Licenziamento collettivo la recente giurisprudenza del - Cc-Ti

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Licenziamento collettivo la recente giurisprudenza del - Cc-Ti
Diritto
Ticino Business -
5/2008
• 12
Licenziamento collettivo
la recente giurisprudenza
del Tribunale federale
di Simona Morosini, Responsabile del Servizio giuridico Cc-Ti
I
licenziamenti di massa, o collettivi,
hanno innegabili conseguenze economiche e sociali. I rischi di una
destabilizzazione degli equilibri socioeconomici ed istituzionali sono affiorati in
modo evidente nell’ambito dalla crisi di
FFS Cargo di Bellinzona. Non è peraltro
un caso che le disposizioni del Codice
delle obbligazioni, relative alla procedura
di consultazione nell’ambito del licenziamento collettivo, perseguano la tutela di
interessi pubblici e non solo privati. Esse
hanno, per così dire, una sfumatura di
diritto pubblico. Il datore di lavoro che
intende licenziare deve in particolare
valutare in modo serio le richieste dei
lavoratori sorte nell’ambito di una trattativa. Se così non fosse, lo scopo di tali
normative sarebbe vanificato.
Recentemente il Tribunale federale (TF)
si è di nuovo chinato sulla tematica del
licenziamento collettivo, con particolare
riguardo alla questione dell’indennità nel
caso di licenziamento abusivo (sentenza
del 16 novembre 2007: 4A_346/2007). Va
sottolineato che la sentenza della massima
istanza federale nulla ha a che vedere con
la crisi di FFS Cargo. Trattasi però di una
fattispecie, quella esaminata dal TF, che
evoca alcune lampanti similitudini.
Nel quadro di un licenziamento collettivo,
il datore di lavoro è tenuto a rispettare
una determinata procedura di consultazione dei dipendenti e delle competenti
autorità cantonali (gli uffici cantonali
del lavoro). Tale procedura è finalizzata
a favorire l’avvio di trattative in vista del
mantenimento di posti di lavoro, anziché
la loro soppressione. Essa dev’essere avviata e terminata prima ancora della decisione definitiva di procedere al licenziamento collettivo. Qualora tale procedura
di consultazione non fosse rispettata, le
disdette notificate nel quadro d’un licenziamento collettivo sono da ritenersi abusive. In tal caso, oltre al salario dovuto
sino al termine del rapporto di lavoro, i
dipendenti hanno diritto ad un’indennità
equivalente ad un massimo di due mesi
di salario, secondo le disposizioni del
Codice delle obbligazioni.
Il caso esaminato dal TF riguarda un’azienda che, trovandosi in difficoltà finanziarie,
in meno d’una settimana aveva sommariamente consultato i lavoratori che intendeva licenziare, informando l’autorità
cantonale competente e pronunciando
effettivamente i licenziamenti. In seguito,
avendo individuato un’azienda disposta
a riprendere l’attività, aveva informato i
dipendenti a quel momento ancora vincolati dal contratto, del fatto che la disdetta
veniva ritirata e che i contratti di lavoro
venivano trasferiti all’azienda acquisitrice.
I dipendenti toccati dalla misura hanno in seguito effettivamente proseguito
la loro attività presso il nuovo datore
di lavoro, senza sollevare opposizione al
trasferimento. Alcuni di loro hanno invece
rivendicato l’indennità per licenziamento
abusivo, adducendo il mancato rispetto
della procedura di consultazione, e facendo altresì valere tali pretese nei confronti
di entrambe le aziende.
Il Tribunale federale ha rammentato che
i dipendenti che si considerano vittima di
licenziamento abusivo e che intendono
chiedere un’indennità devono anzitutto
inoltrare opposizione scritta contro la
disdetta, al più tardi alla scadenza del
termine della medesima. Se l’opposizione
è fatta validamente e le parti non si accordano per la continuazione del rapporto
di lavoro, il dipendente può far valere
il diritto all’indennità tramite azione innanzi al giudice entro 180 giorni dalla
cessazione del rapporto di lavoro. Se, al
contrario, le parti decidono di mantenere
il rapporto di lavoro, il diritto all’indennità si estingue. Il TF ha sottolineato che
nell’ambito di una trattativa il lavoratore
non ha alcun dovere di accettare modifiche del suo contratto. Deve invece accettare la revoca della disdetta da parte del
datore di lavoro. Quand’anche rifiutasse,
tale revoca estinguerebbe comunque la
pretesa d’indennizzo del dipendente.
Nel caso esaminato dal TF, è stato in sostanza confermato il carattere abusivo del
licenziamento, essendo mancata la consultazione dei dipendenti. Tuttavia, con
l’accettazione a proseguire il rapporto di
lavoro presso l’azienda acquisitrice, essi
avevano tacitamente accettato la revoca
della disdetta, con conseguente estinzione del diritto all’indennità. Il TF ha altresì
sottolineato che il meccanismo di opposizione alla disdetta tende proprio al perseguimento della trattativa e all’eventuale
mantenimento del rapporto di lavoro. Ha
quindi rifiutato l’argomentazione addotta
dai lavoratori ricorrenti, stante la quale
la revoca delle disdette non era stata il
frutto di trattative con loro, bensì una
scappatoia consecutiva al trasferimento
dei rapporti di lavoro ad un’altra azienda.
Secondo il TF, è del tutto normale che
gli impieghi compromessi da difficoltà
finanziarie vengano salvaguardati tramite
un trasferimento d’impresa o di una parte di essa, ad un altro datore di lavoro.
Altrettanto interessante è la questione
di sapere se possa essere considerato
come abusivo il licenziamento collettivo
consecutivo ad una fallita trattativa “di
pura facciata”, ossia quella in cui interviene il rispetto della forma, ma non
della sostanza. Si pensi in particolare al
caso della mancata osservanza, da parte
del datore di lavoro, di un presupposto
fondamentale della consultazione, ossia
la disponibilità effettiva ad esaminare le
proposte dei dipendenti. Invero, in una
sentenza del 1997, il TF ha ritenuto che,
anche nell’imminenza di un fallimento,
configura un abuso consultare i dipendenti un giorno prima del loro licenziamento (sentenza del 21 aprile 1997: DTF
123 III 176). La dottrina giuridica ravvisa
pure un abuso nel caso di occultamento
o esposizione inveritiera dei fatti all’origine del licenziamento. Ogni situazione
va ovviamente valutata alla luce delle
circostanze concrete.