DA BISTOLFI A MASTROIANNI Cent`anni di scultura torinese
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DA BISTOLFI A MASTROIANNI Cent`anni di scultura torinese
DA BISTOLFI A MASTROIANNI Cent’anni di scultura torinese Galleria Matteotti DA BISTOLFI A MASTROIANNI DA BISTOLFI A MASTROIANNI Cent’anni di sculturatorinese torinese Un secolo di scultura A cura di Umberto Brusasca Mario Opezzo Testi di Armando Audoli Galleria Matteotti Indice DA BISTOLFI A MASTROIANNI Cent’anni di scultura torinese 18 giugno - 24 luglio 2015 Grafica Claudio Ruffino Crediti fotografici Gabriele Gaidano Tea Giobbio Plinio Martelli Gianluigi Latino Enzo Russo Stampa Tipolito Europa Galleria Matteotti corso Matteotti 2/A www.galleriamatteotti.it p. 5 Qualche nota sulla scultura moderna a Torino di Armando Audoli 13 Opere in mostra 97 Appendice 102 Indice degli autori QUALCHE NOTA SULLA SCULTURA MODERNA A TORINO ARMANDO AUDOLI Le opere presentate in mostra costituiscono alcuni esempi significativi della parabola storico-artistica della moderna scultura torinese: si tratta di un arco cronologico teso all’incirca tra la metà dell’Ottocento e gli anni Sessanta del secolo scorso; ossia tra l’avvicendamento di Odoardo Tabacchi a Vincenzo Vela, quale titolare della cattedra dell’Accademia Albertina, e l’inizio dei festeggiamenti per il centenario dell’unità d’Italia, coronato dall’Esposizione Internazionale del Lavoro del 1961, meglio conosciuta come “Italia ’61”. In mezzo, a livello di rassegne nazionali e internazionali, Torino visse almeno altri quattro eventi decisivi: le esposizioni generali italiane del 1884 e del 1898 (quest’ultima ospitò con successo la prima mostra dei bronzi artistici fusi da Emilio Sperati), l’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna del 1902 e l’Esposizione Internazionale delle Industrie e del Lavoro del 1911 (per la quale vennero edificati, tra l’altro, il ponte monumentale “Umberto I”, con i gruppi di Cesare Reduzzi e Luigi Contratti, e lo Stadium, allora uno dei più grandi complessi polifunzionali a livello mondiale, ornato dai colossali gruppi equestri in cemento di Giovanni Battista Alloati). In questo periodo Torino fu una città davvero importante per l’arte plastica italiana, e a tratti addirittura una capitale europea della scultura. Ci riferiamo, in particolare, a quel delicato frangente che è stato il passaggio dall’Otto al Novecento, allorché la presenza carismatica di alcune personalità d’eccezione, formate in accademia dal magistero di Tabacchi (è sufficiente ricordare Leonardo Bistolfi, Edoardo Rubino, Pietro Canonica e Davide Calandra), rappresentò il motivo principale dell’afflusso in città di giovani pieni di talento, accorrenti dal resto della 4 Nella pagina a fianco Edoardo Rubino e i suoi collaboratori lavorano al gesso monumentale La Danza per l’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna del 1902. Foto E. Balbo Bertone di Sambuy Da sinistra Giovanni Battista Alloati nel suo studio parigino, 1900 Due gruppi in cemento dell’artista per lo Stadium di Torino, 1911 5 Leonardo Bistolfi, La Giovinezza, 1899-1907, marmo. Particolare del monumento funebre a Tito Orsini nel Cimitero di Staglieno a Genova 6 penisola e dal mondo intero per frequentare gli studi dei nostri scultori o per iscriversi all’Albertina, dove fino a poco prima aveva imperato il classicismo risorgimentale di Vela. Un punto saliente non secondario nell’incoraggiare tale fioritura plastica fu – inoltre – la presenza di notevoli fonditori d’arte, personaggi ambiziosi e appassionati, ossessionati dalla tenuta qualitativa del loro lavoro (un nome su tutti: il citato Sperati). Così la febbrile Torino fin de siècle si trovava sulla ribalta internazionale, pronta a contendere a Parigi il primato di capitale della scultura e delle arti decorative. Ricordiamo giusto due episodi, per intenderci. Il Grand Palais parigino venne messo in piedi, nel giro di un paio d’anni, in occasione dell’Exposition Universelle del 1900, la bagarre mondiale che elettrizzò il mondo intero e che battezzò con clamore inaudito il secolo neonato. Un fenomeno mediatico globale, diremmo oggi. I lavori di decorazione del palazzo spettarono agli architetti Albert Thomas (1847-1907), Henri Deglane (1855-1931) e Albert Louvet (1860-1936), i quali convocarono – tra i collaboratori per le parti plastiche – un solo scultore straniero. Era un torinese, si chiamava Giovanni Battista Alloati (1878-1964) e in patria si era già distinto nell’ideazione di curiosi oggetti d’uso quotidiano, concepiti in un precoce stile liberty. Oltre a rappresentare una fulgida promessa del simbolismo di casa nostra, Alloati poteva considerarsi l’antenato di un odierno designer. Non a caso, l’Exposition del 1900 segnò un punto d’arrivo proprio all’interno dell’accesa querelle sulle arti decorative, volta a infrangere una volta per tutte la barriera fra arti “belle” e arti “applicate”; in questo dibattito estetico-sociale non esitarono a buttarsi a capofitto (tra gli altri) anche Bistolfi, Rubino, Fumagalli e Ceragioli. A Parigi il giovane Alloati entrò in stretto contatto con Auguste Rodin, un mito assoluto per tutti i plasticatori di quella generazione. Secondo episodio: in seguito all’Exposition Universelle, Rodin – per tramite dell’ormai parigino Alloati – strinse amicizia con il critico e poeta crepuscolare Giovanni Cena, che nel giro di un anno si fece in quattro, insieme all’attivissimo amico Rubino, per organizzare una festa e un banchetto1 in onore del genio francese. La festa sabauda ebbe luogo al Circolo degli Artisti, il 25 ottobre 1901, e in quella circostanza Auguste, in viaggio per Carrara, si recò ad ammirare Il Dolore confortato dalle Memorie2 di Bistolfi, il superbo altorilievo per il monumento sepolcrale della famiglia Durio3. Di colpo Torino si consacrò come privilegiato centro italico di ricezione dell’opera e dello spirito rodiniani. Oltretutto l’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna del 1902, che ebbe una gestazione a dir poco travagliata, sarebbe stata già in programma nel 1899 (quindi Torino avrebbe dovuto addirittura battere sul tempo Parigi); ipotizzata poi per il 1901, si tenne invece nel 1902, sia perché l’anno precedente fu funestato dal regicidio di Monza, sia perché per il ’902 era prevista anche l’Esposizione di Belle Arti alla Promotrice. Da sinistra Umberto Mastroianni e Luigi Comazzi, 1950 ca. Guerrisi nel suo studio con il modello della Venere per la fontana della piazzetta della Società Anonima di Assicurazioni di Torino, 1954 ca. Abbiamo accennato all’importanza che ebbe l’avvento di Tabacchi all’Albertina per le sorti della moderna scultura torinese, avvento comunque fortemente sostenuto da Vela, dimissionario nel 18674. Quando Tabacchi – docente inarrivabile – lasciò l’insegnamento dopo quarant’anni di servizio, la successione di Bistolfi sembrava cosa scontata, oltreché giusta. Purtroppo, però, non fu così. Nel dicembre del 1905 al casalese fu negata la cattedra all’Accademia Albertina, con l’assurda e retrograda motivazione che l’insegnamento della scultura non poteva essere affidato a un “poeta”5. Il posto lo prese, in mezzo a una ridda di polemiche, il classicista fiorentino Cesare Zocchi6. L’evidente osmosi con il mondo letterario e musicale penalizzò sicuramente Bistolfi, che, con il suo macerato cerebralismo simbolista, si era altresì macchiato di non pochi peccati di penna7. Giustamente la specialista Sandra Berresford ha chiamato in causa le correspondances di Baudelaire, per fare luce su quello che fu il credo bistolfiano per antonomasia: il riavvicinamento di tutte le arti8. La sinestesia, in una parola. L’assimilazione dei linguaggi artistici, operata dai sensi in base alla percezione delle rispondenze intime dei diversi codici espressivi, era stata un’intuizione teorica della scapigliatura, trasmessa da Bistolfi – come un’iniziazione – anche ai suoi “adepti”. Egli, bisogna dirlo con chiarezza, non ebbe mai un rapporto pienamente risolto con Torino, per vari motivi: questioni politiche, estetiche e spirituali. In più, affiliato alla loggia massonica “Dante Alighieri” dal 1885, non era certo gradito alla curia cittadina… Ben altra sorte sarebbe invece toccata, anni dopo, all’influente e diplomatico Rubino, che la cattedra di scultura se l’era conquistata con le unghie e con i denti, tenendosela ben stretta fino alla fine: dal 1917, in principio come aggiunto di Zocchi, poi come titolare, dal 1924 al 1936. Dopo Rubino fu la volta del suo pupillo, Umberto Baglioni, che occupò l’ambìto posto accademico dal 1936 alla pensione. 7 Adriano Alloati, Grande Naiade n. 5 per la fontana interna al cinema Reposi, 1948 8 I vari avvicendamenti alla cattedra di scultura dell’Accademia Albertina sono fondamentali per comprendere, su un piano estetico diacronico, le linee guida che hanno segnato la storia della scultura moderna a Torino. Malgrado ciò, ci sono state comunque delle figure di assoluto rilievo, che si staccarono decisamente dal contesto “istituzionale”. È il caso – per esempio – di Umberto Mastroianni, formatosi nelle botteghe dello zio Domenico e di Michele Guerrisi, due individualità a modo loro straordinarie. Mastroianni mantenne per tutta la vita quella geniale libertà (mentale e formale), che può crescere e librarsi soltanto al di là degli stretti ranghi scolastici. L’energico magnetismo dell’artista laziale ci conduce nel cuore degli anni Trenta, anni in cui – come nei fasti dell’antichità classica – l’architettura e la scultura tornarono ad avere la primazìa sulle altre arti. La statuaria del secondo decennio littorio, dopo l’ibrida fase di transizione degli anni Venti e con la singolare variante sperimentale del futurismo di nuova generazione, non fece altro che tentare di riappropriarsi gradualmente della rimpianta autonomia rispetto alle sofisticate “mollezze” del linguaggio pittorico, rivendicando in pieno la dignità della tonica compattezza scultorea e tornando a esprimersi in modo portentoso, come atto eroico di pura volizione, in un generale ripristino ideologico di valori neolatini e neorinascimentali. Tuttavia gli scultori costantemente attivi a Torino in questi anni nodali erano quasi sempre immuni dagli aspetti più grevi e tronfi dell’arte di regime. Anche nelle opere ufficiali, artisti come lo stesso Rubino maturo, Stagliano, Baglioni, Musso, Riva, Audagna, Saglietti, Tinto, Formica, Zucconi, Castellana, Quaglino, Moscatelli, Orsolini, Borelli, Taverna o Adriano Alloati, si fermavano sempre a un passo dall’adesione incondizionata alla pedante e pesante retorica celebrativa, rivendicando con sensibile pudore le ragioni pacate di un tono molto “sabaudo” e comunque profondamente intimo. Il secondo dopoguerra, dopo il primo che aveva violentemente reciso il cordone ombelicale con la Belle Époque, rappresentò un nuovo insanabile trauma epocale. Fino ad allora portati in palmo di mano e accuditi dal regime di Mussolini, che si era addirittura preoccupato di istituire un Sindacato Nazionale di Belle Arti, i nostri scultori si ritrovarono improvvisamente orfani. Orfani e disorientati, perché intanto cominciavano a giungere anche da noi gli echi spiazzanti delle nuove avanguardie internazionali. C’era chi rimaneva ostinatamente ancorato alla figurazione tradizionale, cercando magari di lavorare per la sempre più fievole committenza privata e per le decorazioni di qualche cinema (pensiamo alle Naiadi e ai fregi di Adriano Alloati per il Reposi, oppure alla figura allegorica in gesso patinato di Tinto per l’Ideal); e c’era poi chi cominciava a cedere alle lusinghe dell’Informel, che intanto stava dilagando nel campo della ricerca pittorica. Ecco così che la rappresentazione della figura umana – protagonista indiscussa di questa vicenda – finì progressivamente per alterarsi fino quasi a dissolversi, irrigidendosi nell’astrazione di geometrie matematiche o disfacendosi nei densi flussi gestuali della matericità informale. Era passato ormai più di un secolo da quando Vela aveva fatto scandalo con il suo rivoluzionario e romantico Spartaco: l’arte plastica sentiva di dover uscire dal flusso della storia per ripiegare e ripiegarsi nella fluidità tutta interiore della coscienza individuale. Arrivati indenni – seppur con fatica – alla vigilia del centenario dell’unità d’Italia (quando si inauguravano ancora monumenti rétro come quello al Fante di Balzardi), gli scultori torinesi stavano per essere travolti dall’intransigenza del Concettualismo e dal suo dispotico “indotto” critico. NOTE 1 2 3 4 5 6 7 8 Su “La Stampa”, che aveva preannunciato la visita di Rodin a Torino (Cronaca, 23 ottobre 1901), venne pubblicato il resoconto del banchetto, tenuto “in una aristocraticissima sala del Circolo degli Artisti, parata di verde pallido ed illuminata di grandi specchi”, alla presenza dell’ambiente artistico torinese quasi al completo (tra gli artisti: Leonardo Bistolfi, Cesare Reduzzi, Pietro Canonica, Edoardo Rubino, Davide Calandra, Cesare Biscarra, Giacomo Cometti, Luigi Belli, Tancredi Pozzi, Lorenzo Delleani, Carlo Pollonera, Giovanni Battista Carpanetto, Carlo Follini, Giovanni Guarlotti, mentre l’assenza di Giacomo Grosso era imputata a un viaggio sudamericano; tra gli intellettuali: Mucchi, Cena, Thovez, Reycend, Graf, Corradino, Camerana). Di Cena e Bistolfi furono i brindisi finali (Arti e Scienze. Ad Augusto Rodin, in “La Stampa”, 26 ottobre 1901). Bistolfi aveva presentato il modello in gesso de Il Dolore confortato dalle Memorie all’Esposizione Nazionale di Torino del 1898. Realizzato tra il 1898 ca. e il 1901, fuso da Fumagalli, il monumento funerario per la famiglia Durio venne inizialmente collocato nel Cimitero di Madonna di Campagna e successivamente traslato nel Cimitero Monumentale di Torino (Campo Primitivo, davanti al nicchione n. 207). Vela lasciò la cattedra e la città amareggiato dall’esito del concorso per il Monumento a Cavour (in piazza Carlo Emanuele II a Torino), vinto dallo scultore senese Giovanni Duprè (1817-1882). Pare che l’esclusione di Bistolfi dall’insegnamento accademico fosse prestabilita e che la scandalosa motivazione ufficiale suonasse così: «Bistolfi è un poeta, non uno scultore!». Enrico Thovez e la sua fronda si mostrarono immediatamente scandalizzati: «La nomina dello Zocchi a professore di scultura nell’Accademia di questa nostra città che ospita da tanti anni e ormai considera come suo cittadino Leonardo Bistolfi […] è tale enormità che desterà infinita sorpresa e profondo dolore non solo a Torino, ma in tutta Italia» (cfr. La Cattedra di Scultura all’Accademia Albertina e la nomina dello Zocchi, in “L’arte decorativa moderna”, Anno II, n. 7, 1905, pp. 211-214). Si vedano anche le veementi proteste scritte degli artisti torinesi e degli allievi dell’accademia Albertina, pubblicate sempre da Thovez su “L’arte decorativa moderna” (Anno II, n. 8, 1906, p. 254). Cesare Zocchi (1851-1922) vinse con 56 voti favorevoli, contro i 54 di Bistolfi: il solido ma convenzionale mestiere di Zocchi doveva sembrare più “rassicurante” rispetto al genio visionario di Bistolfi, soprattutto in un’ottica pedestremente scolastica. Il 18 gennaio 1909, sulle pagine de “Il Secolo”, Bistolfi «uscì in una delle pochissime autodifese a noi note, in cui contestò la critica che gli fu mossa di fare della ‘letteratura’ e sostenne, all’opposto, di ideare le sue sculture plasticamente, attraverso la forma e mai divise da essa». Cfr. S. Berresford, Bistolfi e il “Bistolfismo”, in R. Bossaglia e S. Berresford, Bistolfi 1859-1933. Il percorso di uno scultore simbolista, Casale Monferrato, Piemme, 1984, p. 21. Cfr. Sandra Berresford, Op.cit, p. 177. 9 OPERE IN MOSTRA VINCENZO VELA (Ligornetto, 1820 - Mendrisio, 1891) V Il classicismo purista di Vela via via si irrobustisce, si tormenta d’improvviso, agitato da fermenti rivoluzionari e romantici Spartaco ante 1890 gesso, h. 63 cm 12 incenzo, nativo del Canton Ticino, inizia a lavorare a nove anni come scalpellino nelle cave di Besazio e Viggiù. Nel 1832 lo troviamo a Milano, nella corporazione dei marmisti del Duomo. Qui frequenta l’Accademia di Brera ed è introdotto nello studio del carrarese Benedetto Cacciatori. Come molti scultori della sua generazione, il Vela degli esordi è profondamente influenzato dallo stile di Lorenzo Bartolini; tale influsso è evidente, per esempio, in una statua “purista” come La preghiera del mattino, commissionatagli nel 1846 dal conte Giulio Litta. Tra il 1844 e il 1846 giungono i primi grossi incarichi su committenza privata, quali la tomba di Maddalena Adami Buozzi e il Monumento al Vescovo Luvini, lavoro col quale diventa una vera star negli ambienti artistici milanesi. Nel 1847 si reca a Roma e qui stabilisce un sodalizio con Adamo Tadolini, Pietro Tenerani e Giovanni Dupré. Il naturalismo dominante in questo “cenacolo” lo spinge a cercare un nuovo vigore plastico, più realista e romantico, che deflagra appieno nello Spartaco, capolavoro iniziato a Roma nel 1847. La versione primaria in marmo, scolpita per il Duca Antonio Litta (ora conservata nell’atrio del palazzo civico di Lugano), verrà completata solo nel 1850 e poi esposta a Brera nel 1851, poiché nel 1848 l’artista, civilmente molto impegnato, ha preso parte alla guerra svizzera del Sonderbund; sempre nel 1848 combatte, volontario, nelle cinque giornate di Milano. Lo Spartaco, alla luce dell’assoggettamento della Lombardia all’Austria, appare un’opera politica e provocatoria, così Vincenzo decide di riparare momentaneamente a Ligornetto. Nel 1850 riceve l’ordine di realizzare, insieme al fratello Lorenzo, le sculture per la cappella della Villa dei Borromeo d’Adda ad Arcore. Nel 1852 produce la statua Desolazione, per gli esuli fratelli Ciani. Nel 1852 giunge a Torino e nel 1856 diventa professore di scultura all’Accademia Albertina, incarico che mantiene fino al 1867, quando lascerà la città amareggiato dall’esito negativo del concorso per il monumento a Cavour (vinto da Dupré). In questo periodo la carriera di Vela prosegue con il gruppo marmoreo Le regine Maria Teresa e Maria Adelaide (1861, Torino, Chiesa della Consolata), pieno di dettagli minuti d’una finezza squisita. Il suo folgorante marmo Gli ultimi giorni di Napoleone (Versailleis, Château), scolpito a Torino nel 1866 e presentato all’Esposizione Universale di Parigi del 1867, riscuote un successo clamoroso, consacrando definitivamente Vela sulla ribalta europea. Nel 1882, in occasione dell’apertura del Gottardo, esegue l’altorilievo Le vittime del lavoro, brano drammatico e “pittorico” di alto impegno sociale. Gran parte della sua produzione è raccolta nel Museo Vincenzo Vela di Ligornetto. ODOARDO TABACCHI (Ganna, 1831 - Milano, 1905) I Il magistero di Tabacchi ha formato, a Torino, generazioni di scultori: Calandra, Bistolfi, Canonica e Rubino sono la sua migliore progenie Arnaldo da Brescia 1890 ca. bronzo, h. 56,5 cm Fusione Emilio Sperati 14 l quattordicenne Odoardo si iscrive all’Accademia di Brera per seguire i corsi di Benedetto Cacciatori e contemporaneamente studia con Abbondio Sangiorgio. Nel 1858 vince il Pensionato Triennale di scultura che gli consente di recarsi prima a Firenze (qui realizza Il pianto degli angeli, la sua prima opera famosa), poi a Roma nel 1860 e a Napoli nel 1861. Dopo aver lavorato con Pietro Magni e Giovanni Strazzo, rientra a Milano e apre uno studio proprio. Insieme ad Antonio Tantardini, vince il concorso per il Monumento a Camillo Benso di Cavour a Milano. Tra il 1863 e il 1867 crea le statue di S. Maria Egiziaca e S. Dorotea per il Duomo di Milano, insieme alle figure storiche (tra le quali spicca il Dante) per la Galleria Vittorio Emanuele II, sempre a Milano. Nel 1866 scolpisce in marmo l’Arnaldo da Brescia, lavoro che godrà di notevole fortuna anche nelle sue più tarde varianti bronzee. Tabacchi non trascura le commissioni private, specialmente in ambito funerario, come l’Angelo della Giustizia e l’Angelo Guardiano per il Mausoleo Ponti di Gallarate a Varese (1867). Nel 1867 espone a Parigi il grande gruppo in marmo Ugo Foscolo dopo il trattato di Campoformio, uno dei suoi capolavori. Nel 1867-68, dopo le dimissioni di Vincenzo Vela, diventa professore di scultura all’Accademia Albertina di Torino, dove insegnerà per quarant’anni. L’arrivo di Tabacchi a Torino è un’autentica rivoluzione per la scultura piemontese, l’inizio di un definitivo rinnovamento postrisorgimentale; l’artista, che aveva uno straordinario talento pedagogico, conferisce un prestigio internazionale alla prima cattedra di scultura cittadina, formando personalità del calibro di Bistolfi, Calandra, Canonica e Rubino. Dagli anni ’870 Odoardo è talmente sostenuto dalla critica che gli vengono assegnate importanti commissioni pubbliche, anche senza gara (per esempio, a Fermo, le statue di Giacomo Leopardi e Annibal Caro, entrambe del 1884). Negli stessi anni si dedica alla scultura di genere e in particolare alle figure femminili, assai gradite al collezionismo borghese: La Pery, Hypatia, La Débardeuse, Mosca cieca, Mascherina, Cicca-cicca, Tuffolina… Quest’ultima, presentata la prima volta a Napoli nel 1877 (acquistata da Vittorio Emanuele II, oggi al Museo di Capodimonte), ottiene in breve un successo mondiale inimmaginabile, tanto che solo in Argentina se ne tireranno complessivamente addirittura un migliaio di esemplari, tradotti nei materiali più diversi. Nel 1880, alla Promotrice di Torino, lo scultore ripropone il suo Arnaldo da Brescia (“gesso colossale da fondersi in bronzo”, in parte modificato rispetto alla versione del 1866), vincitore del concorso per il monumento nell’omonima città lombarda, inaugurato il 14 agosto 1882. DAVIDE CALANDRA (Torino, 1856 - 1915) D Probabilmente il più dotato modellatore piemontese dell’ultimo ventennio dell’Ottocento, Calandra stava al passo con i maggiori scultori europei Fior di chiostro 1884 terracotta, h. 45 cm 16 avide nasce in una famiglia colta e agiata: anche il fratello maggiore Edoardo, che si diletta di archeologia, diverrà noto come pittore e letterato. ). A soli due anni resta orfano della madre. Terminato il liceo, dopo aver frequentato per pochi mesi lo studio dello scultore Alfonso Balzico, si iscrive all’Accademia Albertina e studia con Enrico Gamba e Odoardo Tabacchi. Nel 1878, insieme al padre (avvocato e collezionista) e al fratello, scopre la necropoli barbarica di Testona, nei pressi di Moncalieri. Nel 1881 è a Parigi con Edoardo, per compiervi studi artistici. Nel 1882 espone Cuor sulle spine alla rassegna annuale della Promotrice delle Belle Arti; alla fine dello stesso anno presenta il marmo Tigre reale al Circolo degli Artisti (l’opera verrà riproposta al Glaspalast di Monaco di Baviera, nell’esposizione internazionale del 1883). Il successo arriva con la scultura in marmo Fior di chiostro, presentata all’Esposizione Generale della Promotrice di Torino nel 1884 e subito acquistata da Umberto I. Membro della Giunta Superiore delle Belle Arti in Roma dal 1893 al 1912; nel 1896 viene eletto Consigliere Comunale di Torino; dal 1898 è membro effettivo della commissione di ornato e membro della commissione conservatrice dei monumenti d’arte e antichità per la Provincia; nel 1912 è nominato presidente della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti. Autore del Monumento a Giuseppe Garibaldi di Parma (1893), dello straordinario Monumento al Principe Amedeo di Savoia Duca d’Aosta di Torino (1902), del Monumento a Giuseppe Zanardelli di Brescia (1909), del Fregio dei Fasti Sabaudi per la nuova aula del Parlamento di Roma (1911), del Monumento a Umberto I a Villa Borghese (terminato da Rubino), del Monumento al Generale Mitre a Buenos Aires, realizzato in collaborazione con Rubino. Autore inoltre di numerosi monumenti sepolcrali, di medaglie, busti e piccoli bronzi, espone alle rassegne della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino dal 1879 (Ritratto di donna) e al Circolo degli Artisti della stessa città dal 1880 (busto di S.M. il Re Umberto I e Catamantaledes Testa di guerriero gallo); alla Permanente di Milano e all’Esposizione di Venezia nel 1885 (Cheik-Ibrahim); a Mentone e alla promotrice di Genova nel 1886 (Erhalla); all’Esposizione Nazionale di Palermo nel 1891 (L’aratro); alla VIII Esposizione Internazionale di Venezia nel 1909 (Il pensieroso e L’auriga). Il gruppo equestre in bronzo Il conquistatore, commissionato nel 1902 dal senatore Michele Chiesa e presentato alla V Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia nel 1903, si trova oggi presso la Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, insieme ai marmi Cuor sulle spine e Fior di chiostro. La gipsoteca di Savigliano conserva gran parte della sua produzione. DAVIDE CALANDRA La Carmen di un altro allievo di Tabacchi, il francese Emmanuel Villanis (1858-1914) Nella pagina a fianco Carmen 1890 ca. bronzo, h. 28 cm Fusione Emilio Sperati 18 Davide Calandra, Fanciulla con i capelli raccolti, 1890 ca., bronzo. Fusione di Emilio Sperati Davide Calandra, bozzetto per Carmen, 1880-1885, terracotta. Gipsoteca Davide Calandra, Savigliano EDOARDO RUBINO (Torino, 1871 - 1954) D Artista di una finezza straordinaria, Rubino ha un gusto tutto proprio per la composizione e ama le linee tracciate «con docile incanto» [Fanciulla] 1900 ca. bronzo, h. 38 cm Fusione Emilio Sperati 20 i famiglia modesta, il giovane Edoardo frequenta corsi serali di plastica ornamentale tenuti da Luigi Belli e in un secondo tempo si iscrive all’Accademia Albertina, dove è allievo di Odoardo Tabacchi. I primi lavori di Rubino sono intrinsecamente legati al gusto dell’arte applicata: fregi, targhe, elementi decorativi in legno e in altri materiali sperimentali. Collaboratore dell’atelier di Bistolfi, egli si accosta progressivamente allo stile simbolista e art nouveau del genio casalese, iniziando a ottenere importanti commissioni. Nel 1898, per l’Esposizione Nazionale di Torino, realizza le figure ornamentali per la Fontana dei Mesi, ideata dall’architetto Carlo Ceppi, esegue la statua allegorica della Dora e, insieme a Cesare Biscarra, i gruppi raffiguranti La Guerra e La Pace (non più in loco). Nel 1901 conosce Auguste Rodin, in visita a Torino. Per l’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna del 1902 modella i grandi gruppi di danzatrici, da collocarsi sulla cupola centrale della Rotonda. Si aggiudica inoltre, benché fuori concorso, la medaglia d’oro per le statue La Pittura e La Scultura, posizionate all’ingresso della mostra stessa. Nel fermento dei primi anni del Novecento realizza numerosi monumenti celebrativi: a Umberto I ad Aosta (1903), a Alessandro Vittoria a Trento (1919-1926), a Umberto I a Roma (inaugurato nel 1927), al Generale Mitre a Buenos Aires (1907-1927), commissione vinta per concorso insieme a Davide Calandra. È autore di monumenti funebri, di grandi e piccoli raffinatissimi bronzi “da camera”, di opere decorative come l’interno della confetteria Baratti & Milano (1909), perfezionato con la collaborazione di Giulio Casanova. Torino custodisce importanti opere di Rubino, quali i monumenti a Casimiro Teja (1903), a Edmondo de Amicis (1903) e a Federico Sclopis (1905), il Monumento al Carabiniere (1933) e il Faro della Vittoria, la cui parte plastica beneficiò di un significativo contributo dell’allievo Aurelio Quaglino e il cui basamento è ancora una volta frutto del felice apporto di Casanova. Accademico di San Luca, insegna all’Albertina dal 1917, da principio come aggiunto alla cattedra di Cesare Zocchi, poi come titolare, dal 1924 al 1936. Partecipa alle rassegne della Promotrice di Belle Arti di Torino dal 1891. Espone anche a Venezia nel 1903, nel 1905, nel 1912 e nel 1942 (mostra personale alla Biennale), e a Monaco di Baviera nel 1913. Nel 1921 espone alla Prima Biennale di Roma. Sue opere sono conservate nella Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino (Costume di Gressoney, 1899; Giovinetta di Nazareth, 1902; Eva), alla Galleria d’Arte Moderna di Vicenza (Adolescente), nella collezione delle Raccolte Frugone di Genova-Nervi (Risveglio) e nella Galleria d’Arte Moderna di Roma. ARTURO STAGLIANO (Guglionesi, 1867 - Torino, 1936) A Dalle iniziali cadenze liberty, la scultura di Stagliano muove rapidamente verso un rodinismo più sciolto, pieno di riferimenti classici Adelina 1904 marmo, h. 48 cm Opera esposta alla Società Promotrice delle Belle Arti di Torino nel 1904 22 llievo di Domenico Morelli all’Istituto di Belle Arti di Napoli, nel 1899 Arturo si trasferisce con la famiglia ad Anacapri (si era sposato agli inizi degli anni ’890 con Giuseppina Del Giudice). In questo periodo si dedica esclusivamente alla pittura e all’attività di medaglista. Ma le frequentazioni estive con Bistolfi, in vacanza ad Anacapri a inizio secolo, fanno insorgere in lui una passione per la scultura tale che, nel 1904, egli decide di trasferirsi a Torino per diventare collaboratore fisso nell’atelier dello stesso Bistolfi. La prima opera esposta ufficialmente nella città sabauda è subito un capolavoro: si tratta di un ispirato busto femminile in marmo, intitolato Adelina e presentato alla Società Promotrice delle Belle Arti nel 1904. Nel 1905 esegue la medaglia commemorativa offerta dalla città di Casale Monferrato al suo illustre cittadino Bistolfi, a memoria del successo da questi riportato alla Biennale di Venezia. L’amicizia tra i due artisti è anche testimoniata dal nome di Leonarda, attribuito da Stagliano alla sua ultimogenita, tenuta a battesimo nel 1907 dall’amico e maestro, che nel 1923 sarà anche testimone di nozze della secondogenita. Rimasto vedovo nel 1909, si risposa con Anna Richert nel 1917. Autore dei monumenti a Sant’Anselmo d’Aosta (1909) e a Giovanni Govone ad Alba (1929, distrutto nel 1941), esegue inoltre i Monumenti ai Caduti di Alba (1924), Treviso (1926), Novara (1926) e l’Ossario ai Caduti di Cuneo (1934). Nel 1933 partecipa al concorso per il monumento a Emanuele Filiberto Duca d’Aosta a Torino. Espone alla Promotrice delle Belle Arti di Napoli dal 1887; alla Promotrice delle Belle Arti di Torino dal 1904 al 1931 (con una pausa tra il 1918 e il 1928); alle mostre del Circolo degli Artisti nel 1918, 1920, 1921 e 1925. Premiato nel 1911 alla Mostra Internazionale di Rivoli, nel 1923 espone alla Quadriennale di Torino un Ritratto di Signora. Alla Sindacale di Torino del 1929 presenta il Fauno, saggio rodiniano tra i più rappresentativi. Suoi bronzi sono conservati a Torino, nella Galleria Civica d’Arte Moderna e Contempotanea (Il serparo e Nudo di donna) e nella Galleria Sabauda (Le vittorie), oltreché a Novara (Fauno e Maternità, Galleria d’Arte Moderna). Perfezionista a dir poco maniacale, disegnatore di straordinaria incisività (ha illustrato alcune splendide copertine in stile liberty), Stagliano è altresì autore di numerosi monumenti funerari e ha realizzato raffinati arredi con inserti in metallo, esposti a Monza nel 1923. Verso la metà degli anni ’930 – esasperato dall’essere ingiustamente ritenuto un bistolfiano fuori moda – viene colto da un’acuta crisi depressiva, finché il 28 febbraio 1936 si getta sotto un carrozzone tranviario. CESARE BISCARRA (Torino, 1866 - 1943) C Il naturalismo bozzettistico di Biscarra si esprime con un particolare garbo e con un modellato pronto, riassuntivo, vibrato [Gruppo] ante 1915 bronzo 49 × 50 × 40 cm Già Collezione Elena Falco Marisaldi 24 esare, figlio del noto pittore Carlo Felice, studia all’Accademia Albertina di Torino con Odoardo Tabacchi, e poi Giulio Monteverde. Nel 1898 esegue, in collaborazione con l’amico Edoardo Rubino, alcune statue allegoriche per La Fontana dei Mesi del Valentino, ideata da Carlo Ceppi. Apprezzato scultore funerario e affermato animalier (versato in modo particolare nell’esecuzione di cani da caccia), è presente alle mostre del Circolo degli Artisti di Torino dal 1885 e alle rassegne della Società Promotrice delle Belle Arti della stessa città dal 1891, anno in cui presenta con successo il gruppetto La prima midaia. Espone a Londra e a Bologna (L’Innominato) nel 1888, alla Triennale dell’Accademia di Brera nel 1894 (Una scoperta archeologica), a Firenze (Via, via ché tardi!) nel 1896-1897. Tra il 1899 e il 1901 viene introdotto nell’atelier di Bistolfi. Presenzia alla Quadriennale di Torino nel 1902 (Ritratto e Pietà), espone a Londra nel 1904, alla Biennale di Venezia nel 1905 (Medina, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino). Ancora a Venezia nel 1907 e nel 1910, è poi a Roma e a Napoli nel 1921 (Soldato ferito e Ardito), e ad Alessandria nel 1922. Nuovamente alla Biennale di Venezia nel 1924 (Consiglio esperto), a Roma nel 1929 (I marinai di Mogadiscio) e nel 1931 (Cammello, Elefante e Donna somala). È autore di numerose opere pubbliche, tra le quali vanno ricordate il Monumento alla Guida alpina Felice Ollier di Courmayeur (1903), il busto di Francesco Gallo a Fossano (1908), il Monumento al tenente Barberis di La Morra (1912), e ancora i monumenti ai Caduti di Baveno, ai Fratelli Ruffini di Taggia, a Fraschetti di Borgosesia (1914), ad Ascanio Sobrero di Torino (quest’ultimo realizzato insieme a Giorgio Ceragioli). Dal 1926 si trasferisce per alcuni anni in Somalia, dove – nel 1928 – realizza il Monumento ai pionieri di Mogadiscio. Biscarra è artista oggi assai apprezzato da un collezionismo colto e “di nicchia” per i suoi gruppi e per la sue scene di genere, sempre vivaci e ben risolte, caratterizzate da un vibrante gusto pittorico. Il modellato dello scultore è contraddistinto da una morbidezza straordinaria, da una sorta di “flautato” plastico declinato attraverso infinite e sottili modulazioni della superficie, che infondono alla materia un dinamismo quasi coloristico. CELESTINO FUMAGALLI (Torino, 1864 - Milano, 1941) F Artista raffinato, Fumagalli incarna in modo esemplare il passaggio, sovente ibrido e graduale, dall’estetica scapigliata a quella simbolista [Centrotavola] ante 1910 bronzo 31,5 × 40 × 25 cm 26 iglio di un importante argentiere (Enrico, uomo oltremodo forte e carismatico), Fumagalli – anche orafo e fonditore – si dimostra subito un cesellatore d’eccezione. Ragazzo dal carattere dolce, timido e morbosamente sensibile, Celestino si forma all’Accademia Albertina di Torino e frequenta assiduamente l’atelier di Leonardo Bistolfi, presso il quale lavorerà a lungo. Qualche torinese particolarmente attento lo ricorda quale autore del pesantissimo Genio alato, collocato originariamente sulla guglia della Mole Antonelliana, ma subito piegato da un furioso temporale e sostituito con la più leggera e anonima stella. Oggi il cosiddetto “angelone” è inserito nell’ammirato allestimento del Museo Nazionale del Cinema di Torino. Fumagalli è autore, tra l’altro, del Monumento al Beato Cottolengo di Bra (1902) e di quello ai caduti di Pinerolo. Espone a Torino alle rassegne della Promotrice delle Belle Arti dal 1890 e al Circolo degli Artisti dal 1893; partecipa anche alla Triennale dell’Accademia di Brera nel 1894 (Le tre Grazie e Attentato). Nel 1896-1897 è a Firenze, mentre nel 1902 porta alla Quadriennale di Torino un lavoro d’impegno: La Carità. Importante la sua presenza alla Biennale di Venezia, nel 1914, quando era segretario generale l’onorevole Antonio Fradeletto. Importante la sua cospicua attività nel campo della scultura funeraria, della quale il Cimitero Monumentale di Torino ospita numerosi esempi, come lo splendido altorilievo Talmone del 1907, sito all’interno del crematorio. Nella Galleria d’Arte Moderna di Torino è conservata l’opera Libellula (bronzo, 1906), vero gioiello art nouveau, di cui esiste una strepitosa variante in forma di centrotavola e fusa in argento; alla Galleria d’Arte Moderna di Milano sono custoditi tre bronzi ascrivibili ancora al clima dell’ultimo verismo “scapigliato”: La lattaia, Bele caude (ispirata venditrice di castagne in bronzo, presentata nel 1891 alla 50a Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino) e Il guerriero. Chiudiamo con una nota di Marco Rosci, che osserva come Fumagalli, giusto a cavallo tra Otto e Novecento, fosse l’artefice che maggiormente azzardava «ondulazioni decorative nella massa plastica, integrando figurazione e basamento, puntando cioè, più o meno consciamente, nella direzione della statua-oggetto». LEONARDO BISTOLFI (Casale Monferrato, 1859 - La Loggia, 1933) S Le figure simboliste di Bistolfi sono ombre di spettrali crisalidi liberty, larve mentali trasfigurate da una morbosa sensibilità medianica Targa commemorativa per Piero Lucca (Cerere) 1907 bronzo 34 × 53,5 × 9 cm 28 eguendo le orme del padre e dello zio, Leonardo inizia presto a modellare la creta e a intagliare il legno. Il giovane, pieno di talenti, frequenta l’Accademia di Brera e in particolare le lezioni dello scultore Giosuè Argenti. Dopo essersi trasferito a Milano, nel 1876, entra in contatto con gli artisti della Scapigliatura lombarda, cogliendo con sensibilità anche le declinazioni letterarie del movimento. Nel 1879 giunge a Torino, dove segue le lezioni di Odoardo Tabacchi all’Accademia Albertina; apre uno studio, inaugurando la sua prima stagione creativa, di stampo “verista”. Abbonda subito la committenza di opere cimiteriali per le famiglie altolocate di Torino. L’amico poeta Giovanni Cena lo inizia agli ideali artisticosociali di Ruskin e Morris. Oltre alle opere di impianto scapigliato, come Le lavandaie (1882), lavoro rifiutato dalla Promotrice di Torino poiché ritenuto indecente, o come i dinamici Contadinelli (1888), acquistati da Umberto I di Savoia, Leonardo si dedica anche alla ritrattistica commemorativa, di cui ricordiamo i busti di Fontanesi (1883), di Umberto I (1890), di Vittorio Emanuele II (1897). Realizza medaglie, partecipa a concorsi per monumenti celebrativi e si specializza in composizioni funerarie pervase da sentori preraffaelliti e simbolisti. La grande rassegna (ventidue opere) allestita alla Biennale di Venezia nel 1895 segna uno dei vertici della carriera di Bistolfi. Nel 1901 Rodin, in visita a Torino, ammira Il Dolore confortato dalle Memorie, superbo altorilievo sepolcrale realizzato da Bistolfi per la famiglia Durio. Nel 1902 lo scultore è uno dei principali promotori dell’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna di Torino. Nel 1905 espone alla VI Biennale di Venezia, con una personale di grande successo. Nello stesso anno viene scandalosamente bocciata la sua candidatura per la cattedra di scultura all’Accademia Albertina di Torino. Esegue numerosi monumenti civili e pubblici (si pensi al capolavoro dedicato a Segantini: La Bellezza liberata dalla Materia, inaugurato ad Arco nel 1909). Nel marzo del 1908 viene ufficializzato l’incarico per il Monumento a Carducci di Bologna, affidatogli per “chiara fama” e non per concorso. Dopo la Grande guerra si ritira a La Loggia, continuando a lavorare e impegnandosi anche come scrittore e critico. Viene nominato senatore nel 1923 e contemporaneamente è presidente della I Biennale di Arti Decorative di Monza, carica che terrà fino al 1925. Il suo atelier fu una straordinaria fucina di plasticatori: Cometti, Alloati, Biscarra, Santiano, Bianconi, Giribaldi, Campese, Fantoni, Pavesi, Malfatti, Balzardi, Stagliano, Betta, Rubino, Contratti, Giorgis, Riva, ecc. Una parte rilevante della produzione di Bistolfi è custodita nella gipsoteca a lui dedicata a Casale Monferrato. LEONARDO BISTOLFI Leonardo Bistolfi, La Volontà, 1925 ca., modello in gesso Gipsoteca Leonardo Bistolfi, Casale Monferrato Nella pagina a fianco La Volontà (L’Industria) 1925 ca., bronzo, h. 63 cm 30 La Volontà, statua conosciuta anche col titolo L’Industria, rappresenta in modo esemplare la parziale mutazione del simbolismo di Bistolfi avvenuta dopo la Grande guerra e durante i primi anni del ventennio littorio: il turgore delle forme e la monumentalità della figura allegorica hanno un timbro diverso, più carico e solenne, una sontuosità e un’opulenza maggiormente accentuate. Dell’opera si conoscono alcune varianti in bronzo e in marmo, oltre al modello in gesso donato nel 2000 dal nipote dell’artista, Andrea Bistolfi, alla gipsoteca di Casale Monferrato. Un esemplare in bronzo fu esposto a Casale nel 1938, in una mostra retrospettiva promossa dal banchiere Camillo Venesio (1900-1983), fervente estimatore e promotore dell’arte bistolfiana. PIETRO CANONICA (Moncalieri, 1869 - Roma, 1959) P L’estetica quattrocentista di Canonica, talora screziata da venature simboliste, si pone come vera alternativa al bistolfismo L’abisso 1910 ca. bronzo, h. 37 cm 32 ietro entra, appena dodicenne, all’Accademia Albertina, per seguire i corsi di Enrico Gamba e Odoardo Tabacchi. Il ragazzino è dotato, quasi in egual misura, anche di talento musicale. Già nel 1884 collabora con Tabacchi alla tomba Sineo per il cimitero di Torino e nel 1885, aperto uno studio proprio, riceve la commissione di quattro grandi statue in gesso per la chiesa di S. Lorenzo di Villanova (Mondovì). L’esordio ufficiale, datato 1886, avviene alla Promotrice delle Belle Arti; comincia a ottenere i primi successi di critica con i piccoli bronzi dell’Orfanella (per la tomba Bongiovanni nel cimitero di Mondovì), di Ruth (1889, esposto al Circolo degli Artisti di Torino e acquistato dal re Umberto I) e di Dopo il voto (1889, acquistato dalla Galleria Civica di Torino e poi tradotto in marmo, esposto e premiato con menzione onorevole di primo grado al Salon di Parigi del 1893, dove viene comprato dal grande mercante Adolphe Goupil). Egli parteciperà assiduamente alle mostre della Promotrice torinese, mentre dal 1888 esporrà regolarmente al Circolo degli Artisti. I viaggi continui e i trionfi espositivi in Europa fanno di Canonica uno degli scultori più ricercati da nobildonne, principesse e regine, come testimoniano i numerosi ritratti realizzati dallo scultore con superlativa eleganza; su tutti spiccano la Regina Madre d’Italia, la Regina Alessandra d’Inghilterra, Donna Franca Florio, la Contessa von Sierstorpf, la Principessa Doria, l’attrice Lyda Borelli. Nel decennio che va dal 1904 al 1914, l’artista riceve una serie di importanti commissioni per ritratti e monumenti dall’aristocrazia e dalla corte di Russia, dei quali restano diversi bozzetti e alcuni modelli in gesso. Nel 1907 esegue un grande marmo simbolista intitolato L’abisso, di cui esistono delle varianti posteriori sempre in marmo e in bronzo (almeno di due differenti misure). La sua produzione si distingue altresì per importanti monumenti celebrativi, funerari e per ispirate opere a carattere religioso. Durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale, Canonica riprende l’attività di musicista e compositore. Gli ultimi quarant’anni sono caratterizzati da un certo ripiegamento dello scultore su posizioni di prestigio personale tenacemente conquistate. Realizza, ancora, importanti lavori monumentali a livello nazionale e, soprattutto, internazionale. Tra questi ricordiamo: il Monumento alla Repubblica turca sulla piazza Taxim di Istanbul (1928), le statue equestri di Kemal Ataturk ad Ankara e a Smirne (1931), di Re Feisal a Bagdad (distrutta durante la rivoluzione del 1958), di Ismail Kedivé ad Alessandria d’Egitto (1929) e i monumenti a Figueroa Alcorta a Buenos Aires (1935). Gran parte della sua produzione è conservata al Museo Pietro Canonica di Roma, a Villa Borghese. GAETANO CELLINI (Ravenna, 1875 - Torino, 1957) R La plastica di questo artista sofisticato e dalle vaste implicazioni letterarie crea sovente figure enigmatiche, piene di laconico mistero [Figura femminile] ante 1915 bronzo, , h. 50 cm 34 imasto presto orfano, Gaetano frequenta le botteghe del marmista Stefano Furati e dello scultore Attilio Maltoni. Successivamente riesce a iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Ravenna, dove è allievo di Alessandro Massarenti e Arturo Moradei. L’amore per la figurazione cammina di pari passo con quello per la musica, sicché Cellini ha l’opportunità di trasferirsi a Torino, dove entra nell’orchestra del Teatro Regio, ricoprendo prima il posto di terzo, poi quello di secondo trombone. Nella città sabauda, lavora inizialmente all’interno dello studio di Luigi Contratti, e successivamente – come sbozzatore – nello studio di Pietro Canonica. Il giovane, per la sua velocità nel lavorare il marmo, impressiona il maestro. Poco incline a ricevere ordini, si crea subito un proprio atelier; qui si avvale sostanzialmente dell’aiuto di tre allievi: Borelli, Audagna e Petri. L’artista presenzia alle rassegne della Promotrice delle Belle Arti di Torino dal 1900; alla Quadriennale della stessa città, nel 1902, propone una testa in marmo, intitolata Biricchina. Nel 1908 espone Vinta (ora presso la Galleria d’Arte Moderna di Torino) e L’umanità contro il male, già presentata e premiata a Milano nel 1906 e riproposta poi a Buenos Aires nel 1910. In seguito, per questa scultura, riceve dal Ministero della Pubblica Istruzione l’incarico di tradurla in marmo per collocarla alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Già dal 1909 è Socio Accademico dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna e dal 1910 di quella di Milano. Nel 1911 è nella capitale, con Crepuscolo di un sogno. Tra le varie partecipazioni è bene menzionare ancora quelle alla Biennale di Venezia: nel 1909 (Il Giglio e Riflessioni), nel 1910 e nel 1912. Nel medesimo anno esegue il Monumento a monsignor Manacorda, a Fossano. Stimato professore di disegno all’Accademia Albertina, nel 1920 si aggiudica la gara per il Monumento a San Giovanni Bosco. Dal sodalizio con i Padri Salesiani ottiene, inoltre, l’incarico di scolpire una statua del Santo per la città spagnola di Cadice. A Biella, questa volta per la Chiesa di San Giovanni Battista, l’Opera Pia Laicale gli commissiona le formelle in bronzo che illustrano i passaggi fondamentali della vita del Battista. Nel 1921 lo scultore torna a Roma (Testa, bronzo) e nel 1922, invece, concepisce il monumento ai caduti di Carmagnola. Nel 1924, a Monaco di Baviera, vince la medaglia d’oro con due maturi capolavori: L’umiltà e Il tormento. Nel 1925 è proclamato Accademico di San Luca e nel 1930 membro della Congregazione dei Virtuosi del Pantheon di Roma. Nello stesso anno realizza il monumento ai caduti per la attuale Piazza Primo Maggio di Asti, città per la quale modella diversi busti celebrativi da collocarsi nei giardini pubblici. MICHELANGELO MONTI (Milano, 1875 - Torino, 1946) P Monti ama stupire e spiazzare l’osservatore forzando il baricentro delle sue sculture fino ai limiti della stabilità Sigfrido 1913 bronzo, h. 88 cm 36 rimogenito di dieci figli, nato da Giovanni Monti (noto maestro di scherma originario di Casamicciola) e della milanese Celeste Bezzi, Michelangelo studia inizialmente all’Accademia di Brera sotto la guida di Barzaghi, Butti e Bazzaro. Trasferitosi a Torino, nel 1896 si iscrive all’Accademia Albertina per seguire i corsi di Odoardo Tabacchi. Frequenta anche l’atelier di Bistolfi, mantenendo però sempre una certa autonomia stilistica. Dopo un’occasionale presenza d’esordio alla Triennale di Milano del 1894 (Durante l’ammonizione), dal 1898 espone con continuità nelle rassegne annuali e nelle Quadriennali della Promotrice delle Belle Arti di Torino (La trottola, Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice) e, dal 1909, nelle mostre del Circolo degli Artisti della stessa città. Nel 1911 lo troviamo a Rivoli; a Roma nel 1921 alla prima Biennale (L’aquila) e a Napoli (Mostra Nazionale d’Arte dei GrigioVerdi); nel 1923 ancora a Roma (Gioventù); nel 1936 e nel 1939 a Sanremo (Giocatrice di tamburello). Autore di busti, ritratti, monumenti funerari e di eleganti statuette femminili, nel 1910 Monti partecipa con poca fortuna al concorso per il Monumento a Vincenzo Vela di Torino; nel 1911, in occasione dell’Esposizione Internazionale delle Industrie e del Lavoro di Torino, l’artista esegue un gruppo decorativo per il palazzo della musica; nel 1912 porta a termine le statue colossali per il Palazzo della Borsa di Genova e realizza la targa commemorativa del professor Arullini per il Liceo Govone di Alba. Nel 1913 presenta il bronzo Sigfrido al Circolo degli Artisti; l’opera, che sarà riproposta nel 1921 alla già citata Mostra Nazionale dei Grigio-Verdi di Napoli, ritrae il cantante emiliano Giuseppe Borgatti (1871-1950), al tempo uno nostri dei pochi veri tenori wagneriani, interprete di Sigfrido in prima esecuzione italiana nel 1899 al Teatro alla Scala di Milano, sotto la direzione di Toscanini. Di Monti ricordiamo il monumento agli Alpini di Cuneo (1923) e quelli ai Caduti di San Maurizio Canavese, Momo, Castellamonte (1923), Corio Canavese (1923), Pomponesco (1925) e San Francesco al Campo (1925). Nel 1927 esegue il Busto del Conte di Sambuy per i giardini pubblici della stazione a Torino e nel 1936 il Busto di Matteo Olivero per il municipio di Saluzzo. Nella Galleria d’Arte Moderna di Torino è custodita l’opera Ritmo di danza antica, già esposta nella città sabauda nel 1915, mentre le collezioni del Quirinale sfoggiano i bronzi Arabo e Riposo. Ostacolato in vita da un malcelato sentimento antifascista (oltreché da quello addirittura ostentato del fratello musicista), Monti ha scontato un lungo e ingiusto oblio, con la pressoché unica eccezione dell’approfondito studio sistematico di Alfonso Panzetta. CÉSAR SANTIANO (Buenos Aires, 1886 - Torino, 1919) C Sospese tra realismo e simbolismo, le opere di Santiano hanno un insolito “sound” argentino, un’humanitas tutta sudamericana Nudo [Elena Makowska] 1916 bronzo 19,5 × 52,5 × 25,5 cm 38 ésar, privato di ogni risorsa finanziaria, comincia subito a lavorare come scalpellino. Fisicamente dotato, si dedica anche ai “giuochi ginnastici”, diventando in breve maestro di esercizi fisici, nonché lottatore di grido; trova anche impiego in un circo di Buenos Aires come jongleur de force. Nel poco tempo libero coltiva la vocazione artistica e studia disegno sotto la guida dell’italiano Marino Picchioni. In una sera di trionfo, dopo una lotta, Santiano incontra un genovese trapiantato a Buenos Aires, Giovanni Barbagelata, che lo vuole in casa per insegnare ginnastica al figlio. Barbagelata gli offre poi una pensione di sei mesi, perché possa preparare la sua prima opera. Nasce così il Gladiador herido (1908), un marmo di quasi due metri (realizzato in quattro mesi), che viene acquistato dalla città di Buenos Aires per interessamento del dottor Alvear. Mentre lo scultore si trova sotto le armi, viene bandito il concorso per il monumento al generale Mitre di Mar del Plata; la commissione, incantata dal rapido progetto di Santiano, lo proclama vincitore. Subito dopo è bandita la gara per un monumento in onore del presidente Rivadavia e il suo bozzetto si classifica primo, all’unanimità. Il governo argentino spinge la Camera a votare una borsa di studio per i meriti dell’artista; questi rifiuta bizzarramente l’offerta. Decide dunque di partire alla volta dell’Italia. Inizialmente si ferma a Napoli, città dove in breve tempo completa la sua formazione intellettuale. Dopo la breve parentesi partenopea raggiunge Torino con la moglie, nel 1909, attratto dal rinomato atelier di Bistolfi. Nel frattempo esegue i busti delle più note personalità della sua terra residenti in Europa. Autore di monumenti funerari (notevole quello per la famiglia Mosca-Solavaggione, nel Cimitero Monumentale di Torino), ritratti, nudi e opere di genere, espone alla Promotrice delle Belle Arti di Torino dal 1910. Alla grande Esposizione Internazionale d’Arte, tenutasi a Roma nel 1911, presenta il gruppo Sub lumine solis fiat, opera che divide pubblico e critica. Nel 1912 realizza il grande marmo intitolato El hombre y sus pasiones. Nel 1913 è la volta del potente Forza e materia, acquistato dal mecenate Giovanni Ambrosetti. Nel 1915 la diva Elena Makowska (Helena Woyniewicz), cantante lirica e attrice del muto di origini polacche, arriva a Torino per lavorare con la società cinematografica Ambrosio. César, innamoratosi perdutamente, la elegge sua musa d’eccezione. Lo scultore si toglie la vita appena trentatreenne, lasciando sola e disperata la madre, Eugenia Lafalce. Tra i suoi ritratti migliori è ricordato il busto della poetessa alsaziana Silva Romani. Nella Galleria d’Arte Moderna di Milano si conserva il ritratto in bronzo di Maria Sinopoli (1917). CÉSAR SANTIANO César Santiano, Forza e materia, esemplare in bronzo di un modello piccolo Nella pagina a fianco Forza e materia 1918 bronzo, h. 47 cm 40 César Santiano, Forza e materia, 1913 ca., marmo. Collezione privata Nel 1913 il modello di Forza e materia era già sicuramente terminato nello studio dello scultore. L’opera, in un primo tempo concepita come statua per fontana, prendeva spunto dall’omonimo saggio del medico e filosofo tedesco Ludwig Büchner (1824-1899); con il suo capolavoro del 1855, Kraft und Stoff. Empirisch-naturphilosophische Studien, Büchner divenne uno dei maggiori esponenti del materialismo evoluzionistico. Questa scultura di Santiano è fondamentale per capire fino in fondo l’inclinazione filosofica e drammatica del “titanismo” plastico che contraddistingue la migliore produzione simbolista dell’artista argentino. GIORGIO CERAGIOLI (Porto Santo Stefano, 1861 - Torino, 1947) D La scultura di Ceragioli risolve in modo sereno e pacificato l’eterno conflitto tra arti “decorative” e arti “maggiori” [Lanciatore] 1925 ca. bronzo, h. 35 cm 42 i famiglia fiorentina, Giorgio manifesta una precoce predisposizione per l’arte (si rivelerà eccellente pastellista, pittore di qualità, medaglista assai ricercato e autore di pregevolissimi lavori di arte decorativa). Allievo dei Padri Scolopi a Firenze, appena undicenne – all’uscita da scuola – consegna la cartella al fratello e si precipita nello studio dello scultore Ulisse Cambi. A diciotto anni è volontario nell’esercito e vi presterà servizio per nove anni, come tenente dei bersaglieri. Successivamente si trasferisce a Torino, diventando allievo del pittore Jeni e dell’illustre scenografo Augusto Ferri. Partecipa alle rassegne della Promotrice delle Belle Arti di Torino dal 1878. La sua prima affermazione artistica risale al 1886, quando, in occasione del cinquantenario delle gloriose “fiamme cremisi”, è incaricato di realizzare un Bersagliere alla carica, poi conservato nell’Armeria Reale di Torino. Nel 1889 si sposa con Clementina Ferri. Importante, fra le prime commissioni, quella del centrotavola regale per le nozze fra Re Umberto e la Regina Margherita, avvenute nel 1892, anno in cui l’artista decora il Palazzo Marsaglia di Milano. L’anno seguente decora, invece, la Villa Marsaglia di Sanremo. Nel 1898 modella il suo celebre alpino Di qui non si passa, successivamente fuso in bronzo. Nel 1904 gli è affidata l’esecuzione della parte ornamentale del Teatro Regio di Torino e coopera con Giacomo Grosso alla decorazione figurale per il soffitto dello stesso teatro. A Bruxelles, nel 1910, presenta il suo Diorama del Padiglione del Belgio per l’Esposizione Internazionale di Torino del 1911, insieme alla scultura La sorgente (per questa, già esposta a Monaco di Baviera nel 1909, gli verrà assegnato il diploma d’onore e per il Diorama la medaglia d’oro). La sorgente sarà pure ammirata all’Esposizione Internazionale del Centenario Argentino a Buenos Aires. Nel 1911 organizza e decora il Palazzo della Moda all’Esposizione Internazionale di Torino, ottenendo il diploma di alta benemerenza. Presenzia alle Biennali di Venezia dal 1907 al 1912. Nel 1914 esegue il Monumento ad Ascanio Sobrero, in collaborazione con Cesare Biscarra. Nel 1921 è a Napoli con La poesia lirica e a Roma con una suggestiva Medusa; nel 1922, ad Alessandria, porta Risveglio primaverile e L’invito; nel 1927 è a Firenze, con Rinascita primaverile. Il suo bronzo di maggiori proporzioni e impegno resta il grande altorilievo in memoria dei Bersaglieri caduti nella Grande Guerra, concepito per la facciata della Caserma Monte Grappa e inaugurato solennemente nel 1923; nel 1936, in occasione del centenario del corpo militare, l’opera è stata traslata definitivamente in un’aiuola del giardino Lamarmora di Torino. GIACOMO GIORGIS (Peveragno, 1887 - Torino, 1959) U Allievo di Rodin a Parigi e di Bistolfi a Torino, Giorgis recide il cordone ombelicale con i due maestri dopo la Grande guerra La vedetta ante 1925 gesso, h. 46 cm 44 nico fra gli scultori piemontesi della sua generazione, insieme a Giovanni Battista Alloati, Giorgis non si è limitato a sentire per vie indirette l’influsso prepotente di Rodin: la prima formazione di Giacomo, infatti, avviene proprio a Parigi, dove studia per tre anni all’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts, guidato dal genio francese. Ritornato in patria, si iscrive all’Accademia Albertina e nel 1908 risulta nell’atelier di Bistolfi, a fianco del quale starà fino al 1933, anno della morte di quest’ultimo. È la mano di Giorgis che porta a termine il Monumento a Guido Gozzano di Agliè Canavese, iniziato da Bistolfi. Dal 1909 espone ininterrottamente alle rassegne della Promotrice delle Belle Arti di Torino e, tra il 1920 e il 1948, presenzia a otto Biennali di Venezia (1920, 1924, 1926, 1928, 1930, 1936, 1940, 1948). Alla Fiorentina Primaverile del 1922 porta un Pastore in bronzo e i gessi Il lavoro e La vecchietta del dolore; alla Quadriennale di Torino del 1923 espone invece un marmo: Torso di donna. Delle numerose opere pubbliche celebrative vogliamo ricordare il Bassorilievo commemorativo ai Ferrovieri caduti nella prima guerra mondiale (1923), aggiudicato per concorso e collocato nella stazione di Porta Nuova, a Torino; il Monumento a Edmondo De Amicis di Oneglia (1926) e quelli ai caduti di Angera, Forno Canavese, Piacenza e Casalpusterlengo. Nel 1926 partecipa, con un sensuoso Nudino e con un Busto di donna, alla Prima Esposizione Provinciale di Belle Arti di Cuneo; nel 1931 è poi la volta della Prima Quadriennale Nazionale romana. Alla Quadriennale si ripeterà nel 1935 (San Girolamo e L’agguato). Di nuovo a Cuneo, nel 1937, con una messe di lavori (Risveglio, Pubertà, Piccola bagnante e altre sculture). Assiduamente dedito alla scultura cimiteriale, realizza complessi bassorilievi e monumenti funebri di un bistolfismo a volte morboso, collocati a Torino, Cuneo, Firenze, Roma e Napoli. Sono molte le esposizioni – non solo personali – che annoverano il nome di Giorgis, organizzate in diverse città, tra cui ovviamente Torino e Cuneo, ma anche Napoli (Beethoven, Affetto dominante, La danza, 1921) e Parigi; la mostra più organica e di maggior respiro è, però, considerata l’antologica torinese del 1949. «Le opere eseguite tra il 1908 e il 1933 – nota bene Panzetta – risentono dell’influenza e dell’evoluzione artistica di Leonardo Bistolfi, mentre in seguito l’artista tende ad opere dalla plastica più monumentale e sintetica che risentono in parte dell’estetica di regime». ANGELO BALZARDI (Locasca - Valle Antrona, 1892 - Torino, 1974) B Devoto alle forme rinascimentali, Balzardi trova la sua vena migliore nel realismo sociale della seconda metà degli anni Venti Contadino piemontese 1927 bronzo, h. 36 cm 46 alzardi studia all’Accademia Albertina di Torino per ben due volte (nell’anteguerra e nel periodo postbellico), formandosi sotto la guida del classicista Cesare Zocchi. Mentre Angelo frequenta l’ultimo anno all’Accademia Albertina, Bistolfi, che non lo conosce, gli assegna – su oltre trenta concorrenti provenienti da ogni parte d’Italia – il primo posto nel concorso per il Monumento ai Caduti di Domodossola; siamo nel gennaio del 1922, ma il bozzetto (ancora contraddistinto da un sofisticato linguaggio simbolista) sarà tradotto solo nel 1926. Il raggiungimento di una piena maturità stilistica si estrinseca pienamente nella forte testa di Contadino piemontese, già esposta a Firenze nel 1927 e poi acquistata dalla Confederazione degli Artisti nel 1930, per la costituenda Galleria d’Arte Moderna di Roma. Nell’analoga direzione di un robusto e moderno realismo sociale non va dimenticata la figura de II possidente, cui nel 1933 viene assegnato il Premio Raymond dalla Galleria Civica di Torino. Fra le opere celebrative, dopo il monumento di Domodossola, bisogna ricordare ancora il bozzetto per il Monumento al Legionario Fiumano, nonché il Monumento ai Caduti del 92o Reggimento Fanteria, donato dal Principe di Piemonte al reggimento stesso nel 1934. Balzardi partecipa, per invito, alle Biennali di Venezia del 1934 (Sonno, opera insignita del Premio Po e acquistata dalla Galleria Civica di Torino) e del 1936 (Nudo di donna con libro). Nel 1938 realizza la parte architettonica e plastica del Sacrario ai Caduti di Alessandria. Suo è anche il Monumento ai Caduti di Costigliole d’Asti. Tiene la cattedra di plastica ornamentale all’Accademia Albertina fino al 1964, insegnamento ottenuto tramite il concorso nazionale del 1948. Espone nel 1960 e nel 1964 alla Quadriennale di Roma. A questo periodo risale il Monumento al Fante di Torino, sito nel piazzale Duca d’Aosta, costruito in occasione dell’esposizione Italia ’61 e inaugurato alla presenza di Aldo Moro. Nel 1962, Balzardi viene invitato al premio del Fiorino di Firenze. Tra le statue dell’ultimo periodo spicca la Madonna con Gesù benedicente, esposta alla Società Promotrice delle Belle Arti di Torino. Cospicua e significativa la produzione di opere funerarie al Cimitero Monumentale di Torino (famiglie Stramignoni, Manenti, Fiorito, De Coster, Pinto, Angelini, Buscaglione, Ghiberla, Berto, Gromo, Petrazzini, Pestelli, Cuttica, ecc.); altri monumenti si trovano nei cimiteri di Domodossola, Villadossola, Chieri, Sassi, Condove, Como…Numerose sculture di Balzardi sono conservate in musei e in importanti collezioni private in Italia e all’estero. EUGENIO BARONI (Taranto, 1880 - Genova 1935) V Le tensioni, le geniali forzature e le alterazioni delle forme fanno di Baroni uno degli artisti italiani più originali del suo tempo Alpino ante 1935 bronzo, h. 66 cm 48 enuto alla luce in Puglia da genitori lombardi, Eugenio arriva in Liguria l’anno stesso della nascita. A Genova si iscrive alla facoltà di ingegneria navale, che abbandona dopo due anni per passare all’Accademia Ligustica, dove studia dal 1900 al 1905, frequentando contemporaneamente lo studio di Giovanni Scanzi. Espone dal 1901 alla Promotrice genovese; nel 1905 alla Società di Belle Arti di Roma; nel 1906 all’Esposizione del Sempione a Milano; nel 1908 a Roma alla mostra della Società Amatori e Cultori di Belle Arti (Uomo che pensa, già esposto a Genova nel 1907). Il 18 aprile 1909 viene inaugurato ad Acqui Terme il suo Monumento a Giacomo Bove e, sempre nel 1909, espone al Salon d’Automne di Parigi (ancora Uomo che pensa, La donna del serpente, Fidanzamento, Adolescente), riscuotendo gli elogi di Rodin che lo propone come membro del Salon. Nel 1912 è alla Biennale di Venezia (con quattro sculture della serie degli Erotici) e nello stesso anno entra nel Collegio dei Professori Accademici della Ligustica di Genova. Il 5 maggio 1915 inaugura (con l’intervento di Gabriele d’Annunzio) il Monumento ai Mille, a Quarto. Questo lavoro risente ancora del gusto di Bistolfi, di cui Baroni era inizialmente seguace, andando poi ad avvertire più l’influenza di Rodin e Meunier. Nel 1919 espone alla Promotrice di Torino il gesso della Tomba Doria, realizzata nel 1915 per il cimitero di La Spezia. Nel 1920 partecipa al concorso di primo grado per il Monumento al Fante ed è ammesso al secondo grado; i bozzetti dei cinque finalisti sono esposti a Roma nel 1921, ma la giuria non nomina un vincitore: dopo annose polemiche, nel 1923, Mussolini dichiara che il monumento non si farà. Baroni s’indigna e rispedisce al Ministero le medaglie guadagnate in guerra. Dal 1923 partecipa alle Biennali di Arte Decorativa di Monza; nel 1926 ha una sala personale alla Biennale di Venezia, dove esporrà anche nel 1928, nel 1930, nel 1932 e nel 1934. Vincitore nel 1931 della medaglia d’oro del Ministero della Guerra alla mostra degli Artisti Combattenti a Milano, autore di personalissime opere funerarie, Baroni – negli ultimi anni della sua breve vita – espone ancora: nel 1933, a Firenze, alla prima mostra del Sindacato Nazionale Fascista di Belle Arti e, nel 1934, alla Sindacale Genovese e alla Sindacale di La Spezia. Nel 1933 aveva partecipato al concorso di primo grado per il Monumento al Duca d’Aosta di Torino ed era stato ammesso al secondo grado, conclusosi nel 1934, con l’invito (per lui e per Arturo Martini) a presentarsi a una terza gara, vinta da Baroni nell’aprile 1935. Suoi lavori sono conservati nelle gallerie d’Arte Moderna di Milano, Torino, Genova, Novara, nel Museo Civico di Acqui Terme e nell’Accademia Ligustica di Genova. VIRGILIO AUDAGNA (Cannes, 1903 - Menton, 1993) D Il classicismo congenito di Audagna, alle soglie degli anni Trenta, si contamina con la lezione moderna di Arturo Martini [Nudo] 1930 ca. bronzo, h. 28 cm 50 opo la formazione istituzionale, avvenuta all’Accademia Albertina, Virgilio si perfeziona nella lavorazione del marmo e nella pratica del cesello, sotto la guida di Gaetano Cellini. Nel 1919 apre lo studio a Torino e si afferma alla Quadriennale d’Arte con una Testa di bimbo, subito acquistata da Vittorio Emanuele III. A vent’anni si trasferisce a Roma, dove viene destinato al Ministero della Guerra; qui posa per lui Armando Diaz, Duca della Vittoria. In questo periodo esegue anche alcune targhe e medaglioni per il Museo dei Granatieri di Roma e di La Spezia. Il primo monumento di Audagna, dedicato ai Caduti di Avigliana, viene inaugurato nel 1927. L’anno successivo vince il concorso per le statue e le decorazioni del Nuovo Teatro di Vercelli. Il 1930 lo vede ancora vincitore, questa volta in gara ad Alessandria per la statua del Foro Italico di Roma. Dopo quattro anni è di nuovo successo nazionale, a Torino: si tratta del monumento dedicato allo psichiatra Antonio Marro. Nel 1937 Virgilio parte per un viaggio di studi che toccherà la Svizzera, l’Austria, la Germania e la Francia. Nel 1938, la Chiesa della S. Annunziata di Torino onora Audagna accogliendo una sua Via Crucis in marmo. Nel 1941, invece, l’artista si dedica a un’immensa icona marmorea e a una serie di altari per la Chiesa Madre della Pia Società S. Paolo di Alba: questa risulterà essere la più colossale opera statuaria italiana del secolo (pesante ben 450 tonnellate, verrà terminata solo nel 1974). Per il Santuario di Oropa produce tutte le sculture in marmo e in bronzo, raffiguranti scene e grandi figure ispirate al Vecchio e Nuovo Testamento. Nel 1945, con una personale dello scultore, inaugura la nuova Galleria Fogliato. Viene così pubblicata la prima monografia su Audagna, che, nel luglio del 1947, parte per l’Africa. Il governo africano gli ordina un dono in oro per la regina Elisabetta, dono che verrà portato dal generale Smith alla Corte di S. Giacomo, per le nozze regali. Tornato in Italia si dedica alla ceramica: prima a Camporosso (1949), poi ad Albisola (1952). Nel 1954 progetta ed esegue la Fontana Luminosa di Imperia, che viene collocata in piazza Dante; è suo pure il monumento ai caduti della stessa città. Nel 1957 modella la statua di Santo Stefano (poi fusa in argento) per la cattedrale di Biella. Al Piccolo San Bernardo, nel 1960, viene collocato il suo Monumento all’Abate Chanoux. È del 1961 il Monumento a San Cafasso di Torino (in corso Valdocco), mentre l’anno successivo Audagna si dedica alla porta monumentale in bronzo del Santuario di Oropa. Da ricordare, ancora, la testa del compositore Franco Alfano, plasticata per il Conservatorio di Torino e replicata nel 1976 per il giardino Marsaglia di Sanremo. VIRGILIO AUDAGNA Giovanni Battista Alloati, Crociato moderno Nella pagina a fianco [Scalatore] 1935 ca. bronzo, h. 37 cm 52 Giovanni Battista Alloati, Il Conquistatore delle Alpi ROBERTO TERRACINI (Torino, 1900 - 1976) R La personale ricerca del “vero” di Terracini crea un ponte ideale tra la scultura classica e la plastica del Quattrocento padano Ritratto di Anna Pasinato 1936 terracotta, h. 30 cm 54 oberto resta orfano del padre a soli nove anni e la sua famiglia si trova in condizioni economiche precarie. Nel 1914, concluse le scuole tecniche, entra come garzone nello studio di Giovanni Battista Alloati. In seguito accede all’Accademia Albertina, dove è allievo di Cesare Zocchi e di Luigi Contratti. Nel 1918 soggiorna a Firenze e poi a Roma (1920-1921), per frequentare la British Academy of Arts. Nel 1921 realizza, in collaborazione con Gerolamo Pavesi, il Monumento al Marinaio di Nervi (distrutto). Partecipa alle mostre collettive della Promotrice delle Belle Arti di Torino, degli Amici dell’Arte e alle Quadriennali di Roma. Nel 1930 porta a compimento la robusta Fontana della Vittoria di Loano, fusa dal cavaliere Riva. Nel 1934 è presente alla Biennale di Venezia con due opere: Lola nuda e Mariuccia al mare; nel 1936 prende ancora parte alla stessa Biennale con Gli amanti, Ragazza al sole e Mattino. Il 29 giugno 1938 sposa Adele Böhm. Dall’ottobre 1938 al maggio 1945, a causa dell’incipiente campagna antisemita, le opere di Terracini non potranno partecipare ad alcuna esposizione pubblica. In seguito ai bombardamenti su Torino, fra il 1941 e il 1942, l’artista sfolla a Luserna San Giovanni, in Val Pellice. Il 13 luglio 1943 il suo studio di piazza Fontanesi è raso al suolo dalle bombe. Per l’inasprirsi delle persecuzioni razziste, si rifugia con i familiari a Rorà, sempre in Val Pellice, dal dicembre del 1943 all’aprile del 1945. Qui, coperto dal cognome Ferraguti, entra in contatto con le bande partigiane della 105ª Brigata Garibaldi-Pisacane. Con la fine della guerra riprende l’attività a Torino, tornando a esporre alla Promotrice, al Circolo degli Artisti e al Piemonte Artistico Culturale. Nel 1946 riapre un atelier, in corso Duca degli Abruzzi 14, che terrà fino al 1961. Nel 1948, su incarico della cittadinanza di Dogliani, esegue un portacarte in argento e oro, dono per il presidente Einaudi. Dal 1952 si dedica attivamente all’insegnamento, prima in istituti statali d’arte, poi al Liceo Artistico dell’Accademia Albertina di Torino, dove rimarrà fino al 1973. Nel 1954 la Società Promotrice delle Belle Arti gli dedica una mostra personale. Nel 1955 lo scultore allestisce, insieme all’architetto Albertini, la Cappella ai Caduti, presso l’istituto San Giuseppe di Torino. Nel 1956, invece, partecipa al concorso per il Monumento ai Caduti sul Lavoro per piazza Statuto a Torino (non eseguito). Per l’Esposizione di Italia ’61 esegue i due bassorilievi fonici del boccascena del Teatro Nuovo; inaugura il nuovo studio di via Magenta e realizza diverse opere per la Villa settecentesca del Gerbido di Grugliasco. Nel 1968 si aggiudica la gara per la nuova sede INPS di Bologna, con sei pannelli in bronzo traforato. ROBERTO TERRACINI Roberto Terracini, Bimba sullo scoglio, gesso, 1957. Foto archivio eredi Terracini Nella pagina a fianco [Figura femminile] 1947 bronzo, h. 66 cm 56 Come ideale commento a questa inedita figura femminile, molto ben composta e magnificamente fusa, ci paiono perfette le parole di Eva Romanin-Jacur, quando – giusto a proposito di Terracini – parla della «necessità di una linea che non si interrompa mai, che chiuda se stessa, che sia il confine naturale dei volumi, diversa e misteriosamente uguale da ogni angolo spaziale la si voglia osservare». È proprio questa linea a determinare la straordinaria coerenza plastica dell’artista: come una costante. Come un fil rouge necessario, legame indissolubile tra l’anima e il corpo di un’arte, appunto, sempre diversa e misteriosamente uguale. ANGELO SAGLIETTI (Saluzzo, 1913 - Torino, 1979) A L’arte di Saglietti coniuga la robustezza di una solida formazione accademica a un lirico intimismo, insieme lieve e profondo Testa d’uomo (Ritratto) 1938 terracotta, h. 25 cm 58 ngelo studiò con il toscano Griselli e con il calabrese Baglioni, entrambi docenti all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, che dal 1933 al 1937 ebbe in Saglietti uno degli allievi più promettenti della sua generazione. Ai Prelittoriali torinesi del 1937 ottenne il primo premio con un Vogatore ed espose nello stesso anno un ritratto alla mostra sindacale, facendosi notare concordemente dalla critica come uno «tra i migliori dell’ultima covata accademica» (Enrico Paulucci, 1937). Nel 1938 gli scultori Castellana e Guerrisi gli conferirono il premio del Sindacato Interprovinciale Fascista per l’opera Vecchio pescatore. Dal 1939 al 1941 il giovane artista ricoprì la carica di assistente del conte Alberto Cibrario alla cattedra di anatomia dell’Accademia Albertina e del liceo artistico a essa annesso. Nel 1939 partecipò all’organizzazione del concorso per la realizzazione di due statue allegoriche da collocarsi sugli scamilli della gradinata d’accesso al piano rialzato del Regio Istituto Tecnico Commerciale di Bra, concorso vinto dallo scultore argentino Ettore Tinto. Nel 1940 un suo Ritratto fu nuovamente premiato dal Sindacato Interprovinciale Fascista; nell’aprile dello stesso anno, ai Littoriali Nazionali della Cultura e dell’Arte di Bologna, Ettore Muti acquistò una sua grande Danae per i nuovi locali del Collegio Magistrale di Orvieto (Accademia femminile della Gioventù Italiana del Littorio). Nel 1941, a Boves, venne scoperto il piccolo monumento alla memoria della Medaglia d’Oro al Valor Militare Ferruccio Ferrari. Angelo prese anche parte alla Seconda guerra mondiale e, fatto prigioniero, venne internato in Polonia e in Germania. In seguito alla liberazione tornò a Torino e trovò il suo studio di via Susa devastato da tre bombardamenti. Nel 1948 lo scultore si trasferì in Svizzera con la moglie, l’artista Giuseppina Civetta, e vi rimase per una ventina d’anni, prima a Basilea e poi a Zurigo. Qui diresse per un triennio i corsi di preparazione artistica del consolato d’Italia. Commissario per gli esami di licenza media alla Scuola Italiana “Dante Alighieri” di Winterthur (1966-1969), ricevette le insegne di Cavaliere Ufficiale per meriti artistici e culturali. Rientrato in Italia nel 1969, insegnò dapprima al Liceo Artistico Vittorio Veneto di Torino e al Liceo Artistico Statale “Arturo Martini” di Savona, con un incarico a tempo indeterminato per la cattedra di figura e ornato modellato (1970-1971). Contemporaneamente svolse le funzioni di supplente per le suddette materie al Liceo Artistico Statale di Cuneo. Nel 1971 iniziò l’insegnamento di figura e ornato modellato al Secondo Liceo Artistico di Torino, dove fu professore di ruolo dal 1974 fino alla prematura scomparsa. GIOVANNI RIVA (Torino, 1890 - 1973) A In bilico tra arcaiche suggestioni etrusche e turgori neomanieristi, il Riva maturo va incontro alla modernità di Aristide Maillol [Busto di bambino] 1935 bronzo, h. 26 cm 60 diciassette anni Riva frequenta la scuola serale municipale di disegno, dove studia con Giovanni Guarlotti; nel frattempo lavora come ebanista in una ditta di arredi sacri. Appassionato di scultura greca, etrusca e rinascimentale, si avvicina all’atelier di Bistolfi, figura di riferimento per tutta la sua giovinezza. Nel 1913 espone per la prima volta al Circolo degli Artisti di Torino, portando L’ottuagenaria (1909), che viene premiata e acquistata; nello stesso anno, alla LXXII Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti, propone Gli eroi, insieme al bronzo Volontà. Non manca di presenziare alla Società degli Amici dell’Arte con Trionfo. Nel 1915 entra in contatto con il mondo del cinema, realizzando un ritratto della famosa attrice del muto Leda Gys. Nel 1916 si aggiudica il concorso nazionale Baruzzi di Bologna, con una scultura intitolata Incubo. Nello stesso anno lavora per il film Il fauno di Febo Mari, uscito nel 1917, prodotto dalla Ambrosio. Nel 1917-18 modella un Attila, ispirato al nuovo film “colossale” di Mari, per il quale interviene come scenografo addirittura Canonica. Intanto Giovanni viene chiamato alle armi. Autore del folgorante Monumento ai Caduti di Civitavecchia (1919-24), nel 1919-20 realizza la lapide bronzea dedicata a Cesare Battisti, posta all’ingresso della Galleria Subalpina di Torino. È del 1921 la Lapide ai Caduti di Sanfront, in provincia di Cuneo. In questo periodo, spinto dall’indigenza, realizza numerosi modelli per i visi delle bambole Lenci e poche ma significative ceramiche per la stessa manifattura torinese. Nel marzo del 1922 vince il difficile concorso nazionale per la realizzazione della Fontana Angelica, inaugurata a Torino il 28 ottobre del 1930. Tra le sculture a soggetto sportivo del ventennio littorio ricordiamo: La parata, esposta alla VII Esposizione Interprovinciale Fascista di Belle Arti di Torino nel 1935, e In volata (variante de Lo sprint), esposta nel medesimo anno alla Triennale di Firenze e alla 7ª Esposizione del Sindacato Fascista di Belle Arti di Torino. Da non trascurare l’importanza della produzione funeraria di Riva. Nel 1934 anno l’Università Adriatica di Bari gli acquista la scultura La famiglia, il cui gesso è contemporaneamente presentato alla Mostra Sindacale del Valentino. Nel 1922 espone ad Alessandria (Amorosa), nel 1923 alla Quadriennale di Torino (Aretusa, fontana in gesso), nel 1934 a Torino (La preghiera di Maria a Gesù), nel 1935 alla Quadriennale di Roma (Fiamma) e nel 1937 a Napoli (Ritmi). Alla Biennale di Venezia, nel 1939, presenta il gruppo per fontana Centauro e Ninfa e, nel 1942, il bronzo Riconquista. Dall’immediato dopoguerra inizia per Giovanni un triste declino. L’artista muore dimenticato e depresso, in assoluta povertà. GIOVANNI RIVA Leonardo Bistolfi, L’Amore, 1921-1925 ca., modello in gesso. Gipsoteca Leonardo Bistolfi, Casale Monferrato Roberto Terracini, Gli amanti (Natura), 1935, modello in gesso. Opera esposta alla Biennale di Venezia del 1936. Foto archivio eredi Terracini Quando nel 1940 Riva modellò la sua intima scultura intitolata Il nido, con ogni probabilità doveva avere in mente due opere significative come L’Amore del mentore-amico Bistolfi e come Gli amanti (Natura) di Terracini, lavori rimasti a sedimentare nel suo background immaginativo, lasciando qualche fertile spunto, da cui forse è originato questo felice lampo poetico. Nella pagina a fianco Il nido 1940 bronzo, h. 30 cm 62 MICHELE GUERRISI (Cittanova Calabra, 1893 - Roma, 1963) I Amato da De Chirico e Savinio, con la sua arte colta Guerrisi concilia equilibrio greco, aurea sottigliezza bizantina e calore saraceno Ritratto di Pigi Balzardi 1942 bronzo, h. 30 cm 64 l giovane Michele compie i suoi studi tra Palmi, Firenze, Roma e Napoli, dove nel 1916 si laurea in lettere e consegue il diploma di scultura dell’Istituto di Belle Arti. Ottiene per concorso la cattedra di storia dell’arte nelle Accademie di Belle Arti di Palermo e di Carrara (1920-1921), e poi di Torino (1922-1941); insegna la stessa materia nella Scuola Superiore di Architettura della Regia Università e nella Facoltà di Magistero di Torino. Dal 1941 è titolare di scultura nell’Accademia di Belle Arti di Roma, di cui diventa direttore nel 1952. È accademico nazionale di San Luca, accademico delle Arti del Disegno di Firenze, membro corrispondente della Secessione di Vienna e di numerose accademie italiane e Consultore della Pontificia Commissione per l’arte sacra. Dal 1920 espone nelle più importanti mostre d’arte nazionali e internazionali: Barcellona (1929), Atene (1931), Amburgo, Lipsia, Dresda, Augusta (1933), Budapest, Praga, Varsavia, Vienna (1935), San Paolo, Berlino, Parigi (1937), Berna (1938), New York (1940). Presenta mostre personali alla Biennale di Venezia (1938), alla Quadriennale romana (1943), alla Promotrice di Torino (1957) e in altri Enti pubblici. Vince numerosissimi premi, tra i quali vogliamo ricordare almeno il premio Marini-Missana per la scultura alla Biennale di Venezia (1926), la medaglia d’oro per la scultura all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1937 (Ragazza seduta, 1933), i premi per la scultura a Budapest (1935), alla Promotrice di Torino (1941), alla Quadriennale romana (1943). Viene premiato anche nel concorso internazionale per il monumento a Simon Bolivar a Quito. Realizza il Monumento ai Caduti Studenti della Università di Napoli, vinto per concorso; i monumenti ai caduti di Catanzaro, Luzzara, Ariano di Puglia, Montecalvo Irpino; la fontana monumentale La nascita di Venere per la Società Anonima di Assicurazioni di Torino, oltre ai gruppi del Toro e della Fortuna e i rilievi del palazzo della stessa Società a Roma. Sue opere sono nelle Gallerie d’Arte Moderna di Roma, Firenze, Torino, Milano, Genova, nonché in Enti pubblici e in collezioni pubbliche e private italiane e straniere. Tra le sue opere principali ricordiamo almeno il Ritratto di Benedetto Croce (1922) a Napoli, il Ritratto di Giorgio de Chirico (1933) a Firenze e il Ritratto di Francesco Cilea (1951) nel Teatro Cilea di Reggio Calabria. Assai numerose anche le sue pubblicazioni di saggi critici, come Discorsi sulla scrittura (1932), La nuova pittura (1932), L’idea figurativa (1952), L’errore di Cézanne (1954). Ma non mancano una raccolta di poesie, Pigmalione (1956) e un poema, La favola di Orfeo (1958), oltre a un gran numero di interventi su riviste e giornali. MARIO GIANSONE (Torino, 1915 - 1997) M Figura tormentata e nevrile, tutta ombre e schiarite improvvise, Giansone trasfigura l’anatomia umana in pure astrazioni volumetriche [Nudo] ante 1945 terracotta, h. 54 cm 66 ario, dopo aver frequentato corsi di ragioneria all’Istituto Sella, consegue il diploma presso il Liceo Artistico nella sessione autunnale del 1934-35. Negli anni seguenti è per breve tempo assistente di Luigi Cibrario, allora docente di anatomia all’Accademia Albertina, e lavora presso lo studio di Michele Guerrisi, seguendo le sue lezioni di storia dell’arte in Accademia. Dal 1946 al 1948 insegna Anatomia all’Accademia Libera di Belle Arti di Torino. Svolge la sua più importante e continuativa attività didattica presso l’Istituto Statale d’Arte di Torino, dal 1956 alla pensione, ottenuta nel 1985: vi insegna plastica (ornato e figura modellata) e – dal 1962 – disegno dal vero ed educazione visiva, ricoprendo anche la carica di vicepreside dell’istituto (fino al 1975). Partecipa alle rassegne della Società Promotrice delle Belle Arti dal 1941. Nel 1955 prende parte alla VII Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma; nello stesso anno è invitato alla Quadriennale di Torino. Quattro anni dopo, nel 1959, replica l’accoppiata delle due Quadriennali, quella romana e quella torinese. È del 1965, invece, la mostra personale allestita nelle sale della galleria La Bussola di Torino. Quest’unica personale è duramente stroncata sulle pagine di un importante quotidiano, fatto che amareggia profondamente lo scultore, già di per sé introverso, schivo e suscettibile. Giansone ha realizzato notevoli opere nell’ambito della scultura funeraria, fra le quali ricordiamo: la tomba Brambilla (1940, Cimitero Monumentale di Torino), la tomba Rivella (1959, Cimitero Monumentale di Torino), la tomba Rebaudengo (1967, Cimitero Monumentale di Torino) e la tomba Manzone (1985, Cimitero Monumentale di Torino). Interessanti, nondimeno, alcuni lavori di ispirazione religiosa: la Santa Cecilia del 1951-52, per l’Auditorium Rai di via Rossini, e la Maria Ausiliatrice del 1957, per la Cappella Trasformazioni Tessili di Moncalvo d’Asti. Assai ammirati, poi, i suoi Suonatori di Jazz (1967), inventati per il palazzo della Rai di Torino. Citiamo, ancora, la scultura per la scuola degli edili (1980-82, Ente Scuola Cipet, via Quarello 19, Torino). Nel 1980 ha partecipato al concorso bandito dal Cipet per la realizzazione di una scultura, con un progetto a cui aveva collaborato l’architetto Umberto Cento, suo collega all’Istituto d’Arte. Nelle collezioni della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino sono conservate due sculture di Giansone: la prima, intitolata Amanti (in porfido verde), venne esposta alla Promotrice del 195; la seconda invece, intitolata Pescano con l’arpione o Naviganti (in legno di noce), fu presentata alla Promotrice del 1958. Notevole, infine, la sua non cospicua produzione di gioielli. ETTORE TINTO (Rosario di Santa Fé, 1893 - Torino, 1965) E La scultura di Tinto, solida e monumentale anche nel piccolo formato, si distingue sempre per una controllata gestione delle masse potenti [Nudo disteso] 1940 ca. bronzo 12 × 30 × 30 cm 68 ttore, argentino di nascita e torinese d’adozione, frequenta l’Accademia Albertina e ha come maestri due “classici” della didattica torinese di quegli anni: Cesare Zocchi e Luigi Contratti. Creatore di vivaci opere di genere, stimato ritrattista e richiesto esecutore di monumenti funerari, Tinto partecipa alle rassegne della Promotrice delle Belle Arti dal 1923; l’anno successivo espone il gesso La vita alla Società Amici dell’Arte. Nel 1931 è ancora alla Promotrice, dove si presenta con un originale Frammento, mentre nel 1935 porta il Ritratto del pittore Farina. Risulta al Circolo degli Artisti dal 1938 (nel 1952 sarà direttore della “Tampa”, l’ospiteria del circolo poi adibita a galleria di ritratti e autoritratti degli artisti consociati). Nel 1940, alla XII mostra del Sindacato Interprovinciale Fascista di Belle Arti, espone L’accoglienza (gesso). Alla Sindacale milanese del 1941 propone invece un intenso Gesù che sana gli infermi. Nel dopoguerra l’amministrazione comunale di Crescentino gli commissiona un monumento ai caduti del secondo conflitto mondiale; la struttura del lavoro non è complessa, ma l’esecuzione è – come sempre – decisa e sicura: si tratta di una figura femminile in bronzo, raffigurante la Fede, che sopravanza una stele marmorea con incisi i nomi dei caduti. Il monumento viene inaugurato nel 1947, in occasione della manifestazione per l’8 settembre. Un piccolo opuscolo, curato dalla amministrazione comunale, celebra l’avvenimento (non senza una certa dose di inevitabile retorica da parte del sindaco, Guido Casale, socialista con trascorsi fascisti). La figura di Ettore Tinto – scultore in parte affine a Riva per la robusta sensibilità plastica e per la predilezione di soggetti mitologici animati da un paganesimo neorinascimentale in chiave déco – meriterebbe finalmente un’attenta riscoperta critica, in grado di ricostruire in modo preciso una parabola artistica interessante ma troppo a lungo dimenticata. EMILIO MUSSO (Torino, 1890 - 1973) T Musso eredita da Calandra un mestiere solidissimo, che gli consente una duttilità straordinaria e un controllo assoluto dell’espressione [Divinità marina] ante 1945 bronzo, h. 54 cm 70 erminati gli studi classici, Emilio si iscrive all’Accademia Albertina, diplomandosi nel 1911. Perfeziona poi la sua formazione artistica con Davide Calandra ed Edoardo Rubino, insieme al quale ultimò i lavori lasciati incompiuti dal maestro Calandra. Debutta nel 1912 con uno splendida opera funeraria dedicata al giovane poeta crepuscolare Giovanni Croce (Cimitero Monumantale di Torino). Esordisce, invece, sulla ribalta artistica ufficiale nel 1913, con una prima mostra al Circolo degli Artisti di Torino, istituzione della quale diverrà più avanti vicepresidente. Scultore colto e di raffinata sensibilità letteraria, autore di ritratti, monumenti funerari e opere di genere, Musso è presente a tutte le rassegne torinesi della Promotrice delle Belle Arti dal 1913 in poi. Alla Quadriennale di Torino del 1923 presenta Aurora. Esegue i monumenti ai Caduti di Cherasco (1925), Govone (1926), Montà (1936) e Chivasso; per Torre Pellice realizza il Monumento a Enrico Arnaud, per Boves quello a monsignor Calandri (1914) e per Dronero quello agli Alpini (1917). Espone a San Remo nel 1939 (Discobolo); nel 1940 porta alla Biennale di Venezia la statua per fontana Inno alla vita e prende parte alla Sindacale milanese del 1941 con Attesa in riposo. Nella prima metà degli anni Quaranta – pur aderendo formalmente allo stile littorio – purga lo stesso dell’usuale retorica trionfante, per cantare con toni più mesti e trattenuti il “sentimento” di un potere in declino. Lo scultore, pluripremiato vincitore di numerosi concorsi, espone anche in importanti rassegne estere: a Parigi, Anversa, San Paolo del Brasile, in Scozia, in India, ecc. Professore ordinario presso l’Accademia Albertina e incaricato di plastica architettonica al Politecnico di Torino, è rappresentato – già in vita – con suoi lavori presso enti e gallerie italiane e straniere. Nella Galleria d’Arte Moderna di Torino è conservata la testa in terracotta Donna sarda. Il 21 maggio 1950, a Perrero (in provincia di Torino), viene inaugurato il monumento al generale Giulio Martinat. NILLO BELTRAMI (Fornero, 1899 - Viverone, 1988) N Quello di Beltrami è un linguaggio aperto e ibridato, che a un certo punto incrocia le scomposizioni del secondo futurismo torinese [Notaio] 1945 ca. bronzo, h. 41 cm 72 illo (diminutivo di Passionillo) studia all’Accademia Albertina di Torino. Lavora con Edoardo Rubino e con lui completa la sua formazione. In questi primi anni di lavoro la sua attività artistica è – per stretta necessità – economica, soprattutto nel campo della scultura celebrativa e monumentale. Da subito in contatto con gli artisti della manifattura ceramica Lenci, emerge dalla sua scultura un temperamento plastico “moderno”, che lo avvicina al secondo futurismo torinese. Beltrami crea interessanti modelli per la Lenci (La pera, Fior di zucca, ecc.) e per la Richard Ginori di Mondovì. Al di là della produzione nel campo delle arti decorative, le opere di questo periodo attestano una certa aggiornata attenzione per la lezione di Arturo Martini. Come esempi di tale evoluzione stilistica si segnalano: L’Angelo, presentato alla Mostra d’Arte decorativa di Monza nel 1930 e per il quale gli verrà consegnato il premio Enapi; il bronzetto La Vittoria, ammesso per concorso alla Biennale di Venezia del 1932. Una delle più interessanti realizzazioni del tempo è la serie delle quattro stagioni (tradotta in bronzo dalla Fonderia Chiampo di Torino), dalla quale sono stati ricavati pochissimi esemplari in ceramica, oggi assai rari. Nel 1935, alla 7a Esposizione del Sindacato Fascista di Belle Arti di Torino, porta un nervoso Pugilatore in bronzo. Nel 1952, presentando alla Quadriennale di Torino le sue prime sculture in mattone (da lui definite “espressionisteimpressioniste”), Beltrami opera una svolta nei confronti della sua precedente produzione. In questi lavori si nota infatti una particolare ricerca, che approda a una nuova espressività, in grado di estrinsecarsi attraverso l’uso di materiali comuni. Saranno ricavati nel mattone numerosi bozzetti di sculture realizzate successivamente in bronzo o in pietra, come nel caso del monumento ai Caduti di St. Vincent. Nillo ha vissuto sempre in solitudine, rifiutando qualsiasi strategia di promozione del proprio lavoro; le sue poche mostre sono state organizzate da amici pittori, scultori e critici. Ha esposto nel 1932 alla XVIII Biennale di Venezia e nuovamente alla XXVIII Biennale di Venezia nel 1956. Sue mostre personali di sculture si sono tenute nel 1953 alla galleria Montenapoleone di Milano, nel 1954 alla galleria Il Cavallino di Venezia e nel 1955 alla galleria La Bussola di Torino. Negli anni Sessanta affianca l’insegnamento all’attività artistica: sarà per qualche anno docente all’Istituto per la Ceramica di Castellamonte e quindi, dal 1963 al 1969, al Liceo Artistico e alla Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino. Ha realizzato anche disegni e monotipi da inchiostrazione su vetro, eseguiti in esemplari unici. Si spegne a Viverone, dimenticato e senza figli. UMBERTO BAGLIONI (Scalea, 1893 - Torino, 1965) Q La rigorosa austerità classica di Baglioni, a partire dal secondo dopoguerra, lascia spazio a un più libero fluire della materia Leda senza cigno ante 1942 bronzo 25 × 22 × 30 cm Bozzetto dell’opera esposta nella sala personale alla XXIII Biennale di Venezia 74 uando si iscrive all’Accademia Albertina, nel 1913, diventando il pupillo di Edoardo Rubino, Umberto ha già un notevole curriculum di studi: a Modena (1909-1910), a Urbino (1910-1911) e a Firenze (1911-1912). Dopo aver insegnato per diverso tempo all’Accademia di Belle Arti di Venezia, prende il posto di Rubino, diventando titolare della cattedra di scultura all’Albertina nel 1936. Espone alla Promotrice delle Belle Arti di Torino dal 1920 e, a partire dal 1922, al Circolo degli Artisti del capoluogo piemontese. Alla Quadriennale di Torino del 1923 presenta una Salomè in gesso e alla Promotrice di Genova del 1924 La sposa dell’eroe, mentre alla Mostra di Arte Sacra di Roma, nel 1930, espone una Madonna con Bambino; a Venezia, nel 1934, è la volta di un atletico bronzo littorio: il Giovane ginnasta. Risale proprio a questi anni l’invenzione di un originalissimo calamaio in bronzo con quattro facce simboliste: un oggetto enigmatico e un po’ “esoterico”, pieno di fascino mitteleuropeo e di mistero torinese. Nel 1935 Baglioni prende parte al concorso per il monumento al Duca d’Aosta, a Torino, e risulta selezionato nella cinquina degli scultori ammessi alla penultima prova eliminatoria. Nello stesso anno realizza la bellissima Selvaggia in bronzo, oggi custodita nelle raccolte della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino. È poi nuovamente a Venezia, per quattro volte: nel 1936, con la seducente Donna che si spoglia; nel 1942, alla XXIII Biennale, con una robusta Leda senza cigno, in una sala personale a lui dedicata; nel 1948, con una materica Terra madre (terracotta); e nel 1954, con la più distesa Passeggiata romantica. I torinesi lo ricordano soprattutto per le due grandi statue allegoriche raffiguranti il Po e la Dora, collocate in piazza C.L.N., vinte per concorso ed eseguite nel 1937. A Roma, per il Palazzo dell’E42 (“Esposizione 1942”, nome originario dell’EUR), esegue la scultura de Il genio politico. A partire dai primi anni Quaranta lo stile dell’artista calabrese si svincola dalle ossessioni accademiche, dai canoni stilizzati del déco e del dettato littorio: la sua plastica si “scioglie” e si ammorbidisce, il modellato si arricchisce di vibrazioni. Lo studio di Baglioni, con tutta la sua nutrita biblioteca (Umberto era un appassionato collezionista di libri d’arte), viene tragicamente devastato dai bombardamenti del 1943. Sue opere sono conservate nella Galleria d’Arte Moderna di Torino e a Palazzo Pitti, a Firenze (Vittoria, terracotta), dove, nel 1962, partecipa al Premio del Fiorino (con il bronzo Marcella, 1950). UMBERTO MASTROIANNI (Fontana Liri, 1910 - Marino Laziale, 1998) G Formatosi al di fuori dell’ambito accademico, Mastroianni non ha mai perso un’assoluta libertà mentale e una ribollente energia barbarica Ritratto del pittore Achille Martelli 1938 pietra di Verrès h. 35 cm Una variante in bronzo è conservata nelle raccolte della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino 76 iunto a Roma nel 1924, Umberto studia con lo zio, lo scultore Domenico Mastroianni, che tiene i corsi di disegno presso l’Accademia di San Marcello. Nel 1926 si trasferisce a Torino e «affina il mestiere di scultore» con Michele Guerrisi. I Cavalli in corsa del 1929 risultano tra i più significativi lavori d’esordio. Nel 1930 iniziano i riconoscimenti (Premio del Turismo offerto dal Ministero della Pubblica Istruzione) e, di lì a poco, le prime mostre a livello nazionale ed europeo, tra cui nel 1935 la Quadriennale di Roma e l’anno successivo la Biennale di Venezia (dove nel 1938, tra l’altro, vi sarà presente con una sala personale). Tra le opere degli anni Trenta, neolatine e neorinascimentali, ricordiamo: Il novizio, 1930; Adolescente, 1931; Gabriele, 1938. Chiamato alle armi durante la guerra, partecipa alla Resistenza. A Torino stabilisce un rapporto privilegiato con il pittore Luigi Spazzapan. Dopo la liberazione è tra i promotori di un superamento sovranazionale della cultura italiana, secondo i dettami delle “avanguardie storiche”. Fin da allora espone nelle rassegne artisticamente più avanzate promosse dall’Art Club; inoltre, insieme ai pittori Spazzapan e Moreni e all’architetto Ettore Sottsass jr., si fa portavoce di iniziative culturali, tra cui il progetto del Premio Torino (di cui è stata fatta una sola edizione, nel 1947). Vince nel 1945, con la collaborazione dell’architetto Carlo Mollino, il concorso per il Monumento al Partigiano: l’opera, di notevoli dimensioni, viene eseguita più tardi e collocata nel Campo della Gloria del Cimitero Monumentale di Torino. Nel 1948 espone con Spazzapan alla galleria La Bussola, in una mostra dai molti strascichi polemici. Nel 1951 tiene la sua prima personale alla Galerie de France di Parigi, la più importante in Europa. La critica straniera si rende subito conto della qualità della sua produzione. In Apparizione alata e Battaglia, due significativi bronzi del 1957, la sua plastica si fa vieppiù scabra, più scheletrita e tesa. Da ricordare assolutamente, tra le prove di questo periodo, il Ritratto dello scrittore Seborga (bronzo, una fusione del 1956 si trova al Museo Nazionale Kröller-Müller di Otterlo). Nel dopoguerra Mastroianni porta avanti una personale ricerca astratta, sfruttando sia l’estetica dell’informale sia schemi geometrizzanti, innervati da una forte caratterizzazione dinamica e vitalistica (con un’attenzione particolare al linguaggio del costruttivismo). Il 27 ottobre 1989 gli viene conferito, a Tokyo, il “Premium Imperiale”, Nobel del Sol Levante per l’arte. Suo è l’arredo della sala maggiore della nuova Corte d’Appello di Roma. Nel 1994, invece, lo scultore mette in opera una Deposizione per la Basilica di S. Maria degli Angeli in Roma e realizza il grande cancello per il Teatro Regio di Torino. UMBERTO MASTROIANNI Umberto Mastroianni, Busto di donna (Ida), 1944, bronzo «Busto di donna del 1944 deriva da una matrice art nouveau, aggiornata mediante l’essiccazione formale e le sovrascrizioni arcaistiche comuni contemporaneamente anche a un Marini oppure, in pittura, a un Campigli». (Renzo Mangili, in Mastroianni. I materiali 1932-1988, a cura di Floriano De Santi, Milano, Fabbri, 1989) Nella pagina a fianco Ritratto di Ida 1944 bronzo, h. 30 cm 78 UMBERTO MASTROIANNI Umberto Mastroianni, Ritratto, 1956, bronzo. Schiedam (Olanda), Museo Boymans Il letterato e pittore Guido Seborga (1909-1990) con Mastroianni «Durante gli anni torinesi si è formato l’aspetto più maturo e più cosmopolita della mia arte e della mia vita. Eravamo un gruppo affiatato e battagliero: Spazzapan, Piero Bargis, Guido Seborga ed io: due artisti e due letterati. […] Seborga stava agli antipodi di Bargis: personaggio corrusco, tenero e intransigente, sognatore e realista, incerto tra letteratura e pittura. […] La sua natura anarchica, impregnata di solitudini maremmane, di salsedine amara, gli colorava le immagini, gli rendeva aspre le parole – Guido cotto dal sole come un pescatore d’altura in tutti gli spigoli del volto». (Umberto Mastroianni, Il grido e l’eco, Bologna, Bora, 1985) Nella pagina a fianco Ritratto di Guido Seborga 1956 bronzo h. 43 cm Già Collezione fratelli Buzzacchino 80 PIERO DUCATO (Baldissero, 1908 - Torino, 1998) L Le strutture ben articolate e un preciso senso della compattezza dell’immagine sono i punti di forza del percorso creativo di Ducato [Nudo disteso] 1950 ca. terracotta 14 x 35 x 14 cm 82 a formazione del giovane Ducato avviene presso gli studi di Arturo Stagliano e Giovanni Riva. Negli anni Trenta prende parte alla grande avventura della manifattura ceramica Lenci, per la quale realizza alcune opere di soggetto religioso. Nel 1932 abbandona la Lenci per aprire, insieme a Clelia Bertetti, la fabbrica per la produzione di ceramiche artistiche Le Bertetti; nell’ambito della ceramica ricordiamo, ancora, le collaborazioni con la C.I.A. della signora Manna e, più tardi, con la Vi.Bi. di Vallini e Vaccon. Insegnante di figura, ornato e modellato al Liceo Artistico dell’Accademia Albertina, espone con frequenza – a partire dal 1932 – nelle mostre organizzate dalla Promotrice delle Belle Arti di Torino. Nel 1940 vince il concorso “Statua per un giardino” alla XXII Biennale d’Arte di Venezia. Nel 1947 viene premiato al concorso per il Monumento al Partigiano di Torino. È presente alla Quadriennale di Roma del 1948. Partecipa a molti concorsi nazionali, realizzando, fra l’altro, una Via Crucis per la clinica pediatrica dell’Università di Torino, una fontana per l’Istituto Tecnico Industriale per Periti Chimici. Nel secondo dopoguerra partecipa a numerose esposizioni pubbliche, tra cui quella di Trieste del 1952, di Firenze del 1958, di Genova del 1971 e di Torino del 1983. Nello stesso anno è presente con due opere in “Arte a Torino 1946/53” (Accademia Albertina, Torino). Tra le ultime personali, citiamo: galleria La Cittadella (Torino, 1982); galleria Del Ponte, con Luigi Comazzi (Torino, 1989); centro culturale Abaco (Torino, 1995). GIOVANNI CHISSOTTI (Trofarello, 1911 - Torino, 1996) F Chissotti prosciuga e “semplifica” sempre più la sua plastica, fino a elaborare una personale reinvenzione della sintesi romanica [Figura femminile] 1955 ca. bronzo, h. 62 cm 84 iglio di un maestro minusiere, Giovanni studia scultura all’Accademia Albertina di Torino, dove si diploma nel 1938, frequentando l’anno successivo il cosiddetto corso di perfezionamento. A cominciare dal periodo di apprendistato, consegue numerosi riconoscimenti: premio Cassa di Risparmio (Torino, 1935), premio Municipio di Torino (1936, 1937, 1939), premio del Ministero delle Corporazioni Sindacali (Torino, 1939), 1º premio Mostra Interregionale di Belle Arti (Torino, 1940), premio acquisto Circolo degli Artisti (Torino, 1941), premio acquisto Società Promotrice delle Belle Arti (Torino, 1942), premio acquisto Donatello (Firenze, 1942), premio della Scultura Sindacale (Torino, 1942), premio acquisto Quadriennale di Roma (1943, 1951), ecc. Dal 1939 è incaricato di plastica ornamentale e figura al Liceo Artistico di Torino e nel 1945 diventa assistente alla cattedra di scultura dell’Albertina. Vincitore del concorso, viene nominato titolare della cattedra di scultura dell’Accademia di Firenze, per passare – nell’ultimo anno di servizio – allo stesso ruolo presso l’accademia torinese. Presente ad importanti manifestazioni artistiche nazionali e internazionali (a Torino, Firenze e Roma), frequentemente soggiorna in Svizzera e in Francia. Tra le collettive importanti citiamo: la prima mostra internazionale dell’Art Club (1949), diverse Biennali di Venezia e Quadriennali di Roma. Realizza numerose opere pubbliche: il Sacrario dei Caduti di tutte le guerre a Pinerolo; il Monumento ai Caduti di guerra e della Liberazione a Spotorno; il Monumento al Conte Galateri di Savigliano; la grande fontana di Senago; le decorazioni plastiche e il mosaico dell’Ippodromo di Vinovo; il rilievo decorativo e la vetrata del Palazzo della Stampa di Torino… Vince inoltre il concorso per il Monumento al Caduto sul Lavoro (da collocarsi in piazza Statuto a Torino, non realizzato) e il 2o premio per le sculture da inserire sulla facciata della Biblioteca Civica di Torino (vinto da Franco Garelli). Numerosi suoi lavori in bronzo, marmo o ceramica si trovano nel Cimitero Monumentale di Torino (ricordiamo la tomba Demonte del 1956) e in chiese dello stesso capoluogo sabaudo, di Pinerolo, Sommariva Bosco, Biella; all’estero, troviamo ancora: una Madonna con bambino nel Santuario di Beverly Hills, una Maria Ausiliatrice a Caracas, una Madonna in bronzo sulla cupola della Cattedrale di Bombay. Numerose opere (specialmente ritratti) sono conservati in collezioni italiane, francesi, svizzere, tedesche. Organizza due sole mostre personali, nel dopoguerra: una al Circolo degli Artisti di Torino, l’altra presso la galleria d’arte A. Garbarello di Biella. PIETRO LORENZONI (Seravezza, 1911 - Torino, 1993) P L’anima ruvida e poetica dell’artista toscano parla una lontana lingua “etrusca”, plasmata nella terra dolce o scolpita nel duro sasso [Figura femminile] 1955 ca. terracotta, h. 48 cm 86 ietro appartiene a una famiglia versiliese di lavoratori della pietra. Nel 1937 si trasferisce a Torino, perché occorre un puntatore in grado di rifinire un rilievo in travertino di Reduzzi, dedicato ai martiri fascisti e da sistemare nella Casa del Fascio di Palazzo Campana: l’opera sarà distrutta nel 1945. Pietro rifinisce, allora, anche alcuni lavori di Bistolfi, rimasti incompiuti alla morte dello scultore casalese. Nel secondo dopoguerra opera prevalentemente come esecutore in pietra per molti scultori torinesi, tanto da meritare la cattedra di tecnica del marmo all’Accademia Albertina, su indicazione di Sandro Cerchi. Tra le principali collaborazioni di Lorenzoni, da ricordare quelle con Mario Giansone e con Umberto Mastroianni; quest’ultimo lo spinge a esercitare in proprio la scultura, dopo aver preso studio in piazza Fontanesi. Dal 1955 inizia l’attività espositiva dello scultore, alle rassegne della Promotrice (sarà presente in modo pressoché ininterrotto alle mostre annuali, nonché alle Quadriennali del 1964 e 1974) e del Piemonte Artistico e Culturale, dove nel 1990 gli viene dedicata una mostra antologica di sculture e disegni. Tra le non molte personali, si ricordano: un’esposizione a La Cittadella di Torino (1979), e un’altra al Casino de la Vallée di Saint Vincent, presentata da Marzio Pinottini (1983). Le parole di Galvano, scritte in occasione della mostra alla Cittadella, sono una perfetta sintesi dello spirito e dello stile dell’artista: «Sia che Lorenzoni proceda per aggiunzione o per ablazione, plasticando, perciò; o più propriamente scolpendo, il suo mondo è estremamente coerente: avvolgimenti e groppi, éscare scavate a colpi di scalpello o arborescenze dinamicamente strutturate, è sempre un senso drammatico ma insieme evocativamente fantasioso delle possibilità che la forma offre a un’invenzione continua e pur concentrata, a un libero gioco dell’immaginazione e della tattilità che investe la docile o renitente materia. La favola si cala in costruzione e si carica del peso della terra e del sasso, senza per questo perdere la propria qualità lirica». Nel 1968 Lorenzoni è stato invitato al Premio Nazionale Simca, mentre nel 1989 risulta incluso in Pittori e scultori da Torino a Volgograd. Ha eseguito alcune opere su committenza pubblica: il bronzo nella scuola Reduzzi di Torino, il Monumento ai Caduti di San Remo (in travertino e bronzo), la scultura in travertino della scuola Garibaldi a Carmagnola; qui un gruppo di allievi-amici ha organizzato – in Palazzo Lomellini – un sentito omaggio postumo, a cura di Paolo Thea. GIOVANNI FERRABINI (Verona, 1909 - Robilante, 1969) G Ferrabini costruisce le sculture con un preciso senso architettonico: la sua attenzione è rivolta alle linee prima ancora che alla materia Donna seduta 1955 bronzo 30 × 32 × 30 cm 88 iovanni si forma all’Accademia Cignaroli di Verona, frequentando i corsi di Egidio Girelli, e si laurea in architettura al Politecnico di Torino, città dove si trasferisce nel 1939. Esordisce, ventenne, alla Società di Belle Arti di Verona e partecipa alle rassegne veneziane dell’Opera Bevilacqua La Masa, dove si fa subito notare. Data 1931 un sensibile busto di fanciullo in terracotta intitolato Cirillo, pienamente rivelatore dello spirito modernista che anima il giovane scultore. Nel 1937 ottiene la qualificazione ai Littoriali dell’Arte di Roma, con una Maternità di chiara ispirazione martiniana. A Torino si ambienta rapidamente, iniziando fin dal 1945 la sua partecipazione alle rassegne della Società Promotrice delle Belle Arti e del Circolo degli Artisti, cui fanno seguito le prime personali. Nella scultura di quegli anni, Ferrabini contamina uno spiccato anelito di modernità con reminiscenze classiche e talora, addirittura, primonovecentesche. L’impegno plastico, ben presto, si alterna con l’attività professionale di architetto e di disegnatore d’interni; la sua cifra specifica, in qualità di designer e arredatore, va cercata nel tentativo costante di integrare la scultura con l’ambiente. Intorno alla metà degli anni ’950 inizia una ricerca formale tesa a un processo continuo di semplificazione (nelle crocifissioni, come nei cavalli o nei cavalieri, e in tutta una serie di interessantissimi nudi, ma soprattutto nel San Giorgio del Museo d’Arte Moderna di Bruxelles); tale ricerca lo conduce verso delle particolari volumetrie in cui la forzatura “espressionista” si traduce in una più libera scansione, piegando la figura umana e ogni altro elemento compositivo all’interno di forme strutturali “chiuse”. A Parigi nel 1958 incontra lo scultore russo, naturalizzato francese, Ossip Zadkine. Dopo essersi impegnato in alcuni lavori di carattere pubblico, quali le grandi composizioni come il grande Sole di sei metri (realizzato per Italia ’61), le tre fontane di villa Agnelli (in strada San Vito, sulla collina torinese), e il duplice pannello in bronzo de Il Lavoro e L’Industria (per la ditta Gallino di Torino), si cimenta soprattutto nello stuperfacente albero a canne ideato per il cortile esterno della Scuola “Cesare Torazzi” di Vestignè (1963). Un altro vasto complesso organico, con numerose sculture (pezzi unici in legno, metalli e ceramica: dai maniglioni delle porte ai cancelli e ai molteplici rilievi), gli offre – in una villa di Ospedaletti – un lavoro che lo occupa incessantemente dal 1967 fino al momento del tragico incidente automobilistico, nel quale, di ritorno dalla riviera ligure, perde la vita. FRANCO GARELLI (Diano D’Alba, 1909 - Torino, 1973) D Libero dal vincolo della descrizione, Garelli sente lo spazio in modo architettonico: la sua è una poetica della struttura e della materia [Figure] 1955 ca. bronzo, h. 38 cm 90 opo aver frequentato il liceo classico Massimo d’Azeglio, segue poi le orme paterne fino alla laurea in medicina e chirurgia. Tuttavia fin da ragazzo, come racconta egli stesso, comincia «a tirar su enormi figure di terra, maneggiando decine di chilogrammi di argilla». Nel 1927 esordisce alla Promotrice di Torino con una Testa in cera. L’abbrivo in ambito universitario, nei primi anni trenta, lo vide esporre alla Mostra piemontese di arte goliardica (1932), ai Littoriali (Anno X) e alla I Mostra documentaria di Vita Goliardica, organizzata dal GUF di Torino alla galleria Il Faro. Alla fine degli anni Trenta, modellando le argille di Albisola e di Castellamonte, scopre la passione per la ceramica, che in qualche modo acuisce il suo interesse per il modellato e per la materia in sé. I soggetti più ricorrenti sono: uomini e Pomone, tori e toreri, galli e cavalli. Entra in contatto con alcuni esponenti del secondo futurismo torinese: Fillia, Mino Rosso e Pippo Oriani, oltreché con lo stesso Marinetti; nondimeno rimane colpito dalla genialità controcorrente di Luigi Spazzapan e, ad Albisola, dall’inclinazione moderna di Arturo Martini. Tra il 1941 e il 1943 partecipa al secondo conflitto mondiale e gli viene conferita la Croce di Guerra al valor militare; non tarda, comunque, a riprendere l’attività medica, come libero docente in otorinolaringoiatria. Alla pratica scultorea alterna anche la pittura e la grafica, senza però trascurare l’insegnamento di anatomia artistica all’Accademia Albertina. Negli anni non facili del dopoguerra la frequentazione costante di Albisola e Vallauris, dove Picasso lavorava dal 1947, permette all’artista di entrare in contatto con Agenore Fabbri, Lucio Fontana, Tullio Mazzotti e Aligi Sassu. L’affermazione di Garelli come esponente di spicco della cultura informale avviene a Torino intorno alla rivista e alla galleria Notizie, diretta da Luciano Pistoi. Verso la metà degli anni Cinquanta le sue figure create assemblando e saldando rottami di ferro tentano una rottura definitiva con certo conservatorismo piemontese. Forzando la scomposizione cubista e le suggestioni surrealiste approfondite a contatto con il gruppo Cobra, l’artista giunge a risultati di sorprendente ambiguità spaziale e di forte intensità drammatica, come nell’Uomo esposto alla Biennale di Venezia del 1954. Garelli non intende più modellare la «superficie esterna», bensì, sulla scia ideale di Lipchitz e Zadkine, la «forma cava», l’interiorità. Una complessa riflessione sul passaggio dalle due alle tre dimensioni si intensifica a partire dal 1963, con i “plamec” (rilievi in materiale plastico su tela o su legno), dove si avverte il piacere dell’improvvisazione imposta dai rapidi mutamenti termicoplastici causati dal tipo particolare di lavorazione. ADRIANO ALLOATI (Torino, 1909 - 1975) I Alloati sente la superficie sopra ogni cosa: la sua scultura, governata da leggi armoniche, si offre al tatto prima ancora che all’occhio Testa di Naiade n. 6 1960 bronzo, h. 41 cm Variante della testa di una delle Naiadi del cinema Reposi (1948) 92 l primo maestro del giovanissimo Alloati è il padre Giovanni Battista, che, seppur severo e accentratore, gli consente di frequentare gli studi di altri scultori (ad esempio, quello romano di Fortunato Longo) e, soprattutto, di seguire i corsi dell’Accademia Albertina, sotto la guida di Umberto Baglioni ed Edoardo Rubino. Nel 1934 l’Accademia gli assegna un viaggio premio. Nel 1936, a Roma, viene insignito con una medaglia d’argento per il gruppo Maternità e inizia a esporre alla Società Promotrice delle Belle Arti di Torino. La frequentazione dell’Accademia è talmente proficua che, dimesso quale allievo nel 1937, vi entra l’anno successivo in qualità di docente (incarico che manterrà fino al 1950). Nello stesso anno è premiato a Venezia, dove – nel 1938 – parteciperà alla Biennale. Sempre nel 1938 ottiene il premio del Ministero delle Corporazioni e nel 1939 quello del Circolo degli Artisti di Torino. È assiduo collaboratore di Michele Guerrisi e Arturo Stagliano, nel cui atelier Bistolfi ha modo di ammirare alcuni lavori di Adriano. Nel 1940 ottiene il riconoscimento del Museo Civico della sua città natale, mentre nel 1940 è segnalato alla XXII Biennale di Venezia; è di nuovo alla Biennale nel 1942, questa volta con una sala personale. Nel 1944 vince il Premio Serralunga. Nel 1948 presenzia alla XXIV Biennale di Venezia con un Bozzetto per Naiade n. 7 (bronzo) ed esegue, per il Cinema Teatro Reposi, un gruppo di tre grandi Naiadi da porsi nell’atrio e cinque Maschere per la facciata esterna. Nel 1951 realizza i bassorilievi in bronzo con i ritratti dei coniugi Pinna Pintor e della famiglia Viano, posti al Cimitero Monumentale di Torino. Nel 1952 si aggiudica, per concorso, la cattedra di scultura ornamentale all’Accademia di Brera; a Milano stringe rapporti di duratura amicizia con i pittori Achille Funi e Gianfilippo Usellini. Nel 1954 partecipa alla XXVII Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, con il ritratto in terracotta di Marisa Borini e con i bronzi Maria e Nudo in piedi (quest’ultimo verrà acquistato nel 1967 dal Suermondt Museum di Aquisgrana). Nel 1955 inaugura il Monumento ai Caduti di Almese, mentre nel 1956 vince, insieme all’architetto Carlo Mollino, il concorso per il Monumento ai Caduti di Fossano. È del 1959 la Portella d’altare per la chiesa di San Paolo in Alba. Del 1963 è, invece, la Composizione mistica, successivamente collocata al Cimitero Monumentale di Torino (tomba Navone). Nel 1964 un suo medaglione raffigurante Don Bosco viene collocato all’ingresso della galleria stradale di Lanzo Torinese. In quell’anno è da ricordare anche la realizzazione delle sei statue dei Dottori della Chiesa in marmo Zandobbio, per la nuova facciata della chiesa di San Paolo in Alba. CLAUDIA FORMICA (Nizza Monferrato, 1903 - Torino, 1987) P Refrattaria a qualsiasi forma di leziosità, Claudia Formica interpreta in modo personale la lezione dei grandi maestri del Novecento Mietitori 1966 bronzo 20 × 30 × 30 cm Opera presentata alla 124a Esposizione di Arti Figurative della Promotrice di Torino 94 romettente allieva di Edoardo Rubino ed Emilio Musso all’Accademia Albertina, Claudia decide di perfezionarsi a Firenze, presso Guido Calori e Libero Andreotti. Ritornata a Torino, presto comincia a partecipare alle rassegne della Promotrice delle Belle Arti (dal 1928), mentre nel 1929 presenta il progetto per una fontana. Nello stesso periodo realizza alcuni apprezzati modelli per la manifattura Lenci ed espone alla Galleria Pesaro di Milano. Autrice di stilosi nudi novecentisti e di austeri monumenti funerari, scultrice sensibilissima e di grande finezza plastica, Claudia Formica torna momentaneamente a Firenze (città del suo ultimo mentore),nel 1933, per presentare una Donna mediterranea; nel 1938 partecipa alla Biennale di Venezia (Ritratto della sorella, bronzo, ora a Torino, nella Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea). Nel 1941, invece, espone ad Alessandria e ad Asti. Dobbiamo qui ricordare il Portinaretto (ritratto di Giuseppe Balocco, terracotta, 1940 ca.), ceduto in deposito al Museo Civico di Asti dal Ministero dell’Educazione Nazionale, che lo aveva acquistato alla III Mostra Provinciale del Sindacato Belle Arti di Asti. Nel secondo dopoguerra la ricerca estetica della Formica si spinge verso una maggiore sintesi formale, mentre il suo modellato – robusto e morbido a un tempo – cerca nuove soluzioni per far vibrare la materia in modo più “moderno”. Nel 1950 partecipa ancora alla Biennale di Venezia e nel 19591960 alla Quadriennale di Roma. Alla 124a Esposizione di Arti Figurative della Promotrice di Torino presenta il bronzo Mietitori. Il nome di Claudia Formica – stimata ritrattista della borghesia torinese, autrice altresì di una poco nota e rarefatta produzione di gioielli – è conosciuto presso un pubblico più allargato grazie alla significativa presenza dell’artista nel catalogo Lenci. Tra i lavori monumentali e celebrativi vogliamo citare il Monumento ai Caduti di Incisa Scapaccino (1927), la Fontana della giovinezza a Poirino, il Monumento al Partigiano di Rivoli (su progetto dell’architetto Adele Scribani), il Monumento ai Carabinieri di Alessandria, le acquasantiere per il Santuario di Oropa. Le opere da lei prodotte tra gli anni Trenta e gli anni Ottanta saranno catalogate ed esposte a Nizza Monferrato, nella sede di Palazzo Cavour, tornata a disposizione del comune. Grazie alla collaborazione della specialista Chiara Lanzi (direttrice della gipsoteca “Giulio Monteverde” di Bistagno) e degli eredi Formica, si potrà finalmente avere una visione critica più completa e uno sguardo d’insieme più ampio, che permetteranno di dare all’opera della plasticatrice nicese una giusta collocazione nel complesso panorama della scultura italiana del Novecento. APPENDICE EMILIO SPERATI (Milano, 1861 - Torino, 1931) E Le fusioni di Sperati si distinguono per la precisione della rinettatura, per la resa di tutti i minimi dettagli e per le patine superbe Antonio Carminati (1859-1908), Tentazione, bronzo, h. 40 cm 98 milio Sperati, astro dell’arte fusoria torinese, muove i primi passi a Milano come scultore. Segue i corsi di ornato, di elementi di figura e di architettura all’Accademia di Brera; uno dei suoi primi compagni è Giovanni Segantini. Emilio comincia subito a lavorare, già durante gli studi accademici, con lo scultore Francesco Barzaghi (suo patrigno, formatosi a Brera sotto la guida di Vela) e si sofferma, con lui, sul perfezionamento del processo di fusione “a cera persa”, in sostituzione sistema con forme a tasselli. In una memoria autografa intitolata Brevi cenni sullo sviluppo della propria industria e redatta in occasione della mostra dei suoi bronzi artistici (presentati all’Esposizione Nazionale della Promotrice delle Belle Arti di Torino nel 1898), Sperati descrive con evidente orgoglio la messa a punto ufficiale del procedimento, avvenuta nel 1877, dopo aver superato infiniti ostacoli e notevoli sacrifici economici. All’epoca le fonderie di statue colossali erano poche, in tutta Italia. A Torino comunque, grazie a tutto il fermento creatosi intorno all’attività degli scultori, stava iniziando una grande fioritura di fonderie artistiche, che sarebbe sbocciata di lì a poco: Stura, Rainetto, Fumagalli, Betta e Riva, Amilcare Menzio… Emilio abbandona Milano per andare a perfezionarsi in altre fonderie, con il tarlo di riuscire a varcare gli angusti confini italiani. Poco più che ventenne, nel 1884, si trasferisce a Torino, chiamato da Tabacchi. Giusto con la fusione di alcune statuine di Tabacchi ha inizio la fortunata carriera sabauda di Sperati, noto e apprezzato dai maggiori scultori del suo tempo per l’insolita sensibilità nel volgere le opere in bronzo, «senza tradirne gli intenti come fa un buon traduttore per l’opera letteraria». A Torino, per fondere lavori di grandi dimensioni, allora si doveva ricorrere alla Fonderia del Regio Arsenale, specializzata in armi da fuoco, in prodotti industriali e di uso civile. Anche Sperati, in principio, ha a disposizione il personale dell’officina regia per realizzare importanti gettate: ad esempio quella della statua equestre del generale Alfonso Ferrero della Marmora (opera di Stanislao Grimaldi del Poggetto), collocata in piazza Bodoni nel 1891. Il primo stabilimento di Emilio apre nel 1884: si trova in strada Regio Parco, al numero 36, e si specializza, appunto, in fusioni a cera persa. Da qui la vicenda di Sperati diviene frenetica e sempre più ambiziosa. Anche la richiesta borghese di bronzetti “da camera” (realizzati sovente con una perizia sublime) non gli lasciava requie, rendendolo famoso e ricercato. Umberto I, che ammira oltremodo il lavoro del nostro fonditore, lo nomina Cavaliere della Corona d’Italia. Una commissione importante arriva da Calandra , che gli affida la fusione del Monumento al Principe Amedeo di Savoia Duca d’Aosta (il lavoro, per motivi tecnici, verrà però EMILIO SPERATI terminato dal fonditore Pietro Lippi di Pistoia). Sperati inizia così i lavori per ingrandire gli impianti della sua fonderia, per essere in grado di realizzare qualsiasi tipo di monumento; nel 1892 afferma che la sua fonderia conta un complessivo di forni all’ultimo modello che possono sopportare ben quindici tonnellate di bronzo. Con l’arrivo ufficiale dell’Art Nouveau in Italia, nel 1902, all’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna di Torino, la fama di Sperati varca i confini nazionali e il fonditore decide così di “colonizzare” la Russia zarista. La scintilla scocca proprio dopo la chiusura della mostra torinese, allorché Emilio risulta selezionato – da una commissione russa inviata in occidente – quale il più idoneo a fondere il Monumento allo Zar Alessandro III di San Pietroburgo, per il quale si è aggiudicato il concorso il principe Paolo Troubetzkoy. Nel 1903 Sperati si trasferisce a San Pietroburgo, dove non esita a impiantare uno stabilimento, intralciato da immense difficoltà, dovute soprattutto alla natura paludosa del terreno, non abbastanza solido da permettere la fusione in terrapieno. Mentre si fanno sempre più aspre le agitazioni e le lotte sociali già in corso da anni contro l’assolutismo imperiale, nel gennaio 1905, Emilio si trova nel bel mezzo del primo tentativo rivoluzionario: la sua officina rimane incendiata e distrutto il modello del monumento, mentre Troubetzkoy, appartenente alla nobiltà, deve fuggire. Solo l’anno dopo Sperati può ricostruire un’altra officina e portare a termine la fusione del monumento, che gli procurerà molti elogi e l’onorificenza dell’Ordine di Sant’Anna. Traumatizzato soprattutto sul piano fisico ed economico, rientrato nella più posata Torino, il fonditore sceglie di abdicare, abbandonando i grandi lavori, dedicandosi solo più ai suoi finissimi bronzetti e trovando svago nella pittura, oltreché nel collezionismo d’arte. Nella pagina a fianco Ugo Miniati (Firenze, 1871 - ?) Gruppo, bronzo 32,5 x 38 x 40 cm 100 Due diversi timbri della fonderia e il particolare di una carta intestata INDICE DEGLI AUTORI Alloati, Adriano, 92 Audagna, Virgilio, 50 Baglioni, Umberto, 74 Balzardi, Angelo, 46 Baroni, Eugenio, 48 Beltrami, Nillo, 72 Biscarra, Cesare, 24 Bistolfi, Leonardo, 28 Calandra, Davide, 16 Canonica, Pietro, 32 Cellini, Gaetano, 34 Ceragioli, Giorgio, 42 Chissotti, Giovanni, 84 Ducato, Piero, 82 Ferrabini, Giovanni, 88 Formica, Claudia, 94 Fumagalli, Celestino, 26 Garelli, Franco, 90 Giansone, Mario, 66 Giorgis, Giacomo, 44 Guerrisi, Michele, 64 Lorenzoni, Pietro, 86 Mastroianni, Umberto, 76 Monti, Michelangelo, 36 Musso, Emilio, 70 Riva, Giovanni, 60 Rubino, Edoardo, 20 Saglietti, Angelo, 58 Santiano, César, 38 Sperati, Emilio, 98 Stagliano, Arturo, 22 Tabacchi, Odoardo, 14 Terracini, Roberto, 54 Tinto, Ettore, 68 Vela, Vincenzo, 12 102 La Galleria Matteotti, al suo debutto ufficiale con questa mostra, raccoglie idealmente il testimone dalla Galleria Bottisio di cui occupa gli storici locali, abituale luogo di incontro di intere generazioni di collezionisti torinesi. Un ringraziamento particolare a Santo Alligo, Andrea Barin, Sergio Bernardis, Franco Borga, Lorena Cascino, Massimo Circosta, Salvatore Conidi, Lalla Darò, Luca Fiorentino, Massimiliano Fiorio, Salvatore Liistro, Plinio Martelli, Raffaele Mondazzi, Adriano Olivieri, Carlo Pizzorno, Laura Saglietti, Paolo Schmidlin, David Terracini. Questo catalogo segue altri tre precedenti lavori dell’autore sull’argomento, rispetto ai quali è in parte debitore: Pigmalione e Galatea. Note di scultura a Torino 1880-1945, Il crepuscolo delle dee. Idealità classica e scultura moderna a Torino 1920-1990 e Chimere. Miti, allegorie e simbolismi plastici da Bistolfi a Martinazzi, tutti pubblicati da Weber & Weber tra il 2006 e il 2008. Finito di stampare nel mese di giugno 2015 presso TIPOLITOEUROPA, Cuneo La febbrile Torino fin de siècle, pronta a contendere a Parigi il primato di capitale della scultura e delle arti decorative, si apre alla modernità del Novecento... Un arco cronologico di cento anni, esaminato attraverso le opere dei suoi artisti più rappresentativi.