mamre, zampillo di vita

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mamre, zampillo di vita
MAMRE, ZAMPILLO DI VITA
Mamre deve la sua notorietà soprattutto ad un episodio biblico che registra un
singolare incontro di Dio con Abramo. Dio arriva con un passo felpato, delicato e
silenzioso, in cerca di ospitalità. Un viandante bisognoso di aiuto. Così almeno
appare ad un primo momento. Non è sempre così. Non dimentichiamo l’abilità
trasformista di questo Dio. Se tante volte ha una discrezione infinita: “Sto alla
porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui,
cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20), altre volte presenta il conto salato di
esigenze quasi impietose, per esempio, quando chiede ad Abramo di lasciare tutto
per avventurarsi in una terra sconosciuta: “Il Signore disse ad Abram: Vattene
dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti
indicherò” (Gn 12,1), o quando, al limite della crudeltà, gli chiede il sacrificio del
figlio Isacco, nato miracolosamente nella vecchiaia e dalla moglie anziana e finora
sterile (cf Gn 22).
A Mamre si tesse una delicata pagina della storia della salvezza.
Mamre, luogo geografico e storico
Mamre, in arabo Ramet el-Chalil1 è uno dei santuari più importanti del Sud della
Palestina, ricco di querce sacre, a tal punto che il testo ebraico parla di “le querce
sacre” (Gn 13,18; 14,13; 18,1). I traduttori greci e siriaci preferiscono il singolare,
attestato anche in Gn 18,4.8. Sembra che il plurale sia un correttivo per evitare la
sacralizzazione di un albero. La località si trova vicino a Ebron, solo 3 km a nord.
Della sua esistenza parla anche Giuseppe Flavio e gli scavi degli anni Venti del
secolo scorso hanno confermato il valore del luogo2. Nell’insieme si tratta di
un’area di 65x50 metri, comprendente un pozzo, un albero e un altare. Il luogo era
considerato sacro in epoca israelitica. Erode il Grande fece costruire attorno al
luogo commemorativo una cinta muraria e rivestì l’interno con lastricato. Adriano
trasformò il luogo in santuario pagano. Infine, Costantino vi fece costruire una
basilica. Poi edificarono i Bizantini e quindi gli Arabi.
La geografia è intimamente connessa con la storia. Il “dove” postula un “quando” e
rimanda ad un “perché”. Mamre è da sempre luogo sacro. Fu scelto come
residenza dei patriarchi (Gn 13,18; 18,1; 35,27) che saranno poi sepolti a Malpela
“di fronte a Mamre” (Gn 25,9). La geografia rimanda alla storia dei patriarchi.
Abramo visse a lungo sotto il terebinto e vi costruì un altare. Qui ricevette la
notizia della cattura di Lot, dove intercedette per Sodoma. Da qui vide il fumo
salire da Sodoma e dalle altre città vicine. Anche la promessa di un figlio gli fu
fatta proprio qui. Mamre ha relazione anche con Isacco (Gn 35,27).
1
El Chalil significa “L’amico”, attributo biblico dato ad Abramo, ad esempio in Dn 3,35: “Non ritirare
da noi la tua misericordia, per amore di Abramo, tuo amico…”
2
Furono trovati frammenti di vasi dell’inizio del Bronzo Medio II, due pavimenti, il primo risalente
probabilmente a Roboamo (cf 2Cr 4,7-19) e l’altro a Giovanni Arcano I. Le fondamenta delle due
torri di entrate sono datate tra il IX e il VII secolo a.C.
1
Mamre, luogo di incontro con Dio e di grandi eventi e promesse
Mamre ricorda tre grandi manifestazioni di Dio ad Abramo:
1. Promessa della nascita di un figlio e stipulazione dell’alleanza (Gn 15).
Mamre si qualifica come LUOGO DI VITA, FISICA E MORALE (nascita di Isacco,
inizio di una relazione tra Dio e il patriarca)
2. Prescrizione della circoncisione come segno e ricordo dell’alleanza contratta
(Gn 17)
Mamre diventa il luogo dove L’APPARTENENZA SI SACRAMENTALIZZA IN UN
SEGNO
3. Apparizione di tre personaggi misteriosi che annunciano la nascita del figlio e la
distruzione di Sodoma (Gn 18)
Mambre si identifica come LUOGO DI PROMOZIONE AD UNA VITA NUOVA,
DOPO UN INCONTRO CHE RIBALTA L’ESISTENZA. Viene celebrato il valore e
l’esaltazione della persona.
Leggo da un dépliant che presenta la Comunità Mamre:
“Che cos’è e che cosa fa”: Ha per scopo il perseguimento di finalità di solidarietà
sociale e l’impegno a porre la persona umana al centro delle sue attenzioni, dei
suoi programmi e dei suoi interventi.
La persona sta al centro e al cuore: come ha fatto Dio con Abramo. Quanto sia
decisivo l’incontro e importante la persona, fu scritto anche da Benedetto XVI,
nella sua prima enciclica: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione
etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona,
che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”3.
Per capirlo meglio, facciamo tesoro di alcuni suggerimenti dello stesso Papa che
valorizza la Parola di Dio come strumento educativo e punto di riferimento
costante. Leggiamo nella Esortazione postsinodale Verbum Domini: “Desidero
indicare alcune linee fondamentali per una riscoperta, nella vita della Chiesa, della
divina Parola, sorgente di costante rinnovamento, auspicando al contempo che
essa diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale”4 e più avanti: “La Parola
di Dio sta alla base di ogni autentica spiritualità cristiana”5.
Incoraggiati e stimolati dalla parola del Papa, leggiamo il cap. 18 della
Genesi, che dividiamo in due parti: i vv. 1-16a presentano la misteriosa visita di tre
personaggi ad Abramo, i vv. 16b-33 la comunicazione di Dio ad Abramo del suo
progetto di punire Sodoma e la conseguente intercessione del patriarca a favore
della città peccatrice.
PRIMA PARTE, Gn 18,1-16a
Assistiamo ad uno strano duetto tra il singolare e plurale: alcune volte Abramo
tratta con una persona sola, altre volte con tre. Lo vediamo da questo specchietto:
v. 1: Il Signore apparve
v. 2: Tre uomini
3
Deus Caritas est, 1.
N. 1.
5
N. 86.
4
2
v. 3: “Mio Signore” dice Abramo
vv. 4-9.16: ritorna il plurale
vv. 10.13: troviamo ancora il singolare
L’enigmatico modo di procedere ha trovato diverse soluzioni interpretative,
nessuna pienamente convincente. Ne elenchiamo tre:
- Potrebbero essere due messaggeri con Dio (cf v. 22). In effetti, poco più avanti,
in Gn 19,1 si parla di due angeli.
- Il Midrash6 vi legge tre angeli che identifica con Michele, Gabriele e Raffaele.
- La tradizione posteriore vi ha letto la Trinità, soprattutto a partire dalla famosa
icona di Andrej Rubliev7, Il solo lavoro interamente e senza dubbio attribuito a lui.
L’Icona della Trinità, conservata presso la Galleria statale di Tret’jakov di Mosca, è
conosciuta anche come l’Ospitalità di Abramo. L’artista sa combinare due
tradizioni: un profondo ascetismo e l’armonia classica di derivazione bizantina. Le
sue pitture trasmettono sempre una sensazione di pace e di calma, a tal punto
che, dopo alcuni anni, la sua arte arrivò ad essere percepita come l’ideale della
pittura religiosa. Nel 1551, a Mosca, il Concilio dei Cento Capitoli stabilì che
l’iconografia di Rubliev era il modello per ogni pittura ecclesiastica.
SECONDA PARTE, Gn 18,16b-33
Letterariamente sono riconoscibili: un’introduzione (v. 16b), un intermezzo (v. 22),
e una conclusione (v. 33). Il corpo centrale è divisibile a sua volta in due sezioni.
Prima sezione: vv. 17-21: Dio fa partecipe Abramo del suo progetto di distruggere
Sodoma.
Seconda sezione: vv. 23-32: serrato dialogo tra Dio e Abramo con la
contrattazione: 50, 45 (50 meno 5), 40, 30, 20, 108.
Il racconto corre sul filo dell’ortodossia: Abramo sembra più misericordioso
di Dio, gli richiama i suoi doveri di giustizia, come se fosse uno che li dimentica o li
trascura… L’arditezza teologica è al servizio dell’idea che l’intercessione, ieri
come oggi, fa breccia nel cuore di Dio.
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Particolare modo interpretativo del testo biblico, tipico dell’interpretazione giudaica.
Nato nel 1360, morto a Mosca il 29 gennaio 1430, è considerato il più grande pittore russo di
icone. Poco si sa della sua vita. Sconosciuto il luogo della nascita e non sicuro l’anno. Con tutta
probabilità visse nel monastero della Trinità di san Sergio, il più importante monastero e centro di
spiritualità della Chiesa ortodossa russa, al tempo di Nikon di Radonez, il primo successore, nel
1392, del fondatore del monastero, Sergio di Radonez.
Le prime notizie risalgono al 1405, quando il nome di Rubliev compare tra i pittori di icone e
affreschi della cattedrale dell’Annunciazione del Cremlino a Mosca. A quel tempo non era ancora
più famoso e spiccano maggiormente i nomi di Teofane il Greco e di Prochor di Gorodec.
Altre cronache informano che lavorà in seguito presso la cattedrale dell’Assunzione a Vladimir e
poi nella cattedradale della Trinità nel monastero di san Sergio. Poi si spostò a Mosca dove dipinse
gli affreschi della cattedrale del Salvatore. Morì a Mosca nel 1430.
La Chiesa ortodossa lo canonizzò nel 1988 e la sua festa è celebrata il 4 luglio.
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Dieci rimane il numero minimo legale per la preghiera ufficiale nella sinagoga. Ancora oggi,
perché nella sinagoga ci sia preghiera pubblica, occorre la presenza di dieci maschi.
7
3
Non entriamo nel campo interpretativo del capitolo, rimandando a studi
specializzati. Per il nostro scopo basta limitarsi ad alcune applicazioni che
favoriscano la spiritualità di Mamre.
Attualizzazione
Abramo sedeva all’ingresso della sua tenda.
Dio ti raggiunge nel quotidiano, quando sei inoperoso, stai nella tua tenda, forse
stanco, demotivato, depresso, proprio come Abramo in un momento di inattività e
forse di stanchezza (l’ora più calda del giorno).
Appena vide i tre uomini, Abramo corse loro incontro
Abramo si accorge di questi uomini, comprende il loro bisogno e si adopera per
aiutarli. Sono bisognosi perché si trovano nel deserto, da soli. Qui l’ospitalità è
una necessità, un bisogno, una benedizione.
Ospitalità viene ospite, dal latino Hospes-hospitis: Chi dà o riceve ospitalità. Da
qui anche l’aggettivo “ospitale”. Il sostantivo Ospizio, indica un luogo di
accoglienza, una dimora. Per esempio : “Ospizio del Gran San Bernardo”. Dante
definisce l’inferno “Doloroso ospizio” (Inferno V,16)
Ospizio era pure la camera per gli ospiti. Più tardi, a cominciare dai conventi,
designò il ricovero per gli ammalati. E tale significato è rimasto nella parola
“Ospedale”, luogo dove i malati sono curati e “ospizio”, casa per anziani.
Abramo si mette al servizio, senza esserne richiesto. È la carità sopraffina. Di che
cosa si tratta? E’ l’aiuto offerto senza richiesta. Se è bello trovare una persona che
ti dà una mano nel momento del bisogno, senza farlo pesare, è ancora più
consolante trovare qualcuno che previene la tua richiesta di aiuto, perché ha
intuito che sei nel bisogno e si offre spontaneamente. Come fece Maria che si
recò da Elisabetta per portare la sua assistenza, senza aver ricevuto nessuna
richiesta9.
Se ogni intervento di aiuto è accetto e benedetto, ricordiamo il valore
prezioso della motivazione che arricchisce sensibilmente il significato della
prestazione10. Noi dobbiamo andare oltre la semplice offerta di aiuto. Non siamo
dei filantropi, o dei professionisti dell’aiuto, tanto meno l’esercito della salvezza11.
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L’annotazione di Luca che Maria si fermo circa tre mesi (Lc 1,56) è preziosa per stabilire che il
viaggio non fu né turistico, né di semplice cortesia, ma di servizio. Elisabetta si trovava al sesto
mese di gravidanza e Maria rimase con lei fino al momento del parto, garantendole una amorevole
assistenza.
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Facile capire come il dono possa assumere significati molto diversi. Il dono può essere segno di
affetto, di stima, di riconoscenza, tutti nobili motivi che lo impreziosiscono. Il dono può mirare a
condizionare, ricattare, corrompere, “comprare” l’altro, tutte ragioni che umiliano l’essenza stessa
del dono.
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L'Esercito della Salvezza (Salvation Army in inglese) è un'organizzazione umanitaria di
tradizione cristiana, fondata a Londra nel 1865 da William Booth, che lascia il ramo della chiesa
metodista nella quale era ministro per iniziare un’opera umanitaria nei bassifondi della capitale
inglese, con lo scopo di diffondere il Cristianesimo e portare aiuto ai bisognosi. Secondo il suo
fondatore lo scopo dell'Esercito della Salvezza è dimostrare che è possibile e necessario, in un
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L’ospitalità che prende i colori dell’accoglienza, dell’aiuto all’altro nelle mille forme
del bisogno quotidiano, ordinario e straordinario, risponde per noi ad una logica
che si rifa a Cristo e a Dio. Un amore pieno, totalizzante, senza distintivo di
appartenenza.
Leggiamo in san Paolo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto
che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione
ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui “ (Rm 5,89).
Gesù aveva osato identificarsi con il bisognoso: affamato, assetato, malato,
prigioniero… (cf Mt 25,34ss).
Accogliere l’altro, dargli ospitalità nel nostro cuore perché ci interessiamo di lui,
richiede motivazione profonda. Richiamiamo un aneddoto di Madre Teresa di
Calcutta. Un giorno un giornalista la intervistò ed esordì dicendo: “Lei Madre
Teresa che ha fatto la scelta dei poveri…”. Fu subito interrotto dall’interessata che
precisò: “Io non ho scelto i poveri, io ho scelto Gesù Cristo”. Quando c’è un amore
grande, si superano tutte le difficoltà, comprese l’offesa e il voltafaccia che gli
stessi poveri possono “restituire” ai loro benefattori. Un grande amore mette al
riparo da aspettative e da delusione, da arresti o da abbandoni dell’opera
intrapresa.
Realisticamente mettiamo in conto e accettiamo le difficoltà. Vediamole con un
pizzico di positività. Sotto la cenere della difficoltà si cela la fiammella della
opportunità. Perché non pensare che il momento difficile (una relazione spigolosa,
una crisi, la salute che tentenna…) possa essere un kairòs da investire per un
balzo di qualità? Narcotizzati da problemi e difficoltà visti solo nell’aspetto tragico,
da scoop, finiamo per adottare la sindrome della vedova di Sarepta: solo un pugno
di farina, un po’ di olio, raccolgo la legna, faccio cuocere, mangeremo e poi
moriremo (cf 1Re 17,11).
Una ricetta semplice ed efficace, anche se non facile da applicare:
Guardare in faccia i problemi, non perdere il realismo, aprirsi al positivo di Cristo:
“Abbiate coraggio: Io ho vinto il mondo” (Gv 16,33).
Realismo significa prendere la propria croce: notare il verbo PRENDERE, non
“cercare, inventare, costruire, scoprire…”. La croce è la nostra storia, il vissuto di
tutti i giorni, l’accoglienza di quello e di quelli che il Signore manda. Abramo
accogliendo quegli uomini ha dato ospitalità a Dio.
Il profondo legame con Dio, diventa profondo legame con gli uomini (seconda
parte del capitolo 18) (amore a Dio e amore al prossimo)
Abramo è un costruttore positivo della storia. Non si rassegna, non si lagna. Il
pensiero della distruzione della città lo tormenta e tenta l’impossibile. Non si
arrende davanti alle difficoltà, ma lotta, come può, fino in fondo. Non è un
rassegnato, uno che desiste subito.
mondo votato al materialismo, vivere un Cristianesimo visibile, gioioso ed attivo, cercando in tutti i
modi di sconfiggere la fame nel mondo, l'indigenza e il disagio sociale. È la più grande
organizzazione missionaria cristiana al mondo, dopo la Chiesa Cattolica.
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Positivamente vi leggiamo la potenza della preghiera, la forza dell’intercessione, la
cordata di solidarietà. Il risultato sarà negativo, ma il procedimento rimane
esemplare e a monito per tutti noi.
Mamre è luogo della vita, perché si incontra Dio e ci si apre ai fratelli. Ritorna il
comandamento di amore a Dio e amore al prossimo, sintesi di tutto il Vangelo.
Abramo svolge un ruolo di mediatore. Usiamo un termine più espressivo ed
evocatore; svolge un ruolo pontificale. Abramo è pontefice, funge da ponte tra Dio
e gli uomini, tra il Dio santo e Sodoma peccatrice. Una funzione che dobbiamo
riscoprire tutti, essere di più “pontefici”. Lo ricordava spesso Giovanni Paolo II
quando richiamava la necessità di costruire ponti, non muri. I primi uniscono, i
secondi dividono.
Conclusione
Mamre, luogo di amicizia, zampillo di vita. Così abbiamo titolato questo brano,
così ci sembra di vedere nella realtà. Uno zampillo sgorgato dal cuore ardente di
don Pierino Ferrari. Un’associazione di fedeli laici giunta al giro di boa dei primi 40
anni di vita. Felicitazioni! Auguriamo che possa incarnare nel tessuto quotidiano gli
stimoli della pagina biblica di Genesi 18. Potremmo dire “cosi sia”, ma abbiamo la
gioia di poter dire “così è”, e di ben sperare che “così sarà”.
Don Mauro Orsatti
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