Intervista con il direttore di Al Jazeera per la prima volta in Italia

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Intervista con il direttore di Al Jazeera per la prima volta in Italia
INCONTRI
8
24 agosto
Intervista con il direttore di Al Jazeera per la prima volta in Italia: “Siamo una tv libera e priva di dogmi”
“Non chiamateli terroristi”
“I kamikaze palestinesi operano per la resistenza contro l’occupazione di Israele. Martiri? Sì, qualche volta lo sono
e hanno il sostegno arabo. Quando qualcuno uccide un civile non diamo giudizi: diciamo solo che si è fatto esplodere”
Signor Wadah Khanfar, direttore generale di Al Jazeera, quali sono secondo lei le principali differenze tra i mass media occidentali
e quelli mediorientali, in particolare rispetto a un evento come la
guerra in Iraq?
“Al Jazeera ha iniziato una nuova
forma di comunicazione giornalistica, libera, 8 anni fa. Prima, non esisteva alcuna cultura di libero giornalismo televisivo in arabo. La maggior parte delle tv arabe, in realtà,
rappresenta gli interessi dei governi
o i loro stessi interessi. Professionalmente, non sono oggettive”.
Voi invece?
“Si pensa alla nostra redazione come un mondo chiuso, invece è molto
liberale, multiculturale, multireligiosa. Da noi lavorano persone di ogni
ideologia e vogliamo dare visibilità a
ogni parte politica mediorientale”.
Ritorniamo alle differenze con i
media occidentali...
“La principale è che i media arabi
hanno informazioni più di prima mano, perché sono integrati culturalmente nella regione e condividono la
lingua delle persone di cui si parla.
Gli occidentali utilizzano interpreti e
osservano la realtà tramite gli occhi
e la voce di questi”.
Il mondo ha conosciuto Al Jazeera dopo l’11 settembre, soprattutto come “portavoce”dei comunicati di Bin Laden.
“I media occidentali sbagliano a
documentare solo pochi minuti delle
nostre trasmissioni, e dimenticano
che Al Jazeera già prima dell’11 settembre promuoveva un processo di
democratizzazione del mondo mediorientale. La nostra missione è batterci per la libertà di espressione.
Quando riceviamo una cassetta di
Bin Laden non permettiamo ai gruppi terroristici di usare il teleschermo
per la propaganda. Ironia della sorte:
prima dell’11 settembre i media internazionali riportavano notizie di
Osama Bin Laden, cui non davamo
spazio per evitare forme di pubblicità. Adesso se parliamo di Bin Laden, anche se c’è una notizia, tutti
dicono che gli diamo troppo spazio”.
Con quali criteri scegliete di trasmettere un video di Bin Laden e
non l’esecuzione di Quattrocchi?
“Anzitutto non permettiamo che
Wadah Khanfar,
direttore
generale
di Al Jazeera,
canale
satellitare
del Qatar.
La sua presenza
al Meeting
coincide
con il suo primo
viaggio
in Italia
qualunque pezzo trasmesso serva da
propaganda. Secondo: immettiamo i
pochi minuti trasmessi in un contesto di discussione. Di una cassetta di
Bin Laden trasmettiamo i pochissimi
minuti che permettano il dibattito. I
gruppi terroristici hanno un certo sostegno nel mondo arabo, in gruppi
marginali che pensano che la violen-
za sia la via più semplice per raggiungere i propri fini politici. Questi
atteggiamenti ‘filo terroristici’ sono
stati creati dai regimi dittatoriali che
non permettevano la libertà di espressione”.
E’ vero che chiamate “martiri” i
terroristi suicidi?
“No. La parola ‘martire’ non ha e-
quivalenti in arabo. Ad esempio, rispetto alla questione palestinese, non
descriviamo tutti gli eventi che accadono come atti terroristici: certe operazioni vanno chiamate ‘resistenza’ e
altre no, specialmente quando ci sono civili coinvolti”.
Ma quando una persona uccide
un civile, come lo definite?
“Cerchiamo di non dare nessun
giudizio. Diciamo semplicemente
che una persona si è fatta saltare in
aria. Non usiamo né la parola terrorismo, perché è politicamente abusata,
né la parola martire se non in casi
particolari. In arabo shaid, l’equivalente del vostro martire, è chi non
muore in modo naturale”.
Userebbe lo stesso termine per
un israeliano che si fa saltare in aria in Palestina?
“Assolutamente no. La Palestina è
una terra occupata da Israele: c’è occupazione, quindi resistenza, e la resistenza ha il sostegno arabo. Questa
non è un’invenzione di Al Jazeera: la
novità è che prima di noi, nessuna tv
nel mondo arabo ha intervistato giornalisti o politici israeliani”.
Chiara Rizzo