A PROPOSITO DI UNA RECENTE EDIZIONE DI LETTERE E

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A PROPOSITO DI UNA RECENTE EDIZIONE DI LETTERE E
A proposito di una recente edizione di
lettere e poesie giovanili di Biagio Marin
A
ll’interno dell’intensa attività editoriale e di studio dedicata, dopo
la scomparsa dell’autore, alle opere e alla figura di Biagio Marin
(1891-1985) 1 – e recentemente orientata a gettare luce ulteriore, oltre che
sulle relazioni con i maggiori esponenti della cultura italiana,2 anche sulla
produzione giovanile 3 –, si ritaglia uno spazio privilegiato l’edizione delle
sue Lettere familiari (1908-1954), curata da Elvio Guagnini e con un saggio di Renzo Sanson.4 I testi sono accompagnati dalle rispettive riproduzioni fotografiche – di ottima qualità – degli autografi, che sono stati donati all’Università di Trieste dalla figlia maggiore del poeta Gioiella Marin
e dalla nipote Alia Englen, dopo esser stati ritrovati da quest’ultima, autrice nel volumetto di una Nota ai testi. La raccolta, che comprende documenti epistolari poetici e in prosa, è – come sottolineano i curatori –
«importante» e «preziosa»,5 sotto diversi e peculiari aspetti.
Tra le nove lettere edite, le prime sei, scritte tra il 1908 e il 1911 a
firma «Marino»,6 sono inviate dal giovane Biagio da Pisino, Grado e Firenze al padre Antonio, al fratello Giacometto, alla nonna Antonia Maran e alla sorella Annunziata. Ciascuna di queste è accompagnata da una
1
Si veda, tra le recenti iniziative editoriali promosse dal Centro Studi ‘Biagio Marin’,
l’edizione del carteggio con Gino Brazzoduro: Dialogo dal confine, a cura di P. Camuffo,
presentazione di E. Serra, Grado, Centro Studi ‘Biagio Marin’, 2009 (supplemento n. 14
di «Studi Mariniani»).
2
Si veda ora B. Marin - G. Prezzolini, Carteggio. 1913-1982, a cura di P. Camuffo,
Presentazione di E. Serra, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2011.
3
Cfr. l’edizione del giovanile «libro dell’anima» dedicato a Gesky, scritto da Marin
tra il 1913 e il 1914: B. Marin, Il libro di Gesky, a cura e con la presentazione di E. Serra,
Pisa-Roma, Fabrizio Serra editore, 2010, p. 99.
4
B. Marin, Lettere familiari. 1908-1954, a cura di E. Guagnini, Saggio di R. Sanson,
Padova-Trieste, Simone Volpato Studio Bibliografico, 2010.
5
Ivi, pp. 9 e 18.
6
«Marino Maran» sarebbe stato lo pseudonimo adottato da Marin nella pubblicazione
della sua raccolta poetica d’esordio Fiuri de tapo, Gorizia 1912.
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poe­sia in lingua italiana (per un totale di sei poesie: due formate da quattro quartine di endecasillabi, una da cinque, due da sette, e un sonetto).
Le liriche, componendo un sistema di «prose e versi» 7 che si richiamano
le une con gli altri, costituiscono la «testimonianza di una formazione alla
scrittura» di un poeta che in seguito avrebbe quasi esclusivamente adottato il dialetto gradese (graisan) e il prodotto di una competenza conseguita attraverso la «progressiva sicurezza nel maneggio della lingua».8 La corrispondenza, inoltre, nei suoi contenuti, contribuisce a delineare, sia nel
campo degli affetti familiari e dei valori umani che in quello più propriamente artistico, «il ritratto di Marin da giovane».9
Alle prime sei epistole se ne aggiungono altre due, datate 1918 e 1920,
ancora alla nonna Tonia. Pervase da un forte senso di religiosità, queste sottolineano il forte legame tra i due e rivelano quanto stesse a cuore al giovane Marin dichiarare il debito umano contratto con la progenitrice, che egli
elesse a musa e fonte della propria vena poetica, e non solo: «A te devo la
mia energia, a te la mia poesia, a te tutto»; e ancora: «… nel tuo cospetto la
mia parola diventa canto».10 L’ultima lettera, inviata nel 1954 al padre in occasione del suo 86o compleanno, è soffusa anch’essa dal vitalistico richiamo
alla fede comune, pur manifestandosi, nello stesso tempo, aperta alla pluralità delle sue interpretazioni; nonostante le differenze, infatti, che tenevano
distanti padre e figlio, e al di là dei diversi atteggiamenti nei confronti della pratica religiosa e nella condotta di vita, ad avvicinarli era la coscienza
religiosa che aveva guidato le loro esistenze: «… viviamo tutti in Dio, più o
meno consapevolmente, con più o meno energia raccolta […] Ad onta della distanza tra noi, viviamo nel profondo, in una fede comune».11
Ma sono i documenti più precoci che, a nostro parere, senza essere
slegati dalla corrispondenza più tarda, potranno dare, se esaminati insieme al resto della produzione poetica di quegli anni,12 un contributo originale agli studi mariniani. La prosa epistolare, infatti, con la sua intensa
carica drammatica che a tratti assume le movenze ora enfatiche ora precarie del dialogo e del diario personale, svolge un efficace e complementare controcanto alle prove poetiche; 13 le quali, a loro volta, sono incu B. Marin, Lettere familiari cit., p. 10.
Come avverte nell’introduzione il curatore del testo Guagnini, cfr. ivi, pp. 11 e 12.
9
Cfr. Sanson nel suo saggio Dirà il tempo se ero un poeta, introduttivo all’edizione,
ivi, p. 18.
10
Ivi, pp. 77 e 78 (lettera datata 7 febbraio 1920).
11
Ivi, p. 81 (lettera datata 16 marzo 1954).
12
Il nesso è sottolineato anche da Sanson, dove afferma che le lettere «andrebbero lette
col testo a fronte delle sue primissime liriche»: B. Marin, Lettere familiari cit., p. 19.
13
E si ricordi l’asserzione pasoliniana: «La poesia di Biagio Marin è priva di dramma»
7
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naboli di quel percorso di perfezionamento che avrebbe condotto Marin,
di lì a poco, a una poesia di pura assolutezza e trascendente essenzialità,
costituita, come è stato scritto, di «pochi colori puri» e «pochi oggetti» a
creare un «mondo per sottrazione, riducendolo ai segni essenziali» e dilatando «il microcosmo gradese a […] macrocosmo religioso».14
Si consideri, da una parte, la frammentarietà del colloquio che Biagio
intrattiene con i parenti più stretti, dettata, quella, dai ritmi delle attività
quotidiane e condotto, questo, secondo le forme dell’oralità, con fraseggio
corto e punteggiato da ricorrenti serie di punti esclamativi e interrogativi
(rivolgendosi, probabilmente, alla sorella, il 23 ottobre 1911: «… Sai prima
cosa: scrivi a […] Poi, scrivi a […] anzi scriverò io. Tu mandami …»; 15 e
ancora il 23 dicembre seguente, inviando istruzioni necessarie, probabilmente, a farsi inviare il dramma dannunziano: «… Capito? La figlia di Iorio
ci deve essere in biblioteca, o l’ha l’Alma forse o forse Giusto. Informati.
Ah! Sai chi la deve avere? O quella Signorina goriziana […] o …»; 16 e infine nella stessa lettera: «… Ritornerò poi, perché ora vado a l’ultima ora
di scuola. Arrivederci. | Eccomi qua a finire questa misera lettera …» 17);
oppure si esamini la corrispondenza con la nonna, con messaggi epistolari e un sonetto stesi in tre tempi: il 9, il 24 e il 25 di aprile 1911, dove
prosa e rima si richiamano attraverso riprese e riscritture.18
Una provvisorietà che sul versante poetico sembra, in parte, riflettersi nelle liriche, in cui il cammino di affinamento richiamato sopra muove i primi passi, alla ricerca, appunto, degli strumenti di cui in quell’intorno di anni Biagio Marin si sarebbe progressivamente impadronito nel
dare forma alla propria poesia. In prima istanza, sotto l’aspetto della lingua, a partire dal progressivo dominio su un’ortografia dagli usi oscillanti
(«un altro» / «un’altro»),19 riscontrabili ancora in alcune successive pubblicazioni giovanili; come già sottolineava Marco Giovannetti in un suo studio sulle liriche edite tra il 1910 e il 1912 in «Forum Iulii», rilevando in
De note, scritta nell’aprile del 1910 in ‘dialetto gradese’ con «inserimenti
di termini italiani», la presenza di «incoerenze ortografiche» nel quadro di
(P. P. Pasolini, Appunti per un saggio su Biagio Marin, in B. Marin, La vita xe fiama e altri
versi 1978-1981, a cura di C. Magris, Torino, Giulio Einaudi editore, 1982, p. vi).
14
Cfr. ancora P. P. Pasolini, ivi, pp. ix-x (corsivi nel testo).
15
B. Marin, Lettere familiari cit., p. 5.
16
Ivi, p. 64.
17
Ivi, p. 65.
18
Ivi, pp. 52-54; e vedi sotto.
19
Il 20 novembre 1908 scrive «un’altro» (Marin, Lettere familiari cit., p. 39, ll. 13-14)
e «un’usignuolo» il 25 aprile 1911 (ivi, p. 53, l. 6), mentre «un altro» il 23 dicembre nello
stesso anno (ivi, p. 64, l. 6 dal b.).
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una «certa acerbità del componimento».20 Poi anche in relazione alla versificazione e allo stile della poesia, che Marin mette a punto con gradualità,
come si può osservare riguardo all’uso dell’enjambement. Negli endecasillabi delle quartine al fratello Giacometto del 15 novembre 1908 (Innanzi
a me stan le memorie care), ad esempio, giudicati dallo stesso autore «tisicuzzi» ma in cui era già presente la ricerca di quegli effetti metrico-sintattici («sognare / I giorni belli», vv. 3-4; «una scritta / Di man gentil»,
vv. 5-6; «ella / Non mi volea guardar»); 21 prove poetiche che precedono
altri esperimenti successivamente pubblicati e anticipano nei risultati soluzioni della poesia della maturità.22
Dal punto di vista, invece, delle influenze, dei sentimenti, dei temi e
degli ‘oggetti’ che sarebbero poi andati a costituire il «paesaggio» 23 poetico della lirica mariniana – accanto alla «diffusa religiosità» individuata
quale «connotato costante» 24 della produzione di Marin, che fu elemento
di continuità tra i versi d’esordio 25 e tutta la sua attività poetica ed esperienza di vita successiva 26 – nelle lettere e nelle liriche giovanili emergono
anche alcuni altri importanti elementi che a poco a poco sarebbero stati
riconosciuti come i «poli della poesia mariniana»,27 a partire dall’edizione
della sua prima organica raccolta giovanile, Fiuri de tapo, nel 1912.28
20
M. Giovannetti, «È perfetto? No ma potrà diventare …». Su alcune liriche giovanili
di Biagio Marin, «Studi Mariniani», XII, 2004, 9/10, pp. 127-140, 131 (e anche Guagnini,
in B. Marin, Lettere familiari cit., pp. 9-10).
21
Ivi, pp. 40-41: 41; o anche negli endecasillabi dedicati A mia nonna! (Cullasti i miei
sogni più belli, 30 aprile 1909, ivi, pp. 46-47): «canti / D’amore», vv. 13-14; «pensando /
A care visioni lontane», vv. 19-20.
22
Si consideri l’osservazione di Giovannetti a proposito di una lirica del 1912: «in
Caligo abbiamo l’uso dell’enjambement che spezza la musicalità del verso creando tensione nel lettore, che non abbiamo trovato nelle altre composizioni» (M. Giovannetti, «È
perfetto? No ma potrà diventare …» cit., p. 137).
23
Cfr. P. P. Pasolini, Appunti per un saggio su Biagio Marin cit., p. ix.
24
Come chiosò Edda Serra nella sua introduzione a B. Marin, La vose della sera, a
cura e con traduzione di E. Serra, Milano, Garzanti, 1985, p. 10.
25
Cfr. M. Giovannetti, «È perfetto? No ma potrà diventare …» cit., p. 136.
26
Per tale aspetto si vedano in generale i saggi di M. Guglielminetti, Misticismo e
poesia, in Poesia e fortuna di Biagio Marin, a cura E. Serra, Gorizia, Provincia di Gorizia,
1982, pp. 200-204; E. Serra, Il senso del sacro in Biagio Marin, in Trieste tra umanesimo
e religiosità, scritti di B. Maier, P. Zovatto, E. Serra, A. Rebula, F. Ferluga Petronio,
G. Baroni, F. Calabrese, Trieste, Centro studi storico-religiosi Friuli-Venezia Giulia, 1986,
pp. 29-55; E. Serra, Religiosità di Biagio Marin. Alcune note, in Trieste religiosa nel 25°
sacerdozio di Pietro Zovatto, Prefazione di P. Fusaroli, a cura di D. Coccopalmerio, Trieste,
Centro studi storico-religiosi Friuli-Venezia Giulia, 1987, pp. 213-221.
27
E. Serra in B. Marin, La vose della sera cit., p. 10.
28
Cfr. B. Marin, Fiuri de tapo, con Prefazione di I. Caliaro, traduzione e note di L.
Gobbi, cura editoriale di I. Bosetto, Verona, Perosini Editore, 1999.
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Ad esempio, riguardo alla citazione esplicita di nove versi della poesia
Le ciaramelle del Pascoli nella lettera alla nonna del 30 aprile 1909 che,
fornendo «testimonianza di un pascolismo di fondo del primo Marin»,29
anticipa un rapporto se non esclusivo certo privilegiato: specialmente in
Fiuri de tapo in cui di Pascoli «è diffusa e marcata la presenza»,30 anche
qui attraverso occasionali espliciti «omaggi».31 Oppure in relazione ai temi
della solitudine (solitàe), della lontananza (lontanía) e della morte, presenti, seppur con intensità diversa, nella sua prima produzione poetica come
in quella degli ultimi anni,32 ma che iniziano a essere liricamente fecondi
in occasione dei soggiorni del giovane poeta a Pisino e a Firenze, lontano dalla sua Grado, dagli amici e dalla famiglia. Già nella corrispondenza del mese di novembre 1908 da Pisino al padre, appunto, cui scrive il
suo senso di solitudine («Sono solo, sempre solo»), di profonda tristezza e malinconia («Di fuori, c’era il vento, il freddo la morte. Nella stanza tepida il piano cantava l’armonia dei morti, una melodia dolce, stanca
come l’anima mia»),33 modulando i sentimenti nei versi che allega (Il pensiero dei morti): «Quando cadon le foglie ad una ad una / E su la terra
piomba la tristezza […]. E nell’anima sorge l’amarezza, / La stagione dei
morti s’avvicina […]. Ha quel sospiro arcane melodie / Stanche siccome
i suoi colori smorti …»; 34 e proseguendo nelle quartine, intrise di malinconia anch’esse, alla sorella Annuziata (Son tanto solo e triste all’osteria),
che aveva scritte da Firenze immediatamente a ridosso del Natale 1911 35
e precorso di qualche giorno nella poesia Nadal che vien, composta in dialetto il 18 dicembre e poi pubblicata in Fiuri de tapo.36
E da questo stesso senso di solitudine, ‘presentimento’ in Marin del
«grande tema della solitàe» della sua poesia matura,37 coniugato a un «vi Secondo l’annotazione di Elvio Guagnini, in B. Marin, Lettere familiari cit., p. 10.
Ilvano Caliaro nella sua Prefazione a B. Marin, Fiuri de tapo cit., pp. 5-9, 5.
31
E. Serra, Presentimenti di poetica. Rilettura dei ‘Fiuri de tapo’, «Studi Mariniani»,
XII, 2004, 9-10, pp. 45-61, 54-55: 54.
32
Cfr. l’introduzione di Edda Serra all’edizione dell’ultima raccolta poetica di Marin:
«Del linguaggio di questo poeta che cantando la morte è riuscito a far amare la vita […]
almeno tre valori ci auguriamo siano conservati dai lettori: lontanía, solitàe, biavità, l’azzurrità pallida che è anche del paesaggio lontano»: B. Marin, La vose della sera cit., p. 13.
33
B. Marin, Lettere familiari cit., p. 33.
34
Ivi, p. 32.
35
B. Marin, Lettere familiari cit., p. 63; e sul tema cfr. anche le annotazioni di Guagnini, ivi, pp. 11, 13-14.
36
Cfr. M. Giovannetti, «È perfetto? No ma potrà diventare …» cit., pp. 134-135.
37
Cfr. la Serra, a proposito di Fiuri de tapo: «… il grande tema della solitàe, caratteristica del Marin maturo, è ancora lontano: la solitudine dei Fiuri de tapo è appena esperienza
di sé, non tema esistenziale», E. Serra, Presentimenti di poetica cit., p. 59.
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talismo spensierato» 38 era nata solo qualche giorno prima una notevole
prova poetica che, con poche varianti e intitolata Bâte gnifa, sarebbe poi
stata accolta in Fiuri de tapo; 39 successivamente la poesia fu scelta nella
‘storica’ antologia Garzanti delle poesie mariniane insieme ad altre quattro
tratte dalla raccolta dei Fiuri.40 Di tale antologia, è stato scritto, Bâte gnifa
è «forse la sola poesia veramente grande», quale testimonianza dell’«intenso, sensuale e rapace amore di Marin per le forme individuali» della natura e di un profondo senso di comunione con essa.41
Ma già nel messaggio alla nonna del 25 aprile 1911, tra lirica e prosa,
il giovanissimo Marin, cantando il sole, il mare e il vento in una consolidata cornice poetica primaverile in cui i richiami degli usignuoli e i canti degli amanti si fondono a celebrare insieme la rigenerazione della natura, aveva mostrato di riconoscere in tali elementi naturali, e nell’intimo
senso di adesione ad essi, i «principi ispiratori vitali della sua poesia».42
Si consideri, infatti, il sistema di prosa e versi della corrispondenza epistolare, mettendo a confronto gli endecasillabi del sonetto («… Richiama
l’usignuol innamorato / La campagna dai colli circostanti / Echeggian le
canzoni degli amanti / Per l’aer terso, tanto profumato …») con la loro
riscrittura in prosa («l’aria è pregna di profumi, in ogni siepe canta un
usignuolo»), che Marin formula in modo più ‘rotondo’ rispetto ad alcune delle lettere citate sopra, in cui le urgenze pratiche della vita quotidiana irrompevano in tutta la loro asperità; oppure si guardi alle ulteriori rispondenze tra la lettera («il sorriso divino del mare infinito») e la lirica
(«il ciel sorride al sogno del creato»), la quale levando un inno al «sole
d’oro coi fiori e coi canti» si congeda nel segno del vento («E insieme sen
van, portati via dal vento.»).43
In quel medesimo mese di dicembre del 1911, durante il quale egli inviava lettere e scriveva poesie ai propri cari, il giovane Marin, «ignorante e
nuovo come un pisello appena in tega», incontrò a Firenze Scipio Slataper,
che già da qualche anno collaborava alla redazione della «Voce» di Giu-
M. Giovannetti, «È perfetto? No ma potrà diventare …» cit., p. 134.
Cfr. ivi, pp. 129, 133-135; con il titolo Vogia! la poesia, scritta il «14 dicembre
1911», è tra quelle pubblicate in «Forum Iulii» nel 1912, ivi, p. 134.
40
B. Marin, Poesie cit., pp. 9-13: 12.
41
Claudio Magris, nel saggio introduttivo a B. Marin, Nel silenzio più teso, introduzione di C. Magris, scelta e note a cura di E. Serra, traduzione italiana a fronte di G.B.
Pighi e E. Serra, Milano, Rizzoli, 19812, p. 8.
42
«… come un antico filosofo presocratico […] egli riconosce i principi ispiratori
vitali della sua poesia nel mare, nell’aria, nel fuoco del sole.»: E. Serra in B. Marin, La
vose della sera cit., p. 9.
43
B. Marin, Lettere familiari cit., pp. 52-53.
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seppe Prezzolini.44 L’esperienza fiorentina e la frequentazione dell’ambiente
della rivista furono eventi della massima importanza per la formazione del
poeta di Grado, sotto l’aspetto umano e dell’assimilazione dei valori civili
e culturali della tradizione italiana; 45 ma soprattutto, come egli stesso ebbe
a riconoscere scrivendo proprio a Prezzolini oltre cinquan’anni più tardi,
quello che maggiormente lo aveva arricchito era stato il rapporto, intellettuale e amicale che riuscì a instaurare con alcuni dei collaboratori vociani,
primi fra tutti lo stesso Prezzolini e Slataper, verso i quali Marin era giunto a maturare i sentimenti della «venerazione» e dell’«affetto».46
In particolare, a causa della loro frequentazione assidua e del profondo
attaccamento – ricorda Marin – egli stesso era «chiamato» dai conoscenti
comuni l’«ombra» di Slataper.47 Uno speciale legame di discepolato, quello
di Marin, che non era tanto fondato sulla condivisione di valori intellettuali
e letterari, ma spontaneamente alimentato da una sintonia artistica e sentimentale, e pienamente vissuto nella «gioia della viva creativa espressione»
e nella «gioia divina della poesia»; declinato, inoltre, – continua Marin –
in un sentimento vitalistico e dai tratti ‘dionisiaci’, che di fronte alla bellezza della natura lo spingeva a «parlare, e quasi cantare come ebbro».48
E fu probabilmente proprio questa «esuberanza sensitiva» del giovanissimo poeta gradese, incanalata e trascesa in una produzione poetica fortemente percorsa a sua volta da uno spirito «dionisiaco»,49 la passione che
cementò, sin dall’inizio e indissolubilmente, il rapporto tra i due.50
44
Cfr. B. Marin, I delfini di Scipio Slataper, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1965,
p. 40; in I delfini di Scipio Slataper – la raccolta in cui Marin raccolse nel 1965 vari scritti,
di natura memorialistica, commemorativa e critica, dedicati a Slataper – la descrizione
dell’incontro, ivi, pp. 13-14 («L’incontro con Scipio»).
45
«Firenze significa […] quel primo mio incontro con il mondo della civiltà italiana e
della cultura di quel tempo» (Grado 19 marzo 1966): B. Marin - G. Prezzolini, Carteggio.
1913-1982 cit., p. 168.
46
«E, in fine gli uomini della Voce, con te al centro. Naturalmente io vi guardavo dal
basso all’alto, con venerazione, con timor di Dio, tutti. Tu e Scipio anche con affetto» (ibid.).
47
Cfr. B. Marin, I delfini di Scipio Slataper cit., p. 34.
48
«… Io non avevo la cultura per stargli a paro; su un unico piano ci si poteva incontrare, ma era l’essenziale: nella gioia della viva creativa espressione, nella gioia divina
della poesia. Quando egli mi parlava io ascoltavo incantato; ma quando la mia fonda
commozione per la bellezza che vedevo in giro, o la mia nostalgia per la mia isola lontana,
mi facevano parlare, e quasi cantare come ebbro, il grande Scipio mi ascoltava con gioia.
Di qua il nostro legame, di qua il mio amore piú fondo» (ivi, pp. 40-41).
49
«… Marin, in tutta la sua opera e in tutta la sua esistenza, si dimostrerà impavidamente capace di […] dominare rigorosamente la propria esuberanza sensitiva […] il pathos
[…] dell’Eros dionisiaco che recalcitra al dominio e al controllo della ragione», C. Magris,
Introduzione, in B. Marin, Nel silenzio più teso cit., p. 8.
50
Fin a pochissimi anni prima di morire, nel 1981, Marin riconfermò la sua ammirazione per l’opera e l’attività dell’amico, augurandosi la rivalutazione «della figura complessa
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In quegli anni lo stesso Slataper aveva dimostrato una esibita consapevolezza di un proprio sentire «dionisiaco» di matrice nietzscheana,51 rappresentato nella sua opera maggiore – Il mio Carso – secondo una parallela «modalità dionisiaca», che a tratti eccede in «sfrenatezza panica».52 Una
sensibilità, quella, che gli era apertamente riconosciuta da amici e sodali.
In una lettera inedita, adespota e senza data, ma scritta dal vociano Piero Jahier e che si può assegnare alla seconda metà del settembre 1911,53
a Slataper è attribuita, infatti, quella stessa vitalistica sensualità che prescinde dal controllo della ragione e dal confronto intellettuale: «Tu sei un
uomo dionisiaco – afferma Jahier – ché se c’è una netta giornata di sole
ardente ti risciacqui la bocca di ogni propaganda e dài un calcio ai volumi e ti estasii al sole»; continuando: «tu sarai un uomo di maravigliosi abbandoni nelle braccia tenaci della donna che eleggerai».54 E nel medesimo
modo in cui – come si è detto – l’indole del poeta gradese era temperata
da un fermo criterio di rigore e di disciplina interiore, anche in Slataper,
secondo le parole dello stesso Marin, all’innato vitalismo sensualistico si
accompagnava una profonda coscienza dei «doveri», da adempiere quali
«scalini d’ascesa» per affermarsi come «grande poeta».55
A tali elementi, sui quali originariamente attecchì l’affinità sentimentale e ideale tra i due poeti e si alimentò il loro rapporto,56 faceva anche riscontro una convergenza di interessi culturali e filosofici, come la comune
frequentazione di un autore come Nietzsche, che ebbe una parte importante, si è accennato, nella vita e nell’opera di Scipio Slataper.57 Un autore
e molto drammatica dello Slataper» (B. Marin - G. Prezzolini, Carteggio. 1913-1982 cit.,
p. 338.
51
Cfr. la lettera a Marcello Loewy del 26 gennaio 1910, in cui Slataper dichiarava:
«Tu sei apollineo, io dionisiaco, direbbe Nietzsche»: S. Slataper, Epistolario, a cura di G.
Stuparich, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1950, p. 61.
52
C. Micocci, ‘Il mio Carso’ di Scipio Slataper, in Letteratura italiana. Le opere, IV.
Il Novecento, 1. L’età della crisi, dir. A. Asor Rosa, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1995,
pp. 225 e 227.
53
Cfr. R. Norbedo, Una lettera inedita di Pietro Jahier a Scipio Slataper, «Lirica» e
la crisi della «Voce» dell’autunno-inverno 1911, in Un tremore di foglie. Scritti e studi in
ricordo di Anna Panicali, I, a cura di A. Csillaghy, A. Riem Natale, M. Romero Allué, R.
De Giorgi, A. Del Ben, L. Gasparotto, Udine, Forum, 2011, pp. 307-316.
54
Cfr. il testo, ivi, p. 316.
55
B. Marin, I delfini di Scipio Slataper cit., p. 23.
56
L’esame approfondito del rapporto di Marin con l’opera di Slataper e del suo maturare dopo la morte del triestino, anche in relazione agli eventi della storia del Novecento,
è estraneo all’economia del presente lavoro.
57
Per l’influsso di Nietzsche su Slataper, non ancora studiato a fondo in modo organico, si veda almeno, in aggiunta ai riferimenti bibliografici già citati: J. Hösle, Slataper
e la letteratura tedesca, «Rivista di Letterature Moderne e Comparate», X, 1957, 3-4, pp.
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fondamentale anche nella cultura filosofica e nell’estetica di Marin,58 che
egli stesso, consumando gli ultimi suoi anni, avrebbe confessato di aver
«letto con amore» in gioventù 59 e di cui proprio nel novembre 1911, ancora a Firenze, era entrato in possesso de La nascita della tragedia; 60 un
testo considerato momento fondante la riflessione su quell’«interiorità dionisiaca» 61 cui anche a Slataper, appunto, era profondamente partecipe. Su
queste basi – ci par di vedere – e nel quadro dei rapporti di entrambi
con l’ambiente fiorentino della «Voce», maturò quella che era stata definita la «concezione ‘antiletteraria’ della poesia» comune a Scipio Slataper e Biagio Marin.62
Tuttavia, come si è cercato di mostrare, significativo incunabolo di
tale concezione già si può scorgere nella realizzazione delle lettere e delle
poesie, precedenti e coeve al primo incontro tra i due, che Marin – giovanissimo – inviava ai propri cari, la cui edizione nelle Lettere familiari
ci sembra essere una novità di rilievo per contribuire a far luce sui suoi
esordi, di uomo e di poeta.63
Roberto Norbedo
222-231 [trad. di C. Hösle-Gronda]; S. Campailla, L’agnizione tragica. Studi sulla cultura di
Slataper, Bologna, Pàtron editore, 1976, passim; G. A. Camerino, La formazione della poetica
di Slataper e la lezione di Nietzsche, [1982], in Id., La persuasione e i simboli. Michelstaedter e Slataper, Napoli, Liguori, 2005, pp. 57-90; e ora si veda: R. Norbedo, Il dialogo tra
«Mefistofele» e «Un uomo» di Scipio Slataper tra Goethe, Leopardi e Nietzsche (con testo in
appendice), in Anticristo. Letteratura Cinema Storia Teologia Filosofia Psicoanalisi, Padova,
Il Poligrafo, 2012, pp. 149-163, 156-158.
58
Vedi P. Camuffo, Biagio Marin, la poesia, i filosofi. Tracce per una interpretazione,
Monfalcone, Edizioni della Laguna, 2000, pp. 34-57 (Nietzsche e la redenzione estetica del
mondo).
59
B. Marin - G. Voghera, Un dialogo. Scelta di lettere, Trieste, Provincia di Trieste,
1982, p. 100.
60
P. Camuffo, Biagio Marin, la poesia, i filosofi cit., p. 35.
61
G. Colli, Apollineo e dionisiaco, a cura di E. Colli, Milano, Adelphi edizioni, 2010,
p. 77; e vedi F. Nietzsche, La nascita della tragedia, nota introduttiva di G. Colli, versione
di S. Giametta, Milano, Adelphi edizioni, 20073, pp. xi-xv.
62
Cfr. il capitolo dedicato alla poesia di Biagio Marin di Bruno Maier (B. Maier, La
letteratura triestina del Novecento, in Scrittori triestini del Novecento, una grande proposta
di C. Bo, antologia a cura di M. Cecovini, M. Fraulini, O. Honoré Bianchi, B. Maier, B.
Marin, F. Todeschini, Trieste, Edizioni Lint, 19912, pp. 167-182: 167.
63
In seguito al confronto tra i testi pubblicati e le rispettive riproduzioni fotografiche,
segnaliamo alcuni rilievi, dei quali si è tenuto conto nelle argomentazioni esposte sopra,
che sarebbe utile verificare sugli autografi: andavo] andava (Marin, Lettere familiari cit.,
p. 33, l. 15); ma non] ma che non (ivi, p. 39, l. 3); Pensa, che ho] Pensa, che non ho (ivi,
l. 5); un altro] un’altro (ivi, ll. 13-14); madonna.] madonna!! (ivi, p. 40, l. 10); guardar]
guardare (ivi, p. 41, l. 9); dati prora] dati da prora (ivi, p. 52, l. 8); rinnovella] rinovella
(ivi, p. 53, ll. 2-3); rinnovellerà] rinovellerà (ivi, p. 53, l. 3); un usignuolo] un’usignuolo (ivi,
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Roberto Norbedo
l. 6); quella] quelle («statue bianche come quella argive», ivi, p. 57, l. 12; il testo riportato
dall’autografo deve essere forse considerato uno scorso di penna da correggere); gli] li («se egli
gli ha ancora questi due vocabolari», ivi, p. 58, l. 8; nella fotografia ci sembra di riuscire a
distinguere la correzione autografa: «>g<li»); nipoti] nepoti (ivi, p. 63, l. 7); Sorriso un dì]
Sorriso in dì (ivi, l. 14); Signore>signore (ivi, p. 64, l. 20); il muro dei pancani] uno dei
panconi (ivi, p. 65, l. 4); formava] fermava[?] (ivi, l. 6); È misero così] È invero così (ivi,
p. 71, l. 19); Tu se viva] Tu sei viva (ivi, p. 77, l. 9); affidategli] affidatigli (ivi, l. 10 dal
b.); amore] cuore[?] (ivi, p. 81, l. 2 dal b.); grazie] quasi (ivi, p. 82, l. 9).