L`abisso come luogo dell`anima. Logica simmetrica e logica
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L`abisso come luogo dell`anima. Logica simmetrica e logica
Giuseppe Limone, L’abisso come luogo dell’anima. Logica simmetrica e logica asimmetrica nell’estasi come vissuto, Relazione al Convegno sul tema “La mente e l’estasi”, Salerno 20-21-22 ottobre 2005, Università degli Studi di Salerno in collaborazione con il Dipartimento di Scienze dell’Educazione e di Sociologia della politica, ora in Atti in corso di pubblicazione presso Editrice Rubbettino, Soveria Mannelli, 2007. 1 L’ABISSO COME LUOGO DELL’ANIMA Logica simmetrica e logica asimmetrica nell’estasi come vissuto di Giuseppe Limone 1. Una premessa Intendiamo cimentarci – qui – nel guardare l’estasi – ‘la mente estatica’ – nel suo linguaggio e nella sua logica, approssimando quest’ultima come luogo-limite del rapporto fra emozioni e pensiero. Fra emozioni e coscienza. Fra corpo del vissuto e vissuto del corpo. E, nel far questo, proveremo a pensare la logica di questo luogo – dell’estasi, della ‘mente estatica’ – come ‘luogo geometrico’. Come luogo geometrico dei punti che costituiscono il limite verso cui tendono, da opposti versanti, opposte successioni di enti figurativi. Vediamo la rappresentazione che dell’estasi di Caterina da Siena dà un suo biografo: “[…] si ritraeva dai sensi del corpo, e le sue estremità, cioè le mani e i piedi, le si rattrappivano tutte. Le dita, ricurve, premevano tanto forte su la palma delle mani, che ci parevano inchiodate, e sarebbe stato più facile romperle prima di muoverle. Anche gli occhi le si serravano, e il collo restava così intirizzito, che, a toccarlo in quel momento, ci sarebbe stato un vero pericolo”1. Si tratta di una fenomenologia – l’ ‘estasi’ – per cui psicologi e filosofi parlano di ‘sospensione della comunicazione con l’ambiente’, di 1 Raimondo da Capua, Vita, 305, cit. in Vittorino Andreoli, Follia e santità, Marietti, Genova, 2005, p. 139. 2 ‘sospensione del rapporto soggetto/oggetto’, di ‘sospensione del rapporto soggetto/soggetto’, di ‘riduzione della sensibilità verso l’esterno’, di ‘elevazione verso una sfera psichica nota solo a chi si eleva’2. Si ha qui, a ben vedere, pregnante indizio del fatto che, come dice Karl Jaspers, “la vita psichica contiene più della sua oggettivazione”3. E’ l’emergere dell’insondato – di quello che potremmo chiamare, in una prima generica approssimazione, il ‘profondo’. Detto nel linguaggio che preferiamo, il ‘vissuto’ che qui si assume a oggetto viene a declinarsi e a potenziarsi lungo l’asse della ‘profondità’, con sospensione di quell’altro specifico asse, che chiamiamo della ‘relazionalità’4. Qui accade – come nel racconto di tante estasi appare – un ritrarsi del vissuto soggettivo nella stanza più intima e alta del proprio castello interiore. Un ritrarsi nell’‘anima’. Estasi ha da fare con ‘ex-stasi’. Anche in francese e in tedesco, i significati etimologici appaiono gli stessi: l’evocazione d’un movimento che varca il confine. Dalla descrittiva implicita nella stessa parola, per quanto esplicitamente ci dice (vedi nello stesso Platone l’idea della ‘manía’), si tratta di un ‘uscire’ da qualcosa. Potremmo provare, qui, a configurare un tale ‘uscire’ a partire da più reagenti ermeneutici, che non seguiremo tutti, ma che vorremmo, almeno nelle linee di fondo, indicare: 2 Vedi, fra gli altri, Umberto Galimberti, Dizionario di Psicologia, UTET, Torino, 1992, sub ‘estasi’. 3 Karl Jaspers, Psicologia delle visioni del mondo (1919), cit. in Umberto Galimberti, Dizionario di Psicologia, cit., sub ‘estasi’; vedi anche sub ‘concentrazione’, sub ‘retorica’ e sub ‘metafora’. 4 Per una nostra individuazione, non generica, delle coordinate strutturali della persona (‘unicità’, ‘relazionalità’, ‘profondità’), preferiamo rinviare, qui, a Giuseppe Limone, Dal giusnaturalismo al giuspersonalismo. Alla frontiera geoculturale della persona come bene comune, Graf, Napoli, 2005, spc. pp. 114 ss. e passim. 3 1. A partire da un’analitica del ‘non’. 2. A partire dalla teoria della Gestalt. 3. A partire da Ignacio Matte Blanco e dalla sua configurazione dell’inconscio come insiemi infiniti. 4. A partire da Antonio Damasio5 e dalla sua configurazione unitaria del rapporto pensiero-emozioni. 5. A partire dal mondo delle proiezioni geometriche. 6. A partire da Carl Gustav Jung e dalla sua configurazione dei rapporti fra conscio e inconscio. Il nostro segmento di discorso, necessariamente brachilogico, è la storia di un’ipotesi di lavoro – che potremo esprimere – qui – solo in forma stenografica. Sarebbe possibile, infatti, delineare uno statuto simbolico del rapporto fra emozioni e pensiero – nel luogo dell’estasi –, così come potrebbe delinearsi uno statuto simbolico dell’utopia e – nel luogo del sublime – uno statuto simbolico del rapporto fra arte e religione, fra poiesis e verità6. 2. L’estasi Se pensiamo all’estasi e al modo con cui la stessa narrazione, nelle parole del biografo di Santa Caterina da Siena, metaforicamente se la 5 Antonio Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano, 1995. 6 Preferiamo rinviare sul punto a Giuseppe Limone, Creazione estetica e fede religiosa. Arte e Religione fra poiesis e verità, Relazione al Convegno dell’Associazione Italiana di Filosofia della Religione, tenuto il 22.6.2002 a Roma su ‘Religione, estetica e il concetto di immaginazione’, presso l’Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’, Facoltà di Filosofia, Villa Mirafiori, ora in “Giornale di Filosofia della Religione”, giornale on line, www.aifr.it. Si fa riferimento, inoltre, a Giuseppe Limone, Fra ‘poiesis’ e ‘theoría’. La poesia di Corrado Calabrò fra ontologia della mancanza ed eros della creazione, Edizioni Palazzo Vargas, Vatolla (Salerno), 2006. . 4 rappresenta, possiamo pensare a un’isola – al costituirsi di un’isola che emerga per ritrazione e recisione dal territorio cui era legata. L’esposizione del biografo, infatti, allude con forza come a un ‘isolarsi’ dal corpo visto verso un vissuto profondo non visto, che pure rimane attaccato alla scorza d’una terraferma, d’un corpo: là dove la metafora del ritrarsi, dell’isolarsi, a un’attenta considerazione, non ha un puro valore espressivo, ma cognitivo ed epistemologico. Si pensi a un’isola. Essa è, in quanto tale, staccata dalla terraferma. Alla quale resta, peraltro, pur sempre attaccata: sull’asse della profondità. E si pensi – al tempo stesso – a un’utopia. Che non a caso appare, rispetto alla storia, anch’essa come isola. Sia in quanto è dalla storia separata (sull’asse orizzontale della relazione spazio-temporale), sia in quanto è alla storia legata (sull’asse verticale delle possibilità, della profondità). Il riferimento all’isola è, qui, specifico e pertinente: perché è riferimento a un luogo in cui un qualcosa nega qualcos’altro sul piano della relazione, per affermarsi come identico e altro sul piano della profondità. Ci si riferisce, qui, a un qualcosa che si costituisce come luogo della negazione, proprio nel momento in cui possiamo ancora domandarci: è negazione? E’ tutta negazione? E’ veramente negazione? Se pensiamo a un’estasi, a una condizione estatica, a uno stato del vissuto che sia profondamente isolato dalla terraferma del quotidiano ‘esserci’, in realtà noi possiamo arrivare a pensare a un venire a coincidere – in questo luogo speciale e apicale – di molteplici modi e momenti del ‘non’. Ossia, a tanti possibili – e sovrapponibili – momenti e movimenti del ‘non’. Guardiamo a questi ‘non’. Si tratta di un ‘negare’ che è un ‘necare’ – un uccidere, un dare la morte. In che modo? In quanti possibili modi può darsi la morte? Ci sono, in verità, tanti modi di ‘negare’ come ci sono tanti modi 5 di ‘necare’. Saremo eretici della dialettica, certo, ma, per noi, non può darsi una tassonomia esaustiva dei modi del non. Si guardi ai molteplici ‘non’ che sono nascosti nell’ex-stasi, nell’ou-topia, nell’isola, nel sogno, nel dereale, nella sospensione di quella dimensione che, assumendo il ‘diurno’ come misura, usiamo e osiamo dire senza indugi ‘realtà’. C’è il ‘non’ che dice l’opposizione – ma l’opposizione può essere di vario genere e misura: può essere, nella dimensione logica, contraria e contraddittoria; e può essere, nella dimensione del discorso che se la rappresenta, logica e reale. C’è il ‘non’ che dice l’estraneità. Là dove la stessa ‘estraneità’ potrebbe essere, in qualche misura, misurata: si pensi alle rette parallele e a quelle sghembe, se configurate nel loro essere modi diversi di negarsi l’incontro. Potrebbe certamente affermarsi che una tale ‘estraneità’ dice il ‘non’ della ‘distinzione’; ma, a nostro avviso, non è detto che ‘estraneità’ e ‘distinzione’ semplicemente coincidano, perché sono pensabili qualità e misure diverse di ‘estraneità’: i possibili modi del ‘trascendersi’, in un tale contesto, non sono tutti con certezza enumerabili. Ma c’è ancora un altro ‘non’. C’è il ‘non’ che dice il movimento della corrosione permanente nei confronti di ciò che si nega (ricorderemmo – qui – un bel passo di Vincenzo Vitiello in cui egli, con grande finezza, scrive che negare continuamente concetti li rende ‘più sottili’7). Né è affatto esaurita la possibile tassonomia dei ‘non’: C’è il ‘non’ che dice il rapporto figura/sfondo. C’è il ‘non’ che dice il bordo comune fra i diversi colori, che non sono di nessun colore eppure sono reale limite comune. E c’è il ‘non’ che dice in modo paradossale un’appartenenza: si pensi al 7 Vincenzo Vitiello, Logica ed etica della contraddizione, Lanfranchi editore, Milano, 1994. 6 calco, al rovescio, alla maschera, alla proiezione geometrica (realizzabile secondo infinite guise di trasformazione), alla crittografia, alla stessa espressione tout court (linguistica, matematica o simbolica che sia). E, in ogni caso, nemmeno tali indicazioni molteplici riescono a pervenire a una tassonomia esaustiva dei possibili ‘non’. Ci domandiamo, a questo punto: che cosa nega l’estasi? La metafora dell’isola, qui, è – a ben vedere – carica di indicazioni cognitive. L’estasi, infatti, è ‘come’ l’isola. Perché, come il sogno e il sonno, nega lo stato ordinario di veglia – la terraferma della veglia –, ma li nega in modi e linguaggi diversi dal sogno e dal sonno. Si tratta, infatti, di modi della negazione del tutto specifici e propri. E, d’altra parte, alla veglia l’estasi continua a esser congiunta dal vissuto. Così come alla terraferma continua ad essere congiunta l’isola. Sull’asse della profondità. Ma l’estasi non nega solo la veglia. Essa nega anche il puro stato di sogno. Perché nega, in modalità specifiche sue, anche la sua negazione della veglia. Così come, al tempo stesso, mentre nega il corpo, essa si esprime anche nel corpo, donde trae il suo alimento e il suo fondo. Quindi: l’estasi nega la veglia, ma è vero che la nega? L’estasi nega il sogno, ma è vero che lo nega? L’estasi nega il corpo, ma è vero che lo nega? Per progressive negazioni, pertanto, ciò di cui stiamo parlando diviene – in un rastremarsi progressivo – sempre ‘più sottile’. Nell’estasi, potremmo forse anche dire, vive – come in un plesso di momenti coincidenti e confusi – una costellazione specifica in cui s’incontrano e si confondono molteplici stati del ‘non’. Il ‘non’ è il ‘limite’. Fra il ‘dentro’ e il ‘fuori’. Fra emozioni e pensiero. Fra anima e corpo. Fra soggetto e oggetto. Fra passato e presente. Tra futuro e presente. Fra l’immergersi e l’essere presi. E si pensi, in proposito, 7 all’Ergriffen e all’Ergriffenheit di Walter Otto, di Leo Frobenius e di Karl Kerényi8, come a luoghi in cui emozione e pensiero, essere ed essere afferrati si dànno confusi. Se potremo, perciò, in questa luce dire che l’estasi è negare il corpo (con le sue indefinite modalità), potremo, al tempo stesso, anche dire che l’estasi è negare anche questa sua negazione perché essa è anche questo stesso suo corpo in cui si nega – ossia questo corpo contratto in cui si dà. C’è, in questa forma, una possibile ‘logica’ che va indagata. Il ‘non’ è il ‘limite’. Stare sul bordo del non è stare sul limite, sul taglio, sul confine. Su quella precisa soglia in cui i due versanti sono, in ogni momento, invertibili. Osserviamo: il paradosso del limite – di cui la psicanalisi sa – è il paradosso del non poter pensare e del non poter non pensare. Se mi si comanda di non pensare a un orso immerso nella neve bianca, io debbo, per poter non pensarlo, necessariamente pensarlo. Il limite, a ben guardare, appartiene a un tale preciso statuto: non posso pensarlo e non posso non pensarlo. Si tratta, a ben vedere, dello stesso statuto del limite matematico cui tendono successioni numeriche opposte. Crediamo che il luogo di questo limite – di questo ‘non’ – possa essere con precisione individuato. Può essere illuminante, qui, a nostro avviso, la pista aperta da un grande psicologo e pensatore, Ignacio Matte Blanco, anche perché ci consente di andare oltre Matte Blanco. L’idea, come si sa, è quella della ‘bi-logica’. La mente, in tale orizzonte 8 Per un significativo itinerario critico sul punto, si veda il contributo di un giovane studioso: Osvaldo Sacchi, Il páideuma di Frobenius. Gli dei della Grecia di Otto e il valore del diritto romano, in L’era di Antigone. L’arcipelago dei diritti fondamentali alla sida della critica, Quaderno n. 1 del Dipartimento di Scienze Giuridiche della Seconda Università degli Studi di Napoli, a cura di Giuseppe Limone, Angeli, Milano, 2006, pp. 393 ss. 8 di pensiero, è abitata da due logiche. Ragione ed emozioni, infatti, appartengono a due forme di logicità, cui sono rigorosamente riconducibili. C’è un pensare asimmetrico e un pensare simmetrico. La logica asimmetrica distingue – classifica; laddove la logica simmetrica identifica – genera un permanente ‘venire a coincidere’ di identità logiche distinte – e, in quanto tale, per sua struttura confonde. Nell’una, pertanto, opera il principio di generalizzazione; nell’altra, il principio di simmetria. Per il principio di generalizzazione, il sistema della ‘mente’ tratta una cosa individuale (persona, oggetto, concetto) come se fosse un membro o un elemento di un insieme o classe che contiene altri membri; tratta questa classe come sottoclasse di una classe più generale e tratta questa classe più generale come sottoclasse di una classe ancora più generale, e così via. Secondo l’altra logica, governata dal principio di simmetria, il sistema della ‘mente’, nella sua forma inconscia, tratta la relazione inversa di qualsiasi relazione come se fosse identica alla relazione diretta. Cioè, tratta le relazioni asimmetriche come se fossero simmetriche. Se Giovanni è padre di Pietro, Pietro è padre di Giovanni. Nascono da questo principio di simmetria conseguenze importanti come: 1. Non può esserci successione; 2. La parte è identica al tutto (‘il braccio è parte del corpo, il corpo è parte del braccio’); 3. Tutti i membri di una classe sono trattati come uguali fra loro e uguali alla classe di riferimento. Sicché due elementi di una classe diventano identici – e identici anche alla classe di cui fanno parte (‘Pietro è Giovanni’). 4. Classi opposte possono coincidere fra loro (essere vivo = essere morto). 5. Non può esserci più relazione di contiguità fra parte e tutto. Se la logica aristotelica è un pensare asimmetrico (‘distinguente’), la logica dell’emozione che abita l’inconscio è un pensare simmetrico 9 (‘identificante’). Se un ragazzo ha i capelli rossi e l’assassino di mia madre aveva i capelli rossi, quel ragazzo con i capelli rossi è l’assassino di mia madre. E’ evidente come in questa metodica il problema dell’inconscio venga affrontato non a partire dall’indagine sulla sua energia (irrazionale o arazionale che sia), ma a partire dalla sua ‘logica’. La logica asimmetrica, quindi, ruota intorno al principio di non contraddizione e di distinzione; laddove la logica simmetrica lo víola. Non possiamo entrare nei dettagli di un tale discorso, che pure lo meriterebbe, ma ci preme qui almeno notare come si possa scoprire una precisa modalità in cui opera il pensiero dell’inconscio nel conscio (pensare dialettico: parte/tutto, reciproca implicazione, coincidentia oppositorum, etc.) e si può, al tempo stesso, scoprire una precisa modalità in cui opera un pensiero del conscio nell’inconscio (idee lasciate a maturare; il pensiero che pensa anche quando non pensa; quel complessivo fenomeno interiore che io preferisco chiamare l’‘inconscio intelligente’9: e si pensi, in proposito, alla stessa species creativa della ‘serendipità’, evento euristico in situazioni casuali, sul quale aveva già acutamente richiamato l’attenzione il sociologo Robert K. Merton). Tutta questa complessa fenomenologia significa, a ben vedere, che c’è un pensare anche quando non si pensa e che c’è un altro pensare anche quando si pensa nella modalità specifica della non-veglia. 9 Abbiamo iniziato il discorso su un tale ‘inconscio intelligente’, da noi specificamente individuato, fin da: Giuseppe Limone, Tempo della persona e sapienza del possibile. Valori, politica e diritto in Emmanuel Mounier, t. I, ESI, Napoli, 1988, p. 85 ss. Sul problema del transfinito e del ‘continuo’ matematico, sulle loro implicazioni, su Péguy e sulla impostazione di Matte Blanco vedi ancora ivi, p. 96 ss., specialmente nell’apparato di note. Vedi, inoltre, fra le molteplici altre sedi, Id., Dimensioni del simbolo, Arte Tipografica, Napoli, 1997, p. 63 ss.; Id., Il simbolico come cifra di gravitazione nello spazio noetico, in Simbolica dello spazio, a cura di Elena Cuomo, Guida, Napoli, 2002; Id., Fra ‘poiesis’ e ‘theoría’. La poesia di Corrado Calabrò come ontologia della mancanza e come eros della creazione, Edizioni Palazzo Vargas, Vatolla, 2006. 10 3. Per una rappresentazione geometrica E’ noto che Ignacio Matte Blanco si è cimentato nel dare un’interpretazione e rappresentazione geometrica del principio di non contraddizione, connotato specifico del pensare asimmetrico. Se, infatti, istituiamo sugli assi cartesiani una messa in corrispondenza, per così dire, alla seconda potenza, ossia una messa in corrispondenza fra due proposizioni assertive e due punti e se l’una proposizione costituisce la negazione dell’altra (p e non-p), possiamo osservare alcuni cruciali risultati, su cui Ignacio Matte Blanco, nella sua ormai classica opera L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica10, ha richiamato l’attenzione, studiando il rapporto fra il ‘principio di non contraddizione’ e il ‘principio di simmetria’ e connettendoli alle due specifiche logiche che, caratterizzando la psiche, investono il conscio (principio di non contraddizione) e l’inconscio (principio di simmetria, ovverossia il principio di contraddizione violato). Dati, infatti, degli assi cartesiani, s’intende con essi raggiungere una rappresentazione geometrica del principio di non contraddizione. Se indichiamo, pertanto, sui due assi cartesiani due numeri, essi individueranno nel piano del quadrante un punto e un punto solo. Ora, se istituiamo, in questo piano, come dicevamo, una corrispondenza biunivoca fra un punto e un’asserzione, che chiamiamo p, «possiamo affermare che, in queste condizioni, non si può dare il caso di p e di non-p. E’ quanto precisamente afferma il principio di non contraddizione»11. Ma, a nostro avviso, può darsi rappresentazione geometrica anche del principio di non contraddizione violato, ossia del ‘principio di simmetria’. 10 Cf. I. Matte Blanco, L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica, Torino 1981, 58ss. 11 Ivi, p. 59. 11 Come abbiamo altrove mostrato, infatti, se, date due proposizioni contraddittorie, eleviamo di un’ulteriore coordinata il volume logico entro il quale esse si collocano, abbiamo che proposizioni incompossibili fra loro diventano compossibili; e, all’inverso, se, date due proposizioni distinte e non contraddittorie fra loro, riduciamo di una coordinata il volume logico entro il quale esse si collocano, abbiamo che le due verità distinte diventano sovrapposte e confuse: i distinti vengono, nella nuova rappresentazione geometrica, a sovrapporsi e a coincidere12. Ciò che è in contraddizione nel piano, non è in contraddizione nel volume. Ciò che non è in contraddizione nel volume, ma resta distinto, diventa – proiettato nel piano – confuso. Se l’elevazione del volume logico dissolve la contraddizione, il suo inverso – la riduzione del volume logico cioè –, in quanto genera la proiezione geometrica di una figura da uno spazio a ‘n+1’ dimensioni su un altro a ‘n’ dimensioni, può rendere sovrapponibili figure distinte, confondendo le distinzioni e facendo coincidere gli opposti. Proponiamo, ora, qui, un’operazione alla terza potenza. Compariamo, cioè, sugli assi cartesiani il pensare asimmetrico e il pensare simmetrico. Possiamo, a questo punto, accorgerci che, elevando il volume logico (almeno) di un’ulteriore coordinata, il pensare simmetrico diventa asimmetrico; e che, riducendo il volume logico (almeno) di una coordinata, il pensare asimmetrico diventa simmetrico. Ciò significa che il pensare simmetrico è riconducibile al pensare asimmetrico e che, reciprocamente, il pensare asimmetrico è riconducibile al pensiero simmetrico. Ossia, tutti i luoghi dei punti del pensare simmetrico sono riconducibili a luoghi dei 12 Si rinvia, su questo punto, a Giuseppe Limone, Giordano Bruno: dall’eresia della fede alla geometria della speranza, in Giordano Bruno oltre i miti e le opposte passioni, a cura di Pasquale Giustiniani, Carmine Matarazzo, Michele Miele, Domenico Sorrentino, Facoltà teologica dell’Italia Meridionale, Napoli, 2002. 12 punti del pensare asimmetrico e viceversa. Se istituiamo, a questo punto, al modo di Georg Cantor, una corrispondenza biunivoca fra i termini dell’insieme di punti costituito dal pensare simmetrico, da una parte, e, dall’altra parte, i termini dell’insieme di punti costituito dal pensare asimmetrico, potremmo scoprire che l’uno è un sottoinsieme dell’altro – e anche viceversa. Il che significa un preciso paradosso: che il pensare simmetrico può essere visto come un sottoinsieme del pensare asimmetrico e che, contemporaneamente e all’inverso, il pensare asimmetrico può essere visto come un sottoinsieme del pensare simmetrico. Ognuno è un’insula all’interno dell’altro, per quanto ognuno dei termini dell’uno possa essere messo in corrispondenza biunivoca con ognuno dei termini dell’altro. E’, in qualche modo, la logica dei transfiniti di Georg Cantor. Là dove Cantor, come è noto, diceva, rappresentandosi il paradosso: ‘Lo vedo e non ci credo’. Possiamo rappresentarci, a questo punto, il rapporto fra i luoghi del pensare simmetrico e i luoghi del pensare asimmetrico anche così: il pensare simmetrico è un insieme di punti che tende al limite del pensare asimmetrico e il pensare asimmetrico, a sua volta, tende al limite del pensare simmetrico. E il limite comune si pone come il luogo in cui pensare simmetrico e pensare asimmetrico si coappartengono in un ordine identificato e confuso. 4. Tre piste Veniamo al punto. Possiamo, a partire dalle cose dette, cercare di approssimare l’estasi secondo più piste e modalità, per individuarne una ‘logica’. Indicheremmo, qui, tre piste. A. La prima pista. L’estasi può essere vista come un luogo limite. Come 13 un luogo geometrico limite. Potremmo dire, andando oltre Matte Blanco e lungo la linea da Matte Blanco tracciata, che l’estasi – individuata nella sua logica come il luogo in cui non è solo negata la veglia, ma anche il luogo in cui è negata, in modalità specifica, la negazione della veglia – è il luogo limite al quale tendono il pensare simmetrico delle emozioni e il pensare asimmetrico della ragione – ognuno a partire dal suo versante e convergendo verso il limite comune. Siamo, cioè, davanti al fenomeno di una doppia tendenza al limite – del pensare simmetrico verso l’asimmetrico e del pensare asimmetrico verso il simmetrico – là dove è proprio la doppia tendenza al limite a individuare un limite comune. Là dove il puro pensiero è, contemporaneamente, emozione pura. Ciò significa che il limite è il luogo della negazione, ma è anche un modo dell’appartenenza a ciò che si nega. Il che vale sia per il pensare simmetrico sia per il pensare asimmetrico, potendo – fra l’altro – vedersi attraverso più possibili sguardi: 1. il pensare simmetrico sta nel pensare asimmetrico e viceversa; 2. le emozioni stanno nella ragione e viceversa; 3. il corpo sta nell’anima e viceversa; 4. il passato sta nel presente e viceversa; 5. il futuro sta nel presente e viceversa. B. La seconda pista. L’estasi è un luogo limite anche in altro senso. Se essa è, infatti, un ‘uscire’, essa è, al tempo medesimo, un ‘varco’ d’entrata. Un ‘ex-ire’ che, guardato dal punto di vista del rapporto figura/sfondo, individua la soglia sia di un uscire, sia di un entrare. Può pensarsi, infatti, all’estasi sia dal punto di vista del soggetto che si fa (‘diventa’) ‘essere’, sia dal punto di vista dell’‘essere’ che si fa (‘diventa’) 14 soggetto. Sia dal punto di vista dell’immergersi del soggetto nell’essere, sia dal punto di vista dell’Ergriffen dell’essere che s’impossessa del soggetto: toccandolo, commovendolo, provocandolo strutturalmente all’emozione. L’estasi si dà, in un tale orizzonte, come un calco del mentale nel reale o come un calco del reale nel mentale. Come un’insula nell’essere, cui disappartiene, nel momento stesso in cui ad esso appartiene. C. C’è una terza possibile pista. E’ il mondo delle proiezioni geometriche. Che non sono solo le semplici proiezioni ortogonali. Si badi. Il mondo delle emozioni può farsi – per proiezioni geometriche di punti – figura. Così come lo stesso mondo del pensare asimmetrico può farsi, per altre proiezioni geometriche, altra figura. Ma, se si pensi al pensare simmetrico e al pensare asimmetrico come tendenti a un limite comune in cui coappartenersi, in tal caso le due figure sopra indicate potranno sovrapporsi e concentrarsi in una sola. Ci è dato quindi, lungo questa strada, vedere nella forma dell’estasi una figura – specialissima e ultimativa – in cui si condensa e si contrae la sovrapposizione di due mondi: delle emozioni e della ragione, del pensare simmetrico e dell’asimmetrico, del passato e del presente, del corpo e dell’anima – potendosi in tal modo guardare, nel corpo di una sola figura, più figure concentrate. Qui, la forma – la Gestalt – risultante è proiezione di più mondi. Che appaiono, nella percezione profonda di chi vi si inabissa, un unico mondo. Si tratta di un preciso sovrapporsi, coincidere, concentrarsi, contrarsi di luoghi in cui accade un unicum del vissuto. Puro pensiero che è, contemporaneamente, emozione pura. 15 5. Un triangolo simbolico e un teorema di Pitagora altro Carl Gustav Jung afferma che ‘conscio’ e ‘inconscio’ sono complementari. Ossia – noi diremmo – che essi, pensati come ortogonali fra loro, formano, incontrandosi, un angolo retto. Potrebbe pensarsi, qui, a ben guardare, a un simbolico teorema di Pitagora. Si provi, infatti, a guardare l’ipotenusa come luogo di proiezioni dei cateti – ‘conscio’ e ‘inconscio’ – sulla linea che congiunge le loro estremità. E si provi, inoltre, a vedere questa ipotenusa come il lato il cui quadrato è sovrapponibile ai due quadrati costruiti sul conscio e sull’inconscio – quel ‘conscio’ e ‘inconscio’ che sono i suoi cateti. In questa luce, l’ipotenusa, luogo di proiezione di ‘conscio’ e di ‘inconscio’ – ossia, dei due cateti – è anche la radice della somma dei loro quadrati, alla quale è sovrapponibile, per estensione, il quadrato dell’ipotenusa. Ma che cos’è mai il quadrato di conscio e inconscio se non quel ‘qualcosa’ di cui conscio e inconscio sono la radice? E che cosa è mai essere la radice di ‘qualcosa’ se non l’essere ciò che si è a un ordine inferiore di coordinate? Il conscio e l’inconscio – in questo simbolico triangolo di un simbolico teorema di Pitagora – si confondono e si fondono in un’unica figura al livello di una grandezza geometrica in cui c’è stata la crescita di una coordinata. E, al livello di questa grandezza, conscio e inconscio divengono tutt’uno coestendendosi con una figura che è il quadrato dell’ipotenusa. L’ipotenusa può porsi, in tale senso e contesto, come la possibile rappresentazione geometrica di quel coappartenersi di conscio e inconscio, essendo del loro coappartenersi alla grandezza ulteriore la radice. E, se l’estasi è il luogo in cui conscio e inconscio si coappartengono, l’ipotenusa ne è, in tale senso e contesto, la rappresentazione geometrica in forma di radice. L’estasi è un’insula dislocata nell’anima. La sua logica può rivelarsi luogo geometrico di punti in cui aree diverse di essi vengono – in un evento 16 denso – a coincidere. Luogo complesso di negazioni e appartenenze in un tutto di punti abissale. Di cui la potenza del ‘continuo’ matematico può essere una metafora cruciale13. L’estasi è, in questo senso, insula in flumine nata. Anzi, insula in flumine animae nata. Là dove si aprono, insieme, la sua figura e il suo sfondo. Là dove si dànno, insieme, il suo Luogo e il suo Abisso. Il suo Grund e il suo Abgrund. Tutto ciò, in un evento singolare in cui sembra accadere una gravitazione di forze contrarie e congiunte che collassano in un unico punto. Come in un buco nero del cosmo il contrarsi di forze diverse e congiunte annulla le condizioni di possibilità delle leggi conosciute. Perché il buco nero è un contrarsi di forze gravitazionali che sospendono ogni distinzione e ogni tempo. L’estasi si rivela, così, un paradossale ‘buco nero’ – anzi un buco bianco dell’anima. Buco bianco del soggetto che si sporge nell’essere e dell’essere che si sporge nel soggetto. Emersione del soggetto all’essere e/o dell’essere al soggetto. Luogo in cui soggetto ed essere collassano in un appartersi indecidibile. L’estasi si rivela, qui, l’aprirsi di un crepaccio nel soggetto. E d’un crepaccio nell’essere. Là dove figura e sfondo perennemente ri-accadono, anzi diventano, a sguardi alterni, un’unica cosa. A due facce. Nell’indecidibile di un gorgo gravitazionale in cui resta indecifrabile chi afferra e chi è afferrato. Là dove ciò che resta è un resto essenziale. Si tratta, per dirla con Jung, del luogo in cui si entra nel recinto del ‘temenos’. O nel vaso ermetico in cui avviene la trasformazione degli opposti. O nel mandala, dove si dà un ‘sulcus primigenius’ – un solco originario – intorno a un centro profondo in cui si raccoglie il nucleo del sacro. 13 Vedi sub nota n. 9. 17 6. Per un orizzonte di approdo Un Grund non si può dirlo – perché qualunque modo di dirlo sarebbe, per dover dirlo in linguaggio, necessariamente un tradirlo. Un Grund vero è quindi, per sempre, un Abgrund. Esso sta sempre alle spalle di chi lo pronunci. E gli sta sempre nel cuore – nel luogo abissale del cuore. Noi viviamo nella prossimità gravitazionale di un fondo senza fondo che è un varco, da cui si entra e si esce, ma in cui, soprattutto, si “e”. Nell’estasi, siamo, in realtà, sostanza del nostro essere uscenti e varco del nostro essere afferrati. Siamo la possibile isola all’interno di ciò in cui, non essendo, siamo e di ciò in cui, essendo, non siamo: perché sempre altro e più di quel che semplicemente appariamo, noi siamo. Del che è sigillo e varco il pudore, angelo della profondità. L’estasi è, in questo senso, un’isola e un abisso dell’anima – sottoinsieme di un esserci di cui è, al tempo stesso, sovrainsieme. In un corrispondersi di transfiniti a due facce, di cui è apparente sigillo l’unicità. Nell’evento singolare dell’estasi – buco bianco dell’anima, che non a tutti accade, come non dappertutto accade il buco nero dell’universo – ogni esserci s’immerge ed è preso, è Grund e Abgrund, è sporgersi ed essere afferrato. L’estasi appare, in questa luce, la resa a un possibile ‘essere’ che, per minime tracce, lampeggia, facendo vibrare un ‘originario’ che permanentemente ci precede e soggiace. Rivelando noi stessi nella forza e nella fragilità. Ognuno ha inscritta nell’anima un’isola, in cui egli è anima inscritta. Ognuno ha inscritto nell’anima un sogno, in cui egli è sveglio e sognato. Ognuno ha un sottoinsieme di punti nell’anima, di cui egli stesso è sottoinsieme – in una corrispondenza biunivoca fra transfiniti di conati. 18 Ognuno è sguardo e universo, vissuto ed essere, naufrago e mare, afferrante e afferrato. Ognuno è possibile sogno di un sogno che lo sogna – che ci sogna. Noi non potremo mai dimenticare, perciò, negl’itinerari della vita che scorre, il pensiero forte della Tempesta di Shakespeare, opera in cui si prende congedo dalla vendetta e dal dolore per dare varco al ricordo, alla resa sapiente e alla pietà: “Noi siamo della stoffa di cui son fatti i sogni e la nostra piccola vita è circondata di sonno”. 19