DA BISTOLFI A MASTROIANNI Cent`anni di scultura torinese

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DA BISTOLFI A MASTROIANNI Cent`anni di scultura torinese
DA BISTOLFI A MASTROIANNI
Cent’anni di scultura torinese
Galleria Matteotti
DA BISTOLFI
A MASTROIANNI
DA BISTOLFI
A MASTROIANNI
Cent’anni
di sculturatorinese
torinese
Un secolo di scultura
A cura di
Umberto Brusasca
Mario Opezzo
Testi di
Armando Audoli
Galleria Matteotti
Indice
DA BISTOLFI A MASTROIANNI
Cent’anni di scultura torinese
18 giugno - 24 luglio 2015
Grafica
Claudio Ruffino
Crediti fotografici
Gabriele Gaidano
Tea Giobbio
Plinio Martelli
Gianluigi Latino
Enzo Russo
Stampa
Tipolito Europa
Galleria Matteotti
corso Matteotti 2/A
www.galleriamatteotti.it
p. 5
Qualche nota sulla scultura moderna a Torino
di Armando Audoli
13
Opere in mostra
97
Appendice
102
Indice degli autori
QUALCHE NOTA SULLA SCULTURA MODERNA A TORINO
ARMANDO AUDOLI
Le opere presentate in mostra costituiscono alcuni esempi significativi
della parabola storico-artistica della moderna scultura torinese: si tratta di
un arco cronologico teso all’incirca tra la metà dell’Ottocento e gli anni Sessanta del secolo scorso; ossia tra l’avvicendamento di Odoardo Tabacchi a
Vincenzo Vela, quale titolare della cattedra dell’Accademia Albertina, e
l’inizio dei festeggiamenti per il centenario dell’unità d’Italia, coronato
dall’Esposizione Internazionale del Lavoro del 1961, meglio conosciuta
come “Italia ’61”. In mezzo, a livello di rassegne nazionali e internazionali, Torino visse almeno altri quattro eventi decisivi: le esposizioni generali
italiane del 1884 e del 1898 (quest’ultima ospitò con successo la prima
mostra dei bronzi artistici fusi da Emilio Sperati), l’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna del 1902 e l’Esposizione Internazionale
delle Industrie e del Lavoro del 1911 (per la quale vennero edificati, tra l’altro, il ponte monumentale “Umberto I”, con i gruppi di Cesare Reduzzi e
Luigi Contratti, e lo Stadium, allora uno dei più grandi complessi polifunzionali a livello mondiale, ornato dai colossali gruppi equestri in cemento
di Giovanni Battista Alloati). In questo periodo Torino fu una città davvero importante per l’arte plastica italiana, e a tratti addirittura una capitale
europea della scultura. Ci riferiamo, in particolare, a quel delicato frangente che è stato il passaggio dall’Otto al Novecento, allorché la presenza carismatica di alcune personalità d’eccezione, formate in accademia dal magistero di Tabacchi (è sufficiente ricordare Leonardo Bistolfi, Edoardo Rubino, Pietro Canonica e Davide Calandra), rappresentò il motivo principale
dell’afflusso in città di giovani pieni di talento, accorrenti dal resto della
4
Nella pagina a fianco
Edoardo Rubino
e i suoi collaboratori
lavorano al gesso
monumentale
La Danza
per l’Esposizione
Internazionale
d’Arte Decorativa
Moderna del 1902.
Foto E. Balbo Bertone
di Sambuy
Da sinistra
Giovanni Battista Alloati
nel suo studio parigino,
1900
Due gruppi in cemento
dell’artista per lo Stadium
di Torino, 1911
5
Leonardo Bistolfi,
La Giovinezza,
1899-1907, marmo.
Particolare
del monumento
funebre
a Tito Orsini
nel Cimitero
di Staglieno
a Genova
6
penisola e dal mondo intero per frequentare gli studi dei nostri scultori o
per iscriversi all’Albertina, dove fino a poco prima aveva imperato il classicismo risorgimentale di Vela. Un punto saliente non secondario nell’incoraggiare tale fioritura plastica fu – inoltre – la presenza di notevoli fonditori d’arte, personaggi ambiziosi e appassionati, ossessionati dalla tenuta qualitativa del loro lavoro (un nome su tutti: il citato Sperati).
Così la febbrile Torino fin de siècle si trovava sulla ribalta internazionale, pronta a contendere a Parigi il primato di capitale della scultura e delle
arti decorative. Ricordiamo giusto due episodi, per intenderci. Il Grand
Palais parigino venne messo in piedi, nel giro di un paio d’anni, in occasione dell’Exposition Universelle del 1900, la bagarre mondiale che elettrizzò il mondo intero e che battezzò con clamore inaudito il secolo neonato. Un fenomeno mediatico globale, diremmo oggi. I lavori di decorazione del palazzo spettarono agli architetti Albert Thomas (1847-1907),
Henri Deglane (1855-1931) e Albert Louvet (1860-1936), i quali convocarono – tra i collaboratori per le parti plastiche – un solo scultore straniero. Era un torinese, si chiamava Giovanni Battista Alloati (1878-1964) e in
patria si era già distinto nell’ideazione di curiosi oggetti d’uso quotidiano, concepiti in un precoce stile liberty. Oltre a rappresentare una fulgida
promessa del simbolismo di casa nostra, Alloati poteva considerarsi l’antenato di un odierno designer. Non a caso, l’Exposition del 1900 segnò un
punto d’arrivo proprio all’interno dell’accesa querelle sulle arti decorative,
volta a infrangere una volta per tutte la barriera fra arti “belle” e arti
“applicate”; in questo dibattito estetico-sociale non esitarono a buttarsi a
capofitto (tra gli altri) anche Bistolfi, Rubino, Fumagalli e Ceragioli. A
Parigi il giovane Alloati entrò in stretto contatto con Auguste Rodin, un
mito assoluto per tutti i plasticatori di quella generazione. Secondo episodio: in seguito all’Exposition Universelle, Rodin – per tramite dell’ormai
parigino Alloati – strinse amicizia con il critico e poeta crepuscolare
Giovanni Cena, che nel giro di un anno si fece in quattro, insieme
all’attivissimo amico Rubino, per organizzare una festa e un banchetto1 in onore del genio francese. La festa sabauda ebbe luogo
al Circolo degli Artisti, il 25 ottobre 1901, e in quella circostanza
Auguste, in viaggio per Carrara, si recò ad ammirare Il Dolore
confortato dalle Memorie2 di Bistolfi, il superbo altorilievo per il
monumento sepolcrale della famiglia Durio3. Di colpo Torino si
consacrò come privilegiato centro italico di ricezione dell’opera e dello spirito rodiniani. Oltretutto l’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna del 1902, che ebbe una
gestazione a dir poco travagliata, sarebbe stata già in programma nel 1899 (quindi Torino avrebbe dovuto addirittura
battere sul tempo Parigi); ipotizzata poi per il 1901, si tenne
invece nel 1902, sia perché l’anno precedente fu funestato dal
regicidio di Monza, sia perché per il ’902 era prevista anche
l’Esposizione di Belle Arti alla Promotrice.
Da sinistra
Umberto Mastroianni
e Luigi Comazzi,
1950 ca.
Guerrisi nel suo
studio con
il modello della Venere
per la fontana
della piazzetta della
Società Anonima
di Assicurazioni
di Torino, 1954 ca.
Abbiamo accennato all’importanza che ebbe l’avvento di Tabacchi
all’Albertina per le sorti della moderna scultura torinese, avvento
comunque fortemente sostenuto da Vela, dimissionario nel 18674. Quando Tabacchi – docente inarrivabile – lasciò l’insegnamento dopo quarant’anni di servizio, la successione di Bistolfi sembrava cosa scontata, oltreché giusta. Purtroppo, però, non fu così. Nel dicembre del 1905 al casalese fu negata la cattedra all’Accademia Albertina, con l’assurda e retrograda motivazione che l’insegnamento della scultura non poteva essere
affidato a un “poeta”5. Il posto lo prese, in mezzo a una ridda di polemiche, il classicista fiorentino Cesare Zocchi6. L’evidente osmosi con il
mondo letterario e musicale penalizzò sicuramente Bistolfi, che, con il
suo macerato cerebralismo simbolista, si era altresì macchiato di non
pochi peccati di penna7. Giustamente la specialista Sandra Berresford ha
chiamato in causa le correspondances di Baudelaire, per fare luce su quello che fu il credo bistolfiano per antonomasia: il riavvicinamento di tutte
le arti8. La sinestesia, in una parola. L’assimilazione dei linguaggi artistici, operata dai sensi in base alla percezione delle rispondenze intime dei
diversi codici espressivi, era stata un’intuizione teorica della scapigliatura, trasmessa da Bistolfi – come un’iniziazione – anche ai suoi “adepti”.
Egli, bisogna dirlo con chiarezza, non ebbe mai un rapporto pienamente
risolto con Torino, per vari motivi: questioni politiche, estetiche e spirituali. In più, affiliato alla loggia massonica “Dante Alighieri” dal 1885,
non era certo gradito alla curia cittadina… Ben altra sorte sarebbe invece toccata, anni dopo, all’influente e diplomatico Rubino, che la cattedra
di scultura se l’era conquistata con le unghie e con i denti, tenendosela
ben stretta fino alla fine: dal 1917, in principio come aggiunto di Zocchi,
poi come titolare, dal 1924 al 1936. Dopo Rubino fu la volta del suo
pupillo, Umberto Baglioni, che occupò l’ambìto posto accademico dal
1936 alla pensione.
7
Adriano Alloati,
Grande Naiade n. 5
per la fontana
interna al cinema
Reposi, 1948
8
I vari avvicendamenti alla cattedra di scultura dell’Accademia Albertina sono fondamentali per comprendere, su un piano estetico diacronico,
le linee guida che hanno segnato la storia della scultura moderna a Torino. Malgrado ciò, ci sono state comunque delle figure di assoluto rilievo,
che si staccarono decisamente dal contesto “istituzionale”. È il caso – per
esempio – di Umberto Mastroianni, formatosi nelle botteghe dello zio
Domenico e di Michele Guerrisi, due individualità a modo loro straordinarie. Mastroianni mantenne per tutta la vita quella geniale libertà (mentale e formale), che può crescere e librarsi soltanto al di là degli stretti ranghi scolastici. L’energico magnetismo dell’artista laziale ci conduce nel
cuore degli anni Trenta, anni in cui – come nei fasti dell’antichità classica –
l’architettura e la scultura tornarono ad avere la primazìa sulle altre arti.
La statuaria del secondo decennio littorio, dopo l’ibrida fase di transizione degli anni Venti e con la singolare variante sperimentale del futurismo
di nuova generazione, non fece altro che tentare di riappropriarsi gradualmente della rimpianta autonomia rispetto alle sofisticate “mollezze”
del linguaggio pittorico, rivendicando in pieno la dignità della tonica
compattezza scultorea e tornando a esprimersi in modo portentoso, come
atto eroico di pura volizione, in un generale ripristino ideologico di valori neolatini e neorinascimentali. Tuttavia gli scultori costantemente attivi
a Torino in questi anni nodali erano quasi sempre immuni dagli aspetti
più grevi e tronfi dell’arte di regime. Anche nelle opere ufficiali, artisti
come lo stesso Rubino maturo, Stagliano, Baglioni, Musso, Riva, Audagna, Saglietti, Tinto, Formica, Zucconi, Castellana, Quaglino, Moscatelli,
Orsolini, Borelli, Taverna o Adriano Alloati, si fermavano sempre a un
passo dall’adesione incondizionata alla pedante e pesante retorica celebrativa, rivendicando con sensibile pudore le ragioni pacate di un tono
molto “sabaudo” e comunque profondamente intimo.
Il secondo dopoguerra, dopo il primo che aveva violentemente reciso
il cordone ombelicale con la Belle Époque, rappresentò un nuovo insanabile trauma epocale. Fino ad allora portati in palmo di mano e accuditi
dal regime di Mussolini, che si era addirittura preoccupato di istituire un
Sindacato Nazionale di Belle Arti, i nostri scultori si ritrovarono improvvisamente orfani. Orfani e disorientati, perché intanto cominciavano a
giungere anche da noi gli echi spiazzanti delle nuove avanguardie internazionali. C’era chi rimaneva ostinatamente ancorato alla figurazione tradizionale, cercando magari di lavorare per la sempre più fievole committenza privata e per le decorazioni di qualche cinema (pensiamo alle Naiadi e ai fregi di Adriano Alloati per il Reposi, oppure alla figura allegorica
in gesso patinato di Tinto per l’Ideal); e c’era poi chi cominciava a cedere
alle lusinghe dell’Informel, che intanto stava dilagando nel campo della
ricerca pittorica. Ecco così che la rappresentazione della figura umana –
protagonista indiscussa di questa vicenda – finì progressivamente per
alterarsi fino quasi a dissolversi, irrigidendosi nell’astrazione di geometrie matematiche o disfacendosi nei densi flussi gestuali della matericità
informale. Era passato ormai più di un secolo da quando Vela aveva fatto
scandalo con il suo rivoluzionario e romantico Spartaco: l’arte plastica
sentiva di dover uscire dal flusso della storia per ripiegare e ripiegarsi
nella fluidità tutta interiore della coscienza individuale. Arrivati indenni
– seppur con fatica – alla vigilia del centenario dell’unità d’Italia (quando
si inauguravano ancora monumenti rétro come quello al Fante di Balzardi), gli scultori torinesi stavano per essere travolti dall’intransigenza del
Concettualismo e dal suo dispotico “indotto” critico.
NOTE
1
2
3
4
5
6
7
8
Su “La Stampa”, che aveva preannunciato la visita di Rodin a Torino (Cronaca, 23 ottobre 1901), venne pubblicato il resoconto del banchetto, tenuto “in una aristocraticissima sala del Circolo degli Artisti, parata di verde pallido ed illuminata di grandi specchi”, alla presenza dell’ambiente artistico torinese quasi al completo (tra gli artisti:
Leonardo Bistolfi, Cesare Reduzzi, Pietro Canonica, Edoardo Rubino, Davide Calandra, Cesare Biscarra, Giacomo Cometti, Luigi Belli, Tancredi Pozzi, Lorenzo Delleani,
Carlo Pollonera, Giovanni Battista Carpanetto, Carlo Follini, Giovanni Guarlotti, mentre l’assenza di Giacomo Grosso era imputata a un viaggio sudamericano; tra gli intellettuali: Mucchi, Cena, Thovez, Reycend, Graf, Corradino, Camerana). Di Cena e
Bistolfi furono i brindisi finali (Arti e Scienze. Ad Augusto Rodin, in “La Stampa”, 26
ottobre 1901).
Bistolfi aveva presentato il modello in gesso de Il Dolore confortato dalle Memorie
all’Esposizione Nazionale di Torino del 1898.
Realizzato tra il 1898 ca. e il 1901, fuso da Fumagalli, il monumento funerario per la
famiglia Durio venne inizialmente collocato nel Cimitero di Madonna di Campagna e
successivamente traslato nel Cimitero Monumentale di Torino (Campo Primitivo,
davanti al nicchione n. 207).
Vela lasciò la cattedra e la città amareggiato dall’esito del concorso per il Monumento
a Cavour (in piazza Carlo Emanuele II a Torino), vinto dallo scultore senese Giovanni
Duprè (1817-1882).
Pare che l’esclusione di Bistolfi dall’insegnamento accademico fosse prestabilita e che
la scandalosa motivazione ufficiale suonasse così: «Bistolfi è un poeta, non uno scultore!». Enrico Thovez e la sua fronda si mostrarono immediatamente scandalizzati: «La
nomina dello Zocchi a professore di scultura nell’Accademia di questa nostra città che
ospita da tanti anni e ormai considera come suo cittadino Leonardo Bistolfi […] è tale
enormità che desterà infinita sorpresa e profondo dolore non solo a Torino, ma in tutta
Italia» (cfr. La Cattedra di Scultura all’Accademia Albertina e la nomina dello Zocchi, in “L’arte decorativa moderna”, Anno II, n. 7, 1905, pp. 211-214). Si vedano anche le veementi
proteste scritte degli artisti torinesi e degli allievi dell’accademia Albertina, pubblicate
sempre da Thovez su “L’arte decorativa moderna” (Anno II, n. 8, 1906, p. 254).
Cesare Zocchi (1851-1922) vinse con 56 voti favorevoli, contro i 54 di Bistolfi: il solido
ma convenzionale mestiere di Zocchi doveva sembrare più “rassicurante” rispetto al
genio visionario di Bistolfi, soprattutto in un’ottica pedestremente scolastica.
Il 18 gennaio 1909, sulle pagine de “Il Secolo”, Bistolfi «uscì in una delle pochissime
autodifese a noi note, in cui contestò la critica che gli fu mossa di fare della ‘letteratura’ e sostenne, all’opposto, di ideare le sue sculture plasticamente, attraverso la forma
e mai divise da essa». Cfr. S. Berresford, Bistolfi e il “Bistolfismo”, in R. Bossaglia e S.
Berresford, Bistolfi 1859-1933. Il percorso di uno scultore simbolista, Casale Monferrato,
Piemme, 1984, p. 21.
Cfr. Sandra Berresford, Op.cit, p. 177.
9
OPERE IN MOSTRA
VINCENZO VELA (Ligornetto, 1820 - Mendrisio, 1891)
V
Il classicismo
purista
di Vela
via via
si irrobustisce,
si tormenta
d’improvviso,
agitato
da fermenti
rivoluzionari
e romantici
Spartaco
ante 1890
gesso, h. 63 cm
12
incenzo, nativo del Canton
Ticino, inizia a lavorare a
nove anni come scalpellino
nelle cave di Besazio e Viggiù. Nel
1832 lo troviamo a Milano, nella
corporazione dei marmisti del
Duomo. Qui frequenta
l’Accademia di Brera ed è
introdotto nello studio del
carrarese Benedetto Cacciatori.
Come molti scultori della sua
generazione, il Vela degli esordi è
profondamente influenzato dallo
stile di Lorenzo Bartolini; tale
influsso è evidente, per esempio,
in una statua “purista” come
La preghiera del mattino,
commissionatagli nel 1846 dal
conte Giulio Litta. Tra il 1844 e il
1846 giungono i primi grossi
incarichi su committenza privata,
quali la tomba di Maddalena
Adami Buozzi e il Monumento al
Vescovo Luvini, lavoro col quale
diventa una vera star negli
ambienti artistici milanesi.
Nel 1847 si reca a Roma e qui
stabilisce un sodalizio con Adamo
Tadolini, Pietro Tenerani e
Giovanni Dupré. Il naturalismo
dominante in questo “cenacolo” lo
spinge a cercare un nuovo vigore
plastico, più realista e romantico,
che deflagra appieno nello
Spartaco, capolavoro iniziato
a Roma nel 1847. La versione
primaria in marmo, scolpita
per il Duca Antonio Litta (ora
conservata nell’atrio del palazzo
civico di Lugano), verrà
completata solo nel 1850 e poi
esposta a Brera nel 1851, poiché
nel 1848 l’artista, civilmente molto
impegnato, ha preso parte alla
guerra svizzera del Sonderbund;
sempre nel 1848 combatte,
volontario, nelle cinque giornate
di Milano. Lo Spartaco, alla luce
dell’assoggettamento della
Lombardia all’Austria, appare
un’opera politica e provocatoria,
così Vincenzo decide di riparare
momentaneamente a Ligornetto.
Nel 1850 riceve l’ordine di
realizzare, insieme al fratello
Lorenzo, le sculture per la
cappella della Villa dei Borromeo
d’Adda ad Arcore.
Nel 1852 produce la statua
Desolazione, per gli esuli fratelli
Ciani. Nel 1852 giunge a Torino
e nel 1856 diventa professore di
scultura all’Accademia Albertina,
incarico che mantiene fino
al 1867, quando lascerà la città
amareggiato dall’esito negativo
del concorso per il monumento
a Cavour (vinto da Dupré).
In questo periodo la carriera
di Vela prosegue con il gruppo
marmoreo Le regine Maria Teresa
e Maria Adelaide (1861, Torino,
Chiesa della Consolata), pieno
di dettagli minuti d’una finezza
squisita. Il suo folgorante marmo
Gli ultimi giorni di Napoleone
(Versailleis, Château), scolpito
a Torino nel 1866 e presentato
all’Esposizione Universale di
Parigi del 1867, riscuote un
successo clamoroso, consacrando
definitivamente Vela sulla ribalta
europea. Nel 1882, in occasione
dell’apertura del Gottardo, esegue
l’altorilievo Le vittime del lavoro,
brano drammatico e “pittorico”
di alto impegno sociale.
Gran parte della sua produzione
è raccolta nel Museo Vincenzo
Vela di Ligornetto.
ODOARDO TABACCHI (Ganna, 1831 - Milano, 1905)
I
Il magistero
di Tabacchi
ha formato,
a Torino,
generazioni
di scultori:
Calandra,
Bistolfi,
Canonica
e Rubino
sono la sua
migliore
progenie
Arnaldo
da Brescia
1890 ca.
bronzo, h. 56,5 cm
Fusione Emilio Sperati
14
l quattordicenne Odoardo si
iscrive all’Accademia di Brera
per seguire i corsi di Benedetto
Cacciatori e contemporaneamente
studia con Abbondio Sangiorgio.
Nel 1858 vince il Pensionato
Triennale di scultura che gli
consente di recarsi prima a
Firenze (qui realizza Il pianto
degli angeli, la sua prima opera
famosa), poi a Roma nel 1860
e a Napoli nel 1861.
Dopo aver lavorato con Pietro
Magni e Giovanni Strazzo,
rientra a Milano e apre uno studio
proprio. Insieme ad Antonio
Tantardini, vince il concorso per
il Monumento a Camillo Benso
di Cavour a Milano. Tra il 1863
e il 1867 crea le statue di S. Maria
Egiziaca e S. Dorotea per il Duomo
di Milano, insieme alle figure
storiche (tra le quali spicca il
Dante) per la Galleria Vittorio
Emanuele II, sempre a Milano.
Nel 1866 scolpisce in marmo
l’Arnaldo da Brescia, lavoro che
godrà di notevole fortuna anche
nelle sue più tarde varianti
bronzee. Tabacchi non trascura
le commissioni private,
specialmente in ambito funerario,
come l’Angelo della Giustizia e
l’Angelo Guardiano per il Mausoleo
Ponti di Gallarate a Varese (1867).
Nel 1867 espone a Parigi il
grande gruppo in marmo
Ugo Foscolo dopo il trattato di
Campoformio, uno dei suoi
capolavori. Nel 1867-68, dopo
le dimissioni di Vincenzo Vela,
diventa professore di scultura
all’Accademia Albertina di
Torino, dove insegnerà
per quarant’anni.
L’arrivo di Tabacchi a Torino
è un’autentica rivoluzione per
la scultura piemontese, l’inizio
di un definitivo rinnovamento
postrisorgimentale; l’artista, che
aveva uno straordinario talento
pedagogico, conferisce un
prestigio internazionale alla prima
cattedra di scultura cittadina,
formando personalità del calibro
di Bistolfi, Calandra, Canonica e
Rubino. Dagli anni ’870 Odoardo
è talmente sostenuto dalla critica
che gli vengono assegnate
importanti commissioni
pubbliche, anche senza gara (per
esempio, a Fermo, le statue di
Giacomo Leopardi e Annibal Caro,
entrambe del 1884). Negli stessi
anni si dedica alla scultura di
genere e in particolare alle figure
femminili, assai gradite al
collezionismo borghese: La Pery,
Hypatia, La Débardeuse, Mosca
cieca, Mascherina, Cicca-cicca,
Tuffolina… Quest’ultima,
presentata la prima volta a Napoli
nel 1877 (acquistata da Vittorio
Emanuele II, oggi al Museo di
Capodimonte), ottiene in breve
un successo mondiale
inimmaginabile, tanto che solo
in Argentina se ne tireranno
complessivamente addirittura
un migliaio di esemplari, tradotti
nei materiali più diversi.
Nel 1880, alla Promotrice di
Torino, lo scultore ripropone
il suo Arnaldo da Brescia (“gesso
colossale da fondersi in bronzo”,
in parte modificato rispetto
alla versione del 1866), vincitore
del concorso per il monumento
nell’omonima città lombarda,
inaugurato il 14 agosto 1882.
DAVIDE CALANDRA (Torino, 1856 - 1915)
D
Probabilmente
il più dotato
modellatore
piemontese
dell’ultimo
ventennio
dell’Ottocento,
Calandra
stava al passo
con i maggiori
scultori
europei
Fior di chiostro
1884
terracotta, h. 45 cm
16
avide nasce in una
famiglia colta e agiata:
anche il fratello maggiore
Edoardo, che si diletta di
archeologia, diverrà noto come
pittore e letterato. ). A soli due
anni resta orfano della madre.
Terminato il liceo, dopo aver
frequentato per pochi mesi lo
studio dello scultore Alfonso
Balzico, si iscrive all’Accademia
Albertina e studia con Enrico
Gamba e Odoardo Tabacchi. Nel
1878, insieme al padre (avvocato e
collezionista) e al fratello, scopre
la necropoli barbarica di Testona,
nei pressi di Moncalieri. Nel 1881
è a Parigi con Edoardo, per
compiervi studi artistici. Nel 1882
espone Cuor sulle spine alla
rassegna annuale della Promotrice
delle Belle Arti; alla fine dello
stesso anno presenta il marmo
Tigre reale al Circolo degli Artisti
(l’opera verrà riproposta al
Glaspalast di Monaco di Baviera,
nell’esposizione internazionale
del 1883). Il successo arriva con la
scultura in marmo Fior di chiostro,
presentata all’Esposizione
Generale della Promotrice di
Torino nel 1884 e subito acquistata
da Umberto I. Membro della
Giunta Superiore delle Belle Arti
in Roma dal 1893 al 1912; nel 1896
viene eletto Consigliere Comunale
di Torino; dal 1898 è membro
effettivo della commissione
di ornato e membro della
commissione conservatrice dei
monumenti d’arte e antichità per
la Provincia; nel 1912 è nominato
presidente della Società
Piemontese di Archeologia e Belle
Arti. Autore del Monumento
a Giuseppe Garibaldi di Parma
(1893), dello straordinario
Monumento al Principe Amedeo
di Savoia Duca d’Aosta di Torino
(1902), del Monumento a
Giuseppe Zanardelli di Brescia
(1909), del Fregio dei Fasti Sabaudi
per la nuova aula del Parlamento
di Roma (1911), del Monumento
a Umberto I a Villa Borghese
(terminato da Rubino), del
Monumento al Generale Mitre
a Buenos Aires, realizzato in
collaborazione con Rubino.
Autore inoltre di numerosi
monumenti sepolcrali, di
medaglie, busti e piccoli bronzi,
espone alle rassegne della Società
Promotrice delle Belle Arti di
Torino dal 1879 (Ritratto di donna)
e al Circolo degli Artisti della
stessa città dal 1880 (busto di S.M.
il Re Umberto I e Catamantaledes Testa di guerriero gallo); alla
Permanente di Milano e
all’Esposizione di Venezia nel
1885 (Cheik-Ibrahim); a Mentone
e alla promotrice di Genova nel
1886 (Erhalla); all’Esposizione
Nazionale di Palermo nel 1891
(L’aratro); alla VIII Esposizione
Internazionale di Venezia nel 1909
(Il pensieroso e L’auriga). Il gruppo
equestre in bronzo Il conquistatore,
commissionato nel 1902 dal
senatore Michele Chiesa e
presentato alla V Esposizione
Internazionale d’Arte di Venezia
nel 1903, si trova oggi presso la
Galleria Civica d’Arte Moderna
e Contemporanea di Torino,
insieme ai marmi Cuor sulle spine
e Fior di chiostro. La gipsoteca di
Savigliano conserva gran parte
della sua produzione.
DAVIDE CALANDRA
La Carmen di un altro allievo
di Tabacchi, il francese Emmanuel
Villanis (1858-1914)
Nella pagina a fianco
Carmen
1890 ca.
bronzo, h. 28 cm
Fusione Emilio Sperati
18
Davide Calandra, Fanciulla con
i capelli raccolti, 1890 ca., bronzo.
Fusione di Emilio Sperati
Davide Calandra, bozzetto per Carmen,
1880-1885, terracotta.
Gipsoteca Davide Calandra, Savigliano
EDOARDO RUBINO (Torino, 1871 - 1954)
D
Artista
di una finezza
straordinaria,
Rubino
ha un gusto
tutto proprio
per la
composizione
e ama le linee
tracciate
«con docile
incanto»
[Fanciulla]
1900 ca.
bronzo, h. 38 cm
Fusione Emilio Sperati
20
i famiglia modesta, il
giovane Edoardo
frequenta corsi serali di
plastica ornamentale tenuti da
Luigi Belli e in un secondo tempo
si iscrive all’Accademia Albertina,
dove è allievo di Odoardo
Tabacchi. I primi lavori di Rubino
sono intrinsecamente legati al
gusto dell’arte applicata: fregi,
targhe, elementi decorativi
in legno e in altri materiali
sperimentali. Collaboratore
dell’atelier di Bistolfi, egli si
accosta progressivamente allo stile
simbolista e art nouveau del genio
casalese, iniziando a ottenere
importanti commissioni. Nel 1898,
per l’Esposizione Nazionale di
Torino, realizza le figure
ornamentali per la Fontana dei
Mesi, ideata dall’architetto Carlo
Ceppi, esegue la statua allegorica
della Dora e, insieme a Cesare
Biscarra, i gruppi raffiguranti La
Guerra e La Pace (non più in loco).
Nel 1901 conosce Auguste Rodin,
in visita a Torino. Per
l’Esposizione Internazionale
d’Arte Decorativa Moderna del
1902 modella i grandi gruppi di
danzatrici, da collocarsi sulla
cupola centrale della Rotonda.
Si aggiudica inoltre, benché fuori
concorso, la medaglia d’oro per
le statue La Pittura e La Scultura,
posizionate all’ingresso della
mostra stessa. Nel fermento dei
primi anni del Novecento realizza
numerosi monumenti celebrativi:
a Umberto I ad Aosta (1903), a
Alessandro Vittoria a Trento
(1919-1926), a Umberto I a Roma
(inaugurato nel 1927), al Generale
Mitre a Buenos Aires (1907-1927),
commissione vinta per concorso
insieme a Davide Calandra.
È autore di monumenti funebri,
di grandi e piccoli raffinatissimi
bronzi “da camera”, di opere
decorative come l’interno della
confetteria Baratti & Milano
(1909), perfezionato con la
collaborazione di Giulio
Casanova. Torino custodisce
importanti opere di Rubino, quali
i monumenti a Casimiro Teja
(1903), a Edmondo de Amicis
(1903) e a Federico Sclopis (1905),
il Monumento al Carabiniere
(1933) e il Faro della Vittoria, la
cui parte plastica beneficiò di un
significativo contributo
dell’allievo Aurelio Quaglino
e il cui basamento è ancora una
volta frutto del felice apporto
di Casanova. Accademico di San
Luca, insegna all’Albertina dal
1917, da principio come aggiunto
alla cattedra di Cesare Zocchi,
poi come titolare, dal 1924 al 1936.
Partecipa alle rassegne della
Promotrice di Belle Arti di Torino
dal 1891. Espone anche a Venezia
nel 1903, nel 1905, nel 1912 e nel
1942 (mostra personale alla
Biennale), e a Monaco di Baviera
nel 1913. Nel 1921 espone alla
Prima Biennale di Roma. Sue
opere sono conservate nella
Galleria Civica d’Arte Moderna
e Contemporanea di Torino
(Costume di Gressoney, 1899;
Giovinetta di Nazareth, 1902; Eva),
alla Galleria d’Arte Moderna
di Vicenza (Adolescente), nella
collezione delle Raccolte Frugone
di Genova-Nervi (Risveglio)
e nella Galleria d’Arte Moderna
di Roma.
ARTURO STAGLIANO (Guglionesi, 1867 - Torino, 1936)
A
Dalle
iniziali
cadenze
liberty,
la scultura
di Stagliano
muove
rapidamente
verso
un rodinismo
più sciolto,
pieno
di riferimenti
classici
Adelina
1904
marmo, h. 48 cm
Opera esposta
alla Società Promotrice
delle Belle Arti
di Torino nel 1904
22
llievo di Domenico
Morelli all’Istituto di Belle
Arti di Napoli, nel 1899
Arturo si trasferisce con la
famiglia ad Anacapri (si era
sposato agli inizi degli anni ’890
con Giuseppina Del Giudice).
In questo periodo si dedica
esclusivamente alla pittura e
all’attività di medaglista. Ma le
frequentazioni estive con Bistolfi,
in vacanza ad Anacapri a inizio
secolo, fanno insorgere in lui una
passione per la scultura tale che,
nel 1904, egli decide di trasferirsi
a Torino per diventare
collaboratore fisso nell’atelier
dello stesso Bistolfi.
La prima opera esposta
ufficialmente nella città sabauda
è subito un capolavoro: si tratta
di un ispirato busto femminile
in marmo, intitolato Adelina
e presentato alla Società
Promotrice delle Belle Arti nel
1904. Nel 1905 esegue la medaglia
commemorativa offerta dalla
città di Casale Monferrato
al suo illustre cittadino Bistolfi,
a memoria del successo da questi
riportato alla Biennale di Venezia.
L’amicizia tra i due artisti è anche
testimoniata dal nome di
Leonarda, attribuito da Stagliano
alla sua ultimogenita, tenuta
a battesimo nel 1907 dall’amico
e maestro, che nel 1923 sarà anche
testimone di nozze della
secondogenita. Rimasto vedovo
nel 1909, si risposa con Anna
Richert nel 1917. Autore dei
monumenti a Sant’Anselmo
d’Aosta (1909) e a Giovanni
Govone ad Alba (1929, distrutto
nel 1941), esegue inoltre
i Monumenti ai Caduti di Alba
(1924), Treviso (1926), Novara
(1926) e l’Ossario ai Caduti di
Cuneo (1934). Nel 1933 partecipa
al concorso per il monumento a
Emanuele Filiberto Duca d’Aosta
a Torino. Espone alla Promotrice
delle Belle Arti di Napoli dal 1887;
alla Promotrice delle Belle Arti di
Torino dal 1904 al 1931 (con una
pausa tra il 1918 e il 1928); alle
mostre del Circolo degli Artisti
nel 1918, 1920, 1921 e 1925.
Premiato nel 1911 alla Mostra
Internazionale di Rivoli, nel 1923
espone alla Quadriennale di
Torino un Ritratto di Signora.
Alla Sindacale di Torino
del 1929 presenta il Fauno,
saggio rodiniano tra i più
rappresentativi.
Suoi bronzi sono conservati
a Torino, nella Galleria Civica
d’Arte Moderna e Contempotanea
(Il serparo e Nudo di donna)
e nella Galleria Sabauda
(Le vittorie), oltreché a Novara
(Fauno e Maternità, Galleria
d’Arte Moderna). Perfezionista
a dir poco maniacale, disegnatore
di straordinaria incisività
(ha illustrato alcune splendide
copertine in stile liberty),
Stagliano è altresì autore di
numerosi monumenti funerari
e ha realizzato raffinati arredi
con inserti in metallo, esposti
a Monza nel 1923. Verso la metà
degli anni ’930 – esasperato
dall’essere ingiustamente ritenuto
un bistolfiano fuori moda – viene
colto da un’acuta crisi depressiva,
finché il 28 febbraio 1936
si getta sotto un carrozzone
tranviario.
CESARE BISCARRA (Torino, 1866 - 1943)
C
Il naturalismo
bozzettistico
di Biscarra
si esprime
con un
particolare
garbo e con
un modellato
pronto,
riassuntivo,
vibrato
[Gruppo]
ante 1915
bronzo
49 × 50 × 40 cm
Già Collezione
Elena Falco Marisaldi
24
esare, figlio del noto pittore
Carlo Felice, studia
all’Accademia Albertina
di Torino con Odoardo Tabacchi,
e poi Giulio Monteverde.
Nel 1898 esegue, in collaborazione
con l’amico Edoardo Rubino,
alcune statue allegoriche per
La Fontana dei Mesi del Valentino,
ideata da Carlo Ceppi.
Apprezzato scultore funerario
e affermato animalier (versato in
modo particolare nell’esecuzione
di cani da caccia), è presente alle
mostre del Circolo degli Artisti
di Torino dal 1885 e alle rassegne
della Società Promotrice delle
Belle Arti della stessa città dal
1891, anno in cui presenta con
successo il gruppetto La prima
midaia. Espone a Londra e a
Bologna (L’Innominato) nel 1888,
alla Triennale dell’Accademia
di Brera nel 1894 (Una scoperta
archeologica), a Firenze (Via, via ché
tardi!) nel 1896-1897. Tra il 1899 e
il 1901 viene introdotto nell’atelier
di Bistolfi. Presenzia alla
Quadriennale di Torino nel 1902
(Ritratto e Pietà), espone a Londra
nel 1904, alla Biennale di Venezia
nel 1905 (Medina, Galleria Civica
d’Arte Moderna e Contemporanea
di Torino). Ancora a Venezia nel
1907 e nel 1910, è poi a Roma e
a Napoli nel 1921 (Soldato ferito
e Ardito), e ad Alessandria nel
1922. Nuovamente alla Biennale
di Venezia nel 1924 (Consiglio
esperto), a Roma nel 1929
(I marinai di Mogadiscio) e nel 1931
(Cammello, Elefante e Donna
somala). È autore di numerose
opere pubbliche, tra le quali
vanno ricordate il Monumento
alla Guida alpina Felice Ollier
di Courmayeur (1903), il busto di
Francesco Gallo a Fossano (1908),
il Monumento al tenente Barberis
di La Morra (1912), e ancora i
monumenti ai Caduti di Baveno,
ai Fratelli Ruffini di Taggia, a
Fraschetti di Borgosesia (1914),
ad Ascanio Sobrero di Torino
(quest’ultimo realizzato insieme
a Giorgio Ceragioli). Dal 1926
si trasferisce per alcuni anni
in Somalia, dove – nel 1928 –
realizza il Monumento ai pionieri
di Mogadiscio. Biscarra è artista
oggi assai apprezzato da un
collezionismo colto e “di nicchia”
per i suoi gruppi e per la sue
scene di genere, sempre vivaci
e ben risolte, caratterizzate
da un vibrante gusto pittorico.
Il modellato dello scultore
è contraddistinto da una
morbidezza straordinaria,
da una sorta di “flautato”
plastico declinato attraverso
infinite e sottili modulazioni
della superficie, che infondono
alla materia un dinamismo
quasi coloristico.
CELESTINO FUMAGALLI (Torino, 1864 - Milano, 1941)
F
Artista
raffinato,
Fumagalli
incarna
in modo
esemplare
il passaggio,
sovente ibrido
e graduale,
dall’estetica
scapigliata
a quella
simbolista
[Centrotavola]
ante 1910
bronzo
31,5 × 40 × 25 cm
26
iglio di un importante
argentiere (Enrico, uomo
oltremodo forte e
carismatico), Fumagalli – anche
orafo e fonditore – si dimostra
subito un cesellatore d’eccezione.
Ragazzo dal carattere dolce,
timido e morbosamente sensibile,
Celestino si forma all’Accademia
Albertina di Torino e frequenta
assiduamente l’atelier di
Leonardo Bistolfi, presso il quale
lavorerà a lungo. Qualche torinese
particolarmente attento lo ricorda
quale autore del pesantissimo
Genio alato, collocato
originariamente sulla guglia della
Mole Antonelliana, ma subito
piegato da un furioso temporale
e sostituito con la più leggera e
anonima stella. Oggi il cosiddetto
“angelone” è inserito
nell’ammirato allestimento del
Museo Nazionale del Cinema
di Torino. Fumagalli è autore,
tra l’altro, del Monumento al Beato
Cottolengo di Bra (1902) e di quello
ai caduti di Pinerolo. Espone
a Torino alle rassegne della
Promotrice delle Belle Arti dal
1890 e al Circolo degli Artisti
dal 1893; partecipa anche alla
Triennale dell’Accademia di Brera
nel 1894 (Le tre Grazie e Attentato).
Nel 1896-1897 è a Firenze, mentre
nel 1902 porta alla Quadriennale
di Torino un lavoro d’impegno:
La Carità. Importante la sua
presenza alla Biennale di Venezia,
nel 1914, quando era segretario
generale l’onorevole Antonio
Fradeletto. Importante la sua
cospicua attività nel campo della
scultura funeraria, della quale il
Cimitero Monumentale di Torino
ospita numerosi esempi, come lo
splendido altorilievo Talmone del
1907, sito all’interno del
crematorio. Nella Galleria d’Arte
Moderna di Torino è conservata
l’opera Libellula (bronzo, 1906),
vero gioiello art nouveau, di cui
esiste una strepitosa variante in
forma di centrotavola e fusa in
argento; alla Galleria d’Arte
Moderna di Milano sono custoditi
tre bronzi ascrivibili ancora
al clima dell’ultimo verismo
“scapigliato”: La lattaia, Bele caude
(ispirata venditrice di castagne
in bronzo, presentata nel 1891
alla 50a Esposizione della Società
Promotrice delle Belle Arti di
Torino) e Il guerriero. Chiudiamo
con una nota di Marco Rosci, che
osserva come Fumagalli, giusto
a cavallo tra Otto e Novecento,
fosse l’artefice che maggiormente
azzardava «ondulazioni
decorative nella massa plastica,
integrando figurazione e
basamento, puntando cioè, più
o meno consciamente, nella
direzione della statua-oggetto».
LEONARDO BISTOLFI (Casale Monferrato, 1859 - La Loggia, 1933)
S
Le figure
simboliste
di Bistolfi
sono ombre
di spettrali
crisalidi
liberty, larve
mentali
trasfigurate
da una
morbosa
sensibilità
medianica
Targa
commemorativa
per Piero Lucca
(Cerere)
1907
bronzo
34 × 53,5 × 9 cm
28
eguendo le orme del padre e
dello zio, Leonardo inizia
presto a modellare la creta e
a intagliare il legno. Il giovane,
pieno di talenti, frequenta
l’Accademia di Brera e in
particolare le lezioni dello scultore
Giosuè Argenti. Dopo essersi
trasferito a Milano, nel 1876, entra
in contatto con gli artisti della
Scapigliatura lombarda, cogliendo
con sensibilità anche le
declinazioni letterarie del
movimento. Nel 1879 giunge a
Torino, dove segue le lezioni di
Odoardo Tabacchi all’Accademia
Albertina; apre uno studio,
inaugurando la sua prima
stagione creativa, di stampo
“verista”. Abbonda subito la
committenza di opere cimiteriali
per le famiglie altolocate di
Torino. L’amico poeta Giovanni
Cena lo inizia agli ideali artisticosociali di Ruskin e Morris. Oltre
alle opere di impianto scapigliato,
come Le lavandaie (1882), lavoro
rifiutato dalla Promotrice di
Torino poiché ritenuto indecente,
o come i dinamici Contadinelli
(1888), acquistati da Umberto I di
Savoia, Leonardo si dedica anche
alla ritrattistica commemorativa,
di cui ricordiamo i busti di
Fontanesi (1883), di Umberto I
(1890), di Vittorio Emanuele II
(1897). Realizza medaglie,
partecipa a concorsi per
monumenti celebrativi e si
specializza in composizioni
funerarie pervase da sentori
preraffaelliti e simbolisti. La
grande rassegna (ventidue opere)
allestita alla Biennale di Venezia
nel 1895 segna uno dei vertici
della carriera di Bistolfi. Nel 1901
Rodin, in visita a Torino, ammira
Il Dolore confortato dalle Memorie,
superbo altorilievo sepolcrale
realizzato da Bistolfi per la
famiglia Durio. Nel 1902 lo
scultore è uno dei principali
promotori dell’Esposizione
Internazionale d’Arte Decorativa
Moderna di Torino. Nel 1905
espone alla VI Biennale di Venezia,
con una personale di grande
successo. Nello stesso anno viene
scandalosamente bocciata la sua
candidatura per la cattedra di
scultura all’Accademia Albertina
di Torino. Esegue numerosi
monumenti civili e pubblici
(si pensi al capolavoro dedicato
a Segantini: La Bellezza liberata
dalla Materia, inaugurato ad Arco
nel 1909). Nel marzo del 1908
viene ufficializzato l’incarico per
il Monumento a Carducci di
Bologna, affidatogli per “chiara
fama” e non per concorso.
Dopo la Grande guerra si ritira
a La Loggia, continuando a
lavorare e impegnandosi anche
come scrittore e critico. Viene
nominato senatore nel 1923 e
contemporaneamente è presidente
della I Biennale di Arti Decorative
di Monza, carica che terrà fino
al 1925. Il suo atelier fu una
straordinaria fucina di plasticatori:
Cometti, Alloati, Biscarra,
Santiano, Bianconi, Giribaldi,
Campese, Fantoni, Pavesi, Malfatti,
Balzardi, Stagliano, Betta, Rubino,
Contratti, Giorgis, Riva, ecc.
Una parte rilevante della
produzione di Bistolfi è custodita
nella gipsoteca a lui dedicata
a Casale Monferrato.
LEONARDO BISTOLFI
Leonardo Bistolfi, La Volontà, 1925 ca., modello in gesso
Gipsoteca Leonardo Bistolfi, Casale Monferrato
Nella pagina a fianco
La Volontà
(L’Industria)
1925 ca.,
bronzo, h. 63 cm
30
La Volontà, statua conosciuta anche col titolo L’Industria,
rappresenta in modo esemplare la parziale mutazione del
simbolismo di Bistolfi avvenuta dopo la Grande guerra e durante
i primi anni del ventennio littorio: il turgore delle forme e la
monumentalità della figura allegorica hanno un timbro diverso,
più carico e solenne, una sontuosità e un’opulenza maggiormente
accentuate. Dell’opera si conoscono alcune varianti in bronzo
e in marmo, oltre al modello in gesso donato nel 2000
dal nipote dell’artista, Andrea Bistolfi, alla gipsoteca di Casale
Monferrato. Un esemplare in bronzo fu esposto a Casale
nel 1938, in una mostra retrospettiva promossa dal banchiere
Camillo Venesio (1900-1983), fervente estimatore e promotore
dell’arte bistolfiana.
PIETRO CANONICA (Moncalieri, 1869 - Roma, 1959)
P
L’estetica
quattrocentista
di Canonica,
talora
screziata
da venature
simboliste,
si pone
come vera
alternativa
al bistolfismo
L’abisso
1910 ca.
bronzo, h. 37 cm
32
ietro entra, appena
dodicenne, all’Accademia
Albertina, per seguire i corsi
di Enrico Gamba e Odoardo
Tabacchi. Il ragazzino è dotato,
quasi in egual misura, anche di
talento musicale. Già nel 1884
collabora con Tabacchi alla tomba
Sineo per il cimitero di Torino e
nel 1885, aperto uno studio
proprio, riceve la commissione
di quattro grandi statue in gesso
per la chiesa di S. Lorenzo di
Villanova (Mondovì). L’esordio
ufficiale, datato 1886, avviene alla
Promotrice delle Belle Arti;
comincia a ottenere i primi
successi di critica con i piccoli
bronzi dell’Orfanella (per la tomba
Bongiovanni nel cimitero di
Mondovì), di Ruth (1889, esposto
al Circolo degli Artisti di Torino
e acquistato dal re Umberto I)
e di Dopo il voto (1889, acquistato
dalla Galleria Civica di Torino e
poi tradotto in marmo, esposto
e premiato con menzione
onorevole di primo grado al Salon
di Parigi del 1893, dove viene
comprato dal grande mercante
Adolphe Goupil). Egli parteciperà
assiduamente alle mostre della
Promotrice torinese, mentre dal
1888 esporrà regolarmente al
Circolo degli Artisti. I viaggi
continui e i trionfi espositivi in
Europa fanno di Canonica uno
degli scultori più ricercati da
nobildonne, principesse e regine,
come testimoniano i numerosi
ritratti realizzati dallo scultore con
superlativa eleganza; su tutti
spiccano la Regina Madre d’Italia,
la Regina Alessandra d’Inghilterra,
Donna Franca Florio, la Contessa
von Sierstorpf, la Principessa Doria,
l’attrice Lyda Borelli. Nel decennio
che va dal 1904 al 1914, l’artista
riceve una serie di importanti
commissioni per ritratti e
monumenti dall’aristocrazia e
dalla corte di Russia, dei quali
restano diversi bozzetti e alcuni
modelli in gesso.
Nel 1907 esegue un grande
marmo simbolista intitolato
L’abisso, di cui esistono delle
varianti posteriori sempre
in marmo e in bronzo (almeno
di due differenti misure). La sua
produzione si distingue altresì
per importanti monumenti
celebrativi, funerari e per ispirate
opere a carattere religioso.
Durante il periodo della Seconda
Guerra Mondiale, Canonica
riprende l’attività di musicista
e compositore. Gli ultimi
quarant’anni sono caratterizzati
da un certo ripiegamento dello
scultore su posizioni di prestigio
personale tenacemente
conquistate. Realizza, ancora,
importanti lavori monumentali
a livello nazionale e, soprattutto,
internazionale. Tra questi
ricordiamo: il Monumento alla
Repubblica turca sulla piazza
Taxim di Istanbul (1928), le statue
equestri di Kemal Ataturk
ad Ankara e a Smirne (1931),
di Re Feisal a Bagdad (distrutta
durante la rivoluzione del 1958),
di Ismail Kedivé ad Alessandria
d’Egitto (1929) e i monumenti a
Figueroa Alcorta a Buenos Aires
(1935). Gran parte della sua
produzione è conservata al Museo
Pietro Canonica di Roma, a Villa
Borghese.
GAETANO CELLINI (Ravenna, 1875 - Torino, 1957)
R
La plastica
di questo
artista
sofisticato
e dalle vaste
implicazioni
letterarie
crea sovente
figure
enigmatiche,
piene
di laconico
mistero
[Figura femminile]
ante 1915
bronzo, , h. 50 cm
34
imasto presto orfano,
Gaetano frequenta le
botteghe del marmista
Stefano Furati e dello scultore
Attilio Maltoni. Successivamente
riesce a iscriversi all’Accademia
di Belle Arti di Ravenna, dove è
allievo di Alessandro Massarenti
e Arturo Moradei. L’amore per
la figurazione cammina di pari
passo con quello per la musica,
sicché Cellini ha l’opportunità
di trasferirsi a Torino, dove entra
nell’orchestra del Teatro Regio,
ricoprendo prima il posto di terzo,
poi quello di secondo trombone.
Nella città sabauda, lavora
inizialmente all’interno dello
studio di Luigi Contratti,
e successivamente – come
sbozzatore – nello studio di Pietro
Canonica. Il giovane, per la sua
velocità nel lavorare il marmo,
impressiona il maestro. Poco
incline a ricevere ordini, si crea
subito un proprio atelier; qui si
avvale sostanzialmente dell’aiuto
di tre allievi: Borelli, Audagna
e Petri. L’artista presenzia alle
rassegne della Promotrice delle
Belle Arti di Torino dal 1900; alla
Quadriennale della stessa città,
nel 1902, propone una testa in
marmo, intitolata Biricchina.
Nel 1908 espone Vinta (ora presso
la Galleria d’Arte Moderna di
Torino) e L’umanità contro il male,
già presentata e premiata a
Milano nel 1906 e riproposta poi
a Buenos Aires nel 1910. In
seguito, per questa scultura,
riceve dal Ministero della
Pubblica Istruzione l’incarico di
tradurla in marmo per collocarla
alla Galleria Nazionale d’Arte
Moderna di Roma. Già dal 1909 è
Socio Accademico dell’Accademia
di Belle Arti di Ravenna e
dal 1910 di quella di Milano.
Nel 1911 è nella capitale, con
Crepuscolo di un sogno. Tra le varie
partecipazioni è bene menzionare
ancora quelle alla Biennale di
Venezia: nel 1909 (Il Giglio e
Riflessioni), nel 1910 e nel 1912.
Nel medesimo anno esegue
il Monumento a monsignor
Manacorda, a Fossano.
Stimato professore di disegno
all’Accademia Albertina, nel 1920
si aggiudica la gara per il
Monumento a San Giovanni Bosco.
Dal sodalizio con i Padri Salesiani
ottiene, inoltre, l’incarico di
scolpire una statua del Santo
per la città spagnola di Cadice.
A Biella, questa volta per la
Chiesa di San Giovanni Battista,
l’Opera Pia Laicale gli
commissiona le formelle in
bronzo che illustrano i passaggi
fondamentali della vita del
Battista. Nel 1921 lo scultore torna
a Roma (Testa, bronzo) e nel 1922,
invece, concepisce il monumento
ai caduti di Carmagnola.
Nel 1924, a Monaco di Baviera,
vince la medaglia d’oro con due
maturi capolavori: L’umiltà
e Il tormento. Nel 1925 è
proclamato Accademico di San
Luca e nel 1930 membro della
Congregazione dei Virtuosi
del Pantheon di Roma.
Nello stesso anno realizza
il monumento ai caduti per la
attuale Piazza Primo Maggio
di Asti, città per la quale modella
diversi busti celebrativi da
collocarsi nei giardini pubblici.
MICHELANGELO MONTI (Milano, 1875 - Torino, 1946)
P
Monti
ama stupire
e spiazzare
l’osservatore
forzando
il baricentro
delle sue
sculture
fino ai limiti
della stabilità
Sigfrido
1913
bronzo, h. 88 cm
36
rimogenito di dieci figli,
nato da Giovanni Monti
(noto maestro di scherma
originario di Casamicciola) e della
milanese Celeste Bezzi,
Michelangelo studia inizialmente
all’Accademia di Brera sotto la
guida di Barzaghi, Butti e
Bazzaro. Trasferitosi a Torino, nel
1896 si iscrive all’Accademia
Albertina per seguire i corsi di
Odoardo Tabacchi. Frequenta
anche l’atelier di Bistolfi,
mantenendo però sempre una
certa autonomia stilistica. Dopo
un’occasionale presenza d’esordio
alla Triennale di Milano del 1894
(Durante l’ammonizione), dal 1898
espone con continuità nelle
rassegne annuali e nelle
Quadriennali della Promotrice
delle Belle Arti di Torino (La
trottola, Nessun maggior dolore che
ricordarsi del tempo felice) e, dal
1909, nelle mostre del Circolo
degli Artisti della stessa città. Nel
1911 lo troviamo a Rivoli; a Roma
nel 1921 alla prima Biennale
(L’aquila) e a Napoli (Mostra
Nazionale d’Arte dei GrigioVerdi); nel 1923 ancora a Roma
(Gioventù); nel 1936 e nel 1939 a
Sanremo (Giocatrice di tamburello).
Autore di busti, ritratti,
monumenti funerari e di eleganti
statuette femminili, nel 1910
Monti partecipa con poca fortuna
al concorso per il Monumento a
Vincenzo Vela di Torino; nel 1911,
in occasione dell’Esposizione
Internazionale delle Industrie e
del Lavoro di Torino, l’artista
esegue un gruppo decorativo per
il palazzo della musica; nel 1912
porta a termine le statue colossali
per il Palazzo della Borsa di
Genova e realizza la targa
commemorativa del professor
Arullini per il Liceo Govone di
Alba. Nel 1913 presenta il bronzo
Sigfrido al Circolo degli Artisti;
l’opera, che sarà riproposta nel
1921 alla già citata Mostra
Nazionale dei Grigio-Verdi di
Napoli, ritrae il cantante emiliano
Giuseppe Borgatti (1871-1950),
al tempo uno nostri dei pochi veri
tenori wagneriani, interprete
di Sigfrido in prima esecuzione
italiana nel 1899 al Teatro alla
Scala di Milano, sotto la direzione
di Toscanini.
Di Monti ricordiamo il
monumento agli Alpini di
Cuneo (1923) e quelli ai Caduti
di San Maurizio Canavese,
Momo, Castellamonte (1923),
Corio Canavese (1923),
Pomponesco (1925) e San
Francesco al Campo (1925).
Nel 1927 esegue il Busto
del Conte di Sambuy per i giardini
pubblici della stazione a Torino
e nel 1936 il Busto di Matteo
Olivero per il municipio di
Saluzzo. Nella Galleria d’Arte
Moderna di Torino è custodita
l’opera Ritmo di danza antica,
già esposta nella città sabauda
nel 1915, mentre le collezioni
del Quirinale sfoggiano i bronzi
Arabo e Riposo. Ostacolato in vita
da un malcelato sentimento
antifascista (oltreché da quello
addirittura ostentato del fratello
musicista), Monti ha scontato
un lungo e ingiusto oblio, con
la pressoché unica eccezione
dell’approfondito studio
sistematico di Alfonso Panzetta.
CÉSAR SANTIANO (Buenos Aires, 1886 - Torino, 1919)
C
Sospese
tra realismo
e simbolismo,
le opere
di Santiano
hanno
un insolito
“sound”
argentino,
un’humanitas
tutta
sudamericana
Nudo [Elena
Makowska]
1916
bronzo
19,5 × 52,5 × 25,5 cm
38
ésar, privato di ogni risorsa
finanziaria, comincia subito
a lavorare come
scalpellino. Fisicamente dotato, si
dedica anche ai “giuochi
ginnastici”, diventando in breve
maestro di esercizi fisici, nonché
lottatore di grido; trova anche
impiego in un circo di Buenos
Aires come jongleur de force. Nel
poco tempo libero coltiva la
vocazione artistica e studia
disegno sotto la guida dell’italiano
Marino Picchioni. In una sera di
trionfo, dopo una lotta, Santiano
incontra un genovese trapiantato
a Buenos Aires, Giovanni
Barbagelata, che lo vuole in casa
per insegnare ginnastica al figlio.
Barbagelata gli offre poi una
pensione di sei mesi, perché possa
preparare la sua prima opera.
Nasce così il Gladiador herido
(1908), un marmo di quasi due
metri (realizzato in quattro mesi),
che viene acquistato dalla città di
Buenos Aires per interessamento
del dottor Alvear. Mentre lo
scultore si trova sotto le armi,
viene bandito il concorso per il
monumento al generale Mitre di
Mar del Plata; la commissione,
incantata dal rapido progetto di
Santiano, lo proclama vincitore.
Subito dopo è bandita la gara
per un monumento in onore
del presidente Rivadavia e
il suo bozzetto si classifica primo,
all’unanimità. Il governo
argentino spinge la Camera a
votare una borsa di studio per i
meriti dell’artista; questi rifiuta
bizzarramente l’offerta. Decide
dunque di partire alla volta
dell’Italia. Inizialmente si ferma a
Napoli, città dove in breve tempo
completa la sua formazione
intellettuale. Dopo la breve
parentesi partenopea raggiunge
Torino con la moglie, nel 1909,
attratto dal rinomato atelier di
Bistolfi. Nel frattempo esegue i
busti delle più note personalità
della sua terra residenti in
Europa. Autore di monumenti
funerari (notevole quello per la
famiglia Mosca-Solavaggione, nel
Cimitero Monumentale di Torino),
ritratti, nudi e opere di genere,
espone alla Promotrice delle Belle
Arti di Torino dal 1910.
Alla grande Esposizione
Internazionale d’Arte, tenutasi a
Roma nel 1911, presenta il gruppo
Sub lumine solis fiat, opera che
divide pubblico e critica.
Nel 1912 realizza il grande
marmo intitolato El hombre
y sus pasiones. Nel 1913 è la volta
del potente Forza e materia,
acquistato dal mecenate Giovanni
Ambrosetti. Nel 1915 la diva
Elena Makowska (Helena
Woyniewicz), cantante lirica
e attrice del muto di origini
polacche, arriva a Torino
per lavorare con la società
cinematografica Ambrosio.
César, innamoratosi
perdutamente, la elegge sua
musa d’eccezione. Lo scultore
si toglie la vita appena
trentatreenne, lasciando sola
e disperata la madre, Eugenia
Lafalce. Tra i suoi ritratti migliori
è ricordato il busto della poetessa
alsaziana Silva Romani. Nella
Galleria d’Arte Moderna di
Milano si conserva il ritratto in
bronzo di Maria Sinopoli (1917).
CÉSAR SANTIANO
César Santiano, Forza e materia, esemplare
in bronzo di un modello piccolo
Nella pagina a fianco
Forza e materia
1918
bronzo, h. 47 cm
40
César Santiano, Forza e materia, 1913 ca., marmo.
Collezione privata
Nel 1913 il modello di Forza e materia era già sicuramente
terminato nello studio dello scultore. L’opera, in un primo
tempo concepita come statua per fontana, prendeva spunto
dall’omonimo saggio del medico e filosofo tedesco
Ludwig Büchner (1824-1899); con il suo capolavoro del 1855,
Kraft und Stoff. Empirisch-naturphilosophische Studien, Büchner
divenne uno dei maggiori esponenti del materialismo
evoluzionistico. Questa scultura di Santiano è fondamentale
per capire fino in fondo l’inclinazione filosofica e drammatica
del “titanismo” plastico che contraddistingue la migliore
produzione simbolista dell’artista argentino.
GIORGIO CERAGIOLI (Porto Santo Stefano, 1861 - Torino, 1947)
D
La scultura
di Ceragioli
risolve
in modo
sereno
e pacificato
l’eterno
conflitto
tra arti
“decorative”
e arti
“maggiori”
[Lanciatore]
1925 ca.
bronzo, h. 35 cm
42
i famiglia fiorentina,
Giorgio manifesta una
precoce predisposizione
per l’arte (si rivelerà eccellente
pastellista, pittore di qualità,
medaglista assai ricercato e autore
di pregevolissimi lavori di arte
decorativa). Allievo dei Padri
Scolopi a Firenze, appena
undicenne – all’uscita da scuola –
consegna la cartella al fratello
e si precipita nello studio dello
scultore Ulisse Cambi.
A diciotto anni è volontario
nell’esercito e vi presterà servizio
per nove anni, come tenente dei
bersaglieri. Successivamente si
trasferisce a Torino, diventando
allievo del pittore Jeni e
dell’illustre scenografo Augusto
Ferri. Partecipa alle rassegne
della Promotrice delle Belle Arti
di Torino dal 1878. La sua prima
affermazione artistica risale al
1886, quando, in occasione del
cinquantenario delle gloriose
“fiamme cremisi”, è incaricato di
realizzare un Bersagliere alla carica,
poi conservato nell’Armeria Reale
di Torino. Nel 1889 si sposa con
Clementina Ferri. Importante, fra
le prime commissioni, quella del
centrotavola regale per le nozze
fra Re Umberto e la Regina
Margherita, avvenute nel 1892,
anno in cui l’artista decora il
Palazzo Marsaglia di Milano.
L’anno seguente decora, invece,
la Villa Marsaglia di Sanremo.
Nel 1898 modella il suo celebre
alpino Di qui non si passa,
successivamente fuso in bronzo.
Nel 1904 gli è affidata l’esecuzione
della parte ornamentale del Teatro
Regio di Torino e coopera con
Giacomo Grosso alla decorazione
figurale per il soffitto dello stesso
teatro. A Bruxelles, nel 1910,
presenta il suo Diorama del
Padiglione del Belgio per
l’Esposizione Internazionale di
Torino del 1911, insieme alla
scultura La sorgente (per questa,
già esposta a Monaco di Baviera
nel 1909, gli verrà assegnato il
diploma d’onore e per il Diorama
la medaglia d’oro).
La sorgente sarà pure ammirata
all’Esposizione Internazionale
del Centenario Argentino
a Buenos Aires.
Nel 1911 organizza e decora
il Palazzo della Moda
all’Esposizione Internazionale
di Torino, ottenendo il diploma
di alta benemerenza.
Presenzia alle Biennali di Venezia
dal 1907 al 1912. Nel 1914 esegue
il Monumento ad Ascanio Sobrero,
in collaborazione con Cesare
Biscarra. Nel 1921 è a Napoli
con La poesia lirica e a Roma con
una suggestiva Medusa; nel 1922,
ad Alessandria, porta Risveglio
primaverile e L’invito; nel 1927
è a Firenze, con Rinascita
primaverile.
Il suo bronzo di maggiori
proporzioni e impegno resta
il grande altorilievo in memoria
dei Bersaglieri caduti nella
Grande Guerra, concepito per la
facciata della Caserma Monte
Grappa e inaugurato
solennemente nel 1923; nel 1936,
in occasione del centenario del
corpo militare, l’opera è stata
traslata definitivamente
in un’aiuola del giardino
Lamarmora di Torino.
GIACOMO GIORGIS (Peveragno, 1887 - Torino, 1959)
U
Allievo
di Rodin
a Parigi
e di Bistolfi
a Torino,
Giorgis
recide
il cordone
ombelicale
con i due
maestri
dopo
la Grande
guerra
La vedetta
ante 1925
gesso, h. 46 cm
44
nico fra gli scultori
piemontesi della sua
generazione, insieme a
Giovanni Battista Alloati, Giorgis
non si è limitato a sentire per vie
indirette l’influsso prepotente
di Rodin: la prima formazione di
Giacomo, infatti, avviene proprio
a Parigi, dove studia per tre anni
all’École Nationale Supérieure des
Beaux-Arts, guidato dal genio
francese. Ritornato in patria, si
iscrive all’Accademia Albertina
e nel 1908 risulta nell’atelier di
Bistolfi, a fianco del quale starà
fino al 1933, anno della morte di
quest’ultimo. È la mano di Giorgis
che porta a termine il Monumento
a Guido Gozzano di Agliè
Canavese, iniziato da Bistolfi.
Dal 1909 espone ininterrottamente
alle rassegne della Promotrice
delle Belle Arti di Torino e, tra
il 1920 e il 1948, presenzia a otto
Biennali di Venezia (1920, 1924,
1926, 1928, 1930, 1936, 1940, 1948).
Alla Fiorentina Primaverile del
1922 porta un Pastore in bronzo
e i gessi Il lavoro e La vecchietta del
dolore; alla Quadriennale di Torino
del 1923 espone invece un marmo:
Torso di donna. Delle numerose
opere pubbliche celebrative
vogliamo ricordare il Bassorilievo
commemorativo ai Ferrovieri caduti
nella prima guerra mondiale (1923),
aggiudicato per concorso e
collocato nella stazione di Porta
Nuova, a Torino; il Monumento
a Edmondo De Amicis di Oneglia
(1926) e quelli ai caduti di Angera,
Forno Canavese, Piacenza e
Casalpusterlengo. Nel 1926
partecipa, con un sensuoso Nudino
e con un Busto di donna, alla Prima
Esposizione Provinciale di Belle
Arti di Cuneo; nel 1931 è poi la
volta della Prima Quadriennale
Nazionale romana. Alla
Quadriennale si ripeterà nel 1935
(San Girolamo e L’agguato).
Di nuovo a Cuneo, nel 1937,
con una messe di lavori (Risveglio,
Pubertà, Piccola bagnante e altre
sculture). Assiduamente dedito
alla scultura cimiteriale,
realizza complessi bassorilievi
e monumenti funebri di un
bistolfismo a volte morboso,
collocati a Torino, Cuneo, Firenze,
Roma e Napoli. Sono molte le
esposizioni – non solo personali –
che annoverano il nome di
Giorgis, organizzate in diverse
città, tra cui ovviamente Torino
e Cuneo, ma anche Napoli
(Beethoven, Affetto dominante,
La danza, 1921) e Parigi; la mostra
più organica e di maggior respiro
è, però, considerata l’antologica
torinese del 1949. «Le opere
eseguite tra il 1908 e il 1933 – nota
bene Panzetta – risentono
dell’influenza e dell’evoluzione
artistica di Leonardo Bistolfi,
mentre in seguito l’artista tende
ad opere dalla plastica più
monumentale e sintetica che
risentono in parte dell’estetica
di regime».
ANGELO BALZARDI (Locasca - Valle Antrona, 1892 - Torino, 1974)
B
Devoto
alle forme
rinascimentali,
Balzardi
trova la sua
vena migliore
nel realismo
sociale
della seconda
metà degli
anni Venti
Contadino
piemontese
1927
bronzo, h. 36 cm
46
alzardi studia all’Accademia
Albertina di Torino per ben
due volte (nell’anteguerra e
nel periodo postbellico),
formandosi sotto la guida del
classicista Cesare Zocchi. Mentre
Angelo frequenta l’ultimo anno
all’Accademia Albertina, Bistolfi,
che non lo conosce, gli assegna –
su oltre trenta concorrenti
provenienti da ogni parte d’Italia
– il primo posto nel concorso per
il Monumento ai Caduti di
Domodossola; siamo nel gennaio
del 1922, ma il bozzetto (ancora
contraddistinto da un sofisticato
linguaggio simbolista) sarà
tradotto solo nel 1926. Il
raggiungimento di una piena
maturità stilistica si estrinseca
pienamente nella forte testa di
Contadino piemontese, già esposta a
Firenze nel 1927 e poi acquistata
dalla Confederazione degli Artisti
nel 1930, per la costituenda
Galleria d’Arte Moderna di Roma.
Nell’analoga direzione di un
robusto e moderno realismo
sociale non va dimenticata la
figura de II possidente, cui nel 1933
viene assegnato il Premio
Raymond dalla Galleria Civica di
Torino. Fra le opere celebrative,
dopo il monumento di
Domodossola, bisogna ricordare
ancora il bozzetto per il
Monumento al Legionario
Fiumano, nonché il Monumento ai
Caduti del 92o Reggimento
Fanteria, donato dal Principe di
Piemonte al reggimento stesso nel
1934. Balzardi partecipa, per
invito, alle Biennali di Venezia del
1934 (Sonno, opera insignita del
Premio Po e acquistata dalla
Galleria Civica di Torino) e del
1936 (Nudo di donna con libro). Nel
1938 realizza la parte
architettonica e plastica del
Sacrario ai Caduti di Alessandria.
Suo è anche il Monumento ai
Caduti di Costigliole d’Asti. Tiene
la cattedra di plastica ornamentale
all’Accademia Albertina fino al
1964, insegnamento ottenuto
tramite il concorso nazionale del
1948. Espone nel 1960 e nel 1964
alla Quadriennale di Roma. A
questo periodo risale il
Monumento al Fante di Torino,
sito nel piazzale Duca d’Aosta,
costruito in occasione
dell’esposizione Italia ’61 e
inaugurato alla presenza di Aldo
Moro. Nel 1962, Balzardi viene
invitato al premio del Fiorino di
Firenze. Tra le statue dell’ultimo
periodo spicca la Madonna con
Gesù benedicente, esposta alla
Società Promotrice delle Belle Arti
di Torino. Cospicua e significativa
la produzione di opere funerarie
al Cimitero Monumentale di
Torino (famiglie Stramignoni,
Manenti, Fiorito, De Coster, Pinto,
Angelini, Buscaglione, Ghiberla,
Berto, Gromo, Petrazzini, Pestelli,
Cuttica, ecc.); altri monumenti si
trovano nei cimiteri di
Domodossola, Villadossola,
Chieri, Sassi, Condove,
Como…Numerose sculture di
Balzardi sono conservate in musei
e in importanti collezioni private
in Italia e all’estero.
EUGENIO BARONI (Taranto, 1880 - Genova 1935)
V
Le tensioni,
le geniali
forzature
e le alterazioni
delle forme
fanno
di Baroni
uno degli
artisti italiani
più originali
del suo tempo
Alpino
ante 1935
bronzo, h. 66 cm
48
enuto alla luce in Puglia da
genitori lombardi, Eugenio
arriva in Liguria l’anno
stesso della nascita. A Genova si
iscrive alla facoltà di ingegneria
navale, che abbandona dopo due
anni per passare all’Accademia
Ligustica, dove studia dal 1900
al 1905, frequentando
contemporaneamente lo studio
di Giovanni Scanzi. Espone dal
1901 alla Promotrice genovese;
nel 1905 alla Società di Belle Arti
di Roma; nel 1906 all’Esposizione
del Sempione a Milano; nel 1908
a Roma alla mostra della Società
Amatori e Cultori di Belle Arti
(Uomo che pensa, già esposto
a Genova nel 1907). Il 18 aprile
1909 viene inaugurato ad Acqui
Terme il suo Monumento a
Giacomo Bove e, sempre nel 1909,
espone al Salon d’Automne di
Parigi (ancora Uomo che pensa,
La donna del serpente, Fidanzamento,
Adolescente), riscuotendo gli
elogi di Rodin che lo propone
come membro del Salon.
Nel 1912 è alla Biennale di
Venezia (con quattro sculture
della serie degli Erotici) e nello
stesso anno entra nel Collegio
dei Professori Accademici della
Ligustica di Genova. Il 5 maggio
1915 inaugura (con l’intervento
di Gabriele d’Annunzio) il
Monumento ai Mille, a Quarto.
Questo lavoro risente ancora del
gusto di Bistolfi, di cui Baroni
era inizialmente seguace, andando
poi ad avvertire più l’influenza
di Rodin e Meunier. Nel 1919
espone alla Promotrice di Torino
il gesso della Tomba Doria,
realizzata nel 1915 per il cimitero
di La Spezia. Nel 1920 partecipa
al concorso di primo grado per
il Monumento al Fante ed
è ammesso al secondo grado;
i bozzetti dei cinque finalisti sono
esposti a Roma nel 1921, ma la
giuria non nomina un vincitore:
dopo annose polemiche,
nel 1923, Mussolini dichiara
che il monumento non si farà.
Baroni s’indigna e rispedisce
al Ministero le medaglie
guadagnate in guerra. Dal 1923
partecipa alle Biennali di Arte
Decorativa di Monza; nel 1926
ha una sala personale alla
Biennale di Venezia, dove esporrà
anche nel 1928, nel 1930, nel 1932
e nel 1934. Vincitore nel 1931
della medaglia d’oro del
Ministero della Guerra alla mostra
degli Artisti Combattenti a
Milano, autore di personalissime
opere funerarie, Baroni – negli
ultimi anni della sua breve vita –
espone ancora: nel 1933, a Firenze,
alla prima mostra del Sindacato
Nazionale Fascista di Belle Arti e,
nel 1934, alla Sindacale Genovese
e alla Sindacale di La Spezia.
Nel 1933 aveva partecipato al
concorso di primo grado per
il Monumento al Duca d’Aosta
di Torino ed era stato ammesso
al secondo grado, conclusosi nel
1934, con l’invito (per lui e per
Arturo Martini) a presentarsi
a una terza gara, vinta da Baroni
nell’aprile 1935. Suoi lavori sono
conservati nelle gallerie d’Arte
Moderna di Milano, Torino,
Genova, Novara, nel Museo
Civico di Acqui Terme e
nell’Accademia Ligustica
di Genova.
VIRGILIO AUDAGNA (Cannes, 1903 - Menton, 1993)
D
Il classicismo
congenito
di Audagna,
alle soglie
degli anni
Trenta,
si contamina
con la lezione
moderna
di Arturo
Martini
[Nudo]
1930 ca.
bronzo, h. 28 cm
50
opo la formazione
istituzionale, avvenuta
all’Accademia Albertina,
Virgilio si perfeziona nella
lavorazione del marmo e nella
pratica del cesello, sotto la guida
di Gaetano Cellini. Nel 1919 apre
lo studio a Torino e si afferma
alla Quadriennale d’Arte con una
Testa di bimbo, subito acquistata da
Vittorio Emanuele III. A vent’anni
si trasferisce a Roma, dove viene
destinato al Ministero della
Guerra; qui posa per lui Armando
Diaz, Duca della Vittoria.
In questo periodo esegue anche
alcune targhe e medaglioni per
il Museo dei Granatieri di Roma
e di La Spezia. Il primo
monumento di Audagna, dedicato
ai Caduti di Avigliana, viene
inaugurato nel 1927. L’anno
successivo vince il concorso per
le statue e le decorazioni del
Nuovo Teatro di Vercelli.
Il 1930 lo vede ancora vincitore,
questa volta in gara ad
Alessandria per la statua del Foro
Italico di Roma. Dopo quattro
anni è di nuovo successo
nazionale, a Torino: si tratta
del monumento dedicato allo
psichiatra Antonio Marro.
Nel 1937 Virgilio parte per un
viaggio di studi che toccherà la
Svizzera, l’Austria, la Germania
e la Francia. Nel 1938, la Chiesa
della S. Annunziata di Torino
onora Audagna accogliendo una
sua Via Crucis in marmo. Nel
1941, invece, l’artista si dedica
a un’immensa icona marmorea
e a una serie di altari per la Chiesa
Madre della Pia Società S. Paolo
di Alba: questa risulterà essere
la più colossale opera statuaria
italiana del secolo (pesante ben
450 tonnellate, verrà terminata
solo nel 1974). Per il Santuario
di Oropa produce tutte le sculture
in marmo e in bronzo, raffiguranti
scene e grandi figure ispirate
al Vecchio e Nuovo Testamento.
Nel 1945, con una personale
dello scultore, inaugura la nuova
Galleria Fogliato. Viene così
pubblicata la prima monografia
su Audagna, che, nel luglio del
1947, parte per l’Africa.
Il governo africano gli ordina
un dono in oro per la regina
Elisabetta, dono che verrà portato
dal generale Smith alla Corte
di S. Giacomo, per le nozze regali.
Tornato in Italia si dedica alla
ceramica: prima a Camporosso
(1949), poi ad Albisola (1952).
Nel 1954 progetta ed esegue la
Fontana Luminosa di Imperia, che
viene collocata in piazza Dante;
è suo pure il monumento
ai caduti della stessa città.
Nel 1957 modella la statua
di Santo Stefano (poi fusa in
argento) per la cattedrale di Biella.
Al Piccolo San Bernardo, nel 1960,
viene collocato il suo Monumento
all’Abate Chanoux. È del 1961
il Monumento a San Cafasso
di Torino (in corso Valdocco),
mentre l’anno successivo
Audagna si dedica alla porta
monumentale in bronzo
del Santuario di Oropa.
Da ricordare, ancora, la testa
del compositore Franco Alfano,
plasticata per il Conservatorio
di Torino e replicata nel 1976
per il giardino Marsaglia
di Sanremo.
VIRGILIO AUDAGNA
Giovanni Battista Alloati, Crociato moderno
Nella pagina a fianco
[Scalatore]
1935 ca.
bronzo, h. 37 cm
52
Giovanni Battista Alloati, Il Conquistatore delle Alpi
ROBERTO TERRACINI (Torino, 1900 - 1976)
R
La personale
ricerca
del “vero”
di Terracini
crea un ponte
ideale tra
la scultura
classica e la
plastica del
Quattrocento
padano
Ritratto di Anna
Pasinato
1936
terracotta,
h. 30 cm
54
oberto resta orfano del
padre a soli nove anni e la
sua famiglia si trova in
condizioni economiche precarie.
Nel 1914, concluse le scuole
tecniche, entra come garzone
nello studio di Giovanni Battista
Alloati. In seguito accede
all’Accademia Albertina, dove è
allievo di Cesare Zocchi e di Luigi
Contratti. Nel 1918 soggiorna a
Firenze e poi a Roma (1920-1921),
per frequentare la British
Academy of Arts. Nel 1921
realizza, in collaborazione con
Gerolamo Pavesi, il Monumento
al Marinaio di Nervi (distrutto).
Partecipa alle mostre collettive
della Promotrice delle Belle Arti
di Torino, degli Amici dell’Arte
e alle Quadriennali di Roma.
Nel 1930 porta a compimento la
robusta Fontana della Vittoria di
Loano, fusa dal cavaliere Riva.
Nel 1934 è presente alla Biennale
di Venezia con due opere: Lola
nuda e Mariuccia al mare; nel 1936
prende ancora parte alla stessa
Biennale con Gli amanti, Ragazza al
sole e Mattino. Il 29 giugno 1938
sposa Adele Böhm. Dall’ottobre
1938 al maggio 1945, a causa
dell’incipiente campagna
antisemita, le opere di Terracini
non potranno partecipare ad
alcuna esposizione pubblica.
In seguito ai bombardamenti
su Torino, fra il 1941 e il 1942,
l’artista sfolla a Luserna San
Giovanni, in Val Pellice.
Il 13 luglio 1943 il suo studio di
piazza Fontanesi è raso al suolo
dalle bombe. Per l’inasprirsi delle
persecuzioni razziste, si rifugia
con i familiari a Rorà, sempre
in Val Pellice, dal dicembre
del 1943 all’aprile del 1945.
Qui, coperto dal cognome
Ferraguti, entra in contatto con
le bande partigiane della 105ª
Brigata Garibaldi-Pisacane.
Con la fine della guerra riprende
l’attività a Torino, tornando
a esporre alla Promotrice, al
Circolo degli Artisti e al Piemonte
Artistico Culturale. Nel 1946
riapre un atelier, in corso Duca
degli Abruzzi 14, che terrà fino
al 1961. Nel 1948, su incarico
della cittadinanza di Dogliani,
esegue un portacarte in argento
e oro, dono per il presidente
Einaudi. Dal 1952 si dedica
attivamente all’insegnamento,
prima in istituti statali d’arte,
poi al Liceo Artistico
dell’Accademia Albertina di
Torino, dove rimarrà fino al 1973.
Nel 1954 la Società Promotrice
delle Belle Arti gli dedica una
mostra personale. Nel 1955
lo scultore allestisce, insieme
all’architetto Albertini, la
Cappella ai Caduti, presso
l’istituto San Giuseppe di Torino.
Nel 1956, invece, partecipa al
concorso per il Monumento ai
Caduti sul Lavoro per piazza
Statuto a Torino (non eseguito).
Per l’Esposizione di Italia ’61
esegue i due bassorilievi fonici
del boccascena del Teatro Nuovo;
inaugura il nuovo studio di via
Magenta e realizza diverse opere
per la Villa settecentesca del
Gerbido di Grugliasco.
Nel 1968 si aggiudica la gara
per la nuova sede INPS
di Bologna, con sei pannelli
in bronzo traforato.
ROBERTO TERRACINI
Roberto Terracini, Bimba sullo scoglio, gesso, 1957.
Foto archivio eredi Terracini
Nella pagina a fianco
[Figura
femminile]
1947
bronzo, h. 66 cm
56
Come ideale commento a questa inedita figura femminile, molto ben composta
e magnificamente fusa, ci paiono perfette le parole di Eva Romanin-Jacur, quando – giusto
a proposito di Terracini – parla della «necessità di una linea che non si interrompa mai, che
chiuda se stessa, che sia il confine naturale dei volumi, diversa e misteriosamente uguale da
ogni angolo spaziale la si voglia osservare». È proprio questa linea a determinare la straordinaria
coerenza plastica dell’artista: come una costante. Come un fil rouge necessario, legame
indissolubile tra l’anima e il corpo di un’arte, appunto, sempre diversa e misteriosamente uguale.
ANGELO SAGLIETTI (Saluzzo, 1913 - Torino, 1979)
A
L’arte
di Saglietti
coniuga
la robustezza
di una solida
formazione
accademica
a un lirico
intimismo,
insieme lieve
e profondo
Testa d’uomo
(Ritratto)
1938
terracotta, h. 25 cm
58
ngelo studiò con il toscano
Griselli e con il calabrese
Baglioni, entrambi docenti
all’Accademia Albertina di Belle
Arti di Torino, che dal 1933 al
1937 ebbe in Saglietti uno degli
allievi più promettenti della sua
generazione.
Ai Prelittoriali torinesi del 1937
ottenne il primo premio con un
Vogatore ed espose nello stesso
anno un ritratto alla mostra
sindacale, facendosi notare
concordemente dalla critica come
uno «tra i migliori dell’ultima
covata accademica» (Enrico
Paulucci, 1937).
Nel 1938 gli scultori Castellana
e Guerrisi gli conferirono
il premio del Sindacato
Interprovinciale Fascista per
l’opera Vecchio pescatore.
Dal 1939 al 1941 il giovane artista
ricoprì la carica di assistente
del conte Alberto Cibrario
alla cattedra di anatomia
dell’Accademia Albertina e del
liceo artistico a essa annesso.
Nel 1939 partecipò
all’organizzazione del concorso
per la realizzazione di due statue
allegoriche da collocarsi sugli
scamilli della gradinata d’accesso
al piano rialzato del Regio Istituto
Tecnico Commerciale di Bra,
concorso vinto dallo scultore
argentino Ettore Tinto.
Nel 1940 un suo Ritratto fu
nuovamente premiato dal
Sindacato Interprovinciale
Fascista; nell’aprile dello stesso
anno, ai Littoriali Nazionali della
Cultura e dell’Arte di Bologna,
Ettore Muti acquistò una sua
grande Danae per i nuovi locali
del Collegio Magistrale di Orvieto
(Accademia femminile della
Gioventù Italiana del Littorio).
Nel 1941, a Boves, venne scoperto
il piccolo monumento alla
memoria della Medaglia d’Oro al
Valor Militare Ferruccio Ferrari.
Angelo prese anche parte alla
Seconda guerra mondiale e, fatto
prigioniero, venne internato in
Polonia e in Germania. In seguito
alla liberazione tornò a Torino e
trovò il suo studio di via Susa
devastato da tre bombardamenti.
Nel 1948 lo scultore si trasferì in
Svizzera con la moglie, l’artista
Giuseppina Civetta, e vi rimase
per una ventina d’anni, prima
a Basilea e poi a Zurigo.
Qui diresse per un triennio i corsi
di preparazione artistica del
consolato d’Italia. Commissario
per gli esami di licenza media alla
Scuola Italiana “Dante Alighieri”
di Winterthur (1966-1969),
ricevette le insegne di Cavaliere
Ufficiale per meriti artistici e
culturali. Rientrato in Italia nel
1969, insegnò dapprima al Liceo
Artistico Vittorio Veneto di Torino
e al Liceo Artistico Statale “Arturo
Martini” di Savona, con un
incarico a tempo indeterminato
per la cattedra di figura e ornato
modellato (1970-1971).
Contemporaneamente svolse
le funzioni di supplente per
le suddette materie al Liceo
Artistico Statale di Cuneo.
Nel 1971 iniziò l’insegnamento
di figura e ornato modellato al
Secondo Liceo Artistico di Torino,
dove fu professore di ruolo dal
1974 fino alla prematura
scomparsa.
GIOVANNI RIVA (Torino, 1890 - 1973)
A
In bilico
tra arcaiche
suggestioni
etrusche
e turgori
neomanieristi,
il Riva maturo
va incontro
alla modernità
di Aristide
Maillol
[Busto di bambino]
1935
bronzo, h. 26 cm
60
diciassette anni Riva
frequenta la scuola serale
municipale di disegno,
dove studia con Giovanni
Guarlotti; nel frattempo lavora
come ebanista in una ditta di
arredi sacri. Appassionato di
scultura greca, etrusca e
rinascimentale, si avvicina
all’atelier di Bistolfi, figura di
riferimento per tutta la sua
giovinezza. Nel 1913 espone per
la prima volta al Circolo degli
Artisti di Torino, portando
L’ottuagenaria (1909), che viene
premiata e acquistata; nello stesso
anno, alla LXXII Esposizione della
Società Promotrice delle Belle
Arti, propone Gli eroi, insieme al
bronzo Volontà. Non manca di
presenziare alla Società degli
Amici dell’Arte con Trionfo.
Nel 1915 entra in contatto con il
mondo del cinema, realizzando
un ritratto della famosa attrice
del muto Leda Gys. Nel 1916 si
aggiudica il concorso nazionale
Baruzzi di Bologna, con una
scultura intitolata Incubo. Nello
stesso anno lavora per il film
Il fauno di Febo Mari, uscito nel
1917, prodotto dalla Ambrosio.
Nel 1917-18 modella un Attila,
ispirato al nuovo film “colossale”
di Mari, per il quale interviene
come scenografo addirittura
Canonica. Intanto Giovanni viene
chiamato alle armi. Autore del
folgorante Monumento ai Caduti
di Civitavecchia (1919-24), nel
1919-20 realizza la lapide bronzea
dedicata a Cesare Battisti, posta
all’ingresso della Galleria
Subalpina di Torino. È del 1921 la
Lapide ai Caduti di Sanfront, in
provincia di Cuneo. In questo
periodo, spinto dall’indigenza,
realizza numerosi modelli per i
visi delle bambole Lenci e poche
ma significative ceramiche per la
stessa manifattura torinese. Nel
marzo del 1922 vince il difficile
concorso nazionale per la
realizzazione della Fontana
Angelica, inaugurata a Torino il 28
ottobre del 1930. Tra le sculture
a soggetto sportivo del ventennio
littorio ricordiamo: La parata,
esposta alla VII Esposizione
Interprovinciale Fascista di Belle
Arti di Torino nel 1935, e In volata
(variante de Lo sprint), esposta
nel medesimo anno alla Triennale
di Firenze e alla 7ª Esposizione
del Sindacato Fascista di Belle
Arti di Torino. Da non trascurare
l’importanza della produzione
funeraria di Riva.
Nel 1934 anno l’Università
Adriatica di Bari gli acquista
la scultura La famiglia, il cui gesso
è contemporaneamente presentato
alla Mostra Sindacale del
Valentino.
Nel 1922 espone ad Alessandria
(Amorosa), nel 1923 alla
Quadriennale di Torino (Aretusa,
fontana in gesso), nel 1934
a Torino (La preghiera di Maria a
Gesù), nel 1935 alla Quadriennale
di Roma (Fiamma) e nel 1937
a Napoli (Ritmi).
Alla Biennale di Venezia, nel 1939,
presenta il gruppo per fontana
Centauro e Ninfa e, nel 1942,
il bronzo Riconquista.
Dall’immediato dopoguerra inizia
per Giovanni un triste declino.
L’artista muore dimenticato
e depresso, in assoluta povertà.
GIOVANNI RIVA
Leonardo Bistolfi, L’Amore, 1921-1925 ca.,
modello in gesso. Gipsoteca Leonardo
Bistolfi, Casale Monferrato
Roberto Terracini, Gli amanti (Natura), 1935,
modello in gesso. Opera esposta alla Biennale
di Venezia del 1936. Foto archivio eredi Terracini
Quando nel 1940 Riva modellò la sua intima scultura intitolata Il nido, con ogni probabilità doveva
avere in mente due opere significative come L’Amore del mentore-amico Bistolfi e come Gli amanti
(Natura) di Terracini, lavori rimasti a sedimentare nel suo background immaginativo, lasciando
qualche fertile spunto, da cui forse è originato questo felice lampo poetico.
Nella pagina a fianco
Il nido
1940
bronzo, h. 30 cm
62
MICHELE GUERRISI (Cittanova Calabra, 1893 - Roma, 1963)
I
Amato
da De Chirico
e Savinio,
con la sua
arte colta
Guerrisi
concilia
equilibrio
greco, aurea
sottigliezza
bizantina
e calore
saraceno
Ritratto di Pigi
Balzardi
1942
bronzo, h. 30 cm
64
l giovane Michele compie i
suoi studi tra Palmi, Firenze,
Roma e Napoli, dove nel 1916
si laurea in lettere e consegue il
diploma di scultura dell’Istituto
di Belle Arti. Ottiene per concorso
la cattedra di storia dell’arte nelle
Accademie di Belle Arti di
Palermo e di Carrara (1920-1921),
e poi di Torino (1922-1941);
insegna la stessa materia nella
Scuola Superiore di Architettura
della Regia Università e nella
Facoltà di Magistero di Torino.
Dal 1941 è titolare di scultura
nell’Accademia di Belle Arti
di Roma, di cui diventa direttore
nel 1952. È accademico nazionale
di San Luca, accademico delle
Arti del Disegno di Firenze,
membro corrispondente
della Secessione di Vienna e
di numerose accademie italiane
e Consultore della Pontificia
Commissione per l’arte sacra.
Dal 1920 espone nelle più
importanti mostre d’arte
nazionali e internazionali:
Barcellona (1929), Atene (1931),
Amburgo, Lipsia, Dresda,
Augusta (1933), Budapest, Praga,
Varsavia, Vienna (1935), San
Paolo, Berlino, Parigi (1937),
Berna (1938), New York (1940).
Presenta mostre personali
alla Biennale di Venezia (1938),
alla Quadriennale romana (1943),
alla Promotrice di Torino (1957)
e in altri Enti pubblici.
Vince numerosissimi premi,
tra i quali vogliamo ricordare
almeno il premio Marini-Missana
per la scultura alla Biennale di
Venezia (1926), la medaglia d’oro
per la scultura all’Esposizione
Internazionale di Parigi del 1937
(Ragazza seduta, 1933), i premi
per la scultura a Budapest (1935),
alla Promotrice di Torino (1941),
alla Quadriennale romana (1943).
Viene premiato anche nel
concorso internazionale per
il monumento a Simon Bolivar
a Quito. Realizza il Monumento
ai Caduti Studenti della Università
di Napoli, vinto per concorso;
i monumenti ai caduti di
Catanzaro, Luzzara, Ariano
di Puglia, Montecalvo Irpino;
la fontana monumentale
La nascita di Venere per la Società
Anonima di Assicurazioni
di Torino, oltre ai gruppi del Toro
e della Fortuna e i rilievi del
palazzo della stessa Società
a Roma. Sue opere sono nelle
Gallerie d’Arte Moderna
di Roma, Firenze, Torino, Milano,
Genova, nonché in Enti pubblici
e in collezioni pubbliche
e private italiane e straniere.
Tra le sue opere principali
ricordiamo almeno il Ritratto
di Benedetto Croce (1922) a Napoli,
il Ritratto di Giorgio de Chirico
(1933) a Firenze e il Ritratto
di Francesco Cilea (1951) nel Teatro
Cilea di Reggio Calabria.
Assai numerose anche le sue
pubblicazioni di saggi critici,
come Discorsi sulla scrittura (1932),
La nuova pittura (1932),
L’idea figurativa (1952), L’errore
di Cézanne (1954).
Ma non mancano una raccolta
di poesie, Pigmalione (1956)
e un poema, La favola di Orfeo
(1958), oltre a un gran numero
di interventi su riviste
e giornali.
MARIO GIANSONE (Torino, 1915 - 1997)
M
Figura
tormentata
e nevrile,
tutta ombre
e schiarite
improvvise,
Giansone
trasfigura
l’anatomia
umana
in pure
astrazioni
volumetriche
[Nudo]
ante 1945
terracotta, h. 54 cm
66
ario, dopo aver
frequentato corsi di
ragioneria all’Istituto
Sella, consegue il diploma presso
il Liceo Artistico nella sessione
autunnale del 1934-35.
Negli anni seguenti è per breve
tempo assistente di Luigi Cibrario,
allora docente di anatomia
all’Accademia Albertina, e lavora
presso lo studio di Michele
Guerrisi, seguendo le sue lezioni
di storia dell’arte in Accademia.
Dal 1946 al 1948 insegna
Anatomia all’Accademia Libera di
Belle Arti di Torino. Svolge la sua
più importante e continuativa
attività didattica presso l’Istituto
Statale d’Arte di Torino, dal 1956
alla pensione, ottenuta nel 1985:
vi insegna plastica (ornato e
figura modellata) e – dal 1962 –
disegno dal vero ed educazione
visiva, ricoprendo anche la carica
di vicepreside dell’istituto (fino
al 1975). Partecipa alle rassegne
della Società Promotrice delle
Belle Arti dal 1941.
Nel 1955 prende parte alla VII
Quadriennale Nazionale d’Arte
di Roma; nello stesso anno è
invitato alla Quadriennale di
Torino. Quattro anni dopo, nel
1959, replica l’accoppiata delle
due Quadriennali, quella romana
e quella torinese. È del 1965,
invece, la mostra personale
allestita nelle sale della galleria
La Bussola di Torino. Quest’unica
personale è duramente stroncata
sulle pagine di un importante
quotidiano, fatto che amareggia
profondamente lo scultore,
già di per sé introverso, schivo
e suscettibile. Giansone ha
realizzato notevoli opere
nell’ambito della scultura
funeraria, fra le quali ricordiamo:
la tomba Brambilla (1940,
Cimitero Monumentale di Torino),
la tomba Rivella (1959, Cimitero
Monumentale di Torino), la tomba
Rebaudengo (1967, Cimitero
Monumentale di Torino) e la
tomba Manzone (1985, Cimitero
Monumentale di Torino).
Interessanti, nondimeno, alcuni
lavori di ispirazione religiosa:
la Santa Cecilia del 1951-52, per
l’Auditorium Rai di via Rossini,
e la Maria Ausiliatrice del 1957,
per la Cappella Trasformazioni
Tessili di Moncalvo d’Asti. Assai
ammirati, poi, i suoi Suonatori
di Jazz (1967), inventati per
il palazzo della Rai di Torino.
Citiamo, ancora, la scultura per
la scuola degli edili (1980-82,
Ente Scuola Cipet, via Quarello
19, Torino). Nel 1980 ha
partecipato al concorso bandito
dal Cipet per la realizzazione
di una scultura, con un progetto
a cui aveva collaborato l’architetto
Umberto Cento, suo collega
all’Istituto d’Arte.
Nelle collezioni della Galleria
Civica d’Arte Moderna
e Contemporanea di Torino sono
conservate due sculture di
Giansone: la prima, intitolata
Amanti (in porfido verde), venne
esposta alla Promotrice del 195;
la seconda invece, intitolata
Pescano con l’arpione o Naviganti
(in legno di noce), fu presentata
alla Promotrice del 1958.
Notevole, infine, la sua non
cospicua produzione
di gioielli.
ETTORE TINTO (Rosario di Santa Fé, 1893 - Torino, 1965)
E
La scultura
di Tinto,
solida e
monumentale
anche
nel piccolo
formato,
si distingue
sempre
per una
controllata
gestione
delle masse
potenti
[Nudo disteso]
1940 ca.
bronzo
12 × 30 × 30 cm
68
ttore, argentino di nascita e
torinese d’adozione,
frequenta l’Accademia
Albertina e ha come maestri due
“classici” della didattica torinese
di quegli anni: Cesare Zocchi e
Luigi Contratti. Creatore di vivaci
opere di genere, stimato ritrattista
e richiesto esecutore di
monumenti funerari, Tinto
partecipa alle rassegne della
Promotrice delle Belle Arti
dal 1923; l’anno successivo espone
il gesso La vita alla Società Amici
dell’Arte. Nel 1931 è ancora alla
Promotrice, dove si presenta con
un originale Frammento, mentre
nel 1935 porta il Ritratto del pittore
Farina. Risulta al Circolo degli
Artisti dal 1938 (nel 1952 sarà
direttore della “Tampa”, l’ospiteria
del circolo poi adibita a galleria
di ritratti e autoritratti degli artisti
consociati).
Nel 1940, alla XII mostra
del Sindacato Interprovinciale
Fascista di Belle Arti, espone
L’accoglienza (gesso). Alla
Sindacale milanese del 1941
propone invece un intenso Gesù
che sana gli infermi. Nel
dopoguerra l’amministrazione
comunale di Crescentino gli
commissiona un monumento
ai caduti del secondo conflitto
mondiale; la struttura del lavoro
non è complessa, ma l’esecuzione
è – come sempre – decisa e sicura:
si tratta di una figura femminile
in bronzo, raffigurante la Fede,
che sopravanza una stele
marmorea con incisi i nomi
dei caduti. Il monumento viene
inaugurato nel 1947, in occasione
della manifestazione per
l’8 settembre. Un piccolo
opuscolo, curato dalla
amministrazione comunale,
celebra l’avvenimento (non
senza una certa dose di inevitabile
retorica da parte del sindaco,
Guido Casale, socialista con
trascorsi fascisti). La figura di
Ettore Tinto – scultore in parte
affine a Riva per la robusta
sensibilità plastica e per la
predilezione di soggetti mitologici
animati da un paganesimo
neorinascimentale in chiave déco –
meriterebbe finalmente un’attenta
riscoperta critica, in grado di
ricostruire in modo preciso una
parabola artistica interessante ma
troppo a lungo dimenticata.
EMILIO MUSSO (Torino, 1890 - 1973)
T
Musso
eredita
da Calandra
un mestiere
solidissimo,
che gli
consente
una duttilità
straordinaria
e un controllo
assoluto
dell’espressione
[Divinità marina]
ante 1945
bronzo, h. 54 cm
70
erminati gli studi classici,
Emilio si iscrive
all’Accademia Albertina,
diplomandosi nel 1911. Perfeziona
poi la sua formazione artistica con
Davide Calandra ed Edoardo
Rubino, insieme al quale ultimò i
lavori lasciati incompiuti dal
maestro Calandra. Debutta nel
1912 con uno splendida opera
funeraria dedicata al giovane
poeta crepuscolare Giovanni
Croce (Cimitero Monumantale di
Torino). Esordisce, invece, sulla
ribalta artistica ufficiale nel 1913,
con una prima mostra al Circolo
degli Artisti di Torino, istituzione
della quale diverrà più avanti
vicepresidente. Scultore colto
e di raffinata sensibilità letteraria,
autore di ritratti, monumenti
funerari e opere di genere, Musso
è presente a tutte le rassegne
torinesi della Promotrice delle
Belle Arti dal 1913 in poi.
Alla Quadriennale di Torino
del 1923 presenta Aurora.
Esegue i monumenti ai Caduti
di Cherasco (1925), Govone
(1926), Montà (1936) e Chivasso;
per Torre Pellice realizza il
Monumento a Enrico Arnaud,
per Boves quello a monsignor
Calandri (1914) e per Dronero
quello agli Alpini (1917). Espone
a San Remo nel 1939 (Discobolo);
nel 1940 porta alla Biennale di
Venezia la statua per fontana
Inno alla vita e prende parte
alla Sindacale milanese
del 1941 con Attesa in riposo.
Nella prima metà degli anni
Quaranta – pur aderendo
formalmente allo stile littorio –
purga lo stesso dell’usuale
retorica trionfante, per cantare
con toni più mesti e trattenuti
il “sentimento” di un potere
in declino. Lo scultore,
pluripremiato vincitore di
numerosi concorsi, espone anche
in importanti rassegne estere: a
Parigi, Anversa, San Paolo del
Brasile, in Scozia, in India, ecc.
Professore ordinario presso
l’Accademia Albertina e incaricato
di plastica architettonica al
Politecnico di Torino, è
rappresentato – già in vita – con
suoi lavori presso enti e gallerie
italiane e straniere. Nella Galleria
d’Arte Moderna di Torino è
conservata la testa in terracotta
Donna sarda. Il 21 maggio 1950,
a Perrero (in provincia di Torino),
viene inaugurato il monumento
al generale Giulio Martinat.
NILLO BELTRAMI (Fornero, 1899 - Viverone, 1988)
N
Quello
di Beltrami
è un
linguaggio
aperto
e ibridato,
che a un certo
punto
incrocia le
scomposizioni
del secondo
futurismo
torinese
[Notaio]
1945 ca.
bronzo, h. 41 cm
72
illo (diminutivo di
Passionillo) studia
all’Accademia Albertina
di Torino. Lavora con Edoardo
Rubino e con lui completa la sua
formazione. In questi primi anni
di lavoro la sua attività artistica
è – per stretta necessità –
economica, soprattutto nel campo
della scultura celebrativa e
monumentale. Da subito in
contatto con gli artisti della
manifattura ceramica Lenci,
emerge dalla sua scultura un
temperamento plastico
“moderno”, che lo avvicina
al secondo futurismo torinese.
Beltrami crea interessanti modelli
per la Lenci (La pera, Fior di zucca,
ecc.) e per la Richard Ginori di
Mondovì. Al di là della
produzione nel campo delle arti
decorative, le opere di questo
periodo attestano una certa
aggiornata attenzione per la
lezione di Arturo Martini. Come
esempi di tale evoluzione stilistica
si segnalano: L’Angelo, presentato
alla Mostra d’Arte decorativa di
Monza nel 1930 e per il quale gli
verrà consegnato il premio Enapi;
il bronzetto La Vittoria, ammesso
per concorso alla Biennale
di Venezia del 1932.
Una delle più interessanti
realizzazioni del tempo è la serie
delle quattro stagioni (tradotta in
bronzo dalla Fonderia Chiampo
di Torino), dalla quale sono stati
ricavati pochissimi esemplari in
ceramica, oggi assai rari. Nel 1935,
alla 7a Esposizione del Sindacato
Fascista di Belle Arti di Torino,
porta un nervoso Pugilatore in
bronzo. Nel 1952, presentando alla
Quadriennale di Torino le sue
prime sculture in mattone
(da lui definite “espressionisteimpressioniste”), Beltrami opera
una svolta nei confronti della sua
precedente produzione. In questi
lavori si nota infatti una particolare
ricerca, che approda a una nuova
espressività, in grado di
estrinsecarsi attraverso l’uso di
materiali comuni. Saranno ricavati
nel mattone numerosi bozzetti
di sculture realizzate
successivamente in bronzo
o in pietra, come nel caso del
monumento ai Caduti di
St. Vincent. Nillo ha vissuto
sempre in solitudine, rifiutando
qualsiasi strategia di promozione
del proprio lavoro; le sue poche
mostre sono state organizzate
da amici pittori, scultori e critici.
Ha esposto nel 1932 alla XVIII
Biennale di Venezia e nuovamente
alla XXVIII Biennale di Venezia
nel 1956. Sue mostre personali
di sculture si sono tenute
nel 1953 alla galleria
Montenapoleone di Milano,
nel 1954 alla galleria
Il Cavallino di Venezia e nel 1955
alla galleria La Bussola di Torino.
Negli anni Sessanta affianca
l’insegnamento all’attività artistica:
sarà per qualche anno docente
all’Istituto per la Ceramica di
Castellamonte e quindi, dal 1963
al 1969, al Liceo Artistico e alla
Accademia Albertina delle Belle
Arti di Torino. Ha realizzato
anche disegni e monotipi
da inchiostrazione su vetro,
eseguiti in esemplari unici.
Si spegne a Viverone, dimenticato
e senza figli.
UMBERTO BAGLIONI (Scalea, 1893 - Torino, 1965)
Q
La rigorosa
austerità
classica
di Baglioni,
a partire
dal secondo
dopoguerra,
lascia spazio
a un più
libero fluire
della materia
Leda senza cigno
ante 1942
bronzo
25 × 22 × 30 cm
Bozzetto dell’opera
esposta nella sala
personale alla XXIII
Biennale di Venezia
74
uando si iscrive
all’Accademia Albertina,
nel 1913, diventando il
pupillo di Edoardo Rubino,
Umberto ha già un notevole
curriculum di studi: a Modena
(1909-1910), a Urbino (1910-1911)
e a Firenze (1911-1912). Dopo aver
insegnato per diverso tempo
all’Accademia di Belle Arti
di Venezia, prende il posto di
Rubino, diventando titolare della
cattedra di scultura all’Albertina
nel 1936. Espone alla Promotrice
delle Belle Arti di Torino dal 1920
e, a partire dal 1922, al Circolo
degli Artisti del capoluogo
piemontese. Alla Quadriennale
di Torino del 1923 presenta una
Salomè in gesso e alla Promotrice
di Genova del 1924 La sposa
dell’eroe, mentre alla Mostra di
Arte Sacra di Roma, nel 1930,
espone una Madonna con Bambino;
a Venezia, nel 1934, è la volta
di un atletico bronzo littorio: il
Giovane ginnasta. Risale proprio
a questi anni l’invenzione di un
originalissimo calamaio in bronzo
con quattro facce simboliste:
un oggetto enigmatico e un po’
“esoterico”, pieno di fascino
mitteleuropeo e di mistero
torinese. Nel 1935 Baglioni
prende parte al concorso per
il monumento al Duca d’Aosta,
a Torino, e risulta selezionato
nella cinquina degli scultori
ammessi alla penultima prova
eliminatoria. Nello stesso anno
realizza la bellissima Selvaggia
in bronzo, oggi custodita nelle
raccolte della Galleria Civica
d’Arte Moderna e Contemporanea
di Torino. È poi nuovamente
a Venezia, per quattro volte:
nel 1936, con la seducente Donna
che si spoglia; nel 1942, alla XXIII
Biennale, con una robusta Leda
senza cigno, in una sala personale
a lui dedicata; nel 1948, con una
materica Terra madre (terracotta);
e nel 1954, con la più distesa
Passeggiata romantica. I torinesi
lo ricordano soprattutto per le
due grandi statue allegoriche
raffiguranti il Po e la Dora,
collocate in piazza C.L.N., vinte
per concorso ed eseguite nel 1937.
A Roma, per il Palazzo dell’E42
(“Esposizione 1942”, nome
originario dell’EUR), esegue
la scultura de Il genio politico.
A partire dai primi anni Quaranta
lo stile dell’artista calabrese
si svincola dalle ossessioni
accademiche, dai canoni stilizzati
del déco e del dettato littorio:
la sua plastica si “scioglie” e
si ammorbidisce, il modellato
si arricchisce di vibrazioni.
Lo studio di Baglioni, con tutta
la sua nutrita biblioteca (Umberto
era un appassionato collezionista
di libri d’arte), viene tragicamente
devastato dai bombardamenti del
1943. Sue opere sono conservate
nella Galleria d’Arte Moderna
di Torino e a Palazzo Pitti,
a Firenze (Vittoria, terracotta),
dove, nel 1962, partecipa al
Premio del Fiorino (con il bronzo
Marcella, 1950).
UMBERTO MASTROIANNI (Fontana Liri, 1910 - Marino Laziale, 1998)
G
Formatosi
al di fuori
dell’ambito
accademico,
Mastroianni
non ha mai
perso
un’assoluta
libertà
mentale
e una
ribollente
energia
barbarica
Ritratto del pittore
Achille Martelli
1938
pietra di Verrès
h. 35 cm
Una variante in bronzo
è conservata nelle
raccolte della Galleria
Civica d’Arte Moderna
e Contemporanea
di Torino
76
iunto a Roma nel 1924,
Umberto studia con lo zio,
lo scultore Domenico
Mastroianni, che tiene
i corsi di disegno presso
l’Accademia di San Marcello.
Nel 1926 si trasferisce a Torino e
«affina il mestiere di scultore» con
Michele Guerrisi. I Cavalli in corsa
del 1929 risultano tra i più
significativi lavori d’esordio.
Nel 1930 iniziano i riconoscimenti
(Premio del Turismo offerto
dal Ministero della Pubblica
Istruzione) e, di lì a poco, le prime
mostre a livello nazionale ed
europeo, tra cui nel 1935 la
Quadriennale di Roma e l’anno
successivo la Biennale di Venezia
(dove nel 1938, tra l’altro, vi sarà
presente con una sala personale).
Tra le opere degli anni Trenta,
neolatine e neorinascimentali,
ricordiamo: Il novizio, 1930;
Adolescente, 1931; Gabriele, 1938.
Chiamato alle armi durante la
guerra, partecipa alla Resistenza.
A Torino stabilisce un rapporto
privilegiato con il pittore Luigi
Spazzapan. Dopo la liberazione
è tra i promotori di un
superamento sovranazionale
della cultura italiana, secondo
i dettami delle “avanguardie
storiche”. Fin da allora espone
nelle rassegne artisticamente
più avanzate promosse dall’Art
Club; inoltre, insieme ai pittori
Spazzapan e Moreni e all’architetto
Ettore Sottsass jr., si fa portavoce
di iniziative culturali, tra cui
il progetto del Premio Torino
(di cui è stata fatta una sola
edizione, nel 1947). Vince
nel 1945, con la collaborazione
dell’architetto Carlo Mollino,
il concorso per il Monumento
al Partigiano: l’opera, di notevoli
dimensioni, viene eseguita più
tardi e collocata nel Campo della
Gloria del Cimitero Monumentale
di Torino. Nel 1948 espone
con Spazzapan alla galleria
La Bussola, in una mostra dai
molti strascichi polemici. Nel 1951
tiene la sua prima personale alla
Galerie de France di Parigi, la più
importante in Europa. La critica
straniera si rende subito conto
della qualità della sua
produzione. In Apparizione alata e
Battaglia, due significativi bronzi
del 1957, la sua plastica si fa
vieppiù scabra, più scheletrita e
tesa. Da ricordare assolutamente,
tra le prove di questo periodo,
il Ritratto dello scrittore Seborga
(bronzo, una fusione del 1956
si trova al Museo Nazionale
Kröller-Müller di Otterlo). Nel
dopoguerra Mastroianni porta
avanti una personale ricerca
astratta, sfruttando sia l’estetica
dell’informale sia schemi
geometrizzanti, innervati da una
forte caratterizzazione dinamica
e vitalistica (con un’attenzione
particolare al linguaggio del
costruttivismo). Il 27 ottobre 1989
gli viene conferito, a Tokyo, il
“Premium Imperiale”, Nobel
del Sol Levante per l’arte. Suo è
l’arredo della sala maggiore della
nuova Corte d’Appello di Roma.
Nel 1994, invece, lo scultore mette
in opera una Deposizione per la
Basilica di S. Maria degli Angeli
in Roma e realizza il grande
cancello per il Teatro Regio
di Torino.
UMBERTO MASTROIANNI
Umberto Mastroianni, Busto di donna (Ida), 1944, bronzo
«Busto di donna del 1944 deriva da una matrice art nouveau,
aggiornata mediante l’essiccazione formale e le sovrascrizioni
arcaistiche comuni contemporaneamente anche a un Marini
oppure, in pittura, a un Campigli».
(Renzo Mangili, in Mastroianni. I materiali 1932-1988,
a cura di Floriano De Santi, Milano, Fabbri, 1989)
Nella pagina a fianco
Ritratto di Ida
1944
bronzo, h. 30 cm
78
UMBERTO MASTROIANNI
Umberto Mastroianni, Ritratto, 1956, bronzo.
Schiedam (Olanda), Museo Boymans
Il letterato e pittore Guido Seborga (1909-1990) con Mastroianni
«Durante gli anni torinesi si è formato l’aspetto più maturo
e più cosmopolita della mia arte e della mia vita. Eravamo un gruppo
affiatato e battagliero: Spazzapan, Piero Bargis, Guido Seborga ed io:
due artisti e due letterati. […] Seborga stava agli antipodi di Bargis:
personaggio corrusco, tenero e intransigente, sognatore e realista,
incerto tra letteratura e pittura. […] La sua natura anarchica, impregnata
di solitudini maremmane, di salsedine amara, gli colorava le immagini,
gli rendeva aspre le parole – Guido cotto dal sole come un pescatore
d’altura in tutti gli spigoli del volto».
(Umberto Mastroianni, Il grido e l’eco, Bologna, Bora, 1985)
Nella pagina a fianco
Ritratto di Guido Seborga
1956
bronzo h. 43 cm
Già Collezione fratelli Buzzacchino
80
PIERO DUCATO (Baldissero, 1908 - Torino, 1998)
L
Le strutture
ben articolate
e un preciso
senso della
compattezza
dell’immagine
sono i punti
di forza
del percorso
creativo
di Ducato
[Nudo disteso]
1950 ca.
terracotta
14 x 35 x 14 cm
82
a formazione del giovane
Ducato avviene presso gli
studi di Arturo Stagliano e
Giovanni Riva. Negli anni Trenta
prende parte alla grande
avventura della manifattura
ceramica Lenci, per la quale
realizza alcune opere di soggetto
religioso.
Nel 1932 abbandona la Lenci per
aprire, insieme a Clelia Bertetti,
la fabbrica per la produzione di
ceramiche artistiche Le Bertetti;
nell’ambito della ceramica
ricordiamo, ancora, le
collaborazioni con la C.I.A.
della signora Manna e, più tardi,
con la Vi.Bi. di Vallini e Vaccon.
Insegnante di figura, ornato
e modellato al Liceo Artistico
dell’Accademia Albertina, espone
con frequenza – a partire dal 1932
– nelle mostre organizzate dalla
Promotrice delle Belle Arti
di Torino.
Nel 1940 vince il concorso
“Statua per un giardino”
alla XXII Biennale d’Arte di
Venezia. Nel 1947 viene premiato
al concorso per il Monumento
al Partigiano di Torino.
È presente alla Quadriennale
di Roma del 1948. Partecipa
a molti concorsi nazionali,
realizzando, fra l’altro, una
Via Crucis per la clinica pediatrica
dell’Università di Torino, una
fontana per l’Istituto Tecnico
Industriale per Periti Chimici.
Nel secondo dopoguerra
partecipa a numerose esposizioni
pubbliche, tra cui quella di Trieste
del 1952, di Firenze del 1958,
di Genova del 1971 e di Torino
del 1983. Nello stesso anno
è presente con due opere in “Arte
a Torino 1946/53” (Accademia
Albertina, Torino). Tra le ultime
personali, citiamo: galleria
La Cittadella (Torino, 1982);
galleria Del Ponte, con Luigi
Comazzi (Torino, 1989); centro
culturale Abaco (Torino, 1995).
GIOVANNI CHISSOTTI (Trofarello, 1911 - Torino, 1996)
F
Chissotti
prosciuga
e “semplifica”
sempre più
la sua
plastica,
fino
a elaborare
una personale
reinvenzione
della sintesi
romanica
[Figura femminile]
1955 ca.
bronzo, h. 62 cm
84
iglio di un maestro
minusiere, Giovanni studia
scultura all’Accademia
Albertina di Torino, dove si
diploma nel 1938, frequentando
l’anno successivo il cosiddetto
corso di perfezionamento.
A cominciare dal periodo di
apprendistato, consegue numerosi
riconoscimenti: premio Cassa di
Risparmio (Torino, 1935), premio
Municipio di Torino (1936, 1937,
1939), premio del Ministero delle
Corporazioni Sindacali (Torino,
1939), 1º premio Mostra
Interregionale di Belle Arti
(Torino, 1940), premio acquisto
Circolo degli Artisti (Torino, 1941),
premio acquisto Società
Promotrice delle Belle Arti
(Torino, 1942), premio acquisto
Donatello (Firenze, 1942), premio
della Scultura Sindacale (Torino,
1942), premio acquisto
Quadriennale di Roma (1943,
1951), ecc. Dal 1939 è incaricato
di plastica ornamentale e figura
al Liceo Artistico di Torino
e nel 1945 diventa assistente alla
cattedra di scultura dell’Albertina.
Vincitore del concorso, viene
nominato titolare della cattedra
di scultura dell’Accademia di
Firenze, per passare – nell’ultimo
anno di servizio – allo stesso
ruolo presso l’accademia
torinese. Presente ad importanti
manifestazioni artistiche nazionali
e internazionali (a Torino,
Firenze e Roma), frequentemente
soggiorna in Svizzera e
in Francia. Tra le collettive
importanti citiamo: la prima
mostra internazionale dell’Art
Club (1949), diverse Biennali
di Venezia e Quadriennali di
Roma. Realizza numerose opere
pubbliche: il Sacrario dei Caduti
di tutte le guerre a Pinerolo;
il Monumento ai Caduti di guerra
e della Liberazione a Spotorno;
il Monumento al Conte Galateri
di Savigliano; la grande fontana
di Senago; le decorazioni
plastiche e il mosaico
dell’Ippodromo di Vinovo;
il rilievo decorativo e la vetrata
del Palazzo della Stampa
di Torino… Vince inoltre
il concorso per il Monumento
al Caduto sul Lavoro
(da collocarsi in piazza Statuto
a Torino, non realizzato)
e il 2o premio per le sculture
da inserire sulla facciata della
Biblioteca Civica di Torino (vinto
da Franco Garelli).
Numerosi suoi lavori in bronzo,
marmo o ceramica si trovano
nel Cimitero Monumentale
di Torino (ricordiamo la tomba
Demonte del 1956) e in chiese
dello stesso capoluogo sabaudo,
di Pinerolo, Sommariva Bosco,
Biella; all’estero, troviamo ancora:
una Madonna con bambino nel
Santuario di Beverly Hills, una
Maria Ausiliatrice a Caracas,
una Madonna in bronzo sulla
cupola della Cattedrale di
Bombay.
Numerose opere (specialmente
ritratti) sono conservati in
collezioni italiane, francesi,
svizzere, tedesche. Organizza
due sole mostre personali,
nel dopoguerra: una
al Circolo degli Artisti di Torino,
l’altra presso la galleria d’arte
A. Garbarello di Biella.
PIETRO LORENZONI (Seravezza, 1911 - Torino, 1993)
P
L’anima
ruvida
e poetica
dell’artista
toscano
parla una
lontana
lingua
“etrusca”,
plasmata
nella terra
dolce
o scolpita
nel duro sasso
[Figura femminile]
1955 ca.
terracotta, h. 48 cm
86
ietro appartiene a una
famiglia versiliese di
lavoratori della pietra.
Nel 1937 si trasferisce a Torino,
perché occorre un puntatore in
grado di rifinire un rilievo in
travertino di Reduzzi, dedicato
ai martiri fascisti e da sistemare
nella Casa del Fascio di Palazzo
Campana: l’opera sarà distrutta
nel 1945. Pietro rifinisce, allora,
anche alcuni lavori di Bistolfi,
rimasti incompiuti alla morte
dello scultore casalese.
Nel secondo dopoguerra opera
prevalentemente come esecutore
in pietra per molti scultori
torinesi, tanto da meritare la
cattedra di tecnica del marmo
all’Accademia Albertina, su
indicazione di Sandro Cerchi.
Tra le principali collaborazioni
di Lorenzoni, da ricordare
quelle con Mario Giansone
e con Umberto Mastroianni;
quest’ultimo lo spinge a esercitare
in proprio la scultura, dopo aver
preso studio in piazza Fontanesi.
Dal 1955 inizia l’attività espositiva
dello scultore, alle rassegne della
Promotrice (sarà presente in modo
pressoché ininterrotto alle mostre
annuali, nonché alle Quadriennali
del 1964 e 1974) e del Piemonte
Artistico e Culturale, dove nel
1990 gli viene dedicata una
mostra antologica di sculture
e disegni. Tra le non molte
personali, si ricordano:
un’esposizione a La Cittadella
di Torino (1979), e un’altra
al Casino de la Vallée di Saint
Vincent, presentata da Marzio
Pinottini (1983). Le parole di
Galvano, scritte in occasione
della mostra alla Cittadella, sono
una perfetta sintesi dello spirito
e dello stile dell’artista: «Sia
che Lorenzoni proceda per
aggiunzione o per ablazione,
plasticando, perciò; o più
propriamente scolpendo, il suo
mondo è estremamente coerente:
avvolgimenti e groppi, éscare
scavate a colpi di scalpello
o arborescenze dinamicamente
strutturate, è sempre un senso
drammatico ma insieme
evocativamente fantasioso delle
possibilità che la forma offre a
un’invenzione continua e pur
concentrata, a un libero gioco
dell’immaginazione e della
tattilità che investe la docile
o renitente materia.
La favola si cala in costruzione
e si carica del peso della terra e
del sasso, senza per questo
perdere la propria qualità lirica».
Nel 1968 Lorenzoni è stato
invitato al Premio Nazionale
Simca, mentre nel 1989 risulta
incluso in Pittori e scultori
da Torino a Volgograd.
Ha eseguito alcune opere su
committenza pubblica: il bronzo
nella scuola Reduzzi di Torino,
il Monumento ai Caduti di San
Remo (in travertino e bronzo),
la scultura in travertino della
scuola Garibaldi a Carmagnola;
qui un gruppo di allievi-amici
ha organizzato – in Palazzo
Lomellini – un sentito omaggio
postumo, a cura di Paolo Thea.
GIOVANNI FERRABINI (Verona, 1909 - Robilante, 1969)
G
Ferrabini
costruisce
le sculture
con un
preciso senso
architettonico:
la sua
attenzione
è rivolta
alle linee
prima ancora
che alla
materia
Donna seduta
1955
bronzo
30 × 32 × 30 cm
88
iovanni si forma
all’Accademia Cignaroli di
Verona, frequentando i
corsi di Egidio Girelli, e si laurea
in architettura al Politecnico di
Torino, città dove si trasferisce nel
1939. Esordisce, ventenne, alla
Società di Belle Arti di Verona e
partecipa alle rassegne veneziane
dell’Opera Bevilacqua La Masa,
dove si fa subito notare. Data 1931
un sensibile busto di fanciullo in
terracotta intitolato Cirillo,
pienamente rivelatore dello spirito
modernista che anima il giovane
scultore. Nel 1937 ottiene la
qualificazione ai Littoriali
dell’Arte di Roma, con una
Maternità di chiara ispirazione
martiniana. A Torino si ambienta
rapidamente, iniziando fin dal
1945 la sua partecipazione alle
rassegne della Società Promotrice
delle Belle Arti e del Circolo degli
Artisti, cui fanno seguito le prime
personali. Nella scultura di quegli
anni, Ferrabini contamina uno
spiccato anelito di modernità con
reminiscenze classiche e talora,
addirittura, primonovecentesche.
L’impegno plastico, ben presto,
si alterna con l’attività
professionale di architetto e di
disegnatore d’interni; la sua cifra
specifica, in qualità di designer e
arredatore, va cercata nel tentativo
costante di integrare la scultura
con l’ambiente. Intorno alla metà
degli anni ’950 inizia una ricerca
formale tesa a un processo
continuo di semplificazione (nelle
crocifissioni, come nei cavalli
o nei cavalieri, e in tutta una serie
di interessantissimi nudi, ma
soprattutto nel San Giorgio
del Museo d’Arte Moderna di
Bruxelles); tale ricerca lo conduce
verso delle particolari volumetrie
in cui la forzatura
“espressionista” si traduce in una
più libera scansione, piegando
la figura umana e ogni altro
elemento compositivo all’interno
di forme strutturali “chiuse”.
A Parigi nel 1958 incontra lo
scultore russo, naturalizzato
francese, Ossip Zadkine. Dopo
essersi impegnato in alcuni lavori
di carattere pubblico, quali le
grandi composizioni come il
grande Sole di sei metri (realizzato
per Italia ’61), le tre fontane di
villa Agnelli (in strada San Vito,
sulla collina torinese), e il duplice
pannello in bronzo de Il Lavoro
e L’Industria (per la ditta Gallino
di Torino), si cimenta soprattutto
nello stuperfacente albero a canne
ideato per il cortile esterno della
Scuola “Cesare Torazzi” di
Vestignè (1963). Un altro vasto
complesso organico, con
numerose sculture (pezzi unici
in legno, metalli e ceramica: dai
maniglioni delle porte ai cancelli
e ai molteplici rilievi), gli offre
– in una villa di Ospedaletti – un
lavoro che lo occupa
incessantemente dal 1967 fino
al momento del tragico incidente
automobilistico, nel quale, di
ritorno dalla riviera ligure,
perde la vita.
FRANCO GARELLI (Diano D’Alba, 1909 - Torino, 1973)
D
Libero
dal vincolo
della
descrizione,
Garelli
sente lo spazio
in modo
architettonico:
la sua
è una poetica
della struttura
e della materia
[Figure]
1955 ca.
bronzo, h. 38 cm
90
opo aver frequentato il
liceo classico Massimo
d’Azeglio, segue poi le
orme paterne fino alla laurea in
medicina e chirurgia. Tuttavia fin
da ragazzo, come racconta egli
stesso, comincia «a tirar su enormi
figure di terra, maneggiando
decine di chilogrammi di argilla».
Nel 1927 esordisce alla Promotrice
di Torino con una Testa in cera.
L’abbrivo in ambito universitario,
nei primi anni trenta, lo vide
esporre alla Mostra piemontese
di arte goliardica (1932), ai
Littoriali (Anno X) e alla I Mostra
documentaria di Vita Goliardica,
organizzata dal GUF di Torino
alla galleria Il Faro.
Alla fine degli anni Trenta,
modellando le argille di Albisola
e di Castellamonte, scopre la
passione per la ceramica, che
in qualche modo acuisce il suo
interesse per il modellato e per
la materia in sé. I soggetti più
ricorrenti sono: uomini e Pomone,
tori e toreri, galli e cavalli. Entra
in contatto con alcuni esponenti
del secondo futurismo torinese:
Fillia, Mino Rosso e Pippo Oriani,
oltreché con lo stesso Marinetti;
nondimeno rimane colpito dalla
genialità controcorrente di Luigi
Spazzapan e, ad Albisola,
dall’inclinazione moderna di
Arturo Martini. Tra il 1941 e il
1943 partecipa al secondo conflitto
mondiale e gli viene conferita la
Croce di Guerra al valor militare;
non tarda, comunque, a
riprendere l’attività medica,
come libero docente in
otorinolaringoiatria. Alla pratica
scultorea alterna anche la pittura e
la grafica, senza però trascurare
l’insegnamento di anatomia
artistica all’Accademia Albertina.
Negli anni non facili del
dopoguerra la frequentazione
costante di Albisola e Vallauris,
dove Picasso lavorava dal 1947,
permette all’artista di entrare in
contatto con Agenore Fabbri,
Lucio Fontana, Tullio Mazzotti
e Aligi Sassu. L’affermazione di
Garelli come esponente di spicco
della cultura informale avviene
a Torino intorno alla rivista
e alla galleria Notizie, diretta
da Luciano Pistoi. Verso la metà
degli anni Cinquanta le sue figure
create assemblando e saldando
rottami di ferro tentano una
rottura definitiva con certo
conservatorismo piemontese.
Forzando la scomposizione
cubista e le suggestioni surrealiste
approfondite a contatto con il
gruppo Cobra, l’artista giunge
a risultati di sorprendente
ambiguità spaziale e di forte
intensità drammatica, come
nell’Uomo esposto alla Biennale
di Venezia del 1954.
Garelli non intende più modellare
la «superficie esterna», bensì,
sulla scia ideale di Lipchitz
e Zadkine, la «forma cava»,
l’interiorità.
Una complessa riflessione sul
passaggio dalle due alle tre
dimensioni si intensifica a partire
dal 1963, con i “plamec” (rilievi
in materiale plastico su tela o su
legno), dove si avverte il piacere
dell’improvvisazione imposta
dai rapidi mutamenti termicoplastici causati dal tipo
particolare di lavorazione.
ADRIANO ALLOATI (Torino, 1909 - 1975)
I
Alloati
sente
la superficie
sopra ogni
cosa: la sua
scultura,
governata
da leggi
armoniche,
si offre
al tatto
prima ancora
che all’occhio
Testa di Naiade n. 6
1960
bronzo, h. 41 cm
Variante della testa
di una delle Naiadi
del cinema Reposi
(1948)
92
l primo maestro del
giovanissimo Alloati è il padre
Giovanni Battista, che, seppur
severo e accentratore, gli consente
di frequentare gli studi di altri
scultori (ad esempio, quello
romano di Fortunato Longo) e,
soprattutto, di seguire i corsi
dell’Accademia Albertina, sotto
la guida di Umberto Baglioni
ed Edoardo Rubino.
Nel 1934 l’Accademia gli assegna
un viaggio premio. Nel 1936,
a Roma, viene insignito con una
medaglia d’argento per il gruppo
Maternità e inizia a esporre alla
Società Promotrice delle Belle Arti
di Torino. La frequentazione
dell’Accademia è talmente
proficua che, dimesso quale
allievo nel 1937, vi entra l’anno
successivo in qualità di docente
(incarico che manterrà fino
al 1950). Nello stesso anno è
premiato a Venezia, dove – nel
1938 – parteciperà alla Biennale.
Sempre nel 1938 ottiene il premio
del Ministero delle Corporazioni
e nel 1939 quello del Circolo
degli Artisti di Torino. È assiduo
collaboratore di Michele Guerrisi
e Arturo Stagliano, nel cui atelier
Bistolfi ha modo di ammirare
alcuni lavori di Adriano.
Nel 1940 ottiene il riconoscimento
del Museo Civico della sua città
natale, mentre nel 1940 è
segnalato alla XXII Biennale
di Venezia; è di nuovo alla
Biennale nel 1942, questa volta
con una sala personale. Nel 1944
vince il Premio Serralunga.
Nel 1948 presenzia alla XXIV
Biennale di Venezia con un
Bozzetto per Naiade n. 7 (bronzo)
ed esegue, per il Cinema Teatro
Reposi, un gruppo di tre grandi
Naiadi da porsi nell’atrio e cinque
Maschere per la facciata esterna.
Nel 1951 realizza i bassorilievi
in bronzo con i ritratti dei coniugi
Pinna Pintor e della famiglia
Viano, posti al Cimitero
Monumentale di Torino.
Nel 1952 si aggiudica, per
concorso, la cattedra di scultura
ornamentale all’Accademia
di Brera; a Milano stringe rapporti
di duratura amicizia con i pittori
Achille Funi e Gianfilippo
Usellini. Nel 1954 partecipa alla
XXVII Biennale Internazionale
d’Arte di Venezia, con il ritratto
in terracotta di Marisa Borini
e con i bronzi Maria e Nudo in
piedi (quest’ultimo verrà
acquistato nel 1967 dal Suermondt
Museum di Aquisgrana).
Nel 1955 inaugura il Monumento
ai Caduti di Almese, mentre nel
1956 vince, insieme all’architetto
Carlo Mollino, il concorso per il
Monumento ai Caduti di Fossano.
È del 1959 la Portella d’altare per
la chiesa di San Paolo in Alba.
Del 1963 è, invece, la Composizione
mistica, successivamente collocata
al Cimitero Monumentale
di Torino (tomba Navone).
Nel 1964 un suo medaglione
raffigurante Don Bosco viene
collocato all’ingresso della
galleria stradale di Lanzo
Torinese. In quell’anno è da
ricordare anche la realizzazione
delle sei statue dei Dottori
della Chiesa in marmo
Zandobbio, per la nuova
facciata della chiesa di San
Paolo in Alba.
CLAUDIA FORMICA (Nizza Monferrato, 1903 - Torino, 1987)
P
Refrattaria
a qualsiasi
forma
di leziosità,
Claudia
Formica
interpreta
in modo
personale
la lezione
dei grandi
maestri
del Novecento
Mietitori
1966
bronzo
20 × 30 × 30 cm
Opera presentata
alla 124a Esposizione
di Arti Figurative della
Promotrice di Torino
94
romettente allieva di
Edoardo Rubino ed Emilio
Musso all’Accademia
Albertina, Claudia decide di
perfezionarsi a Firenze, presso
Guido Calori e Libero Andreotti.
Ritornata a Torino, presto
comincia a partecipare
alle rassegne della Promotrice
delle Belle Arti (dal 1928),
mentre nel 1929 presenta il
progetto per una fontana.
Nello stesso periodo realizza
alcuni apprezzati modelli per
la manifattura Lenci ed espone
alla Galleria Pesaro di Milano.
Autrice di stilosi nudi novecentisti
e di austeri monumenti funerari,
scultrice sensibilissima e di
grande finezza plastica, Claudia
Formica torna momentaneamente
a Firenze (città del suo ultimo
mentore),nel 1933, per presentare
una Donna mediterranea; nel 1938
partecipa alla Biennale di
Venezia (Ritratto della sorella,
bronzo, ora a Torino, nella
Galleria Civica d’Arte Moderna
e Contemporanea).
Nel 1941, invece, espone ad
Alessandria e ad Asti. Dobbiamo
qui ricordare il Portinaretto
(ritratto di Giuseppe Balocco,
terracotta, 1940 ca.), ceduto in
deposito al Museo Civico di Asti
dal Ministero dell’Educazione
Nazionale, che lo aveva acquistato
alla III Mostra Provinciale del
Sindacato Belle Arti di Asti.
Nel secondo dopoguerra la
ricerca estetica della Formica
si spinge verso una maggiore
sintesi formale, mentre il suo
modellato – robusto e morbido
a un tempo – cerca nuove
soluzioni per far vibrare la
materia in modo più “moderno”.
Nel 1950 partecipa ancora alla
Biennale di Venezia e nel 19591960 alla Quadriennale di Roma.
Alla 124a Esposizione di Arti
Figurative della Promotrice di
Torino presenta il bronzo
Mietitori. Il nome di Claudia
Formica – stimata ritrattista della
borghesia torinese, autrice altresì
di una poco nota e rarefatta
produzione di gioielli – è
conosciuto presso un pubblico più
allargato grazie alla significativa
presenza dell’artista nel catalogo
Lenci. Tra i lavori monumentali
e celebrativi vogliamo citare il
Monumento ai Caduti di Incisa
Scapaccino (1927), la Fontana della
giovinezza a Poirino, il Monumento
al Partigiano di Rivoli (su progetto
dell’architetto Adele Scribani),
il Monumento ai Carabinieri di
Alessandria, le acquasantiere
per il Santuario di Oropa.
Le opere da lei prodotte tra
gli anni Trenta e gli anni Ottanta
saranno catalogate ed esposte
a Nizza Monferrato, nella sede
di Palazzo Cavour, tornata
a disposizione del comune.
Grazie alla collaborazione
della specialista Chiara Lanzi
(direttrice della gipsoteca
“Giulio Monteverde” di
Bistagno) e degli eredi Formica,
si potrà finalmente avere una
visione critica più completa
e uno sguardo d’insieme più
ampio, che permetteranno
di dare all’opera della plasticatrice
nicese una giusta collocazione
nel complesso panorama della
scultura italiana del Novecento.
APPENDICE
EMILIO SPERATI (Milano, 1861 - Torino, 1931)
E
Le fusioni
di Sperati
si distinguono
per la
precisione
della
rinettatura,
per la resa
di tutti
i minimi
dettagli
e per le patine
superbe
Antonio Carminati
(1859-1908),
Tentazione, bronzo,
h. 40 cm
98
milio Sperati, astro dell’arte
fusoria torinese, muove i
primi passi a Milano come
scultore. Segue i corsi di ornato, di
elementi di figura e di architettura
all’Accademia di Brera; uno dei
suoi primi compagni è Giovanni
Segantini. Emilio comincia subito
a lavorare, già durante gli studi
accademici, con lo scultore
Francesco Barzaghi (suo patrigno,
formatosi a Brera sotto la guida di
Vela) e si sofferma, con lui, sul
perfezionamento del processo di
fusione “a cera persa”, in
sostituzione sistema con forme a
tasselli. In una memoria autografa
intitolata Brevi cenni sullo
sviluppo della propria industria e
redatta in occasione della mostra
dei suoi bronzi artistici (presentati
all’Esposizione Nazionale della
Promotrice delle Belle Arti di
Torino nel 1898), Sperati descrive
con evidente orgoglio la messa a
punto ufficiale del procedimento,
avvenuta nel 1877, dopo aver
superato infiniti ostacoli e
notevoli sacrifici economici.
All’epoca le fonderie di statue
colossali erano poche, in tutta
Italia. A Torino comunque, grazie
a tutto il fermento creatosi intorno
all’attività degli scultori, stava
iniziando una grande fioritura di
fonderie artistiche, che sarebbe
sbocciata di lì a poco: Stura,
Rainetto, Fumagalli, Betta e Riva,
Amilcare Menzio… Emilio
abbandona Milano per andare a
perfezionarsi in altre fonderie, con
il tarlo di riuscire a varcare gli
angusti confini italiani. Poco più
che ventenne, nel 1884, si
trasferisce a Torino, chiamato da
Tabacchi. Giusto con la fusione di
alcune statuine di Tabacchi ha
inizio la fortunata carriera
sabauda di Sperati, noto e
apprezzato dai maggiori scultori
del suo tempo per l’insolita
sensibilità nel volgere le opere in
bronzo, «senza tradirne gli intenti
come fa un buon traduttore per
l’opera letteraria». A Torino, per
fondere lavori di grandi
dimensioni, allora si doveva
ricorrere alla Fonderia del Regio
Arsenale, specializzata in armi da
fuoco, in prodotti industriali e di
uso civile. Anche Sperati, in
principio, ha a disposizione il
personale dell’officina regia per
realizzare importanti gettate: ad
esempio quella della statua
equestre del generale Alfonso
Ferrero della Marmora (opera di
Stanislao Grimaldi del Poggetto),
collocata in piazza Bodoni nel
1891. Il primo stabilimento di
Emilio apre nel 1884: si trova in
strada Regio Parco, al numero 36,
e si specializza, appunto, in
fusioni a cera persa. Da qui la
vicenda di Sperati diviene
frenetica e sempre più ambiziosa.
Anche la richiesta borghese di
bronzetti “da camera” (realizzati
sovente con una perizia sublime)
non gli lasciava requie,
rendendolo famoso e ricercato.
Umberto I, che ammira oltremodo
il lavoro del nostro fonditore, lo
nomina Cavaliere della Corona
d’Italia. Una commissione
importante arriva da Calandra ,
che gli affida la fusione del
Monumento al Principe Amedeo
di Savoia Duca d’Aosta (il lavoro,
per motivi tecnici, verrà però
EMILIO SPERATI
terminato dal fonditore Pietro
Lippi di Pistoia). Sperati inizia
così i lavori per ingrandire gli
impianti della sua fonderia, per
essere in grado di realizzare
qualsiasi tipo di monumento; nel
1892 afferma che la sua fonderia
conta un complessivo di forni
all’ultimo modello che possono
sopportare ben quindici tonnellate
di bronzo. Con l’arrivo ufficiale
dell’Art Nouveau in Italia, nel
1902, all’Esposizione
Internazionale d’Arte Decorativa
Moderna di Torino, la fama di
Sperati varca i confini nazionali
e il fonditore decide così di
“colonizzare” la Russia zarista.
La scintilla scocca proprio dopo la
chiusura della mostra torinese,
allorché Emilio risulta selezionato
– da una commissione russa
inviata in occidente – quale il più
idoneo a fondere il Monumento
allo Zar Alessandro III di San
Pietroburgo, per il quale si è
aggiudicato il concorso il principe
Paolo Troubetzkoy.
Nel 1903 Sperati si trasferisce a
San Pietroburgo, dove non esita
a impiantare uno stabilimento,
intralciato da immense difficoltà,
dovute soprattutto alla natura
paludosa del terreno, non
abbastanza solido da permettere
la fusione in terrapieno.
Mentre si fanno sempre più aspre
le agitazioni e le lotte sociali già
in corso da anni contro
l’assolutismo imperiale, nel
gennaio 1905, Emilio si trova
nel bel mezzo del primo tentativo
rivoluzionario: la sua officina
rimane incendiata e distrutto
il modello del monumento,
mentre Troubetzkoy, appartenente
alla nobiltà, deve fuggire.
Solo l’anno dopo Sperati può
ricostruire un’altra officina
e portare a termine la fusione
del monumento, che gli procurerà
molti elogi e l’onorificenza
dell’Ordine di Sant’Anna.
Traumatizzato soprattutto
sul piano fisico ed economico,
rientrato nella più posata Torino,
il fonditore sceglie di abdicare,
abbandonando i grandi lavori,
dedicandosi solo più ai suoi
finissimi bronzetti e trovando
svago nella pittura, oltreché
nel collezionismo d’arte.
Nella pagina a fianco
Ugo Miniati
(Firenze, 1871 - ?)
Gruppo, bronzo
32,5 x 38 x 40 cm
100
Due diversi timbri della fonderia
e il particolare di una carta intestata
INDICE DEGLI AUTORI
Alloati, Adriano, 92
Audagna, Virgilio, 50
Baglioni, Umberto, 74
Balzardi, Angelo, 46
Baroni, Eugenio, 48
Beltrami, Nillo, 72
Biscarra, Cesare, 24
Bistolfi, Leonardo, 28
Calandra, Davide, 16
Canonica, Pietro, 32
Cellini, Gaetano, 34
Ceragioli, Giorgio, 42
Chissotti, Giovanni, 84
Ducato, Piero, 82
Ferrabini, Giovanni, 88
Formica, Claudia, 94
Fumagalli, Celestino, 26
Garelli, Franco, 90
Giansone, Mario, 66
Giorgis, Giacomo, 44
Guerrisi, Michele, 64
Lorenzoni, Pietro, 86
Mastroianni, Umberto, 76
Monti, Michelangelo, 36
Musso, Emilio, 70
Riva, Giovanni, 60
Rubino, Edoardo, 20
Saglietti, Angelo, 58
Santiano, César, 38
Sperati, Emilio, 98
Stagliano, Arturo, 22
Tabacchi, Odoardo, 14
Terracini, Roberto, 54
Tinto, Ettore, 68
Vela, Vincenzo, 12
102
La Galleria Matteotti, al suo debutto ufficiale con questa mostra, raccoglie
idealmente il testimone dalla Galleria Bottisio di cui occupa gli storici locali,
abituale luogo di incontro di intere generazioni di collezionisti torinesi.
Un ringraziamento particolare a
Santo Alligo, Andrea Barin, Sergio Bernardis, Franco Borga, Lorena Cascino,
Massimo Circosta, Salvatore Conidi, Lalla Darò, Luca Fiorentino, Massimiliano
Fiorio, Salvatore Liistro, Plinio Martelli, Raffaele Mondazzi, Adriano Olivieri,
Carlo Pizzorno, Laura Saglietti, Paolo Schmidlin, David Terracini.
Questo catalogo segue altri tre precedenti lavori dell’autore sull’argomento,
rispetto ai quali è in parte debitore: Pigmalione e Galatea. Note di scultura a Torino
1880-1945, Il crepuscolo delle dee. Idealità classica e scultura moderna a Torino 1920-1990
e Chimere. Miti, allegorie e simbolismi plastici da Bistolfi a Martinazzi, tutti pubblicati
da Weber & Weber tra il 2006 e il 2008.
Finito di stampare nel mese di giugno 2015
presso TIPOLITOEUROPA, Cuneo
La febbrile Torino fin de siècle, pronta a contendere a Parigi il primato di
capitale della scultura e delle arti decorative, si apre alla modernità del
Novecento... Un arco cronologico di cento anni, esaminato attraverso le
opere dei suoi artisti più rappresentativi.