Aristotele le divide in semplici e complesse

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Aristotele le divide in semplici e complesse
Varie specie di racconto
Nel suo principale tentativo di classificare le trame (x)
Aristotele le divide in semplici e complesse, anche se
a noi, rispetto al dramma moderno, tutte le tragedie
greche possono sembrare semplici. La distinzione
esenziale fra queste 2 categorie consiste nel fatto che
nei drammi 'semplici', l'azione si muove
continuamente in un unico senso, come nel Prometeo
e nella Medea, mentre le trame complesse
comportano il passaggio dal ignoranza alla
cognizione, o dalla prosperità dalla calamita.
Aristotele definisce come la migliore tragedia quella
che comprende sia il riconoscimento sia il
rovesciamento, citando Edipo re come capolavoro in
quale le due cose sono combinate con grande effetto.
L’Edipo re è al parere di Aristotele il modello perfetto:
l'azione è completa e il racconto lo rappresenta quasi
perfettamente. Il racconto è complesso, tra cui
Aristotele pensa che contiene ricognizione e
rovesciamento, pero esistono i racconti semplici che
non includono questi elementi. L'azione in Edipo
prende in forma di una motivazione etica, mentre
Edipo segue il suo scopo razionale e moralmente
responsabile di trovare l'assassino, come la
motivazione patetica all’inizio e alla fine della
dramma. Ma lui pure riconosce i drammi che hanno
essenzialmente motivazione patetica e quelle che
hanno motivazione etica. In nostri tempi l'esempio
delle prime sono i testi Chekhov.
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Infatti, molte delle tragedie comportano un drastico
cambiamento di fortuna, spesso collegato a una
scoperta imprevista che riguarda l'identità di uno dei
personaggi oppure gli avvenimenti passati: l'ironia
drammatica, come abbiamo visto, dipende
dall'esistenza temporanea di illusioni non condivise
dal pubblico. Gli studiosi hanno fatto l'impossibile per
far rientrare tutte le tragedie entro gli schemi descritti
da Aristotele, ma persino fra quelle in nostro
possesso ve ne sono alcune che non si conformano a
tale descrizione.
La ricostruzione congetturale di altre fa supporre una
diversità ancora maggiore: nonostante l'uniformità
generale d’argomento e forma, e chiaro che i
drammaturghi trattavano il contenuto con assai
maggiore varietà di quella concessa dalle norme
aristoteliche.
Comunque Aristotele non dimentica mai che un testo
deve piacere ai spettatori e tenere l'attenzione e tutta
la sua discussione sulla creazione del racconto e
interspersa con le suggestione pratiche per il futuro
drammaturgo. Il racconto deve essere probabile e
Aristotele ha le varie ricette per farli aprire cosi.
Nel XVIII capitolo mostra che ogni racconto può
essere diviso in due parti principali, la complicazione
che si estende da prologo fina punto di rovesciamento
e riconoscimento, da questo punto in poi fina a la fine.
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Questo e veramente una formula che funziona anche
oggi, come un well made play, in cinema, e
dappertutto. È strummento di creare i nuovi pezzi. Ma
questo e forse la parte quale non ha bisogno di altre
spiegazioni. (p179-81)
L'intreccio, oppure racconto (mythos) non deve avere
ne troppi ne pochi episodi, incluso le peripezie (un
mutamento della fortuna nel suo contrario),
riconoscimento (un mutamento dall'ignoranza alla
conoscenza) o entrambi.
Una delle domande più fondamentali che uno può
chiedere sul un lavoro e la sua unita: come si può
arrivare ad essa per creare un pezzo organico?
Aristotele risponde a questa domanda, tante volte,
che la tragedia o la poema possono arrivare ad una
unita dell'azione, la sola unita su cui Aristotele insiste.
Il poeta sviluppa la sua forma, immaginando i suoi
caratteri, scrivendo le loro parole deve essere sicuro
che tutto rappresenta un spirito in movimento, solo
un'azione. Allora, se il racconto è la prima forma di
una azione, che succede con Shakespeare che
combina vari racconti?
Aristotele in fronte di lui aveva Omero, che pure
combinava tanti racconti, tante sequenze di intrecci,
come in Iliade ed in Odissea. Aristotele era capace di
riconoscere che Omero era capace di unificare
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questa schema complessa seguendo la fondamentale
richiesta della unita della azione: viii.3 (145)
Aristotele torna a questo punto anche in XXIII capitolo
quando parla d’epica. I poeti meno significativi, hanno
provato di unificare un epica basando li solo sul unico
carattere, or unico avvenimento storico, come la
guerra di Troia. L'Omero era l'unico che a scoperto
un’azione in ampio e diverso mondo delle sue epiche.
L'azione di Iliade, come dice il primo verso e di
parlare sulla ira di Achille, e l'azione di Ulisse e di
tornare a casa, una motivazione nostalgica che la
sentiamo nel vagare di Ulisse, e quelle di Telemaco e
nella lotta paziente di Penelope di salvare la sua
propria casa dai corteggiatori. I racconti sono
intrecciati, ogni uno con la sua propria azione, che
sono analoghe: è il stesso modo come Shakesperare
gli intreccia insieme nel Lear o Hamlet, vari fili della
stessa azione.
I caratteri (ethos)
Secondo Aristotele, il poeta lavora sulla
caratterizzazione dopo il racconto è stato composto,
come la sequenza tragica degli fatti. Caratteri sono
impliciti dall'inizio, perché ogni azione e l'azione di un
individuale. Ma come ci ricorda Aristotele di nuovo: la
tragedia e infatti imitazione non di uomini ma di azioni
e di modo di vita, (137, Vi.9), e dunque non si agisce
per imitare i caratteri ma si assumono i caratteri a
motivo delle azioni. Il poeta vede l'azione del racconto
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come la cosa più importante, a poi vengono la sua
forma tragica (o la composizione), e in fine i caratteri
che sono più adatti per presentarla in sua varietà e
profondità.
Aristotele definisce il carattere come una 'azione
d’abitudine che è formata dai genitori e l'ambiente e
dagli altri meno importanti pathos, come appetito,
paura e le cose simili che possono influenzare la
gente più giovane. Quando una persona crescendo
capisce di che si tratta, diventa responsabile, e noi
possiamo dire che lui è un buono o non cosi buono
carattere. Per esempio, quando noi incontriamo per la
prima volta Edipo, lui è gia una persona formata, un
re responsabile che (nella piena coscienza di che
cosa sta facendo) adatta il motivo razionale per
cercare l’assassino di Layo. Ma la sua scoperta che
lui è il colpevole distrugge non solo il suo motivo, ma
il carattere della sapienza e il regno responsabile, e la
passione oppure il patos inizia. Dopo la catastrofe,
come nel re Lear, entrambi Lear ed Edipo sono
pateticamente motivati, come i bambini e come i
bambini chiedono aiuto e il supporto. Nella tragedia, il
carattere è spesso distrutto, e in quello momento noi
possiamo vedere 'vita e l'azione' a un livello più
profondo.
Nel capitolo XIII, quando Aristotele comincia la sua
disamina dei caratteri (ethos), c'è un altro passo che
ha dato origine e diverse discussioni: la descrizione
del protagonista ideale della tragedia. Dopo avere
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discusso brevemente i due possibili mutamenti della
fortuna (uomo per bene che cade in infelicità e l'uomo
malvagio che si trova al improvviso nella felicita),
nessuno dei quali ispira i sentimenti convenienti alla
tragedia, Aristotele continua: resta fra queste due vie
estreme, la via di mezzo.... (XIII, 157) questo errore,
definito da alcuni come »macchia tragica« e un altro
termine controverso hamartia.
Le varie interpretazioni del termine hamartia possono
essere divise in due gruppi, quelle che sottolienano
l'aspetto morale della macchia e quelle che ne
sottolineano il lato intellettuale, facendo dell'hamartia
un errore di giudizio o un'errata presupposizione. La
prima e l’interpretazione tradizionale, e per alcuni
critici la »macchia« ha quasi la stessa natura del
concetto cristiano di peccato (infatti il termine
'hamartia' è usato in questo senso nel vangelo di
Giovanni). L'illusione in questo brano, da parte dello
stesso Aristotele di termini quali ‘virtù’ e 'vizio' sembra
orientare in questa direzione.
Altrove, egli impiega il termine in maniera più
ambigua, è il suo è un esempio principale di tragedia,
l' Edipo re, ha un protagonista le cui azioni appaiano
tanto immorali quanto inconsapevoli. In entrambi i
casi, comunque è essenziale che l'hamartia sia
inconsapevole, perchè abbiano luogo riconoscimento
e scioglimento.
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È facile di vedere come il carattere di Edipo e stato
immaginato da Sofocle, perchè è veramente
perfettamente adatto per rappresentare la azione
maggiore della tragedia, e di portarla fino alla fine.
Con la sua intelligenza, la sua arrogante fiducia in se
stesso, e il suo coraggio morale, lui è un protagonista
perfetto.
Pero anche gli altri caratteri sono ai pari con lui:
Tiresia, che sa tutto il tempo che cosa è la voglia dei
dei, pero lui da solo non può essere quello che si può
occupare della purificazione della città, oppure
Giocasta che tutto il tempo tema la verità, e pensa
che la Teba vivrebbe meglio nella ignoranza. Gli
caratteri contrastati scoprono l’azione principale in
modi diversi, e i loro disaccordi creano i disputi degli
tutti episodi. Pero tutta la diversità della
caratterizzazione, tutto questo conflitto dei pensieri
porta al unico scopo, che è per trovare il
responsabile. Tutti vogliono salvare la Tebe, e questo
è chiaro dall'inizio, come un motivo comune.
Anche se lo dimentichiamo nei disputi e la
fascinazione con i vari caratteri, noi siamo sempre
ricordati con ogni canzone o l'oda del coro. È il coro
che tutto il tempo direttamente rappresenta l'azione
della tragedia, e il coro lo può fare perchè ha meno
carattere dei altri protagonisti. Il coro rappresenta
l'azione più profonda di quella degli individuali, e le
sue canzoni successive, con la musica e la danza,
rappresentano la vita e il movimento della tragedia.
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Noi dobbiamo assumere che l'azioni di Tiresia,
Giocasta, e anche quella di Edipo, sarebbero molto
più diversi se li possiamo vedere a parte dalla
situazione basica della tragedia, la peste in Tebe. Noi
gli vediamo solo in connessione con quella crisi, e
perciò la loro azione, anche se i loro caratteri sono
diversi.
Aristotele sviluppa l'idee sui caratteri nei capitoli XIII e
specialmente XV. Sono come i consigli a scrittori che
devono fare per avere success con il pubblico, come
la sua insistenza sulla probabilità e consistenza in
caratterizzazione, o la sua nozione che un carattere
deve essere un nobile o un leader, e non gli uomini
degni di stima, che volgano dalla buona sorte alla
sventura, perché questo non e pauroso ne pietoso,
ma ripugnante, etc.
Quando Aristotele assume che i caratteri tragici,
devono essere superiori al livello comune, sono stati
fonte di diversi equivoci. Gia nel ii capitolo, compare
la famosa distinzione tra commedia e la tragedia,
seconda la quale la prima rappresenta gli uomini
peggiori che nella vita reale, e la seconda migliori.
Molti critici, specialmente quelli appartenenti alla
tradizione neoclassica, tradussero il carattere 'buono'
di Aristotele come 'nobile' e la tragedia fu costretta ad
occuparsi esclusivamente di re e principi. Per
Aristotele, come abbiamo detto prima, i caratteri non
vengono determinati dalla nascita ma dalla scelta
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morale. Di conseguenza, la nobiltà propria del
carattere tragico è chiaramente di natura morale più
che sociale e politica. (p.157-59).
Per Aristotele, ethos è sempre legato a mythos: non
si mette in rilievo la costruzione dettagliata di un
carattere, come in molto teatro moderno, bensì lo
sviluppo di un personaggio che agisce secondo
quando richiede l'azione. Lui assume che anche nei
caratteri è necessario, come nella composizione dei
fatti, che una persona di un certo tipo dica o faccia
cose di un certo tipo. Più importante (171): non ci sia
nei fatti nulla d’illogico, o almeno fuori della tragedia,
come per esempio nell'Edipo di Sofocle, etc.
Nel XVI capitolo Aristotele parla che cosa è il
riconoscimento, e le sue forme...(171-3)
Nel XIX capitolo, Aristotele torna all'analisi degli
elementi qualitativi, abbandonando rapidamente il
pensiero (dianoia) con un riferimento all' esame svolto
nella Retorica, e poi comincia a parlare della
elocuzione (lexis), che viene trattata nei capitoli dal
XIX al XXIII. Per lui l'elocuzione è l'arte di
presentazione, come è stata insegnata nelle scuole
moderne della recitazione. L'elocuzione appartiene a
6 elementi qualitativi della tragedia, perché la tragedia
è sempre presentata sul palcoscenico, e gli attori
devono sapere come manipolare la lingua e le parole.
Qui lui non dice molto, perché lui si occupa delle arti
di poeta, e non dei attori.
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Il pensiero è quello che occupa un poeta
direttamente, perché il pensiero e una delle cause
dell’azione. La parola pensiero dianoia connota
un'ampia lista delle attività della mente, dal pensiero
astratto fino alla percezione e formulazione delle
emozioni, perché è il pensiero che definisce tutti gli
oggetti della motivazione umana, nonostante se sono
chiare o no, se rappresentano i sogni o i fatti veri.
Nella tragedia, il pensiero è rappresentato con quello
che caratteri dicono sul corso che si deve seguire in
ogni situazione. Perciò Aristotele identifica il pensiero
con l'arte d'elocuzione (lexis). Aristotele dice:
'appartiene al pensiero tutto quel che si deve
presentare con la parola; suoi elementi sono il
dimostrare, il confutare, il procurare le emozioni
(come per esempio pietà, paura, ira, etc.) e ancora
grandiosità e meschinità.
Lui qui indica la sua Retorica (Della interpretazione)
dove analizza questo discorso in dettagli. Lui qui
pensa ad una porta voce, ad una persona pubblica,
un avvocato o un politico, di quale dovere e di
persuadere i suoi spettatori di adottare la sua
opinione. Lui considera vari mezzi quali un rettore può
usare per persuadere il suo pubblico: le sue attitudini,
la sua usanza di voce e gesti, le pause – brevemente,
i mezzi che sono usati d'attori. Pero la sua attenzione
è dedicata all'arte di linguaggio, da quella più logica,
dove l'appello è di ragionare, fino ad un linguaggio più
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colorato inteso di commuovere l'emozioni. La retorica
è un'analisi delle forme dei pensieri e dell'elocuzione
che l'azione di persuadere potrebbe usare.
Questa analisi si potrebbe applicare direttamente
sulle episodio di Edipo, a il pensiero e il linguaggio di
Edipo e i suoi antagonisti, nelle successive situazioni
del racconto. Loro si incontrano di discutere un
grande problema pubblico, quello sul beneficio di
Tebe, è loro provano di persuadere non solo uno
l'altro, ma pure il coro, e al di la città spaventata. Cosi
loro sono situati come gli consumatori della retorica di
Aristotele, e loro risorte della stessa arte di
linguaggio. Loro iniziano mostrando la ragione (prova
e rimbalzo), e perché questo non succede, loro si
rivolgono a un linguaggio più emozionante, e se
questo anche fallisce, allora il disputo scoppia in una
grande paura.
Sembra che i co - cittadini di Sofocle, che erano
abituati all'arte di retorica pubblica, hanno trovato
molto piacere nell'arte di Edipo e i suoi antagonisti.
Nella dramma moderna non si trova più questa
formalità sofisticata della tragedia greca, ne anche la
virtuosità retorica, che Aristotele analizza. Pero i
principi, entrambi della tragedia e la retorica classica,
sono naturali e gli disputati di oggi, i politici ed altri,
usano le forme retoriche, anche se hanno sentito che
si parla di loro o no. I caratteri contrastanti in tutti i
drammi, specialmente quelli di motivazione etica
come quella di Ibsen, istintivamente usano le
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strategie di retorica, quando provano di superare un
ed altro, con il pensiero e la lingua. La struttura delle
grande scene di conflitto, nella dramma classicista
francese, in Shakespeare, in Ibsen, sono tutte simile
a quelle di Edipo re.
D'altro, uno può trovare le basi per l'analisi della
lingua lirica nell'alcune parti della retorica, e nei
capitoli XXI e XXII della poetica. Qui mi riferisco ai
suoi rimarchi all’analogia e metafora, che lui riguarda
come la basi della lingua poetica, la più grande abilita
del poeta è di avere il comando della metafora, che
non può essere imitato da un altra persona.
Pero la sua analisi delle metafore non è molto
interessante. Lui pure presenta la sua definizione
della analogia, (xxi), non tanto elaborata, ma poi
molto usata nella poesia medievale, piuttosto nella
poesia di Dante.
Cosi le canzoni del coro possono essere analizzate in
termini delle metafore ed analogia. Per esempio se
usiamo qui la prima strofe della parodà, la metafora
principale è quella di luce e buio, si usano parole
come »oro e ombra«, “la città colpita dal sole”, una
nuvola all'improvviso, e in tanti altri modi e tutti sono
legati ad Apollo, il dio della luce, della cura, e pure
della malattia, è lui che ha parlato tramite l'oracolo di
Delfi.
Pero questo è una immagine che passa in tutta la
tragedia, anche nella cecità di Tiresia, a quella di
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Edipo alla fine. È basata sulla analogia tra l'occhio del
corpo, e l'occhio della mente, la vista e la cecità,
riconoscimento e la ignoranza. La cecità fisica e il
buio della notte rappresentano l'azione della tragedia,
il movimento dello spirito dalla ignoranza allo
riconoscimento.
III
Abbiamo gia detto che Aristotele non tratta molto la
musica (melos), ne il spettacolo (opsis). Pero lui
assumeva che un poeta della tragedia doveva nello
stesso tempo essere un buon attore. Il poeta non ha il
bisogno delle tecniche della voce, dizione e il
movimento del corpo, ma doveva mentre scriveva di
imitare ogni carattere completamente i credere nelle
situazioni, come un buon attore. (nel XVII capitolo lui
da a un consiglio a i poeti p. 175-79) e questo
consiglio si avvicina in alcun modo a Stanislavski e il
suo metodo di lavoro a MHAT.
Pero resta la domanda principale perché la tragedia,
con le suoi immagini di conflitto, terrore e sofferenza,
crea una sensazione di piacere e soddisfazione,
anche se è stata gia risposta in vari modi. Questo è
probabilmente il punto più interessante di tutta la
Poetica, che ha prodotto tanto dibattito tra gli suoi
interpretti.
Gia abbiamo spiegato un poco il senso di piacere che
proviene dall’imitazione, pero ci sono pure i concetti di
ritmo e armonia che ci rendono piacere. E Aristotele
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dice che in ogni uno di noi esiste questa affinità per
l’armonia e i ritmi. (nella Politica). Il fatto che la
musica sia molto importante, si può riconoscere nei
spettacoli e testi di Shakespeare che la usa per
rappresentare l'umore dei suoi caratteri, se uno é
sano o no...
Questo è comunque il piacere che noi proviamo in
tutta l'arte, ma la qualità speciale che noi proviamo in
tragedia potrebbe essere meglio spiegata. Dice
Aristotele, che il piacere proviene dalla purificazione
delle passioni di paura e la pietà. La pietà è
l'emozione che uno prova in presenza di qualunque
sofferenza e persone che soffrono. Sono la paura e il
terrore gli emozioni che la stessa cosa potrebbe
succedere a noi. Per esempio, un incidente in
macchina crea una specie di dolore e simpatia,
mentre l'arte crea una passione che è molto di più di
una sensazione individuale, di una importanza
momentanea. Ha più da fare con l'esistenza mistica
della nostra natura e destino.
Eppure sembra che la pietà e la paura devono andare
insieme. La pietà da sola diventa allora molto
sentimentale (nel caso delle tele-novelas). D’altro lato
la paura da sola, come la deriviamo da un buon
thriller, non basta. Pero i maestri della tragedia, come
i cuochi buoni, mischiano la paura e la pietà, nelle
proporzione giuste. Dopo paura, viene la pietà,
purificando ci di queste emozioni, riconciliando ci con
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il nostro destino, perché lo capiamo come la
universale umana fortuna.
La parola che Aristotele usa per solo una volta per
questo effetto è purificazione o la catarsi. (catharsis).
Questa parola si usa anche per i termini medicali,
significando la purificazione del corpo, o in senso
religioso, purificazione della mente. Comunque tutte
due non spiegano bene cosa Aristotele intendeva,
perché lui parlava della tragedia e non di medicina o
religione, e il suo uso del termine è solo una analogia.
Comunque, succedono i cambiamenti del corpo (nella
nostra chimica, respiro, la tensione dei muscoli, etc)
mentre passiamo le emozioni della tragedia e quando
passano possono rassomigliare quello della
purificazione letterale. Ma la tragedia prima di tutto si
rivolge alla mente e il spirito e il suo effetto è come
quello che i credenti vivono durante le cerimonie
religiose, create per purificare lo spirito.
Aristotele ha notato che nelle cerimonie religiose che
lui conosceva, le passioni erano risvegliate, liberate, e
alla fine calmate, e lui probabilmente aveva questo in
mente quando ha usato il termine purificazione per
descrivere gli effetti della tragedia.
I 4 capitoli finali paragonano la tragedia al genere, ed
essa strettamente collegato, della poesia epica. Nel
XXIV capitolo (p 209) si trova l'importante
affermazione, costante citata nei periodi in cui la
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verosimiglianza divenne una questione artistica di
rilievo, che un poeta dovrebbe preferire “l'impossibile
verosimile” al “possibile non credibile”. E il
sopranaturale è più difficile, cosi è più saggio di
evitare i dei sul palcoscenico.
Nel capitolo successivo si difende questa
affermazione contro le critiche esterne, è il principale
argomento di difesa e come sempre, la necessita
interna: gli oggetti e gli eventi non devono essere
mostrati come sono, ma come “dovrebbero essere”.
In conclusione, Aristotele giudica le tragedie
superiore, come forma artistica, alla poesia epica, per
la sua maggiore concentrazione ed unita d'azione, e
per gli ausili della musica e dello spettacolo. Questi
momenti sono importanti dell'opera fondamentale
della riflessione critica greca, ciascuno dei quali fu
continuamente indagato e dibattuto durante i secoli
successivi.
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