Sono tempi duri per chi oggi si trova nella

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Sono tempi duri per chi oggi si trova nella
Il doppio fardello
La duplice discriminazione di essere donne e disabili
Sono tempi duri per chi si trova nella condizione di essere donna e disabile allo stesso tempo, a
causa della doppia discriminazione che da questa realtà deriva: è l’amara riflessione emersa dal
Convegno internazionale intitolato Voci differenti: genere e disabilità tenutosi a Roma, presso la
Casa Internazionale delle Donne. L’iniziativa, organizzata da INTEGRA, FISH, DPI è stata
un’occasione unica di confronto su un tema scottante e attuale, alla luce di quanto emerge dalla
Convenzione ONU sui Diritti Umani delle Persone con Disabilità.
La prima sessione della giornata, moderata da Silvia Cutrera, Presidente dell’Agenzia per la Vita
indipendente ONLUS di Roma viene aperta dall’intervento di Costanza Fanelli, Presidente della
Casa Internazionale delle Donne, che sottolinea la sua gioia nell’ospitare l’iniziativa in un luogo
simbolo delle battaglie dei movimenti femminili degli anni settanta, finalizzate a dare consistenza al
concetto di autodeterminazione. Un concetto da non dimenticare, specialmente oggi, epoca in cui le
donne sono troppo spesso vittime di violenza e in cui, vecchi pregiudizi, che si consideravano ormai
scardinati proprio grazie a quelle lotte, riemergono in forme nuove e preoccupanti. Secondo la
portavoce della casa Internazionale delle Donne, proseguire il percorso di autodeterminazione,
facendo fronte alle problematiche attuali, diventa oggi essenziale per affermare e riaffermare il
diritto alla cittadinanza nel senso pieno e completo del termine. Fanelli conclude la sua
introduzione invitando i referenti delle associazioni presenti, a lavorare sul terreno delle alleanze,
per dare attuazione a quanto sancito dalla Convenzione ONU in materia di tutela dei diritti delle
donne disabili.
Segue un racconto appassionato, quello della Delegata all’Handicap della Provincia di Roma,
Tiziana Biolghini, sulla sua esperienza di lotta per i dritti dei disabili nei paesi della provincia di
Roma. Smentisce, innanzitutto, la credenza diffusa per cui le persone con disabilità che vivono nelle
piccole realtà, in teoria avvolte e protette dalla fitta rete solidale e affettiva della comunità, vivano
meglio che nella grande città dove regnerebbe l’indifferenza e il totale anonimato. Proprio nel
piccolo centro, invece, si fanno evidenti più che mai, lo stigma e il pregiudizio, che rendono i
disabili vittime di discriminazione sociale. Anche la sessualità - ricorda Biolghini - diventa un
problema per la persona disabile che spesso, come appare chiaramente dalle statistiche, non
distingue tra affettività e sessualità, e subisce molestie ed abusi, confondendoli con gesti di affetto e
amicizia.
Ileana Argentin, Delegata all’Handicap del Comune di Roma, con chiarezza e ironia denuncia
l’incapacità dei “normali” di distinguere le persone con disabilità per genere ed età, come se si
trattasse di un’umanità a parte, asessuata e priva di un’età anagrafica. Sottolinea l’importanza di
riconoscere la sessualità e la femminilità delle donne disabili, solitamente represse e negate.
Andando oltre la sfera dell’intimità, la discriminazione delle donne (disabili) arriva alla vita
pubblica. Nonostante l’introduzione delle quote rosa, e spesso come conseguenza alla loro sbagliata
interpretazione, la politica è terreno fertile per la discriminazione delle donne. Far fare la politica
alle donne “tanto per” abbassa il livello della politica e provoca discriminazione. Bisogna partire
dalla cultura della politica al femminile, solo così si può assicurare la presenza nelle stanze dei
bottoni di quote rosa qualificate e qualificanti per la politica del nostro paese. Argentin conclude il
suo intervento proponendo la realizzazione di un documentario - che afferma di essere disposta a far
finanziare dal Comune di Roma - per raccontare la disabilità da una nuova prospettiva, fuori
dall’aura di tristezza in cui oggi è avvolta.
La disabilità – spiega Emilia Napolitano, Presidente di DPI Italia - è oggi vista da una prospettiva
medica, senza il riconoscimento del disabile nella sua soggettività in quanto essere umano a tutti
gli effetti. Le donne disabili vivono oggi una discriminazione multipla e trasversale, che le rende
invisibili in tutte le sfere della loro vita: come lavoratrici, come madri, come mogli e come
innamorate. Solo il 3% delle persone con disabilità è scolarizzata, e di queste la maggior parte dopo
gli studi ricopre ruoli subalterni e poco remunerati, entrando così nella discriminazione lavorativa,
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pubblicato il 5 febbraio 2008
alla quale si accompagna la discriminazione nella sfera affettiva. Infatti, le donne disabili sposate
sono una percentuale minore rispetto agli uomini (50% di donne contro il 68% di uomini), mentre le
donne abbandonate dal proprio partner sono in maggioranza rispetto agli uomini. Grande incidenza
statistica ha poi l’abuso sessuale: dal 39 al 68% di ragazze con ritardo nello sviluppo mentale
vengono sessualmente abusate prima della maggiore età.
Napolitano individua tre strumenti per riappropriarsi della propria identità soggettiva:
l’empowerment, per passare dalla passività appresa all’apprendimento della speranza; il percorso
di vita indipendente, che si basa sull’implementazione di risorse e servizi ad hoc per le persone
con disabilità; le reti di donne, improntate alla solidarietà reciproca sia a livello europeo, come per
esempio la serie di progetti Daphne di DPI, che italiano, come nel caso delle attività di
coordinamento di associazioni svolta dalla FISH.
Pietro Vittorio Barbieri, Presidente di FISH, Federazione Italiana per il Superamento
dell’Handicap, introduce l’importanza della Convenzione internazionale nell’affermazione dei
diritti delle persone con disabilità, definendola un’estensione pratica dell’applicazione dei diritti
umani nel campo della disabilità, basata su un cambio di paradigma, che punta al superamento
dell’approccio medico alla disabilità e sull’allargamento dell’assistenza dalla sfera sanitaria alla
sfera sociale della vita del soggetto disabile. Nel suo intervento sostiene in particolare l’urgenza di
due azioni: quella di dare voce alle persone disabili, consentendo loro di essere presenti negli
organsmi dirigenti di associazioni e federazioni e quella di fare pressione affinché vengano chiusi
gli Istituti di internamento di disabili, purtroppo ancora presenti nel nostro Paese.
Si entra nel vivo del dibattito sulla Convenzione ONU sui Diritti Umani delle Persone con
Disabilità, approvata il 25 agosto 2006 e adottata, in via definitiva, il 13 dicembre 2006
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con l’intervento di Carmen Riu, Membro del
Consiglio permanente delle donne della Catalunya, che apre la sua relazione imputando molti dei
pregiudizi attuali sulla disabilità ad un problema culturale. Una visione androcentrica normalista
della società, rafforzata dal culto del corpo perfetto, è alla base della doppia discriminazione nei
confronti delle donne con disabilità. Riu sottolinea l’importanza della Convenzione sia come
realizzazione concreta di un’opera di pressione da parte delle donne, sia come strumento in mano ad
esse per la creazione di una società dell’inclusione che scardini l’attuale, basata sull’esclusione.
Ricorda come, fin dall’inizio dei lavori, non siano mancate le difficoltà per inserire nella
Convenzione la prospettiva di genere, operazione comunque riuscita grazie all’intervento di donne,
molte delle quali con disabilità, impegnate nella lotta. Il documento, che è stato approvato ma non è
ancora entrato in vigore - dal momento che per questo è necessaria la ratifica di almeno 20 paesi, e
per ora lo hanno ratificato in 13, di cui, in Europa, soltanto Spagna, Ungheria e Croazia - analizza
diversi aspetti legati al problema della disabilità. Fin dal preambolo si riconosce il rischio di
violenza, a cui le persone con disabilità sono particolarmente esposte ed enfatizza la necessità di
incorporare una prospettiva di genere che promuova appieno i diritti umani e le libertà fondamentali
delle persone con disabilità. Sempre a questo proposito, si afferma nell’articolo 6, gli Stati
riconoscono che le donne e le ragazze con disabilità sono soggette a discriminazioni multiple e
perciò devono prendere ogni misura appropriata per assicurare il loro pieno sviluppo,
avanzamento e rafforzamento, allo scopo di garantire loro l’esercizio e il godimento dei diritti
umani e delle libertà fondamentali enunciate nell’articolo 3.
I principi alla base della convenzione, elencati e spiegati nell’articolo 3, sono: il rispetto per la
dignità, l’autonomia individuale, l’indipendenza, la non discriminazione, l’inclusione sociale, il
rispetto per la differenza, la parità di opportunità, l’accessibilità e la parità tra uomini e donne. Il
documento dell’ONU pone la questione dei diritti dei disabili al centro del dibattito sui diritti
umani, nel tentativo di superare la visione del disabile come diverso e perciò escluso dal godimento
di essi.
Il convegno prosegue con l’intervento di Cecilia D’Elia, Assessore alle politiche per la
Semplificazione, Comunicazione e Pari opportunità del Comune di Roma, che pone l’accento
sull’importanza delle esperienze dirette per cercare di trovare soluzioni vere al problema della
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discriminazione e ribadisce l’importanza di arrivare ad una più matura concezione della
soggettività, che prescinda dal corpo, oggi visto come fattore essenziale nella creazione
dell’identità.
Il centro del problema è la rivalutazione soggettiva delle donne nella loro identità di genere,
afferma Erminia Emprin, Senatrice di Rifondazione Comunista, XII Commissione Igiene e Sanità,
introduce il tema della responsabilizzazione dell’uomo e in particolare della necessità che le donne
si ripropongano all’uomo come soggetti, in tutte le sfere della vita. Troppo spesso questo non
avviene, come dimostra l’evidente difficoltà delle donne ad operare in politica e l’intensificarsi, nel
privato, di episodi di violenza nei loro confronti.
Sempre dal Parlamento arriva un monito, quello Luisa Capitanio Santolini, Deputata UDC, XII
Commissione Affari Sociali, che denuncia una triplice matrice del problema: prima di tutto
culturale, secondariamente sociale e in terzo luogo politica. È un problema culturale perché la
nostra società valorizza eccessivamente la normalità, è sociale perché è urgente che le associazioni
emergano e abbiano voce in capitolo ed infine politico, ed infine è politico perché si tratta di un
problema urgente dell’agenda politica, per tutte le fazioni in campo. Santolini invita infine ad
un’azione integrata e congiunta di molti soggetti con un'unica regia, affinché la Convenzione non
rimanga lettera morta.
Arricchisce il convegno con un parere istituzionale Tina Ammendola, portavoce del
Sottosegretariato all’Interno, che ribadisce l’importanza di vedere la diversità come un valore, di cui
una società può servirsi per crescere culturalmente e socialmente. In Italia, invece, le donne
straniere e disabili, in ragione della loro triplice diversità, sono soggetti non tutelati su più fronti, da
una società che teme e allontana la diversità. Anche se non esistono dati incrociati che ci diano
informazioni statistiche su di esse, sono soggetti volubili e fragili, esposti a dinamiche psico-sociali
che possono causare invalidità. Il Ministero dell’Interno, spiega Ammendola, attraverso la Carta
dei Valori, lavora per prevenire il rischio all’origine, attraverso misure di protezione sociale reale e
non con politiche di mera monetarizzazione delle persone disagiate.
Chiude la sessione Isabella Menichini, Vice Capo Gabinetto del Ministro della Solidarietà Sociale,
evidenziando il merito dell’Italia (nonostante nel nostro Paese il testo sia ancora in discussione alle
Camere) nell’aver contribuito, affiancando la Spagna, all’Approvazione della Convenzione, grazie
ad un’azione di pressione per l’inserimento dell’articolo relativo a donne e disabilità.
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pubblicato il 5 febbraio 2008