolezza del carattere totalmente insufficiente delle iniziative assunte fino a quel momento ai fini della giuridica configurabilità della fattispecie per cui è causa in termini di in house providing, ex art. 113, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 267/2000. Analoga consapevolezza mostrano anche le deliberazioni del Consiglio Comunale nn. 54 del 21 settembre 2006 e 66 del 20 dicembre 2007, recanti rispettivamente l’approvazione della convenzione che disciplina il Comitato di coordinamento dei Comuni che effettuano l’affidamento diretto di servizi ad A.S.M. Pavia S.p.A., e la approvazione del nuovo statuto di quest’ultima società, nonché della convenzione tra i Comuni soci. Nello specifico, in tutte queste deliberazioni il Comune ha mostrato di aver inteso che nessuno degli strumenti giuridici fino a quel momento approntati era idoneo a garantire quel requisito del "controllo analogo" richiesto dalla normativa nazionale e, prima ancora, dalla giurisprudenza comunitaria, perché si possa giustificare un modulo organizzativo, quale l’in house providing, che si configura come deroga ai principi comunitari di concorrenza, non discriminazione e trasparenza (cfr. C.d.S., A.P., 3 marzo 2008, n. 1). In altri termini, è dal medesimo contenuto delle deliberazioni consiliari ora citate che si ricavano elementi probatori che dimostrano come, all’epoca dell’originario affidamento diretto dei servizi di igiene urbana con la deliberazione gravata con il ricorso originario, non vi fossero le condizioni giuridiche per effettuare il suddetto affidamento diretto, mancando nella fattispecie i requisiti dell’in house providing e, innanzitutto, il cd. controllo analogo. È evidente, invece, che se un simile requisito – indispensabile, in quanto vale ad escludere che l’affidatario sia soggetto terzo rispetto all’Ente locale affidante, ciò che giustifica la deroga al principio dell’affidamento mediante gara – fosse stato presente sin dall’inizio, i Comuni soci di A.S.M. Pavia S.p.A, non avrebbero avuto l’esigenza di intervenire pesantemente, come si vedrà, sullo statuto della predetta società, per adeguare la strumentazione giuridica approntata. Né si può obiettare che gli ulteriori interventi di "adeguamento" si sarebbero resi necessari in ragione delle successive evoluzioni della giurisprudenza comunitaria sulla nozione di in house ed in specie di "controllo analogo", come si coglie dalle premesse della deliberazione consiliare n. 54 del 21 settembre 2006. Ed invero, all’epoca dell’originario affidamento del servizio era già maturato nella giurisprudenza comunitaria un indirizzo tale da far escludere la configurabilità, nel caso di specie, del requisito del controllo analogo. Sul punto, infatti, anche a non voler far riferimento alla nota sentenza della Corte di Giustizia "Parking Brixen" – resa in causa C-458/03 il 13 ottobre 2005 e quindi di poco posteriore alla deliberazione n. 31 del 30 50 giugno 2005 – basta rammentare alcuni passaggi delle precedenti sentenze "Stadt Halle" dell’11 gennaio 2005, resa in causa C-26/03 e "Coname" resa il 21 luglio 2005 in causa C-231/03 (e pertanto praticamente coeva alla deliberazione n. 31/2005). Si ha riguardo, in particolare, al punto 26 della sentenza "Corame", lì dove viene affermato che una società (nel caso deciso: l’affidataria diretta del servizio per la gestione della distribuzione e la manutenzione degli impianti di gas metano) aperta almeno in parte al capitale privato, già soltanto per questo motivo non può essere equiparata ad una struttura mediante cui un Comune gestisce, a livello interno, un servizio pubblico. Si ha riguardo, altresì, al punto 49 della sentenza "Stadt Halle", lì dove è affermato che la partecipazione anche minoritaria di un’impresa privata al capitale di una società cui partecipi anche un’Amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale Amministrazione possa esercitare su detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi. Orbene, dalla lettura del testo dello statuto dell’A.S.M. Pavia all’epoca vigente (v. doc. 9 della difesa della società) emerge che lo statuto societario non precludeva la acquisizione di quote societarie da parte di soggetti privati, come invece ha fatto il nuovo testo dello statuto approvato con la deliberazione n. 66 del 2007 (v. doc. 2 prodotto dalla difesa comunale il 12 marzo 2008). In particolare, l’art. 1, comma 4, del nuovo testo dello statuto prevede espressamente che dell’A.S.M. Pavia S.p.A. possano essere soci solo Enti pubblici (Enti locali ed altri Enti pubblici cui la legge lo consenta, purché ciò sia compatibile con il modulo del cd. in house). Già questo elemento – e cioè il fatto che, all’epoca, la partecipazione alla società affidataria diretta del servizio fosse aperta anche agli investitori privati – bastava a far escludere che nella fattispecie ricorressero gli estremi del controllo analogo e che, pertanto, sussistessero le condizioni per procedere all’affidamento diretto del servizio, ex art. 113, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 267 cit.. Ciò, in quanto l’apertura al capitale privato significa apertura ad un investimento che, come rammenta la sentenza "Stadt Halle", risponde a considerazioni proprie degli interessi privati e persegue obiettivi di natura diversa da quelli di interesse pubblico, che sono invece perseguiti dall’Autorità pubblica nel suo rapporto con i propri servizi (cfr. punto 50). Vero è che la recentissima sentenza della Corte di Giustizia CE del 17 luglio 2008, resa in causa C-371/05, ha affermato che la possibilità per i privati di partecipare al capitale della società affidataria non basta ad escludere il controllo analogo, in assenza di una partecipazione effettiva dei privati stessi al momento della stipula della convenzione di affidamento. Per ragioni di certezza del diritto, l’obbligo di un’Amministrazione aggiudicatrice di procedere ad una gara di appalto va, infatti, valutato alla luce delle condizioni esistenti alla data dell’affidamento. Nondimeno, aggiunge la Corte di Giustizia, ove risulti che l’apertura del capitale a soci privati era prevista (o comunque non esclusa) sin dall’assegnazione del servizio, si dovrà verificare se vi sia stata una partecipazione effettiva dei privati successivamente a detta assegnazione. In questo senso, occorre allora evidenziare tutte quelle previsioni dello statuto che danno credito alla presenza anche di interessi privati nella compagine sociale: per es. l’art. 5, comma 4, lì dove si prevede la possibilità di un aumento del capitale mediante l’emissione di azioni a favore dei prestatori di lavoro, o gli artt. 10 e 11, dove si detta la disciplina per il trasferimento delle azioni, prevedendosi un diritto di prelazione a favore dei soci ed ove questo non sia esercitato, il gradimento del consiglio di amministrazione per gli atti di trasferimento inter vivos delle azioni stesse. Ad avviso del Collegio, queste previsioni sono qualcosa di ben diverso e ben di più di quell’apertura solo potenziale al capitale privato, ritenuta insufficiente dalla sentenza della Corte di Giustizia appena citata, poiché in realtà per concludere che nel caso qui in esame l’apertura al capitale privato non abbia alcun valore concreto si dovrebbe ammettere: a) da un lato, la pratica inoperatività dell’art. 5, comma 4, dello statuto, che non potrebbe mai trovare applicazione, a pena in caso contrario di far venir meno il cd. controllo analogo; l’inserimento di detta clausola nello statuto verrebbe allora ad essere privo di senso. Non a caso, del resto, una simile clausola non appare nella nuova formulazione dell’art. 5, comma 4, dello statuto dell’A.S.M. Pavia (che è del tutto diversa dalla precedente); b) dall’altro lato, l’inutilità delle clausole statutarie che subordinano al gradimento del consiglio di amministrazione l’ingresso di nuovi soci, dovendosi considerare evidente che tale gradimento sia 51 essenzialmente, se non esclusivamente, rivolto a vagliare la possibilità dell’ingresso in società dei privati (e, pertanto, l’affidabilità economica, professionale, morale, ecc. di questi). Va rilevato, poi, che nella vicenda ora analizzata non è possibile alcuna verifica a posteriori di un ingresso di privati nell’A.S.M. Pavia successivo all’affidamento del servizio, essendo intervenuta a stretto giro di posta, in palese connessione con la presente vicenda processuale, una serie di modifiche dello statuto societario tali da escludere un simile ingresso. Dalla lettura dello statuto non è affatto desumibile, inoltre, quel nesso di stretta consequenzialità logica tra possesso dell’intero capitale sociale in mano pubblica e modalità di affidamento del servizio pubblico, che la difesa della controinteressata pretende di rinvenire. Né si può ribattere che una conclusione come quella appena prospettata sarebbe formalistica o troppo rigorosa, giacché, atteso il carattere derogatorio dell’in house providing rispetto ai principi comunitari di concorrenza, i requisiti di detto modulo organizzativo vanno interpretati restrittivamente (v. C. Giust. CE, 6 aprile 2006, in C-410/04; C.d.S., Sez. II, parere 18 aprile 2007, n. 456). Del resto, come ricordato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (C.d.S., A.P., n. 1/2008, cit.), anche la giurisprudenza interna ha affermato la necessità, ai fini della sussistenza del controllo analogo, che lo statuto della società affidataria non consenta che una quota del capitale sociale, anche se minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati (C.d.S., Sez. V, 30 agosto 2006, n. 5072). Ne discende la fondatezza del ricorso originario, ed in particolare dei primi due motivi in cui questo è articolato. Si deve, pertanto, dichiarare l’illegittimità della deliberazione consiliare n. 31 del 30 giugno 2005, con la quale il Comune intimato ebbe a disporre l’affidamento diretto dei servizi di igiene urbana nei riguardi della A.S.M. Pavia S.p.A., pur in difetto del requisito di un controllo su detta società, da parte del Comune, analogo a quello che il Comune medesimo esercita sui propri servizi. Passando all’esame del ricorso per motivi aggiunti, va premesso che con questo si ripropone integralmente la questione dell’affidamento in house ex art. 113, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 267/2000, che sarebbe stato operato dal Comune resistente in favore dell’A.S.M. Pavia S.p.A., stavolta con deliberazione n. 11 del 27 marzo 2008: affidamento, i cui presupposti normativi vengono di nuovo contestati dalla ricorrente, mediante un unico motivo di ricorso in cui viene negata in particolare la sussistenza, nella fattispecie esaminata, del cd. controllo analogo. Le doglianze debbono, tuttavia, essere valutate nel differente quadro istituzionale discendente dalle modifiche apportate allo statuto della società affidataria, nonché alla convenzione tra i Comuni soci. Si fa riferimento, in particolare, alle già citate deliberazioni consiliari del Comune resistente n. 54 del 21 settembre 2006 e n. 66 del 20 dicembre 2007. Nello specifico, la ricorrente osserva preliminarmente che il servizio non è gestito in forma consortile, ma mediante singoli e distinti affidamenti per ciascun Comune interessato. Pone in evidenza, poi, che la partecipazione del Comune di S. Martino Siccomario al capitale sociale dell’A.S.M. Pavia S.p.A. è così esigua da rendere impossibile la configurazione di tale società come un servizio analogo ai servizi propri di detto Comune. Una partecipazione così ridotta (pari allo 0,01%) non potrebbe, infatti, consentire mai al Comune di influire concretamente sulle scelte e le politiche della società e ciò tanto più, di fronte alla partecipazione quasi totalitaria al capitale di A.S.M. Pavia S.p.A. da parte del Comune di Pavia, il quale sarebbe quindi l’unico Ente ad avere un potere effettivo e condizionante sulle strategie aziendali. Né in proposito avrebbero alcun rilievo le modifiche introdotte nello statuto della società e l’istituzione, tramite convenzione, di un organismo speciale, denominato Assemblea di coordinamento e controllo intercomunale. In realtà il Comune di Pavia sarebbe il solo dotato di poteri effettivi e vincolanti, come dimostrato anche dagli art. 5, comma 1 e 6, comma 1, lett. a) dello Statuto: il primo stabilisce che la partecipazione del Comune di Pavia al capitale sociale con diritto di voto non può essere inferiore al 51%, o comunque ad una misura tale da assicurare il controllo e che la perdita del controllo da parte del suddetto Comune costituisce causa di scioglimento della società. Il secondo, che l’approvazione del piano industriale da parte dell’Assemblea si ha 52 quando sul piano si esprimono in senso favorevole il rappresentante del Comune di Pavia ed almeno la maggioranza dei Comuni soci che abbiano affidato servizi alla società. Quindi il consenso del Comune di Pavia sarebbe in ogni caso indispensabile, non potendo essere superato nemmeno dalla maggioranza dei Comuni aventi affidato il servizio ad A.S.M. Pavia S.p.A.; inoltre, il Comune di S. Martino Siccomario non può bloccare un piano sgradito se la maggioranza degli altri Comuni si schiera in senso opposto (con il Comune di Pavia, beninteso). Il Comune di Pavia, inoltre, nomina attraverso il Sindaco un numero di amministratori – tra i quali deve essere prescelto il Presidente dell’Assemblea – proporzionale alla propria partecipazione e comunque non inferiore a tre (su un totale di cinque). Nemmeno l’aver istituito l’Assemblea di controllo e coordinamento intercomunale basterebbe a garantire al Comune resistente il controllo analogo: a) perché tale organismo avrebbe solamente funzione di controllo ed iniziativa nei confronti degli organi statutari dell’A.S.M. Pavia; b) perché, all’interno dell’Assemblea intercomunale, nessun vero e proprio potere di controllo spetterebbe ai singoli Comuni, dovendo essi operare secondo le regole della maggioranza, per concorrere a scelte comunque residuali e non vincolanti per gli organi societari, in effetti sotto il controllo del solo Comune di Pavia. Quanto alla previsione dell’art. 1, comma 6, lett. c), dello statuto, per la quale ogni Comune ha il potere di presentare al consiglio di amministrazione delle proposte di specifiche iniziative in merito all’esecuzione del contratto di servizio stipulato, ed un potere di veto sulle deliberazioni specificamente concernenti l’attuazione del contratto di servizio, che si discostino dalle predette proposte, essa configurerebbe un potere del Comune limitato alla verifica del servizio svolto sul suo territorio. In realtà, i poteri di cui l’Ente locale dispone avrebbero natura meramente negoziale, essendo conferiti dal contratto di servizio; perciò, essi non potrebbero configurare alcun controllo analogo. Soprattutto, la concreta gestione della società affidataria sarebbe nelle mani del solo consiglio di amministrazione, dominato dal Comune di Pavia e nel quale gli altri Comuni possono esercitare una limitata attività d’indirizzo collettivamente e, in ogni caso, mai in contrasto con il Comune di Pavia. Sotto questo profilo, la ricorrente contesta che l’utilizzo del plurale "Enti pubblici" nella lettera dell’art. 113, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 267/2000 renda legittimo l’affidamento diretto per il semplice fatto della partecipazione dell’Ente affidante al capitale della società affidataria, giacché con tale plurale il Legislatore avrebbe inteso indicare agli Enti locali, specie ai piccoli Comuni, forme di cd. partenariato istituzionale orizzontale (consorzi, unioni di Comuni, ecc.), per coniugare gestione dei servizi e contenimento della spesa. In questo quadro, l’affidamento in house conserverebbe in linea generale un ruolo meramente eccezionale e residuale e comunque non sarebbe rinvenibile nel caso di specie. Nella memoria da ultimo depositata la società ribadisce che, anche dopo le recenti modifiche statutarie, il Comune di S. Martino Siccomario non ha alcun controllo sull’attività di gestione dell’A.S.M. Pavia S.p.A., non avendo a tal riguardo alcun valore le previsioni dell’art. 16 del contratto di servizio (le quali richiamano l’art. 1, comma 6, dello statuto dell’A.S.M. Pavia). In particolare, il potere di veto, previsto a favore del Comune per le deliberazioni del consiglio di amministrazione che si discostino dalle proposte comunali, non influirebbe sul potere del Consiglio stesso di definire le modalità di gestione del servizio. Quanto poi al potere del Comune di vigilare sull’osservanza delle disposizioni del contratto, la fonte del potere comunale sarebbe in ogni caso pattizia e non di tipo ordinamentale, come vuole la giurisprudenza comunitaria. Solo qualora la società fosse tenuta in via ordinamentale (e non contrattuale) ad eseguire gli incarichi che le affidano gli Enti locali che hanno in essa partecipazioni infinitesime e qualora la società non potesse stabilire liberamente il costo delle sue prestazioni, solo in tale evenienza – conclude la ricorrente alla luce della sentenza della Corte di Giustizia "TRAGSA", resa in causa C-295/05 del 19 aprile 2007 – potrebbe configurarsi il controllo analogo, nonostante l’indicato carattere irrisorio della partecipazione del Comune al capitale della società affidataria. Le doglianze ora sintetizzate non possono essere accolte. 53 In primo luogo va osservato che, dopo le recenti modifiche più sopra accennate, la A.S.M. Pavia S.p.A. risulta essere società a capitale totalmente pubblico, dove non è più ammessa – ed è anzi esplicitamente esclusa (art. 1, comma 4, dello statuto) – la presenza di soci privati. Ha affermato al riguardo la più recente giurisprudenza che tale situazione consente già di per sé di superare i rilievi che si basano sull’esiguità della partecipazione del Comune resistente al capitale della società affidataria del servizio (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 16 ottobre 2007, n. 9988). Invero, è soltanto la presenza del (per questo Collegio, anche l’apertura al) capitale privato in seno alla società affidataria, che può far emergere il perseguimento di interessi di profitto economico dei capitali investiti, escludendo il perseguimento dell’unico obiettivo della funzionalizzazione del servizio fornito alle esigenze dei relativi bacini di utenza territoriale. Quando tale presenza non sia possibile, appare – in una prospettiva, ovviamente, non patologica – garantito che il perseguimento dell’obiettivo della migliore efficienza del servizio di pubblica utenza non sarà turbato dall’interferenza di altri e diversi interessi, segnatamente di mero profitto, facenti capo agli investitori privati. Se, quindi, la presenza dei soci privati è esclusa, non riveste poi importanza che il Comune interessato allo svolgimento del servizio nel suo territorio abbia un’esigua partecipazione al capitale della società affidataria, poiché l’art. 113, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 267/2000 menziona "l’Ente o gli Enti pubblici titolari del capitale sociale" e ciò sta a significare (T.A.R. Lazio, Roma, n. 9988/2007, cit.): a) la non necessarietà del possesso del capitale sociale da parte di un unico Ente pubblico (e in questo senso depone – ad avviso del Collegio – anche la sentenza della Corte di Giustizia "TRAGSA" poc’anzi ricordata); b) l’irrilevanza della misura percentuale nella compartecipazione plurima di Enti pubblici, purché ricorrano le altre ed imprescindibili condizioni richieste dall’art. 113 cit., lì dove impone che gli Enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società affidataria un controllo analogo a quello che essi esercitano sui propri servizi. Quindi, una prima conclusione è possibile: contrariamente alle affermazioni della ricorrente, l’irrisorietà della partecipazione al capitale dell’A.S.M. Pavia S.p.A. da parte del Comune resistente non è di per sé indice dell’impossibilità, per l’indicato Comune, di esercitare sulla predetta società il cd. controllo analogo. Ed invero, essendo statutariamente imposto che A.S.M. Pavia S.p.A. indirizzi la parte più rilevante della propria attività alla collettività degli Enti locali soci, è in tal maniera soddisfatto uno dei due requisiti che la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia CE richiede perché si possa ammettere la configurazione di un affidamento in house. Rimane, quindi da analizzare il secondo requisito, costituito appunto dal cd. controllo analogo. Ad avviso del Collegio, il suddetto requisito deve ritenersi sussistente. Sul punto, si richiamano anzitutto le conclusioni della più recente giurisprudenza interna (T.A.R. Lazio, Roma, n. 9988/2007, cit.), che, in un caso analogo a quello ora in esame, ha affermato che la verifica della sussistenza del controllo analogo va condotta secondo un criterio comunque coerente con le peculiarità della forma societaria, con esclusione di criteri, quale quello della sovraordinazione gerarchica tra controllante e controllato, inconfigurabili nei confronti degli organismi di tipo societario. Inoltre, il controllo da parte dell’Ente pubblico non si può configurare quale diretto controllo sulle operazioni di gestione del servizio, di cui l’Ente locale controllante possa direttamente disporre ogni minima regolamentazione. La verifica del controllo analogo non può che effettuarsi sul piano dell’esistenza di previsioni che conferiscano, agli Enti aventi una partecipazione esigua alla società affidataria, poteri di controllo nell’ambito in cui si esplica l’attività decisionale della società tramite gli organi di questa: poteri che si esplichino non solo in forma propulsiva, sub specie di proposte da portare all’ordine del giorno di detti organi, ma anche – e principalmente – poteri di inibizione di iniziative o decisioni che contrastino con gli interessi dell’Ente locale nel cui territorio si esplica il servizio, quali rappresentati dall’Ente stesso con le suindicate proposte. Occorre, inoltre, che i predetti poteri inibitivi siano esercitabili dall’Ente pubblico come tale, a prescindere dalla misura della partecipazione di esso al capitale della società affidataria, ma per il semplice fatto che l’Ente, nel cui territorio si svolge il servizio, consideri le deliberazioni o le attività societarie contrastanti con i propri interessi ed abbia per tal ragione il potere di paralizzare le suddette deliberazioni e attività. 54 La giurisprudenza ha in particolare rinvenuto l’esistenza del controllo analogo in presenza di clausole, contenute nello statuto societario e nel contratto di servizio, attributive all’Ente locale affidante delle seguenti prerogative, che l’Ente stesso può esercitare, ai fini del controllo sul servizio, indipendentemente dalla quota di capitale posseduta (T.A.R Lazio, Roma, n. 9988/2007, cit.): - potere dell’Ente di effettuare nei confronti dell’organo amministrativo proposte di iniziative attuative del contratto di servizio; - diritto di veto sulle deliberazioni assunte in modo difforme dal contenuto delle pretese; - diritto di recesso dalla società, con revoca dell’affidamento del servizio, qualora il Comune abbia diritto di far valere la risoluzione o comunque lo scioglimento del contratto di servizio, nonché nel caso di violazione delle competenze assembleari, quando cioè l’organo amministrativo assuma iniziative rientranti nelle competenze dell’assemblea senza l’autorizzazione di questa. A ciò si sono poi aggiunte la riserva all’assemblea ordinaria del potere di trattare argomenti inerenti a pretese o diritti delle società sugli Enti locali nascenti dal contratto di servizio e il diritto di veto di ogni Ente locale interessato sulle relative determinazioni. Orbene, i suddetti poteri appaiono rinvenibili nel caso ora in esame. Decisivo risulta, a tal proposito, l’art. 1, comma 6, lett. c) dello statuto di A.S.M. Pavia S.p.A., che attribuisce ad ogni Comune che affida servizi a detta società un potere, nei confronti del consiglio di amministrazione della società medesima, di effettuare proposte di specifiche iniziative concernenti l’esecuzione del contratto di servizio stipulato, nonché un potere di veto sulle deliberazioni, "specificamente rifluenti sull’attuazione del contratto di servizio", che si discostino dalle succitate proposte. Vero è che l’indicato potere propulsivo deve riguardare iniziative che comunque rispettino l’economicità della gestione del servizio, sicché potrebbe obiettarsi che non è rispettato il requisito specificato dalla Corte di Giustizia CE nella sentenza "Tragsa" (par. 60), secondo cui la società affidataria non deve avere la possibilità di stabilire liberamente il costo dei suoi interventi. Tuttavia, il profilo non pare dirimente, alla luce dell’incipit dell’art. 28, comma 1, dello statuto dell’A.S.M. Pavia S.p.A.: disposizione, in base alla quale la società non persegue in via principale scopo di lucro, e che non può che essere intesa nel senso di escludere lo scopo di lucro, almeno nel significato di lucro soggettivo (cioè degli utili ripartiti tra i soci: Cass. civ., Sez. I, 6 agosto 1979, n. 4558), dallo svolgimento dei servizi affidati con il cd. in house providing dagli Enti locali soci affidanti. Lo scopo di lucro, in base alla restante disciplina di cui al citato art. 28, comma 1, dovrà quindi avere un’applicazione limitata all’ambito, necessariamente residuale, della partecipazione della società a gare di appalto, prevista dall’art. 4, comma 4, dello statuto. Una diversa lettura, implicando una rilevante deminutio del potere propositivo che all’Ente locale è riconosciuto dall’art. 1, comma 6, lett. c), dello statuto societario, perché siffatto potere, non potendo esercitarsi in contrasto con l’economicità della gestione del servizio, non potrebbe impedire la fissazione da parte della società di un costo del servizio comprensivo del cd. lucro soggettivo, porterebbe in effetti, in base alle statuizioni della sentenza "Tragsa", ad escludere che nel caso di specie si rinvengano i presupposti del controllo analogo. Dal combinato disposto della prima parte dell’art. 28, comma 1, dello statuto, con la previsione del limite al potere propositivo comunale di cui all’art. 1, comma 6, lett. c), si evince, tuttavia, la ben diversa conclusione che si è appena riportata, da cui si desume l’esistenza, nel caso di specie, del controllo analogo: il rispetto della economicità della gestione del servizio, affidato secondo le regole dell’in house providing, non può comportare che questo sia svolto nell’ottica del perseguimento di fini di profitto, ed in particolare del fine del cd. lucro soggettivo. Quanto poi al potere di veto riconosciuto all’Ente locale, le tesi della ricorrente, secondo cui non si tratterebbe di un ordine di servizio, ma di un’indicazione "quasi vincolante", rispetto alla quale il consiglio di amministrazione resterebbe libero di decidere e di definire le modalità di gestione del servizio, non possono essere in alcun modo condivise. 55 Anche se non si tratta di ordine di servizio (richiamo peraltro fuorviante, alla luce di quanto già detto sulle comunque innegabili peculiarità del modello societario), il veto resta tale e pertanto impedisce che la deliberazione rispetto alla quale viene esercitato possa essere portata ad esecuzione. Il che, trattandosi di deliberazione rifluente sull’attuazione del contratto di servizio, implica certamente un’influenza fortissima, se non decisiva, sulle modalità di gestione del servizio. Va aggiunto sul punto che, ai sensi dell’art. 22 del contratto di servizio, il Comune affidante ha il potere di risolvere il contratto, tra l’altro: - quando l’affidataria si renda responsabile di gravi violazioni alle leggi relative all’espletamento dei servizi, ovvero di altri rilevanti e ripetute inadempienze agli obblighi assunti (lett. c)); - quando l’affidataria si renda responsabile di gravi violazioni degli obblighi del contratto di servizio stesso (lett. d)). Poiché l’art. 16 del contratto di servizio riproduce le previsioni dello statuto della A.S.M. Pavia S.p.A. in merito ai poteri propulsivi e di veto del Comune affidante (oltre ad attribuire a quest’ultimo un potere di vigilanza operativa su cui si tornerà infra), ne discende che l’eventuale inosservanza del veto comunale comporterebbe la possibilità, per l’Ente locale, di risolvere il contratto, e pertanto, il venir meno dell’affidamento in house del servizio. In aggiunta comporterebbe, in base all’art. 1, comma 6, lett. c), dello statuto della società, (che prevede anche il diritto del Comune di recedere dalla società, ove abbia diritto di far valere la risoluzione del contratto di servizio e la revoca dell’affidamento), la possibilità, per il Comune affidante, di "uscire" dall’A.S.M. Pavia. Né sembra decisivo ribattere che si tratta di rimedi e poteri di natura contrattuale, perché, a ben vedere, in mancanza della disposizione – art. 22, lett. d) dello statuto – che prevede il potere dell’affidante di risolvere il contratto per gravi violazioni degli obblighi contrattualmente assunti dall’affidataria, in caso di inosservanza del veto l’Ente affidante potrebbe comunque azionare la domanda di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., pervenendo, sia pure tramite la via giudiziale, al medesimo risultato di far venir meno l’affidamento in house e, addirittura, di poter uscire dall’A.S.M. Pavia S.p.A.. In altre parole, il rimedio contrattuale doppia un rimedio legale (quello dell’azione generale di risoluzione per inadempimento), ma quest’ultimo appare già di per sé idoneo a portare (sia pure esperendo azione in giudizio) ai medesimi risultati cui mira il rimedio contrattuale. Ulteriore elemento significativo, da cui sembra potersi desumere la sussistenza nel caso di specie del controllo analogo è dato dall’attribuzione, al Comune affidante, di poteri di vigilanza sull’espletamento del servizio, da esercitarsi, ai sensi dell’art. 16 del contratto di servizio, tramite funzionari incaricati. Tale potere di vigilanza si traduce nell’effettuazione di controlli in loco e nell’accesso alla documentazione societaria specificamente riferita al servizio espletato, e comporta altresì il potere degli incaricati di impartire disposizioni operative alla società (in caso di urgenza anche in forma orale, salva conferma per iscritto). Il meccanismo descritto è analogo a quello delineato nella fattispecie concernente il Comune di Mantova, decisa dalla già citata sentenza della Corte di Giustizia del 17 luglio 2008 (resa in causa C-371/05). In tale fattispecie il predetto Comune, che aveva affidato in via diretta la gestione, la manutenzione e lo sviluppo dei propri servizi informatici all’ASI S.p.A. – società il cui capitale, al momento della stipula della convenzione recante l’affidamento del servizio, era interamente detenuto dal Comune di Mantova e dai Comuni limitrofi – si era riservato una serie di poteri di vigilanza, controllo e condizionamento dell’attività della società. In particolare, il Comune aveva conservato il potere di nominare un funzionario comunale, incaricato di collaborare, stimolare e controllare l’operato della società. Tale elemento, unitamente ad altri compresenti nella fattispecie (e cioè la nomina dei membri degli organi direttivi della società ed il controllo sulla contabilità della stessa), è stato considerato dalla Corte come dimostrativo della sussistenza di un potere di controllo strutturale e funzionale del Comune di Mantova sull’ASI S.p.A. analogo a quello esercitato sui propri servizi. Sono evidenti le affinità di quanto appena esposto con le previsioni dell’art. 16 del contratto di servizio che – in applicazione dell’ultima parte dell’art. 1, comma 6, lett. c), dello statuto dell’A.S.M. Pavia (lì dove si demanda al predetto contratto la disciplina dell’accesso, da parte del Comune, agli atti societari relativi al 56 servizio affidato, e dell’effettuazione di ispezioni) – ha disciplinato i poteri di vigilanza e di direttiva spettanti all’incaricato del Comune resistente. Né, ancora una volta, si può obiettare argomentando dalla natura solo contrattuale e non anche ordinamentale dei suddetti poteri dell’incaricato comunale, in quanto, oltre alla ricordata previsione dell’ultima parte dell’art. 1, comma 6, lett. c), dello statuto societario, viene in rilievo l’art. 1, comma 6, lett. a), di questo, secondo cui l’assemblea societaria detta al consiglio di amministrazione indirizzi vincolanti, tra l’altro, in materia di schemi generali dei contratti di servizio: se ne desume che i contenuti deliberati in siffatta sede dovranno essere necessariamente riversati nei contratti che A.S.M. Pavia stipula con i Comuni affidanti. Passando all’esame dei poteri spettanti all’organismo comune ex art. 1, comma 6, lett. b), dello statuto ("Assemblea di coordinamento e controllo intercomunale"), composto dai Sindaci dei Comuni affidanti (o loro delegati) e nel quale i Comuni sono presenti con ugual peso, cioè a prescindere dalla quota di capitale detenuto, si osserva quanto segue. L’organismo in questione esercita: 1) il potere di definire, coerentemente con le decisioni strategiche dell’assemblea sociale, indirizzi operativi sui servizi affidati, cui il consiglio di amministrazione dovrà adattare l’operato delle strutture gestionali della società; 2) il controllo di efficacia complessiva dei servizi affidati dai Comuni, ricevendo a tale scopo rapporti periodici a cura del consiglio di amministrazione sui principali indicatori della società relativi ai servizi stessi; 3)il potere – ove lo richiedano i due terzi dei suoi membri – di sottoporre il piano industriale, predisposto dal consiglio di amministrazione, all’approvazione della assemblea societaria; 4) il potere di chiedere motivatamente la convocazione dell’assemblea societaria, e di definire, in vista dello svolgimento di quest’ultima, delle posizioni comuni tra i soci sulle deliberazioni da assumere. A dette previsioni la convenzione istitutiva dell’organismo comune, approvata dal Comune di S. Martino Siccomario con deliberazione consiliare n. 66 del 2007, ha aggiunto (art. 3, comma 1, lett. f)) il potere di esprimere il parere sul regolamento per l’accesso agli atti societari e l’espletamento delle attività ispettive strumentali all’esercizio del controllo di efficacia da parte del suddetto organismo comune (il controllo che si è ora menzionato al n. 2): quindi tali attività ispettive sono diverse ed autonome da quelle spettanti all’incaricato del singolo Comune in base all’art. 16 del contratto di servizio, sopra ricordate). I compiti di accesso agli atti societari ed ispettivi vengono svolti dall’organismo de quo attraverso un Comitato di sorveglianza, composto di cinque suoi membri (art. 3, comma 1, lett. f), cit.). Orbene, il complesso dei compiti e poteri così affidati all’organismo "comune" dà vita ad un modello che è divergente in misura significativa da quello societario di stampo codicistico e che, tenuto conto di quanto sopra detto circa l’impossibilità di configurare il cd. controllo analogo in termini di sovraordinazione gerarchica tra il controllante ed il controllato (T.A.R. Lazio, Roma, n. 9988/2007, cit.), va ritenuto comunque idoneo a dare vita, unitamente agli altri indici ed elementi surriferiti, al predetto controllo analogo. Ciò, soprattutto in ragione del fatto che, sia tramite i poteri di controllo ed ispettivi dell’organismo "comune", sia attraverso quelli spettanti all’incaricato del singolo Ente locale affidante, l’attività dell’A.S.M. Pavia S.p.A. appare sottoposta ad una penetrante congerie di poteri di vigilanza e di controllo, completamente sganciati dalla misura della partecipazione societaria dei singoli Comuni soci. E questo, in aggiunta ai poteri propulsivi e di veto del singolo Comune affidante, che si sono più sopra descritti. Da ultimo, resta da esaminare la sussistenza o meno di poteri di partecipazione e/o condizionamento del singolo Comune rispetto all’attività decisionale dell’A.S.M. Pavia S.p.A.. Sul punto, vero è che lo statuto prevede che la partecipazione del Comune di Pavia non possa essere inferiore al 51% del capitale avente diritto di voto: donde il ruolo centrale, se non preponderante, assunto dal predetto Comune in sede di decisioni assunte dall’organo assembleare. Nondimeno, si tratta di un ruolo che deve 57 essere esercitato fermo restando, comunque, il perseguimento di finalità comuni a tutti i soci (così l’art. 5, comma 2, dello statuto). In secondo luogo, se è vero che il Comune di Pavia gioca un ruolo preponderante allorché si tratta dell’approvazione, da parte dell’assemblea sociale, degli indirizzi vincolanti rivolti al consiglio di amministrazione riguardo al piano industriale (v. art. 1, comma 6, lett. a), dello statuto dell’A.S.M. Pavia), perché in questa ipotesi viene in rilievo la detenzione, da parte sua, della maggioranza del capitale sociale con diritto di voto, una situazione diversa si profila quando l’organismo "comune" imponga (cfr. punto 3 della pag. prec.) che il piano industriale sia approvato dalla assemblea societaria (o sociale). In tal caso, infatti, occorre che oltre al Comune di Pavia, si esprima in senso favorevole la maggioranza dei Comuni partecipanti che abbiano affidato servizi all’A.S.M. Pavia. Anche sotto questo profilo, dunque, si ha una rilevante deroga all’ordinario modello societario: deroga che rafforza le prerogative dei singoli Comuni partecipanti, attribuendo ad essi un coinvolgimento nel potere decisionale indipendentemente dalla quota di capitale sottoscritto ed in ragione del loro essere titolari del servizio pubblico dato in affidamento. In definitiva, pertanto, si deve condividere l’osservazione della difesa dell’A.S.M. Pavia S.p.A., secondo cui alla dominanza codicistica riconosciuta al Comune di Pavia, quale detentore della maggioranza del capitale sociale, si contrappone una dominanza istituzionale dei singoli Comuni partecipanti: dominanza istituzionale che questi esprimono sia nel loro insieme, attraverso l’ora vista deroga al modello assembleare puro e mediante i poteri dell’organismo "comune", sia uti singuli, in base, soprattutto, alla disciplina dettata dall’art. 1, comma 6, lett. c), dello statuto societario. Ne discende la sussistenza, nella fattispecie in esame, di un complesso di elementi sufficiente, per quantità ed importanza, a configurare il cd. controllo analogo e, per l’effetto, a far rientrare la fattispecie stessa nell’in house providing, essendo fuori discussione l’altro requisito prescritto (cioè lo svolgimento, da parte della società, della parte più importante della propria attività con l’Ente o gli Enti pubblici che ne detengono il capitale: Corte di Giustizia CE, 17 luglio 2008, in C-371/05). Lo statuto dell’A.S.M. Pavia S.p.A. prevede, infatti, all’art. 4, comma 4, che "la parte più rilevante della propria attività risulti rivolta alla collettività degli enti locali soci". In definitiva, mentre il ricorso originario è fondato e va accolto, va invece respinto il ricorso per motivi aggiunti, attesa la sua infondatezza. Quanto alla domanda di risarcimento dei danni, si tratta di domanda formulata in modo del tutto generico, senza che venga addotto dalla ricorrente alcun elemento probatorio a supporto del pregiudizio lamentato, e che, perciò, deve essere del pari respinta. Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese, in virtù della complessità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, Sezione Terza, così definitivamente pronunciando sul ricorso originario e sul ricorso per motivi aggiunti, accoglie il primo, respingendo invece il secondo. Respinge la domanda di risarcimento dei danni. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Milano, dal T.A.R. per la Lombardia, Sezione III^, nella Camera di Consiglio del 3 luglio – 17 settembre 2008, con l’intervento dei signori magistrati: DOMENICO GIORDANO Presidente PIETRO DE BERARDINIS Ref., estensore Depositata in Segreteria in data 10 dicembre 2008. RAFFAELLO GISONDI Referendario 58 .^ / .4 lY* zrÍ/.,2 à.,' rgrn/rr,.r.t .tn' ".,r.1ln4.offi)' r1 àa'r. + a' *=z t zz-t .,r1.ío n/olza SBGNALAZIONE AL GOVERNO EDAL PARLAMENTO ai sensi dell'art.6, comma 7 ,lett. e) ed f) del decreto legislativo n.163 del 12 aprile 2006 Disciplina dei servizipubblici locali di rilevanza econqnica di cui all'articolo 23 bis del decreto legge 25 giugra 2008, n. I12, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133. SEGNALAZIONE AL GOVERNO ED AL PARLAMENTO (ai sensi dell'art.6, comma 7,lett. e) ed f) del decreto legislativo n.I63 d,el12 aprile 2006) Disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica di cui all'articolo 23 bis det decreto legge 25 giugno 2008, n. lI2, convertito in legge 6 agosto 200g, n. 133. Premessa L'articolo 23 bis del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133 ha definito una nuova disciplina dei servizi pubblici locali arjlevanza economica ftnalizzata ad un nuovo assetto del mercato che dovrà essere regolato da principi omogenei, così da essere trasversale rispetto a quelle settoriali, soprattutto con riferimerìto al profilo dell'affidamento e della gestione dei rispettivi servizi. Il principio di fondo della riforma è quello, delineato al comma 1, di "favorire la più ampia dffisione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e cli libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi cli in ambito locale ... con modalità tali .... da garantire il diritto di universalità ed accessibilità dei servizi per tutti gli utenti nonché il tivello essenziale delle interesse generale prestazioni ai sensi dell'art. I I7 comma 2 lettera e) ed m) della Costituzione ". La disciplina introdotta dall'art. 23 bis è destinata ad essere completata, ai sensi del il Regolamento) che avranno natura una serie di questioni molto importanti per lo comma 10, da uno o più regolamenti (d'ora in poi: delegificante e dovranno disciplinare sviluppo industriale delle società che, a vario titolo, già forniscono servizi pubblici locali di natura economica e di quelle che vorrebbero entrare su tali mercati. E' opportuno sottolineare che, anche se la nuova normativa deve essere completata dal Regolamento, essa contiene tuttavia un complesso di disposizioni (commi da I a 9) che si possono considerare immediatamente precettive, ancorché limitate dal fatto che Pagina I di 13 l'art. 23-bis, comma 10, lett. m) rimette al Regolamento espressamente il compito di individuare le norme abrogate ai sensi del presente articolo, dando così esecuzione al disposto del comma 11 ove si afferma genericamente che n. 26712000 deve ritenersi abrogato nelle espressa I'art. 113 del d.lgs. parti incompatibili con le dísposizíoní del presente articolo. per il mercato e le Amministrazioni pubbliche, già chiamate ad operare in un complesso sistema di fonti Nell'immediato, cio può essere fonte di incertezza normative comunitarie, statali e regionali, e con una forte incidenza della giurispruderua soprattutto di matrice comunitaria. Data la rilevanza economica e sociale dei settori coinvolti e la esigenza di non gli investimenti in corso e necessari per lo sviluppo del settore, I'Autorità sottolinea l'importanza di una celere definizione del quadro giuridico mediante l'emanazione del Regolamento entro i termini previsti dall'articolo 23 bis e, nell'ambito ritardare dei compiti ad essa assegnati, ha ritenuto opportuno predisporre Segnalazione per il Governo e il Parlamento il presente Atto di su alcuni aspetti della riforma particolarmente critici, anche con riferimento alla disciplina dell'affidamento e gestione dei servizi pubblici locali. Nel predispoffe l'Atto di Segnalazione I'Autorità ha effettuato consultazioni e audizioni dei principali stakeholders e degli operatori interessati al mercato dei servizi pubblici locali, quali: la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, I'ANCI, I'UPI, Confservizi, Federutility, Or ganizzazioni S Federambiente, ASSTRA, Confindustria, le indacali. Le questioni oggetto della Segnalazione sono: 1) I'armonizzazione della nuova disciplina con quelle vigenti di settore; 2) la disciplina dell'affidamento in via ordinaria; 3) la disciplina del modello organizzativo in house; 4) il regime transitorio; 5) il miglioramento del sistema di indirìzzo, rilevazione dati e controllo e degli strumenti di tutela non siurisdizionale. Pagina2 di 13 L'armonuzazione della disciplina generale con le discipline di settore L'art.23-bis, cofitma I, stabilisce che le disposizioni da esso introdotte 1. si applicano a tutti i serttizi pubblici locali, ma prevalgono sulle relative discipline di settore [soltanto se] con esse incompatibili. Come già detto, il comma 11 precisa che I'articolo 113 è abrogato, ma solo nelle parti incompatibili con la disciplina introdotta dall'articolo 23 bis, commi I a9. La lettera d) del comma 10 del medesimo arlicolo prevede che i regolamenti d,a prowedano ad armonizzarela nuova disciplina con quelle di settore, individuando in via generale le norme applicabili per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonché in materia di acqua. Com'è noto i servizi pubblici locali aljlevanza economica sono stati caratterizzati da specifici e talvolta ripetuti interventi di riforma realizzata prevalentemente con interventi di carattere settoriale che hanno ar,'uto per obiettivo la modemizzazrone e la tiorganizzazione dei mercati, in alcuni casi anche derogando al quadro giuridico previsto dalla disciplina generale. Le riforme di carattere settoriale hanno in linea generale cercato di migliorare I'efficienzanella gestione dei servizi attraverso la graduale separazione tra le funzioni diregolazione da un lato, programmazione e controllo e la funzione di gestione del servizio, da condurre con criteri imprenditoriali, dall'altro. In rale direzrone vanno ad esempio: per il trasporto locale il D.Lgs. 19 novembre 1997, n.422; per la distribuzione del gas naturale il D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 164; per elettrica il integrata rifiuti il D.Lgs. 3 aprile D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79; per Ora,i commi il mercato interno della energia il servizio idrico integrato e di gestione 2006, n. r52, c.d. codice dell'Ambiente. 1 e 1 bis dell'art. 113 del T.U.E.L, prevedono esplicitamente che le disposizioni dello stesso articolo non si applicano ai settori dell'energia elettrica del gas naturale e del trasporlo pubblico locale. Dunque, mentre 23 bts rinvia invece il T.U.E.L. fa espressamente salve le norme di settore, I'articolo il giudizio di compatibilità fra la disciplina settoriale e quella generale all' emanazione dei regolamenti di delegifi cazione. i'lr' Pagina 3 di 13 A parere di questa Autorità, l'annonizzazione trala disciplina generale e quella settoriale, sicuramente auspicabile sotto il profilo dell'obbligo di apertura del mercato alla concoffenza non può tuttavia prescindere dalle peculiarità dei singoli mercati settoriali e dalle loro dinamiche industriali in corso e, soprattutto, non dovrebbe determinare l'abrogazione delle discipline compatibili con le finalita pro conconenziali enunciate nel comma 1 dell'articolo 23 bis., in tutti i casi in cui la normativa di settore abbia già proweduto ad introdurre, nel proprio ambito di applicazione, un sistema che garantisca un grado di apertura del mercato ed un livello di concorrenza fra gli operatori analogo o superiore a quello indicato dall'art. 23-bis. Occorre inoltre tenere conto delle previsioni del Regolamento (CE) del parlamento Europeo e del Consiglio del23 ottobre 2007 rigardante di trasporto di passeggeri su strada e per N. 137012007 i servizi pubblici ferrovia che, all'articolo 5, introduce per la prima volta nell'ordinamento comunitario la codif,rca delle "modalità di aff,rdamento in house": esso inoltre prevede, all'articolo 8, una diversa decorrenza del regime transitorio e la disciplina della cd "reciprocità". La questione diventa ancor più rilevante se si considera che il regolamento in questione entrerà direttamente in vigore a dicembre del 2009 senza alcuna norrna di recepimento da parte degli stati membri. 2. La disciplina dell'affidamento in via ordinaria L'articolo 23 bis comma 2 ha sicuramente carattere generale. Tuttavia la sua attuale formulazione rischia di generare incertezze in merito al profilo della scelta della disciplina applicabile per le procedure di affidamento. Sarebbe opportuno definire specificamente il tipo di procedure di cui gli enti locali possono avvalersi per l'affidamento dei servizi pubblici locali nel rispetto dei principi comunitari, in quanto diversamente operando sarebbe elevato il rischio di assistere ad una molteplicità di procedure di affidamento la cui conformità ai principi potrebbe essere verificata solo caso per caso. Inoltre la genericità delle nofine causerebbe incertezze nel sistema, con il rischio di alimentare il contenzioso Al riguardo, procedure esistente. I'Autorità auspica si voglia stabilire una chiara disciplina delle di affidamento per appalti e concessioni, coordinandole con il Codice dei Contratti pubblici (D. Lgs. 16312006) e prevedendo anche delle forme obbligatorie di i.r Pagina 4 di l3 pubblicità per l'affidamento delle concessioni di servizi, disciplinate dall'art. 30 dello stesso Codice. Inoltre, al fine di contemperare le esigenze della concorîenza con la capacità di innovazione dei concorrenti, il Regolamento dovrebbe esprimersi nel senso di prevedere espressamente l'applicazione del dialogo competitivo, di cui all'art. 58 del Codice dei contratti per l'affidamento dei servizi pubblici locali. Occorrerebbe inoltre chiarire la portafu del comma riferimento alle procedure ad evidenzapubblica includa - 2 come ovvero specificare se il I'Autorità auspica - anche I'affidamento mediante creazione di società miste pubblico-private (PPPD, in cui il socio è scelto con gara ad evidenza pubblica per I'esecuzione dello specifico servizio. Tale modello è stato recentemente oggetto di una Comunicazione interpretativa da parte della Commissione Europea (2008/C9I102, GIJCE C91 del 12 aprile 2008) nella quale la Commissione ritiene ammissibile l'effettuazione di una unica garaper la scelta del partner "operativo" e contestualmente I'affidamento del servizio alla compagine societaria mista allo scopo costituita. E da sottolineare che la Commissione ritiene ammissibile sia congiuntamente la di una nuova società il cui capitale è detenuto dall'amministrazione aggiudicatrice e dal socio privato, sia la costituzione pattecipazione del socio privato ad una società già esistente. d'altra parte riferirsi, nell'ordinamento nazionale, il A tale ultima ipotesi pare comma 12 d,ell'articolo 113 del T'U.E.L. che prevede appunto la possibilità per l'ente locale di cedere la propria partecipazione nelle società erogatrici dei servizi mediante procedure ad evid,enza pubblica, e senza che tale cessione comporti effetti sulla durata delle concessioni e degli affidamenti in essere. Tale facoltà è naturalmente controbilanciata da alcune condizioni, quali la disciplina della durata della società che deve coincidere con la durata dell'affidamento, che il soggetto privato selezionato per I'affidamento di un appalto o di una concessione può vedersi aggiudicato soltanto il contratto indicato nel bando di gara e che eventuali future modifiche degli elementi essenziali dello stesso contratto devono, comunque, essere già previste nel bando di gara. Con riguardo alla forma di affidamento sopra descritta, chiarire che il comma 2 dell'articolo 23 bis il Regolamento dovrebbe abbia inteso disciplinare tutte le modalità di affidamento esterno, senza tuttavia precludere la scelta discrezionale dell'ente locale circa I ,tt l I Pagina 5 di 13 L,( la migliore formula organizzativa per la fornitura dei servizi, ivi compreso quindi anche quella delle società miste (cfr. parere del Consiglio di Stato n. 45712007 Consiglio di Stato, Adunanza plenaria n. 112008; Consiglio di Stato, sezione YI,23 settembre 2008 n. 4603). Si ritiene che il ricorso alle società miste debba comunque awenire a condizione che sussistano garanzie tali da fugare dubbi e ragioni restrizione della concoffenza; in particolare, in ordine alla devono essere individuate le seguenti di perplessità condizioni minime per l'ammissibilità dell'affidamento del servizio ad una società mista: a) gara unica per l'affidamento del servizio pubblico e per la scelta del socio, in cui questo ultimo si configuri come un "socio industriale od operativo", che concoffe materialmente allo svolgimento del servizio pubblico; b) la previsione nel bando di gara dei requisiti economico frnanziari e tecnico organizzatli che consentono di selezionare e qualificare un socio cd. "operativo"; c) la previsione circostanzialanel bando delle attività oggetto di affidamento al fine di evitare che il privato possa godere di una ingiustificata posizione di vantaggio tramite ulteriori affi damenti diretti; d) I'indicazione della durata della partecipazione del socio che deve coincidere con quella dell'affidamento e deve essere proporzionata alle dimensioni dell'attività che è chiamato a svolgere; e) le modalità per I'uscita del socio con liquidazione della sua posizione per il caso all'esito della successiva gara egli non risulti piu aggiudrcatario; 0 la disciplina dei rapporli interni tra società mista ed il socio privato, nonché dei rapporti tra socio pubblico e soci privati. Tali condizioni sono evidentemente obbligatorie anche nei casi in cui il socio privato entri in una società pubblica g1à affidataria diretta delle concessioni secondo il modulo organizzativo in house. Si evidenzia, poi, che Regolamento il il comma 10, lett. a) dell'articolo 23 bis demanda al compito di prevedere l'osservanza da parte delle società, in house e delle società miste pubblico-private delle procedure di evidenza pubblica per 1'acquisto di beni e servizi. Tale previsione deve essere coordinata con quanto stabilito dal Codice dei ,u Pagina 6 di 13 Contratti pubblici (settori ordinari e settori speciali) nonché con I'ordinamento comunitario per quanto riguarda gli affidamenti delle società miste con socio "operativo". Si pone qui il problema del rapporto tra il modello "comunitario" di le regole dell'evidenzapttbblicaper società mista e i cd. appalti "avalle,,. Si rammenta come l'articolo 32 del Codice dei contratti già preveda che le società di cui agh artt.113 e ss. del T.U.E.L. siano sottoposte alla disciplina del Codice stesso per gli appalti di lavori, servizi e forniture da esse affidati. Il comma 3 prevede tuttavia per le società miste una deroga all'applicazione del Codice, limitatamente alla realizzazione delle opere o del servizio per condizione che: 1) il i quali le stesse sono state appositamente costituite socio sia stato scelto in gara;2) il socio privato abbia a i requisiti di qualificazione previsti; 3) la società proweda in via diretta allarealizzazione dell'opera o del servizio in misura superiore al70oÀ del relativo importo. Come sopra rilevato, quando il il modello di società mista rispetta con i principi comunitari partner privato è un socio operativo. Quindi per coerenza con tale modello comunitario di società mista si dovrebbe ritenere che I'articolo 32. comma 3 del Codice per "esecuzione in via diretta" intenda realizzazione dell'attività da parte del socio privato. La previsione della lettera a) del comma 10 dell'articolo 23 bis dovrebbe pertanto riferirsi alle società già esistenti il cui socio non è stato scelto in gara o non è socio operativo, owero agli affidamenti che non riguardano stata costituita precisato 1o scopo fondamentale in vista del quale è la società mista. Per 1o svolgimento delle attività ulteriori, come ha la Commissione Europea, il socio non può giovarsi della propria posizione privilegiata per ottenere l'affidamento di compiti aggiuntivi senza gara. Già I'articolo 113, comma 5 ter del TUEL stabiliva che i lavori comunque connessi alla rete devono essere appaltati aterzi dall'affidatario del servizio, salvo che questi non sia stato selezionato con gata avente a specifico oggetto anche l'esecuzione dei lavori. Se la società mista fosse invece composta invece da socio ftnanziatore deve affidare con procedura di gara. Nello stesso modo dovranno agire le società in house per I'aff,rdamento esterno dei lavori, servizi e forniture. L{ Pagina 7 di 13 3.La disciplina del modello organizzativo in house Il comma 3 dell'articolo 23 ózs prevede che in deroga alle procedure competitive possa ricorrere a modalità di si affidamento comunque previste dalla "disciplina comunitaria". La norma sembrerebbe consentire I'utilizzo della formula in house, anche dopo il periodo transitorio, ma solo in fattispecie specifiche, caratterizzate dalla peculiarità delle situazioni economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche sottostanti. Essa prevede inoltre che la loro sussistenza sia rimessa ad un prowedimento motivato dell'Amministrazione, previa pubblicità della scelta stessa e parere favorevole delle Autorità competenti. Essa tuttavia non stabilisce come assicurare il rispetto dell'obbligo di pubblicità, né come gestire la procedura per raccogliere i pareri delle Autorità competenti e garantire la loro corrett a applicazione, La disposizione prevista al comma 3 prevede criteri ulteriori rispetto a quelli stabiliti dal diritto comunitario (codificati per la prima volta all'art. 5 del citato regolamento CE 1370 del23 ottobre del2007 inerente i servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e ferrovia) per attuare legittimamente un affidamento diretto, in quanto si riferisce a condizioni specifiche del contesto territoriale ed economico del tutto esterne al rapporlo dr delegazione interorganica intercorrente tra I'ente aff,rdante e il soggetto affidatario. L'applicazione di tali ulteriori criteri è subordinata alla emanazione di distinti pareri da parte delle Autorità competenti da emettere entro 60 giorni dalla data di ricevimento dalla richiesta. A tal fine l'ente affidante deve rispettare due vincoli: Il primo vincolo è rappresentato dall"'obbligo di pubblicità" e "motivazione" della deroga di cui al comma 3. Il secondo vincolo è quello della trasmissione di una relazione "all'Autorità garante della concorrenza e del mercato e alle autorità di regolazione del settore, ove costituite, per I'espressione di un parere sui profili di competenza da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta r elazione" . A1 riguardo, è da ritenersi, sul piano della coerenza sistematica, che tra le Autorità chiamate ad esprimere il proprio parere sia inclusa anche questa Autorità poiché la Pagina 8 di 13 disciplina contenuta nell'articolo 23 bis riguarda espressamente le procedure sulle quali l'Autorità, ai sensi dei D.lgs 163106, deve vigilare al fine di assicurarne la cometta applicazione. il Regolamento debba chiaramente attribuire la responsabilità della gestione di tutto il processo derogatorio e soprattutto quella della L'Autorità ritiene inoltre che decisione sulla definizione del procedimento in caso di pareri divergenti o condizionati, nonché di vigilare sulla loro corretta applicazione. Come già ricordato, per il ricorso all'in house devono dunque ricorrere sia le condizioni di cui al comma 3 sia i requisiti previsti dal diritto comunitario (quali, ai sensi della giurisprudenza della Corte di Giustiziar: i) c.d. controllo analogo2, ii) realizzazione della parte più importante dell'attività a favore dell'ente affidante. In ordine ai requisiti comunitari, si procedura di infrazione segnala che la Commissione Europea nella relativa all'affidamento della gestione di servizi idrici nella Regione Basilicata (IP1071918), al fine di ricondurre un caso dr in house nazionale alle condizioni legittimanti sotto il profilo comunitario tale istituto, ha chiesto unicamente alcune modifiche statutarie della società di gestione atte a: l) limitare lo scopo sociale della societè4 2) escludere esplicitamente I'apertura del capitale a soggetti privati; 3) I Cfr. sentenza I 8 novemb re 1999 , C-101 /g8 Teckal che rappresenta il "leading case" della questione; con la successiva sentenza 15 giugno 2000, C-94199 ARGE, la Corte afferma che il controllo analogo attiene al grado di autonomia del soggetto controllato; successivamente con le sentenze 1l gennaio 2005 C-26103 STADT Halle,2l luglio 2005 C-231103 CONAME, 13 ottobre 2005 C-458/03 PARKING BRIXEN, la Corte ha precisato che I'affidamento in house è legittimo solo in presenza di società interamente pubbliche e comunque anche tale ultimo requisito può non essere sufficiente a riconoscere I'esistenza del "controllo di ampliamento dell'oggetto sociale, I'espansione territoriale dell'attività a tutto 1o Stato o all'estero, I'apertura obbligatoria dello società al capitale privato precludono comunque I'esperibilità dell'affidamento in house. TaIi affermazioni sono ribadite nelle successive sentenze 10 novembre 2005 C-29104 MODLING e 6 aprile 2006 C-410104 A.M.T.A.B., l1 maggio 2006 C-340/04 CARBOTERMO, l9 aprile 2007 C-295105 TRAGSA. Nella receffe sentenza 17 luglio 2b08 C-371105 ASI la Corte pur ribadendo la natura eccezionale del ricorso all'in house ha precisato che la mera possibilità di ingresso di privati nel capitale sociale non esclude I'esistenza del controllo analogo. Infine nella sentenza l3 novembre 2008, C-324107 la Corte afferma che ricor:re il requisito del controllo analogo anche nel caso in cui il concessionario di servizi pubblici è costituito da una cooperativa intercomunale i cui soci sono costituiti dai comuni concedenti, purché le decisioni relative all'attività di tale società (non è costituita nella forma di S.p.A. e quindi non può perseguire obiettivi indipendentemente dagli azionisti) siano assunte da organi statutari composti esclusivamente da rappresentanti dei comuni. Il controllo può essere anche analogo": I'esistenza della possibilità esercitato a maggiorarua. ' Secondo la giurisprudenza ricorre il controllo analogo qualora si verificano le seguenti circostanze: l) capitale interamente pubblico; 2) asserza di una vocazione commerciale; 3) dipendenza economica e ftnarziaria dall'ente affidante; 4) oggetto sociale limitato al servizio affidato, e non già ampio e genericamente riferibile ad attività ulteriori e diverse; 5) assenza di ampi poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione da parle degli organi sociali; 6) riferibilità delle decisioni strategiche e più rilevanti all'ente affidante. il t i t-./ Pagina 9 di 13 { raffotzare i poteri dell'ente affidante in tema di controllo strutturale tale da consentire agli enti pubblici azionisti di influenzare in maniera determinante tutte le piu importanti decisioni riguardanti la gestione della società. 4. Il regime transitorio L'articolo 23 bis contiene nofine concernenti la disciplina transitoria e quindi la sorte delle concessioni in essere. La disciplina del regime transitorio contenuta nei commi 8, 9 e 10 lettera e) dell'art. 23 bis si presta a diverse interpretazioni tra loro anche confliggenti. L'art. 23 bls demanda al Regolamento (comma 10, lett.e) la disciplina del regime transitorio al fine del progressivo allineamento delle gestioni alla nuova disciplina, fermo restando il house ed il limite temporale massimo stabilito dall'ordinamento nei settori diversi da quello idrico, per l'affidamento con procedure diverse dall'evidenza pubblica o dall'in divieto di rinnovo o di proroga. Tale previsione deve essere coordinata con quanto previsto dal comma 9 che stabilisce che in ogni caso entro ladata del 31 dicembre 2010 per l'affidamento si procede mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica. Ai sensi del comma 8, poi, le concessioni relative al servizio idrico integrato rilasciate con procedure diverse dall'evidenzapttbblica cessano comunque entro la data del 31 dicembre 2010, senza necessità di deliberazione da parte dell'ente affidante, ad esclusione delle concessioni affidate in house. Il comma 8, fissa una data - quella del 31 dicembre 2010 - di cessazione della generalità delle concessioni rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica, poi eccezioni a siffatta regola. Al riguardo, si ritiene auspicabile che il Regolamento chiarisca che tra le concessioni rilasciate con procedura ad evid,enza prevedendo pubblica - che dunque proseguono fino alla naturale scadenza- si devono intendere anche quelle in favore di società miste purché rispondenti al modello comunitario e quindi riconducibili alle "procedure ad evidenza pubblica". Con riferimento al servizio idrico integrato ed in particolare alle concessioni rilasciate con procedura diversa dall'evidenza pubblica, l'art. 113, comma 15 bis d.el T.U.E.L. ha stabilito la cessazione degli affidamenti al3111212007, mentrel'art.26 ter d,el d.l n. 15912007 convertito con legge n. 222 del2007 ha previsto la c.d. "moratoria" delle Pagina 10 di l3 gare. Si pongono quindi problemi interpretativi sul rapporto tra ed i il termine del 3lll2l20I0 termini stabiliti dalla disciplina di settore per le concessioni attualmente in poiché il essere termine stabilito dall'articolo 23bis potrebbe essere inteso come una nuova proroga. Quanto agli altri settori, il Regolamento dovrebbe chiarire lapoúatadella lettera e) del comma 10, in relazione all'ultimo periodo del comma 9, ai fini della applicazione delle diverse legislazioni di settore che già prevedono specifici regimi transitori e quindi termini maggiori o minori per la vigenza degli affidamenti diretti. In particolare si può ritenere che il termine del 2010 fissato al comma 9, qualora fosse inteso come termine ultimo per gli affidamenti diretti, riguardi unicamente le concessioni affidate direttamente a società miste, laddove la scelta del socio privato è awenuta seîza gara, ovvero gli affidamenti diretti a società pubbliche con riferimento alle quali non ricorrono i presupposti per I'affidamento in house.3 Ciò lo si ricava, oltre che da una lettura sistematica, anche dal criterio contenuto al coÍrma 10, lett. e), in virtu del quale la disciplina della cessazione arÍicipata dovrà "gli affidamenti effettuati con procedure diverse dall'evidenza pttbblica o da quella di cui al comma 3", considerando, come già affermato, gli affidamenti a società riguardare mista secondo l'ordinamento comunitario riconducibili all'evidenza pubblica. Inoltre si sottolinea che il comma 9 dell'articolo 23 bis esclude dal divieto di partecipazione alle gare le società quotate nei mercati regolamentati. Per le stesse ragioni poste a favore di tale scelta si ritiene che sarebbe ragionevole chiarire nel Regolamento che tale esclusione vale altresì per il termine del 2010. L'Autorità ritiene necessario identificare, a livello nazionale, un "centro di responsabilità" che, nel rispetto delle specificità dei singoli settori, possa gararúire I'evoluzione dell'attuale regime transitorio successione di proroghe che finiscano con il in modo che esso non si traduca in una rallentare gli investimenti, recare nocumento alle imprese ed agli utenti finali. r Cfi. sentenza Corte di Giustizia 17 luglio 2008 C- 371105 ASI nella quale la Corte afferma che, per ragioni dr certezza del diritto, I'eventuale obbligo per I'amministrazione aggiudicatrice di procedere ad una gara d'appalto deve essere valutato, in via di principio, alla luce delle condizioni esistenti alla data di aggiudicazione dell'appalto pubblico di cui trattatasi. t/ Pagina 11 di 13 5. Miglioramento del sistema di indirizzo, rilevazione dati e controllo e degli strumenti di tutela non giurisdizionale L'Autorità è convinta che quanto piu ampia sarà I'apertura alla concorrenza dei servizi pubblici locali di rllevanza economica e I'autonomia degli enti locali nell'organizzazione della produzione e erogazione dei servizi medesimi, maggiori devono essere le gararvie di controllo a livello centrale al fine di evitare la frammentazione del mercato ed assicurare la tutela del diritto ad un livello essenziale delle prestazioni come previsto dall'art. 117, comma2,lett. m) della Costituzione. Problemi politicamente e socialmente rilevanti come quello della definizione delle tariffe dei servizi, della universalità e sostenibilità economica delle prestazioni e di quale sia il livello di qualità che un servizio pubblico deve garantire, vanno gestiti in modo dinamico con I'evoluzione del mercato, della tecnologia e della relativa integrazione nazionale e comunitari a. In tale contesto, sarebbe opportuno costruire in raccordo con i governi locali un sistema regolatorio più coerente ed organico, garantendone un'applicazione uniforrne e dinamica su tutto il territorio nazionale. In pafticolare sarebbe utile, con riferimento alle modalità servizio, definire meglio l'azione specifica di di affidamento del supporto alle amministrazioni locali, di controllo e garanzia che questa Autorità potrebbe svolgere ad integrazione di quella già in essere ai sensi del codice dei contratti pubblici al fine di meglio tutelare gli interessi degli enti affidanti, delle imprese e degli utenti finali. L'Autorità potrebbe mettere a disposizione controllo e vrgrlanza - il proprio sistema di raccolta dati, opportunamente integrato con gli altri sistemi di controllo e pianificazione della spesa pubblica a livello nazionale e locale - garantendo I'adempimento dell'obbligo di pubblicità delle scelte dei decisori pubblici, ai differenti livelli di governo nell'espletamento delle complesse procedure di affidamento e controllo gestionale e tariffario che segnatamente gli enti locali dovranno gestire per assolvere ai loro compiti istituzionali. Ciò potrebbe essere realizzato anche attraverso l'elaborazione e adozione di linee guida per la fase della gara o "bandi- tipo" previa consultazione con i soggetti interessati, e con la massima trasparenza per gli utenti e comunque in raccordo con le Regioni. /r Pagina 12 di 13 Sarebbe opportuno che pubblicazione dei bandi di il Regolamento ribadisse I'obbligo per gli enti affidanti della gara sul sito dell'Autorita, nonché della scelta motivata di affidamento diretto, della trasmissione della documentazione di gara, così come I'invio dei dati inerenti il rapporto concessorio in essere, al fine di consentire un adeguato monitoraggio. In particolare, per gli affidamenti diretti, il monitoraggio potrà essere confrontato con quello degli affidamenti tramite gara al fine di verificare ex post se in presenza di situazioni analoghe - ad esempio per territorio o bacino di utenza - vi sono stati comportamenti diversi da parte degli enti affidanti. Infine, il comma 10, lett. l) prevede I'esigenza di introdurre anche nel mercato dei servizi pubblici locali strumenti di tutela extragiudiziale al fine evitare o ridurre il contenzioso in materia, anche in relazione alle posizioni degli utenti dei servizi. Al riguardo si segnala che un sistema deflattivo del contenzioso, è già previsto dal Codice dei contratti pubblici all'articolo 6, comma T,lettera n) laddove si stabilisce che I'Autorità di vigrlarr,a sui contratti pubblici renda un parere non vincolante relativamente a questioni relative allo svolgimento delle procedure di gara, su istanza della stazione appaltante e di una delle altre parti. Tale procedura si fonda sulla indipendenza e sull'autorevolezza del soggetto competente a rendere la pronuncia, e costituisce una alternativa celere ed efficace alla risoluzione giurisdizionale delle controversie; è uno strumento che ad oggi ha ottenuto riscontro positivo nel mercato dei contratti pubblici e che potrebbe essere esteso anche alla fase di sestione della concessione. Approvato nella seduta del Consiglio del26 novembre 2008 Il Consigliere rplatore olino Andrea Camarvj ,i- t.,IJ,,".t-\* ,- /' tr'L Pagina l3 di 13 Area Giuridica Roma, 21 ottobre 2008 Ai Presidenti, Amm.ri Delegati e Direttori delle Imprese e degli Enti associati Ai Presidenti e Direttori - delle Federazioni - delle Associazioni Regionali LORO SEDI Prot. n. 361/08/AG/PR/gg Oggetto: Comunicazione sulle procedure di applicazione dell’articolo 23-bis del Decreto Legge n. 112/2008, convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133 Si informa il sistema delle aziende associate che nell’adunanza del 16 ottobre 2008 l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha adottato la “Comunicazione sulle procedure di applicazione dell’articolo 23-bis del Decreto Legge n. 112/2008, convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133”, comprendente il formulario da utilizzare per la presentazione della richiesta di parere ex art. 23-bis, comma 4, che, come noto, disciplina l’iter che l’ente dovrà seguire per addivenire ad un affidamento ai sensi del comma 3 della medesima norma. Il provvedimento - il cui testo si allega alla presente - sarà pubblicato nei prossimi giorni sul Bollettino dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, definisce le modalità operative del citato articolo allo scopo di “rendere edotti gli enti locali circa le procedure da seguire in materia di affidamento in-house dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”, e fornisce al contempo alcune indicazioni in relazione ai compiti consultivi affidati all’Antitrust dalla disposizione in esame, precisando, in particolare, che “….l’Ente locale è chiamato a tenere nella dovuta considerazione le valutazioni espresse nel parere rilasciato.” Cordiali saluti Il Direttore Giuseppe Sverzellati Allegati: 3 Confederazione nazionale dei servizi 00184 Roma Via Cavour, 179/a Tel. 06.47865.1 Fax 06.47865.250 www.confservizi.net Codice Fiscale 80047990587 Partita IVA 02117401006 L’AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO NELLA SUA ADUNANZA del 16 ottobre 2008; VISTA la legge 10 ottobre 1990, n. 287; VISTO l'articolo 23-bis del Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133; RITENUTA l’opportunità di definire le modalità applicative del citato articolo 23-bis, allo scopo di rendere edotti gli enti locali circa le procedure da seguire in materia di affidamento in-house dei servizi pubblici locali di rilevanza economica ai fini del rilascio del parere da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per i profili di competenza; DELIBERA di adottare la “Comunicazione sulle procedure di applicazione dell’articolo 23-bis del Decreto Legge n. 112/2008, convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133”, il cui testo allegato è parte integrante del presente provvedimento. Il presente provvedimento e la relativa comunicazione saranno pubblicati sul Bollettino dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. IL SEGRETARIO GENERALE Luigi Fiorentino IL PRESIDENTE Antonio Catricalà Comunicazione sull’applicazione dell’art. 23-bis, comma 3, del Decreto Legge n. 112/2008 convertito in legge n. 133/2008 relativo all’affidamento in-house dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Ambito di applicazione 1. La presente comunicazione si applica agli Enti Locali con riguardo alla scelta dei modelli gestionali dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e fornisce alcune indicazioni in relazione ai compiti consultivi affidati all’Autorità dall’art. 23-bis, comma 3, del Decreto legge n. 112/2008. Servizi Pubblici Locali di rilevanza economica 2. Si definiscono servizi pubblici locali di rilevanza economica tutti quelli aventi ad oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali con esclusione dei servizi sociali privi di carattere imprenditoriale. Modelli di affidamento dei Servizi Pubblici Locali 3. L’art. 23-bis, dopo aver stabilito al comma 2 il principio generale che l’affidamento dei servizi pubblici locali deve essere effettuato mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, al successivo comma 3 prevede la possibilità di derogare a tale regola laddove sussistano “particolari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento” che “non permettono un efficace e utile ricorso al mercato”. 4. L’affidamento, nei casi disciplinati dal comma 3 dell’art. 23-bis, deve avvenire “nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria”. Tali principi riconducono l’utilizzabilità dell’istituto dell’affidamento diretto ad ipotesi eccezionali. Ai criteri elaborati dalla Corte di Giustizia e che qualificano il rapporto tra l’Ente locale e la società affidataria si aggiungono quelli esogeni inerenti le “particolari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento”, in maniera tale da circoscrivere ulteriormente l’ambito di applicazione dell’affidamento diretto attraverso modalità in-house. Presentazione della richiesta di parere 5. L’Ente Locale che intenda affidare un servizio pubblico locale ai sensi dell’art. 23-bis, comma 3, del Decreto Legge n. 112/2008 deve presentare una richiesta di parere, utilizzando l’apposito formulario, corredata dalle informazioni e dai documenti rilevanti, all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Piazza Verdi 6/A, 00198 Roma, prima della delibera con la quale l’Ente Locale stesso affiderà il servizio ed in ogni caso, in tempo utile per il rilascio del prescritto parere. 6. L’Ente Locale deve fornire all’Autorità almeno: a) b) c) d) una relazione contenente gli esiti dell’indagine di mercato dai quali risulti, in termini comparativi, la convenienza dell’affidamento diretto rispetto all’esperimento di una procedura ad evidenza pubblica; informazioni circa le modalità con le quali sono resi pubblici gli elementi di cui al punto sub a); tutte le indicazioni soggettive relative all’impresa/e interessata/e; dati relativi al tipo ed al valore dei servizi in questione; e) f) g) h) l’atto costitutivo, lo statuto e le informazioni relative al campo di attività della società affidataria; informazioni concernenti le caratteristiche economiche del settore o del mercato tali da giustificare l’affidamento in-house; indicazioni in merito ai principali concorrenti; indicazioni in merito alle eventuali forme di finanziamento o di sussidio dell’attività oggetto di affidamento e delle attività a questa connesse. 7. L’Autorità rilascia il parere di cui all’art. 23-bis, comma 4, del Decreto Legge n. 112/2008 entro il termine di sessanta giorni decorrenti dal ricevimento dalla richiesta avanzata dall’ente locale, purché la medesima contenga tutte le informazioni previste dal formulario e sia corredata degli allegati e di tutti gli elementi essenziali ad una completa valutazione da parte dell’Autorità. In caso di incompletezza delle informazioni fornite dall’Ente, l’Autorità può fissare un termine per il completamento della richiesta di parere. In tal caso, il termine di sessanta giorni previsto per il rilascio del parere decorre nuovamente dal ricevimento delle informazioni complete. In ogni caso, qualora lo ritenga necessario, l’Autorità può richiedere all’Ente ulteriori informazioni ai fini della valutazione. 8. L’Autorità ritiene che l’Ente locale è chiamato a tenere nella dovuta considerazione le valutazioni espresse nel parere rilasciato. (Spazio riservato all’Ufficio) FORMULARIO PER LA RICHIESTA DI PARERE AI SENSI DELL'ART. 23 BIS DEL D.L. N. 112, DEL 25 GIUGNO 2008, CONVERTITO IN LEGGE N. 133, DEL 6 AGOSTO 2008 Sezione I - INFORMAZIONI DI BASE 1. Ente locale notificante (indicare la denominazione dell'ente, la sua sede e i recapiti telefonici delle persone da contattare) Denominazione dell’ente______________________________________________ Sede legale Indirizzo___________________________ Città_________________Prov______ Persone da contattare1 ________________________________________ Telefono_________________________ fax _____________ Posta elettronica__________________@_______________ 2. Società affidataria/e (indicare la ragione sociale, la sede legale, e i recapiti telefonici delle persone da contattare Ragione sociale_________________________________________________ Sede legale Indirizzo___________________________ Città_________________Prov______ Telefono_________________________ fax _____________ Posta elettronica__________________@_______________ 1 Referente a cui fare riferimento per comunicazioni 3. Data prevista di inizio________________ e durata dell'affidamento________ 4. Rappresentanti legali: per l’ente notificante_______________________carica____________________ Indirizzo___________________________ Città_________________Prov______ Telefono_________________________ fax _____________ Posta elettronica__________________@_______________ per la società affidataria____________________ carica____________________ Indirizzo___________________________ Città_________________Prov______ Telefono_________________________ fax _____________ Posta elettronica__________________@_______________ 5. Indicazione delle Autorità di settore alle quali è stata o sarà inoltrata la richiesta di parere __________________________________________________________________ Sezione II – TIPOLOGIA DEL SERVIZIO 6. Tipologia, caratteristiche del servizio in esame (breve descrizione del servizio per il quale si intende procedere all'affidamento in-house) (regime di proprietà e gestione dei beni oggetto di affidamento) ( breve descrizione della precedente gestione del servizio) 7. Valore del servizio________________________________________ 8. Ambito territoriale di riferimento 9. Popolazione interessata ____________________________ (numero abitanti) 10. Informazioni sulle modalità di pubblicità data alla scelta di affidare il servizio in-house Sezione III - PARTECIPANTI E LEGAMI PERSONALI E FINANZIARI 11. Società affidataria/e del servizio (assetto proprietario e di controllo della società affidataria, attività economica e dimensione complessiva della medesima) ( eventuali legami finanziari o personali con l'Ente locale) (eventuali investimenti previsti dalla Società affidataria sui beni oggetto di affidamento e relativi piani di ammortamento) 12. Elenco delle altre società partecipate e controllate dalla società affidataria del servizio (indicare la presenza su mercati diversi da quelli oggetto dell’affidamento) Sezione IV - MERCATI INTERESSATI 13. Definizione del mercato (breve descrizione del mercato rilevante sotto il profilo del prodotto e della dimensione geografica) (breve descrizione delle caratteristiche del mercato. Ad esempio, in caso di affidamenti aventi ad oggetto servizi di trasporto pubblico locale indicare i volumi di traffico, i Km/vettura ed eventuale sostituibilità con altre modalità di trasporto) 14. Principali operatori del settore e relative quote di mercato (a livello locale e nazionale) Sezione V – CARATTERISTICHE DEL CONTESTO TERRITORIALE DI RIFERIMENTO CHE NON CONSENTONO IL RICORSO AL MERCATO 15. Valutazione comparativa tra la scelta di affidamento in-house ed il ricorso a procedure ad evidenza pubblica 16. Caratteristiche economiche (breve descrizione dei risultati dell'indagine di mercato svolta) 17. Caratteristiche ambientali 18. Caratteristiche geomorfologiche 19. Caratteristiche sociali ALLEGATI (inviabili anche in formato elettronico) A) Indagine di mercato e analisi comparativa svolta B) Relazioni tecniche sul contesto territoriale di riferimento C) Statuto ed atto costitutivo della società o delle società affidatarie Agenzia delle Entrate DIREZIONE CENTRALE NORMATIVA E CONTENZIOSO Risoluzione del 05/11/2008 n. 423 Oggetto: Interpello ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 212 del 2000 - Deduzioni dalla base imponibile IRAP di cui all'art. 11, comma 1, lett. a), n. 2, del D.Lgs. n. 446/1997 Servizio di documentazione tributaria Testo: Con istanza d'interpello presentata in data ... 2008, la societa' Azienda servizi igiene ambientale - ALFA S.p.A. (di seguito: ALFA spa) ha chiesto chiarimenti in merito alla corretta interpretazione delle deduzioni dalla base imponibile IRAP disposte al numero 2), 3) e 4) della lettera a), del comma 1, dell'articolo 11 del D.Lgs n. 446 del 1997. Quesito La Societa' istante, costituita quale Azienda speciale ai sensi dell'art. 22 della legge n. 142 del 1990, in conformita' alla previsione contenuta nell'art. 115, comma 3, del D.Lgs. n. 267 del 2000, Testo unico degli enti locali, e' stata successivamente trasformata in societa' per azioni (cfr. delibera di consiglio comunale di X n. ... del 2003, con atto del 2003). L'ALFA spa, partecipata integralmente dal Comune di X, ha ricevuto in affidamento dal Comune di X il servizio di raccolta e trasporto a discarica dei rifiuti solidi urbani, nonche' il servizio di smaltimento in discarica dei rifiuti raccolti, cd. "servizio d'igiene ambientale" (cfr. delibere del consiglio comunale di X del 1999, n. ... e del 2000, n. ...). A fronte dell'affidamento del servizio, nell'attesa dell'approvazione di un contratto di servizi che regoli l'assegnazione di risorse per l'attivita' svolta dall'ALFA spa, l'ammontare che il medesimo comune trasferisce al concessionario e' definito attraverso atti di programmazione. Valutati i chiarimenti contenuti al punto 1.3 della Circolare n. 61/E del 19 novembre 2007, la societa' istante chiede di poter fruire delle deduzioni dalla base imponibile IRAP di cui all'art. 11, comma 1, lett. a), n. 2, del D.Lgs. n. 446/1997, in quanto non qualificabile come impresa operante in concessione e a tariffa. Soluzione interpretativa prospettata dall'istante La societa' istante, ritiene che nel proprio caso non ricorra alcuna delle condizioni che escludono dalla possibilita' di fruire del beneficio le imprese operanti in concessione e a tariffa nel settore della raccolta e smaltimento rifiuti, cosi' come chiarite al punto 1.3 della Circolare n. 61/E del 19 novembre 2007. Cio' in quanto, la societa' ALFA spa non e' beneficiaria di alcuna concessione traslativa, ne' e' riconosciuta in suo favore alcuna tariffa per lo svolgimento delle attivita' commessegli. Tale affermazione, fondata sulla distinzione esistente fra l'appalto e la concessione di servizi, e' argomentata dalla societa' nell'istanza con una puntuale ricostruzione del quadro di riferimento legislativo e giurisprudenziale in materia. In particolare, la societa' interpellante evidenzia che l'elemento maggiormente distintivo (se non unico) tra concessione (di servizio pubblico) ed appalto va rinvenuto nei fenomeno di traslazione dell'alea inerente una certa attivita' in capo al soggetto affidatario del servizio medesimo e, conseguentemente, nella modalita' della remunerazione dello stesso". Conseguentemente, a parere dell'ALFA spa, se l'affidatario assume i rischi di gestione del servizio, rifacendosi sugli utenti mediante Pagina 1 Servizio di documentazione tributaria Risoluzione del 05/11/2008 n. 423 riscossione di un canone o tariffa direttamente presso i medesimi, allora ricorrerebbe il caso della concessione. Di contro, se l'onere della remunerazione dell'affidatario sia direttamente in capo all'Amministrazione, allora ricorrerebbe l'ipotesi dell'appalto. Inoltre, l'istante sottolinea che nella sentenza del 22 aprile 2007, n. 17829 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno qualificato il rapporto fra un Comune e una societa' affidataria del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani come appalto di servizi in quanto "non si era realizzata alcuna delega traslativa di poteri dal comune al privato, il quale non poteva pretendere alcun prezzo dagli utenti per il servizio prestato". Ed, infine tra l'altro, vengono riportate le argomentazioni espresse in ambito giurisprudenziale amministrativo (cfr. Consiglio di Stato, 30 aprile 2002, n. 2294) secondo cui "la concessione di servizi riguarda sempre un articolato rapporto trilaterale che interessa l'amministrazione, il concessionario e gli utenti del servizio". Cio' posto, la societa' istante rileva che l'affidamento dei servizi in parola, da parte dell'ente comunale all'ALFA, e' riconducibile all'appalto di servizi e non alla concessione e, pertanto, l'attivita' svolta non e' qualificabile come "impresa in concessione". Con riferimento al requisito economico, la societa' interpellante evidenzia che il corrispettivo riconosciuto non appare riconducibile alla natura di tariffa, in quanto relativo al rapporto tra amministrazione e gestore e anche in ragione della natura dell'affidamento da parte del Comune dei servizi in favore della Societa' istante. Inoltre, l'istante fa presente che la misura del proprio corrispettivo e' completamente slegata dagli introiti ottenuti del Comune a titolo di riscossione della TARSU e utilizzati per ricavare i fondi da trasferire all'ALFA spa. Parere dell'Agenzia delle entrate Al fine di favorire la competitivita' delle imprese attraverso la riduzione del cosiddetto cuneo fiscale e contributivo, la legge 23 dicembre 2006, n. 296 (legge Finanziaria 2007) ha modificato l'articolo 11 del D. Lgs n. 446 del 15 dicembre 1997, n. 446, recante la disciplina dell'imposta regionale sulle attivita' produttive, introducendo nuove deduzioni dalla base imponibile IRAP per i datori di lavoro che impiegano personale dipendente a tempo indeterminato. In deroga al generale principio di indeducibilita' del costo del lavoro, l'articolo 11, comma 1, lettera a), numeri 2), 3) e 4, del D. Lgs n. 446 del 1997 stabilisce la deducibilita': - di un importo pari ad euro 4.600 (5.000 per il periodo d'imposta 2007), su base annua, per ogni lavoratore a tempo indeterminato impiegato nel periodo d'imposta; - di un importo fino a 9.200 euro annui (10.000 per il periodo d'imposta 2007) su base annua, per ogni lavoratore con contratto a tempo indeterminato impiegato nel periodo d'imposta nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia; - dei contributi previdenziali e assistenziali relativi ai lavoratori dipendenti a tempo indeterminato. Le citate previsioni normative introdotte con la legge finanziaria 2007 e rimodulate con la legge n. 244 del 24 dicembre 2007 (legge finanziaria 2008) trovano applicazione per i soggetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettere da a) ad e) del decreto IRAP ad esclusione, delle "...imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori dell'energia, dell'acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento rifiuti...". Con riferimento a tali soggetti, l'Agenzia delle Entrate ha avuto modo di chiarire, al punto 1.3 della circolare n. 61/E del 19 novembre 2007, che le imprese che svolgono attivita' "regolamentate", e quindi escluse dalle nuove deduzioni, sono individuabili mediante la verifica dei due criteri posti dal comma 1 del citato articolo 11. In particolare, Pagina 2 Servizio di documentazione tributaria Risoluzione del 05/11/2008 n. 423 a) sotto il profilo giuridico, deve trattarsi di un'attivita' svolta in forza di una concessione traslativa e cioe' di un provvedimento con il quale l'ente pubblico conferisce ad un soggetto privato diritti o potesta' inerenti un'attivita' economica in origine riservata alla pubblica amministrazione e che, tuttavia, questa non intenda esercitare direttamente; b) sotto il profilo economico, deve trattarsi di un'attivita' il cui corrispettivo e' costituito da una tariffa e cioe' da un prezzo fissato o "regolamentato" dalla pubblica amministrazione in misura tale da assicurare l'equilibrio economico-finanziario dell'investimento e della connessa gestione. L'esclusione dettata dalle disposizioni in commento opera, come evidenziato nella citata circolare, per le imprese per le quali risultano contemporaneamente verificate le condizioni di cui ai punti precedenti. Le indicate caratteristiche ricorrono essenzialmente nell'ambito dei servizi pubblici locali o nazionali e, in particolare, nei settori dell'energia, dell'acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento rifiuti, imprese cd. "pubblic utilities". Cio' opportunamente premesso, la scrivente e' dell'avviso che la nozione di concessione espressa all'articolo 11, comma 1, lett. a), n. 2, del decreto IRAP debba essere accolta con una definizione ampia, atteso il conforme parere espresso dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell'Economia e delle finanze nella nota prot. n. 5093 del 24 giugno 2008. In particolare, si ritiene che ricorra una "concessione traslativa" nel caso in cui vi sia un'effettiva traslazione di funzioni di interesse pubblico da una pubblica amministrazione ad un concessionario privato, prescindendo dal nomen iuris dell'atto con il quale detto affidamento e' posto in essere. Si deve, percio', correttamente parlare di attivita' regolamentate tutte le volte in cui un soggetto pubblico interviene esogenamente sulle dinamiche interne del mercato. In tal modo deve, pertanto, intendersi integrata la nozione di "concessione traslativa" come indicata nella circolare 61/E del 2007. Tale approccio non si discosta da quanto gia' espresso in sede comunitaria - punto 13 della decisione C (2007) 4133 def. del 12 settembre 2007 della Commissione europea - in cui si afferma che "nel contesto giuridico italiano la concessione e' uno strumento finalizzato a soddisfare un pubblico interesse conferendo al concessionario il diritto di intraprendere un'attivita' solitamente riservata alla pubblica amministrazione...". Inoltre, nella medesima decisione, si evidenzia come "la liberalizzazione di diversi mercati sta interessando settori tradizionalmente operanti in concessione e, di conseguenza, la concessione sta diventando uno strumento giuridico superato, spesso sostituito da procedure di autorizzazione diverse...". I rilievi posti dalla societa' istante evidenziano le distinzioni esistenti fra concessione e appalto di servizi in ambito sia normativo che giurisprudenziale, tuttavia, dette argomentazioni non escludono che nel caso di specie si sia in presenza di un'attivita' regolamentata, nell'ampia accezione individuata dal Dipartimento delle finanze. Anche sotto il profilo economico-gestionale, la scrivente ritiene che il corrispettivo stabilito nei contratti di affidamento allegati concretizzi, di fatto, una tariffa in quanto si tratta di un prezzo fissato o "regolamentato" dai comuni in misura tale da assicurare l'equilibrio economico-finanziario dell'investimento e della connessa gestione nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicita' della gestione medesima. In proposito, si rileva che il Comune di X non avendo optato per l'adozione della tariffa in via sperimentale (ai sensi dell'articolo 238 del D. Lgs. n. 152 del 2006), attualmente, reperisce i fondi per lo svolgimento dell'attivita' di smaltimento dei rifiuti solidi urbani con un regime fondato sulle disposizioni della TARSU, ai sensi del D. Lgs. n. 507 del 1993. Atteso quanto disposto all'articolo 61 del D. Lgs. 507 del 1993, l'introito derivante della TARSU ha un espresso vincolo di destinazione alla copertura dei costi di esercizio del servizio in parola. Pagina 3 Servizio di documentazione tributaria Risoluzione del 05/11/2008 n. 423 L'ALFA spa, pur non occupandosi della riscossione delle somme necessarie per finanziarie la propria attivita', riceve dal Comune di X dei fondi per natura vincolati allo svolgimento del servizio in parola, che hanno come finalita' quella di assicurare l'equilibrio economico-finanziario dell'investimento e della connessa gestione. Inoltre, non puo' condividersi l'osservazione della societa' istante secondo cui i fondi che gli vengono assegnati per l'esercizio dell'attivita' non contemplino quale obiettivo il recupero di tutti gli oneri di gestione. Infatti, proprio nell'articolo 61 del D.Lgs. n. 507/1993, citato dall'istante a sostegno della propria tesi, viene fatto riferimento ai "costi di esercizio" che, come tali si ritiene siano comprensivi di ogni onere o spesa inerente alla gestione del servizio rilevante per la tassa (cfr. Circolare n. 40/E-III-5-921 del 17 febbraio 1996 Direzione centrale fiscalita' locale). Pertanto, a parere della scrivente i fondi trasferiti dal Comune di X all'ALFA spa consentono di assicurare l'equilibrio economico-finanziario dell'investimento e della connessa gestione, sotto ogni profilo, ivi incluso quello della copertura degli oneri fiscali. Tali argomentazioni risultano peraltro comunque valide anche nel caso in cui il risultato complessivamente raggiunto dall'attivita' economica sia negativo. In materia, si fa rinvio ai principi affermati dalla risoluzione del 24 settembre 2008 n. 358/E. Per tali motivi si ritiene che con riferimento alla societa' ALFA spa sussistano congiuntamente i criteri dettati dall'articolo 11 del decreto IRAP per l'individuazione delle imprese che svolgono attivita' regolamentate e che sono quindi escluse dall'applicazione dalle citate deduzioni. Conseguentemente, si ritiene che la societa' istante non possa tener conto nella determinazione della base imponibile IRAP delle nuove deduzioni di cui all'art. 11, comma 1, lettera a), n. 2), 3) e 4), del D.Lgs. n. 446/1997, in quanto nell'esercizio del servizio di raccolta e trasporto a discarica dei rifiuti solidi urbani ricorrono entrambi i criteri dettati dalla norma e precisati nella predetta circolare n. 61/E del 19 novembre 2007, criteri che ne caratterizzano l'attivita' svolta sia sul piano giuridico che su quello economico - gestionale. *** Le Direzioni Regionali vigileranno affinche' i principi nella presente risoluzione vengano applicati con uniformita'. Pagina 4 enunciati Agenzia delle Entrate DIREZIONE CENTRALE NORMATIVA E CONTENZIOSO Risoluzione del 10/11/2008 n. 428 Oggetto: Interpello. Articolo 11, legge 27 luglio 2000, n. 212. Irap - cuneo fiscale - Imprese che svolgono attivita' "regolamentata"- Articolo 11, comma 1, lettera a), del D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 Servizio di documentazione tributaria Testo: Con l'interpello specificato in oggetto, concernente l'interpretazione dell'articolo 11, comma 1, lettera a), del D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, e' stato esposto il seguente QUESITO La ALFA S.r.l. chiede chiarimenti in ordine alla corretta applicazione delle deduzioni previste ai fini IRAP dall'articolo 11, comma 1, lettera a), numeri 2), 3) e 4) del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (di seguito, decreto IRAP). I dubbi interpretativi riguardano, in particolare, la previsione normativa contenuta nel menzionato articolo 11 secondo cui sono escluse dall'agevolazione le "...imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori dell'energia, dell'acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento rifiuti...". La societa' interpellante opera nel settore del trasporto pubblico locale, essendo risultata aggiudicataria di una gara d'appalto, pur non avendo ancora perfezionato il rapporto giuridico sottostante mediante la sottoscrizione del relativo contratto di servizi. L'istante evidenzia che il corrispettivo per il servizio di trasporto pubblico affidato risulta costituito da una tariffa. Cio' premesso, chiede se possa beneficiare delle deduzioni IRAP di cui al richiamato art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2), 3) e 4 del decreto IRAP. SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE La societa' e' del parere che nella fattispecie in esame non operino congiuntamente i criteri posti dall'articolo 11, comma 1, lettera a), numeri 2), 3) e 4) del decreto IRAP, i quali escludono la fruizione delle deduzioni per le imprese operanti in concessione e a tariffa (cc.dd. public utilities). Nel caso di specie, infatti, i rapporti intercorrenti tra la societa' istante affidataria del servizio e l'ente concedente sarebbero regolati da un contratto di servizi e non da un atto amministrativo di natura concessoria. La societa' ritiene, pertanto, applicabili nella determinazione della base imponibile IRAP le deduzioni introdotte dalla legge finanziaria 2007, in quanto non svolgerebbe attivita' "regolamentata" nel senso specificato dalla norma in esame. PARERE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE La circolare n. 61/E del 19/11/2007, di commento delle deduzioni IRAP relative al cuneo fiscale e contributivo, ha chiarito che le imprese che svolgono attivita' "regolamentate", e quindi escluse dalle nuove deduzioni, sono individuabili mediante la verifica dei due criteri posti dal comma 1 del citato art. 11. In particolare, - sotto il profilo giuridico, deve trattarsi di un'attivita' svolta in forza di una concessione traslativa e cioe' di un provvedimento con il quale l'ente pubblico conferisce ad un soggetto privato diritti o potesta' inerenti un'attivita' economica in origine riservata alla pubblica amministrazione e che, tuttavia, questa non intenda esercitare direttamente; - sotto il profilo economico, deve trattarsi di un'attivita' il cui Pagina 1 Servizio di documentazione tributaria Risoluzione del 10/11/2008 n. 428 corrispettivo e' costituito da una tariffa e cioe' da un prezzo fissato o "regolamentato" dalla pubblica amministrazione in misura tale da assicurare l'equilibrio economico-finanziario dell'investimento e della connessa gestione. L'esclusione dettata dalle disposizioni in commento opera, quindi, solo nel caso in cui ricorrano congiuntamente i due criteri sopramenzionati, da intendersi come cumulativi e non alternativi. Relativamente alla qualificazione giuridica del rapporto intercorrente tra l'ente pubblico e la societa' istante in ordine all'affidamento del servizio di trasporto pubblico locale, si deve tener conto di quanto affermato dalla Commissione europea con decisione C(2007) 4133 def. del 12 settembre 2007, con la quale l'Esecutivo comunitario ha ritenuto di non dover "sollevare obiezioni relativamente alla misura, poiche' essa non costituisce aiuto di Stato ai sensi dell'art. 87, paragrafo 1, del trattato CE". In particolare, al punto 13 della suddetta decisione si legge che: "nel contesto giuridico italiano la concessione e' uno strumento finalizzato a soddisfare un pubblico interesse conferendo al concessionario il diritto di intraprendere un'attivita' solitamente riservata alla pubblica amministrazione...". Viene ancora evidenziato come: "La liberalizzazione di diversi mercati sta interessando settori tradizionalmente operanti in concessione e, di conseguenza, la concessione sta diventando uno strumento giuridico superato, spesso sostituito da procedure d'autorizzazione diverse". Tale precisazione conforta la tesi per cui non ricadono nell'ambito applicativo del cuneo fiscale anche le ipotesi in cui l'atto di concessione non sia propriamente riconducibile, sotto il profilo giuridico, alla categoria degli atti amministrativi di tipo provvedimentale. Del resto, cio' che caratterizza la natura concessoria del rapporto tra soggetto pubblico e privato non e' tanto la tipologia dell'atto di affidamento del servizio, quanto piuttosto il particolare regime di controllo a cui e' sottoposto il privato in ragione dell'interesse pubblico all'esercizio corretto del servizio affidato. In considerazione di quanto affermato dagli organi comunitari e in linea anche con il parere espresso, al riguardo, dal Dipartimento delle finanze (cfr. nota prot. n. 5093 del 24 giugno 2008), la scrivente e' dell'avviso che debba essere accolta una definizione ampia di "concessione", dovendosi ritenere che la stessa ricorra tutte le volte in cui vi sia l'affidamento di funzioni di interesse pubblico ad un privato, prescindendo dal nomen iuris dell'atto con il quale detto affidamento e' posto in essere. Si deve, percio', correttamente parlare di attivita' regolamentate tutte le volte in cui un soggetto pubblico interviene esogenamente sulle dinamiche interne del mercato. In tal modo deve, pertanto, intendersi integrata la nozione di "concessione traslativa" come indicata nella circolare n. 61/E del 2007. Ai fini dell'applicazione della norma in esame, appare rilevante la circostanza che attraverso il ricorso alla concessione, nell'accezione sopra specificata, venga, di fatto, affidato alla societa' un servizio pubblico locale nel significato ampio desumibile dall'art. 112 del d.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, tale da ricomprendere - oltre i servizi riservati in via esclusiva ai Comuni e alle Province - "qualsiasi attivita' che si concreta nella produzione di beni e servizi in funzione di un'utilita' per la Comunita' locale non solo in termini economici ma anche ai fini di promozione sociale" (cfr. sentenze del Consiglio di Stato nn. 2024 del 17 aprile 2003 e 2605 del 9 maggio 2001). Sulla base delle argomentazioni sopra esposte, si ritiene che la societa' istante non possa tener conto nella determinazione della base imponibile IRAP delle nuove deduzioni di cui all'art. 11, comma 1, lettera a), n. 2), 3) e 4) del decreto IRAP, in quanto nello svolgimento dell'attivita' di trasporto pubblico locale ricorrono entrambi i criteri dettati dalla norma e precisati nella circolare n. 61/E del 2007 per l'individuazione delle imprese che svolgono attivita' regolamentate, criteri che ne caratterizzano l'attivita' svolta sia sul piano giuridico sia su quello economico - gestionale. *** Le Direzioni regionali vigileranno affinche' le istruzioni fornite e i Pagina 2 Risoluzione del 10/11/2008 n. 428 la presente Servizio di documentazione tributaria principi enunciati con osservati dagli uffici. Pagina 3 risoluzione vengano puntualmente Agenzia delle Entrate DIREZIONE CENTRALE NORMATIVA E CONTENZIOSO Risoluzione del 10/11/2008 n. 429 Oggetto: Consulenza giuridica. Articolo 11, legge 27 luglio 2000, n. 212. Irap cuneo fiscale - Imprese che svolgono attivita' "regolamentata"- Articolo 11, comma 1, lettera a), del D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 Servizio di documentazione tributaria Testo: Con la richiesta di consulenza giuridica specificata in oggetto, concernente l'interpretazione dell'articolo 11, comma 1, lettera a), del D. Lgs 15 dicembre 1997, n. 446, e' stato esposto il seguente QUESITO La ALFA di ..., in rappresentanza delle imprese associate, chiede di sapere se siano applicabili alle imprese esercenti impianti a fune le deduzioni IRAP, di cui all'art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2, 3 e 4, del D.Lgs. n. 446 del 1997 (di seguito, decreto IRAP), concernenti il c.d. cuneo fiscale e contributivo. SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE L'istante ritiene che le imprese esercenti impianti a fune - con cio' intendendo le aziende che si occupano del trasporto funiviario in servizio pubblico all'interno delle aree sciabili - possano fruire dei benefici fiscali concernenti il cuneo fiscale, non sussistendo i requisiti prescritti dalla norma - vale a dire l'esistenza di una concessione e di una tariffa per la loro esclusione. Mancherebbe, infatti, nel caso di specie, una concessione traslativa di funzioni pubbliche, in quanto la gestione di aree sciabili non rientra tra le attivita' in origine riservate alla pubblica amministrazione. Inoltre, non si tratterebbe di un'attivita' remunerata mediante una tariffa, in quanto la Provincia di Trento, con delibera n. 7240 del 5 novembre 1999, si e' limitata a fissare i valori massimi di tariffa in relazione alle diverse categorie di impianti e alla tipologia di corse effettuate. PARERE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE L'art. 11 del decreto IRAP, come modificato dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007), riconosce in favore dei soggetti di cui all'art. 3, comma 1, lettere da a) ad e), del medesimo decreto, alcune deduzioni dalla base imponibile IRAP riferibili a ciascun lavoratore dipendente impiegato a tempo indeterminato nel periodo d'imposta. La circolare n. 61/E del 19 novembre 2007, esplicativa delle nuove deduzioni IRAP, ha chiarito che sono escluse dalle agevolazioni in esame, per espresso dettato normativo, oltre le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 3, comma 1, lettera e-bis, del decreto IRAP, anche le imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori dell'energia, dell'acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento rifiuti. Si tratta di tutte quelle imprese (cc.dd. public utilities) che operano nell'ambito dei pubblici servizi in forza sia di una concessione pubblica sia di una tariffa regolamentata. Con riferimento a tali soggetti, l'Agenzia delle Entrate ha avuto modo di precisare, al punto 1.3 della circolare n. 61/E del 2007, che le imprese che svolgono attivita' "regolamentate", e quindi escluse dalle nuove deduzioni, sono individuabili mediante la verifica dei due criteri posti dal comma 1 del citato art. 11. In particolare: - sotto il profilo giuridico, deve trattarsi di un'attivita' svolta in Pagina 1 Risoluzione del 10/11/2008 n. 429 Servizio di documentazione tributaria forza di una concessione traslativa e cioe' di un provvedimento con il quale l'ente pubblico conferisce ad un soggetto privato diritti o potesta' inerenti un'attivita' economica in origine riservata alla pubblica amministrazione e che, tuttavia, questa non intenda esercitare direttamente; - sotto il profilo economico, deve trattarsi di un'attivita' il cui corrispettivo e' costituito da una tariffa e cioe' da un prezzo fissato o "regolamentato" dalla pubblica amministrazione in misura tale da assicurare Pagina 2 DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA - parere 16 ottobre 2008 n. 50 - Oggetto: Art. 3, comma 59, legge 24 dicembre 2007 n. 244 - contratto di assicurazione amministratori per i rischi derivanti dall'espletamento dei compiti istituzionali connessi con la carica. PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Dipartimento della Funzione Pubblica Ufficio per il Personale delle Pubbliche Amministrazioni Servizio del Trattamento del personale Azienda sanitaria locale della Provincia di Alessandria Assistenza giuridico-legale Sede di Tortona Oggetto: Art. 3, comma 59, legge 24 dicembre 2007 n. 244 - contratto di assicurazione amministratori per i rischi derivanti dall'espletamento dei compiti istituzionali connessi con la carica. Con riferimento ai quesiti posti da codesta Amministrazione in merito alla responsabilità amministrativa degli amministratori ed a quanto già espresso nel parere n. 23/08 di questo Ufficio, si rappresenta che la norma di cui al comma 59 art. 3 si riferisce ad assicurazioni di rischi derivanti dall'espletamento di compiti istituzionali "connessi con la carica" e quindi riguarda direttamente quei soggetti che svolgono attività istituzionale in qualità di organo. E' opportuno però tener conto della circostanza che la giurisprudenza contabile in materia e costante nel ritenere illegittime le coperture assicurative per amministratori e dipendenti qualora il relativo premio assicurativo sia posto a carico del bilancio dell'ente pubblico. Come già rappresentato nel parere 23/2008, la Corte dei Conti si reiteratamente pronunciata affermando "l'illegittimità della stipula di polizze assicurative destinate alla copertura dei danni erariali che amministratori e dipendenti potrebbero essere chiamati a risarcire, in conseguenza della Toro responsabilità amministrativa o contabile nei confronti dell'Ente stesso o di altri enti pubblici" (Corte dei conti, sez. Piemonte, parere n. 2/parr/2008). Per quanta riguarda il secondo quesito, ovvero se sia legittima la copertura assicurativa con pagamento del premio a carico dei singoli dipendenti, si osserva che la soluzione appare essere in linea la normativa in materia, poichè ciò che viene censurato dal legislatore e dalla giurisprudenza e l'onere a carico del bilancio pubblico dei costi derivanti dalla stipula del contratto di assicurazione. Nel caso invece in cui l'onere gravasse sul personale interessato non si ravviserebbe alcun contrasto con la normativa vigente. Ed infatti scopo del legislatore sembra essere proprio quello di salvaguardare i bilanci pubblici e far si che il danno, causato dal comportamento del dipendente con dolo o colpa grave, vada ad incidere nella sfera patrimoniale del dipendente che lo ha cagionato. Sul punto specifico la Corte dei conti, a proposito del premio assicurativo posto a carico di un pubblico bilancio, ha testualmente affermato: "la natura del rapporto (di assicurazione) lo fa inquadrare nella figura giuridica del contratto a favore di terzo,... ma qui emerge la sorprendente particolarità per la quale il soggetto pagante il premio - profitto d'altri - e il medesimo che proprio dall'illecito agire del beneficiario della polizza abbia subito nocumento: v 'ê quindi rispetto alla fattispecie civilisticamente configurata un quid pluris che, da un lato e una contraddizione logica prima ancora che giuridica, e dall'altro, la fonte di una sorta di immunità comportamentale del tutto inammissibile, poichè coinvolgente valori che non sono nella disponibilità delle parti" (Corte dei conti n. 12509/2002). Tale ragionamento della Corte, analogicamente, si ritiene possa applicarsi anche alla fattispecie di responsabilità civile verso terzi causata da comportamento doloso o colposo del dipendente. 93 Alla luce delle considerazioni che precedono, si ritiene, quindi, che in base alla normativa vigente ed ai principi elaborati dalla giurisprudenza non vi siano motivi ostativi a che sia stipulato un contratto di assicurazione per danni causati dal dipendente o dall'amministratore senza oneri per l'amministrazione ovvero con oneri ricadenti a carico del dipendente. 94 CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - sentenza 1 ottobre 2008 n. 4739 - Pres. Ruoppolo, Est. Colombati - Società italiana autori ed editori (S.I.A.E.) (Avv.ti Grisostomi Travaglini e Mandel) c. S.I.L.B. F.I.P.E. s.r.l. (Avv.ti di Palma e Rinella) e Circolo privato "Millenium" ed altri (n.c.) REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente DECISIONE sul ricorso in appello proposto dalla SOCIETA' ITALIANA AUTORI ED EDITORI (S.I.A.E.) in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Lorenzo Grisostomi Travaglini e Maurizio Mandel con domicilio eletto in Roma viale della Letteratura, 30, presso lo studio dell’ultimo, contro S.I.L.B. F.I.P.E. S.R.L. - SEZ. PROVINCIALE DI BRINDISI, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Costanzo di Palma e Rossana M. Agnese Rinella con domicilio eletto in Roma via della Panetteria n. 15, presso lo studio dell’avv. Rossana M. Agnese Rinella; e nei confronti di CIRCOLO PRIVATO "MILLENIUM", IMMOBILIARE ANNAMARIA S.R.L., RISTORANTE PUB NAXOS DI TO. VI. S.N.C. DI TORRONI E VITA, PUB DOLPHIN, TORRE REGINA GIOVANNA, FICORICCO CLUB, non costituiti; per l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia sede di Lecce, Sez. II n. 2420 del 3 maggio 2006. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della S.I.L.B. F.I.P.E. S.R.L. - SEZ. PROVINCIALE DI BRINDISI; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Alla pubblica udienza del 6 maggio 2008 relatore il Consigliere Marcella Colombati. Uditi gli avvocati Mandel, Rinella e Astorri, per delega dell’avv. Grisostomi Travaglini; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: FATTO L’Associazione italiana imprese di intrattenimento, danzanti e di spettacolo – S.I.L.B. F.I.P.E. s.r.l., sez. provinciale di Brindisi, afferma: 95 a) di essere un’associazione senza fini di lucro, con sede principale in Roma, avente come scopo istituzionale di provvedere alla tutela, all’assistenza e alla promozione degli interessi dei propri associati; b) di condurre da alcuni anni in provincia di Brindisi una campagna di denunzia del fenomeno della organizzazione abusiva di serata di intrattenimento danzante in pub, ristoranti, alberghi e strutture allestite occasionalmente, in assenza delle licenze di pubblica sicurezza (artt. 68 e 69 T.U.L.P.S. n. 773/1931) nonché della necessaria dichiarazione di agibilità (art. 80 del medesimo T.U.); c) di avere registrato un preoccupante aggravarsi del fenomeno risultante dal fatto che molti organizzatori di spettacoli depositavano alle agenzie territoriali della S.I.A.E. dichiarazioni personali falsamente attestanti il possesso dei requisiti di pubblica sicurezza; d) di avere una prima volta richiesto al Direttore regionale della S.I.A.E. l’accesso alla documentazione relativa ai locali nei quali si svolgevano spettacoli e serate di intrattenimento soggette al controllo S.I.A.E., ma di avere ricevuto un rifiuto a causa dell’omessa prova di un interesse diretto, concreto ed attuale all’accesso richiesto; e) di aver reiterato la richiesta limitatamente ad alcuni locali siti nella provincia e con riferimento ai permessi per spettacoli rilasciati dalla S.I.A.E. nel periodo 1.1.2004-15.11.2005, nonché ad eventuali dichiarazioni in ordine alla titolarità della licenza e ai dati numerici relativi all’eventuale biglietteria manuale consegnata per l’attività; f) di avere ricevuto un nuovo diniego avverso il quale proponeva ricorso al Tar per la Puglia, sezione di Lecce, che con sentenza n. 2420/2006, respinte tutte le eccezioni preliminari, lo accoglieva in parte, dichiarando l’obbligo della S.I.A.E. di consentire l’accesso ai soli documenti riferibili alle imprese alle quali era stato notificato il ricorso e nei limiti dei "permessi spettacoli" e delle "autocertificazioni allegate anche se riferite ad attività non soggette ad imposizione (ad esempio balli con orchestra)". Il Tar ha ritenuto: - che l’associazione ricorrente è legittimata a proporre l’impugnazione, in quanto soggetto esponenziale di interessi giuridicamente rilevanti facenti capo a imprese operanti nello specifico settore commerciale, potenzialmente danneggiate dal fatto che altri esercenti spregiudicati, specie nella stagione estiva o nel periodo natalizio, conducano attività di intrattenimento con comportamenti qualificabili di concorrenza sleale; - che il diritto all’accesso prevale sul diritto alla riservatezza, quando la conoscenza degli atti sia necessaria per curare o difendere interessi giuridici del richiedente; - che la S.I.A.E. non ha natura privatistica per effetto degli artt. 7, commi 1, 2 e 3 del d. lgs. n. 419/1999, dell’art. 1 del suo Statuto approvato con d.m. 3.12.2002, dell’art. 1, lettere p, q, r, s, u, della legge di delega n. 288/1998 (attuata con d. lgs. n. 60/1999), dell’art. 17 del d.p.r. n. 640/1972, come modificato dall’art. 11 del d. lgs n. 60/1999, nonché della convenzione stipulata con il Ministero dell’economia e delle finanze per il periodo 2000-2009; - che comunque il diritto di accesso può essere esercitato anche nei confronti dei gestori di pubblici servizi limitatamente agli atti inerenti alla gestione dei servizi stessi; - che l’ associazione ricorrente non intende acquisire dati concernenti i rapporti di mandato esistenti tra la S.I.A.E. e gli autori ad essa associati, che sono di natura privatistica, bensì le autocertificazioni degli esercenti che afferiscono alla sfera pubblicistica dell’attività istituzionale della S.I.A.E.; - che l’art. 25 della legge n. 241 del 1990 consente, tramite un rimedio flessibile, l’accesso alla documentazione formata e/o detenuta dalla p.a. per verificare la legittimità dell’attività posta in essere da un terzo; - che i documenti richiesti sono chiaramente identificati e le istanze non sono dirette a un controllo generalizzato sull’attività della p.a.; - che sono ostensibili i "permessi spettacolo" che la S.I.A.E. rilascia agli organizzatori "previa presentazione della dichiarazione di effettuazione dell’attività e, ove richiesta, dell’autocertificazione relativa al possesso 96 della licenza di p.s. (art. 19 del d.p.r. n. 640/1972), poiché la ratio della disciplina è quella di coinvolgere la S.I.A.E. nelle attività di controllo del rispetto delle normative di settore da parte dei soggetti interessati, sia di carattere tributario che di pubblica sicurezza; - che le autodichiarazioni richieste, pur essendo atti formati da soggetti privati, sono utilizzate per lo svolgimento di attività amministrativa in senso lato, sono "detenute stabilmente da un soggetto equiparato ad una p.a." e pertanto "rientrano…nella nozione di atto amministrativo di cui all’art. 22 della legge n. 241/1990"; - che non sono invece accessibili i dati numerici relativi alle biglietterie manuali, trattandosi di dati che la S.I.A.E. detiene per conto del Ministero dell’economia e delle finanze, e che, ai sensi dell’art. 66 del d.p.r. n. 633/1972, sono soggetti a segreto d’ufficio. La sentenza, depositata il 3 maggio 2006 e non notificata, è ora appellata dalla S.I.A.E. con ricorso notificato il 10.6.2006 sia alla S.I.L.B. F.I.P.E., sezione provinciale di Brindisi, sia ad alcuni controinteressati (circoli privati, pub e ristoranti). Questi i motivi di gravame, pur non specificatamente rubricati: 1) la decisione è errata perché contraria alla disciplina sull’accesso e alle disposizioni relative alle attività della S.I.A.E.; 2) l’ Associazione SILB-FIPE è carente di legittimazione, come già eccepito in primo grado, e la ricostruzione d’ufficio operata dal Tar in merito all’interesse sostanziale azionato è illegittima anche perché contraria alla motivazione contenuta nella richiesta di accesso ai documenti e basata sul "fatto notorio" che nelle località turistiche proliferano locali di intrattenimento non in regola con la normativa di pubblica sicurezza; il Tar ha omesso di statuire sull’eccezione con la quale era stato evidenziato il carattere esplorativo e generico della richiesta di accesso finalizzata ad un controllo generalizzato; le originarie istanze di accesso non evidenziano un interesse meritevole di accoglimento; nei fini statutari dell’Associazione non è compresa la tutela giudiziaria degli interessi delle imprese di intrattenimento; 3) nessuna norma subordina il rilascio del "permesso spettacoli" da parte della SIAE (c.d. contratto tipo ex art. 1342 c.c.) agli utilizzatori delle opere soggette al diritto d’autore, alla presentazione della documentazione amministrativa attestante il possesso della licenza di p.s. (art. 68 e 69 del t.u.l.p.s. n. 773 del 1931); l’eventuale mancato possesso del titolo abilitativo attiene alla violazione della normativa posta a tutela dell’ordine pubblico, che non compete alla SIAE far rispettare; il rivendicato diritto di accesso costituisce in realtà uno strumento di ispezione popolare volta ad acquisire una serie di informazioni sull’attività imprenditoriale di alcuni soggetti non aderenti all’Associazione richiedente; 4) a differenza di quanto ritenuto dal Tar, la SIAE non ha contestato in primo grado la propria natura pubblicistica (quale ente pubblico economico), ma ha evidenziato che i documenti richiesti con l’accesso riguardavano l’attività di intermediazione del diritto d’autore; in ciò l’evidente ultrapetizione della pronuncia del Tar; 5) difettano i presupposti e non sussistono le condizioni di cui agli artt. 22 e seg. della legge n. 241 del 1990 e successive modifiche; erroneamente il Tar ha ritenuto che l’accesso non riguardasse i dati relativi ai rapporti di mandato esistenti tra la SIAE e gli autori ad essa associati, bensì gli atti riferiti all’attività pubblicistica asseritamene di controllo che la SIAE sarebbe tenuta a svolgere nel rispetto, da parte degli organizzatori, delle norme sia tributarie che di pubblica sicurezza; il documento "permesso spettacoli" non è rilasciato nell’ambito dell’espletamento di funzioni pubbliche; l’art. 19 del d.p.r. n. 640 del 1972, invocato dal Tar a supporto della sua decisione, ha introdotto, solo per alcune categorie di spettacoli soggetti ad oneri tributari, l’obbligo per l’organizzatore di presentare una "dichiarazione di effettuazione dell’attività" attestante il possesso della licenza di p.s.; l’autorizzazione all’uso del repertorio affidato alla SIAE con il rilascio del permesso spettacoli è del tutto indipendente dalla licenza di p.s.; non esiste quindi nessun coinvolgimento della SIAE nella tutela dell’ordine pubblico. Si è costituita in giudizio l’Associazione italiana imprese di intrattenimento danzanti e di spettacolo – SILB FIPE s.r.l., sezione provinciale di Brindisi, in persona del legale rappresentante, opponendosi all’appello e rivendicando la propria legittimazione ad agire ai sensi delle disposizioni statutarie (art. 2); essa infatti sostiene di avere lo scopo di tutelare l’interesse dei propri associati alla verifica e all’osservanza delle regole di 97 correttezza e concorrenza da parte dei pubblici esercizi operanti nella provincia di Brindisi, per garantire parità di condizioni ed evitare sperequazioni tra operatori; l’istanza di accesso si giustifica per la titolarità di una situazione soggettiva qualificata in capo all’Associazione medesima, meritevole di tutela. Nel merito si sofferma sull’infondatezza dell’appello e chiede la conferma della sentenza appellata. Non si sono invece costituiti i controinteressato ai quali pure l’appello è stato notificato (circoli privati, pub, ristoranti in provincia di Brindisi). Con successive memorie le parti costituite hanno ribadito le rispettive tesi difensive. All’udienza del 6 maggio 2008 la causa è passata in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE I. L’oggetto della controversia è una richiesta di accesso (accolta in parte dal Tar di Lecce), rivolta dal Sindacato degli imprenditori locali da ballo (SILB) - denominato "Associazione italiana imprese di intrattenimento danzanti e di spettacolo SILB-FIPE" costituita tra le imprese di settore e con sede in Roma presso la Federazione italiana pubblici esercizi (FIPE) – e diretta ad ottenere copia di documenti in possesso della S.I.A.E. relativi all’attività di intrattenimento musicale e/o danzante presso alcuni locali della provincia di Brindisi: in particolare, i "permessi spettacoli e trattenimenti" rilasciati dalla locale SIAE nel periodo 1.1.2004-15.11.2005, nonché eventuali dichiarazioni in ordine alla titolarità della licenza di p.s. ex art. 68 del t.u.l.p.s. del 1931, dichiarazioni rilasciate dal gestore all’atto della richiesta del permesso spettacoli. II. L’appello della S.I.A.E. deve essere accolto. Di carattere assorbente è la censura che nessuna norma subordina il rilascio da parte della SIAE del permesso spettacoli alla presentazione della documentazione amministrativa attestante il rilascio della licenza di p.s. di cui agli artt. 68 e 69 del t.u.l.p.s. da parte degli utenti delle opere soggette al diritto d’autore. Piuttosto va rilevato che, per l’art. 72 del t.u.l.p.s. n. 773 del 1931, è la licenza dell’autorità di p.s. che viene subordinata alla tutela del diritto d’autore e non invece il contrario. Ne deriva che l’eventuale mancato possesso del titolo di p.s., da parte dei gestori di spettacoli di intrattenimento, quando tale titolo sia richiesto dalla legge, attiene alla normativa posta a tutela dell’ordine pubblico, che non spetta alla SIAE di far rispettare. III. Sembra opportuna una breve ricostruzione della normativa concernente la SIAE per inferirne la natura della sua attività e i compiti ed essa affidati, con riferimento alla presente, specifica controversia relativa ad un asserito diritto di accesso. La S.I.A.E è un ente pubblico economico. Ai sensi dell’art. 180 della legge n. 633 del 1941, come modificato dall’art. 10 del d. lgs. n. 581 del 1996, la sua attività è pubblica in virtù della funzione perseguita di tutela della proprietà intellettuale; detta funzione si esplica essenzialmente con un’ attività di intermediazione ad essa riservata in via esclusiva dal legislatore che, pur corrispondendo all’interesse pubblico connesso alla garanzia di protezione adeguata del diritto d’autore, ha carattere eminentemente privato. Essa provvede infatti alla concessione, per conto e nell’interesse degli aventi diritto (gli autori), di autorizzazioni per la utilizzazione economica di opere tutelate; alla percezione dei proventi derivanti da dette licenze e autorizzazioni; alla ripartizione dei proventi tra gli aventi diritto. L’attività è posta in essere in virtù del mandato conferito alla Società dagli aventi diritto alla tutela (art. 4 dello Statuto), fermo restando che costoro possono esercitare personalmente le relative attività (autorizzazione alla utilizzazione economica dell’opera d’ingegno e percezione dei relativi proventi), poiché l’iscrizione alla SIAE è volontaria e non è ad essa subordinata la protezione dell’opera, i cui diritti si acquistano in via originaria per il solo fatto della creazione (art. 2575 c.c. e art. 6 legge n. 633 del 1941). 98 La Corte costituzionale ha sempre confermato l’interesse preminente dello Stato alla difesa dei diritti d’autore i quali presentano, nel loro esercizio, delle difficoltà pratiche che solo una centralizzazione del controllo può superare, rimanendo fermo il diritto del singolo autore o del singolo artista a proteggere ed esercitare il diritto direttamente, se crede di averne la possibilità (peraltro la stessa Corte costituzionale ha ritenuta questa una "mera ipotesi astratta" – cfr. sentenza n. 241 del 1990) Anche la Cassazione (sez. un. n. 7841 del 1993) ha riconosciuto che la proprietà intellettuale è considerata patrimonio comune del Paese e ciò esclude che l’attività di intermediazione affidata alla SIAE in via esclusiva faccia sorgere dubbi di legittimità costituzionale (Corte cost. nn. 25 del 1968, 65 del 1972 e 241 del 1990). A cagione dell’esclusiva legale derivante dall’art. 180 cit., la SIAE ha l’obbligo di contrattare con il divieto di discriminazioni arbitrarie sancito dall’art. 2597 c.c. (Corte costituzionale n. 241 del 1990). Ai sensi dell’art. 182 bis della legge n. 633 cit. come modificato dall’art. 11 della legge n. 248 del 2000, ad essa spetta (insieme all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) di esercitare, nell’ambito della propria competenza, la vigilanza su talune attività al fine di prevenire ed accertare le violazioni della legge stessa (es: attività di riproduzione e duplicazione con qualsiasi procedimento; proiezione in sale cinematografiche di opere e registrazioni tutelate; distribuzione, vendita e noleggio; centri di riproduzione; case d’asta e gallerie) La SIAE poi, oltre all’attività di intermediazione, esercita anche le altre funzioni attribuite dalla legge, tra le quali (art. 7 comma 3, della legge n. 419 del 1999) la gestione dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi anche in ragione di convenzioni con pubbliche amministrazioni (Cons. di Stato, VI, n. 41 del 1995, n. 4440 del 2003). La disposizione è stata poi abrogata e sostituita dall’art. 1 della legge 9.1.2008 n. 2 che ha, tra l’altro, devoluto alla giurisdizione ordinaria ogni controversia concernente l’attività dell’ente, ad eccezione di quelle devolute al giudice tributario. E’ ovvio che, ratione temporis, residua la giurisdizione del giudice amministrativo nella presente controversia. Con d.m. 7.6.2000 è stata approvata la convenzione tra il Ministero delle finanze e la SIAE per detti servizi di accertamento e riscossione (art. 2) nonché per la fissazione dei compiti della Società in materia di controlli connessi con gli adempimenti affidati (art. 4) e per la trasmissione al Ministero dei processi verbali effettuati nel corso dei controlli (art. 6). E’ appena il caso di ricordare che il risultato di tali attività, connesse alla materia tributaria, è escluso dal diritto di accesso (cfr. art. 24, comma 1, lettera b, della legge n. 241 del 1990). IV. E’ noto che la natura economica di un ente pubblico non incide negativamente sull’azionabilità del diritto di accesso ad opera del soggetto interessato, rientrando tale categoria nella dizione indifferenziata dell’art. 23 della legge n. 241 del 1990 (Cons. di Stato, VI, n. 14 del 1998). E’ altrettanto noto che l’attività amministrativa cui si correla il diritto di accesso concerne non solo l’attività di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio, è collegata a quest’ultima da un nesso di strumentalità derivante, anche sul piano soggettivo, dall’intensa conformazione pubblicistica; è stato infatti riconosciuto che anche gli atti disciplinati dal diritto privato rientrano nell’attività di amministrazione degli interessi della collettività e dunque sono soggetti ai principi di trasparenza e di imparzialità, non avendo la legge n. 241 del 1990 stabilito alcuna deroga in tal senso (Cons. di Stato, IV, n. 4645 del 2007 e richiami ivi contenuti). Anche se si volesse sostenere che la SIAE possa essere qualificata come "gestore di un pubblico servizio" tenendo conto della natura pubblicistica della sua attività e del rilievo che il legislatore attribuisce alla tutela del diritto d’autore, il che però si contesta, la Società non è comunque in possesso dei documenti richiesti nella sua attività di intermediazione, ovvero non li può esibire per la parte relativa alle attribuzioni tributarie affidatele (dichiarazioni degli utilizzatori dei beni tutelati). V. Essa per la giurisprudenza (Cass. I, n. 12825 del 2003) è legittimata, sulla base del rapporto di mandato con l’autore, in caso di diffusione non autorizzata di opere tutelate ad agire per conto di costui nei confronti del terzo, facendo valere la violazione del diritto di esclusiva. Sempre nell’attività di intermediazione, può essere riconosciuto l’accesso ad atti in possesso della SIAE quando il richiedente agisca a tutela del proprio diritto d’autore (cfr. per un caso analogo Cons. di Stato, VI, 99 n. 7805 del 2004) perché in quella ipotesi l’interessato ha una posizione giuridica differenziata diretta al controllo delle modalità con le quali avviene l’utilizzazione della sua opera. Parimenti è stato riconosciuto l’accesso ai verbali del Consiglio di amministrazione della SIAE richiesto da un componente eletto dell’Assemblea della stessa società (Cons. di Stato, VI, n. 658 del 2005). VI. Nella specie, si ricorda, l’Associazione appellata, dopo aver sollecitato la SIAE locale "alla puntuale osservanza delle normative…finalizzate a prevenire i trattenimenti abusivi" da parte di "strutture occasionalmente allestite" presumibilmente "in assenza delle licenze di pubblica sicurezza di cui agli artt. 68 e 69 del t.u.l.p.s.", aveva richiesto l’accesso ai permessi spettacoli e trattenimenti rilasciati dalla locale agenzia in un determinato periodo nonché le "eventuali dichiarazioni rese in ordine alla titolarità dell’autorizzazione" di p.s. relativamente ad alcuni locali della provincia, tutto ciò al fine di "contrastare attività concorrenziali abusivamente esercitate" (cfr. la documentazione depositata). Può essere rilevato in primo luogo che, tra i compiti statutari dell’associazione ricorrente in primo grado, non figura la tutela giudiziaria degli aderenti nemmeno al fine di garantire la libera concorrenza nell’attività. Dispone infatti l’art. 2 dello Statuto che "lo scopo dell’Associazione è quello di assumere sul piano nazionale ed internazionale, nell’ambito della FIPE, la rappresentanza la tutela e l’assistenza degli interessi dei pubblici esercizi" costituiti dalle "imprese di trattenimento danzante, musicale e di spettacolo, e altre attività analoghe regolarmente autorizzate" di cui all’art. 1 dello Statuto; essa "in particolare promuove e conduce attraverso corsi promossi e realizzati, anche in collaborazione con organismi sopranazionali, la formazione professionale, il progresso tecnico, l’assistenza alle imprese e lo sviluppo delle strutture e delle tecniche aziendali nel settore dello spettacolo e dell’intrattenimento". Trattasi, come anche evidenziato dalla Società appellante, di un’attività del tutto estranea alle dichiarate finalità dell’istanza di accesso, la quale si risolve in un inammissibile controllo generalizzato sull’attività della p.a. mediante lo strumento di un’ispezione popolare. Ciò renderebbe addirittura inammissibile il ricorso di primo grado. Ma, superando tale profilo in rito, nessun obbligo sussiste per la SIAE di corrispondere alla richiesta di accesso sia perché, come già detto, l’attività di intermediazione svolta mediante il rilascio del permesso spettacoli e le successive attività di percezione e ripartizione dei proventi non richiede nessuna previa verifica dell’osservanza di obblighi stabiliti a fini diversi e, nella specie, di pubblica sicurezza, e quindi la SIAE non è in possesso degli atti relativi, sia perché l’attività di collaborazione con il Ministero delle finanze - per la quale è vero che è prevista la "dichiarazione" alla SIAE del possesso della licenza di p.s. da parte degli utilizzatori del bene tutelato (ex art. 19 della legge n. 640 del 1972, come sostituito dall’art. 13 del d. lgs. n. 60 del 1999) in quanto attività connessa con i procedimenti tributari è sottratta all’accesso (art. 24 della legge n. 241 del 1990). VII. Conclusivamente l’appello va accolto e, per l’effetto e in riforma della sentenza impugnata, va respinto in toto il ricorso di primo grado. In considerazione della peculiarità della vicenda, le spese processuali possono essere integralmente compensate. P.Q.M. il Consiglio di Stato, sezione sesta, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto e in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado; spese compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, il 6 maggio 2008 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori: Giovanni Ruoppolo - Presidente Paolo Buonvino - Consigliere Domenico Cafini - Consigliere Roberto Chieppa - Consigliere Marcella Colombati - Consigliere est. DEPOSITATA IN SEGRETERIA il....01/10/2008 100 TAR LAZIO - ROMA, SEZ. II - sentenza 31 ottobre 2008 n. 9516 - Pres. Tosti, Est. Toschei - Ghenzi (Avv. Tedeschini) c. Agenzia delle Entrate (n.c.) ed Equitalia Gerit S.p.a. (Avv. Mantellini) – REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda composto dai Signori: Luigi TOSTI - Presidente Carlo MODICA de MOHAC - Componente; Stefano TOSCHEI - Estensore; ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso n. R.g 7253 del 2008 proposto da GHENZI Giovanna, rappresentata e difesa dall’avv. Federico Tedeschini, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, Largo Messico n. 7; contro - l’AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, non costituita in giudizio; - la EQUITALIA GERIT S.p.a.-Agente della riscossione per la Provincia di Roma, in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Gianluca Mantellini, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere Flaminio n. 18; per l’annullamento del silenzio-rigetto formatosi in data 30 giugno 2008 sull’istanza di accesso notificata alla Agenzia delle entrate-Ufficio Roma 1 il 30 maggio 2008 ed alla Gerit S.p.a. il 29 maggio 2008 e per la declaratoria del diritto di prendere visione ed acquisitre copia di tutta la documentazione relativa al calcolo degli interessi applicati ai pretesi crediti di cui al preavviso di fermo dei veicoli n. 097.2006.000208292 del 16 febbraio 2007, inviato alla ricorrente, con particolare riferimento alle somme richieste con le cartelle esattoriali n. 097 2005 0110785609 e n. 097 2005 0202506956. Visto il ricorso con i documenti allegati; Vista la costituzione in giudizio della Gerit ed i documenti prodotti; Esaminate le ulteriori memorie depositate; Visti gli atti tutti della causa; 101 Relatore alla camera di consiglio del 22 ottobre 2008 il dott. Stefano Toschei; presente per la parte ricorrente l’avv. Paola Conticiani, delegata dall’avv. Tedeschini e, per la società Gerit, l’avv. Mantellini; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. FATTO E DIRITTO 1. – La Signora Ghenzi ha presentato istanza sia all’Agenzia dell’entrate sia alla Gerit. S.p.a. al fine di ottenere l’accesso alla documentazione riguardante il calcolo degli interessi applicati ai pretesi crediti di cui al preavviso di fermo veicoli n. 097.2006.000208292 del 16 febbraio 2007. La ricorrente riferiva che il preavviso di fermo sarebbe collegato ad un preteso credito di € 10.862,69 costituito da tributi iscritti a ruolo ed oneri accessori elencati nel suddetto preavviso e riferiti al mancato pagamento di alcune cartelle esattoriali. Da qui la richiesta di ostensione degli atti che avevano consentito l’individuazione del ridetto credito che tuttavia restava senza alcuna risposta. 2. – Il richiesto accesso documentale ha per oggetto - in disparte la dichiarazione del difensore della Gerit, ribadita in Camera di consiglio, secondo il quale non esisterebbero gli atti richiesti giacché il computo degli interessi viene effettuato automaticamente e per effetto dell’utilizzo di programmi informatici, evenienza che, semmai, è riferibile solo al meccanismo di acquisizione della documentazione e non alla accessibilità della stessa, visto che è comunque sempre possibile riprodurre in stampa i processi informatici svolti nel corso della procedura – atti che sono riconducibili ad un procedimento tributario. Infatti la lett. e ter), aggiunta all'art. 19, comma 1, del decreto legislativo n. 546 del 1992, dall'art. 35 comma 26 quinquies della legge n. 248 del 2006 di conversione del decreto legge n. 223 del 2006 (c.d. decreto Bersani), deve interpretarsi nel senso che ha devoluto alla giurisdizione tributaria esclusivamente la cognizione dei provvedimenti di fermo amministrativo di beni mobili registrati emessi in relazione a carichi esattoriali scaduti aventi natura tributaria, dovendo escludersi l'attribuzione al giudice tributario della giurisdizione assoluta e generale sui provvedimenti di fermo, quale che sia la natura del carico iscritto a ruolo. Nondimeno appartengono alla giurisdizione tributaria le controversie che, con o senza impugnazione dell'atto di accertamento, attengono in via diretta ed immediata all'esistenza dell'obbligazione tributaria ed alla sua misura, con esclusione di quelle che riguardino unicamente la legittimità o meno di un atto successivo alla notifica della cartella di pagamento e che non può più involgere l'esame di questioni che afferiscono al credito sottostante. Da ciò consegue che sono impugnabili davanti al giudice tributario esclusivamente i provvedimenti di fermo che siano stati disposti a seguito del mancato pagamento di tributi iscritti a ruolo, comunque denominati. 3. – Precisato quanto sopra il Collegio ritiene che, nonostante la loro natura, i documenti richiesti possano essere considerati accessibili, non essendo applicabile nella specie la causa di esclusione delineata nell’art. 24, comma 1 lett. b), della legge 7 agosto 1990 n. 241. Come già precisato in altre occasioni dalla giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 9 luglio 2002 n. 3825, il potere di verifica fiscale è istituzionalmente esercitabile in funzione strumentale all’accertamento tributario e la relativa attività - avendo ontologicamente una funzione preparatoria del futuro provvedimento definitivo di norma non fa sorgere il diritto di accesso ai documenti in relazione alla chiusura delle operazioni di verifica ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990, nel caso in cui non si sia stato ancora notificato alcun avviso di accertamento e, cioè, non sia stato adottato alcun atto di imposizione. Deve tuttavia deve ritenersi consentito il diritto dell'interessato di accedere agli atti del procedimento tributario nel momento in cui - conclusosi tale procedimento - sia stato adottato l’atto impositivo, potendo quest’ultimo essere, in astratto, immediatamente lesivo di posizioni giuridiche e, quindi, impugnabile, ancor prima che in sede giudiziaria. Nello stesso senso e più di recente, successivamente rispetto alla novella del 2005, si è espresso il Consiglio. Stato, Sez. IV, 21 ottobre 2008 n. 5144 secondo cui la norma contenuta nell’art. 24, comma 1, lett. b) della legge n. 241 del 1990, in base ad una lettura della disposizione costituzionalmente orientata, deve essere intesa nel senso che la inaccessibilità agli atti di cui trattasi sia temporalmente limitata alla fase di pendenza del procedimento tributario, non rilevandosi esigenze di "segretezza" nella fase che segue la conclusione del procedimento con l’adozione del procedimento definitivo di accertamento dell’imposta dovuta sulla base degli elementi reddituali che conducono alla quantificazione del tributo (…) Diversamente opinando si perverrebbe alla singolare conclusione che, in uno Stato di diritto, il cittadino possa essere inciso dalla imposizione tributaria – pur nella più lata accezione della "ragion fiscale" – senza neppure conoscere il perchè della imposizione e della relativa quantificazione"). 102 La norma surriportata esclude pertanto dall’accesso solo gli atti del procedimento tributario adottati nel corso di formazione del provvedimento, prima che lo stesso sia emanato, con la conseguenza che tale causa di esclusione opera con riguardo a documenti inerenti l’attività della Pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti preparatori nel corso della formazione di provvedimenti conclusivi e relativi al procedimento tributario, cioè di atti propedeutici alla emanazione del provvedimento terminale ed allorché sia ancora in corso il procedimento. In ragione di ciò deve riconoscersi il diritto di accesso qualora l’Amministrazione abbia concluso il procedimento, con l’emanazione del provvedimento finale e quindi, in via generale, deve ritenersi sussistente il diritto di accedere agli atti di un procedimento tributario ormai conclusosi con l'adozione dell'atto di accertamento. 4. – Né alcun rilievo può assumere nella specie, al fine di escludere il diritto di accesso documentale, la circostanza che gli atti sarebbero detenuti da una Società di riscossione dei tributi e quindi siano in possesso di un soggetto privato, atteso che, come ha chiarito l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella decisione 5 settembre 2005 n. 5, "sin dall’indomani della emanazione dell’art. 23 della legge n. 241 del 1990, (…) le regole in tema di trasparenza si applicano oltre che alle pubbliche amministrazioni anche ai soggetti privati chiamati all’espletamento di compiti di interesse pubblico (concessionari di pubblici servizi, società ad azionariato pubblico etc). La detta linea interpretativa ha ottenuto conferma legislativa con le modifiche apportate all’art. 23 dalla citata legge n. 241 del 1990 dalla legge 3 agosto 1999 n. 265 e, più ancora, con la recente legge n. 15 del 2005 che si è spinta fino ad iscrivere - agli effetti dell’assoggettamento alla disciplina sulla trasparenza - tra le pubbliche amministrazioni anche i soggetti che svolgono (come nella specie) "attività di pubblico interesse". Ciò conduce a poter sostenere che l’affermazione secondo la quale il gestore privato di un pubblico servizio non può addurre la sua natura privata per sottrarsi all’obbligo di esibire gli atti e i documenti richiesti vale a maggior ragione oggi dopo che l’art. 15 della legge 11 febbraio 2005 n. 15 ha sostituito l’art. 22 della l. n. 241 del 1990 prevedendo alla lettera e) che ai fini dell’accesso per "pubblica amministrazione" si intendono anche "i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario" (cfr. anche T.A.R. Veneto, Sez. I, 23 novembre 2006 n. 3899). Tale è, d’altronde, l’attività svolta dalla Società resistente nel servizio di riscossione dei tributi. 5. - Deriva da quanto sopra l’accessibilità degli atti richiesti e, di conseguenza, l’accoglimento del ricorso proposto con condanna nei confronti della EQUITALIA GERIT S.p.a.-Agente della riscossione per la Provincia di Roma a consentire l’accesso documentale richiesto in favore della ricorrente Signora Ghenzi Giovanna. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo in complessivi € 2.000,00 (euro duemila). P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda, pronunciando in via definitiva sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, dispone che la Società EQUITALIA GERIT S.p.a.Agente della riscossione per la Provincia di Roma, in persona del dirigente dell’Ufficio competente, consenta l’accesso documentale richiesto in favore della Signora Ghenzi Giovanna. Condanna la Società EQUITALIA GERIT S.p.a.-Agente della riscossione per la Provincia di Roma, in persona del rappresentante legale pro tempore, e rifondere le spese di giudizio in favore di Ghenzi Giovanna, nella misura complessiva di € 2.000,00 (euro duemila), oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del 22 ottobre 2008. Il Presidente - Il relatore ed estensore Luigi Tosti - Stefano Toschei Depositata in Segreteria in data 31 ottobre 2008. 103 CORTE DEI CONTI SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER IL PIEMONTE Parere n. 33/Par./2008 La Sezione Regionale di Controllo per il Piemonte, nell’adunanza del 2 dicembre 2008, composta dai Magistrati: Dott. Ivo MONFELI Dott. Ugo REPPUCCI Dott. Giuseppe Maria MEZZAPESA Dott. Walter BERRUTI Presidente Consigliere Referendario Relatore Referendario Visto l’art. 100, comma 2, della Costituzione; Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con Regio Decreto 12 luglio 1934, n. 1214 e successive modificazioni; Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti; Visto il Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, con il quale è stata istituita in ogni Regione ad autonomia ordinaria una Sezione Regionale di controllo, deliberato dalle Sezioni Riunite in data 16 giugno 2000 e successive modificazioni; Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ed in particolare l’art. 7, comma 8; Vista la deliberazione della Sezione delle Autonomie approvata nell’adunanza del 27 aprile 2004 avente ad oggetto gli indirizzi e criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva; Vista la richiesta del Comune di Tortona n. 30866 del 20 ottobre 2008, recante un quesito riguardante la partecipazione del Comune istante ad una costituenda banca di credito cooperativo; Vista l’Ordinanza n. 27, con la quale il Presidente di questa Sezione di controllo ha convocato la Sezione per l’odierna seduta e ha nominato relatore il Referendario Dott. Giuseppe Maria Mezzapesa; Udito il relatore; Ritenuto in FATTO Il Comune di Tortona, con nota a firma del Sindaco, ha richiesto a questa Sezione un parere, ai sensi dell’articolo 7, comma 8, della legge n. 131 del 2003, in merito alla partecipazione del medesimo Comune ad una costituenda banca di credito cooperativo. In particolare si chiede il parere di questa Sezione in merito alla legittimità dell’adesione del Comune alla costituzione di una banca di credito cooperativo, con sede nello stesso Comune, insieme a soggetti privati e attraverso un conferimento finanziario, tenuto conto delle limitazioni introdotte dall’articolo 3, comma 27 e seguenti, della legge 24 dicembre 207, n. 244 (finanziaria per il 2008). MOTIVAZIONI DELLA DECISIONE La funzione consultiva delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti è prevista dall’art. 7, comma 8, della Legge n. 131 del 2003 che, innovando nel sistema delle tradizionali funzioni della Corte dei conti, dispone che le regioni, i comuni, le province e le città metropolitane possano chiedere alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti pareri in materia di contabilità pubblica. 104 Con deliberazione approvata nell’adunanza del 27 aprile 2004, la Sezione delle Autonomie ha adottato gli indirizzi e i criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva, evidenziando, in particolare, i soggetti legittimati alla richiesta e l’ambito oggettivo della funzione. Occorre pertanto verificare preliminarmente la sussistenza contestuale del requisito soggettivo e di quello oggettivo, al fine di accertare l’ammissibilità della richiesta in esame: 1) Requisito soggettivo: La legittimazione a richiedere pareri è circoscritta ai soli Enti previsti dalla legge n. 131 del 2003, stante la natura speciale della funzione consultiva introdotta dalla medesima legge, rispetto alla ordinaria sfera di competenze della Corte. I pareri richiesti dai comuni, dalle province e dalle aree metropolitane, vanno inoltrati “di norma” per il tramite del Consiglio delle autonomie locali. L’inesistenza dell’organo non costituisce tuttavia elemento ostativo alla richiesta di parere, visto che la disposizione normativa usa la locuzione “di norma”, non precludendo, quindi, in linea di principio, la richiesta diretta da parte degli enti. Infine la richiesta può considerarsi ammissibile solo se proveniente dall’organo rappresentativo dell’Ente (Presidente della Giunta regionale, Presidente della Provincia, Sindaco). La richiesta di parere in esame proviene dal Comune di Tortona, ente legittimato, ed è stata formalizzata dal Sindaco, organo rappresentativo dell’Ente ai sensi del D. Lgs 18 agosto 2000, n. 287 (T.U.E.L.). La richiesta deve pertanto ritenersi ammissibile sotto il profilo soggettivo. 2) Requisito oggettivo: I pareri sono previsti, dalla Legge n. 131 del 2003, esclusivamente nella materia della contabilità pubblica. L’ambito oggettivo di tale locuzione, in conformità a quanto stabilito dalle Sezioni Autonomie nel citato atto di indirizzo del 27 aprile 2004, nonché, da ultimo, nella deliberazione n. 5/2006, deve ritenersi riferito alla “attività finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di settore, ricomprendendo, in particolare, la disciplina dei bilanci e i relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziaria-contabile, la disciplina del patrimonio, la gestione delle spese, l’indebitamento, la rendicontazione e i relativi controlli”. Come precisato nei citati atti di indirizzo, possono inoltre rientrare nella funzione consultiva della Corte dei Conti le sole richieste di parere volte ad ottenere un esame da un punto di vista astratto e su temi di carattere generale. La richiesta di parere in esame ha a oggetto l’interpretazione e la concreta applicazione della recente normativa introdotta dall’art. 3, comma 27 e seguenti, della legge n. 244 del 2007, in materia di società partecipate da amministrazioni pubbliche. Considerato che i risultati degli organismi partecipati incidono sugli equilibri di bilancio degli Enti locali, la questione posta all’esame di questa Sezione appare concernere la materia dei bilanci pubblici ed in generale la corretta allocazione delle risorse finanziarie della collettività. Pertanto, il quesito posto attiene alla materia della contabilità pubblica e, poiché rivolto all’interpretazione ed alla corretta applicazione di una specifica normativa, presenta carattere generale ed astratto. Per le sopra esposte ragioni, la richiesta di parere si palesa ammissibile anche dal punto di vista oggettivo. 3) Merito: Il Comune istante chiede un parere in merito all’adesione, attraverso un conferimento finanziario, ad una banca di credito cooperativo, con sede nello stesso Comune, da costituirsi insieme a soggetti privati. Al riguardo vengono in rilievo le limitazioni introdotte dall’articolo 3, commi 27 e ss., della legge 24 dicembre 207, n. 244 (finanziaria per il 2008). In particolare, il comma 27 del citato articolo così dispone: “al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. E’ sempre ammessa la costituzione di società che producono 105 servizi di interesse generale e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza”. La finanziaria per il 2008 ha inteso circoscrivere il fenomeno della proliferazione di società pubbliche o miste, considerato una delle cause dell’incremento della spesa pubblica degli enti locali, al fine di prevenire un ricorso a tale strumento elusivo delle discipline pubblicistiche in materia contrattuale o di finanza pubblica, e soprattutto per assicurarne un utilizzo correlato alle reali necessità degli enti. Le uniche tipologie di società partecipate di cui il legislatore espressamente consente la costituzione e il mantenimento sono, dunque, le società che svolgono attività strettamente necessarie alle finalità istituzionali degli Enti e le società che producono servizi di interesse generale. L’assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali deve essere autorizzato, secondo il disposto del comma 28 dello stesso articolo 3 della finanziaria 2008, dall'organo consiliare, con delibera motivata, che accerti la sussistenza dei presupposti di cui al precedente comma 27. Entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, le amministrazioni pubbliche devono invece cedere a terzi le società e le partecipazioni vietate (art. 3, comma 29, della stessa legge). Alla luce della descritta normativa, l’inquadramento tra le società che perseguono finalità istituzionali dell’Ente o tra le società rivolte alla produzione di servizi d’interesse generale, è rimesso alla valutazione dell’Ente attraverso il proprio organo consiliare (art. 3, comma 28 della citata legge 244 del 2007). Se il ricorso allo strumento societario è consentito solo per attività strettamente necessarie alle finalità istituzionali degli enti e per servizi d’interesse generale, la possibilità di costituire o mantenere una partecipazione societaria deve dunque essere verificata in ragione delle finalità che l’ente intenda con essa realizzare, nell’ambito delle proprie competenze istituzionali. Pertanto, con riferimento alla specifica questione sottoposta all’esame di questa Sezione, ovvero in merito alla partecipazione ad una costituenda banca di credito cooperativo del Comune istante, quest’ultimo, attraverso il proprio organo consigliare, è chiamato a verificare quali finalità intenda perseguire con tale strumento, se queste sono da considerarsi fra i compiti riservati dall’ordinamento all’ente comunale e soprattutto se l’attività della costituenda società possa considerarsi strettamente necessaria alle finalità dell’Ente stesso, anche alla luce del proprio statuto. Al riguardo, questa Sezione si limita a evidenziare il quadro normativo rilevante nella fattispecie in esame, ricordando, da un lato, il ruolo e le competenze dell’ente comunale, dall’altro le caratteristiche della banca di credito cooperativo delineate dalla vigente disciplina. Nel nuovo assetto istituzionale disegnato dalla riforma del titolo V, parte seconda, della Costituzione, il comune è l’unico titolare di funzioni amministrative, suscettibili di limitazioni da parte del legislatore nazionale e regionale nel rispetto del principio di sussidiarietà (art. 118, comma 1 e art. 120, comma 2). Si riconosce, infatti, al Comune, il ruolo di interprete primario dei bisogni della collettività locale, spettandogli, dunque, il compito di valutare le necessità di quest’ultima e di soddisfarle, nel rispetto delle compatibilità di natura gestionale e finanziaria. Quanto allo strumento della banca di credito cooperativo, si richiama la disciplina di cui agli articoli 33 e seguenti del D. Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, di seguito testo unico). In primo luogo, nella fattispecie in esame, acquista rilievo la natura mutualistica delle banche di credito cooperativo, costituite in forma di società per azioni a responsabilità limitata (art. 35 del citato testo unico). Coerente con la funzione mutualistica è la previsione di un limite massimo alla partecipazione sociale (art. 34, comma 4 del testo unico), nonché la peculiare disciplina del diritto agli utili (art. 37 del testo unico). Si evidenzia tuttavia come il vincolo mutualistico risulti soddisfatto quando l’ammontare delle operazioni significative sia “prevalentemente” rivolto ai soci, salva sempre la possibilità per la Banca d'Italia di autorizzare, per periodi determinati, le singole banche di credito cooperativo a un’operatività prevalente a favore di soggetti diversi dai soci, ove sussistano ragioni di stabilità. Inoltre il bisogno mutualistico rileva con riferimento alle operazioni 106 d’impiego e non con riferimento alle operazioni di provvista, e comunque non per le operazioni diverse da quelle di esercizio del credito che, svincolate dalla funzione mutualistica, restano affidate alle scelte imprenditoriali di questi enti creditizi. Acquistano quindi rilevanza le norme statutarie delle banche di credito cooperativo, considerato che lo stesso articolo 35 del testo unico bancario affida a tali norme, adottate sulla base dei criteri fissati dalla Banca d'Italia, la disciplina relativa alle attività, alle operazioni di impiego e di raccolta e alla competenza territoriale. Con particolare riguardo alla competenza territoriale, si richiama il disposto dell’articolo 34, comma 2, del testo unico bancario, ai sensi del quale, per essere soci di una banca di credito cooperativo è necessario risiedere, aver sede, ovvero operare con carattere di continuità nel territorio di competenza della banca stessa. Considerato che le banche di credito cooperativo esercitano il credito prevalentemente a favore dei soci, se ne desume il carattere localistico delle loro attività e in particolare dei loro impieghi. Tuttavia la competenza territoriale non risulta ancorata, da una previsione generale, a criteri burocratici, ma coincide con la zona volta per volta individuata dagli statuti sulla base dei criteri fissati dalla Banca d'Italia. P.Q.M. Nelle su estese osservazioni è il parere di questa Sezione. Copia del parere sarà trasmessa a cura del Direttore della Segreteria all’Amministrazione che ne ha fatto richiesta. Così deliberato in Torino nella camera di consiglio del 2 dicembre 2008. Il Referendario Relatore F.to Dott. Giuseppe Maria MEZZAPESA Il Presidente F.to Prof. Avv. Ivo MONFELI Depositato in Segreteria il 3 dicembre 2008 Il Direttore F.to Funz. Nicola MENDOZZA 107 SENTENZA DELLA CORTE (Ottava Sezione) 22 dicembre 2008 (*) «Inadempimento di uno Stato – Direttiva 75/442/CEE – Art. 1 – Nozione di “rifiuto” – Rottami destinati all’impiego in attività siderurgiche – Combustibile da rifiuti di qualità elevata – Trasposizione non corretta» Nella causa C-283/07, avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 12 giugno 2007, Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. C. Zadra e J.-B. Laignelot, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo, ricorrente, contro Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Fiengo, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo, convenuta, LA CORTE (Ottava Sezione), composta dal sig. T. von Danwitz (relatore), presidente di sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta e dal sig. G. Arestis, giudici, avvocato generale: sig. J. Mazák cancelliere: sig. H. von Holstein, cancelliere aggiunto vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 ottobre 2008, vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 Con il presente ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo adottato e mantenendo in vigore disposizioni quali: – l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge 15 dicembre 2004, n. 308, recante delega al governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione (Supplemento ordinario alla GURI n. 302 del 27 dicembre 2004; in prosieguo: la «legge n. 308/2004»), e – l’art. 1, comma 29, lett. b), della legge 15 dicembre 2004, n. 308, nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante 108 norme in materia ambientale (Supplemento ordinario alla GURI n. 88 del 14 aprile 2006; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 152/2006»), per mezzo delle quali, rispettivamente, certi rottami destinati all’impiego in attività siderurgiche e metallurgiche e il combustibile da rifiuti di qualità elevata (in prosieguo: il «CDR-Q») sono sottratti a priori all’ambito di applicazione della legislazione italiana sui rifiuti di trasposizione della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32; in prosieguo: la «direttiva 75/442»), è venuta meno agli obblighi derivanti dall’art. 1, lett. a), della medesima direttiva. Contesto normativo La normativa comunitaria 2 L’art. 1 della direttiva 75/442 così dispone: «Ai sensi della presente direttiva, si intende per: a) rifiuto: qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi. (…) d) gestione: la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni nonché il controllo delle discariche dopo la loro chiusura. (…)». 3 Al suo art. 1, lett. e) e f), tale direttiva definisce le nozioni di «smaltimento» e di «recupero» dei rifiuti come tutte le operazioni previste, rispettivamente, negli allegati II A e II B. 4 L’art. 2, n. 1, lett. b), della medesima direttiva elenca i rifiuti che sono esclusi dal suo campo di applicazione «qualora già contemplati da altra normativa». 5 L’allegato I della direttiva 75/442, rubricato «Categorie di rifiuti», include in particolare le categorie Q 1, «Residui di produzione o di consumo in appresso non specificati», e Q 16, «Qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate». 6 L’allegato II B della direttiva, come modificato dalla decisione della Commissione 24 maggio 1996, 96/350/CE (GU L 135, pag. 32), è espressamente inteso ad elencare le operazioni di recupero come avvengono nella pratica. Tra le operazioni annoverate in tale allegato figurano, al punto R 1, l’«[u]tilizzazione principale come combustibile o come altro mezzo per produrre energia», al punto R 4, il «[r]iciclo/recupero dei metalli o dei composti metallici», e, al punto R 13, la «[m]essa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R 1 a R 12 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti)». 7 L’abrogazione della direttiva 75/442 – tramite la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE, relativa ai rifiuti (GU L 114, pag. 9), entrata in vigore il 17 maggio 2006 – non rileva ai fini del ricorso per inadempimento in esame. La direttiva 2006/12, nell’operare una codificazione della direttiva 75/442 a fini di chiarezza e razionalizzazione, riproduce nei suoi artt. 1 e 2, nonché nei suoi allegati I e II B, le disposizioni sopra menzionate. Inoltre, l’art. 20, primo comma, della direttiva 2006/12 stabilisce che la direttiva 75/442 «è abrogata, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di attuazione di cui all’allegato III, parte B». 109 La normativa nazionale 8 L’art. 6, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, recante attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio (Supplemento ordinario alla GURI n. 38 del 15 febbraio 1997; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 22/97»), definisce, ai fini di tale decreto legislativo, il «rifiuto» come «qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi». 9 L’art. 8, comma 1, del suddetto decreto prevede l’esclusione di alcune categorie di rifiuti dal proprio campo di applicazione. 10 La legge n. 308/2004 introduce talune modifiche al decreto legislativo n. 22/97. L’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), di detta legge così dispone: «25. In attesa di una revisione complessiva della normativa sui rifiuti che disciplini in modo organico la materia, alla lettera a) del comma 29, sono individuate le caratteristiche e le tipologie dei rottami che, derivanti come scarti di lavorazione oppure originati da cicli produttivi o di consumo, sono definibili come materie prime secondarie per le attività siderurgiche e metallurgiche, nonché le modalità affinché gli stessi siano sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti. 26. Fermo restando quanto disposto (…) sono sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti, se rispondenti alla definizione di materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche di cui al comma 1, lettera q-bis), dell’articolo 6 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, introdotta dal comma 29, i rottami di cui al comma 25 dei quali il detentore non si disfi, non abbia deciso o non abbia l’obbligo di disfarsi e che quindi non conferisca a sistemi di raccolta o trasporto di rifiuti ai fini del recupero o dello smaltimento, ma siano destinati in modo oggettivo ed effettivo all’impiego nei cicli produttivi siderurgici o metallurgici. 27. I rottami ferrosi e non ferrosi provenienti dall’estero sono riconosciuti a tutti gli effetti come materie prime secondarie derivanti da operazioni di recupero se dichiarati come tali da fornitori o produttori di Paesi esteri che si iscrivono all’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti con le modalità specificate al comma 28. (…) 29. a) Al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, sono apportate le seguenti modificazioni: all’articolo 6, comma 1, dopo la lettera q) sono aggiunte le seguenti: q bis) materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche: rottami ferrosi e non ferrosi derivanti da operazioni di recupero e rispondenti a specifiche CECA, AISI, CAEF, UNI, EURO o ad altre specifiche nazionali e internazionali, nonché i rottami scarti di lavorazioni industriali o artigianali o provenienti da cicli produttivi o di consumo, esclusa la raccolta differenziata, che possiedono in origine le medesime caratteristiche riportate nelle specifiche sopra menzionate; (…)». 11 L’art. 1, comma 29, lett. b), della legge n. 308/2004 ha inserito all’art. 8, comma 1, del decreto legislativo n. 22/97 la lettera f quinquies), che esclude dal campo di applicazione di tale decreto «il combustibile ottenuto dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi, come descritto dalle norme tecniche UNI 9903-1 (RDF [Refuse Derived Fuel] di qualità elevata), utilizzato in co-combustione, come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del 110 Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 11 novembre 1999, (…), come sostituita dall’articolo 1 del decreto del Ministro delle attività produttive 18 marzo 2002, (…), in impianti di produzione di energia elettrica e in cementifici, come specificato nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2002, (…)». 12 13 L’art. 183, comma 1, lett. s), del decreto legislativo n. 152/2006 prevede che costituisce un «combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR-Q): il combustibile classificabile, sulla base delle norme tecniche UNI 9903-1 e successive modifiche ed integrazioni, come RDF di qualità elevata, cui si applica l’articolo 229». L’art. 229, comma 2, del medesimo decreto legislativo così dispone: «Ferma restando l’applicazione della disciplina di cui al presente articolo, è escluso dall’ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto [concernente le norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati] il combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR-Q), (...) come definito dall’articolo 183, comma 1, lettera s), prodotto nell’ambito di un processo produttivo che adotta un sistema di gestione per la qualità basato sullo standard UNI-EN ISO 9001 e destinato all’effettivo utilizzo in co-combustione, come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 11 novembre 1999, (…), in impianti di produzione di energia elettrica e in cementifici, come specificato nel decreto del presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2002, (…)». 14 Le due disposizioni da ultimo menzionate sono state integrate dal decreto del Ministero delle Attività produttive 2 maggio 2006, recante le modalità di utilizzo per la produzione di energia elettrica del CDR-Q (GURI n. 106 del 9 maggio 2006, pag. 14; in prosieguo: il «decreto ministeriale 2 maggio 2006»). Procedimento precontenzioso 15 Reputando che la normativa italiana non fosse idonea a garantire una trasposizione corretta della direttiva 75/442, la Commissione decideva di intraprendere il procedimento previsto all’art. 226 CE e, con lettera in data 13 luglio 2005, metteva in mora la Repubblica italiana. 16 Non avendo ritenuto soddisfacente la risposta della Repubblica italiana del 17 novembre 2005, il successivo 19 dicembre la Commissione le trasmetteva un parere motivato, invitandola ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi a tale parere entro un termine di due mesi decorrenti dalla sua ricezione. La Repubblica italiana accludeva alla propria risposta in data 27 febbraio 2006 una nota del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio. 17 Successivamente, con lettera in data 12 maggio 2006, la Repubblica italiana notificava alla Commissione, nell’ambito di altri procedimenti di infrazione relativi alla mancata trasposizione di alcune direttive comunitarie, il testo del decreto legislativo n. 152/2006. 18 Poiché a seguito dell’adozione del suddetto decreto legislativo la Commissione riteneva opportuno precisare l’oggetto del procedimento, il 15 dicembre 2006 trasmetteva alla Repubblica italiana un parere motivato complementare, concedendole nuovamente un termine di due mesi decorrente dalla ricezione di detto parere per presentare eventuali obiezioni. Lo Stato membro rispondeva con lettera del 19 gennaio 2007, alla quale erano allegate la copia di un progetto di decreto legislativo che prevedeva l’abrogazione di tutte le disposizioni oggetto del procedimento, nonché una nota del Ministero dell’Ambiente indicante che tale progetto era in corso di adozione «per superare i rilievi formulati dalla Commissione (…)» e che la Commissione sarebbe stata informata «con la massima sollecitudine sugli ulteriori passaggi dell’iter di adozione del decreto correttivo in questione». 111 19 Non avendo ricevuto ulteriori notizie da parte della Repubblica italiana, la Commissione decideva di proporre il presente ricorso. Sulla ricevibilità del ricorso 20 In primo luogo, la Repubblica italiana sostiene che il decreto legislativo n. 152/2006 non costituisce la mera conferma delle disposizioni relative al CDR-Q già previste nella legge n. 308/2004 e prese in considerazione nella lettera di messa in mora, cosicché l’oggetto del ricorso sarebbe stato ampliato mediante il riferimento al decreto legislativo nel parere motivato complementare e nel ricorso. 21 A tale proposito occorre rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito di un procedimento di infrazione la lettera di messa in mora e il parere motivato indirizzati allo Stato membro interessato delimitano l’oggetto della controversia. Pertanto, il ricorso deve essere fondato sui medesimi motivi e mezzi del parere motivato (v., in particolare, sentenze 27 novembre 2003, causa C-185/00, Commissione/Finlandia, Racc. pag. I-14189, punto 80 e la giurisprudenza ivi citata; 18 dicembre 2007, causa C-194/05, Commissione/Italia, Racc. pag. I-11661, punto 20, nonché 11 settembre 2008, causa C-274/07, Commissione/Lituania, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 22). 22 Tale esigenza non implica, tuttavia, che debba sussistere in ogni caso una perfetta coincidenza tra le disposizioni nazionali menzionate nel parere motivato e quelle richiamate nel ricorso. Qualora tra queste due fasi del procedimento sia intervenuta una modifica legislativa, è sufficiente che il sistema instaurato dalla normativa contestata nella fase precontenziosa sia stato nel complesso conservato dalle nuove misure adottate dallo Stato membro dopo il parere motivato e impugnate nell’ambito del ricorso (v. sentenze 1° febbraio 2005, causa C-203/03, Commissione/Austria, Racc. pag. I-935, punti 29 e 30, nonché 22 settembre 2005, causa C-221/03, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-8307, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata). 23 Nel caso in esame, occorre sottolineare che il contenuto delle disposizioni controverse presenti nel decreto legislativo n. 152/2006 coincide sostanzialmente con quello dell’art. 1, comma 29, lett. b), della legge n. 308/2004. Tali disposizioni, infatti, sottraggono il CDR-Q rispondente a talune condizioni dall’ambito di applicazione della normativa nazionale sui rifiuti prima del suo utilizzo effettivo come combustibile, e ciò a prescindere da qualsivoglia valutazione delle circostanze del caso concreto. 24 Di conseguenza si deve constatare che la Commissione, allorché ha denunciato le disposizioni del decreto legislativo n. 152/2006 nel parere motivato complementare e nell’atto introduttivo, non ha esteso l’oggetto del presente ricorso. La prima eccezione di irricevibilità deve quindi respingersi in quanto infondata. 25 In secondo luogo, la Repubblica italiana eccepisce che il ricorso è irricevibile a causa della durata eccessiva del procedimento precontenzioso. 26 A tale proposito, occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza della Corte, le norme di cui all’art. 226 CE devono essere applicate senza che la Commissione sia tenuta ad osservare un termine prestabilito, salvo i casi in cui la durata eccessiva del procedimento precontenzioso disciplinato dalla suddetta disposizione sia tale da rendere maggiormente difficoltosa, per lo Stato coinvolto, la confutazione degli argomenti della Commissione, con conseguente violazione dei diritti della difesa. Spetta allo Stato membro interessato addurre la prova di una siffatta incidenza (sentenze 5 novembre 2002, causa C-475/98, Commissione/Austria, Racc. pag. I-9797, punto 36, e 18 luglio 2007, causa C-490/04, Commissione/Germania, Racc. pag. I-6095, punto 26). 112 27 Poiché la Repubblica italiana non ha apportato alcun elemento concreto idoneo a costituire una violazione dei suoi diritti della difesa in relazione alla durata del procedimento precontenzioso, non occorre esaminare la questione della durata eccessiva di detta fase. Anzi, è possibile osservare che lo stesso Stato membro ha domandato alla Corte una proroga del termine per il deposito della sua controreplica, e questo benché la Commissione gli avesse concesso, mediante il parere motivato complementare, un’ulteriore opportunità di replicare alle sue censure. Si deve pertanto respingere la seconda eccezione d’irricevibilità. 28 In terzo luogo, la Repubblica italiana addebita alla Commissione la mancata o errata ricostruzione della normativa oggetto del contenzioso, non avendo tenuto conto della circostanza del completamento delle disposizioni del decreto legislativo n. 152/2006 operato attraverso il decreto ministeriale 2 maggio 2006. 29 Al riguardo, è opportuno osservare che le autorità italiane non hanno notificato alla Commissione il decreto ministeriale di cui trattasi e che lo hanno citato per la prima volta nel loro controricorso, sebbene gli Stati membri siano obbligati, in forza dell’art. 10 CE, a cooperare lealmente ad ogni indagine svolta dalla Commissione ai sensi dell’art. 226 CE (sentenze 13 luglio 2004, causa C-82/03, Commissione/Italia, Racc. pag. I-6635, punto 15, e 26 aprile 2005, causa C-494/01, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I-3331, punti 197 e 198 nonché giurisprudenza ivi citata). Ne consegue che la mancata presa in considerazione di detto decreto ministeriale durante il procedimento precontenzioso non può comportare l’irricevibilità del ricorso. 30 In quarto luogo, la Repubblica italiana sostiene che la Commissione ha omesso la verifica effettiva dell’applicazione in concreto della contestata normativa, in particolare a seguito del decreto ministeriale 2 maggio 2006, essendo tale applicazione conforme alla direttiva 75/442. 31 Neppure siffatta eccezione di irricevibilità può essere accolta. 32 Invero, una tale applicazione conforme delle disposizioni di diritto nazionale non può, di per sé, presentare la chiarezza e la precisione necessarie a garantire la certezza del diritto (v., in tal senso, sentenze 19 settembre 1996, causa C-236/95, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-4459, punto 13; 10 maggio 2001, causa C-144/99, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-3541, punto 21, nonché 10 maggio 2007, causa C-508/04, Commissione/Austria, Racc. pag. I-3787, punto 79). 33 Inoltre, non è possibile ritenere che semplici prassi amministrative, per loro natura modificabili a discrezione dell’amministrazione e prive di adeguata pubblicità, costituiscano adempimento degli obblighi che incombono agli Stati membri nell’ambito della trasposizione di una direttiva (v. sentenze 13 marzo 1997, causa C-197/96, Commissione/Francia, Racc. pag. I-1489, punto 14; 10 marzo 2005, causa C-33/03, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I-1865, punto 25, e 10 maggio 2007, Commissione/Austria, cit., punto 80). 34 Da ultimo, occorre rilevare che le sentenze 9 novembre 1999, causa C-365/97, Commissione/Italia (Racc. pag. I-7773), e 26 aprile 2007, causa C-135/05, Commissione/Italia (Racc. pag. I-3475), invocate dalla Repubblica italiana a sostegno della propria argomentazione, non sono a tal fine pertinenti. Esse, infatti, riguardano dei ricorsi per inadempimento aventi ad oggetto non la conformità con il diritto comunitario del contenuto delle disposizioni nazionali, bensì l’applicazione in concreto del diritto comunitario o nazionale vigente. 35 Il ricorso è dunque ricevibile. Sul ricorso 113 36 In via preliminare, occorre ricordare che l’abrogazione delle disposizioni controverse operata dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, recante disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo n. 152/2006 (Supplemento ordinario alla GURI n. 24 del 29 gennaio 2008), non produce effetti sul ricorso in esame, poiché è intervenuta soltanto dopo che erano scaduti i termini fissati nel parere motivato e nel parere motivato complementare, e persino dopo la presentazione del ricorso. Sui rottami destinati alla produzione siderurgica o metallurgica Argomenti delle parti 37 La Commissione sostiene che l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a) della legge n. 308/2004 esclude, a priori e in via generale, i rottami ferrosi e non ferrosi destinati ad attività siderurgiche e metallurgiche dall’ambito di applicazione della normativa nazionale di trasposizione della direttiva 75/442. Tale esclusione avrebbe l’effetto di rendere inapplicabile a tali materiali, in particolare alla loro gestione, al loro deposito e al loro trasporto, la normativa comunitaria sulla tutela dell’ambiente. 38 Ebbene, secondo la Commissione, tali rottami possono ricadere nella nozione di «rifiuto» di cui all’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442. Detti rottami non costituirebbero materie prime secondarie, bensì semplici residui di produzione e di consumo che rimarrebbero tali fino alla conclusione del processo di recupero completo, che termina con la loro trasformazione in prodotti siderurgici e metallurgici. Peraltro, i rottami in questione non possono essere considerati «sottoprodotti» ai sensi della giurisprudenza della Corte. 39 Le Repubblica italiana ritiene che l’esclusione di tali rottami operata dalla normativa nazionale controversa sia legittima, avuto riguardo alle condizioni da quest’ultima stabilite. In primo luogo, detta normativa esige che i rottami in questione posseggano non soltanto talune caratteristiche oggettive, che consentono di qualificarli come merci dotate di un valore commerciale, ma anche destinazioni specifiche e verificabili alle attività dell’industria siderurgica o metallurgica. In secondo luogo, la normativa in questione inserisce l’attività di raccolta dei rottami ferrosi e non ferrosi in un contesto produttivo industriale senza soluzione di continuità. Giudizio della Corte 40 In via preliminare, occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442, si deve considerare «rifiuto» qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I della medesima direttiva e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi. 41 Pertanto, nel contesto di tale direttiva, la portata della nozione di rifiuto dipende dal significato del termine «disfarsi». Quest’ultimo deve essere interpretato alla luce della finalità della direttiva stessa, che, ai sensi del suo terzo ‘considerando’, consiste nella protezione della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti, nonché alla luce dell’art. 174, n. 2, CE. Quest’ultimo dispone che la politica della Comunità europea in materia ambientale mira ad un elevato livello di tutela ed è fondata, in particolare, sui principi della precauzione e dell’azione preventiva (v., segnatamente, sentenze 11 novembre 2004, causa C-457/02, Niselli, Racc. pag. I-10853, punto 33; 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punto 33, e 24 giugno 2008, causa C-188/07, Commune de Mesquer, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 38). 42 La Corte ha altresì dichiarato che, stante la finalità perseguita dalla direttiva 75/442, la nozione di rifiuto non può essere interpretata in senso restrittivo (v. sentenze 15 giugno 2000, cause riunite C-418/97 e 419/97, ARCO Chemie Nederland e a., Racc. pag. I-4475, 114 punto 40; 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punto 33, nonché Commune de Mesquer, cit., punto 39). 43 L’effettiva esistenza di un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442 deve essere accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto della finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne l’efficacia (v. citate sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punti 73, 88 e 97, nonché 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, punto 41). 44 A tale riguardo, alcune circostanze possono costituire indizi della sussistenza di un’azione, di un’intenzione oppure di un obbligo di disfarsi di una sostanza o di un oggetto ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442. Ciò si verifica, in particolare, se la sostanza utilizzata è un residuo di produzione o di consumo, vale a dire un prodotto che non è stato ricercato in quanto tale (v. citate sentenze 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, punto 34, e Commune de Mesquer, punto 41). 45 Nel caso di specie, nessuno ha posto in dubbio che, malgrado la loro conformità a talune specifiche tecniche nazionali ed internazionali, i rottami oggetto della normativa controversa costituiscano residui di produzione o di consumo non ricercati in quanto tali. 46 Inoltre, secondo una costante giurisprudenza, né il metodo di trasformazione né le modalità di utilizzo di una sostanza sono determinanti al fine di stabilire se si tratti o meno di un rifiuto (v. citate sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punto 64, nonché 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, punti 36 e 49). In particolare, la nozione di rifiuto non esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. Il sistema di vigilanza e di gestione stabilito dalla direttiva 75/442, infatti, si applica a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore commerciale e sono raccolti a titolo commerciale a fini di riciclo, di recupero o di riutilizzo (v. in tal senso, segnatamente, sentenze 25 giugno 1997, cause riunite C-304/94, C-330/94, C-342/94 e C-224/95, Tombesi e a., Racc. pag. I-3561, punti 47 e 52; 18 aprile 2002, causa C-9/00, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus, Racc. pag. I-3533, in prosieguo: la sentenza «Palin Granit», punto 29, nonché Commune de Mesquer, cit., punto 40). 47 Di conseguenza, l’argomento della Repubblica italiana che deduce sia la specifica destinazione sia la qualità di merce e il valore commerciale dei rottami oggetto della normativa controversa non è rilevante al fine di escludere a priori detti rottami dalla qualificazione come rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Alla luce della precitata giurisprudenza, quindi, in via di principio i rottami in questione devono essere considerati rifiuti. 48 Però, dalla giurisprudenza della Corte si evince parimenti che un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo di estrazione o di fabbricazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire un sottoprodotto, del quale il detentore non cerca di disfarsi, ma che intende sfruttare o commercializzare a condizioni favorevoli in un processo successivo. Tuttavia, occorre circoscrivere il ricorso a tale argomentazione relativa ai sottoprodotti, a quelle situazioni in cui il riutilizzo, compreso quello per i fabbisogni di operatori economici diversi da quello che li ha prodotti, non sia solo eventuale, bensì certo, prescinda da operazioni di trasformazione preliminare, ed avvenga nel corso del processo di produzione (v. sentenze Palin Granit, cit., punti 34-36; 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punti 38 e 46, nonché Commune de Mesquer, punti 42 e 44). 49 Nel caso di specie, è evidente come l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge n. 308/2004 contempli un’ampia varietà di situazioni. Non si può escludere che il «riutilizzo effettivo» in attività siderurgiche e metallurgiche previsto da queste disposizioni venga effettuato solo dopo il decorso di un periodo di tempo notevole, se non addirittura indeterminato, e che pertanto siano necessarie delle operazioni di stoccaggio durevole dei materiali in questione. Ebbene, siffatte operazioni di stoccaggio sono tali da rappresentare 115 un intralcio per il detentore. Inoltre, esse costituiscono una potenziale fonte di quel danno per l’ambiente che la direttiva 75/442 mira specificamente a limitare. Ne consegue che la sostanza di cui trattasi dev’essere considerata, in linea di principio, come rifiuto (v., in tal senso, sentenze Palin Granit, cit., punto 38; 11 settembre 2003, causa C-114/01, AvestaPolarit Chrome, Racc. pag. I-8725, punto 39, nonché 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punti 40 e 48). 50 Inoltre, dalla formulazione delle suddette disposizioni emerge che esse prevedono, in via generale, la possibilità di escludere i materiali in questione dall’ambito di applicazione della legislazione nazionale sui rifiuti, anche qualora tali materiali vengano trasformati prima del loro riutilizzo. 51 È quindi inevitabile constatare che le disposizioni controverse relative ai rottami destinati alla produzione siderurgica o metallurgica comportano che, nel diritto italiano, taluni residui, pur corrispondendo alla definizione di rifiuto sancita all’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442, siano sottratti al tale qualificazione. 52 La disposizione da ultimo menzionata non soltanto reca la definizione della nozione di «rifiuto» ai sensi della direttiva 75/442, ma determina altresì, in combinato disposto con il suo art. 2, n. 1, l’ambito di applicazione della medesima direttiva. Invero, l’art. 2, n. 1, indica quali tipi di rifiuti sono oppure possono essere esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva, e a quali condizioni, laddove, in linea di principio, vi rientrano tutti i rifiuti corrispondenti alla suddetta definizione. Orbene, qualsiasi disposizione di diritto nazionale che limita in modo generale la portata degli obblighi derivanti dalla direttiva 75/442 oltre quanto consentito dal citato art. 2, n. 1, travisa necessariamente l’ambito di applicazione della direttiva stessa, pregiudicando in tal modo l’efficacia dell’art. 174 CE (v. sentenza 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punto 54 e giurisprudenza ivi citata). 53 Sul punto è sufficiente osservare, riguardo al caso in esame, che i rottami destinati alla produzione siderurgica o metallurgica oggetto delle disposizioni controverse non rientrano tra le eccezioni all’ambito di applicazione della direttiva 75/447 previste al suo art. 2, n. 1. 54 Pertanto, la prima parte del ricorso della Commissione è fondata. Sul CDR-Q Argomenti delle parti 55 La Commissione osserva che l’art. 1, comma 29, lett. b), della legge n. 308/2004 nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del decreto legislativo n. 152/2006 sono tutti egualmente incompatibili con la direttiva 75/442, in quanto escludono dall’ambito di applicazione della normativa nazionale sui rifiuti, a priori e in via generale, il CDR-Q rispondente a talune condizioni. Siffatta esclusione pregiudicherebbe l’effettività della medesima direttiva, come pure quella di altre disposizioni comunitarie poste a tutela dell’ambiente e la cui portata risulta determinata in base alla nozione di «rifiuto» sancita dalla direttiva. 56 La Commissione sostiene che il CDR-Q, come i rifiuti solidi urbani che lo compongono, è un residuo di consumo e rientra quindi nella definizione di «rifiuto» di cui all’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442 fino al momento della sua effettiva combustione per produrre energia. L’operazione di trattamento dei rifiuti solidi urbani volta ad ottenere del CDR-Q implicherebbe soltanto una mera selezione e mescolanza di rifiuti e, pertanto, non sarebbe possibile ravvisarvi un processo di fabbricazione di un prodotto. 57 La Repubblica italiana ribatte che, nel momento in cui tali materiali giungono a soddisfare le condizioni per l’applicazione della normativa controversa, essi hanno ormai completato il 116 ciclo di recupero da rifiuti e pertanto costituiscono vere e proprie merci, in ogni caso aventi un valore economico. Già lo stesso processo di fabbricazione del CDR-Q sfocerebbe nella produzione di un nuovo materiale, che sarebbe equivalente – non da ultimo grazie alle sue caratteristiche calorifiche – ad un vero e proprio combustibile fossile primario. Con la conseguenza che, già prima della sua effettiva combustione, il CDR-Q dovrebbe essere considerato quale il risultato di un recupero completo e non ricadrebbe nella nozione di «rifiuto» ai sensi della direttiva 75/442, come interpretata dalla Corte. 58 Oltre a ciò, la Repubblica italiana sostiene che il decreto ministeriale 2 maggio 2006 istituisce un sistema di controllo e di tutela dell’ambiente che, unitamente alle altre regole del settore, garantisce un livello di tutela dell’ambiente quantomeno equivalente a quello previsto dalla disciplina comunitaria sui rifiuti, la cui effettività non risulterebbe, quindi, pregiudicata. Giudizio della Corte 59 Occorre anzitutto osservare che, come si evince dal punto 46 della presente sentenza, l’argomento della Repubblica italiana inerente alla qualità di merce ed al valore commerciale del CDR-Q è irrilevante rispetto al fine di escludere a priori tale sostanza dalla qualificazione come rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Inoltre, non è stato contestato che il CDR-Q derivi esclusivamente da residui di consumo e che, per tale ragione, il suo processo di produzione debba essere assoggettato, in quanto tale, alla normativa nazionale in materia di gestione di rifiuti. 60 In ordine all’argomento secondo cui il CDR-Q costituirebbe il risultato di un recupero completo di rifiuti, è opportuno ricordare che una siffatta operazione di recupero non è sufficiente, di per sé, a determinare se la sostanza risultante costituisca o meno un rifiuto. Invero, il fatto che una sostanza sia il risultato di un’operazione di recupero completo ai sensi dell’allegato II B della direttiva 75/442 rappresenta solamente uno degli elementi che devono essere presi in considerazione al fine di stabilire una conclusione definitiva in merito (v. citate sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punti 94 e 95, nonché Palin Granit, punto 46). 61 Del resto, un’operazione di recupero può dirsi completa soltanto se ha l’effetto di conferire al materiale in questione le medesime proprietà e caratteristiche di una materia prima e di renderlo utilizzabile nelle stesse condizioni di precauzione rispetto all’ambiente (v. citate sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punti 94 e 96, nonché Palin Granit, punto 46). 62 Ebbene, il CDR-Q, anche se corrisponde alle norme tecniche UNI 9903-1, non possiede le stesse proprietà e caratteristiche dei combustibili primari. Come ammette la stessa Repubblica italiana, esso può sostituire solo in parte il carbone e il coke di petrolio. Peraltro, le misure di controllo e di precauzione relative al trasporto e alla ricezione del CDR-Q negli impianti di combustione, nonché le modalità della sua combustione previste dal decreto ministeriale 2 maggio 2006, dimostrano che il CDR-Q e la sua combustione presentano rischi e pericoli specifici per la salute umana e l’ambiente, che costituiscono una delle caratteristiche dei residui di consumo e non dei combustibili fossili. 63 Inoltre, la giurisprudenza della Corte relativa alla distinzione tra lo smaltimento e il recupero dei rifiuti, invocata dalla Repubblica italiana, non è idonea a sostenere l’argomentazione di detto Stato membro. Secondo tale giurisprudenza, benché la caratteristica essenziale di un’operazione di recupero consista nel fatto che il suo obiettivo principale è che i rifiuti possano svolgere una funzione utile (v. sentenze 27 febbraio 2002, causa C-6/00, ASA, Racc. pag. I-1961, punto 69, e 13 febbraio 2003, causa C-228/00, Commissione/Germania, Racc. pag. I-1439, punti 41, 45-46, nonché ordinanza 27 febbraio 2003, cause riunite da C-307/00 a C-311/00, Oliehandel Koeweit e a., Racc. pag. I-1821, punto 97), il recupero avviene soltanto nel momento stesso in cui la sostanza de qua svolge effettivamente una funzione utile, segnatamente all’atto della produzione di energia attraverso la combustione o il deposito in una miniera in disuso. 117 64 Ne consegue che il CDR-Q non costituisce il risultato di un recupero completo, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di tale operazione, bensì soltanto il risultato di una fase ad esso precedente. 65 Occorre aggiungere che la presunta «certezza dell’utilizzo effettivo» del CDR-Q, addotta dalle autorità italiane, non rappresenta un criterio rilevante al fine di escludere definitivamente l’azione, l’intenzione, o l’obbligo del detentore del CDR-Q di disfarsene. Il riutilizzo certo di un bene o di un materiale è soltanto una delle tre condizioni necessarie per qualificare detto bene o materiale come sottoprodotto, come risulta dal punto 48 della presente sentenza e dalla giurisprudenza ivi citata. Orbene, la Corte ha sottolineato che detta giurisprudenza non è valida per quanto riguarda i residui di consumo, i quali non possono essere considerati «sottoprodotti» (sentenza Niselli, cit., punto 48). 66 Risulta dalle suesposte considerazioni che le disposizioni controverse relative al CDR-Q comportano altresì la sottrazione alla normativa nazionale sui rifiuti di residui che corrispondono alla definizione di rifiuto di cui all’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442, ma non ricadono fra le eccezioni previste al suo art. 2, n. 1. 67 Infine, non può essere accolto l’argomento della Repubblica italiana esposto al punto 58 della presente sentenza. La Commissione ha dimostrato in modo circostanziato, senza essere contraddetta sul punto, che il decreto ministeriale 2 maggio 2006 non garantisce un livello di tutela della salute umana e dell’ambiente equivalente a quello derivante dalla normativa comunitaria sui rifiuti. Ad esempio, relativamente allo stoccaggio del CDR-Q negli impianti di produzione di energia elettrica, tale decreto adotta una nozione più limitata di tutela dell’ambiente perché impone misure precauzionali volte ad evitare soltanto la contaminazione dell’aria, dell’acqua e del suolo, quando invece l’art. 4, n. 1, della direttiva 75/442 mira a salvaguardare anche la fauna, la flora, il paesaggio e i siti di particolare interesse e vieta di causare inconvenienti da rumori od odori. Pertanto le disposizioni invocate dalla Repubblica italiana non risultano idonee a garantire la completa conformità della normativa nazionale agli scopi della direttiva 75/442. 68 69 Il ricorso della Commissione è quindi fondato sul punto. Di conseguenza, si deve constatare che la Repubblica italiana, avendo adottato e mantenendo in vigore disposizioni quali l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge n. 308/2004 e l’art. 1, comma 29, lett. b), della legge n. 308/2004, nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del decreto legislativo n. 152/2006, per mezzo delle quali, rispettivamente, certi rottami destinati all’impiego in attività siderurgiche e metallurgiche e il CDR-Q sono sottratti a priori all’ambito di applicazione della legislazione italiana sui rifiuti di trasposizione della direttiva 75/442, è venuta meno agli obblighi derivanti dall’art. 1, lett. a), della medesima direttiva. Sulle spese 70 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese. Per questi motivi, la Corte (Ottava Sezione) dichiara e statuisce: 1) La Repubblica italiana, avendo adottato e mantenuto in vigore disposizioni quali: l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge 15 dicembre 2004, n. 308, recante delega al governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione, e 118 l’art. 1, comma 29, lett. b), della legge 15 dicembre 2004, n. 308, nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, per mezzo delle quali, rispettivamente, certi rottami destinati all’impiego in attività siderurgiche e metallurgiche e il combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR-Q) sono sottratti a priori all’ambito di applicazione della legislazione italiana sui rifiuti di trasposizione della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE, è venuta meno agli obblighi derivanti dall’art. 1, lett. a), della medesima direttiva. 2) La Repubblica italiana è condannata alle spese. Firme * Lingua processuale: l’italiano. 119 CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza 28 ottobre 2008 n. 5385 - Pres. La Medica, Est. Capuzzi Comune di Montoro Inferiore (Avv. Lentini) c. Consorzio Smaltimento Rifiuti AV1 (Avv.ti Meoli e Di Lieto) e Società L’Igene urbana (Avv.ti Ferrara e Tesauro) N.5385/08 REG.DEC. N9263 – 9298 REG. RIC. ANNO 2007 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente DECISIONE Sui ricorsi in appello: I) -n. 9263 del 2007 del 27.11.2007 proposto dal Comune di Montoro Inferiore in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocato Lorenzo Lentini ed elettivamente domiciliato in Roma, via della Cosseria n.2 presso lo studio Giuseppe Placidi; CONTRO Consorzio Smaltimento Rifiuti AV1 in persona del legale rappresentante p.t.rappresentato e difeso dall’Avv.to Bruno Meoli e dal Prof. Andrea Di Lieto del Foro di Salerno ed elettivamente domiciliato in Roma nello studio Sica, piazza della Libertà n.20; Società L’Igene urbana – in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituita; II)-n. 9298 del 2007 del 27.11.2007, proposto da s.r.l. L’Igiene Urbana in persona del suo rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocato Paola Ferrara e dall’Avvocato Paolo Tesauro elettivamente domicliata in Roma, Largo Messico n.7 presso l’avvocato Paolo Tesauro; CONTRO Comune di Montoro Inferiore in persona del Sindaco p.t, non costituito; Consorzio Smaltimento Rifiuti AV1 in persona del legale rappresentante p.t.rappresentato e difeso dall’Avv.to Bruno Meoli e dal Prof. Andrea Di Lieto del Foro di Salerno ed elettivamente domiciliato in Roma nello studio Sica, piazza della Libertà n.20; PER L’ANNULLAMENTO della sentenza del TAR Campania, Salerno n.1991/2007, resa tra le parti, concernente l’affidamento della raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani; Visti gli appelli del Comune di Montoro Inferiore e dell’Igiene Urbana s.r.l. con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consorzio Smaltimento Rifiuti; Viste le memorie difensive; 120 Visti gli atti tutti della causa; Visto l’art.23 bis della legge 6 dicembre 1971, n.1034, introdotto dalla legge 21 luglio 2000, n.205; Uditi alla pubblica udienza del 10 Giugno 2008 , relatore il Consigliere Roberto Capuzzi , gli avvocati F. Ferrentino, per delega di Lentini, A. Di Lieto anche per delega di Meoli, e P. Ferrara; Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue. FATTO La vicenda può così sintetizzarsi. Il Consorzio smaltimento rifiuti AV1 aveva presentato ricorso al TAR Campania, sede di Salerno, avverso la delibera di Giunta Municipale n. 148 del 5.7.2006 con cui era stato approvato il capitolato di oneri inerente la procedura di pubblico incanto per l’aggiudicazione del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani, raccolta differenziata e servizi connessi e indetta la relativa gara per l’affidamento del servizio nonchè avverso la relazione istruttoria e lo schema di contratto allegato alla medesima delibera, infine avverso il bando finalizzato alla scelta dell’impresa aggiudicataria ed eventuali verbali di aggiudicazione provvisoria o definitiva della gara. Con successivi motivi aggiunti il Consorzio aveva impugnato il verbale di aggiudicazione provvisoria dell’appalto del servizio di igiene urbana del giorno 13 ottobre 2006, adottato dalla Commissione di gara nominata ai sensi della delibera di G.M. di Montoro Inferiore n. 194 del 4.10.2006 nella procedura bandita giusta la menzionata delibera di G.M.. Il ricorrente Consorzio aveva esposto nel ricorso in primo grado di essere uno dei Consorzi già istituiti ai sensi della L.R. 10.2.1993 n. 10, ai quali, con ordinanza n. 319/2002 del Presidente della Giunta Regionale Campania - Commissario di Governo delegato per l’emergenza rifiuti - era stata attribuita la qualifica di soggetto di cooperazione per l’esercizio in forma associata delle funzioni amministrative in materia di rifiuti allo scopo di realizzare la gestione unitaria dei relativi servizi. In particolare, al Consorzio Cosmari AV1, l’assegnazione della predetta qualifica era avvenuta in forza dell’ordinanza commissariale n. 35/2003 con la quale gli era stata attribuita la privativa dei rifiuti urbani in tutta l’area di sua pertinenza. Al Consorzio stesso, ha aderito, fin dalla sua costituzione, anche il Comune di Montoro Inferiore il cui territorio è compreso nel Bacino di competenza dell’Ente consortile. L’Amministrazione del Comune intimato tuttavia, venuto a scadenza il rapporto contrattuale instaurato con la società che aveva precedentemente gestito il servizio in questione, invece di conferirlo al Cosmari ha indetto, mediante gli atti di cui in epigrafe (delibera di G.M. n. 148 del 5.7.2006), una gara per l’individuazione di un nuovo affidatario. Il Consorzio ricorrente ha impugnato in primo grado tali atti, deducendo i seguenti vizi: a) violazione di legge. Violazione dell’art. 23 D.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22. Violazione degli artt. 1 e ss. L.R. 10.2.1993 n. 10. Violazione delle ordinanze nn. 319 del 30/9/2002 e 35 del 2474/2003 del Commissario per l’Emergenza Rifiuti in Campania. Incompetenza. Violazione delle specifiche norme in materia di procedimento, in quanto, attraverso gli atti impugnati l’Amministrazione ha violato la privativa che al Consorzio è stata attribuita dal Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti in Campania, al fine di una gestione unitaria del servizio in oggetto, che pertanto andava conferito al Consorzio; b) Violazione, travisamento e falsa applicazione dell’art. 204 D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152; eccesso di potere; c) Violazione dell’art. 3 dello Statuto consortile. Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza ed arbitrarietà. Immotivato contrasto con precedenti determinazioni stante la precedente adesione del Comune di Montoro Inferiore al Consorzio ricorrente. 121 Con motivi aggiunti notificati il 7 novembre 2006 e depositati il 15 novembre successivo, il Consorzio ricorrente ha impugnato gli atti sopravvenuti della gara con i quali ha avuto luogo l’aggiudicazione provvisoria dell’appalto in favore della ditta "l’Igiene Urbana S.r.l.", in tale sede deducendo il vizio di invalidità derivata dalle censure già articolate mediante il ricorso introduttivo. Alla udienza del 21 giugno 2007, con la sentenza n.1991/2007, il TAR campano ha respinto l’eccezione con la quale il Comune resistente ha eccepito l’omessa impugnativa dell’aggiudicazione definitiva. Nel merito il TAR ha ritenuto illegittimo l’affidamento della gestione del servizio in discorso ad un soggetto da individuarsi per mezzo di una procedura ad evidenza pubblica, anziché devolvere tale funzione, in via diretta ed esclusiva, al Consorzio ricorrente. Cio’ in relazione alla interpretazione dell’atto costitutivo del Consorzio, delle obbligazioni ivi dedotte e delle ordinanze commissariali e presidenziali invocate nei motivi di gravame formulati dalla parte ricorrente. La sentenza ha richiamato precedenti pronunzie del TAR Campania che concludevano in senso conforme alle deduzioni sostenute nel ricorso e quindi ha accolto il medesimo ricorso opinando per la sussistenza di un vero e proprio obbligo giuridico degli Enti comunali aderenti ai Consorzi (come il Comune di Montoro Inferiore) di affidare, una volta scaduto il precedente contratto intercorrente con un terzo, il servizio di smaltimento dei rifiuti urbani (e quelli connessi) al citato Consorzio di appartenenza. Con distinti atti di appello sia il Comune di Montoro Inferiore, sia la società l’Igiene Urbana, aggiudicataria del servizio, hanno impugnato la sentenza del TAR Campania. Gli appellanti ripropongono le censure disattese dal Tribunale in primo grado dolendosi anche che il medesimo TAR abbia accolto il ricorso presentato dalla società Falsarano con la sentenza n.1992/2007 assunta alla medesima udienza pubblica ed avente per oggetto la medesima gara pur essendo i motivi di impugnativa del tutto antitetici, riconoscendo il diritto alla rinnovazione della gara nel ricorso proposto dalla società Ecologica Falzarano ed il diritto all’affidamento ex lege al Consorzio Cosmari. Dopo la discussione orale all’udienza del 10 giugno 2008 le due cause sono state trattenute dal Collegio per la decisione. DIRITTO 1. Gli appelli sono rivolti contro la stessa sentenza e pertanto se ne dispone la riunione a norma dell’art. 335 cod. proc. civ.. 2. Per un necessario raccordo con i paralleli appelli aventi ad oggetto il medesimo servizio di raccolta differenziata dei rifiuti nel Comune di Montoro Inferiore, (nn.9262/2007 e 9297/2007) è bene subito premettere che l’appello del Comune di Montoro (9263/2007) è meritevole di accoglimento e per l’ effetto va annullata l’impugnata sentenza del TAR Campania, mentre l’appello dell’Igiene Urbana (n.9298/2007), attesa la decisione assunta nella medesima udienza del 10 giugno 2008 che ha annullato il bando di gara emanato dal Comune, deve essere dichiarato improcedibile per carenza di interesse in quanto il bando di gara e la gara medesima, in virtù di tale decisione, dovranno essere integralmente rinnovati. 3. La Sezione si deve far carico della eccezione di inammissibilità avanzata in primo grado e respinta dal primo giudice, per omessa impugnativa dell’aggiudicazione definitiva avendo proposto il Consorzio ricorrente in primo grado, ricorso per motivi aggiunti avverso la sola aggiudicazione provvisoria e non anche avverso la aggiudicazione definitiva. Secondo gli appellanti il provvedimento di aggiudicazione definitiva è un nuovo autonomo atto che non è automaticamente travolto dall’annullamento del bando di gara o dal provvedimento di aggiudicazione provvisoria, entrambi non idonei ad impedire il consolidamento della posizione contrattuale della Igiene Urbana, ditta affidataria del servizio. 4.La doglianza non merita accoglimento e le argomentazioni del primo giudice per respingere la eccezione vengono ribadite dalla Sezione. 122 Ed invero il Consorzio ha impugnato il bando di gara adducendo motivi che riguardano in radice il potere stesso del Comune di Montoro Inferiore di procedere all’affidamento del servizio secondo una libera gara. Il Consorzio, in altri termini, non contesta gli esiti dell’aggiudicazione sostenendo che la stessa andava attribuita ad altro concorrente, ma afferma che il Comune non avrebbe giammai potuto bandire la gara e per tale motivo ha impugnato il bando di gara rispetto il quale l’affidamento si atteggia come un mero atto conseguenziale la cui impugnazione è irrilevante ai fini della procedibilità del ricorso deciso dal TAR Salerno. L’orientamento giurisprudenziale fatto proprio numerose volte da questo Consiglio, richiamato dal giudice di prime cure, è nel senso che l’impugnazione del bando con cui la stazione appaltante fissa le regole di gara, vale a radicare in capo al ricorrente l’interesse alla caducazione di tutti gli atti successivi della procedura, senza bisogno della loro impugnazione e della notifica di ulteriori ricorsi per motivi aggiunti ai controinteressati successivi, da intendersi adeguatamente tutelati dallo strumento di opposizione di terzo ( Cons. Stato, sez. V, 25.3.2002 n.1687; Sez. IV, 7.9.2004 n.5768). Più precisamente, secondo tale orientamento, l’impugnazione dell’atto finale non è necessaria se, impugnato quello presupposto, fra i due atti vi sia un rapporto di presupposizione–consequenzialità immediata, diretta e necessaria, nel senso che l’atto successivo si pone come inevitabile conseguenza di quello precedente, perché non vi sono nuove e ulteriori valutazioni di interessi, né del destinatario dell’atto presupposto, né di altri soggetti (Cons. Stato, Sez. V, 23 marzo 2004 n. 1519; 11 novembre 2004 n. 7346; 4 maggio 2005 n. 2168). Con l’effetto che in tali ipotesi: ".... l’annullamento del bando di gara non può non travolgere l’aggiudicazione, sicché la mancata impugnazione di quest’ultima non determina l’improcedibilità del ricorso" (Cons. Stato, Sez. V, n.4207 dell’8 agosto 2005). In conclusione la eccezione deve essere respinta. 5. Può ora esaminarsi la principale questione concernente la legittimità del bando e dunque della scelta operata dall’Amministrazione comunale di affidare la gestione del servizio ad un soggetto da individuarsi per mezzo di una procedura ad evidenza pubblica anziché devolvere tale funzione, in via diretta ed esclusiva, al Consorzio ricorrente. La sentenza appellata ha motivato l’accoglimento del ricorso sulla base del generico richiamo alla normativa di settore statale e regionale, alla normativa emergenziale di cui alla O.M. 3100/00 e O.C. 319/02 e O.C. 35/2003 ed infine alla giurisprudenza del TAR campano. 6. Al riguardo ritiene la Sezione che il punto nodale è quello della esatta interpretazione della disciplina posta dall’art. 204 del d.lgs. 152/06. Sostengono gli appellanti che posto che il Comune era titolare del servizio di raccolta rifiuti solidi urbani alla data indicata dal primo comma dell’articolo 204 di cui sopra, lo stesso doveva proseguire nella gestione del servizio fino alla costituzione dell’ATO (ambiti territoriali ottimali) ed all’affidamento del servizio in favore del gestore unico. La doglianza è fondata. L’articolo 204 da coordinarsi con il 198 persegue la finalità di stabilire un termine finale per la erogazione del servizio da parte degli enti attualmente titolari dello stesso, termine individuato nel momento del suo affidamento da parte della costituenda Autorità d’Ambito al c.d. gestore unico. Ed invero, ai sensi di tali norme, spetta a chi esercita il servizio alla data di entrata in vigore del decreto medesimo continuare la gestione fino alla istituzione ed organizzazione del servizio di gestione integrata da parte dell’autorità d’ambito ed una volta istituita l’Autorità si determina il trasferimento a tale nuovo ente delle competenze in materia di rifiuti. Ora risulta pacifico anche per lo stesso Consorzio appellato che il servizio non è mai stato preso in carico dal Consorzio ricorrente in primo grado, rimasto inerte anche di fronte alle numerose proroghe concesse dal Comune di talchè quest’ultimo è il soggetto che al momento della indizione della gara lo gestiva. Nè il 123 Consorzio può configurarsi come autorità d’ambito in quanto osta ad un tale riconoscimento la previsione dell’articolo 201 del d.lgs. 152/2006 che definisce la complessa ed articolata disciplina del nuovo organismo. Deve quindi concludersi, come peraltro già rilevato dalla Sezione in sede cautelare con ord.ze nn.672/2006 e 676/2006, che con riferimento al quadro normativo in esame, non sussistevano ragioni perchè il Comune dovesse derogare all’obbligo di affidare il servizio mediante gara. 7.La sentenza in primo grado ha motivato l’accoglimento del ricorso sulla base del generico richiamo alla normativa di settore statale e regionale (art.22 d.leg.vo n.22 del 1997, art.31 d.legs.vo 267/00, art.6 l.r.Campania n.10/93), alla normativa emergenziale (O.M. 3100/00, O.C. 319/02 e O.C. 35/2003) ed alla giurisprudenza (TAR Campania n.1597/01). Al riguardo va osservato che l’art. 22 d. leg.vo 22 del 1997 demanda a Piani da predisporsi da parte delle Regioni la gestione dei rifiuti, mentre il successivo art. 23 prevede che i Comuni provvedano alla gestione dei rifiuti urbani mediante le forme,anche obbligatorie, previste dalla l. 142 del 1990, come integrata dall’art. 12 L. 498 del 1992 (oggi sostituito dal d. leg.vo 267 del 2000). L’art. 31 d.leg.vo 267 del 2000, il quale ha recepito l’art. 25 l. 142/1990, dispone che gli enti locali, per la gestione associata di uno o più servizi e l’esercizio associato di funzioni, possono costituire un Consorzio, aggiungendo al co. 7° che, in caso di rilevante interesse pubblico, la legge dello Stato può prevedere la costituzione di Consorzi obbligatori per l’esercizio di determinate funzioni e servizi. L’art. 6 della l. reg. Campania 10 del 1993 (intitolata "Norme e procedure per lo smaltimento dei rifiuti in Campania") prevede che i soggetti attuatori del Piano di smaltimento dei rifiuti sono i Comuni, i Consorzi di Comuni e le Comunità Montane, precisando al successivo co. 4° che nei casi in cui i Comuni non provvedono, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, a costituire gli organismi consorziali per la costituzione e la gestione associata degli impianti di smaltimento dei bacini individuati del Piano, ed ove i comportamenti omissivi degli Enti obbligati determinino grave pregiudizio alla tutela della salute pubblica o dell’ambiente, la Giunta Regionale vi provvede, in via sostitutiva, entro 90 giorni. L’Ordinanza n° 3100 in data 22.12.2000 del Ministro dell’Interno, delegato al coordinamento per la protezione civile, all’art. 4 co. 4° attribuisce al Commissario Delegato il compito di promuovere ed organizzare una gestione unitaria dei rifiuti e di individuare e attuare le forme e i modi della cooperazione tra i Comuni in ciascun ambito territoriale ottimale per l’esercizio in forma associata delle funzioni amministrative in materia di gestione dei rifiuti; all’art 5 prevede che i Prefetti, avvalendosi dei Consorzi di cui alla l. reg. 10 del 1993, provvedono al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti urbani che residuano dalla raccolta differenziata. L’ordinanza Commissariale n° 319 del 30.9.2002 istituisce i soggetti di Cooperazione dei Comuni con il compito di gestire amministrativamente, in forma associata, la raccolta integrata dei rifiuti urbani assumendone la privativa e istituisce gli EPAR a livello provinciale, con il compito di gestire le fasi di trasporto, trattamento, recupero, smaltimento del ciclo integrato dei rifiuti urbani a valle della raccolta. Ancora, l’ordinanza commissariale n° 35 del 24.4.2003 ha disposto che, a partire dal 23.4.2003 il Consorzio di Bacino AV/1 sia il Soggetto di Cooperazione dei Comuni per l’intero territorio del proprio bacino ed acquisisca la privativa dei rifiuti urbani dei Comuni che ne fanno parte; che entro il 30.5.2003 detto Consorzio avrebbe dovuto acquisire la gestione dei contratti in essere dei Comuni del bacino con soggetti terzi per il servizio di raccolta dei rifiuti urbani, e che alla scadenza dei contratti esso avrebbe organizzato il servizio nelle forme individuate dall’ordinanza n° 319 del 2002; nonché che, nelle more di una assunzione definitiva da parte dell’EPAR, i servizi di trasporto, trattamento, recupero e smaltimento per il bacino AV/1 sarebbero stati gestiti amministrativamente appunto dal Consorzio di bacino AV/1. 8.Tale essendo il quadro normativo di riferimento, e attesa l’avvenuta adesione al Consorzio Smaltimento Rifiuti AV/1 del Comune di Montoro Inferiore, secondo la tesi del Consorzio fatta propria dal TAR, il Comune illegittimamente avrebbe adottato le delibere impugnate, poiché finalizzate a sottrarsi all’obbligo di affidare, una volta scaduto il precedente contratto intercorrente con un terzo, il servizio di smaltimento dei rifiuti urbani (e quelli connessi) al citato Consorzio di appartenenza. 9. Rileva tuttavia la Sezione che il TAR non ha tenuto conto che la sopra citata O.M. 3100/00 per l’esercizio in forma associata delle funzioni amministrative in materia di gestione dei rifiuti (sulla cui base sono state 124 assunte le due ordinanze commissariali n.319 del 30.9.2002 e n.35 del 24.4.2003) è stata annullata dalla sentenza del Consiglio di Stato, V Sez., 13 novembre 2002 n.6280, passata in giudicato, sul presupposto che l’articolo 4 della stessa Ordinanza ha introdotto un deroga al regime delle competenze, generica ed indeterminata nei contenuti perchè il riferimento alla dizione "funzioni amministrative relative alla gestione dei rifiuti", con cui si è inteso delimitare l’ambito della deroga è omnicomprensivo e trasferisce al Commissario un settore d’amministrazione non solo ampio ma non esattamente definito nei suoi contorni e nei suoi limiti di contenuto. L’Ordinanza, a tenore della decisione di cui sopra, ha: "..finito per estromettere completamente i Comuni e quindi le comunità locali che esprimono le amministrazioni di livello locale dalla gestione di un così significativo aspetto della vita delle comunità medesime". L’annullamento della OM 3100/00 limitato al solo art. 4 comma IV, ma con portata generale, che è la fonte delle attribuzioni amministrative in capo al Commissario Delegato anche alla luce della nuova formulazione del titolo V della Costituzione (che all’art. 118 ha attribuito competenze amministrative ai Comuni), viene a privare gli atti applicativi (ordinanza commissariale n.319 del 2002 istitutiva dei soggetti di cooperazione e la ordinanza commissariale n.35/2003 di affidamento al Consorzio di bacino AV1 della privativa dei Comuni) del necessario supporto di legittimazione in quanto l’annullamento della fonte attributiva dei poteri comporta il travolgimento anche degli atti applicativi derivati ex art. 21 septies della legge n.241 del 1990. Vanno, quindi, accolte le censure dedotte dal Comune di Montorio Inferiore avverso la sentenza impugnata e riconducibili alla carenza ed erroneità della motivazione. 10. In conclusione l’appello del Comune di Montoro Inferiore (9263/2007) è meritevole di accoglimento e per l’ effetto va annullata l’impugnata sentenza del TAR Campania, l’appello dell’Igiene Urbana (n.9298/2007), attesa la decisione assunta nella medesima udienza del 10 giugno 2008 che ha annullato in toto la gara indetta dal Comune, deve essere dichiarato improcedibile per carenza di interesse in quanto la gara di che trattasi, in virtù di tale decisione, dovrà essere integralmente rinnovata. Spese ed onorari dei due gradi di giudizio, atteso il carattere controverso delle questioni involte, possono essere integralmente compensati tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, riuniti i ricorsi in appello, accoglie l’appello r.g.n. 9263/2007 del Comune di Montoro Inferiore e, per l’effetto annulla la sentenza di 1° grado; dichiara improcedibile per carenza di interesse il ricorso r.g.n. 9298/2007 della Società "L’Igiene Urbana" S.r.l.. Spese compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 10 Giugno 2008 con l’intervento dei Sigg.ri: Pres. Domenico La Medica Cons. Marzio Branca Cons. Vito Poli Cons. Francesco Caringella Cons. Roberto Capuzzi Est. L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F.to Roberto Capuzzi F.to Domenico La Medica DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 28/10/08 125 Jú'*'r;o,/-u DErrBszuzroNEt .É "tf",Ért * lzra' caa,hn'//o/'*ffi, 53 Oggetto: GE 30990-08 - Adunanza det % rtoùgr\-Lbl€ ZOCS Indagine conoscitiva sul settore dei Servizi di Gestione Integrata dei rifiuti urbani. Visto il D.Lgs. n. 16312AO6; Vista la Legge n.22197; Visto il D.Lgs. n.26712A0O; Visto il D.Lgs. n.I52l2AA6; Visto l'Nt.23 bis della Legge n" l33l2AA8 Il Consiglio Vista la sentenza 23 novembre 2A07 n. 401 della Corte Cosdruzionale che ha sancito che la potestà legislativa in maceria di contratti pubblici va riconosciuta, in vla generale, in capo allo Stato, ed è svolra nell'obiectivo principale della rucela della concorrer:r:a. Visto f arr. 6, comma 7, del D.lgs. 16312006, ai sensi del quale lattivita di vigilanza svolta da questa Aurorirà sull'uniformita alle disposizioni legislative contraente, anche sottosoglia, su tutto il territorio in materia delle procedure di scelta del nazionale, risponde all'esigenza di garantÍre rispetto della parita di trattamento, di non discriminazione, dí proporzionalita e Erasparenza. il /\J L alk :r-{ Visco il deliberato reso nelladunanza del 31912008 con il quale il Consiglio dell'Aurorita ha rawisato la necessita che le Direzioni OSAM ed OSIT predispongano un piano per l'acquisizione sistematica dei dati relacivi al setcore della gescione integraca dei riliuti da rapportare anche ai compiti di vigilanza dell'Autorità, esercitaci, in materia, attraverso la Direzione Generale Servizi e Fornirure; Visti i prowedimenti dirigenziali n" 30990/VISF'/08 del 2610512008 en' 562751VISF/08 del 10/10/2008 con i guali è stato costituico presso la Direzione Generale ServLi e Fornirure un gruppo di lavoro per la vigilanza sul settore della gestione inregrata dei rifiuri;Visra la relazione del suddero Gruppo di lavoro rndara30.l0.2008; Considerato in fatta Dagli accertamenti preliminari condotti da questa Aurorita a seguito di vari esposti relacivi all'affídamenco dei servizi di gescione dei rifiuti urbani, nei quali si lamenrava un frequente ricorso alle proroghe dei contratti già in essere del servizio di gescione dei rifiuri e, in alcuni casi, veniva evtdenziataltntzralla auEonoma dei Comuni di indire gare per I'affidamento del servizio, è emersa di incertezza applicariva delle norme del Codice ambientale sul sistema di gestione integrata dei rifiuti, riguardance diverse realrà terricoriali. una siruazione In parricolare è emerso che I'amuale fase di transizione dal vecchio al nuovo sistema di gestione dei rifiuti urbani è caratterizzata da diverse cricicità legace sovente alla mancatadehmttazione degli Ambiti Territoriali Ottimali, alla mancata istituzione ed operatività delle Aurorità d Ambito enrro i termini prevísti dal Codice Ambienrale, Considerato in dirifto 1. Il Decreto Legislativo 5 febbraio1997,n.22 c.d. decreto Ronchi con il quale sono stare recepire in Italia alcune direttive comunitarie in matelia di rifiuti, ha chiaramence stabilito che la gestione dei rifiuti costiruisce arivita di pubblico interesse. Invero, lat. 23, ha previsro I'individuazione di Ambiti Territoriali Ottimali al cui incerno sia assicurutalagestione *uniraria" deÍ rÍfiuri urbani. 2. Il D.Lgs. 152106 e s.m.i. (c.d. Codice ambientale), che ha abrogato il D.Lgs. 22/lgg1,recependone le disposizioni, ha apportato significative novità alla preesisrente disciplina in mareria di gescione dei rifiuci urbani, organtzzandola, all'interno di singoli Ambiri Terriroriali Orcimali, in modo da superare la frammentazione delle gestioni attraverso L'Autodtà d Ambito è il "servizro di gestione integrara dei rifiuti". il soggetto preposto all'indizione ed all'espleramenco della gara ad evidenza Ìl L, n cl\ 1rt t" tffi dt- " pubblica per I'individuazione dell'operatore economico che dowà gesrire Íl servizio (art. 2Ol, conuna l, D.Lgs. 152120Aq. In particolare, tart. 202, comma l, del D.Lgs. 15212006 sancisce che "l'Autorita d'ambito agluúca il servifio di gestione integ a.ta" dei rifiun urbani mediante gara disciplinata dai pnncipi e dalle dispos@onr comunitarie, in cont'ormita ai criteri di cui all'arncolo ll3, comma 7, del decreto leglslati,to 18 agosto 200A, n.267".... el' art.23 bis, comma 2, della recente Legge n'I3.J12AA8 stabilisce che "Il cont'enmento seruia pubblicilocali awiene, invia ordinaria, 3. Il processo ... dellagestionedei mediante procedure competinve ad evidaqa pubblica ..." di attuazione del nuovo siscema di gestione integrata dei rifiuti non si è ancora pienamence realizzacof infatti non tutte le Autorita dAmbito risultano essere state istituite, e si nota una diversificazione sul territorio nazionale sullo stato di operatività con riferimento alle modalita di affidamenro del servizio. 4. In questa fase di transizione dal vecchio al nuovo sistema di gestione dei rifiuci urbani, Particolarmente delicato, appare opportuno effetruare un indagine conoscitiva volta a raccogliere le necessarie informaztoni relativamente alla avvenuta attuazíane da parte delle Regioní della delimitazione degli ATO, dell' istituzione e delle caratteristiche degli ATO, della redaztone dei previsti Piani d'Ambito, delle modalita di indÍviduaziane del gesrore unico e del valore economico dei co nrratti suipulari. In base a quanto sopra consideraro, il Consiglio DELIBERA: - di procedere, ai sensi dell'arricolo 6, comma 7, del D.Lgs. 163/2006, ad una indagine conoscitiva sullo stato dr attuazione del sistema di gestione integrata dei Direzione Generale OSAM, col supporto di OSIT e rifiuti da eseguirsi, a cura della in sintonia con le puntuali indicazioni, coerenti con i contenuti di cui al punto 4. dei precedenti consideraco, fornice dal gruppo di lavoro isriruiro presso la Direzione Generale VISF; \liV 0n- i i L. lt -, 'r (- - dÍ assegnare per I'indagine un termine di tre mesi decorrenti dalla daca della presente delÍberazione; - di dare comunicazione della presenre indagine medianre pubblicazione della presenre Deliberazione sul sito dell'Aurorirà. I Consiglieri Relatori NP sid Luigi te aolino Deg.s.\ú-^ CÀu>+f's ln U ,pp --,fr- CORTE COSTITUZIONALE - sentenza 10 ottobre 2008 n. 335 - Pres. Flick, Red. Gallo - (giudizi promossi con ordinanze del 3 e 31 maggio e del 18 settembre 2007 dal Giudice di pace di Gragnano, rispettivamente iscritte al n. 830 del registro ordinanze 2007 e ai nn. 38 e 184 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 3, 10 e 26, prima serie speciale, dell'anno 2008). SENTENZA N. 335 ANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Giovanni Maria FLICK - Presidente - Francesco AMIRANTE - Giudice - Ugo DE SIERVO - Giudice - Paolo MADDALENA - Giudice - Alfio FINOCCHIARO - Giudice - Alfonso QUARANTA - Giudice - Franco GALLO - Giudice - Luigi MAZZELLA - Giudice - Gaetano SILVESTRI - Giudice - Maria Rita SAULLE - Giudice - Giuseppe TESAURO - Giudice - Paolo Maria NAPOLITANO - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), sia nel testo originario che in quello modificato dall'art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale), promossi con ordinanze del 3 e 31 maggio e del 18 settembre 2007 dal Giudice di pace di Gragnano, rispettivamente iscritte al n. 830 del registro ordinanze 2007 e ai nn. 38 e 184 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 3, 10 e 26, prima serie speciale, dell'anno 2008. Visti gli atti di costituzione della s.p.a. G., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 23 settembre 2008 e nella camera di consiglio del 24 settembre 2008 il Giudice relatore Franco Gallo; 130 uditi gli avvocati Vincenzo Cocozza e Ferdinando Pinto per la s.p.a. G. e l'avvocato dello Stato Gianna Maria De Socio per il Presidente del Consiglio dei ministri. RITENUTO IN FATTO 1. - Nel corso di un giudizio civile, il Giudice di pace di Gragnano - con ordinanza del 3 maggio 2007 (r.o. n. 830 del 2007) - ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 32, 41 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), nel testo modificato dall'art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale) [in vigore dal 28 agosto 2002 al 28 aprile 2006], nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il rimettente riferisce che: a) l'oggetto del giudizio principale è la domanda proposta da Savino Cesarano nei confronti della s.p.a. G., società di gestione del servizio idrico integrato nel Comune di Gragnano, affinché sia accertata e dichiarata non dovuta la quota di tariffa riferita alla depurazione di acque reflue da lui pagata per l'anno 2003, con conseguente restituzione della stessa; b) l'attore afferma che la società convenuta aveva richiesto il pagamento del canone di depurazione «pur non avendo effettuato né potendo effettuare il servizio di depurazione delle acque reflue, per essere notoriamente carente degli appositi impianti»; c) la convenuta chiede il rigetto della domanda, in quanto infondata, perché, in base all'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, pur essendosi verificata «la trasformazione della natura del canone di depurazione da tributaria in tariffaria», l'obbligazione di corrispondere il canone è comunque «inderogabile per espressa previsione di legge, e ciò indipendentemente dalla sussistenza o meno di un servizio corrispettivo». Il rimettente osserva che l'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994 - il quale prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione sia dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi e che «i relativi proventi, determinati ai sensi dell'articolo 3, commi da 42 a 47, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, aumentati della percentuale di cui al punto 2.3 della delibera CIPE 4 aprile 2001, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 165 del 18 luglio 2001, affluiscono a un fondo vincolato a disposizione dei soggetti gestori del Servizio idrico integrato la cui utilizzazione è vincolata alla attuazione del piano d'ambito» - víola: a) l'art. 2 della Costituzione, perché «importa l'aggressione del diritto inviolabile alla qualificazione dell'individuo come soggetto di diritto», per il quale è esclusa «ogni forma di potere arbitrario e persecutorio, compreso quello che impone una prestazione patrimoniale in assenza della relativa controprestazione», e perché, «non prevedendo [...] un limite temporale oltre il quale non sia possibile procedere alla riscossione del canone di depurazione in assenza del servizio, rimette al mero arbitrio degli amministratori locali, deputati all'applicazione della norma, la cessazione del pagamento del canone in assenza del depuratore» e differisce, cosí, «sine die la realizzazione della qualità di soggetto di diritto»; b) l'art. 3 della Costituzione, perché, imponendo irragionevolmente agli utenti di versare la quota di tariffa del servizio di fognatura e depurazione anche in mancanza del servizio stesso, determina una discriminazione dei cittadini che versano la tariffa senza usufruire del servizio di depurazione, rispetto a coloro che versano la tariffa e si giovano, invece, del servizio; c) l'art. 32 Cost., perché incoraggia «il lassismo degli enti locali a spese della salute dei cittadini e delle future generazioni danneggiate dall'inquinamento che ne scaturisce»; d) l'art. 41 Cost., perché il privato cui è affidata la «gestione delle risorse idriche», «imponendo il pagamento di una tariffa pur in assenza del servizio di depurazione, espleta una attività economica in contrasto con la dignità umana e l'utilità sociale» e perché «i valori intangibili della dignità umana e dell'utilità sociale [...] risultano ancor di piú compromessi dalla mancata previsione normativa di un limite temporale alla cessazione del pagamento della tariffa senza il corrispondente servizio, oltre che dalla rimessione del predetto limite temporale esclusivamente alla mera discrezionalità degli amministratori locali deputati all'applicazione della norma»; e) l'art. 97 Cost., perché consente alla pubblica amministrazione «d'imporre ai cittadini una sorta di "tassa sine titulo" la cui finalizzazione ad una futura esecuzione degli impianti appare generica ed astratta». In punto di rilevanza delle questioni, il giudice a quo premette di essere giurisdizionalmente competente, rilevando che la causa di fronte a lui instaurata «ha ad oggetto la non debenza e la conseguente restituzione del canone di depurazione pagato per l'anno 2003» e che, «per giurisprudenza costante, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario e non piú quella delle commissioni tributarie [...], ogni qualvolta la lite giudiziaria sia relativa alla non debenza o alla restituzione del canone di depurazione per un periodo successivo al 3 ottobre 2000». 131 Osserva il rimettente che «la definizione del giudizio di costituzionalità dell'art. 14, legge n. 36/1994, come modificato dall'art. 28, [della legge] 31 luglio 2002, n. 179, è assolutamente rilevante per la risoluzione della controversia, in quanto la predetta norma rappresenta sia la disposizione che dovrà essere applicata in giudizio, sia il riferimento normativo indispensabile per il merito della controversia», perché «dal 28 agosto 2002 fino al 28 aprile 2006, il canone di depurazione è stato [...] regolamentato dall'art. 14, comma 1, legge n. 36/1994, come modificato dall'art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179». 2. - Si è costituita la s.p.a. G., eccependo preliminarmente la manifesta inammissibilità delle proposte questioni, perché: a) «è assolutamente generica la valutazione effettuata dal Giudice sulla rilevanza della questione», in quanto egli «si limita [...] all'affermazione, tautologica, secondo cui la norma oggetto di sindacato è quella che "dovrà essere applicata in giudizio"»; b) «l'ordinanza è [...] contraddittoria e omissiva nella ricostruzione della fattispecie normativa, in riferimento alla situazione concreta», in quanto non tiene conto del fatto che, in caso di mancanza di impianti di depurazione, i canoni vengono utilizzati per l'attuazione del piano d'ambito; c) è «contraddittoria l'impostazione adottata laddove, da una parte, il Giudice ricostruisce la tariffa in termini di corrispettivo di una prestazione e, dall'altra, ricostruisce i vizi in termini di illegittimo esercizio del potere autoritativo». Nel merito, la s.p.a. G. chiede che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate. In riferimento all'evocato art. 2 Cost., rileva la genericità dei rilievi svolti dal rimettente e osserva che l'obbligo del pagamento del canone di depurazione delle acque reflue si inquadra tra i doveri del cittadino verso la comunità, fissati dallo stesso art. 2 Cost., senza che in contrario rilevi la circostanza che il Comune non abbia preventivamente fissato un termine per lo svolgimento dei lavori di realizzazione dell'impianto di depurazione. Infatti - sempre ad avviso della s.p.a. G. - tale ultima circostanza non attiene alla «legittimità di una previsione legislativa astratta e generale», ma alla «efficacia amministrativa di un ente locale cui, al piú, può contestarsi proprio la mancata attuazione del disposto legislativo». Il termine entro il quale «debbano essere utilizzate le somme accantonate non rileva ai fini della imposizione e della conseguente valutazione circa la sua legittimità», perché «non può [...] che essere rimesso, in concreto, all'attività amministrativa in funzione del suo svolgersi, condizionato, come è, da elementi che, in quanto tali, non possono valutarsi in astratto e che si differenziano in relazione alle singole realtà fattuali, su cui finiscono per incidere». L'agire amministrativo - sostiene la s.p.a. G. - «non può essere condizionato da tempistiche aprioristicamente ed astrattamente definite», ferma restando, comunque, «la possibilità, per i cittadini anche attraverso le forme associative in cui spesso gli interessi diffusi si organizzano, di sollecitare gli interventi». Tale sollecitazione potrebbe «avvenire anche attraverso strumenti formali, con la fissazione di termini normativamente previsti, quali quelli contenuti nella legge n. 241/90 sull'agire amministrativo». In ogni caso, la controprestazione sarebbe legittimamente strutturata dal legislatore in maniera complessa quale attuazione del piano d'ambito, «fase prodromica al completamento del servizio relativo al ciclo integrato delle acque». In riferimento all'evocato art. 3 Cost., la s.p.a. G. rileva preliminarmente la genericità della censura per la mancanza di un tertium comparationis e di una «adeguata descrizione della fattispecie concreta da cui emerga una ontologica differenza della ipotesi che giustifichi, ai fini del giudizio di "ragionevolezza", una differente disciplina». Osserva, inoltre, che - contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente - la norma censurata, essendo diretta a rendere concreto, attraverso la raccolta dei fondi con vincolo di destinazione, il diritto dei cittadini a godere di un servizio di depurazione delle acque reflue, realizza effettive condizioni di parità ed uguaglianza dei cittadini, perché elimina la discriminazione che si verifica per la mancanza degli impianti in parte del territorio. In riferimento all'art. 32 Cost., la s.p.a. G. sostiene che la censura è generica, in quanto non è chiaro quale sia il collegamento tra l'affermazione del giudice a quo per cui la disposizione censurata «incoraggia il lassismo degli Enti Locali a spese della salute dei cittadini e delle future generazioni danneggiate dall'inquinamento che ne scaturisce» e il diritto alla salute. La disposizione in questione, anzi, «è diretta attuazione delle norme costituzionali, in quanto costituisce strumento giuridico necessario a realizzare una situazione ambientale piú idonea a garantire il diritto alla salute dei residenti di un determinato territorio». In riferimento all'art. 41 Cost., la s.p.a. G. richiama le considerazione già svolte in relazione agli altri parametri evocati, osservando che «il giudice a quo, lungi dal proporre ulteriori eccezioni di legittimità costituzionale, ripropone le medesime argomentazioni già affrontate in precedenza». In riferimento, infine, al parametro dell'art. 97 Cost., la medesima società per azioni rileva che esso attiene all'imparzialità e al buon andamento della pubblica amministrazione e, pertanto, non ha alcun nesso con «la scelta legislativa di destinare fondi alla realizzazione del Piano d'Ambito, finanziando gli stessi con un 132 parziale contributo dei cittadini». In ogni caso, «proprio lo strumento del vincolo posto ai proventi per la realizzazione dell'impianto, e, dunque, la illegittimità di ogni eventuale differente utilizzazione, dimostra la coerenza della previsione con i generali principi di buon andamento». 3. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o comunque per l'infondatezza delle questioni. L'Avvocatura generale sostiene, in particolare che: a) «la carente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale impedisce di comprendere quale sia l'inadempienza accertata ai danni della società G. s.p.a. gestore del servizio idrico integrato per giustificare l'eventuale ripetizione delle somme corrisposte a titolo di canone di depurazione»; b) il canone di depurazione delle acque reflue ha natura di prestazione patrimoniale imposta; c) non sussiste la violazione dell'art. 2 Cost. lamentata dal rimettente, in quanto «la norma in questione lungi dal mortificare la persona umana come soggetto di diritti, viceversa ne esalta la soggettività giuridica favorendo la prestazione di un servizio pubblico irrinunciabile, quale è la depurazione delle acque reflue»; d) «l'eventuale inerzia nella realizzazione dell'impianto di depurazione da parte degli enti pubblici competenti costituisce una circostanza di mero fatto che non può determinare l'incostituzionalità della norma, ma può eventualmente rilevare nel senso dell'attribuzione della relativa responsabilità agli enti medesimi con le normali conseguenze di legge»; e) «il tributo di cui si controverte presenta [...] elementi di forte analogia con la tassa per lo smaltimento dei rifiuti, il cui versamento è dovuto anche laddove l'impianto di smaltimento non sia stato ancora realizzato ed i rifiuti vengano in ipotesi trasportati in impianti situati fuori regione; f) non sussiste la violazione dell'art. 3 Cost., perché l'eventuale disparità di trattamento fra chi usufruisce e chi non usufruisce del servizio di depurazione non discende dalla norma, ma, al piú, dalle modalità della sua applicazione; g) non sussiste la violazione dell'art. 32 Cost., in quanto il prelievo censurato è destinato a finanziare opere ed impianti di depurazione e ha la funzione di supplire ad eventuali carenze di fondi dei Comuni; h) non sussiste la violazione dell'art. 41 Cost., con riferimento all'asserita violazione della dignità umana, perché «la norma è preordinata proprio a garantire la copertura finanziaria per lo svolgimento di un'attività di utilità sociale quale la depurazione delle acque reflue»; i) non sussiste la violazione dell'art. 97 Cost., in quanto la norma realizza l'imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione, «mediante la predisposizione di una copertura finanziaria per l'erogazione di un servizio pubblico irrinunciabile». 4. - Con successiva memoria depositata in prossimità dell'udienza, la s.p.a. G. ha sostanzialmente ribadito, nel merito, quanto già sostenuto nell'atto di costituzione, eccependo la manifesta inammissibilità delle sollevate questioni, sui rilievi che: a) le questioni sono premature, essendo la loro rilevanza «solo futura ed ipotetica ed anzi neanche prevista, giacché [...] il giudice rimettente non era ancora nelle condizioni di prospettare alcun esito del giudizio, essendo assenti valutazioni essenziali ai fini della controversia come introdotta dal ricorrente»; b) «assolutamente vago è il riferimento a formule stereotipate per sostenere la violazione dell'art. 2 della Costituzione e della "dignità di soggetto di diritto"»; c) è incoerente la scelta di denunciare, in riferimento al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., una norma che, attraverso il vincolo di destinazione delle somme derivanti dalla riscossione della quota di tariffa riferita alla depurazione all'attuazione del piano d'ambito, è diretta ad eliminare la disuguaglianza fra chi beneficia della depurazione e chi no; d) è incoerente la censura relativa alla violazione dell'art. 32 Cost., perché basata sulla considerazione non giuridica che la formulazione della norma impugnata «incoraggia il lassismo degli Enti locali a spese della salute dei cittadini e delle future generazioni danneggiate dall'inquinamento che ne scaturisce»; e) i riferimenti del rimettente ai parametri degli artt. 41 e 97 Cost. sono indeterminati e contraddittori. La s.p.a. G. afferma, inoltre, che le sollevate questioni non sono fondate e sostiene, in particolare, in relazione all'evocato art. 2 Cost., che: a) «la circostanza che una delle prestazioni sia differita nel tempo, in considerazione della complessità dell'intervento non solo tecnico, ma anche organizzativo e gestionale, non ne muta la natura corrispettiva, che è garantita dalla circostanza che tutte le somme sino ad ora riscosse sono e saranno vincolate alla specifica finalità individuata dalla legge»; b) la norma censurata risponde a finalità solidaristiche, prevedendo, nell'interesse della collettività degli utenti, il pagamento della quota di tariffa anche da parte di chi non usufruisca del servizio di depurazione. 5. - Nel corso di un diverso giudizio civile, il Giudice di pace di Gragnano - con ordinanza del 31 maggio 2007 (r.o. n. 38 del 2008) - ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 32 e 97 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, nel testo originario [in vigore dal 3 ottobre 2000 al 27 agosto 2002], nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione sia dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. 133 Il rimettente riferisce che: a) l'oggetto del giudizio principale è la domanda proposta da Vincenzo Sabbatino nei confronti del Comune di Gragnano, affinché sia accertata e dichiarata non dovuta la quota di tariffa riferita alla depurazione di acque reflue da lui pagata per l'anno 2001, con conseguente restituzione della stessa; b) secondo l'attore, il Comune convenuto gli aveva richiesto il pagamento del canone di depurazione pur non avendo assicurato agli utenti la fruizione del servizio di depurazione delle acque reflue, per mancanza degli appositi impianti; c) sempre secondo l'attore, «in assenza di tale fruizione, nella chiara configurazione sia di un inadempimento contrattuale che dei presupposti per la risoluzione per inadempimento limitatamente a singole coppie di prestazioni, il somministrato aveva diritto alla restituzione della somma pagata al convenuto per il servizio di depurazione»; d) il convenuto solleva, in via preliminare, eccezione di difetto di legittimazione passiva, asserendo che «i suoi compiti erano limitati solo alla riscossione del canone in questione per conto della Regione Campania, alla quale venivano versati i corrispettivi incassati» e, nel merito, chiede il rigetto della domanda attorea, in quanto infondata, perché, in base all'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, il canone di depurazione è, comunque, dovuto anche in mancanza dei relativi impianti. Il rimettente osserva che l'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, prevedendo che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione sia dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi e che «i relativi proventi affluiscono in un fondo vincolato e sono destinati esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione», víola: a) l'art. 2 Cost., perché «importa l'aggressione del diritto inviolabile alla qualificazione dell'individuo come soggetto di diritto», per il quale è esclusa «ogni forma di potere arbitrario e persecutorio, compreso quello che impone una prestazione patrimoniale in assenza della relativa controprestazione», e perché, «non prevedendo [...] un limite temporale oltre il quale non sia possibile procedere alla riscossione del canone di depurazione in assenza del servizio, rimette al mero arbitrio degli amministratori locali, deputati all'applicazione della norma, la cessazione del pagamento del canone in assenza del depuratore» e differisce, cosí, «sine die la realizzazione della qualità di soggetto di diritto»; b) l'art. 3 Cost., perché determina una discriminazione dei cittadini che versano il tributo senza usufruire del servizio di depurazione, rispetto a coloro che versano la tariffa e si giovano invece del servizio; c) l'art. 32 Cost., perché incoraggia «il lassismo degli enti locali a spese della salute dei cittadini e delle future generazioni danneggiate dall'inquinamento che ne scaturisce»; d) l'art. 97 Cost., perché consente alla pubblica amministrazione «d'imporre ai cittadini una sorta di "tassa sine titulo" la cui finalizzazione ad una futura esecuzione degli impianti appare generica ed astratta». In punto di rilevanza delle questioni, il giudice a quo premette di essere giurisdizionalmente competente, rilevando che la causa di fronte a lui proposta ha ad oggetto la non debenza e la conseguente restituzione del canone di depurazione pagato per l'anno 2001, periodo in relazione al quale la Corte di cassazione ha affermato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario e non piú quella delle commissioni tributarie. Premette, altresí, che sussiste la legittimazione passiva del Comune convenuto, «visto che esso all'epoca dei fatti di causa (anno 2001) era il diretto gestore del servizio idrico integrato» ed «ha proceduto alla riscossione del canone di depurazione dall'attore mediante emissione della fattura di pagamento, proprio in qualità di titolare della pretesa creditoria». Osserva il rimettente che «la definizione del giudizio di costituzionalità dell'art. 14, legge n. 36/1994, come modificato dall'art. 28, [della legge] 31 luglio 2002, n. 179, è assolutamente rilevante per la risoluzione della controversia, in quanto la predetta norma rappresenta sia la disposizione che dovrà essere applicata in giudizio, sia il riferimento normativo indispensabile per il merito della controversia», perché dal «3 ottobre del 2000 sino al 27 agosto del 2002, la disciplina del canone di depurazione è stata regolamentata dall'art. 14, comma 1, legge n. 36/1994, nella sua formulazione originaria ». 6. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nel giudizio r.o. n. 830 del 2007 e concludendo per l'inammissibilità o comunque per l'infondatezza delle questioni. 7. - I giudizi, la cui trattazione era inizialmente fissata per l'udienza del 6 maggio e la camera di consiglio del 7 maggio 2008, sono stati trattati all'udienza del 23 settembre e alla camera di consiglio del 24 settembre 2008. 8. - Nel corso di un altro giudizio civile, il Giudice di pace di Gragnano - con ordinanza del 18 settembre 2007 (r.o. n. 184 del 2008) - ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 32, 41 e 97 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, nel testo modificato dall'art. 28 della legge n. 179 del 2002 [in vigore dal 28 agosto 2002 al 28 aprile 2006], nella parte in cui prevede che la quota di 134 tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il rimettente riferisce che: a) l'oggetto del giudizio principale è la domanda proposta da C. A. nei confronti della s.p.a. G., società di gestione del servizio idrico integrato nel Comune di Gragnano, affinché sia accertata e dichiarata non dovuta la quota di tariffa riferita alla depurazione di acque reflue da lei pagata per l'anno 2003, con conseguente restituzione della stessa; b) l'attrice afferma che la società convenuta le aveva richiesto il pagamento del canone di depurazione «pur non avendo effettuato né potendo effettuare il servizio di depurazione delle acque reflue, per essere notoriamente carente degli appositi impianti»; c) la convenuta chiede il rigetto della domanda attorea, in quanto infondata, perché, in base all'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, pur essendosi verificata «la trasformazione della natura del canone di depurazione da tributaria in tariffaria», l'obbligazione di corrispondere il canone è comunque «inderogabile per espressa previsione di legge, e ciò indipendentemente dalla sussistenza o meno di un servizio corrispettivo». Quanto alle questioni di legittimità costituzionale prospettate e alla motivazione sulla rilevanza e non manifesta infondatezza delle stesse, il giudice a quo svolge considerazioni identiche a quelle esposte nell'ordinanza r.o. n. 830 del 2007, sopra riportate. 9. - Si è costituita la s.p.a. G., concludendo per la manifesta inammissibilità o, in subordine, per la manifesta infondatezza delle proposte questioni e svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nella memoria di costituzione nel giudizio r.o. n. 830 del 2007. 10. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o comunque per l'infondatezza delle questioni e svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nel giudizio r.o. n. 830 del 2007. 11. - Con memoria depositata in prossimità dell'udienza, la s.p.a. G. ha ribadito quanto già sostenuto nell'atto di costituzione, svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nella memoria depositata in prossimità dell'udienza nel giudizio r.o. n. 830 del 2007. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. - Con le ordinanze r.o. n. 830 del 2007 e n. 184 del 2008, di contenuto sostanzialmente identico, il Giudice di pace di Gragnano dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, 32, 41 e 97 della Costituzione, della legittimità dell'art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), nel testo modificato dall'art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale) [in vigore dal 28 agosto 2002 al 28 aprile 2006], nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione - quota che affluisce «a un fondo vincolato a disposizione dei soggetti gestori del Servizio idrico integrato la cui utilizzazione è vincolata alla attuazione del piano d'ambito» - è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. In particolare, per il rimettente, la norma censurata víola: a) l'art. 2 Cost., perché incide sul «diritto inviolabile alla qualificazione dell'individuo come soggetto di diritto»; b) l'art. 3 Cost., perché irragionevolmente impone agli utenti di versare la quota di tariffa del servizio di fognatura e depurazione anche in mancanza del servizio di depurazione; c) l'art. 32 Cost., perché consente che la salute dei cittadini e delle future generazioni sia danneggiata dall'inquinamento che deriva dal «lassismo degli enti locali»; d) l'art. 41 Cost., perché il gestore delle risorse idriche, imponendo senza limiti temporali il pagamento di una tariffa pur in assenza del servizio di depurazione, «espleta una attività economica in contrasto con la dignità umana e l'utilità sociale»; e) l'art. 97 Cost., perché consente alla pubblica amministrazione «d'imporre ai cittadini una sorta di "tassa sine titulo" la cui finalizzazione ad una futura esecuzione degli impianti appare generica ed astratta». 2. - Con l'ordinanza r.o. n. 38 del 2008, lo stesso giudice rimettente dubita - sollevando in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 97 Cost. questioni analoghe a quelle sollevate con le ordinanze r.o. n. 830 del 2007 e n. 184 del 2008 - della legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, nel testo originario [in vigore dal 3 ottobre 2000 al 27 agosto 2002], nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione - quota che affluisce a un fondo vincolato ed è destinata «esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione» - è 135 dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. 3 - I tre giudizi sopra menzionati vanno riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi, in considerazione dell'evidente analogia delle questioni prospettate. 4 - Come appena ricordato, nei giudizi r.o. n. 830 del 2007 e n. 184 del 2008, il rimettente denuncia, in riferimento all'art. 3 Cost., l'irragionevolezza della norma censurata, perché essa ingiustificatamente impone agli utenti di versare la quota di tariffa del servizio di fognatura e depurazione anche nel caso in cui gli impianti centralizzati di depurazione manchino o siano temporaneamente inattivi, cosí discriminando tali utenti rispetto a quelli che versano la tariffa e si giovano, invece, della controprestazione costituita dal servizio. 4.1. - In detti due giudizi, la costituita s.p.a. G., cioè la società di gestione del servizio idrico integrato nel Comune di Gragnano, eccepisce l'inammissibilità della suddetta questione, per difetto di rilevanza o di motivazione sulla rilevanza, e comunque per la mancata prospettazione di un tertium comparationis. La difesa erariale, a sua volta, eccepisce l'inammissibilità della medesima questione, affermando che «la carente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale impedisce di comprendere quale sia l'inadempienza accertata ai danni della società G. s.p.a. gestore del servizio idrico integrato per giustificare l'eventuale ripetizione delle somme corrisposte a titolo di canone di depurazione». Le eccezioni non sono fondate. Entrambe le ordinanze di rimessione, infatti: a) descrivono sufficientemente le fattispecie oggetto dei giudizi a quibus, specificando che esse riguardano richieste di rimborso della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione per l'anno 2003; b) muovono dal presupposto che gli utenti hanno pagato la suddetta quota in mancanza del servizio di depurazione delle acque reflue (come del resto riconosciuto dalla stessa s.p.a. G.); c) chiariscono che la norma applicabile ratione temporis alla fattispecie è la norma denunciata; d) denunciano la violazione dell'art. 3 Cost. sia per l'irragionevolezza intrinseca della norma sia per la disparità di trattamento che questa crea, nell'ambito di coloro che sono tenuti al pagamento della tariffa del servizio idrico integrato, tra chi fruisce e chi non può fruire del servizio di depurazione delle acque. 4.2. - La s.p.a. G. eccepisce, altresí, l'inammissibilità della medesima questione, affermandone l'incoerenza, perché essa ha ad oggetto una norma che, attraverso il vincolo di destinazione all'attuazione del piano d'ambito delle somme derivanti dalla riscossione della quota di tariffa riferita alla depurazione, è diretta proprio ad eliminare la disuguaglianza fra chi beneficia della depurazione e chi no. Tuttavia tale eccezione, allegando la ragionevolezza della norma, si risolve in un rilievo sull'infondatezza della questione e, pertanto, non può essere esaminata in via preliminare, separatamente dal merito della questione medesima. 5. - Passando all'esame del merito della dedotta violazione dell'art. 3 Cost., deve innanzi tutto rilevarsi che le censure proposte riguardano solo la quota dell'unitaria tariffa del servizio idrico integrato riferita al servizio di depurazione, quota costituente oggetto esclusivo delle richieste di rimborso degli utenti nei giudizi principali. Ancorché la norma denunciata non distingua espressamente tale quota da quella riferita al servizio di pubblica fognatura, tuttavia l'autonoma rilevanza di essa si desume dall'espresso riferimento che l'art. 3, comma 42, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), fa alla quota medesima, determinandone in modo distinto la misura da applicarsi transitoriamente fino alla «entrata in vigore della tariffa del servizio idrico integrato, prevista dall'articolo 13 della legge 5 gennaio 1994, n. 36». Tale distinzione è presente anche nella normativa di attuazione della legge n. 36 del 1994, costituita: a) dal d.m. 1^ agosto 1996 (Metodo normalizzato per la definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato); b) dalla delibera CIPE 19 dicembre 2002, n. 131/02 (Direttive per la determinazione, in via transitoria, delle tariffe dei servizi acquedottistici, di fognatura e di depurazione per l'anno 2002). In particolare, ai fini della determinazione, con il metodo normalizzato, della «componente modellata dei costi operativi» della tariffa di riferimento, il primo dei due suddetti provvedimenti individua, al punto 3.1, «formule di costo» diverse per i tre distinti elementi nei quali si articola il servizio idrico integrato, e cioè il «servizio acque potabili», «il servizio fognature» e il «servizio trattamento reflui» (attinente, appunto, alla depurazione). Il secondo provvedimento, ai fini della determinazione degli investimenti specifici per i singoli servizi, individua interventi distinti per il servizio di fognatura e per quello di depurazione (allegato 1, punti 2.2 e 2.3) e disciplina, all'allegato 2 - 136 significativamente intitolato «Adeguamento parametri per la tariffa di depurazione 2002» - la sola quota di tariffa riferita al servizio di depurazione. Sulla base di tale ricostruzione del quadro normativo, lo scrutinio di questa Corte va, pertanto, circoscritto alla quota dell'unitaria tariffa del servizio idrico integrato riferita al servizio di depurazione. 6. - Il giudice a quo denuncia l'irragionevolezza della disposizione censurata, nella parte in cui essa prevede che la suddetta quota di tariffa, pur avendo natura di corrispettivo, sia dovuta dagli utenti anche quando manchi la controprestazione cui essa è collegata, e cioè «anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi». La censura è fondata. 6.1. - Il rimettente muove dal presupposto interpretativo che nel sistema delineato dalla legge n. 36 del 1994 la tariffa del servizio idrico integrato, articolato in tutte le sue componenti - e, quindi, anche quella relativa al servizio di depurazione - ha natura di corrispettivo di prestazioni contrattuali e non di tributo. Questa Corte ritiene che tale presupposto sia corretto e trovi fondamento nelle seguenti considerazioni. Innanzi tutto, dall'analisi dei lavori preparatori relativi alla norma censurata si desume che il legislatore ha inteso costruire la tariffa in modo tale da coprire i costi del servizio idrico integrato. In tali lavori si afferma che «l'utilità particolare che ogni utente [...] ottiene dal servizio dovrà essere pagata per il suo valore economico» e che «la tariffa deve [...] essere espressiva del costo industriale del servizio idrico rappresentato [...] dall'integrazione dei servizi di captazione, adduzione, distribuzione, collettamento e depurazione» (atti Camera dei deputati, XI legislatura, 6 ottobre 1993, pagina 18599; nello stesso senso, anche atti Camera dei deputati, XI legislatura, VIII Commissione permanente, 15 giugno 1993, pagine 57-58). In coerenza con tale impostazione, l'art. 13, comma 1, della citata legge n. 36 del 1994 stabilisce espressamente che tutte le componenti della tariffa rappresentano «il corrispettivo del servizio idrico integrato», costituito, in base a quanto previsto dall'art. 4, comma 1, lettera f), della stessa legge, «dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue». La natura di corrispettivo della tariffa è, poi, confermata dal successivo comma 2 dell'art. 13, il quale stabilisce che essa deve assicurare «la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio». In particolare, essa deve essere determinata in base a criteri sostanzialmente analoghi a quelli stabiliti in via generale per la determinazione delle tariffe dei servizi pubblici locali dall'art. 117 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), e cioè «tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia». Tale impostazione legislativa è analoga a quella adottata dal legislatore in altri settori concernenti la determinazione della remunerazione di prestazioni di pubblici servizi e, in particolare, a quella di cui agli artt. 11-nonies e seguenti del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, per la determinazione dei diritti aeroportuali mediante il metodo del cosiddetto price cap. Tali diritti sono stati qualificati come non tributari, con norma di carattere interpretativo, dall'art. 39-bis del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, aggiunto dalla legge di conversione 29 novembre, n. 222, e la loro natura di «corrispettivi dovuti in base a contratti» è stata affermata da questa da questa Corte con la sentenza n. 51 del 2008. La natura non tributaria della quota di tariffa disciplinata dalla norma censurata è stata, inoltre, costantemente riconosciuta dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, che, con riguardo proprio alle controversie relative alla quota riferita al servizio di depurazione, hanno ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario, sul presupposto che, con il passaggio dalla disciplina previgente a quella della legge n. 36 del 1994, i "canoni" di depurazione delle acque reflue si sono trasformati da tributo a «corrispettivo di diritto privato» (ex plurimis, Cassazione, sezioni unite civili, sentenze n. 6418 del 2005, n. 16426 e n. 10960 del 2004; tutte precedenti all'entrata in vigore dell'art. 3-bis, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248, il quale ha espressamente attribuito alla giurisdizione tributaria le controversie relative alla debenza del «canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue», indipendentemente dalla loro qualificazione come tributo o corrispettivo). 137 L'uso legislativo del termine «corrispettivo» e la rilevata struttura sinallagmatica del rapporto con l'utente si armonizzano, altresì, con il disposto dell'alinea e della lettera b) del quinto comma dell'art. 4 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), come modificato dall'art. 31, comma 30, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), i quali considerano le quote di tariffa riferite ai servizi di fognatura e depurazione come veri e propri corrispettivi dovuti per lo svolgimento di attività commerciali, «ancorché esercitate da enti pubblici», come tali assoggettate a IVA. Infatti, la qualificazione, anche ai fini di quest'ultima imposta, di dette quote di tariffa come corrispettivi evidenzia ulteriormente la scelta del legislatore di non ricondurre le quote stesse al novero di quei «diritti, canoni, contributi» che la normativa comunitaria (da ultimo, art. 13, paragrafo 1, primo periodo, della Direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006) esclude in linea generale dall'assoggettamento a IVA, perché percepiti da enti pubblici «per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità». Sempre in questa prospettiva va, infine, interpretata l'inapplicabilità alla tariffa del servizio idrico integrato disposta dalla stessa legge n. 36 del 1994 contenente la disposizione censurata (in combinato disposto con l'art. 17, ottavo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319, recante «Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento») - di quelle modalità di riscossione mediante ruolo, che sono tipiche (anche se non esclusive) dei prelievi tributari. L'art. 15 della citata legge n. 36 del 1994 si limita, infatti, a disporre che «la tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio idrico integrato», eliminando ogni riferimento a quei meccanismi coattivi di riscossione dei tributi che erano, invece, espressamente richiamati dal previgente art. 17, ottavo comma, primo periodo, della legge n. 319 del 1976 - il quale ne prevedeva l'applicabilità solo «fino all'entrata in vigore della tariffa fissata dagli articoli 13, 14, 15 della legge 5 gennaio 1994, n. 36» - e disciplinati dagli artt. 273 e seguenti del regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175 e dagli artt. 68 e 69 del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43. L'interpretazione della legge n. 36 del 1994, condotta alla stregua dei comuni criteri ermeneutici, porta dunque a ritenere che la tariffa del servizio idrico integrato si configura, in tutte le sue componenti, come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, il quale, ancorché determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell'utente, bensì nel contratto di utenza. L'inestricabile connessione delle suddette componenti è evidenziata, in particolare, dal fatto sopra rilevato che, a fronte del pagamento della tariffa, l'utente riceve un complesso di prestazioni, consistenti sia nella somministrazione della risorsa idrica, sia nella fornitura dei servizi di fognatura e depurazione. Ne consegue che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, in quanto componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare è inserito automaticamente nel contratto (art. 13 della legge n. 36 del 1994). 6.2. - Dall'accertata volontà del legislatore di costruire la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione come corrispettivo deriva la fondatezza della censura di irragionevolezza della disposizione denunciata, nella parte in cui prevede che la suddetta quota di tariffa è dovuta dagli utenti anche quando manchi il servizio di depurazione. La norma censurata, imponendo l'obbligo di pagamento in mancanza della controprestazione, prescinde dalla natura di corrispettivo contrattuale della quota e, pertanto, si pone ingiustificatamente in contrasto con la sopra delineata ratio del sistema della legge n. 36 del 1994, che, come si è visto, è invece fondata sull'esistenza di un sinallagma che correla il pagamento della tariffa stessa alla fruizione del servizio per tutte le quote componenti la tariffa del servizio idrico integrato, ivi compresa la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione. Ad evidenziare il rilevato contrasto vale anche la considerazione che la disciplina della quota di tariffa in questione, da un lato, qualifica detta quota come corrispettivo di una prestazione commerciale, come tale assoggettato ad IVA, e, dall'altro, contraddittoriamente, non consente la tutela civilistica dell'utente. Infatti, mentre l'alinea e la lettera b) del quinto comma dell'art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 sottopongono ad IVA come sopra ricordato - la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, perché considerano detta quota in ogni caso come corrispettivo, invece, la disposizione censurata, prescindendo dal sinallagma genetico e funzionale fra la prestazione di pagamento e la controprestazione del servizio, impedisce irragionevolmente all'utente di tutelarsi da eventuali inadempimenti della controparte mediante gli ordinari strumenti civilistici previsti per i contratti a prestazioni corrispettive (quali, ad esempio, l'azione di adempimento, l'exceptio inadimpleti contractus, l'azione di risoluzione per inadempimento). 138 6.2.1. - A tale conclusione non può obiettarsi - come fa la difesa della s.p.a. G. - che la corrispettività fra la suddetta quota e il servizio di depurazione sussisterebbe comunque, perché le somme pagate dagli utenti in mancanza del servizio sarebbero destinate, attraverso un apposito fondo vincolato, all'attuazione del piano d'ambito, comprendente anche la realizzazione dei depuratori. Va osservato, in contrario, che: a) l'ammontare della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è determinato indipendentemente dal fatto se il depuratore esista o no, essendo esso in ogni caso commisurato al costo del servizio di depurazione, in applicazione del cosiddetto «metodo normalizzato», e non al costo di realizzazione del depuratore (come risulta dall'allegato del citato d.m. 1^ agosto 1996, punto 3.1, lettera c, e dall'allegato 1, punto 2.3, della citata delibera CIPE 19 dicembre 2002, n. 131/02); b) il provento costituito dalla quota confluente nel fondo vincolato può essere destinato alla realizzazione di depuratori non utilizzabili dal singolo utente obbligato al pagamento, come nel caso in cui i depuratori siano realizzati in Comuni diversi da quello in cui si trova l'utente, oppure nel caso in cui l'utente, dopo il pagamento della tariffa, si sia trasferito in altro Comune; c) nel caso in cui il Comune non gestisca direttamente il servizio idrico, la scelta del tempo e del luogo di realizzazione dei depuratori è affidata, dall'art. 11, comma 3, della legge n. 36 del 1994, a soggetti terzi rispetto al contratto di utenza, e cioè ai Comuni e alle Province, nell'esercizio della loro competenza a predisporre il piano d'ambito; d) l'attuazione di tale piano si inserisce nel rapporto fra gestore e autorità d'ambito e non in quello fra esso e l'utente, perché produce un'utilità riferita all'ambito territoriale ottimale nel suo complesso e non anche quella «utilità particolare che ogni utente [...] ottiene dal servizio», la quale sola - come chiarito dai lavori preparatori richiamati al punto 6.1. - consente di qualificare come corrispettivo la tariffa del servizio idrico integrato; e) il contratto di utenza e il pagamento della quota tariffaria non costituiscono presupposto necessario per l'attuazione dello stesso piano, essendo quest'ultima prevista e disciplinata, anche nei tempi e nelle modalità, non già dal contratto di utenza, ma da moduli procedimentali di diritto amministrativo. Dall'impossibilità di qualificare l'attuazione del piano d'ambito come controprestazione contrattuale del pagamento della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione discende la già evidenziata conseguenza che l'utente può agire contro l'inerzia dell'amministrazione nella realizzazione dei depuratori, non già in forza del rapporto contrattuale di utenza utilizzando gli ordinari strumenti civilistici di tutela, ma solo esercitando il generale potere di denuncia attribuitogli dall'ordinamento uti civis. 6.2.2. - Neppure potrebbe opporsi che la denunciata irragionevolezza non sussiste in considerazione di un'adombrata natura di prelievo tributario della quota tariffaria riferita al servizio di depurazione. L'unitarietà della tariffa impedisce, infatti, di ritenere che le sue singole componenti abbiano natura non omogenea, e, conseguentemente, che anche solo una di esse, a differenza delle altre, non abbia natura di corrispettivo contrattuale. E ciò perché il legislatore, per la remunerazione delle varie componenti del servizio idrico integrato, non ha istituito tariffe distinte, ma ha concepito la tariffa di detto servizio come un tutto unico, nell'ambito del quale la suddivisione in quote risponde solo all'esigenza di una più precisa quantificazione della tariffa stessa, che tenga conto di tutte le prestazioni che il gestore deve erogare. L'armonia di un sistema di finanziamento del servizio idrico integrato, costruito unitariamente dal legislatore sull'esistenza di un nesso sinallagmatico, sulla sufficienza di un contratto di utenza ai fini della nascita dell'obbligo di pagamento e, perciò, su una tariffa unica, sarebbe, in conclusione, lesa dalla previsione, quale mezzo di finanziamento, di un prelievo coattivo, la cui ratio confliggerebbe ingiustificatamente con la logica unitaria sopra detta, in quanto introduce un obbligo di pagamento non correlato alla controprestazione. Solo un autonomo prelievo tributario avulso dalla tariffa e, perciò, del tutto sganciato dal sistema del servizio idrico integrato potrebbe giustificare una tassazione per fini ambientali diretta a far contribuire anche colui che non utilizza il servizio alla spesa pubblica per la depurazione. 7. - Nel giudizio r.o. n. 38 del 2008, il rimettente - formulando la stessa censura di cui alle ordinanze r.o. n. 830 del 2007 e n. 184 del 2008 - denuncia l'intrinseca irragionevolezza dell'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, nel testo originario, il quale prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione - quota i cui «proventi affluiscono in un fondo vincolato e sono destinati esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione» - è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. La disposizione denunciata è uguale a quella risultante dalla modifica introdotta dall'art. 28 della legge n. 179 del 2002 ed oggetto delle ordinanze di rimessione sopra esaminate, con la sola differenza che la prima prevede che i proventi della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione sono destinati esclusivaente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione, la seconda - come visto - ne prevede la destinazione a un fondo vincolato per l'attuazione del piano d'ambito. 139 La censura è fondata, per le stesse ragioni esposte al precedente punto 6, perché la norma denunciata, eliminando ogni diretta relazione tra il pagamento di tale quota e l'effettivo svolgimento del servizio che tale pagamento dovrebbe retribuire, ha irragionevolmente disciplinato il pagamento della quota in modo non coerente con la sua natura di corrispettivo contrattuale. 8. - L'accoglimento delle esaminate questioni comporta la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, sia nel testo originario, sia nel testo modificato dall'art. 28 della legge n. 179 del 2002, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi». 9. - La riconosciuta fondatezza delle suddette questioni riferite alla violazione dell'art. 3 Cost. comporta l'assorbimento delle altre questioni sollevate dal rimettente. 10. - Il censurato art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994 è stato, con decorrenza dal 29 aprile 2006, abrogato dall'art. 175, comma 1, lettera u), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e sostituito dall'art. 155, comma 1, primo periodo, dello stesso decreto legislativo, il quale prevede che «Le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il gestore è tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi dell'articolo 154, a un fondo vincolato intestato all'Autorità d'ambito, che lo mette a disposizione del gestore per l'attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d'ambito». L'analogia tra quest'ultima disposizione e quelle sopra dichiarate incostituzionali rende evidente che le considerazioni dianzi svolte, in ordine alla irragionevolezza di queste ultime, valgono anche per la prima. In conclusione, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 155, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo n. 152 del 2006, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi». P. Q. M. LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, 1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), sia nel testo originario, sia nel testo modificato dall'art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi»; 2) dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 155, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi». Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 ottobre 2008. Giovanni Maria FLICK - Presidente Franco GALLO - Redattore Gabriella MELATTI - Cancelliere Depositata in Cancelleria il 10 ottobre 2008. 140 CORTE DEI CONTI SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA CAMPANIA Del/Parere n. 24 /2008 nell’ adunanza del 6 novembre 2008 composta dai seguenti magistrati: Pres. Sez. Mario Giulio Cesare Sancetta Presidente Cons. Francesco Amabile Componente “ Raffaele Del Grosso ″ “ Silvano Di Salvo ″ “ Corradino Corrado ″ I° Ref. Francesco Uccello ″ I° Ref. Laura Cafasso ″ relatore ha adottato la seguente deliberazione Visto l’art.100, comma 2, della Costituzione; Vista la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; Visto il T.U. delle leggi sull’ordinamento della Corte dei conti approvato con R.D. 12 luglio 1934, n. 1214 e successive modificazioni ed integrazioni; Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti e successive modificazioni ed integrazioni; Visto il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti approvato con deliberazione delle SS.RR. del 16 giugno 2000 e successive modificazioni ed integrazioni; Vista la nota in data 22 aprile 2008, n. 2753, con la quale il Sindaco del Comune di Torella dei Lombardi (Prov. di Avellino) ha inoltrato richiesta di parere a questa Sezione ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131; Vista l’ordinanza presidenziale n. 27 /2008, con la quale l’argomento è stato deferito all’esame collegiale della Sezione; Udito il relatore, Consigliere Francesco Amabile, PREMESSO Con la nota indicata in epigrafe il Sindaco di Torella dei Lombardi (AV) ha posto il seguente quesito: ” Per molti anni si è lungamente discusso sulla obbligatorietà e legittimità 141 della riscossione da parte dei Comuni delle quote di tariffa del servizio di fognatura e depurazione relativamente alle utenze non allacciate alla pubblica fognatura o comunque ubicate in zone prive di impianti di depurazione. L’art. 155 del D.lgs. n° 152/2006 ne ha previsto l’esenzione solo a determinate condizioni, e precisamente: • le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi; • la tariffa non è dovuta se l’utente è dotato di sistemi di collettamento e di depurazione propri, sempre che tali sistemi abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell’Autorità d’ambito. La citata normativa appare abbastanza chiara, purtuttavia risulta che tantissimi Enti e gestori dei servizi in parola non provvedono alla riscossione di tali tributi. Alla luce di quanto sopra, si chiede di conoscere se sussiste da parte dei Comuni l’obbligo della riscossione delle quote di tariffe per il servizio di fognatura e depurazione, anche relativamente alle utenze non allacciate alla fognatura comunale o comunque ubicate in zone prive di impianto di depurazione ” . CONSIDERATO 1. - In via preliminare va, nell’ordine, accertata l’ammissibilità della richiesta di parere in relazione sia al mancato inoltro della stessa tramite il Consiglio delle autonomie locali che alla legittimazione del soggetto proponente e al contenuto oggettivo del quesito. Con riferimento al primo profilo, premesso che l’art. 7, comma 8, della legge n. 131/2003 prevede che gli enti locali possono chiedere pareri in materia di contabilità pubblica alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti “di norma, tramite il Consiglio delle autonomie locali se istituito”, la Sezione non ravvisa motivi per discostarsi dall’orientamento sin qui seguìto, nel senso che, nelle more della istituzione nella Regione Campania di detto Organismo, nulla impedisce agli enti territoriali di avanzare ugualmente e direttamente le richieste di parere per mezzo dell’Organo di rappresentanza esterna, e ciò non soltanto perché la disposizione citata non prevede tale tramite come essenziale ma solo come di norma, e soprattutto per la necessità di non frustrare sul nascere l’attuazione della nuova funzione deferita alla Corte nell’interesse delle collettività locali. Sotto il profilo soggettivo, la richiesta è ammissibile, in quanto proposta dal soggetto istituzionalmente posto al vertice dell’organizzazione del Comune, legittimato ad esprimere la volontà dell’Ente e ad impegnare lo stesso verso l’esterno ai sensi dell’art. 50 del T.U. 18 agosto 2000, n. 267. Come precisato in premessa, la richiesta di parere ha per oggetto l’interpretazione di norme relative all’applicazione delle quote di tariffa per i servizi di fognatura e di depurazione delle acque reflue e cioè all’acquisizione di entrate dell’ente locale, la quale attiene alla 142 tradizionale e primaria “materia della contabilità pubblica”; essa rientra dunque nella funzione consultiva tipica intestata alla Corte. Questa però, in coerenza con l’orientamento espresso in sede di coordinamento dalla Sezione delle Autonomie con delibera n. 5/AUT/2006 del 17 febbraio 2006, proprio in quanto attribuita ad un Organo collocato in posizione di indipendenza rispetto alla articolazione dello Stato–comunità, va limitata all’astratta interpretazione delle norme regolatrici della fattispecie, onde evitare interferenze con le funzioni che altri Organi od altri Uffici della Corte potrebbero essere chiamati a svolgere con riferimento al caso concreto. 2. - Venendo dunque al merito della questione prospettata, appare utile premettere che per la raccolta, l’allontanamento, la depurazione e lo scarico delle acque di rifiuto, la legge 10 maggio 1976, n. 319 (legge Merli), recante norme per la tutela delle acque dall’inquinamento, stabilì, in favore degli enti gestori dei relativi servizi, il pagamento di un canone o diritto da parte degli utenti (art.16), determinato sulla base di apposita tariffa formata dalla somma di due parti, corrispondenti rispettivamente al servizio di fognatura e a quello di depurazione. La parte relativa al servizio di depurazione era dovuta dagli utenti del servizio di fognatura se nel comune era in funzione l’impianto di depurazione centralizzato, anche se lo stesso era insufficiente a provvedere alla depurazione di tutte le acque provenienti dagli insediamenti civili. La legge 5 gennaio 1994, n. 36 (legge Galli) introdusse una nuova, complessiva disciplina dei servizi di acquedotto, fognatura e depurazione delle acque, il cui fulcro è costituito dalla riconduzione ad unità ed organicità degli assetti organizzativi e gestionali dei servizi medesimi, mediante la creazione degli Ambiti territoriali ottimali (ATO), in ciascuno dei quali deve essere istituito un servizio idrico integrato. Secondo il nuovo assetto normativo, alla unitarietà della gestione corrisponde l’unitarietà della tariffa, intesa come corrispettivo globale del servizio ed orientata alla copertura integrale dei costi di investimento ed esercizio, da definire a cura degli enti locali e dei soggetti gestori (art.13, commi 2-4). La legge Galli recava inoltre due disposizioni particolarmente importanti relative alla natura giuridica della tariffa del servizio idrico integrato (art. 13, I° comma) e all’applicazione delle quote di tariffa per la fognatura e la depurazione di acque reflue, le quali, come si vedrà, erano peraltro in evidente contrasto fra loro. L’art. 13, I° comma, stabilisce che ”la tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico (integrato) come definito dall’art. 4, comma 1, lettera f ” della legge (e cioè “l’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione, e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue”). Applicata e riscossa dal gestore del servizio idrico integrato (S.I.I.), essa è determinata sulla base della “tariffa di riferimento”, elaborata con applicazione del metodo normalizzato di cui al D.M.1 agosto 1996. L’applicazione della norma non fu immediata, a causa di difficoltà connesse all’attuazione degli A.T.O, per cui la sua efficacia venne prima rinviata all’effettiva attuazione 143 del servizio idrico integrato dall’art. 62, commi 5 e 6, del D.lgs n. 152/1999 e poi anticipata al 3 ottobre 2000 dall’art. 24 del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 258. Nonostante che l’art. 13, I° comma, della legge n. 36/ 1994 avesse inteso trasformare le relative entrate da tributi comunali a corrispettivi di diritto privato, l’art. 14 della medesima legge configurava, nella sostanza, i canoni di fognatura e depurazione delle acque reflue come entrata di natura tributaria, in quanto faceva obbligo al contribuente di pagare le quote di tariffa indipendentemente dalla possibilità di utilizzare il servizio e prescindendo da qualsiasi correlazione col servizio reso. Infatti, l’art. 14 citato disponeva, al primo comma, che: "la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. I relativi proventi vanno accantonati in apposito fondo vincolato alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione". 3.- L’evidente contrasto fra le due disposizioni non poteva non riflettersi in una insanabile divergenza di giudicati, per cui, rispetto ad analoghe controversie riguardanti la debenza o meno delle quote di tariffa per il servizio di depurazione da parte di utenti non allacciati alla pubblica fognatura oppure risiedenti in zone prive di impianto di depurazione alcuni giudici affermarono l’obbligo di pagamento della tariffa (cfr., in particolare, Cassazione civile, Sezione tributaria, sent. 4 gennaio 2005, n. 96) mentre altri giudici dichiararono l’inesistenza dell’obbligazione, per carenza dei presupposto della prestazione (cfr. ex plurimis, Cass. civ. sent. n. 18699 del 17.6.2004) e la responsabilità dei Comuni per grave inadempimento nell’espletamento del servizio pubblico obbligatorio. 4. - L’art. 155, primo comma, del testo unico delle nome sull’ambiente approvato con decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, riecheggiando il disposto dell’art.14, primo comma, della legge n. 36/1994, stabilì, al primo periodo, che “le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”, prevedendo, all’ultimo periodo, una deroga all’obbligo di pagamento per il solo caso in cui “l’utente è dotato di sistemi di collettamento e di depurazione propri, sempre che tali sistemi abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell’Autorità d’ambito”. 5. - Sulla Gazzetta Ufficiale del 15 ottobre 2008 è stata pubblicata la sentenza n. 335/2008 in data 8 ottobre 2008, depositata il 10 ottobre, con la quale la Corte Costituzionale pronunciando sui giudizi promossi con ordinanze del 2 e 31 maggio e del 18 settembre 2007 dal Giudice di pace di Gragnano, ha dichiarato : - l’illegittimità costituzionale dell’art.14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n.36, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”; 144 - ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953,n.87, l’illegittimità costituzionale, dell’art. 155, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”. Con la sentenza citata il Giudice delle leggi, partendo dall’ ”accertata volontà del legislatore di costituire la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione come corrispettivo” di un servizio pubblico obbligatorio, è pervenuto alla inevitabile conclusione della “fondatezza della censura di irragionevolezza della disposizione denunciata, nella parte in cui prevede che la suddetta quota di tariffa è dovuta dagli utenti anche quando manchi il servizio di depurazione”. Difatti, spiega la sentenza, “la norma censurata, imponendo l’obbligo di pagamento in mancanza della controprestazione, prescinde dalla natura di corrispettivo contrattuale della quota e, pertanto, si pone ingiustificatamente in contrasto con la razio del sistema della legge n. 36 del 1994 che, come si è visto, è invece fondata sull’esistenza di un sinallagma che correla il pagamento della tariffa stessa alla fruizione del servizio, per tutte le quote componenti la tariffa del servizio idrico integrato, ivi compresa la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione”. ”Neppure potrebbe opporsi”- soggiunge la Corte costituzionale – “che la denunciata irragionevolezza non sussiste in considerazione di un’adombrata natura di prelievo tributario della quota tariffaria riferita al servizio di depurazione. L’unitarietà della tariffa impedisce, infatti, di ritenere che le sue singole componenti abbiano natura non omogenea, e, conseguentemente, che anche solo una di esse, a differenza delle altre, non abbia natura contrattuale. E ciò perché il legislatore, per la remunerazione delle varie componenti del servizio idrico integrato, non ha istituito tariffe distinte, ma ha concepito la tariffa di detto servizio come un tutto unico, nell’ambito del quale la suddivisione in quote risponde solo all’esigenza di una più precisa quantificazione della tariffa stessa, che tenga conto di tutte le prestazioni che il gestore deve erogare”. Si richiama l’attenzione sul fatto che la dichiarazione di incostituzionalità non riguarda l’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 154 del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, concernente la deroga all’obbligo di pagamento delle quote di tariffa nel caso in cui l’utente sia “dotato di sistemi di collettamento e di depurazione propri, sempre che tali sistemi abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell’Autorità d’ambito”. 6. - Passando ad esaminare gli effetti della pronuncia di incostituzionalità delle norme sopra indicate, si ricorda che questa colpisce la norma sin dalla sua origine, con incidenza, quindi, anche sulle situazioni pregresse, salvo il limite invalicabile del giudicato, con le eccezioni espressamente previste dalla legge e salvo altresì il limite derivante da situazioni giuridiche comunque divenute irrevocabili. Ciò implica: - in primo luogo che le norme colpite dalla pronuncia di incostituzionalità non trovano più alcuna possibilità di applicazione, in coerenza con quanto disposto dall’art. 136 della Costituzione e 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948; 145 - in secondo luogo che, in applicazione dell’art. 13, primo comma, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 e delle norme di diritto privato circa i rapporti corrispettivi, la quota di tariffa non è dovuta in difetto di erogazione del servizio da parte dell’ente pubblico, sia che essa dipenda dalla inesistenza che dal mancato funzionamento del servizio. In coerenza con la motivazione della sentenza innanzi riportata, deve ritenersi inoltre che tale conclusione valga non solo per il servizio di depurazione ma anche per quello di fognatura; Nelle suesposte considerazioni è il parere della Sezione. Copia della presente deliberazione sarà trasmessa, per il tramite del Servizio di supporto, all’Amministrazione interessata. Così deliberato in Napoli, nella Camera di Consiglio del 6 novembre 2008. IL RELATORE IL PRESIDENTE f.to Dr. Francesco Amabile f.to Dr.Mario G.C. Sancetta Depositata in Segreteria in data 06 novembre 2008 Il Dirigente del Servizio di supporto f.to Dr. Maurizio Arlacchi 146 Deliberazione n.386/2008 Corte dei Conti Sezione Regionale di Controllo per la Calabria NELL’ADUNANZA DEL 21 Novembre 2008 composta dai magistrati: - Pres. Sez. Martino COLELLA Cons. Giuseppe GINESTRA Cons. Luigi CONDEMI Cons. Vittorio CIRO’ CANDIANO, relatore Cons. Anna BOMBINO Primo ref. Natale LONGO Presidente Componente Componente Componente Componente Componente VISTO l’art. 100, comma 2, della Costituzione; VISTO il Testo Unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni; VISTA la legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti; VISTO il regolamento (14/2000) per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, deliberato dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti in data 16 giugno 2000 e successive modifiche; VISTA la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3; VISTA la legge 5 giugno 2003 n. 131, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; VISTO il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali; VISTA la deliberazione della Sezione delle Autonomie approvata nell’adunanza del 27 aprile 2004, avente ad oggetto gli indirizzi e criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva; VISTE le note nn. 12563 del 29.10.2008, 5370 del 03.11.2008 e 809451 del 14.11.2008, con le quali i Comuni di Petilia Policastro (KR), Varapodio (RC) e Condofuri (RC) hanno inoltrato richiesta di parere a questa Sezione, prot. rispettivamente nn. 3800 del 31.10.2008, 3866 del 05.11.2008 e 3945 del 14.11.2008; VISTA l’ordinanza n. 27/08 del 06.11.2008, con la quale il Presidente di questa Sezione di controllo ha convocato la Sezione per l’odierna seduta; UDITO il Consigliere relatore, dott. Vittorio Cirò Candiano. 1 RITENUTO IN FATTO I Comuni di Petilia Policastro (KR), Varapodio (RC) e Condofuri (RC), con le sopra citate note, hanno promosso il parere di questa Sezione, al fine di conoscere se gli stessi, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 10.10.2008 – con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 14, comma 1, della legge 05.01.1994, n. 36, sia nel testo originario, sia nel testo modificato dall’art. 28 della legge 31.07.2002, n. 179, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”, nonché dell’art. 155, comma 1, primo periodo, del d.lgs 03.04.2006, n. 152, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi” – sono tenuti: a) a rimborsare agli utenti nel caso ricorrano le condizioni previste dalla sentenza, le somme indebitamente pagate dagli stessi negli anni pregressi e se tale rimborso debba avvenire d’ufficio o previa richiesta da parte di ciascun utente; b) a correggere le liste di carico già approvate e non ancora poste in riscossione; c) ad apportare le necessarie variazioni al bilancio di previsione, qualora l’onere dovesse essere a carico del Comune. In via preliminare va, nell’ordine, accertata l’ammissibilità della richiesta di parere in relazione sia al soggetto richiedente che al contenuto oggettivo del quesito. Al riguardo è utile rammentare che la funzione consultiva delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, è prevista dall’art. 7, comma 8, della legge n.131/2003 che, innovando nel sistema delle tradizionali funzioni della Corte dei conti, dispone che le Regioni possono chiedere alle Sezioni regionali di controllo “ulteriori forme di collaborazione” ai fini della regolare gestione finanziaria e dell’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, “nonché pareri in materia di contabilità pubblica”, aggiungendo che “analoghe richieste possono essere formulate, di norma tramite il Consiglio delle autonomie locali se istituito, anche da Comuni, Province e Città metropolitane”. 2 La funzione consultiva in argomento è stata disciplinata, quanto a principi e modalità, dalla Sezione delle Autonomie con atto adottato nella adunanza del 27 aprile 2004, con il quale sono stati preliminarmente dettati i criteri atti a garantire l’uniformità di indirizzo e, quindi, individuati i soggetti legittimati alla richiesta, l’ambito oggettivo della funzione, l’ufficio competente a rendere il parere in relazione al carattere generale o locale dello stesso, il procedimento per l’esercizio della funzione con indicazione dei relativi profili temporali. Ai fini dell’ammissibilità della richiesta di parere in esame, occorre verificare la sussistenza contestuale di entrambi i requisiti: soggettivo, cioè la legittimazione del soggetto richiedente, ed oggettivo, cioè l’attinenza alla materia della contabilità pubblica. La legittimazione a richiedere pareri è circoscritta ai soli enti previsti dalla citata legge n.131/2003, stante la natura speciale che essa assume rispetto alla ordinaria sfera di competenze assegnate alla Corte. La richiesta stessa, d’altra parte, può considerarsi ammissibile se proveniente dall’organo rappresentativo dell’ente (Presidente della Giunta regionale, Presidente della Provincia, Sindaco o, nel caso di atti di normazione, il Consiglio regionale, provinciale, comunale). La norma prevede la possibilità di richiedere pareri esclusivamente nella “materia della contabilità pubblica”. Nell’ambito oggettivo di tale locuzione, in conformità a quanto stabilito dalla Sezione delle Autonomie nel citato atto di indirizzo, tale possibilità è limitata agli atti generali, ovvero atti o schemi di normazione primaria (leggi, statuti) o secondaria (regolamenti di contabilità o materie comportanti spese, circolari), o inerenti all’interpretazione di norme vigenti, nonché in merito a soluzioni tecniche rivolte ad assicurare la necessaria armonizzazione nella compilazione dei bilanci e dei rendiconti, o attinenti alla preventiva valutazione di formulari e scritture contabili che gli enti intendessero adottare. CONSIDERATO IN DIRITTO Sotto il profilo soggettivo, nel caso in esame, poiché la richiesta di parere - nelle more dell’attuazione della legge regionale 5 gennaio 2007, n.1, istitutiva del Consiglio delle Autonomie Locali nella Regione Calabria - proviene direttamente dal Sindaco del 3 Comune, quale Organo rappresentativo dell’Ente ai sensi dell’art. 50 del d.lgs 18 agosto 2000, n.267, la stessa richiesta deve ritenersi ammissibile. Accanto alle condizioni soggettive, poi, devono sussistere (come stabilito anche dalla Sezione delle Autonomie della Corte dei conti con la succitata deliberazione del 27 aprile 2004) delle condizioni oggettive e, in particolare, oltre l’attinenza con la materia della contabilità pubblica, il carattere generale ed astratto della questione sottostante al quesito, di modo che il parere non vada ad incidere su specifiche fattispecie concrete sulle quali potrebbero pronunciarsi nell’ambito della loro competenza, altri organi, quali, ad esempio, il Procuratore regionale o la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti. Poiché la questione posta ha carattere generale ed astratto, anche sotto il profilo oggettivo la richiesta di parere deve intendersi ammissibile. Passando al merito del quesito posto, va preliminarmente rammentato che la succitata sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 10.10.2008 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale: 1) dell’art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), sia nel testo originario, sia nel testo modificato dall’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”; 2) dell’art. 155, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, (Norme in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi” . La dichiarazione di illegittimità costituzionale è essenzialmente basata sul fatto che “la tariffa del servizio idrico integrato si configura, in tutte le sue componenti, come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, il quale, ancorché determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell’utente, bensì nel contratto di utenza”. Ciò significa che, a fronte del pagamento della tariffa, l’utente riceve un 4 complesso di prestazioni, consistenti sia nella somministrazione della risorsa idrica, sia nella fornitura di servizi di fognatura e depurazione. Ne consegue che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, in quanto componente della complessa tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare è riferito automaticamente nel contratto. Sulla base di tali principi e presupposti, appare evidente che, qualora l’utente non dovesse ricevere il servizio di depurazione, ne viene meno il corrispondente corrispettivo, rappresentato dalla relativa quota di tariffa. Conseguentemente l’utente cha ha corrisposto al Comune l’importo dell’intera tariffa ha diritto ad ottenere il rimborso, tempo per tempo, della quota riferita al servizio di depurazione, sempre che quest’ultimo non sia stato fornito in quanto mancavano o manchino impianti di depurazione o questi erano o siano temporaneamente inattivi, previa domanda di rimborso opportunamente documentata. E l’Amministrazione comunale effettuerà il rimborso, dopo aver verificato, tempo per tempo, la legittimità della richiesta, verificando anche la corrispondenza tra “ricevuta di versamento” esibita dall’utente e l’avvenuta corrispondente riscossione da parte dell’Ente. Le liste di carico inerenti ai canoni in discussione, qualora approvate dall’Amministrazione comunale e non ancora poste in riscossione vanno, depurate delle quote di tariffe eventualmente non dovute dall’utente e, nel caso di utente moroso, la richiesta bonaria o forzosa deve essere anche depurata della quota di tariffa eventualmente non dovuta dall’utente. Per quanto riguarda infine il soggetto a carico del quale dovrà essere posto il relativo onere finanziario, questi non può che essere l’Ente che ha riscosso e utilizzato le somme che ora vengono dichiarate a suo tempo non dovute dall’utente, in quanto corrispettivo di un servizio non ricevuto dall’utente medesimo. Ovviamente l’Ente locale interessato, nel rispetto dei principi del bilancio, provvederà ad istituire nel bilancio di previsione un apposito capitolo di spesa il cui stanziamento sarà definito sulla base delle domande di rimborso di volta in volta pervenute e utilmente verificate da parte delle competenti strutture amministrative. 5 P.Q.M. Nelle considerazioni esposte è il parere della Sezione. Copia della presente deliberazione sarà trasmessa, a cura della Segreteria al Sindaco dei Comuni di Petilia Policastro (KR), Varapodio (RC) e Condofuri (RC). Così deciso in Catanzaro il 21.11.2008. Il Consigliere Relatore Il Presidente dott. Vittorio Cirò Candiano dott. Martino COLELLA Depositata in segreteria il 21.11.2008 Il Direttore della segreteria dott. Antonio LEONE 6 TAR VENETO, SEZ. III - sentenza 24 dicembre 2008 n. 3990 - Pres. ff. ed Est. Gabbricci - Adria Nuoto, Società sportiva dilettantistica a r.l. (Avv.ti Lubian e Sartori) c. Consorzio Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale (A.A.T.O.) "Polesine" (Avv. Testa) ed Acque Potabili S.p.A. (n.c.) Sent. n. 3990/08 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza Sezione, con l’intervento dei signori magistrati: Angelo Gabbricci Presidente f.f. - relatore Stefano Mielli Referendario Marina Perrelli Referendario ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio n. 597/08, introdotto da Adria nuoto, società sportiva dilettantistica a.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Lubian e Sartori, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Venezia Mestre, calle del Sale 33, contro il Consorzio Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale (A.A.T.O.) "Polesine", in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. M. Testa, con domicilio eletto in Venezia S. Croce 466/G, presso lo studio dell’ avv. P.V. Grimani, e nei confronti di Acque Potabili S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio, per l’annullamento: a) della deliberazione 4 ottobre 2006, n. 7, prot. n. 595, adottata dall’assemblea dell’ A.A.T.O. "Polesine", di approvazione della tariffa per il servizio idrico integrato per l’anno 2006, integralmente, ovvero nella parte in cui dispone dal 1 gennaio 2006 la decorrenza dell’adeguamento tariffario; b) degli atti antecedenti, presupposti, preordinati, preparatori, consequenziali ovvero comunque connessi, e, segnatamente: 1) della deliberazione A.A.T.O. "Polesine" 29 giugno 2006, n. 5, prot. n. 391, denominata " approvazione variante del piano d’ambito"; 2) della deliberazione A.A.T.O. "Polesine" 16 dicembre 2002, n. 8, prot. n. 344; Visto l’atto introduttivo del giudizio; visto l’atto di costituzione dell’ A.A.T.O. "Polesine"; viste le memorie prodotte dalle parti; visti gli atti tutti di causa; 153 uditi nella pubblica udienza del 17 luglio 2008- relatore il presidente f.f. A. Gabbricci – gli avv.ti Lubian e Sartori per la parte ricorrente e l’avv.to Morschi, in sostituzione di Testa, per il Consorzio resistente; ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: FATTO A. L’assemblea del consorzio Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale (A.A.T.O.) "Polesine", riunitasi il 4 ottobre 2006 approvò con la deliberazione n. 7, prot. 595, la nuova "articolazione tariffaria del Servizio Idrico integrato", a valere sull’intero territorio di competenza, dando atto che la tariffa avrebbe seguito "la prevista procedura di pubblicazione a’ sensi della vigente normativa", ed avrebbe avuto decorrenza dal 1 gennaio 2006, e dunque retroattivamente. B. A partire dall’agosto dell’anno seguente, gli utenti del servizio idrico integrato, e tra questi l’odierna ricorrente, hanno ricevuto - attraverso il gestore Polesine Acque S.p.A. - le relative fatture con le quali è stato richiesto, tra l’altro, anche il pagamento di somme, qualificate come conguaglio anno 2006, e ripartite tra tariffa acqua, fogna e depurazione. C. Adria nuoto ha allora ottenuto copia integrale della deliberazione 7/06, e l’ha quindi impugnata con ricorso straordinario al Capo dello Stato, notificato il 18 dicembre 2007. Essa ha gravato contestualmente altre due deliberazioni della stessa assemblea, la 5/06 e la 8/02, senza peraltro specificare di queste ultime gli eventuali profili d’illegittimità: ed il ricorso – straordinario prima, giurisdizionale poi - in parte qua andrà dichiarato inammissibile. L’Autorità d’ambito proponeva atto d’opposizione ex art. 10 d.P.R. 1199/71, e la ricorrente si costituiva allora innanzi a questo T.A.R. riassumendo così il giudizio. Si è poi costituita in causa l’A.A.T.O. Polesine, eccependo la tardività e l’infondatezza del ricorso; l’Autorità ha anche rilevato il difetto di giurisdizione del giudice adito. DIRITTO 1.1. La resistente invoca, a fondamento della rilevata carenza di giurisdizione, l’art. 5, II comma, della l. 1034/71, per il quale, come noto, l’autorità giudiziaria ordinaria ha giurisdizione per le controversie – anche relative a servizi pubblici, dopo C. cost. 204/04 - concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi. 1.2. Il rilievo è corretto: ma va osservato come si tratti, peraltro, delle controversie che riguardano direttamente la misura dei corrispettivi concretamente dovuti per uno specifico servizio pubblico, e purché ciò non coinvolga una verifica dell’azione autoritativa dell’Amministrazione sul rapporto sottostante o l’esercizio dei poteri discrezionali di cui essa gode nella determinazione di indennità, canoni o altri corrispettivi (da ultimo, Cass., s.u., 13 febbraio 2007, n. 3046). 1.3. Ora, il ricorso in esame non ha, per proprio oggetto, l’accertamento se a Polesine Acque S.p.A. spetti, in tutto ovvero in parte, il corrispettivo richiesto alla ricorrente per le erogazioni di beni e servizi idrici, effettuate dal gennaio 2006. L’azione è invece qui proposta per ottenere l’annullamento, in tutto ovvero in parte, del tariffario, quale atto amministrativo generale su cui si fondano le richieste di pagamento, le quali costituiscono – se si preferisce sotto la veste di "rapporto individuale d’utenza" - la fonte dell’interesse a proporre il ricorso, ma non invece il petitum sostanziale, cui si correla l’individuazione del giudice competente. Il ricorso, insomma, non censura incidenter tantum il provvedimento amministrativo, chiedendone la disapplicazione ai fini della tutela del diritto soggettivo al pagamento di un canone contrattualmente stabilito, ma investe invece in via principale le scelte discrezionali dell’ente, in ordine alla determinazione del canone, "facendo valere una situazione giuridica qualificabile come interesse legittimo correlato ad un atto adottato dall’ente territoriale come autorità nell’esercizio di una potestà amministrativa, al di fuori di un rapporto negoziale di tipo paritetico" (Cass., s.u., 10 settembre 2004, n. 18263). 154 1.4. La questione di giurisdizione è riproposta invocando l’art. 143, I comma, lett. a), del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, che l’attribuisce in unico grado al Tribunale superiore delle acque pubbliche con riferimento ai "ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi dall’amministrazione in materia di acque pubbliche". Ora, sussiste tale giurisdizione quando sia impugnato un provvedimento amministrativo "caratterizzato da incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche, nel senso che concorra in concreto a disciplinare la gestione, l’esercizio delle opere idrauliche, i rapporti con i concessionari, oppure a determinare i modi di acquisto dei beni necessari all’esercizio e alla realizzazione delle opere stesse, o a stabilire o modificare la localizzazione di esse o a influire sulla loro realizzazione mediante sospensione o revoca dei relativi provvedimenti" (così, ex multis, Cass., s.u., 13 maggio 2008, n. 11848). 1.5. Viceversa, la fissazione dei corrispettivi per i servizi idrici forniti agli utenti non rientra in alcuno dei profili elencati, ed incide solo indirettamente nel buon regime delle acque pubbliche (conf. T.A.R. Umbria, 13 luglio 2006, n. 354). Non è dato cioè ravvisare la presenza di quei peculiari profili tecnici, i quali giustificano l’attribuzione delle controversie in materia al giudice speciale. La stessa affermazione, secondo cui l’annullamento della determinazione tariffaria si ripercuoterebbe necessariamente sulla programmazione e realizzazione degli investimenti, i quali potrebbero non più trovare copertura nella tariffa, è del tutto generica ed indimostrata. 2.1. La seconda eccezione attiene alla tempestività del ricorso, il cui termine di notificazione la ricorrente fa decorrere dalla piena conoscenza della deliberazione 7/06, acquisita – come si è già detto - soltanto attraverso le bollette che hanno richiesto, nell’agosto 2007, i maggiori corrispettivi conseguenti al nuovo tariffario, e con la decorrenza retroattiva per questo disposta. Ora, oppone la resistente, le deliberazioni dell’Autorità d’ambito – essendo questa un Ente locale, e mancando disposizioni speciali sul punto - sono soggette alle stesse forme obbligatorie di pubblicazione generalmente previste dall’art. 124, II comma, del d. lgs. 267/00 per le deliberazioni di tali Enti (così C.d.S., VI, 4 giugno 2007, n. 2948). Ne conseguirebbe, per il combinato disposto di questo e dell’art. 21 l. 1034/71, che il termine finale per l’impugnazione straordinaria della deliberazione in questione sarebbe spirato il centoventesimo giorno seguente il compimento della sua pubblicazione all’albo pretorio, avvenuto il 25 ottobre 2006: il ricorso straordinario dell’ottobre 2007 sarebbe pertanto ampiamente tardivo e così, per conseguenza, il ricorso giurisdizionale trasposto. 2.2. Invero, l’art. 124 cit. stabilisce al I comma che tutte le deliberazioni del comune e della provincia "sono pubblicate mediante affissione all’albo pretorio, nella sede dell’ente, per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni di legge"; il comma seguente prosegue, rilevando come "tutte le deliberazioni degli altri enti locali sono pubblicate mediante affissione all’albo pretorio del comune ove ha sede l’ente, per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni". A sua volta, l’art. 21, I comma, l. 1034/71, per quanto d’interesse dispone che il ricorso va notificato entro il termine di sessanta giorni, decorrente, per gli atti impugnati dai terzi interessati, di cui non sia richiesta la notifica individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione, se questa sia prevista da disposizioni di legge o di regolamento. 2.3. In deroga alla regola generale, secondo la quale il termine d’impugnazione del provvedimento inizia a decorrere con la sua comunicazione individuale, la pubblicazione dunque determina una presunzione assoluta di conoscenza del provvedimento. Viene così limitata la tutela giudiziale individuale per i terzi interessati - sia pure per giustificate ragioni di stabilità e certezza delle situazioni giuridiche di rilievo collettivo - e ciò impone un’interpretazione ed un’applicazione rigida della norma che stabilisce tale presunzione: questa cioè si verificherà soltanto qualora venga dimostrato che la pubblicazione è stata effettuata in totale osservanza delle relative prescrizioni, e ciò non si può dire avvenuto nella fattispecie. 155 2.4. Invero, l’ A.A.T.O. Polesine ha la sua sede (cfr. doc. 1 di parte ricorrente) in Rovigo, via Celio 10, presso la sede della Provincia di Rovigo, sicché la pubblicazione delle sue deliberazioni, affinché possa iniziare a decorrere il termine d’impugnazione, ex art. 124, II comma, vanno effettuate presso l’albo pretorio del Comune di Rovigo (che ha sede in Piazza Vittorio Emanuele II). In calce alla deliberazione de qua è attestato che la stessa "è stata affissa all’Albo Pretorio per 15 giorni consecutivi dal 10 ottobre 2006 al 25 ottobre 2006, come prescritto dall’art. 124, I [sic] comma" del citato d. lgs. 267/00. L’attestazione non specifica a quale albo la pubblicazione sia stata eseguita: ma poiché si cita il I comma dell’art. 124, e questo si riferisce alla sede del Comune e della Provincia, si deve supporre, in mancanza di elementi ulteriori, che la pubblicazione sia avvenuta all’albo pretorio della Provincia, dove l'A.A.T.O. ha sede e, dunque, senza applicare la disposizione di cui al II comma. 2.5. In conclusione, la pubblicazione effettuata è inidonea a determinare il decorso del termine d’impugnazione: e non essendo stato dimostrato che la ricorrente avesse comunque avuto conoscenza del provvedimento anteriormente alla data da essa indicata, il ricorso va dichiarato tempestivo. Ciò rende irrilevante stabilire se sia fondata la difesa proposta sul punto dalle ricorrente, secondo cui soltanto con le bollette emesse sarebbe stato possibile appurare l’aggravio economico derivante dal tariffario, e dunque la concreta lesività della deliberazione che l'ha approvato, facendo così decorrere i termini per il ricorso. 3.1. Il primo motivo di ricorso è rubricato nell’eccesso di potere per difetto di motivazione e d’istruttoria, nella violazione dell’art. 3 della l. 241/90 e dell’art. 54 della l. 388/2000, ovvero, più esattamente, dell’art. 54, comma 1 bis, della l. 15 dicembre 1997, n. 446, introdotto dall’ art. 54 della l. 23 dicembre 2000, n. 388. La deliberazione impugnata, sostiene la ricorrente, ha determinato un aumento delle tariffe nel servizio idrico integrato, senza tuttavia rendere conto delle ragioni che lo avevano giustificato. Il comma 1 bis del predetto art. 54 dispone che "Le tariffe ed i prezzi pubblici possono comunque essere modificati; in presenza di rilevanti incrementi nei costi relativi ai servizi stessi, nel corso dell’esercizio finanziario. L’incremento delle tariffe non ha effetto retroattivo". La norma imporrebbe, dunque, un’adeguata motivazione, che non potrebbe consistere, specifica la Adria Nuoto, in affermazioni generiche o clausole di stile ma in circostanziati riferimenti all’onerosità ed ai costi di esercizio, mancanti invece nel provvedimento impugnato. 3.2. Nel secondo motivo (violazione del ripetuto art. 54, nonché dell’ art. 11 preleggi e dei principi d’irretroattività dei provvedimenti amministrativi, nonché di quello di legalità) si rappresenta come la deliberazione 7/06, qui impugnata, stabilisca che la nuova articolazione tariffaria avrebbe avuto decorrenza dal precedente 1 gennaio 2006. Oppone a ciò il ricorso come, di regola, vada esclusa la retroattività dei provvedimenti amministrativi. Principio, questo, volto a garantire la certezza delle situazioni in atto, e derogabile soltanto dalla legge: mancherebbe tuttavia una norma speciale pertinente alla fattispecie, mentre, al contrario, il citato art. 54, comma 1 bis, prescrive l’irretroattività delle tariffe. Pertanto, in mancanza di una disposizione legittimante, la previsione della deliberazione, la quale fa decorrere l’adeguamento tariffario dal 1 gennaio 2006, sarebbe senz’altro illegittima. 3.3. Nel terzo motivo la deliberazione è censurata per violazione dell’art. 1 l. 241/90, dell’art. 117 Cost., nonché dei principi comunitari di affidamento e certezza del diritto. Secondo la ricorrente, invero, anche senza considerare il ripetuto art. 54, "nell’attuale assetto legislativo derivante dall’inclusione come principi dell’azione amministrativa, dei principi dell’ordinamento comunitario, ex novellato art. 1 della L. 241/90 (e del nuovo art. 117 come limite al legislatore nazionale e regionale) la retroattività delle tariffe si pone in contrasto con detti principi". 156 In particolare, verrebbero in rilievo "i principi comunitari di affidamento e di certezza del diritto, di stabilità dei rapporti giuridici e dello stesso principio di irretroattività": la "lievitazione dei costi per il servizio idrico integrato stabilita quasi un anno dopo la data di decorrenza, (1.1.2006) collide con i principi sopra espressi". 3.4. Infine - eccesso di potere per mancanza di motivazione sulla retroattività – mancherebbe un’adeguata motivazione per giustificare l’aumento della tariffa con efficacia retroattiva. 4.1. Invero, la previsione di un termine retroattivo per il nuovo tariffario è, di per sé, confliggente con i comuni principi in materia di efficacia del provvedimento amministrativo. In termini generali, infatti, questo può avere effetti retroattivi soltanto quando ciò sia intrinseco alle finalità proprie del tipo cui appartiene, come nel caso dei provvedimenti di secondo grado, destinati a rimuovere ovvero a modificare altri atti, sin dal momento in cui questi avevano determinato una situazione illegittima, ovvero anche solo inopportuna, purché, in quest’ultimo caso, ciò non pregiudichi posizioni di vantaggio debitamente acquisite. 4.2. Ora, rendere retroattivamente operante una nuova tariffa a partire da un determinato giorno, equivale a revocare ex tunc dalla stessa data la precedente tariffa, sin a questo momento ancora vigente, e con riguardo a prestazioni, già effettuate senza riserva di conguaglio, sulla base di quella stessa tariffa. 4.3.1. Peraltro, oppone l’Autorità nella sua ultima memoria difensiva, l’art. 53, comma XVI, della l. 388/00, quale sostituito dall’art. 27, VIII comma, della l. 28 dicembre 2001, n. 448, dispone che il termine "per deliberare … le tariffe dei servizi pubblici locali, nonché per approvare i regolamenti relativi alle entrate degli enti locali, è stabilito entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. I regolamenti sulle entrate, anche se approvati successivamente all’inizio dell’esercizio purché entro il termine di cui sopra, hanno effetto dal 1° gennaio dell’anno di riferimento". 4.3.2. Alle Autorità d’ambito, prosegue la resistente, si applicano le norme comuni in materia d’ordinamento degli enti locali, ex d. lgs. 267/00, incluso quanto stabilito dall’art. 151, I comma, per cui essi deliberano entro il 31 dicembre il bilancio di previsione per l’anno successivo Termine che, secondo la stessa disposizione può essere differito con decreto ministeriale: e, in effetti, per il 2006 tale termine fu infine posposto al 31 maggio (art. 1, c. 155, l. 266/05 e d.m. 27 marzo 2006). 4.3.3. Il provvedimento qui impugnato è stato approvato oltre quel termine (la deliberazione n. 7 è del 4 ottobre 2006); peraltro, secondo la difesa A.A.T.O., la decisione di applicare le nuove tariffe con efficacia retroattiva, sarebbe precedente, risalendo alla deliberazione assembleare 31 gennaio 2006, n. 2. In quest’ultimo provvedimento, avente ad oggetto l’approvazione della variante al piano d’ambito, riguardante gli interventi per l’ammodernamento delle reti, l’assemblea, nel rinviare la determinazione della nuova modulazione tariffaria, dispose che la stessa rimodulazione avrebbe avuto applicazione retroattiva dal primo gennaio 2006. È vero, prosegue parte resistente, che, mediante il successivo provvedimento 29 giugno 2006, n. 5, la deliberazione 2/06 fu revocata: tuttavia, anche nella nuova determinazione fu confermata la volontà di applicare retroattivamente, dal primo gennaio 2006, la nuova modulazione tariffaria. 4.4. La difesa dell’Ente non può trovare accoglimento: e ciò rende irrilevante stabilire se, in effetti, il precitato art. 53, comma XVI, abbia implicitamente abrogato l’art. 54 del d. lgs. 388/00, laddove questo esclude l’irretroattività delle tariffe, come sostiene la difesa del resistente. È evidente, infatti, dal tenore testuale del ripetuto art. 53, comma XVI, che nel termine di legge – nel caso, il 31 maggio 2006 - non deve essere semplicemente affermata la volontà di dare valore retroattivo alle tariffe, ma queste devono essere effettivamente approvate, quale componente della disciplina finanziaria dell’Ente. In specie, viceversa, la nuova modulazione tariffaria è contenuta solo nella deliberazione del 4 ottobre, ben oltre il termine consentito: sicché riprende piena efficacia il principio di irretroattività, e la deliberazione 7/06 va conseguentemente annullata nella parte in cui fa decorrere la nuova tariffa dal 1 gennaio 2006. 157 5.1. In realtà, la prima doglianza della ricorrente è più generale: essa afferma, cioè, che le variazioni tariffarie, introdotte con la deliberazione 7/06, non sarebbero affatto motivate, diversamente da quanto richiesto sia dai principi comuni, sia dal precitato art. 54. 5.2. Invero, l’art. 12 della l.r. 27 marzo 1998, n. 5, dispone che la tariffa è determinata dall’Autorità d’ambito "secondo un calcolo eseguito conformemente ai criteri ed ai metodi di cui agli articoli 13, 14 e 15 della legge n. 36/1994 e del decreto del Ministro dei lavori pubblici del 1 agosto 1996", includendovi, inoltre, la quota di cui al seguente comma 2 ter (a garanzia, cioè, di una gestione del servizio idrico integrato coerente con le esigenze ambientali). In particolare, l’art. 13, II comma (abrogato ex art. 175, d. lgs. 152/06), dispone che la tariffa è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio. 5.3. Orbene, ad avviso di questo Collegio, dal preambolo della deliberazione 7/06, unitamente al contenuto della precedente deliberazione 5/06 – e, si deve supporre, degli atti programmatori con quella approvati, e richiamati nell’atto prodotto – si possono ricavare elementi idonei, nel loro complesso, a fornire una giustificazione sufficiente delle tariffe approvate, secondo i parametri indicati. A questi l’Ambito è pervenuto dopo un’adeguata ed approfondita analisi della situazione in atto, come si desume dalla circostanza che furono presentate all’assemblea due distinte ipotesi tariffarie, una delle quali (poi effettivamente approvata) più favorevole alle fasce di consumo agevolata e base. 5.4. In conclusione, il primo motivo di ricorso va respinto, mentre il terzo ed il quarto si devono ritenere assorbiti con l’accoglimento del secondo. 6. La parziale reciproca soccombenza e l’incertezza delle questioni trattate conduce all’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie parzialmente, e, per l’effetto, annulla la deliberazione 7/06 in epigrafe impugnata, nella parte in cui attribuisce efficacia retroattiva all’articolazione tariffaria approvata. Compensa le spese di lite tra le parti Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio addì 17 luglio 2008. Il Presidente f.f. estensore Il Segretario SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 24 dicembre 2008. 158 . Dr,unzaazrot{E N.52 )/ tt' c't, t t..1t Acúmrza a/lr./t ctet J'b \ov1ntbgbg Oggetto: Procedimento voho ad accefiare l'eventuale inosservanza della normativa per l'affidamento del servizio idrico integrato. C-omunicazíone delle risultanze istruttorie. Il Consiglio Visto il D.lgs. n.1.63/2006; Vista la Legge n.36/ L994; Visto il D.lgs. n. 152/2006; Visto il D.lgs. n.267 /2Q00; Visto il D.L. II2/200$ convertito nella L. n. L33/2008; Vista la Legge n.241/ 1990; Vista la delibera dell'Autoritàn. L6 de17.5.2008 di awio del procedimento; Vista Ia relazione della Direzione Generale Yigtlanza Lavori datata 30.10.2008. Considerato in fahto Il Consiglio dell'Autorità, a seguito di un'indagine conoscitiva sul settore delle risorse idriche, con deliberazíone n. 16 del7 maggio 2008 ha disposto I'ar,'vio di un procedimento volto ad accerfare I'eventuale inosservanza della nonnativa per I'affidamento del servizio idrico integrato (nel seguito SII) n 64 casi in cui le Autorità d'Ambito hanno disposto 1o stesso in favore di società compleamente pubbliche. Dell'awio del procedimento è stata data comunicazíone ai soggeui interessati, contestualmente alf invio di copia della stessa deliberairone. C.on nota successiva, la Direzione Yigrlarual-avorì, ha chiesto, al fine di svolgere la necessaria anività istruttoria, specifiche tnÍormazioni alle Autorità d'Ambito interessate circa I'affidamento del servizio idrico integrato a società interamente pubbliche. Alcuni soggetti interessati al procedimento sono intervenuti producendo memorie o chiedendo di esser ascohati in audizione. In particoiare: - AIMAG S.p.A, con nora del4.6.2008, ha segnalato di non essere più società a capitale interamente pubblico, ma di aver acquisito un socio privato con procedura ad evidenza pubblica; I IU I - Acqua Novara VO S.p.A, con nota del30.6.2008, ha fornito controdeduzioni alla deliberazione dell'Autorità ed ha chiesto di essere convocata per essere ascoltata; S.AS.I. S.p.A, con nota del 2.7.2008, ha inviato documentazíone e chiesto di panecipare al proc edimento. Sono, inoltre, pervenuti sull'argomento oggetÍo di esame chiarimenti, segnalazioni ed esposti; si richiamano, in particolare i seguenti, pervenuti da enti e associazioni: con nota del 30.5.2008 Ia Regione Lombardia ha ffasmesso un parere della Commissione Europea (13.5.2008), ove si indica che la società in house deve essere partecipata da tuni e solo i Comuni dell'ATO, nonché una propria nota sull'argomenro inviata all'ATO Mantova; - con nota del 3.7.2008, I'Asociazione "Acqua Pubblica" ha chiesto di acquisire la documentazione istrunoria e di intervenire nel procedimento; - con nota del 1,6.6.2Q08, il Sindaco del Comune di Rotonda @Z) ha chiesto di essere convocato per una formale audizione. Stante le richieste pervenute, in data t0.L0.2008, presso Ia, Dtrezíone Generale Yigtlarual-avori sono stati auditi i rappresentanti delle seguenti società ed enti: - S.AS.I. S.p.A; - C-omune di Rotonda; - Acqua Novara VCO. Dall'indagine è emeno che la pressoché totalità degli affidamenti a società pubbliche, in ben 38 ATO dei 40 esaminati, è awenuta direttamente con riferimento alla modalità cosiddena in harc prcudxre di cui al comma 5 lett. c) dell'art. 11,3 del d.lgs n. 267/2000 (come modificato dalla legge n.326/2003). Fanno eccezíone i casi: - dell' ATO Puglia, ove l'affidamento del SII è ar,.venuto ex D.Lgs. n.1.41./ 1999; - dell'ATO Provincia di Milano, ove auualmente opeftmo due società a capitale misto pubblico-privato; I'Autorità d'Ambito è, in-fani, ricorsa alle disposizioni dell'art. 11.3, comma 5,lett. b) del D.Lgs. n.267/20Q0, individuando un socio privato gestore. - - Ritenuto in diritto L'espressione in horse eruudae usata per Ia, prima volta in sede comunitaria nel Libro Bianco sugli appalti del 1998, identifica il fenomeno di "auroproduzione" di beni, servizi o lavori da parte della pubblica amministrazione, che si verifica quando quest'ultima acquisisc.e un bene o un 5srvizio attingendoli all'interno della propria compagme otEanzzatrva, sefiza ncorere aterurtramfie gara. La prima definizione giurisprudenziale della figura è stata fornita in occasione della serfierua della C-one di giustizia delle Comunità europee del 18 novembre t999, causa G 107/98 - Teckal. In quellasede siè affermato che nonè necessario rispettare le regole delTa gara in materia di appalti nell'ipotesi in cui concoffano i seguenti elementi: a) I'amministrazione aggiudicatrice esercita sul soggetto aggiudicatario un "controllo analogo" a quello esercitato sui propri servizi; t0 /2 b) il soggeno aggiudicarano svolge la maggior pafie della propria anività in favore dell'ente pubblico di apparte rrerwa. Nel corso degli anni la giurisprudenza comunitana è stata concorde nel ribadire il carafrere dt eccezionalità dell'in bo'se e nel fissare requisiti restrittivi e rigorosi per la definizione delle due espressioni citate. Dal momento che la procedura costituisce una deroga alTe regole di evidenza pubblica, giudice europeo ha r{tenuto necessarì, particolarq stnrmenti che consentano all'ente pubblico un controllo stringente, maggiore di quello onenibile con gli ordinari strumenti previsti dal dirino civile. Essi sono: - il Consiglio di Amministrazione della socieà in ba,tse non deve avere rilevanti poteri gestionali e I'ente pubblico deve poter esercitare maggiori poteri rispetto a quelli che il dirino s ocietario riconos ce alla maggio rarua,s ociale ;. - I'impresa non deve avere vnavocazrone cornmercrale, che risulterebbe implicita in caso di ampliamento dell'oggetto sociale, apertura obbligatoria della società ad altri capitali, espans ione territoriale; - le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante; - il controllo analogo è da ritenersi escluso nel caso in cui nello statuto sia prevista la possibilità di cedere quote a soggeni privati; - il controllo analogo non è escluso dalla circostanza che il pacchetto azionario della società sia posseduto da una pluralità di enti pubblici, anche in misura esigua per ciascuno di essi. In tal caso, la verifica sul "controllo analogo" si sposta necessariamente nel rinvenimento di clausole o prerogative che conferiscono agli enti locali partecipanti con quote societarie esigue, effenive possibilità di controllo nell'ambito in cui si esplica l'attività decisionale dell'organismo societario attraverso i propri organi (assembleari o di amministrazione), non soltanto in chiave propulsiva o propositiva di argomenti da portare all'ordine del giorno del consesso assembleare, ma anche di poteri inibitivi di iniziative o decisioni che si pongano in contrasto con gli interessi dell'ente locale nel cui ambito territoriale si esplica il servizio (TAR Lazio, sentenzr 16 ottobre 2007, n. 9988). Nello svolgimento dell'indagine è stato tenuto in particolare conto delle valutazioru il in della Commissione europea riferite aI caso dell'affidamento, da pafie dell'AIO Basilicata, del SII ad fuquedofio Lucano S.p.A La C-ommissione ha ritenuto che il controllo analogo possa esercitarsi ove siano rimesse all'ATO le decisioni finali circa gli aspetti rilevanti dell'anività del gestore, quale dei programmi annuali e triennali di investimento noncfré dei singoli \'approvazío.ne mvesumentr eccedenti una determinata cifra (nel caso specifico un milione di euro), esistendo, in tal caso, un rapporto organico o di delegazione interorganica tra ATO e gestore, con conseguente rapporto di strumentalità dell'ente aÍfídatano rispeno all'amminis trazione aggiudicatrice. Per quanto attiene al requisito dell'attività prevalentemente svolta af.avore dell'ente aÍfidante,la giurisprudenza prevalente ritiene che tale condizione sia soddisfana quando I'aÍfidatano diretto non fomisca i suoi servigi a soggeni diversi dall'ente controllante, anche se pubblici, ovvero li fomisca in misura quantitativamente irrisoria ,''L'{ I e qualitativamente irrilevante sulle sffategíe azíendali, ed in ogni caso non fuori della competenza territoriale dell'ente controllante. Più che I'individuazione di una soglia percentuale necessita un giudzío pngmatico nel caso concreto che si basi, però, non solo sull'aspetto quantitativo, ma anche su quello qualitativo. In altri termini, Ia, natwa dei servizi, opere o beni resi al mercato prìvato, oltre alla sua esiguità, deve anche dimostrare la quasi inesistente valerua nella strategia aziendale e nella collocazione dell'affidatano diretto nel mercato pubblico e privato. Sotto questo profilo Ia giurispruderua delLa, C-orte di Giustizia e del Consiglio di Stato mostrano di ritenere a priori che l'espansione territoriale, anche a .vantaggio di altri enti pubblici analoghi, violi la prevaLenza. Nell'esame dei casi oggetto del procedimento si è ritenuto che I'anività che deve assumere il caratcere prevalente sia la sola anività oggetto della convenzione con I'ATO, owero la gestione del SII ed eventuali anività connesse alla stessa. In altri termini lo svolgimento di ulteriori anività, sia pure svolte a favore di Comuni interni all'AIO, sarebbe di per sé indice di una "vocazione commerciale" della società, che verrebbe pertanto ad assumere una natura imprenditoriale, pur continuando ad operare in condizioni di privilegio, evideruíando così una tncoerer:.r;a dell'affidamento in relazione alle caratteristiche della società. I risultati della istruttoria, svolta in base ai criteri sopra emrnciati, sono riassr,rnti, caso per caso, nelle schede allegate alla presente. Si rriportano nel seguito dati complessivi, precisando che : - sono stafí tn:r;lu,lmente presi in esame 64 affidamenti a società intermente pubbliche; - dall'acquisuione di informazioni, è emersa la presenza di una ulteriore società pubblica, lncartcata del SII nell'ATO Provincia di Mantova; - anche relativamente all'ATO 3 l4arche Crntro IYIacerata, è stata segnalata una ulteriore Società da qualificare interamente pubblica, in quanto è stata awtata la. procedura di acquisizione ai C-omuni delle quote societarie precedentemente detenute da soggetti privati; - nell'ATO Cuneese, due Società interamente pubbliche si sono fuse; - una società, identificata quale pubblica nell'ATO Provincia di Mantova, è attualmente mista pubblico- prlwata, avendo acquisito un socio privato gesrore. Pertanto, alla luce delle integruzíorusopftr riportate, l'indagine ha avuto ad oggeno 65 casi di affidamento del SII, classificabili, allo stato, secondo le seguenti modalità di affidamento: Totale casi esaminati Affidamenti In house 65 61 Affidamenti a Società Affidamenti ex lege fiuste 3 T I 3 casi di affidamento del SII ad akrettante società miste pubblico-private sono stralciati dalla presente relazione (ma non dal procedimento) e saranno oggeno di specifiche indagini volte a venficare la procedura dr evider:r;a pubblica esperita per I'individuazione del socio privato. I Parimenti stralciato è il caso dell'affidamento u, lq: che sarà oggetto di specifico approfondimento. Nella tabella seguente si classificano ulteriornente i 61 casi di affidamento in hwse, secondo la natura dei problemi emeni dall'istruttoria: affidamenti awenuti in presenza delle condizioni (nazionali e comunitarie) per - - il ricono all' in ha,se ercudilg affidamenti non classificabili in quanto sono in corso ulteriori verifiche documentali; affidamenti che non sono stati ritenuti conformi alle disposizioni di legge e alla giurisprud errza prevalente in materia. Quest'ultimi sono stati suddivisi in casi per i quali, dai dati acquisiti, si è rilevata nna concreta incoerenza con l'affidamento inha'se, in quanto le società manifestano, per le attività svolte, vrLa vocazione commerciale ed in casi per i quali sono state rawisate incongruenze nelle clausole di convenzione e statutarie con la disciplina nazionale e comunitaria. - Casi in house esaminati Ritenuti conformi alle disposizioni di legge e alla Da sottopore 6 40 SUCCCSSlVA verifica giurisprudenza prevalente in lnatena 61. Ritenuti non conformi alle disposizioni di legge e alla eiurisprude nza prev alente in matena Clausole statutarie o di convenzione non L5 Incoerenza dell'affidamento in adeguate relazíone alle c aratte ristic he della Società 2L 19 Sono da richiamare - per la loro frequenza quasi sistematica -, alcune criticità emerse durante I'istrunoria. La prima rrguarda uno dei requisiti fissati dalla giurisprudenza tn materra di controllo analogo che, come si è deno, non è a priori pregiudicato nel caso in cui il paccheno azíonano della società sia posseduto da una pluralità di enti pubblici. In particolare sono state evidet',..-'urte come frequenti le fanispecie nelle quali il singolo ente locale ha difficoltà a dimostare di poter contnntare una azione del soggeno gestore che produca effetti negativi sui suoi interessi specifici. Il secondo aspetto di frequente criticità è individuabile nella circostanza che molti gestori esercitano ulteriori e non marginali anività. Spesso si è argomentato da parte dei soggeni gestori separando I'attività del servizio idrico integrato dalle altre da esso stesso svolte. Tale misua non è convincente, rawisandosi come il gestore continui ad essere collegato o aA essere controllante o controllato da un gruppo societario che operu in vari campi, anche fuori dell'ATO, connotato da chara vocazione commerciale. Vi è infine un ferzo aspetto problematico, anch'esso riscontrato con frequenza, connesso al quadro normativo vigente. I A/ Come noto nel 1994 è stata emanaala legge Galli, volta ad avviare un processo di modemzzazione e norgailzz.azione del settore idrico, reso scarsamente efficiente dall'estrema frammentazione degli operatori (oltre 13.000 nel 1994). Per fare fronte a questa situazione, la legge assegnava alle autorità regionali e locali la norgan:azazione deí servizi di acquedotto e smaltimento attraverso un'integrazíone ter:ritoriale. Per raggiungere questo obienivo la legge definiva i seguenti principi di fondo: - integrazione territoriale e industriale, attraverso I'introduzione degli Ambiti Territoriali Oftimali (AT.O) ; - sepanzione tra le seguenti funzioni: o progrartnazione, regolamentazione, or3arLrzzazione e controllo del servizio idrico, che devono essere svolte dalle autorità locali; . gestione del servizio, aÍfidata ad un opeatore unico indipendente; . propnetà delle infrastrutture; - copertura completa dei costi operativi e di investimento; - obblighi di efficienza e produttività. Stante il fano che - come emerge dai risultati della presente istruuoria - molti affidamenti delle Autorità d'Ambito sono awenuti wrlizzando la formtlazione dell'in ba.ae, si pone il problema di stabilire la compatibikà di questo istituto con i principi ispiratori della legge Galli. Una difficile convivetua tra i principi ispiratori delT'in ha,se e della legge Galli emerge, del resto, dall'Atto di segnalazione dell'Autorità garante della coîcorreriza e del mercato 28/12/2006 n. N375: "Affidamento di servizi pubblici locali aventi r:Irevaru;a economica secondo modalità c.d. in house e ad alcuni contenuti della legge delega in materLa di tali sewizi", che, dopo aver sottolineato il carattere residuale di questo tipo di affidamenti, è esplicito nel rinvenire una situazione di conflino di interesse tra ente pubblico affidante, società aÍfidatane ed ente regolatore proprio nel caso dei servizi idrici. Inoltre, è il caso di rammentare che il Ministero dell'Ambiente con una Circolare del 6 dicembre 2004: "Affidamento in house del servizio idrico integrato" ha stabilito che questo tipo di affidamento, oltre che derogator{o, deve considerani anche transitorio, in quary9 non appresenta una veftr e propria esternalizzazione e messa in concorreva del servzlo. Sulla stessa linea si collocano le recenti disposizioni dell'art. 23-bis del D.L. n.112/2008, convertito nella L.gg. n.L33/20Q8, il quale stabilisce al comma 2 che "Il arferlnv'ta deila grtiorre dei satizi eubWin fuali awierc, in uia ordirwria" ... ndiarte ercà,tra caryaitirn ad. e(idema pulil.na ... " ed introduce al cornma 3 la possibilità di affidamento in deroga alle modalità ordinarie solo in un numero limitati di casi e in esito ad una specifica procedura. Le disposizioni dell'art. 23 b;s rimandano comunque all'emanazíone da parre del Govemo di uno o più regolamenti delegificanti affinché vengano abrogate in modo espresso le parti incompatibfi dell'art 113 del TLIEL e armon:uzza..ala nuova disciplina con quella vigente di settore applicabile ai servizi pubblici locali, compresi quelli in materaadi SII. , M Inhse a Elarto sopra mrridsata, il Consiglio ù dispone linvio ad opera della Direzione Generale Yigtlarua Lavori della presente dehberazíone ai soggeni interessati (Autorità d'Ambito e gestori), corredata per ciascun soggetto delle schede di competenza con le quali si riassume I'esito dell'esame istruttorio; b) invita le Autorità d'Ambito e i gestori, per i quali sono state rilevate criticità specifiche nell'affidamento a Società pubbliche a valutare le criticità segnalate, comunicando i prowedimenti che si intendono adomare al riguardo, entro il termine di 60 giomi dal ricevimento della presente deliberazione; c) invita le Autorità d'Arnbito e i gestori per i quali si sono rawisati necessari ulteriori approfondimenti circa gli affidamenti del SII a fornire chiarimenti e la documentazíone richiesta dall'Autorità, entro termine di 30 giorni dal ricevimento della presente deliberazione; d) dispone il proseguo delle anività istrunorie , da parre della Direzione Yigrlar:za Lavori, relativamente a quanto stabilito nei precedenti punti b) e c); .) assegna come termine conclusione delle anività istruttorie cui precedente punto d) il 31 marzo 2009. il di di Il Consigliere Relatore Andrea Canpnzi tt / lil I |r UUttu^"^^^ : I ,í/ Depositato presso la Segreteria del Consiglio tn data 2 oli Cg,ú6't' Il Segretario 2N il CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza 5 dicembre 2008 n. 6049 - Pres. La Medica, Est. Poli Massa Paolo & F. s.n.c. (Avv. Verde) c. Comune di Orta Nova (Avv. Matassa) ed Associazione Nazionale Esercenti Impianti Lampade Votive Elettriche - A.n.e.i.l.v.e. (Avv. Cinti) N.6049/08 REG.DEC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Quinta Sezione ha pronunciato la seguente DECISIONE sul ricorso iscritto al NRG 9154\2007, proposto dalla ditta Massa Paolo & F. s.n.c. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Verde, elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, via G. Cesare n. 14; contro Comune di Orta Nova, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Nino Matassa, domiciliato presso lo studio del dott. A. Placidi in Roma, via Cosseria n. 2; e nei confronti di Associazione Nazionale Esercenti Impianti Lampade Votive Elettriche - A.n.e.i.l.v.e. – in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Cinti ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, via Lima n. 31. per l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, sezione III, n. 2103 dell’11 settembre 2007. Visto il ricorso in appello; visto l'atto di costituzione in giudizio del comune di Orta Nova; visto l’atto di intervento ad adiuvandum dell’Associazione Nazionale Esercenti Impianti Lampade Votive Elettriche - A.n.e.i.l.v.e. (in prosieguo A.n.e.i.l.v.e.); viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; visti gli atti tutti della causa; data per letta alla pubblica udienza dell’11 novembre 2008 la relazione del consigliere Vito Poli, uditi gli avvocati Cinti, Matassa e Verde; ritenuto e considerato quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. La società Paolo Massa & F. s.n.c. (in prosieguo ditta Massa) gestisce sin dal 1964 il servizio di illuminazione votiva del cimitero di Orta Nova (cfr. atto n. rep. 90 del 1 aprile 1964 recante l’affidamento a trattativa privata del servizio in questione). 166 1.1. Con deliberazione consiliare n. 262 del 12 agosto 1988 il comune di Orta Nova ha rinnovato, sempre a trattativa privata ed in favore della medesima ditta, la concessione della gestione, con diritto di esclusiva, dell’impianto elettrico e del servizio di illuminazione elettrica cimiteriale. 1.2. E’ stato quindi stipulato il relativo contratto di concessione (n. rep. 1046 dell’8 ottobre 1988). Nel contratto si precisa che accanto alla gestione del servizio di illuminazione votiva la ditta Massa si impegna ad effettuare lavori di adeguamento dell’impianto elettrico per un importo complessivo di lire 53.431.000 (art. 1); si attribuisce alla medesima ditta la facoltà di costruire a proprie spese e di gestire nuovi impianti di distribuzione di energia per illuminare le tombe gentilizie, delle confraternite, delle sepolture private e delle fosse comunali (art. 1); si stabilisce la durata ventennale della concessione, con scadenza al 31 dicembre 2008 (art. 2); si prevede, allo scadere della concessione, la facoltà del comune di riaffidare la gestione del servizio in appalto con il contestuale diritto della ditta Massa alla <<….continuità a parità di condizioni risultanti dal nuovo appalto, sempreché non lo vieti ragioni di pubblico interesse>> (art. 3); viene fissato un canone annuo in favore del comune (art. 4); si definiscono gli obblighi di integrazione, miglioria e manutenzione dell’impianto elettrico a carico della ditta (artt. 7 – 11); si specificano gli obblighi di fornitura nei confronti dell’utenza privata, le relative tariffe ed i canoni a carico dei singoli richiedenti (art. 14); si prevede, in particolare e per quanto di interesse ai fini della presente controversia, che <<qualora il Cimitero venisse ampliato o costruito ex novo in altro luogo, la Ditta Massa Paolo si impegna ad ampliare o rifare la rete elettrica a sue spese. In tal caso, la Ditta ha diritto, per ammortizzare la nuova spesa, ad una proroga adeguata della durata della Concessione>> (art. 12). 1.3. Completato l’ampliamento dell’area cimiteriale nel corso dell’anno 2000, la ditta Massa ha inoltrato al comune, a mente dell’art. 12 del contratto di concessione, una serie di richieste per l’esecuzione, a sue spese, delle nuove opere elettriche. Con nota prot. n. 21445 del 30 settembre 2004 il comune ha ricusato la richiesta, manifestando l’intenzione di affidare i lavori a seguito di gara e riservandosi di definire successivamente le modalità di gestione della nuova rete elettrica cimiteriale. 1.4. E’ insorta la ditta Massa, davanti al T.a.r. della Puglia, per domandare, dopo aver svolto una lunga premessa sulla giurisdizione del giudice amministrativo: a) l’annullamento del provvedimento di diniego; b) l’accertamento del diritto all’estensione dell’oggetto del contratto di concessione ed alla proroga del servizio di illuminazione; c) la condanna al risarcimento dei danni. Si è costituito il comune di Orta Nova, riconoscendo esplicitamente la giurisdizione del giudice amministrativo, ma confutando nel merito tutte le pretese. Con atto di motivi aggiunti la ditta Massa ha impugnato anche la nota comunale - prot. n. 141 del 5 gennaio 2007 - recante la diffida ad eseguire unilateralmente i lavori di ampliamento dell’impianto elettrico. 2. L’impugnata sentenza – T.a.r. della Puglia, sezione III, n. 2103 dell’11 settembre 2007 – data per scontata la giurisdizione del giudice amministrativo, ha respinto con dovizia di argomenti tutte le censure e le relative domande, condannando la ditta Massa al pagamento delle spese processuali. 3. Con ricorso ritualmente notificato e depositato la ditta Massa ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza del T.a.r. deducendo: a) il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nel presupposto che l’oggetto della controversia sia rappresentato dall’interpretazione dell’art. 12 del contratto di concessione; b) che nel caso di specie il contratto stipulato nel 1988 avrebbe ad oggetto non già una concessione di servizi pubblici bensì una concessione di costruzione e gestione di opera pubblica ovvero mista, attesa la prevalenza, nell’economia generale del rapporto, dei costi di realizzazione del nuovo impianto elettrico rispetto a quelli di 167 gestione del servizio di illuminazione votiva, con la conseguente inapplicabilità delle disposizioni sancite dall’art. 113 t.u. enti locali, sostituite dalla disciplina tipica degli appalti richiamata dall’art. 144 codice dei contratti pubblici; d) in subordine si invoca l’applicabilità in astratto della disciplina dettata dall’art. 113 bis, t.u. enti locali per i servizi locali privi di rilevanza economica. 4. Si è costituito il comune di Orta Nova deducendo l’inammissibilità e l'infondatezza del gravame in fatto e diritto. E’ intervenuta ad adiuvandum del ricorrente l’Associazione Nazionale Esercenti Impianti Lampade Votive Elettriche - A.n.e.i.l.v.e. (in prosieguo A.n.e.i.l.v.e.). 5. La causa è passata in decisione all’udienza pubblica dell’11 novembre 2008. 6. L’appello è infondato e deve essere respinto. Preliminarmente la sezione precisa che il thema decidendum del presente giudizio è circoscritto dalle censure di primo grado come criticamente riproposte dall’originario ricorrente, non potendo trovare ingresso le doglianze nuove sollevate dall’interventore ad adiuvandum in spregio al divieto dei nova sancito dall’art. 345 c.p.c. ed alla ratio essendi dell’istituto che consente l’introduzione nel processo amministrativo di interessi di mero fatto o riflessi (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 7 maggio 2008, n. 2094). 6.1. Deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità, per carenza assoluta di interesse, del primo motivo di gravame volto a contestare la giurisdizione del giudice amministrativo. L’eccezione è infondata. Presupposto indefettibile per esercitare l’impugnazione è la soccombenza. In astratto, pertanto, solo la parte soccombente in punto di giurisdizione potrebbe appellare il relativo capo di sentenza; tale possibilità sembrerebbe esclusa nel caso concreto essendo risultata la ditta Massa vincitrice sul punto. In proposito, partendo dalla contrapposizione elaborata dalla dottrina germanica fra soccombenza formale e sostanziale, si ritiene che l’interesse ad impugnare debba considerarsi in senso pratico, risolvendosi cioè nel contrasto tra il contenuto della sentenza e le richieste avanzate in primo grado; tale interesse andrebbe apprezzato, pertanto, esclusivamente in relazione all’utilità giuridica che alla parte impugnante potrebbe derivare dall’accoglimento del gravame, con esclusione però dell’interesse di mero fatto o di quello puramente teorico (cfr. Cass. 20 giugno 2005, n. 14031; 24 luglio 2005, n. 15623). Date queste premesse vengono considerate non più eccezioni, ma manifestazioni della illustrata regola, le numerose ipotesi di soccombenza sostanziale acquisite dalla giurisprudenza fra cui si rinviene, per quanto qui interessa, quella che ravvisa l’interesse ad impugnare nei casi in cui l’attore, soccombente nel merito, abbia visto risolta in suo favore una questione pregiudiziale di rito rilevabile d’ufficio, che, risolta diversamente, gli consentirebbe la riproposizione della domanda. Ché è quanto accadrebbe nel caso di specie, dove dall’eventuale accoglimento del pertinente motivo di gravame, discenderebbe l’annullamento, senza rinvio al T.a.r. ex art. 34, l. n. 1034 del 1971, dell’impugnata sentenza per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e la translatio judicii davanti al giudice ordinario (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 14 aprile 2008, n. 1606). Deve convenirsi, pertanto, con la giurisprudenza di questo Consiglio, secondo cui la statuizione del giudice di primo grado sulla giurisdizione è riesaminabile in appello allorché la relativa questione sia stata sollevata in termini, e ciò a prescindere dall’avere l’appellante prescelto col ricorso di primo grado il giudice che poi contesta, posto che tale deduzione riflette sì una contraddittorietà logica ma non tale da risultare incompatibile con la sussistenza dell’interesse ad appellare, essendo comunque idoneo il motivo così dedotto ad ovviare alla soccombenza derivante dalla decisione appellata (cfr. Cons. St., sez. IV, 24 febbraio 2000, n. 999). 168 Tali conclusioni non appaiono suscettibili di rimeditazione alla luce del recente drastico intervento operato dalla Corte di cassazione sulla portata dell’art. 37 c.p.c. (cfr. sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883). Le sezioni unite della Corte di cassazione hanno proposto una interpretazione restrittiva e residuale dell’art. 37 c.p.c., compiendo un nuovo passo verso una sostanziale unità delle giurisdizioni. L’occasione è stata offerta da un ricorso per difetto di giurisdizione del giudice tributario proposto dalle amministrazioni soccombenti tanto in primo che in secondo grado, le quali non avevano in precedenza sollevato alcuna eccezione sotto tale profilo, che non aveva pertanto formato oggetto di esplicita pronuncia. La corte affronta, risolvendolo in senso affermativo, il tema della possibilità di formazione di un giudicato implicito sulla giurisdizione, tale per cui, indipendentemente dalla pronuncia espressa sulla giurisdizione da parte del giudice di primo grado, l’omessa contestazione di quest’ultima in sede di appello ne implica il definitivo radicamento innanzi al plesso giurisdizionale originariamente adito. Muovendo dalla premessa che <<qualsiasi decisione del merito implica la preventiva verifica della potestas iudicandi>> e che <<se la questione della giurisdizione non viene sollevata in alcun modo, significa che non vi è nessuna necessità che il giudice "mostri le proprie credenziali". Ma, il fatto che la decisione non sia "visibile", non significa che sia inesistente>>, le sezioni unite ne deducono che <<la tesi secondo la quale soltanto in caso di dubbio espresso possa riconoscersi la forza certificatrice del giudicato appare illogica, perché esclude tale vis proprio quando la questione non presenta alcun margine di incertezza e viene decisa de plano>>. Dopo aver ricordato che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 e 276, comma 2, c.p.c. (che, come noto, rispettivamente impongono la verifica d’ufficio della potestas iudicandi e la previa disamina delle questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio rispetto alla decisione sul merito), la pronuncia afferma che <<in definitiva, la decisione sul merito implica la decisione sulla giurisdizione e, quindi, se le parti non impugnano la sentenza o la impugnano, ma non eccepiscono il difetto di giurisdizione, pongono in essere un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire tale difetto e, quindi, si verifica il fenomeno dell’acquiescenza per incompatibilità con le conseguenti preclusioni sancite dagli artt. 329, secondo comma, c.p.c. e dall’art. 324 c.p.c.>>. Il pensiero delle sezioni unite è ulteriormente sviluppato in un successivo passaggio della pronuncia, nel quale si rileva che <<l’evoluzione del quadro legislativo, ordinario e costituzionale, mostra l’affievolimento della centralità del principio di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, accompagnata dalla simmetrica emersione dell’esigenza di burocratizzare la giustizia, non più espressione esclusiva del potere statale, ma servizio per la collettività, che abbia come parametro di riferimento l’efficienza delle soluzioni e la tempestività del prodotto-sentenza, in un mutato contesto globale in cui anche la giustizia deve adeguarsi alle regole della concorrenza (si parla infatti di concorrenza degli ordinamenti giuridici>>); più avanti la medesima decisione richiama, in nome della <<bontà e celerità del servizio giustizia>>, la <<perdita di anelasticità ed impermeabilità della giurisdizione>> quale risulta dalla sentenza n. 77 del 2007 della Corte costituzionale che ha innovato rispetto ai tradizionali principi della incomunicabilità dei giudici appartenenti ad ordini diversi, incompatibili con un sistema che non può sacrificare <<il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al "bene della vita" oggetto della contesa>>. E’ evidente che i principi espressi dalla Cassazione, ancorché traggano linfa diretta nel dovere di lealtà e probità previsto dall’art. 88 c.p.c. e nel valore costituzionale della ragionevole durata del processo, non consentono di superare: il dato positivo specifico sancito per il processo amministrativo dall’art. 30, co. 1 e 2, l. n. 1034 del 1971, oggetto di opposta interpretazione da parte dell’adunanza plenaria di questo Consiglio (cfr. decisioni nn. 4 e 6 del 2005 che ammettono il rilievo officioso da parte del Consiglio di Stato della questione di giurisdizione in presenza di una statuizione implicita); alcuni limiti invalicabili all’evoluzione in senso dispositivo della disciplina dei meccanismi di rilievo della giurisdizione (testimoniata dall’abrogazione dell’art. 2 c.p.c., in relazione al quale la stessa sentenza delle sezioni unite invoca il fenomeno del c.d. forum shopping), intrinseci alla regola costituzionale del giudice naturale ed al principio generale dell’effetto devolutivo dell’appello; la conseguente impossibilità di configurare, praeter legem, meccanismi preclusivi processuali che inibiscano nel corso del giudizio di primo grado la verifica officiosa della potestas iudicandi e conseguentemente in sede 169 di gravame la proposizione del relativo mezzo (come dovrebbe ammettersi nel caso di specie qualora si riconoscesse l’effetto preclusivo dell’accettazione esplicita da parte del comune della giurisdizione amministrativa). 6.2. Per un migliore esame di tutti i motivi di appello proposti, è indispensabile assodare l’esatta natura giuridica dell’affidamento per cui si controverte. Come noto tale riscontro deve essere effettuato prioritariamente attraverso la disamina degli atti della procedura di affidamento (cfr. Cons. St., sez. V, 15 gennaio 2008, n. 36). In linea generale si ritiene che l’illuminazione elettrica votiva di aree cimiteriali da parte del privato costituisca oggetto di concessione di servizio pubblico locale a rilevanza economica e fruizione individuale perché richiede che il concessionario impegni capitali, mezzi, personale da destinare ad un’attività economicamente rilevante in quanto suscettibile, almeno potenzialmente, di generare un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull’assetto concorrenziale del mercato di settore (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 14 aprile 2008, n. 1600). Tanto si evince dal d.m. 31 dicembre 1983 che ricomprendeva tra i c.d. servizi pubblici a domanda individuale proprio quello di illuminazione votiva e risulta oggi confermato dalla norma generale sancita dall’art. 172, co. 1, lett. e), t.u. enti locali che impone di allegare al bilancio di previsione, fra gli altri documenti, le deliberazioni con le quali sono determinati le tariffe per i servizi locali, nonché per quelli a domanda individuale, nonché i tassi di copertura in percentuale del costo di gestione dei servizi stessi. In questi casi emerge il tratto distintivo della concessione di pubblico servizio che è dato: a) dall’assunzione del rischio legato alla gestione del servizio quale modalità di remunerazione dell’attività del prestatore (cfr. da ultimo Corte giust. CE, 18 luglio 2007, C-382/05); in quest’ottica, esaltando la funzione dell’assunzione di rischio, si ritiene addirittura irrilevante che il servizio pubblico sia indivisibile e che sia remunerato attraverso il pagamento di un prezzo da parte dell’amministrazione anziché mediante un corrispettivo a carico degli utenti (cfr. Cons. St., sez. V, 15 gennaio 2008, n. 36; sez. V, 9 giugno 2008, n. 2865, fattispecie in tema di illuminazione di strade comunali, dove si è affermato essere indifferente che i cittadini usufruiscano del servizio uti singuli o come componenti della collettività); b) dalla circostanza che il corrispettivo non sia versato dall’amministrazione, come nei contratti di appalto di lavori, servizi e forniture la quale, anzi, percepisce un canone da parte del concessionario (cfr. Cons. St., sez. VI, 5 giugno 2006, n. 3333); c) dalla diversità dell’oggetto del rapporto, che nella concessione di servizi è trilaterale (coinvolgendo l’amministrazione, il gestore e gli utenti), mentre nell’appalto è bilaterale (stazione appaltante – appaltatore). In seguito la distinzione è stata codificata dalla direttiva 31 marzo 2004/18/CE e quindi recepita nel nostro ordinamento dall’art. 3, co. 12, del Codice dei contratti, definendo la concessione di servizi come <<un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo>>. Per quanto concerne la distinzione tra concessioni di servizi e concessioni di lavori, al cospetto di fattispecie miste (come nella vicenda in esame) nelle quali le procedure di affidamento contemplano anche l’esecuzione di lavori congiuntamente alla gestione del servizio, deve evidenziarsi la modifica dell’art. 2, l. n. 109 del 1994 ad opera della l. n. 62 del 2005 con la codificazione del criterio qualitativo - funzionale dell’accessorietà dei lavori rispetto all’oggetto principale dedotto nel contratto di servizio pubblico; sotto tale angolazione, con riferimento ancora alla normativa previgente, la Corte di giustizia CE non aveva mancato di stigmatizzare il diverso criterio della prevalenza quantitativa delle prestazioni a torto invocato dall’odierno appellante (cfr. sentenza 21 febbraio 2008, causa C/412/04); anche la più recente giurisprudenza nazionale ritiene che si avrà concessione di lavori pubblici ovvero di pubblici servizi a seconda che risulti strumentale il servizio rispetto alla costruzione dell’opera o viceversa (cfr. Cass., sez. un., 14 febbraio 2008, n. 3518; Cons. St., sez. IV, 30 maggio 2005, n. 2804). Tanto premesso sul piano dei principi, emerge per tabulas, dalla ricostruzione dianzi effettuata del contenuto della delibera consiliare e del relativo contratto, che nel caso di specie l’amministrazione ha inteso in primo 170 luogo affidare la gestione del servizio di illuminazione votiva e prevedere in chiave meramente accessoria l’ammodernamento dell’impianto elettrico. Dal punto di vista funzionale pertanto, l’impianto elettrico in questione è un semplice strumento rispetto all’esigenza prioritaria di assicurare il culto dei defunti anche attraverso la gestione del servizio di illuminazione; e questo a prescindere dalla diversa incidenza dei costi delle opere e del servizio rispetto al valore complessivo della concessione. 6.3. Può scendersi all’esame del mezzo di gravame con cui si contesta la giurisdizione del giudice amministrativo. Il mezzo è infondato. 6.3.1. Nella vigenza dell’originaria versione dell’art. 5, l. T.a.r. non si dubitava che allorquando un comune si fosse avvalso dell’opera di un privato in relazione alle attività connesse all’illuminazione votiva cimiteriale, il relativo rapporto concretasse una concessione di pubblico servizio e non di opera pubblica, come tale soggetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (cfr. Cass., sez. un., 7 agosto 1998, n. 7757). Alle medesime conclusioni è pervenuta la giurisprudenza dopo l’entrata in vigore della norma sancita dall’art. 33, d.lgs. n. 80 del 1998 (cfr. Cass. sez. un., 27 aprile 2000, n. 294, secondo cui la controversia tra il concessionario di un pubblico servizio di illuminazione votiva cimiteriale e l’amministrazione, relativa alla revisione annuale delle tariffe da praticare agli utenti ed al contributo di allacciamento spettante al concessionario, è devoluta al giudice amministrativo). Il quadro non è mutato, in parte qua, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004; nella nuova formulazione risultante dall’intervento manipolativo, l’art. 33, co. 1, cit. dispone nel senso che <<sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi …. ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio …>>. La presente controversia, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, ha ad oggetto la decisione dell’amministrazione di non concedere un ulteriore affidamento diretto del servizio in questione (oltre che degli accessori lavori di costruzione della piattaforma elettrica); trattasi dunque di un giudizio avente natura essenzialmente impugnatoria di un atto espressivo di funzione pubblica. Si è al cospetto, quindi, di una controversia in cui l’eventuale cognizione di diritti soggettivi da parte del giudice amministrativo è in relazione al coinvolgimento immediato e diretto di poteri amministrativi, secondo il paradigma individuato dalla Corte costituzionale nella su menzionata sentenza n. 204 del 2004. 6.4. Accertata la natura propriamente concessoria di servizio pubblico, a rilevanza economica e fruizione individuale, del rapporto giuridico che lega il comune di Orta Nova alla ditta Massa, la sezione può prescindere dall’esame delle plurime eccezioni di inammissibilità, sollevate dalla difesa comunale per violazione del divieto dei nova, delle censure di merito articolate in sede di appello, stante la loro infondatezza. Le tesi propugnate dall’appellante non possono essere accolte per due ordini autonomi di ragioni. 6.4.1. L’art. 12 del contratto, al contrario di quanto sostenuto dall’appellante, non fonda alcun diritto soggettivo del concessionario in ordine all’estensione dell’ambito oggettivo e della durata temporale del rapporto concessorio. Esso, viceversa, presuppone l’esercizio da parte dell’ente concedente dei poteri pubblicistici suoi propri. A tale conclusione si giunge facendo uso dei canoni legali di interpretazione del contratto ed in particolare di quelli sanciti dagli artt. 1362 e 1363 c.c. La reale intenzione delle parti emerge dal tenore testuale della clausola recata dal menzionato art. 12, letta alla luce del complesso delle pattuizioni contrattuali costitutive di una classica fattispecie di concessione – 171 contratto, ovvero di un accordo accessivo ad un provvedimento autoritativo unilaterale che affida l’esercizio del servizio pubblico ad un soggetto estraneo all’organizzazione dell’ente concedente. In tale contesto è evidente che la clausola prevista dall’art. 12 richiami, nella sostanza, la struttura del patto di opzione il cui modello è scolpito dall’art. 1331 c.c.: un negozio bilaterale, accessivo ad un contratto principale, in cui il promittente (la ditta Massa) rende irretrattabile la dichiarazione manifestata di concludere un eventuale successivo contratto di servizio, dando corso ad una proposta irrevocabile cui corrisponde la facoltà di accettazione – giammai l’obbligo – da parte del promissario (il comune di Orta Nova). 6.4.2. Ulteriore ostacolo all’accoglimento delle domande di annullamento, accertamento e condanna proposte dalla ditta Massa si rinviene in alcune norme sancite dall’art. 113, t.u. enti locali, nel testo vigente al momento della adozione dei provvedimenti di diniego opposti dal comune, quale risulta a seguito dell’intervento manipolativo operato dalla Corte costituzionale con la sentenza 27 luglio 2004, n. 272. In particolare vengono in rilievo due norme. La prima è quella divisata dal comma 15 bis secondo cui << … le concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2006 …>>. E’ evidente che la concessione del servizio votivo, affidata senza gara, in base alla norma imperativa su riportata sarebbe venuta a scadenza anticipata rispetto al termine naturale fissato al 31 dicembre 2008 dall’art. 2 del contratto, ostacolando qualsiasi possibilità di proroga del servizio medesimo. La seconda norma impeditiva della pretesa della ditta ricorrente è quella sancita dal comma 5, del medesimo art. 113, secondo cui <<L’erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell’Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio: a) a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di procedure ad evidenza pubblica….>>. La norma in commento, che impedisce in generale di affidare servizi pubblici locali a rilevanza economica senza gara, è a sua volta espressiva di un principio risalente, enucleabile dagli artt. 3 e 6, r.d. n. 2440 del 1923, e 41, r.d. n. 827 del 1924, applicato dalla giurisprudenza di questo Consiglio proprio avuto riguardo al servizio di illuminazione votiva (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, n. 1600 del 2008 cit.; sez. VI, 7 aprile 2006, n. 1893) ed incentrato sul carattere assolutamente eccezionale del ricorso alla trattativa privata. Bene ha fatto, pertanto, il comune a rifiutare la richiesta di esecuzione dei lavori e di proroga dell’affidamento del servizio di illuminazione votiva. 7. In conclusione l’appello deve essere respinto. Le spese di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso meglio specificato in epigrafe: - respinge l’appello e per l’effetto conferma la sentenza impugnata; - condanna la ditta Massa Paolo & F. s.n.c. e l’Associazione Nazionale Esercenti Impianti Lampade Votive Elettriche - A.n.e.i.l.v.e. – in solido fra loro, a rifondere in favore del comune di Orta Nova le spese, le competenze e gli onorari del presente grado di giudizio che liquida in complessivi euro 8.000/00 oltre accessori come per legge (12,50% a titolo rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A.). Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11 novembre 2008, con la partecipazione di: 172 Domenico La Medica - Presidente Filoreto D’Agostino - Consigliere Aniello Cerreto - Consigliere Vito Poli Rel. Estensore - Consigliere Francesco Caringella - Consigliere ESTENSORE IL PRESIDENTE F.to Vito Poli f.to Domenico La Medica DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 5/12/08. 173 TAR Lazio – Roma, Sez. II bis – sentenza 18 dicembre 2008 n. 11697 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO Sezione Seconda Bis ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso n. 7165/2008, proposto da Luigi Guidi, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Claudio Duchi e Silvia Cosmo del Foro di Milano nonché dall’Avvocato Fabrizio Paoletti ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo in Roma, Via G. Bazzoni n.3; contro il Comune di Morlupo (Roma), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall' Avv. Giuseppe Ciaglia, ed elettivamente domiciliato presso lo Studio Legale Associato Caso-Ciaglia in Roma, via Savoia n. 72 e nei confronti di Michele lncecchi, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Enrico Cellentani e Cala V. Efrati ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Lucrino n. 10; per l'annullamento - del verbale di gara prot. n. 9160 del 19 maggio 2008 avente ad oggetto: "verifica requisiti busta A", a firma del presidente arch. Cinzia Zangara, con cui la commissione di gara ha verificato i requisiti di ammissibilità dei partecipanti; - del verbale di gara redatto in data 19 maggio 2008, a firma del Presidente di commissione, avente ad oggetto: "valutazione progetti - busta B per la scelta del socio privato farmacista cui affidare la direzione e la gestione della seconda sede farmaceutica nel Comune di Morlupo" con cui la commissione di gara ha aggiudicato in via definitiva la suddetta gara al dottor Michele lncecchi; - della determina dirigenziale n. 655 del 15 maggio 2008 con cui è stata nominata la commissione di gara; della determinazione del Responsabile del Dipartimento Tecnico Ambientale - Servizio attività produttive n. 337 dell' 11 marzo 2008 con la quale è stata indetta la gara ed approvato il relativo bando, nonché del bando stesso; - della deliberazione del Consiglio Comunale di data 27 dicembre 2007, n. 57 con la quale è stato approvato il regolamento di gestione della farmacia, l'atto costitutivo e lo statuto della costituenda società; - nonché di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, contemporaneo o successivo comunque connesso alla procedura di gara, ivi compresa la nota n. 9542, prot. del Dipartimento Tecnico Ambientale Servizio Attività Produttive di data 23.5.2008 con la quale è stata restituita la cauzione e comunicata la mancata aggiudicazione. Visto il ricorso ed i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune intimato e del controinteressato; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 4 dicembre 2008 il dott. Raffaello Sestini, uditi gli Avvocati di parte come da verbale d’udienza; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: FATTO 1. A seguito della revisione della pianta organica della farmacie dei comuni della provincia di Roma, nel Comune di Morlupo si è resa disponibile una seconda sede farmaceutica, in quanto in Italia, a differenza di altri Paesi europei, le farmacie aperte al pubblico, pubbliche o private che siano, sono tuttora a numero chiuso in relazione alla popolazione comunale. Il Comune di Morlupo ha esercitato il proprio diritto di prelazione per assumere la titolarità della seconda sede farmaceutica di nuova istituzione. Con deliberazione consiliare n. 53 del 2007, il Comune, per gestire la nuova farmacia comunale, ha poi deciso di costituire una Società a responsabilità limitata a partecipazione pubblica maggioritaria con capitale sociale pari ad euro 20.000, e di bandire una gara per l'individuazione di un socio privato di minoranza al quale alienare la quota del 49% del capitale sociale. Con determinazione del responsabile del Dipartimento Tecnico Ambientale Servizio attività produttive n. 337 dell'11 marzo 2008, è stato, quindi, approvato il bando di gara, volto ad individuare una persona fisica avente una ampia e qualificata esperienza, mediante l’esame dei i titoli di servizio, del curriculum professionale e dei titoli di studio. Il socio privato avrebbe assunto il ruolo di direttore ed amministratore delegato per gestire la società, anche provvedendo alle necessarie assunzioni, ed avrebbe dovuto provvedere a proprie 174 spese all'arredamento dei locali comunali ed alla fornitura di attrezzature e medicinali e di tutto quanto occorrente per la messa in funzione del servizio. Il criterio di selezione era stabilito nell’individuazione dell’offerta più vantaggiosa, attribuendo un massimo di 10 punti per i titoli di studio, 10 per i titoli di servizio, 15 per il progetto gestionale (indicando anche i tempi e costi d’avvio e le eventuali “iniziative collaterali”), 10 per il progetto tecnico-economico (indicando anche arredi ed attrezzature) e 5 per il “curriculum vitae et studiorum”. Il bando prevedeva la separata valutazione, prima della busta A, con i requisiti di partecipazione e le dichiarazioni dei concorrenti, poi della busta B, con gli elaborati progettuali ed il curriculum del concorrente. 2. Alla gara hanno partecipato il ricorrente ed il controinteressato. Entrambe le offerte sono state ammesse, ma quella del controinteressato ha ottenuto un punteggio molto più alto rispetto al ricorrente (45,75 contro 35), dovuto alla diversa valutazione dei rispettivi elaborati progettuali (23 contro 12), mentre il punteggio riferito alle restanti voci vedeva in lieve vantaggio il ricorrente (per 0,25 punti). 3. Il Dottor Guidi ha impugnato la conseguente aggiudicazione al controinteressato Dottor Incecchi, deducendo le seguenti censure. 1) Violazione dell'art. 91 comma 3, del D.P.R. 21.12.1999 n. 554 e dei principi generali in tema di disciplina di presentazione dell'offerta e di autonomia di giudizio della Commissione di aggiudicazione, nonché di formazione preventiva dei criteri di valutazione delle offerte ed in generale del principio di buon andamento della funzione amministrativa; eccesso di potere per manifesta iIlogicità, difetto di imparzialità e trasparenza del bando e del successivo verbale di gara nella parte in cui non prevedono la separazione dell'offerta tecnica da quella economica. 2) Con riferimento al progetto gestionale della farmacia ed al progetto tecnico economico, violazione dell'art. 83 del d.lgs 12.4.2006 n. 163 per omessa previsione dei criteri di selezione del socio privato nel bando e nei successivi atti di gara della commissione. Eccesso di potere per carenza di motivazione e violazione dell'art. 3 della L. n. 241/2003. Violazione del principio di imparzialità, di trasparenza e amministrativa sotto diverso profilo. 3) Con riferimento all'offerta economica: eccesso di potere per violazione della prescrizione contenuta al punto n. 4 del bando di gara relativa all'obbligo di assumere da parte del socio privato tutte le spese di allestimento della farmacia; eccesso di potere per carente motivazione, per travisamento di presupposto essenziale, per palese irrazionalità e per disparità di trattamento. 4)- Con riferimento al progetto gestionale della farmacia ed al progetto tecnico economico: eccesso di potere per travisamento di presupposto essenziale, disparità di trattamento, carenza di motivazione. Violazione dell'art. 3 della L. ll. 241/2003. 4. Il Comune resistente ed il professionista eccepiscono, in primo luogo, l’inammissibilità del ricorso per tardività, non essendo stato impugnato in termini il bando di gara, cui si riferirebbero, in realtà, tutte le censure dedotte, nonché, sostanzialmente, l’inammissibilità per difetto d’interesse, in quanto una ripetizione della procedura comporterebbe sicuramente l’esclusione del ricorrente, che ha proposto, si narra, una soluzione progettuale certamente illegittima, sia quanto ai criteri di ammortamento finanziario delle attrezzature, sia quanto alla indebita commistione fra la farmacia ed il previsto adiacente ambulatorio medico, che avrebbero apportato una non consentita modifica allo schema di offerta previsto dal bando, ritenuta da parte resistente deontologicamente scorretta e forse addirittura penalmente rilevante. Le medesime considerazioni, insieme a numerose altre carenze e criticità degli elaborati progettuali del ricorrente, giustificherebbero altresì il basso punteggio, a lui attribuito nell’esercizio di una discrezionalità tecnica che, restando nell’ambito dei criteri fissati dal bando, non necessiterebbe di altra motivazione oltre il punteggio numerico. Il ricorso risulterebbe, quindi, anche infondato nel merito. 5. In sede cautelare, questo TAR ha rilevato che, pur essendo oggetto della gara la scelta del socio privato farmacista cui affidare la gestione e direzione della seconda sede farmaceutica comunale, gli elementi di valutazione apparivano viziati da una illegittima commistione (richiedendosi, oltre al progetto concernente la modalità di gestione, un progetto tecnico- economico con assegnazione di punteggio non irrilevante); pertanto, non essendosi ancora conclusa la procedura, il TAR ha ritenuto la sussistenza dei presupposti per l' accoglimento dell'istanza cautelare incidentale, essendo necessario, ai fini della tutela dell'interesse pubblico, che la scelta del socio privato sia effettuata sulla base di criteri certi e meglio specificati, nel rispetto dei principi comunitari in materia di gara ad evidenza pubblica, (formulazione preventiva e dettagliata dei criteri, definizione inequivoca dell'oggetto). Il TAR ha quindi accolto la domanda incidentale di sospensione ed ha fissato il merito alla pubblica udienza del 4 dicembre 2008, data in cui il giudizio è stato introitato dal Collegio per la decisione. DIRITTO 1. Con il ricorso in epigrafe il Dottor Luigi Guidi, giovane farmacista della Provincia di Livorno, impugna gli atti della gara bandita dal Comune di Morlupo per la scelta del socio privato farmacista cui affidare la direzione e la gestione della seconda sede farmaceutica del Comune, cui ha partecipato avendo 175 conosciuto il bando via internet, ma che è stata aggiudicata in via definitiva al controinteressato dottor Michele lncecchi. 2. Devono, in primo luogo, essere respinte le eccezioni di inammissibilità per tardività proposte da parte resistente in quanto, in disparte la considerazione che non tutte le censure proposte presuppongono l’illegittimità del bando, secondo l’oramai univoca giurisprudenza, ormai da tempo confermata dal Consiglio di Stato in adunanza plenaria, le singole prescrizioni del bando, per la parte in cui non precludono in radice la partecipazione, divengono immediatamente lesive solo all’esito sfavorevole per il ricorrente della procedura di gara. 3. Quanto all’eccepita inammissibilità, e comunque non meritevolezza, dell’offerta del ricorrente, in disparte la considerazione che ciò non è stato fatto valere né nel corso della procedura di gara (nella quale il ricorrente si è utilmente classificato al secondo posto), né in sede di ricorso incidentale, occorre evidenziare che l’attività di vendita al dettaglio al pubblico di farmaci (indipendentemente dal fatto che il costo sia o meno a carico del Servizio pubblico sanitario) costituisce un’attività economica commerciale di carattere imprenditoriale. Ad essa devono pertanto applicarsi il principio di libertà d’iniziativa economica privata sancito dall’art. 41 della Costituzione ed il principio di libera concorrenza sancito dal Trattato C.E., restando la tutela del consumatore assorbita, alla stregua di un criterio di proporzionalità e di ragionevolezza, dalla presenza al banco di un farmacista. Ne consegue che la limitazione numerica degli esercizi abilitati a vendere farmaci (fatta eccezione per la vendita di alcuni farmaci, recentemente liberalizzata mediante le cosiddette parafarmacie), e la stessa possibilità di opzione esercitata nel caso in esame dal Comune interessato, possono essere ritenute legittime dal Collegio (e quindi non devono essere sottoposte in via incidentale alla Corte costituzionale ed alla Corte di giustizia), solo se e nella misura in cui assicurano una migliore tutela della pubblica salute, secondo le previsioni dell’art. 32 della Costituzione e delle corrispondenti norme comunitarie. Ne consegue anche che la scelta del Comune, di gestire la farmacia avvalendosi di una società mista, presuppone necessariamente la volontà di ottimizzare, alla stregua dei parametri costituzionali di buon andamento (art. 97 Cost.), l’efficacia ed economicità dell’attività economico-commerciale, anche valorizzando la componente imprenditoriale apportata dal socio privato. 4. La precedente premessa, solo apparentemente astratta, ha in realtà due immediate rilevanti ricadute sul giudizio in esame, discendendone: a) la piena legittimità, ed anzi la meritevolezza, di ogni proposta dei concorrenti che, utilizzando lo spazio lasciato dal bando alle eventuali “iniziative collaterali”, introduca nuovi o più ampi servizi di tutela della salute della cittadinanza, valorizzando il profilo di interresse pubblico che giustifica la disciplina (e nel caso di specie anche la gestione) pubblicistica del servizio farmaceutico. Ciò ad esempio accadrebbe, per l’evidente sinergia che si creerebbe, con l’apertura dell’adiacente ambulatorio medico previsto dall’offerta del ricorrente, senza che ciò possa violare, osserva il Collegio, alcuna norma deontologica (trattandosi di attività libero-professionale medica non contingentata) e tanto meno penale (restando la relativa gestione, seppure in convenzione con la farmacia, nella esclusiva responsabilità del socio privato), salvo restando, naturalmente, l’obbligo del corretto esercizio della professione medica e di rispetto delle regole di concorrenza, sotto il duplice profilo della possibile indebita creazione di diritti speciali da parte del socio pubblico e del possibile indebito addebito dei costi al bilancio pubblico. E’ opportuno evidenziare, al riguardo, che modelli di questo tipo sono già conosciuti dal nostro Ordinamento, ad esempio con la c.d. intramenia allargata, che abilita i medici ospedalieri ad operare sul territorio, per conto dell’ASL, in concorrenza con i privati, e che crea ben più gravi perplessità circa la possibile alterazione della concorrenza; b) la piena legittimità, ed anzi la meritevolezza, di ogni proposta dei concorrenti (quale l’estensione dell’orario e dell’offerta, l’attenzione all’efficienza, flessibilità e cortesia del servizio svolto al banco, le attività promozionali e la sinergia con altre attività e servizi – così come potrebbe accadere con l’ambulatorio medico…) volta a valorizzare la “performance” economica del servizio farmaceutico in esame. Infatti, anche in relazione alla figura giuridica prescelta (società mista, cioè soggetto economico imprenditoriale operante secondo le regole del diritto privato), i servizi sanitari offerti alla cittadinanza dalla nuova farmacia devono trovare copertura finanziaria nell’attività economico-commerciale di vendita, la quale, anche se è operante in un mercato contingentato quanto ai farmaci con prescrizione medica, comunque si deve svolgere in condizioni di piena e totale concorrenza con tutti gli altri operatori, pubblici e privati, presenti su quel mercato; c) al riguardo, giova altresì ricordare che il concorrente che sarà aggiudicatario, da un lato è espressamente esentato da ogni vincolo di subordinazione, mantenendo un’ampia autonomia, ad esempio quanto alla previsione di iniziative sinergiche, ma d’altro lato resta socio di minoranza e deve accettare senza riserve lo statuto societario allegato al bando, lasciando così al Comune la possibilità di verificare e garantire nel tempo la corretta gestione della farmacia. 5. Ad analoghe considerazioni si prestano le ulteriori controdeduzioni di parte resistente, circa il previsto ammortamento delle spese di allestimento dell’esercizio, trattandosi di una mera previsione di partita finanziaria, non idonea ad alterare le condizioni previste dal bando circa la non addebitabilità di tali 176 spese all’Amministrazione, fermo restando quanto osservato circa la mancata proposizione di tale censura in modi e tempi idonei. 6. Chiarita l’ammissibilità dell’offerta del ricorrente, e quindi la sua legittimazione a ricorrere, il Collegio deve osservare , nel merito, che le censure proposte sono riconducibili a due diverse tipologie: a) la prima tipologia di censure è volta alla caducazione dell’intera procedura, a causa dell’indebita commistione, nella valutazione, fra elementi dell’offerta tecnica e di quella economica, consistente essenzialmente nella provvista economica messa a disposizione dal concorrente per l’avvio dell’attività (I motivo di ricorso); oppure a causa della mancata previa definizione dei criteri di valutazione dei diversi elementi dell’offerta rilevanti ai fini dell’attribuzione del punteggio, unita alla mancata motivazione dei punteggi numerici attribuiti (II motivo); b) la seconda tipologia di censure è, invece, volta all’annullamento dell’aggiudicazione della gara al controinteressato ed al conseguente ottenimento della quota societaria di minoranza per la gestione della farmacia comunale, a causa dell’inammissibilità dell’offerta concorrente (III motivo) ovvero a causa dell’errata valutazione della propria offerta (IV motivo). Al riguardo, pur se il ricorrente non distingue le censure fra prioritarie e subordinate, il Collegio ritiene, in conformità ad un’autorevole giurisprudenza, di doverne graduare l’ordine di esame secondo l’interesse sostanziale fatto valere, in conformità al principio di effettività della tutela giurisdizionale, che trova il proprio fondamento negli artt. 24, 101 e 113 Cost. oltrechè nella Convenzione Europea di Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali del 1950. Ne discende la necessità di esaminare le censure volte alla caducazione dell’intera procedura, e quindi rispondenti all’interesse solo strumentale del ricorrente a partecipare alla nuova gara eventualmente bandita, solo in caso di mancato accoglimento delle prime censure che dovranno essere esaminate, volte a sovvertire la graduatoria della gara, con il conseguente obbligo dell’Amministrazione di aggiudicare in favore del ricorrente. 7. Esaminando il merito del giudizio secondo l’ordine indicato, il Collegio deve in primo luogo escludere la fondatezza del IV motivo di ricorso, volto a far valere i vizi di eccesso di potere per travisamento di presupposto essenziale, disparità di trattamento, carenza di motivazione e violazione dell'art. 3 della L. n. 241/2000, con riferimento dell’errata valutazione del proprio progetto gestionale e tecnico-economico. Infatti, dall’argomentazione di parte ricorrente risulta evidente la erroneità e comunque la marginalità dei rilievi mossi al suo progetto in sede di gara (concernenti ad esempio la mancata previsione delle linee di cortesia sul pavimento), ma neppure emerge alcun elemento idoneo a far presupporre che siano stati proprio quei modesti rilievi a determinare un così rilevante scarto di punteggio rispetto al progetto avversario. D’altronde, il margine di discrezionalità tecnica che caratterizza la valutazione in esame, osta all’attribuzione di un valore determinante agli ulteriori profili di pregio del proprio progetto evidenziati dal ricorrente. E’ nota, infine, la oramai risalente ma immutata giurisprudenza del Consiglio di Stato, nonostante le diverse decisioni del Giudice di primo grado, circa la sufficienza di una valutazione resa in forma numerica mediante l’attribuzione di un punteggio. 8. Diversa è la valutazione del Collegio in ordine al III motivo di ricorso, volto a far valere il vizio di violazione della prescrizione contenuta al punto n. 4 del bando di gara, relativa all'obbligo del socio privato di assumere tutte le spese di allestimento della farmacia, nonché il vizio di eccesso di potere, per travisamento di presupposto essenziale, palese irrazionalità e disparità di trattamento. In particolare, il punto n. 4 del bando prescrive che il socio dovrà provvedere a proprie spese, entro 120 giorni dalla consegna dei locali di proprietà comunale, all'arredamento (eventuali annessi compresi) oltre che alla fornitura di attrezzature, medicinali e “di tutto quanto occorrente per la messa in funzione del servizio”. Il successivo punto n. 6, a conferma, include nel progetto tecnico gli elaborati progettuali dell’arredamento, delle attrezzature e del laboratorio. Il ricorrente, quindi, evidenzia che, mentre egli con la propria offerta si è accollato circa 75.000 Euro per gli interventi di ristrutturazione, cablaggio e condizionamento dell’edificio propedeutici all’arredo (comportante circa altri 65.000 Euro a proprio carico, per un totale di circa 140.000 Euro), al contrario l’aggiudicatario, sull’affermato presupposto che i lavori di ristrutturazione sarebbero stati a carico non suo ma della costituenda società, "non essendo diversamente specificato nel bando ", ha rimandato la loro determinazione a dopo la costituzione della società stessa, precisando che, qualora i lavori di ristrutturazione “si intendessero di pertinenza del candidato socio privato” le risorse finanziarie necessarie si sarebbero ricavate da “interventi di contenimento della spesa” per arredi ed apparecchiature (pari a circa 140.000 Euro così come per il ricorrente), “a fronte dell’acquisto di apparecchiature di qualità inferiore e quindi meno costose”. Ciò rende l’offerta tecnico-economica, osserva il Collegio, del tutto incerta, e quindi non valutabile, e comunque non meritevole di punteggio. 9. Inoltre, il ricorrente dichiara, nell’offerta, che conferirà prima alla società la citata somma di 140.000 Euro, a suo carico, da corrispondere a terzi per le opere e forniture in esame, con una sorta di “triangolazione” volta a spuntare una minore imposizione fiscale, e dichiara anche che ciò favorirà l’opzione 177 di “far ricorrere la medesima società al credito” ipotizzando l’accensione di un mutuo d 120.000 Euro della durata di dieci anni. Il punto è stato oggetto di ampia disamina fra le parti, e l’amministrazione e la controinteressata hanno argomentato la facoltatività e vantaggiosità economico-finanziaria dell’operazione. Il Collegio non può certo pronunciarsi sull’opportunità “etica” dell’operazione e delle sue finalità, né può assumere alcun rilievo il “sospetto”, nascente anche dalle recenti sopravvenienze nel mondo dell’economia, per i meccanismi finanziari di moltiplicazione “virtuale” della liquidità. Peraltro, qualunque sia il giudizio sulla duplice previsione in esame, il Collegio deve osservare, così come censurato dal ricorrente, che l’introduzione nell’offerta del predetto conferimento finanziario (con la clausola “a garanzia della buona fede, della trasparenza e correttezza degli importi di spesa previsti”), unitamente alla successiva accensione di un mutuo, comporta un indebitamento della società, a partecipazione pubblica maggioritaria, pari ad Euro 120.000 verso il mondo bancario (per il mutuo) oltre ad Euro 140.000 verso il socio privato (che resterebbe creditore per il conferimento effettuato), e quindi viola apertamente la previsione del bando, che addebita ogni onere economico-finanziario al socio privato, rendendo non valutabile l’offerta tecnico-economica. Qualora, poi, la previsione in esame dovesse essere ritenuta solo opzionale (peraltro in contrasto con il tenore letterale dell’offerta, almeno quanto al conferimento), ciò, comunque, renderebbe l’offerta incerta, impedendo ugualmente la valutazione del progetto tecnico-economico e quindi l’attribuzione di qualunque punteggio al riguardo. 10. Il terzo motivo di ricorso deve pertanto essere accolto, risultando la censura fondata, con il conseguente annullamento dell’aggiudicazione e dei precedenti atti di gara, per la parte in cui non hanno escluso il controinteressato a seguito dell’esame della sua offerta tecnico-economica, ovvero non hanno dichiarato l’impossibilità di attribuire un punteggio alla sua offerta tecnico-economica, e ciò, come sopra illustrato, esime il Collegio dall’esame delle ulteriori censure. 11. Restano da stabilire le immediate conseguenze del sopraindicato annullamento per il ricorrente, che ha legittimamente partecipato alla gara con una propria offerta, ritenuta valida dall’amministrazione aggiudicatrice, e che si è collocato utilmente al secondo posto della graduatoria. A giudizio del Collegio, nonostante vi siano solo due partecipanti utilmente collocati nella graduatoria finale, e a prescindere dalle previsioni del bando al riguardo, nella particolare fattispecie in esame l’Amministrazione assume l’obbligo di aggiudicare al secondo classificato, ovvero al ricorrente, sia in quanto la gara è rivolta, non all’aggiudicazione di un appalto alla migliore delle offerte presentate dalle società già operanti ed attive su di un mercato concorrenziale, bensì alla individuazione di un nuovo soggetto, fra quelli in astratto in possesso della necessaria qualifica, idoneo ed interessato ad entrare ex novo nel mercato ( assumendo la qualifica di socio privato di minoranza della nuova società mista), sia perché la seconda offerta è stata validamente proposta da un soggetto munito dei necessari requisiti, anche se la relativa offerta tecnico-economica si è poi rivelata non suscettibile di ricevere alcun punteggio, talchè un’eventuale ripetizione della gara non consentirebbe di formulare una prognosi favorevole né circa la partecipazione di nuovi e più numerosi operatori economici, né circa la presentazione di nuove offerte più vantaggiose. 12. Per le ragioni espresse, il Collegio accoglie quindi il terzo motivo del ricorso in epigrafe, e per l’effetto annulla l’aggiudicazione, unitamente ai precedenti atti di gara per la parte in cui non hanno dichiarato l’inammissibilità dell’offerta tecnico-economica della controinteressata, e comunque non hanno dichiarato l’impossibilità di attribuire un punteggio all’elemento tecnico-economico di tale offerta, con il conseguente obbligo dell’Amministrazione di rinnovare tali atti e di aggiudicare la gara alla ricorrente, previa verifica del possesso dei requisiti da essa dichiarati. Il predetto risarcimento in forma specifica preclude ogni diverso possibile risarcimento del danno. Sussistono, infine, giustificati motivi per compensare fra le parti le spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda Bis, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie ai sensi e per gli effetti di cui in motivazione. Compensa fra le parti le spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 4 dicembre 2008 con l’intervento dei Magistrati: Eduardo PUGLIESE Presidente Raffaello SESTINI Consigliere - Relatore Solveig COGLIANI Primo referendario Il Presidente Il Consigliere est. Depositata in segreteria il 18 dicembre 2008 178