Funzione di Luminosita - Dipartimento di Fisica e Astronomia
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Funzione di Luminosita - Dipartimento di Fisica e Astronomia
Funzione di Luminosità Corso Astrofisica delle Galassie I - A.A. 2006-2007 Alessandro Pizzella Dipartimento di Astronomia Università di Padova Novembre 2006 v1.0 1 Contents 1 Funzione di luminosità 1.1 Misura della FL . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Funzione di Schechter . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Determinare la magnitudine assoluta . . . . . . . . . . . . 1.3.1 Estinzione dovuta a polvere galattica . . . . . . . . 1.3.2 Correzione K . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.3 Distanza e Velocità peculiari . . . . . . . . . . . . . 1.3.4 Magnitudine apparente totale: Raggio di Petrosian 1.4 La FL dalla Sloan Digital Sky Durvey SDSS . . . . . . . . 1.4.1 Dipendenza z . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5 Dipendenza con il tipo morfologico . . . . . . . . . . . . . 1.6 Dipendenza con l’ambiente . . . . . . . . . . . . . . . . . . A . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 3 5 6 6 8 9 11 16 16 23 24 27 A.1 Principali bande fotometriche e spostamento con z . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 2 Chapter 1 Funzione di luminosità Cosı̀ come la distribuzione delle luminosità stellari riflette la fisica della struttura e formazione delle stelle, allo stesso modo si può pensare di ottenere utili informazioni sulla formazione ed evoluzione delle galassie studiandone la distribuzione in luminosità. Tale distribuzione viene definita in maniera del tutto analoga a quella delle stelle utilizzando la funzione di luminosità (Luminosity function (LF) in inglese). Questa caratteristica fondamentale della popolazione di galassie è stata studiata fin dai tempi in cui Hubble dimostrò la loro natura extragalattica. Data la difficoltà della misura della luminosità bolometrica delle galassie, lo studio viene in genere affrontato misurando le magnitudini in diverse bande fotometriche. Diversi sono i motivi per cui la misura di una caratteristica basilare come la LF è ancora attuale. - La LF e’ un utile strumento per confrontare l’universo reale con quello ottenuto da simulazioni cosmologiche. Tali simulazioni infatti non potranno mai riprodurre un universo identico nel dettagli al nostro. Possono solo produrre un universo statisticamente uguale al nostro. la LF è infatti una proprietà di tipo statistico - L’evoluzione della LF con il redshift dà indicazioni circa l’evoluzione delle galassie - la dipendenza della FL dall’ambiente dà indicazioni circa l’effetto dell’ambiente sulla formazione delle galassie - la LF dipende inoltre dalla banda fotometrica considerata e da parametri strutturali delle galassie quali le loro dimensioni, la loro brillanza centrale o dalla loro distanza. 1.1 Misura della FL La funzione matematica che descrive al FL viene indicata con la funzione Φ(M )dM . Tale funzione Φ(M )dM è proporzionale al numero di galassie che hanno magnitudine assoluta nell’intervallo (M , M + dM ). Normalmente la LF viene normalizzata imponendo Z ∞ ∞ Φ(M )dM = ν (1.1) dove ν è il numero totale di galassie per unità di volume. In questa maniera ΦdM indica la densità numerica di galassie nell’intervallo di magnitudine (M , M + dM ). Per determinare l’andamento generico della LF, dobbiamo esaminare la luminosit`[a di galassie in una regione tipica di universo. La procedura classica per determinare la LF Φ(M )dM per queste galassie di campo consiste nel misurare la luminosità apparente del campione di galassie scelto. Le luminosità apparenti sono poi convertite singolarmente in magnitudini assolute una volta determinata la distanza delle singole galassie (generalmente misurandone la velocità di recessione ed applicando la legge di Hubble). Se il redshift è alto, potrebbe essere necessario applicare la correzione K in 3 Figure 1.1: Funzione di luminosità ottenuta con dati della SDSS in banda r Sono state utilizzate 11.275 galassie. La linea continua rappresenta una interpolazione ottenuta con la funzione di Schechter ed i valori dei parametri utilizzati sono mostrati nella figura stessa. Nella parte inferiore della figura è mostrato il numero di galassie per ogni intervallo di magnitudine presenti nel campione. 4 modo da convertire le magnitudini misurate in bande diverse per effetto del redshift, ad una stessa banda di di ferimento. Infine si divide il numero di galassie in ogni singolo intervallo in luminosità (M , M + dM ) per il volume di spazio che è stato esplorato. Se il campione è stato finito in base alla magnitudine apparente, bisogna tenere conto che oggetti più luminosi sono visibili a distanze maggiori. Questo tipo di approccio, che ha il vantaggio di essere semplice, mostra in realtà una serie di inconvenienti. Per prima cosa è necessario valutare e correggere per il Malmquist-bias che influenza le analisi basate su campioni limitati in magnitudine. Le proprietà di base della FL risultano distorte ogni qualvolta la funzione abbia un intervallo limitato in luminosità. Questa distorsione si manifesta anche se le galassie hanno tutte la stessa luminosità intrinseca ma mostrano un intervallo finito in magnitudine assoluta a causa in errori nella determinazione della loro distanza. Stimare le distanze delle galassie per mezzo della legge di Hubble è un metodo intrinsecamente approssimativo per cui errori di questo tipo sono inevitabili. Il problema è particolarmente evidente nel caso di galassie vicine dove i moti peculiari possono essere maggiori della velocità di recessione stessa e, conseguentemente, gli errori sulle distanze molto alti. Questo inconveniente è fastidioso in quanto le galassie poco luminose possono essere osservate solo se vicine e quindi la coda a basse luminosità della LF è determinata in maniera approssimativa. Una ulteriore complicazione di questo metodo consiste nella assunzione che le galassie in ogni intervallo di magnitudine (M , M +dM ) siano distribuite uniformemente nel volume V (M ). Sappiamo invece che le galassie non sono distribuite in modo uniforme ma vi sono regioni di universo in cui la densità è maggiore come il vicino ammasso della Vergine. Guardando a scale maggiori le galassie sono distribuite su strutture tipo filamenti o muri (walls) mentre vi sono enormi volumi di spazio quasi vuoti di galassie. Quindi per una magnitudine assoluta M , il numero di galassie trovate nel volume V (M ) può dipendere da come sono distribuite le galassie nell’universo tanto quanto possa dipendere da Φ(M ). Per avere una misura della Φ(M ) intrinseca è necessario eliminare la dipendenza da V (M ) ed esistono diverse tecniche che permettono di fare questo. Una volta tenuto conto di questi effetti, la LF delle galassie di campo assume una forma relativamente semplice. Il numero di galassie diminuisce monotonicamente all’aumentare della luminosità per basse luminosità, dove Φ(M ) decresce in maniera quasi esponenziale con |M |. Per luminosità più alte di una magnitudine caratteristica M ∗ , Φ(M ) cala drasticamente. 1.2 Funzione di Schechter Una parametrizzazione molto pratica ed efficace è la cosiddetta funzione di Schechter Φ(M ) = (0.4 ln 10)Φ∗ 100.4(α+1)(M ∗ −M ) exp(−100.4(M ∗ −M ) ) (1.2) dove Φ∗ , M ∗ ed α sono scelte in modo empirico in modo da interpolare le osservazioni. Questa formula può sembrare poco pratica se espressa in termini di magnitudine assoluta M ma si può riscrivere in una forma più comoda esprimendo la luminosità in luminosità Φ(L) = (Φ∗ /L∗ )(L/L∗ )α exp(−L/L∗ ) (1.3) dove L∗ è la luminosità corrispondente alla magnitudine assoluta M ∗ . α è il parametro che descrive la pendenza della LF per basse luminosità; L∗ o M ∗ indicano la luminosità caratteristica sopra la quale il numero di galassie cade bruscamente; Φ∗ determina la normalizzazione della densità di galassie (ad esempio N di galassie per M pc3 ). Questa formula è stata inizialmente derivata in base ad un modello di formazione di galassie (Press & Schechter 1974), ma ci si è poi resi conto che era adatta a molte altre applicazioni originariamente non previste. Infatti, la funzione di Schechter fornisce una interpolazione soddisfacente della LF ottenuta da diverse survey. 5 Figure 1.2: Contorni di egual E(B − V ) nel cielo al di fuori del piano galattico (|b| > 10◦ ). In ascissa ed ordinata sono indicate la longitudine e latitudine galattica l e b. I livelli vanno da 0.025 a 0.075 con intervalli eguali. La mappa è stata ottenuta da Burstein & Heiles (1982, AJ, 87, 1165) combinando i conteggi di galassie e densità di colonna dell’idrogeno neutro misurata dai profili della riga a 21cm. 1.3 Determinare la magnitudine assoluta Nel determinare la FL è per prima cosa necessario determinare la magnitudine assoluta di una galassia. Si può schematicamente riassumere che la magnitudine assoluta MX nella banda fotometrica X è MX = mX − 5 × log d + 5 − AX − KX (1.4) dove mX è la magnitudine apparente totale della galassia, d è la sua distanza in parsec, AX l’estinzione Galattica nella banda X (dovuta cioè alla polvere presente nella nostra Galassia) e KX è la correzione K (K-correction in inglese). Vediamo ora una ad una come si determinano queste grandezze. In questo contesto non siamo interessati a spiegare la fisica da cui derivano i calcoli di questi termini. Si tratta infatti di concetti che sono già stati incontrati e spigati nei corsi della laurea triennale in Astronomia. Siamo qui interessato esclusivamente alla applicazione pratica nel contesto delle galassie. Scopo di questo capitolo è quindi dare un “ricettario” di riferimento. 1.3.1 Estinzione dovuta a polvere galattica L’estinzione è dovuta a grani di polvere presenti sul piano galattico. Se ci si limita alle bande ottiche ed infrarosse, si può affermare che l’estinzione agisce maggiormente sulle lunghezze d’onda minori ed in maniera minore sulle lunghezze d’onda maggiori. Infatti, se si osserva il centro od il disco della nostra Galassia nelle bende ottiche, questi risultano per lo più oscurati. Nelle bande infrarosse o nel vicino infrarosso è invece possibile osservare anche le stelle presenti nel centro della Via Lattea (che, 6 Figure 1.3: Mappa in toni di grigio della emissione HI nella nostra galassia vista dalla terra a tutto cielo nell’emisfero nord (sinistra) e sud (destra). È indicata la longitudine galattica; oltre ai due poli (che coincidono con il centro delle due aree circolari) sono indicate le linee di b = 60, 30, 0 ed esempio, orbitano attorno al buco nero centrale). Dato che l’estinzione è più forte alle lunghezze d’onda più corte, l’estinzione altera il colore delle sorgenti astronomiche. Questo effetto è la causa del cosiddetto eccesso di colore. Questo effetto è evidente, ad esempio, osservando galassie con bande di polvere. In corrispondenza delle bande di polvere la luce non solo si attenua ma il colore viene misurato essere più rosso che non nelle regioni adiacenti non oscurate. Sono state ottenute mappe di estinzione utilizzando i conteggi di galassie e la densità di colonna dell’idrogeno neutro misurata dalla riga a 21cm con i radio telescopi (Fig.1.3). Tale mappa di estinzione coincide essenzialmente con la mappa delle polveri galattiche. In Fig.1.2 è riprodotta una mappa con il flusso HI nella nostra galassia. Le tonalità di grigio indicano le presenza di polvere con scala logaritmica in modo da rendere visibili sia i deboli filamenti di polvere a latitudini alte che le zone deve la polvere è più densa. I filamenti di polvere attraversano la regione dei poli galattici e nello spazio interposto vi sono diverse regioni dove la densità delle polveri è estremamente bassa. Il “Lockman hole”, letteralmente il buco di Lockman, è la regione di minimo flusso HI e si trova in (l = 150◦ .5, b = 53◦ (Lockman et al. 1986). In questa regione il flusso è di appena 0.39MJy sr−1 . Il cielo australe contiene regioni con emissione anche due volte più bassa. La regioni di densità minima in assoluto si trovano a l = 346◦ .4, b = −58◦ .0 e l = 239◦ .7, b = −48◦ .6, con flussi di 0.18MJy sr−1 . Alternativamente, come accennato in precedenza, è possibile determinare l’estinzione a partire dall’eccesso di colore e utilizzando la tabella dell’estinzione interstellare (Tab.1.3.1). Supponiamo di aver misurato il colore (B − I) di un oggetto astronomico. Supponiamo inoltre di conoscere quale è il vero colore (B0 − I0 ) = (B − I)0 , non assorbito, di tale oggetto. Per definizione, l’eccesso di colore è E(B − I) = (B − I) − (B0 − I0 ) (1.5) Utilizzando la tabella 1.3.1 posso dire che il rapporto tra l’estinzione nelle mie bande B ed I e la banda V presa come riferimento vale A(I)/A(V ) = 0.482 A(B)/A(V ) = 1.324 (1.6) A(B)/A(V ) − A(I)/A(V ) = 1.324 − 0.482 = 0.842 (1.7) e quindi 7 Table 1.1: Estinzione interstellare standard (da Rieke & Lebofsky 1985, ApJ, 288, 618). A(X) indica l’estinzione in una banda a scelta indicata con x, E(B-V) indica l’eccesso di colore (B-V). Banda X U B V R I J H K L M N E(X−V ) E(B−V ) 1.64 1.00 0.00 -0.78 -1.60 -2.22 -2.55 -2.74 -2.91 -3.03 -2.93 AX AV 1.531 1.324 1.000 0.748 0.482 0.282 0.175 0.112 0.058 0.023 0.052 Ma posso anche dire che A(B)/A(V ) − A(I)/A(V ) = (A(B) − A(I))/A(V ) = = (B − B0 ) − (I − I0 )/A(V ) = E(B − I)/A(V ) (1.8) e quindi A(V ) = E(B − I)/0.842 (1.9) L’estinzione A(B) e A(I) che cercavo è allora A(B) = A(V ) ∗ 1.324 A(I) = A(V ) ∗ 0.482 (1.10) In questo modo, a partire dall’eccesso di colore ho potuto determinare l’estinzione nelle bande osservate (o in ogni altra banda). L’applicazione di questa tecnica richiede di conoscere a priori il colore intrinseco dell’oggetto arrossato. Questo è il caso di galassie attraversate da bande di polvere. Anche se le galassie presentano un gradiente di colore, è possibile derivare il colore intrinseco estrapolando il colore osservato in zone non assorbite alle zone assorbite. 1.3.2 Correzione K Per correzione K si intende la correzione che devo considerare nel derivare la magnitudine apparente in una data banda di un oggetto in virtù del suo redshift. Il redshift agisce sulla magnitudine apparente in due modi distinti. Per prima cosa l’energia viene osservata in un intervallo di lunghezze d’onda più amplio di quello a cui viene emesso. Bisogna infatti ricordare che il redshift non agisce solo traslando lo spettro di una quantità costante ma di un fattore costante. Per velocità v/c << 1 ≈ z si può ricordiamo che λosservata = λriposo (1 + v/c) (1.11) e quindi un intervallo di lunghezza d’onda emesso in un intervallo ∆λ viene visto da terra come ∆λ(1 + v/c). Dato che il flusso totale emesso dalla sorgente non è modificato dal redshift, il flusso per unità di lunghezza d’onda risulta diminuito di un fattore (1+z). In termini di magnitudine l’attenuazione dello spettro vale ∆m = 2.5 log(1 + z) (1.12) 8 Table 1.2: Correzioni K per galassie Ellittiche (da Frei & Gunn 1994, AJ, 108, 1476). Viene indicato il valore K della correzione per la banda B mentre per le altre bande X è indicato come il valore del colore X-B viene modificato. KX si può facilmente ricavare per differenza. z=0.0 z=0.1 z=0.2 z=0.4 z=0.6 KB 0.00 0.49 0.99 1.76 2.72 B-V 0.92 1.26 1.53 1.45 1.76 BJ -B -0.11 -0.25 -0.23 -0.15 -0.36 R-B -1.39 -1.78 -2.14 -2.58 -2.86 I-B -2.15 -2.59 -3.04 -3.67 -4.43 g-B -0.79 -1.07 -1.25 -1.07 -1.44 r-B -1.17 -1.56 -1.93 -2.43 -2.75 i-B -1.41 -1.84 -2.27 -2.86 -3.61 u’-B 1.33 1.21 1.32 2.07 1.57 g’-B -0.53 -0.71 -0.76 -0.62 -0.94 r’-B -1.28 -1.65 -2.03 -2.42 -2.63 i’-B -1.65 -2.10 -2.52 -3.09 -3.81 z’-B -1.98 -2.40 -2.85 -3.52 -4.33 Rc -B -1.48 -1.87 -2.25 -2.69 -3.07 Ic -B -2.05 -2.49 -2.92 -3.52 -4.26 Questo però non è l’unico effetto del redshift. Lo spettro osservato non viene infatti solo allungato ma anche spostato. Succede quindi che pur utilizzando una data banda fotometrica per le misure, l’oggetto astronomico viene osservato di fatto in una banda diversa. Per avere un idea di quanto si spostano le bande fotometriche a causa del redshift riportiamo tali dati in tabella A.4 Dato che il flusso emesso da una sorgente dipende dalla lunghezza d’onda a cui la si osserva, la magnitudine apparente di un oggetto, pur tenendo conto della correzione 2.5 log(1 + z), dipende dal redshift in base al tipo di spettro che la caratterizza. In altre parole, se stiamo osservando in banda R una galassia che ha un redshift di 0.48, di fatto la stiamo osservando in banda B. Se la galassia è caratterizzata da un colore rosso (possiamo pensare ad una galassia ellittica) allora misureremo una magnitudine R apparente debole, più debole di quanto osserveremmo una galassia a spirale caratterizzata da un colore più blu e di pari magnitudine R a riposo. Questa parte di correzione K dipende allora dal tipo morfologico di una galassia, ovvero dalla sua distribuzione spettrale di energia (spectral energy distribution - SED). Nella tabella 1.2 riportiamo i valori della correzione K completa che tengono conto sia del termine 2.5 log(1 + z) che del termine dipendente dal tipo morfologico della galassia. A questo scopo è anche utile la figura dove viene mostrata la correzione K utilizzata per dati SDSS. In questo caso la dipendenza della correzione dal tipo morfologico viene attuata considerando il colore della galassia dato che dipende appunto dal tipo morfologico. 1.3.3 Distanza e Velocità peculiari Per il calcolo della magnitudine assoluta di una galassia è indispensabile conoscerne la distanza. Questa viene in genere ottenuta dalla velocità di recessione che, in base al modello cosmologico adottato, viene tradotta in distanza. Nel caso più semplice si usa la legge di Hubble per la quale d = V /H0 (1.13) dove H0 vale 70km s−1 M pc−1 secondo le stime attuali. Nel caso di redshift alti è necessario calcolare la distanza di luminosità in base a modelli di espansione più complessi. (Nella dispensa “Cinematica di gas e stelle in galassie” è riportata una trattazione più approfondita sull’argomento). In questo paragrafo si vuole solo affrontare il problema della velocità peculiare delle galassie. Infatti le galassie 9 Table 1.2: Continua. Correzioni K per z=0.0 z=0.1 z=0.2 kB 0.00 0.24 0.56 B-V 0.58 0.77 1.01 BJ -B -0.05 -0.10 -0.15 R-B -0.95 -1.14 -1.41 I-B -1.72 -1.89 -2.15 g-B -0.51 -0.68 -0.87 r-B -0.71 -0.90 -1.17 i-B -0.96 -1.14 -1.40 u’-B 0.83 1.01 0.96 g’-B -0.36 -0.46 -0.56 r’-B -0.86 -1.04 -1.31 i’-B -1.21 -1.39 -1.65 z’-B -1.56 -1.72 -1.98 Rc -B -1.04 -1.22 -1.49 Ic -B -1.61 -1.78 -2.05 galassie z=0.4 1.20 1.25 -0.17 -1.91 -2.68 -0.99 -1.70 -1.93 0.56 -0.59 -1.79 -2.19 -2.50 -2.00 -2.58 a Spirale Sbc z=0.6 1.55 1.04 -0.10 -1.97 -2.95 -0.77 -1.80 -2.21 0.33 -0.45 -1.80 -2.45 -2.77 -2.07 -2.85 Table 1.2: Continua. Correzioni K per z=0.0 z=0.1 z=0.2 kB 0.00 0.20 0.45 B-V 0.50 0.70 0.88 BJ -B -0.05 -0.09 -0.13 R-B -0.79 -0.98 -1.22 I-B -1.32 -1.54 -1.80 g-B -0.46 -0.63 -0.76 r-B -0.53 -0.73 -0.96 i-B -0.64 -0.85 -1.11 u’-B 0.66 0.70 0.59 g’-B -0.33 -0.43 -0.49 r’-B -0.70 -0.89 -1.38 i’-B -0.91 -1.12 -1.38 z’-B -1.07 -1.30 -1.56 Rc -B -0.86 -1.05 -1.30 Ic -B -1.29 -1.49 -1.75 galassie z=0.4 0.84 0.95 -0.10 -1.55 -2.19 -0.74 -1.32 -1.48 0.35 -0.45 -1.44 -1.75 -1.96 -1.62 -2.12 a Spirale Scd z=0.6 1.04 0.74 -0.09 -1.50 -2.38 -0.57 -1.31 -1.67 0.10 -0.36 -1.34 -1.92 -2.15 -1.60 -2.32 10 Table 1.3: Correzione per il moto del sole rispetto alcuni sistemi di riferimento Sistema lapex bapex Galattocentrico 87.8 Gruppo Locale 93 background 3k 264.14 1.7 −4 48.26 ◦ ◦ Vapex km s−1 232.2 316 371.0 non solo si allontanano per effetto dell’espansione dell’universo ma sono dotate di un moto aggiuntivo detto “peculiare”. Un esempio tipico riguarda le galassie in ammasso. L’ammasso della Vergine ha una velocità di recessione dalla nostra galassia di circa 900 km/s. Le galassie che lo compongono non sono però ferme al suo interno. In Fig.?? è mostrata la distribuzione delle velocità radiali delle galassie. Si può vedere come la velocità media sia di 1200km/s e che la dispersione di velocità σ vale xxx km/s. Vi sono quindi sia galassie in avvicinamento che galassie che si allontanano a 2000 km/s. Le dimensioni dell’ammasso è di circa 5Mpc per cui la differenza in velocità tra le varie galassie non ha nulla di cosmologico, non è legata al fatto che galassie più lontane di allontanano più velocemente. È dovuta piuttosto alla velocità che ogni galassia ha all’interno dell’ammasso. Il fatto che una velocità peculiare può essere dell’ordine dei 500km/s significa che la legge di Hubble non può essere applicata per galassie con redshift inferiore ai 3000km/s senza avere forti errori sistematici. Se in ammasso, si può assumere che la velocità di allontanamento si a la stessa per tutti i membri e che quindi la velocità peculiare sia la differenza tra la velocità osservata e quella dell’ammasso. Non vi è modo di conoscere la velocità peculiare di una galassia isolata. L’incertezza sulla distanza dovuta alla presenza di una velocità peculiare non si può quindi correggere. È invece possibile correggere per la velocità peculiare della nostra Galassia. Il sole si move attorno al centro della nostra galassia con una velocità di circa 230km/s. La nostra galassia si muove verso l’ammasso della vergine a circa 250km/s ed insieme ad esso ci si sta muovendo verso il grande attrattore con una velocità dell’ordine dei 600km/s. Sembra tutto se non molto complicato per lo meno incerto perché tante correzioni aumenterebbero l’incertezza sulla correzione cumulativa. Fortunatamente la velocità del sole rispetto al fondo cosmico è ben nota. Grazie alle osservazioni da satellite si conosce con precisione sia la direzione verso cui ci si muove che la velocità (371km/s). La correzione da apportare alla velocità osservata di un oggetto dipende in questo caso solo dalla posizione dell’oggetto sulla sfera celeste. Se l’oggetto si trova esattamente nella direzione verso cui ci muoviamo, dovrò aggiungere 371km/s alla velocità osservata, se l’oggetto si trova esattamente a 90◦ dall’apice allora la correzione sarà nulla. Normalmente si fa uso delle coordinate galattiche l (longitudine) e b (latitudine) per calcolare il valore della correzione da utilizzare e la formula è ∆V3KB = Vapex [sin(b) sin(bapex ) + cos(b) cos(bapex ) cos(l − lapex )] (1.14) dove lapex e bapex sono le coordinate del vertice verso cui ci si muove, Vapex è il valore della velocità, l e b le coordinate dell’oggetto osservato. Riportiamo in tabella 1.3 i valori delle velocità e coordinate dei vertici per alcuni sistemi di riferimento. 1.3.4 Magnitudine apparente totale: Raggio di Petrosian La misura della magnitudine totale di un oggetto esteso, quale le galassie di cui vogliamo determinare la funzione di luminosità, non è una operazione cosı̀ semplice come potrebbe sembrare a prima vista. Infatti, mancando un limite netto che delimita il bordo di una galassia, determinare la quantità di luce totale che viene emessa da questa non è per nulla banale. Non conviene considerare aree troppo estese a causa della luminosità del cielo. Oltre una certa distanza dal centro, la brillanza superficiale delle galassie è ben al di sotto di quella del cielo notturno. Quest’ultima è determinata con una 11 Figure 1.4: Andamento radiale della brillanza superficiale media (in scala logaritmica) al raggio r (linea punteggiata - numeratore di eq.1.15) e della brillanza superficiale media entro r (linea tratteggiata - denominatore di eq.1.15). precisione che non è infinita sul CCD ed è limitata in genere dalla disuniformità della risposta dello strumento (flat field). La brillanza superficiale del cielo varia a seconda della banda fotometrica considerata, a seconda della fase della luna, a seconda della distanza dalla luna, a seconda della regione in cielo (luce zodiacale) ed a seconda del sito astronomico (inquinamento luminoso). Ad esempio, in banda R, in assenza di luna, una tipica brillanza può essere di 21mag arcsec−2 . Per misurare una brillanza di 26mag arcsec−2 bisogna poter misurare una brillanza superficiale 100 volte più debole di quella del cielo. Se il FlatField ha un errore dell’ordine dell’1%, sto commettendo un errore del 100% sulla intensità luminosa della galassia. Una possibilità, utilizzata ad esempio del catalogo Third Reference Catalog of Bright Galaxies (De Vaucouleurs et al. 1991, RC3) è di considerare il raggio dell’isofota ad una specifica brillanza superficiale. Nel caso dell’RC3 si è considerata come isofota di riferimento l’isofota alla brillanza superficiale di 25mag arcsec−2 in banda B. Questo approccio, vantaggioso per la sua facilità di applicazione, presenta alcuni inconvenienti. Ad esempio, se sono in una regione di cielo in cui vi è assorbimento galattico, sottostimerò la magnitudine del mio oggetto in quanto l’isofota alla 25ma magnitudine avrà un diametro inferiore a quello che per la stessa galassia troverei in assenza di assorbimento. L’assorbimento infatti abbassa la brillanza superficiale di tutta la galassia ed l’isofota alla 25ma magnitudine risulterà essere più interna di quella vera. Poco importa se, una volta intergrata tutta la luce entro l’isofota 25, correggo per estinzione. L’aver integrato la luce della galassia entro un raggio più piccolo porta ad un errore che non potrà essere più corretto. Si potrebbe correggere per assorbimento prima di trovare il raggio alla 25ma isofota, ma cosa fare se l’assorbimento non è noto ? Utilizzare una isofota di riferimento a brillanza fissata poi può generare errori sistematici che dipendono dal profilo di brillanza superficiale o dalla orientazione del sistema. Per quanto riguarda l’orientazione, si può pensare a come cambia la brillanza superficiale di una galassia a disco al variare dell’inclinazione. Per inclinazioni i < 80◦ vale la regola per cui µ(i) = µ0 + 2.5 log(cos i) dove µ0 è la brillanza superficiale per i = 0◦ . Se la galassia ha una inclinazione alta il raggio alla 25ma magnitudine appare più grande che non per la galassia vista di faccia. Per quanto riguarda come il 12 Figure 1.5: Andamento del rapporto di Petrosian descritto in eq.1.15 per lo stesso profilo di intensità utilizzato in Fig.1.4. Una definizione usuale consiste nell’assumere come raggio di Petrosian il raggio per cui tale rapporto vale 0.2. profilo intrinseco di brillanza può di per se stesso generare un effetto sistematico, si può pensare al caso delle galassie a bassa brillanza superficiale. Si tratta di una classe di galassie a spirale caratterizzate da una brillanza superficiale centrale µ0B > 22.6mag arcsec−2 . In alcune di queste galassie gran parte della galassia si trova ad un livello di brillanza superficiale al di sotto della soglia delle 25mag arcsec−2 . Last but not least, la brillanza superficiale dipende dalla distanza quanto questa diventa sufficientemente elevata (µ ∝ 1/(z + 1)4 ). Limitare una galassia in base ad una isofota a magnitudine fissata introduce un effetto sistematico dipendente dal redshift. Un metodo per definire una magnitudine che sia priva di questi effetti sistematici fa uso del raggio di Petrosian. Si definisca il rapporto di Petrosian come R αin r Rp (r) = αlo r 2 2 dr0 2πr0 I(r0 )/[π(αhi − αlo )r2 ] Rr 0 0 0 2 0 dr 2πr I(r )/(πr ) (1.15) Il numeratore di questa frazione è la brillanza superficiale media al raggio r. αin e αlo sono due parametri che sono tipicamente fissati a 0.8 e 1.25 e definiscono l’area entro cui misurare la brillanza supeficiale attorno al raggio r. Il denominatore è invece la brillanza superficiale media entro il raggio r. Per raggio r piccoli, queste due grandezze sono simili ed il rapporto vale 1. Per raggi crescenti il numeratore decresce più velocemente che non il denominatore per cui il rapporto di Petrosian tende a zero. In Fig.1.4 viene mostrato l’andamento del numeratore e denominatore di eq.1.15 nel caso di un disco esponenziale. Si può vedere come la brillanza superficiale media al raggio r abbia un andamento esponenziale. È infatti ben rappresentata da una retta se graficata con una scala lineare in r e logaritmica in intensità. La brillanza superficiale entro il raggio r è ovviamente sempre maggiore della brillanza al raggio r. Tipicamente (ma questo può cambiare a seconda delle necessità) si considera come raggio di Petrosian il raggio a cui il rapporto di eq.1.15 e mostrato in Fig.1.5 vale 0.2. Nell’esempio che stiamo considerando di un disco esponenziale (a proposito, quanto vale il raggio di scala del disco esponenziale mostrato in Fig.1.4 ?) il raggio di Petrosian vale 1600 . 13 Figure 1.6: Luminosità totale racchiusa entro il raggio r per lo stesso profilo di luminosità mostrato in Fig.1.15 . Se si considerano 2 raggi di Petrosian stiamo perdendo lo 0.6% della luce di tutta la galassia. La magnitudine di Petrosian è la magnitudine integrata entro 2 raggi di Petrosian e cioè mp = Z 2rp 0 2πr0 I(r0 )dr0 (1.16) Nel nostro esempio si può vedere che solo lo 0.6% della luce della galassia è emessa al di fuori del nostro limite di 2Rp di 3600 . Se la dimensione della galassia non è trascurabile rispetto alla FWHM del seeing, la frazione di luce che viene persa cambia. In Fig.1.7 plottiamo la frazione di luce misurata entro 2Rp al variare del raggio di metà luce della galassia. Nel pannello superiore è mostrato il grafico relativo ad un disco esponenziale. In questo caso il raggio di metà luce vale 1.68 raggi di scala esponenziali. Per prima cosa si può vedere come la frazione di luce persa non dipende dal raggio di scala del disco esponenziale (linea a puntini). Nel caso in cui viene introdotta la presenza di seeing questo non è più vero. Ad esempio, facendo riferimento alla Fig.1.7 linea continua, se il seeing vale 4 raggi di scala esponenziale, che equivalgono a 2.7 raggi di metà luce, si comincia a perdere una quantità maggiore di luce. La luce persa aumenta al diminuire del rapporto raggio di scala/FHWM del seeing. Se la FWHM del seeing è pari al raggio di scala del disco esponenziale, si perde circa il 5% della luce. Inoltre si perde luce anche se la galassia non è vista di faccia ma con una qualche inclinazione i > 0. Nella figura è mostrata con una linea tratteggiata la frazione di luce entro 2Rp nel caso in cui il rapporto assiale apparente sia di 0.5. In questo caso la quantità di luce persa è maggiore. Vedendo però il valore assoluto della quantità di luce persa si può constatare che l’errore sulla luminosità totale 14 Figure 1.7: Frazione di luce misurata entro 2Rp al variare del raggio di metà luce della galassia. Nel pannello superiore è mostrato il grafico relativo ad un disco esponenziale (in questo caso il raggio di metà luce vale 1.68 raggi di scala esponenziali) mentre nel pannello inferiore è mostrato il caso di un profilo di de Vaucouleurs. Viene inoltre calcolato tale profilo in assenza di seeing e con un seeing di F W HM = 1.500 . Vi è differenza a seconda che la galassia appaia circolare o con uno schiacciamento apparente dei 0.5. 15 Table 1.4: Descrizione del campione per banda fotometrica banda u g r i z intervallo magnitudini 14.50 < m < 18.40 14.50 < m < 17.65 14.50 < m < 17.60 14.50 < m < 16.90 14.50 < m < 16.50 intervallo z numero di (km/s) galassie 5000 < cz < 30000 1679 5000 < cz < 50000 4684 5000 < cz < 60000 11275 5000 < cz < 60000 7441 5000 < cz < 60000 6090 dell’oggetto è sempre inferiore al 5% e quindi, in termini di magnitudine, inferiori a 0.05 magnitudini. Nel pannello inferiore di Fig.1.7 è mostrata la stessa informazione per una galassia ellittica. In questo caso in assenza di seeing la quantità di luce persa è ben del 18%. Il seeing diminuisce questo valore che non è comunque mai inferiore al 10% (0.1 magnitudini). Il raggio di Petrosian trova importanti applicazioni nelle survey di galassie dove algoritmi derivano in maniera del tutto automatica le proprietà fotometriche di migliaia di galassie. 1.4 La FL dalla Sloan Digital Sky Durvey SDSS L’astronomia moderna è caratterizzata dallo sviluppo di numerose survey pubbliche. Alcune di queste mirano allo studio dell’universo vicino e coprono una amplia regione di cielo. Altre, focalizzate sul lontano universo, coprono porzioni piccole di cielo ma con una notevole profondità. Una delle survey più importanti è senza dubbio la Sloan Digital Sky Survey (SDSS). In questa dispensa utilizziamo questa survey per analizzare la funzione di luminosità nel vicino universo. La SDSS ha ottenuto immagini in 5 bande fotometriche indicate con le lettere u, g, r, i e z centrate alle lunghezze d’onda di 3540, 4770, 6230, 7630 e 9130Å rispettivamente. È stato costruito un campione completo fino alla magnitudine r = 17.6 con 11275 galassie comprese in una area di cielo di 140◦2 . In totale, il numero di galassie presenti nel campione è descritto in tabella 1.4. Per tutte le galassie del campione è stato misurato spettroscopicamente il redshift che è compreso tra 0.016 e 0.2. Per il calcolo della magnitudine assoluta è necessario determinare il modulo di distanza e la correzione K. Quest’ultima, in quanto dipende dal tipo morfologico, ovvero dalla distribuzione spettrale di energia, cambia da oggetto ad oggetto (sec.1.3.2). Dato che il colore è indice della SED, la correzione K viene derivata direttamente dal colore g − r secondo quanto descritto in figura 1.8. Per quanto riguarda il modulo di distanza si è ovviamente calcolata la distanza di luminosità secondo i modelli cosmologici attuali. La funzione di luminosità in banda r ottenuta è mostrata in Fig.1.1. La densità di galassie è di 1.46 ± 0.12 × 10−2 M pc−3 galassie, M∗ = −20.83 ± 0.03 ed α = −1.20 ± 0.03. Nelle altre 4 bande la FL è riportata in Fig.1.9. Si può vedere come in generale il valore dei parametri dipenda dalla banda fotometrica. Il parametro α ha una dipendenza meno marcata e risulta compreso fra -1.20 e -1.35. 1.4.1 Dipendenza z La LF può essere utilizzata per vedere come evolvono le galassie come popolazione. Se infatti è difficile confrontare singoli oggetti lontani con oggetti vicini in quanto non si può capire se le differenze siano dovute ad una evoluzione oppure ad una differenza intrinseca, il confronto delle caratteristiche di un campione ampio di galassie permette di evidenziare differenze anche lievi. Volendo fare un esempio spicciolo, consideriamo l’altezza delle persone in funzione dell’età. Se confronto l’altezza di un settantenne (diciamo 170cm) con l’altezza di un quarantenne (175cm), come faccio a capire se 16 Figure 1.8: Correzione K in banda r in funzione del redshift per galassie con colori g − r pari a 0.2, 0.4, 0.6 e 0.8 come indicato. Per le altre quattro bande si è derivata una simile calibrazione. 17 Figure 1.9: Come Fig.1.1 ma nelle bande u, g, i, e z. Si può notare come i valori di dei parametri α, M∗ e Φ∗ dipendono dalla banda fotometrica. 18 Figure 1.10: Dipendenza della FL con il redshift. In questo piccolo intervallo di redshift non evidenziano variazioni. 19 Table 1.5: Descrizione della distribuzione in redshift delle galassie nel FDF z 0.00?0.45 0.45?0.81 0.81?1.11 1.11?1.61 1.61?2.15 2.15?2.91 2.91?4.01 4.01?5.01 >5.01 ??? numero di galassie 808 998 885 898 504 746 549 150 18 2 frazione di galassie 14.54% 17.96% 15.92% 16.16% 9.07% 13.42% 9.88% 2.70% 0.32% 0.04% la differenza è dovuta al fatto che a settanta anni si diventa più bassi (e quindi la presenza di una evoluzione) oppure al fatto che i due individui avevano una corporatura differente? Nel caso delle persone è facile, basta chiedere al settantenne quanto fosse alto 30 anni prima. Altrimenti si misura l’altezza di 1000 quarantenni (174.5±0.3 cm) e di 1000 settantenni (170.2±0.6 cm). Se, come in questo caso, le altezze medie differiscono di più di 3 deviazioni standard, allora le due popolazioni sono effettivamente diverse in altezza. Lo stesso si fa per le galassie (anche a loro non è possibile chiedere quanto fossero brillanti in passato). Con i dati della SDSS è possibile misurare la LF in maniera affidabile solo per galassie dell’universo vicino, con redshift z < 0.2. In Fig. 1.10 vengono mostrate sovrapposte le LF delle galassie della SDSS raggruppate in due intervalli di z: quelle con 5000 < z < 30000 (cioè 0.017 < z < 0.1) e quelle con 30000 < z < 60000 (0.1 < z < 0.2). In questo caso non si evidenzia alcuna differenza tra le due FL. L’unica differenza è nell’estensione. La FL relativa alle galassie più lontane non mostra valori per Mr < 20 ma questo è dovuto semplicemente al fatto che, essendo la SDSS una survey limitata in magnitudine, le galassie più deboli della 20ma magnitudine poste a z > 0.1 non sono state individuate in maniera appropriata. Evidentemente, andando a z = 0.15 le galassie in banda r sono simili alle galassie attuali e non sono evolute in luminosità, nè le più luminose, nè le meno luminose. Per notare una evoluzione dobbiamo andare più indietro nel tempo. Descriviamo ora cosa si è trovato considerando la banda UV ed andando ad esplorare l’universo più lontano fino a z = 4. Per fare questo non si usano le survey molto estese come la SDSS o la 2dFGRS ma piuttosto le survey che coprono piccoli angoli solidi ma molto profonde. Un esempio à il Fors Deep Field (FDF) osservato con lo strumento FORS montato al VLT in Cile (ESO, Cerro Paranal). Il campo osservato equivale al campo di vista dello strumento e cioè 70 × 70 . Sono state prese immagini profonde in 9 bande fotometriche, e cioè U, B, G, R, I, 843nm, Z, J, Ks. In questo modo è possibile ottenere redshift fotometrici accurati per le galassie osservate, circa 5500 fino a z ∼ 5. Nella tabella 1.5 riportiamo la distribuzione in redshift delle galassie individuate nel FDF. Seguendo il lavoro di Gabasch et al (2004, A&A 421, 41) utilizziamo ora questi dati per determinare la FL per ogni intervallo di z nella banda UV a riposo. Ovviamente dovremo tenere conto della correzione K per le magnitudini. Per evitare correzioni troppo consistenti conviene utilizzare osservazioni in bande fotometriche il più possibile vicine alla banda UV a riposo. Ad esempio, come indicato dalla tabella A.4, un oggetto a redshift pari a 5 ha la banda U redshiftata fino alla banda K. Se si utilizza quindi questa banda la correzione K ha una entità ragionevole. Il risultato della analisi statistica dei dati è mostrata nella figura 1.11. I dati sono compatibili con α = −1.15 ad ogni z. Se si derivano gli altri 2 parametri (φ∗ ed M ∗ ) si vede che cambiano con continuità mostrando 20 Figure 1.11: Sinistra LF nella banda UV a 280nm a riposo ottenuta per gli 8 intervalli di z considerati. I dati sono indicati dai punti e la linea indica l’interpolazione utilizzata per derivare i parametri delle LF. Per evitare il sovrapporsi delle curve, ogni LF relativa a ogni z (indicato in corrispondenza di ogni curva) è stato spostato verticalmente di 1 dex (cioè di 1 nella scala logaritmica) rispetto al precedente. Destra Valore ottenuto per φ∗ ed M ∗ interpolando i dati. Le curve chiuse rappresentano i contorni a 1, 2 e 3 σ per i le LF ai vari valori di z (indicato a fianco di ogni punto). una chiara evoluzione con z. L’evoluzione è ancora pi’c̆hiara nel pannello di destra della figura dove sono evidenziate le determinazioni di φ∗ ed M ∗ , con tanto di regione di confidenza. Nella figura si vede che all’aumentare del redshift le galassie diventano mediamente più luminose (e cioè L∗ aumenta) ma meno abbondanti (φ∗ diminuisce). Questo risultato osservativo può essere tradotto in una importante informazione sulla evoluzione delle galassie. La luminosità UV è infatti legata al tasso di formazione stellare (SFR = star formation rate) secondo la relazione SFR LU V = cost × erg s−1 Hz−1 (1.17) M¯ yr−1 . dove per UV si intende la banda centrata a 280nm, a volte indicata come NUV (near UV) (Madau, Pozzetti, Dickinson 1998, ApJ, 498, 106). Lavori come questo appena mostrato, assieme con altre determinazione alternative del tasso di formazione stellare, ha portato alla evidenza che lo SFR è cambiato nel tempo. La consuetudine spesso utilizzata è quella di rappresentare il SFR in funzione di z come in figura 1.12 dove in asse X è mostrato per l’appunto z ed in asse Y lo SFR. Tale tipo di grafico viene spesso indicato come Madau Plot in quanto Madau è stato il primo ad utilizzarlo. Si vede subito che in passato la formazione stellare fosse molto più alta che non nell’epoca attuale. Vi è una chiara diminuzione andando da z ∼ 2 a z = 0 di circa un ordine di grandezza. Cosa avviene per z > 2 non è chiaro. L’ostacolo maggiore in questo tipo di misure è l’assorbimento dovuto alle polveri. Molta formazione stellare (o meglio la luce UV da essa prodotta) è infatti schermata dalle polveri che assorbono in UV ed emettono nell’infrarosso. A questa problematica è legato lo studio delle ULIRG (Ultra Luminous InfraRed Galaxies. Vale la pena notare che in Fig.1.12 viene graficata lo SFR per unità di volume. Questo significa che la diminuzione della densità di galassie andando a z alti, indicata dalla diminuzione di φ∗ nella LF UV sopra descritta, viene più che compensata dall’aumento di luminosità UV delle galassie (e cioè dalla crescita di L∗ ). 21 Figure 1.12: Tasso “cosmico” di formazione stellare (SFR) al variare di z. I diversi simboli si riferiscono a determinazioni di SFR fatte da diversi autori. La figura è presa dal lavoro di Madau, Pozzetti, Dickinson 1998, ApJ, 498, 106). Figure 1.13: LF in funzione della magnitudine assoluta e dell’inverso della concentrazione. Le galassie a spirale hanno un valore di 1/c ∼ 0.43 e le galassie ellittiche 1/c ∼ 0.30. I toni scuri indicano un maggior numero di galassie. 22 Figure 1.14: LF per galassie a spirale nell’universo vicino 1.5 Dipendenza con il tipo morfologico Vi è una dipendenza della LF con il tipo morfologico ? Ovviamente sı̀. Già sappiamo, ad esempio, che le galassie ellittiche sono mediamente più brillanti delle galassie a spirale e che le galassie a spirale dei primi tipo (early) sono più luminose di quelle dei tipi più tardi (late). Ma come si può quantificare tutto questo? Le moderne survey (ad esempio la SDSS t.p.c.) permette di esaminare questo tipo di problematica. Dovendo gestire grandi moli di dati è però opportuno identificare un metodo di classificazione morfologica automatico e cioè che sia attuabile da un algoritmo matematico che analizza l’immagine degli oggetti. Un parametro utile a questo scopo è l’indice di concentrazione. Questo è definito come il rapporto tra due raggi: r50 ed r90 dove r50 è il raggio che contiene metà della luce e r90 quello che contiene il 90% della luce: r50 c≡ (1.18) r90 Questo parametro correla fortemente con il tipo morfologico. Più una galassia è concentrata (avendo un valore di c alto) più è probabile che sia una galassia ellittica, meno è concentrata (c basso) più è probabile che sia una galassia a spirale. Per questo motivo il valore di c può essere importante ed è elencato per ogni galassia nel catalogo della SDSS. Pur non essendovi limiti netti, nella SDSS vengono considerate ellittiche galassie con c ∼ 3, 3 e a spirale galassie con c ∼ 2, 3. Possiamo allora graficare la LF in funzione di due parametri, a magnitudine assoluta e c (fig.1.13). Nella figura (dove non è graficato c ma 1/c) le galassie ellittiche occupano il lato sinistro e le galassie a spiarle il lato destro del grafico. Mentre le galassie ellittiche si trovano essenzialmente nella regione tra M = −20 e −22, le galassie a spirale sono 2 magnitudini meno brillanti. La LF delle galassie a spirale può essere vista in maggior dettaglio dalla figura 1.14 ricavata per galassie vicine e classificate in maniera non automatica. Anche qui è evidente come la luminosità delle galassie diminuisca andando a tipi morfologici sempre più avanzati. 23 Figure 1.15: Distribuzione dei tipi morfologici in funzione della densità. Viene mostrata la distribuzione delle galassie ellittiche, a spirale e lenticolari come indicato nella legenda. 1.6 Dipendenza con l’ambiente Vi è una dipendenza della LF con l’ambiente? Questo punto è meno ovvio del precedente ma la risposta è di nuovo sı̀. Quello che in realtà cambia è la frazione di galassie ellittiche e/o a spirale con la densità spaziale di galassie. Questo effetto è detto anche relazione morfologia-densità o morfologiaraggio dove per raggio si intende la distanza dal centro di un ammasso. Nella figura 1.15 (presa da Dressler et al 1997, ApJ, 490, 577) viene mostrata la percentuale, rispetto al totale, di galassie ellittiche, a spirale e lenticolari al variare della densità superficiale di galassie. I dati sono stati ottenuti studiando 55 ammassi locali per un totale di 5676 galassie. Negli ambienti poco densi le galassie ellittiche sono pressocché assenti mentre vi sono galassie a spirale e lenticolari con un rapporti di circa 2:1. Man mano che la densità aumenta si vede che le galassie ellittiche diventano sempre più frequenti e le galassie a spirale diminuiscono. Le galassie lenticolari hanno un andamento simile alle galassie ellittiche ma meno accentuato. Le regioni più dense degli ammassi sono essenzialmente dominate dalle galassie ellittiche e lenticolari. Questo fenomeno è spiegato come un effetto evolutivo dei tipi morfologici. Secondo lo scenario gerarchico di formazione delle galassie, le galassie ellittiche si formano dal merging (fusione) di galassie più piccole. I merging sono più probabili nelle regioni a maggiore densità di galassie e cioè le regioni centrali degli ammassi. Il meccanismo del merging spiega bene la presenza delle galassie cD nel centro di molti ammassi. Questa classe di galassie ellittiche estremamente massiccia si trova sempre in prosimità del centro di ammassi ricchi regolari. le galassie cD occupano quindi regioni ad altissima densità, il punto più profondo della buca di potenziale dell’ammasso dove sono “cadute” le galassie che le hanno formate. Un modo alternativo in cui si pu`‘o vedere lo stesso effetto consiste nel mettere in evidenza come la frazione dei tipi morfologici 24 Figure 1.16: Frazione dei tipi morfologici in funzione dal centro di un ammasso (Cl 0024+16 a z = 0.4). Vengono mostrate separatamente la frazione di galassie ellittiche ed S0 contro le galassie a spirale ed irregolari. cambia con la distanza dal centro dell’ammasso. Nel caso di ammassi ricchi e regolari, la densità aumenta verso il centro in maniera regolare e monotona, similmente a come avviene in un ammasso globulare. Densità e distanza dal centro dell’ammasso sono allora legate. Nella figura 1.16 (da Treu et al. 2003, ApJ, 591, 53) viene mostrata la frazione di galassie ellittiche ed S0 o delle spirali ed irregolari al variare della distanza dal centro dell’ammasso Cl 0024+16 a z = 0.4. A questo redshift stiamo vedendo l’ammasso come era circa 5 miliardi di anni fa. Ma se l’effetto densità-morfologia o densitàraggio che dir si voglia era già esistente a z = 0.4 (ed altri autori trovano anche a z = 0.5 che equivale a quando l’universo aveva il 64% dell’età attuale) quando l’ammasso stava ancora evolvendo, come può essere un effetto evolutivo? Il problema sta nel fatto di non poter osservare lo stesso ammasso di galassie nella sua evoluzione. Il tempo evolutivo dipende dalla densità. Se si seleziona un ammasso ricco di galassie ad alto redshift e lo si compara con un ammasso di ricchezza analoga oggi stiamo in realtà confrontando oggetti che hanno età evolutiva simile. Non stupisce che essi abbiano relazioni morfologia-densià simili. In altre parole, forse stiamo chiamando ammassi delle cose che sono già evolute. L’ammasso a z = 0.4 che vediamo ora ben formato, come sarà tra 5Gyr? È come se, per capire come mai un anziano ha i capelli grigi, andiamo a vedere come erano gli anziani di 50 anni fa. Avevano i capelli grigi... Quanto descritto nelle sezioni 1.5 e 1.6 sono riassunti nella figura 1.17. In questo caso non viene messa in evidenza la posizione delle galassie all’interno dell’ammasso (quello della Vergine in questo caso) ma solo la densità dei vari tipi morfologici. Le E sono sempre gli oggetti più brillanti sia in ammasso che nel campo. Le galassie a spirale appaiono sempre rigorosamente ordinate dalle più brillanti (Sa) alle meno brillanti(Sd+Sm). 25 Figure 1.17: LF per diversi tipi morfologici sia in ammasso (Virgo cluster) che non (local field). Oltre alla LF delle singole classi di galassie viene indicata anche la LF totale. 26 Appendix A A.1 Principali bande fotometriche e spostamento con z In questa appendice riportiamo alcuni dati che possono essere utili in generale. Le tre tabelle riportano le caratteristiche dei filtri dei principali sistemi fotometrici. Nella tabella A.1 mostriamo i filtri a banda larga con indicata anche la magnitudine e luminosità del Sole. Nella tabella A.2 le caratteristiche dei filtri più utilizzati da l telescopio spaziale HST (attenzione, non sono mostrati i filtri della ACS) e nella tabella A.3 le caratteristiche dei filtri di alcuni sistemi a banda intermedia. Infine, nella tabella A.4 riportiamo la corrispondenza tra bande a riposo e bande osservate per oggetti di vario redshift. Table A.1: Caratteristiche dei filtri a banda larga in diversi sistemi fotometrici Sistema Banda UBVRI U B V R I J H K L M Hp BT VT g r i z u’ g’ r’ i’ z’ Hipparcos Tycho ThuanGunn SDSS λef f nm 365 445 551 658 806 1220 1630 2190 3450 4750 550 420 510 512 668 792 912 352 480 625 769 911 27 FWHM L¯ nm 1025 W 66 1.86 94 4.67 88 4.64 138 6.94 149 4.71 213 2.49 307 1.81 390 0.82 472 0.17 460 — 225 75 100 120 100 150 140 63 141 139 154 141 M¯ 5.61 5.48 4.83 4.42 4.08 3.64 3.32 3.28 3.25 — Table A.2: Caratteristiche dei filtri a banda larga del telescopio spaziale HST Strumento WFPC2 NICMOS Filtro F336W F439W F555W F675W F814W F300W F450W F606W F110W F140W F160W F175W F187W F205W λef f FWHM analogo nm nm UBV 332.7 37.1 U 429.2 46.4 B 525.2 122.3 V 673.5 88.9 R 826.9 175.8 I 292.4 72.8 U largo 444.5 92.5 B largo 584.3 157.9 V largo 1100 300 J 1400 500 1600 200 H stretto 1750 550 H stretto 1875 125 2050 300 Table A.3: Caratteristiche dei filtri a banda intermedia Sistema Strömgren DDO banda u v b y βw βn 45 42 41 38 35 λef f nm 349 411 467 547 489 486 451.7 425.7 416.6 380.0 349.0 FWHM nm 30 19 18 23 15 3 7.6 7.3 8.3 17.2 37.0 Table A.4: Corrispondenza tra redshift, banda fotometrica a riposo e banda fotometrica osservata. U B V R U B V R I J H K L 0 0.22 0.51 0.80 1.21 2.34 3.47 5.00 8.45 0 0.24 0.48 0.81 1.74 2.66 3.92 6.75 0 0.19 0.46 1.21 1.96 2.97 5.26 0 0.22 0.85 1.48 2.33 4.24 28 M 12.01 9.67 7.62 6.22