Giocare con la sicurezza

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Giocare con la sicurezza
L’INDIPENDENTE ❖martedì 5 ottobre 2004
UN ESERCITO di 51mila persone:
ogni giorno indossano giubbotti
antiproiettili, trasportano milioni di euro in contanti, sorvegliano polveriere. E girano armati.
Salvo, come purtroppo accade,
nascondere nella fondina una pistola giocattolo. Sono i “soldati”
della sicurezza privata, i vigilantes. Che
potrebbero costituire una straordinaria
risorsa per il Paese – e in parte lo sono,
quando si trovano alle dipendenze di
quella minoranza di istituti che assicurano livelli di qualità elevati – ma che il
disordine del settore fa apparire talvolta
come un esercito in disarmo.
La vigilanza privata in Italia è un business con un fatturato che viaggia ormai
intorno ai 3 miliardi di euro l’anno, una
torta divisa, in modo disomogeneo, tra gli
oltre 800 istituti che hanno una licenza.
Ma a un settore produttivo così “affollato” manca un sistema di regolamentazione efficace e adeguato. Il riferimento normativo fondamentale è il Testo unico della pubblica sicurezza del 1931. Difficilmente applicabile al mondo degli apparati di monitoraggio satellitari. Una disegno di legge messo a punto dal ministero
dell’Interno è in corso di discussione in
Parlamento, con un deputato di An, Vincenzo Nespoli, che fa da relatore e un articolato che raccoglie le proposte già elaborate da altri esponenti di maggioranza
e opposizione: da Antonio Pezzella, sempre di An, a Luigi Peruzzotti della Lega e
Paolo Cento dei Verdi. Ma i problemi nel
frattempo sono diventati talmente complessi, anche per le innovazioni tecnologiche intervenute negli ultimi anni, che si
fa fatica a tenerli tutti dentro un unico testo, gli emendamenti si moltiplicano in
modo frenetico e la possibilità, auspicata dal sottosegretario Alfredo Mantovano,
di sottoporre la legge all’aula di Montecitorio entro la fine dell’anno è seriamente minacciata.
VIAGGIO NEL MONDO DELLA POLIZIA PRIVATA/1
E
Giocare con la sicurezza
fosse disposto a restare per 7 ore di seguito in piedi e in silenzio davanti a una
banca. Nei meccanismi di selezione e gestione della polizia di Stato si adotta in
genere una rigidità burocratica ossessiva,
nel caso degli istituti di vigilanza privata
prevale una logica apparentemente liberista che poi in realtà corrisponde a una
mancanza di controlli. Dovrebbero effettuarli i prefetti: lo imponeva una circolare del ministero dell’Interno che risale al
1998. Sostanzialmente trascurata in questi anni, in cui il settore ha conosciuto
una nuova fase di espansione. Fino all’apertura del caso giudiziario più eclatante, la maxi inchiesta messa in piedi nella
primavera scorsa dalla Procura di Milano
e che alla fine di agosto ha portato alla richiesta di commissariamento per tre istituti. I cui vertici sono accusati di avere pa-
Un esercito di 51mila
vigilantes svolge compiti
delicatissimi senza
la copertura di una legge
che dia ordine al settore
gato tangenti per ottenere commesse da
15 milioni di euro dall’Esercito, dalle Poste, dalla Regione Lombardia e per la sicurezza negli aeroporti. Le quattro società di sicurezza coinvolte sono tutte riconducibili a un unico potente colosso, la
holding Ivri, di Giampiero Zanè, arrestato insieme con altre dieci persone.
Oltre alle accuse di corruzione, a gettare pesanti ombre sul mondo della vigi-
lanza privata hanno contribuito fatti
emersi nei mesi successivi all’inizio dell’inchiesta: a giugno si è scoperto che alcuni vigilantes dell’Ivri venivano spediti dall’azienda a sorvegliare l’aeroporto di
Malpensa con una fondina vuota o con
una pistola giocattolo. «E non si tratta di
casi isolati», denuncia il segretario del
Savip, il Sindacato autonomo di vigilanza privata, Vincenzo Del Vicario. «Ci
mandano allo sbando, i controlli sono
scarsi e se un dipendente segnala le precarie condizioni in cui è costretto a lavorare, si guadagna una bella sospensione
da parte del datore di lavoro, come è accaduto di recente al nostro segretario provinciale di Salerno».
Che possa accadere di trovare una
guardia sostanzialmente disarmata anche davanti a obiettivi militari sensibili,
Se la “nazionale delle rapine” va a colpo sicuro
I SONO STATE INNOVAZIONI TECNOLOGICHE assai rapide, in
questi ultimi anni, nel settore dei sistemi di sicurezza.
Ma la mancanza di una regolamentazione adeguata ha
lasciato esposti i lavoratori alla ferocia delle bande che
assaltano sistematicamente banche, furgoni portavalori
o le casseforti degli stessi istituti di vigilanza. Le tecniche
usate dai malviventi assomigliano a quelle di spietati guerriglieri, ma si arricchiscono di astuzie sempre più raffinate. Quando, venerdì scorso, è stato svuotato a Mesagne, nel
Brindisino, un furgone che trasportava 470mila euro per
conto delle Poste, gli assaltatori hanno collocato sulla statale i segnali che in genere indicano i lavori in corso, in modo da rallentare l’andatura del mezzo da rapinare. Colpo
riuscito, un automobilista e tre vigilantes feriti.
Il giorno dopo il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano ha convocato un vertice sulla sicurezza in Puglia a
cui hanno partecipato prefetti, questori e comandanti dei
C
Superficialità e scandali
Che cosa succede? Che negli anni scorsi
l’importanza di questo settore è stata sottovalutata. Si è creduto che per garantire
sicurezza bastasse affidare una pistola e
un giubbotto antiproiettili a chiunque
carabinieri. Al termine Mantovano ha definito «gravissimo» l’assalto del giorno prima, ma ha anche concluso che
«l’episodio non può indurre a ritenere che in Puglia ci sia
un’emergenza criminalità». Verissimo. L’allarme non riguarda una singola regione. Il livello di specializzazione di
queste bande criminali presuppone infatti un “lavoro di
squadra” tra malavitosi di tutta Italia. Gli investigatori ipotizzano, per esempio, che all’assalto di venerdì abbiano partecipato “esperti” provenienti dalla Sardegna, insieme con
elementi della Sacra corona unita. È una specie di “nazionale italiana delle rapine” in cui si ritrovano soggetti espertissimi, quella che si arricchisce con questo genere di azioni. E che continuerà a colpire in condizioni relativamente
comode fino a quando non verrà imposto agli istituti di vigilanza il rispetto di protocolli di sicurezza molto più rigidi di quelli attuali e rispettosi della vita di chi la mette a ri[E.N.]
schio per poco più di mille euro al mese.
è emerso non solo nell’inchiesta di Milano ma è stato denunciato anche dal segretario dell’Associazione nazionale dei
funzionari di polizia, Giovanni Aliquò:
«Il caso di Malpensa è il più eclatante, ma
vigilantes senza pistola se ne sono visti
anche a Roma, persino su grandi appalti
pubblici. Almeno per il 30 per cento, i
servizi di sicurezza privata non sono in
regola». L’allarme è stato ripreso dal deputato di An Antonio Pezzella, che da
marzo ha presentato tre interrogazioni ai
ministeri dell’Interno e delle Infrastrutture e che, per ovviare alle vertiginose falle che si sono aperte nei controlli sul settore, ha chiesto «la costituzione di una
specifica Authority: il sistema va regolamentato, innanzitutto per dare certezza e
protezione ai lavoratori».
Caduti sul campo
In questo mondo si ha a che fare con due
cose, soprattutto: la vita delle persone e i
soldi. Uno dei principali servizi assicurati
dagli istituti di vigilanza è il trasporto di
valori per conto delle Poste e delle banche. Questo denaro finisce in quantità
preoccupanti nelle mani della malavita,
le cui bande di assaltatori operano su tutta la Penisola e non sembrano fermarsi
davanti ai sistemi di controllo satellitare
dei veicoli. Negli ultimi dieci anni, al tributo in termini economici si è aggiunto
quello tragico dei 34 poliziotti privati caduti sul campo. E in certi casi, la mancanza di regole e di garanzie ha avuto
un’incidenza mortale, come avvenne il 23
aprile del 2001 al centro commerciale “I
granai” di Roma: i rapinatori fecero esplodere una Fiat Panda all’arrivo del portavalori che doveva farsi consegnare l’incasso, poi cominciarono a tempestare i
due vigilantes a colpi di kalashnikov uccidendone uno. La tragedia sarebbe stata
evitata se il furgone si fosse avvicinato fino alle saracinesche del supermercato,
ma l’assenza di regole fece prevalere una
preoccupazione decisamente secondaria,
quella di evitare che le perdite d’olio del
portavalori sporcassero la pavimentazione del centro commerciale. I vigilantes furono costretti a scendere dal mezzo e a
esporsi alla fatale tempesta di fuoco.
E RRICO N OVI
(1-continua)
VITA DA RAI
VITA DA CAMERA/1
VITA DA CAMERA/2
Diaco, un indipendente in tv
Casini e Violante, esperti d’arte
Beneficenza: la sfida alla Duma
UTTO ERA PRONTO E TUTTO è andato a monte. Gigi
Moncalvo c’è rimasto male e ancora di più Anna
La Rosa che avrebbe dovuto condurre con lui
la striscia serale di approfondimento di RaiDue. E ora?
Flavio Cattaneo sta studiando il da farsi, ma ha poco
tempo a disposizione per risolvere il rebus. L’ex
direttore della Padania era un giornalista schierato,
mentre ora il direttore generale della Rai vorrebbe un
nome indipendente. Perché non Pierluigi Diaco?
Pur avendo simpatie per la sinistra, è senz’altro
un giornalista indipendente (oltre che un ex
dell’Indipendente). Alla Rai stanno pensando proprio
al giovane conduttore di Sky, ma al momento non
è stata ancora formalizzata alcuna proposta concreta.
L’incarico da affidare è di quelli delicati, visto
che i prossimi mesi saranno decisivi per le elezioni
regionali. Se c’è Diaco, c’è più indipendenza.
T
D
OMANDA: dove sono finite le opere di proprietà della
Camera che sono state esposte mesi fa nel corso
della rassegna “Montecitorio e la bella pittura”?
Risposta: negli uffici di Casini e Violante. Già. Pare
che il presidente della Camera e il suo predecessore,
oggi capogruppo dei Ds, abbiano apprezzato così tanto
quei quadri d’arte moderna da dirottarli dalla soffitta,
dove erano destinati a tornare, ai rispettivi studi.
E a giusta ragione. Almeno stando al successo
di critica e pubblico ottenuto dalla mostra
in programma tra il marzo e l’aprile scorso. Ben 23mila
visitatori hanno potuto apprezzare opere di Giorgio
Morandi, Giacomo Balla, Giorgio De Chirico, Mario
Sironi, Carlo Carrà, Franco Gentili, Ottone Rosai e un
inedito Ritratto di Anna di Modigliani. L’esposizione
ora continua. Ma riservata a un pubblico molto
più ristretto: Casini, Violante e rispettivi collaboratori.
A CAMERA sfida la Duma, in un incontro di calcio.
Anzi, in una “partita del cuore”, perché il ricavato
della vendita dei biglietti andrà in beneficenza
ai familiari delle vittime della scuola di Beslan.
E Montecitorio è già in pieno clima prepartita.
Il presidente della Camera Casini ha messo in campo
tutti i suoi buoni uffici per avere la diretta Rai della
manifestazione. È aperta la caccia alla madrina
d’eccellenza. Con molta probabilità, sarà Simona
Ventura. Rimane ancora da definire la selezione
di parlamentari che scenderà in campo il prossimo 25
ottobre a Taranto. Alla formazione base, che si allena
tutti i martedì sera alla base della Cecchignola,
dovrebbero aggiungersi Francesco Rutelli, Roberto
Maroni e Giancarlo Giorgetti della Lega. Il calcio
d’inizio, e solo quello (“motivi anagrafici”, spiegano),
toccherà a Ignazio La Russa e Clemente Mastella.
L
Dalle corrispondenze sui quotidiani italiani informazioni fuorvianti sul confronto tra George W. Bush e John F. Kerry
Elezioni Usa: seguitele su internet
P
ER FORTUNA che c’è internet e che
l’era telematica ci consente di collegarci tutti i giorni, comodamente dall’Italia, con i siti dei
principali quotidiani statunitensi e anche quelli dei grandi istituti
americani che effettuano sondaggi. Basta conoscere un po’ di inglese. È l’unico modo attraverso il quale
l’osservatore italiano può farsi un’idea
veritiera di quello che sta accadendo negli Stati Uniti a meno di un mese dal voto per l’elezione del nuovo presidente.
Altrimenti a fidarsi dei giornalisti italiani dagli Usa le presidenziali americane
rischiano di finire con l’essere lette con le
lenti deformate della politica italiana. La
stragrande maggioranza dei corrispondenti e inviati dei grandi quotidiani presenti oltreoceano appartengono alla conclamata egemonia di sinistra e spesso tendono a confondere i loro legittimi desideri di una sconfitta di George W. Bush
con la realtà dei fatti.
Un saggio lo si è avuto a proposito del
primo dibattito televisivo che ha visto
contrapposti il presidente e lo sfidante senatore democratico. John Kerry è sicuramente andato meglio, ma non ha prevalso nettamente.
Questo giudizio ha trovato concordi i
commentatori dei maggiori quotidiani
statunitensi (New York Times, Washington Post, Los Angeles Times ecc.) e soprattutto ha trovato riscontro nei rilevamenti effettuati subito dopo il dibattito.
Invece tutti i maggiori sondaggi generali, quelli riferiti al voto e non allo scontro televisivo, continuano a dare un vantaggio, sia pure risicatissimo, a Bush. Uno
solo, quello del settimanale Newsweek,
assegna un vantaggio generale a Kerry. Disporrebbe, al momento, del 49 per cento
dei consensi contro il 46 del presidente.
Ma, questa rilevazione, pubblicata sabato, è già vecchia. Mentre, quella di Gallup,
fatta per Cnn e Usa Today, li vede esattamente alla pari nella percentuale: 49 a 49.
La verità, come spiegano gli analisti
americani, è che i confronti diretti possono influire ma non in maniera decisiva.
Vengono visti da un numero elevato di telespettatori, ma bassissimo rispetto alla
quota dei presumibili elettori complessivi che a novembre si recheranno alle urne. Inoltre, appassionano soprattutto il
pubblico che segue la politica e che risulta già schierato, non l’elettore distratto che poi è quello che fa la differenza.
In realtà, i commentatori italiani delle
elezioni, consapevoli o meno, non precisano un punto decisivo: nelle presidenziali Usa non conta affatto la somma dei
voti complessivi che ciascun candidato
può riportare, bensì, contano gli Stati che
si conquistano con il relativo numero dei
Il primo confronto in tv
tra il presidente
e lo sfidante non ha spostato
gli equilibri della sfida
grandi elettori che portano in dote. Nel
2000, a esempio, Al Gore ottenne più voti di George W. Bush. Di conseguenza la
vittoria delle presidenziali del 2 novembre appare sempre più in mano ai cosiddetti swing states (Stati incerti) nei quali
i sondaggi danno i due candidati alla pari o su margini ristrettissimi.
Si tratta di una decina di Stati, molto
diversi fra loro, con marcate peculiarità.
Il più importante è la Florida che ha una
quota di ben 27 grandi elettori (quarta in
assoluto dopo California, New York e
Texas), dove il governatore è il fratello del
presidente Jeb Bush. Qui conta l’elettorato cubano e i pensionati che negli Usa,
per motivi climatici, si trasferiscono in
questo Stato.
Il secondo è la Pennsylvania, Stato di
origine etnica tedesca a forte insediamento industriale, dove si eleggono 21
elettori. Quindi, il New Jersey con 15
elettori, che pur essendo uno Stato autonomo, è di fronte a Manahattan, qui il
gruppo etnico più forte sono gli italoamericani, circa 2 milioni e mezzo. Seguono il Minnesota con 10 elettori e l’ispanico New Messico, con 5 grandi elettori. L’esito finale delle intere elezioni si
deciderà, probabilmente, all’interno di
questi Stati, dove non a caso in queste ore
i candidati stanno concentrando la loro
presenza fisica.
L’altro fattore che viene scarsamente illustrato è il ruolo di Ralph Nader, il candidato indipendente proveniente dalla
La mappa completa per orizzontarsi nella rete
per tenere d’occhio l’andamento dei sondaggi sulle
presidenziali Usa 2004 è www.gallup.com, che fa riferimento al più prestigioso istituto di sondaggi americani.
La Gallup, opera in questo caso su commissione della Cnn e di Usa Today, l’unico quotidiano nazionale americano.
Ogni grande quotidiano americano dispone di una sezione all’interno del proprio sito web interamente dedicata alle
presidenziali con sondaggi, foto, notizie e
commenti. Vale la pena di consultare
www.nytimes.com, www.washingtonpost, www.latimes.com, www.sfchron.com,
www.boston.com, www.herald.com, che
I
L SITO PIÙ ATTENDIBILE,
sono i siti dei più noti quotidiani Usa:
New York Times, Washington Post, Los
Angeles Times, San Francisco Cronicle,
Boston Globe, Miami Herald. Ancora, accanto a quello della Cnn, documentatissimo è www.msnbc.com, il sito della Nbc,
grande network televisivo.
In alcuni casi, come quello del quotidiano di Miami, vengono fatti rilevamenti di sondaggi con riferimento allo Stato in
cui il giornale è radicato (in questo caso la
Florida) e questo è molto interessante ai fini del dato finale.
Altri siti interessanti, soprattutto per le
curiosità legate al voto, sono The Drudge
Report, Salon e Slate e portali come
Yahoo! e Excite. La rete internet è cresciuta enormemente di ruolo nella politica americana, non solo ci sono i sofisticatissimi siti dei candidati e dei partiti che
provvedono alla raccolta fondi, ma ci sono appositi siti che ospitano forum di politica (come Politicalwag e Talkcity) che
ospitano confronti fra elettori capaci di influenzare le scelte dei frequentatori della
rete.
C’è da tenere presente che negli Stati
Uniti si sta diffondendo una quota di popolazione, in particolare fra i giovani, che
naviga in rete per molte ore durante la
giornata, ma non guarda la televisione e
[G.S.]
nemmeno legge i giornali.
sinistra ambientalista. Molto impropriamente lo potremmo definire il Bertinotti
americano (non è certo comunista ma si
muove nella sinistra ultrapacifista e no
global). È il terzo incomodo che sottrae
voti quasi esclusivamente ai democratici
favorendo di fatto Bush.
Si presenta in una trentina di Stati ma
i pochi voti che è in grado di assorbire alla prova dei fatti potrebbero pesare in
maniera decisiva. Nel 2000 Bush vinse le
elezioni grazie alla conquista decisiva
della Florida, dove ottenne un risicato
vantaggio di 537 voti.
In quello Stato la presenza elettorale di
Ralph Nader fu devastante per Al Gore, in
quanto il candidato indipendente ottenne ben 97mila voti, quasi tutti strappati
all’area democratica. Non è un caso che
John F. Kerry abbia messo in piedi un apposito e agguerrito staff che sta contestando e chiedendo la verifica, Stato per
Stato, delle firme di sostegno alla candidatura di Nader.
La storia delle elezioni americane viste
dagli italiani è costellata da clamorosi
flop. Quando nel 1980 Ronald Reagan
divenne, a valanga, il quarentesimo presidente degli Stati Uniti, nessun giornale
italiano lo aveva previsto. Nelle corrispondenze venne presentato come
un’“americanata”, un ex attore di seconda serie, un cowboy. Eppure, Reagan era
stato per due mandati il governatore della California, lo Stato più ricco e grande di
tutti gli Stati Uniti. Allo stesso modo,
quattro anni fa, era stata dato vincente Al
Gore su George W. Bush.
Tutto ciò non significa che la partita
non sia apertissima a ogni esito. L’attesa,
ora, è per i successivi dibattiti fra i due sfidanti: quello di venerdì a St. Louis in
Missouri e quello del 13 ottobre a Tempe
G EN NARO S ANGI U LIANO
in Arizona.
L’INDIPENDENTE ❖ giovedì 7 ottobre 2004
T
VIAGGIO NEL MONDO DELLA POLIZIA PRIVATA/2
ROVARE UNA GUARDIA PRIVATA che
fa la ronda per l’aeroporto di
Malpensa con il tappo rosso sulla pistola giocattolo è un fatto
agghiacciante. Un caso del genere è stato scoperto, in modo
fortuito, nello scorso mese di
giugno, da due ispettori dell’Inps di Varese, che hanno denunciato l’episodio alla Procura di Busto Arsizio.
Sindacalisti come Giovanni Aliquò, segretario dell’Associazione nazionale dei
sindacati di polizia, ritengono che nuove
indagini porterebbero facilmente a scoprire «vigilantes senza pistola anche su
grandi appalti pubblici». Cioè davanti a
polveriere dell’esercito e persino davanti a basi della Nato.
Dall’oligopolio al far west
Come è possibile arrivare a un simile livello di abbandono e di illegalità in un
settore delicato come la sicurezza? Si intrecciano due ragioni: da una parte l’evoluzione che il mercato ha conosciuto negli ultimi 5 anni, dall’altra la disattenzione, da parte degli apparati dello Stato,
nell’attuare i controlli sul settore. La competitività c’è stata, tra gli istituti di vigilanza, ma in mancanza di regole, e di una
normativa che il Parlamento tarda a approvare, ha assunto il carattere di un far
west più che di un mercato regolato. Con
il risultato che la ricchezza e gli appalti
hanno continuato a beneficiare una ristretta cerchia formata da una ventina di
gruppi, tra i quali si combatte una guerra
spietata, senza lasciare spazio a altre piccole, ma spesso bene attrezzate, aziende.
Sono i numeri, prima di ogni altra cosa, a dare il senso di questa anomalia. E a
fornire una bussola per orientarsi tra cifre
contraddittorie è Fulvio Valandro, che
da piccolo imprenditore dei servizi di sicurezza è diventato editore e giornalista:
pubblica un mensile, La ronda, che rappresenta uno dei punti di osservazione
più attenti su tutto il settore. Ci sono poco più di 800 istituti di vigilanza realmente operanti in Italia, «eppure le licenze complessivamente in vigore sono
oltre 1100: questo avviene perché di queste autorizzazioni, almeno 300 sono nelle mani di quei pochi gruppi che da soli
Uomini d’arme o portieri? C
Un esercito parallelo
egemonizzano il mercato e lasciano poco
spazio a chi tenta di emergere».
L’egemonia, negli anni si è determinata con un meccanismo simile alla clonazione: le holding più solide creavano nuove società destinate a operare nelle diverse province. In pratica, il gruppo di interesse era sempre lo stesso, a cambiare erano solo le sigle. E a guadagnarsi
la palma di campione assoluto è stata proprio l’Ivri, il gruppo di Giampiero Zanè finito nel mirino della Procura di Milano per un presunto giro di
appalti e tangenti. Nella sua fase di massima a espansione, al gruppo Ivri si potevano fare risalire un centinaio di licenze sulle 1100 totali concesse in
Italia. Il primato è diventato
ancora più solido
quando Zanè si è
consociato con la
Bsk, tra le aziende
più affermate per il
trasporto dei valori. Fino alla fine degli
anni ’90, pochi altri gruppi sono stati appena in grado di scalfire lo strapotere dell’Ivri: tra questi la famiglia Gamberini,
con solide basi in Toscana e ramificazioni in tutto il centro Italia, e la Securitas
Metronotte, di Roma. Questi operatori di
seconda fascia potevano arrivare al massimo a una ventina di licenze ciascuno.
È intorno al 1998 – anno in cui il ministero dell’Interno emana una circolare
che invita i prefetti a vigilare sul sistema
degli appalti e delle licenze – che il mercato comincia a cambiare e a aprirsi a
un’ulteriore cerchia di concorrenti. Ma la
trasformazione avviene solo in parte per
l’intervento degli apparati dello Stato: in
realtà a incidere più di ogni altra cosa sono le nuove richieste dei committenti.
Banche e aziende hanno sempre meno bisogno di guardie armate, grazie all’utiliz-
questo il passaggio che mette in crisi gli
operatori più grossi e che costringe anche
loro a dotarsi di società satellite specializzate nel nuovo “prodotto”. Nel giro di
pochi anni la proporzione dei semplici
“portieri” rispetto a quella dei veri e propri vigilantes cambia a vista d’occhio.
Ci sono istituti di vigilanza
che, incalzati dal mercato,
utilizzano semplici custodi
al posto delle guardie giurate.
Pure davanti alle polveriere
zo di impianti di sicurezza più sofisticati e in grado di sostituire i vigilantes in
carne e ossa. Cresce invece la domanda di
semplici servizi di custodia, di portierato. Alcune società riescono a anticipare
questa tendenza, si moltiplicano i “security service” che in realtà mettono a disposizione semplici e innocui custodi. È
Tempi stretti e regole violate
Dopo l’11 settembre, però, il mercato comincia gradualmente a invertire la tendenza. Ci vogliono di nuovo
gli uomini d’arme, per proteggere
obiettivi sensibili, sia pubblici che
privati, dall’incubo degli attentati.
Ma a questo punto gli istituti di vigilanza fanno una grande fatica a procurare il personale necessario. Concorrono e vincono appalti per la sicurezza davanti agli uffici postali come agli
aeroporti, ma i tempi previsti dai contratti
sono spesso troppo stretti rispetto a quelli necessari per formare una nuova guardia e ottenere un porto d’armi. «È proprio
questo che può avere indotto alcune
aziende a inviare nei siti loro affidati personale che non aveva la qualifica di guardia giurata. È così che si è potuti arrivare
alla pistola con il tappo rosso trovata a
Malpensa», osserva Fulvio Valandro. Si
tratta di un meccanismo favorito sia dalla politica aggressiva che i gruppi più importanti sono costretti a fare per difendere la propria posizione egemonica, sia
dalla obiettiva fatica incontrata dallo Stato nell’assicurare controlli adeguati.
C’è una grande differenza tra un semplice custode, per il quale bastano 9 giorni di silenzio assenso della questura, e un
vigilantes armato, riconosciuto come tale con un decreto della prefettura e per il
quale bisogna aspettare dai 2 ai 5 mesi necessari a ottenere il porto d’armi. C’è una
specifica professionalità che dovrebbe
Tutto passa per la proporzionale
Berlusconi «non è contrario».
La riforma della legge elettorale
(che conserva, però, lo spirito
del maggioritario) ci sarà solo
se sarà approvato il premierato
F
ISIOLOGICO O PATOLOGICO?
Roberto Calderoli ricorda di essere un medico e fa ricorso al linguaggio clinico: «Se ci sarà
uno slittamento dell’approvazione, dovrà essere fisiologico e non patologico».
Ma che si tratti di un rinvio del tutto normale o che ci sia un virus da debellare, lo
slittamento è ormai nei fatti. La data dell’8
ottobre, indicata come il termine ultimo
per la prima approvazione del testo di
riforma alla Camera, non potrà essere rispettata. Se la Casa delle Libertà è in salute, allora, il rinvio è una bazzecola.
Se, invece, il centrodestra è malato, allora, la cosa si fa seria. C’è qualcosa ancora da chiarire nella maggioranza? Sì. Il
nodo da sciogliere riguarda il rapporto tra
premierato e legge elettorale.
La giornata di ieri è stata movimentata.
Il ministro Calderoli l’ha presa con la sua
solita ilarità: «Sto buttando giù le ultime
righe per migliorare il testo». Sui banchi
del governo, infatti, il ministro, penna
alla mano, si è “divertito” a limare il testo
delle riforme. Il punto in discussione è
quello che riguarda l’iter legislativo e,
dunque, il rapporto tra la Camera, il Senato federale e l’esecutivo. A sollevare il
caso è soprattutto l’Udc. Giampiero D’Alia, capogruppo del partito di Marco Follini in commissione Affari costituzionali, ritiene che il procedimento legislativo
«possa e debba» essere migliorato. Ma
insieme con questa modifica, D’Alia ritiene «utile limare alcune disposizioni
sul premierato». È proprio qui c’è il tasto
delicato. Il partito di Gianfranco Fini non
è disposto a fare altre concessioni sulla
riforma della forma di governo perché ritiene che «il premierato è già un passo indietro rispetto al presidenzialismo».
L’Udc, però, insiste.
I democristiani di Follini utilizzano il
caso dell’iter legislativo, mirano al premierato per ottenere quella che considerano la loro vera «bandiera» (l’espressione è di Follini): il ritorno alla legge elettorale proporzionale. Alla Camera non si
sta discutendo delle modifica elettorale
perché la riforma della Costituzione non
prevede la legge elettorale. Una volta,
però, cambiata la Costituzione sarà inevitabile riformare anche il sistema elettorale. Ecco perché c’è un tavolo tecnico
che sta lavorando alle varie ipotesi di
riforma elettorale. Martedì sera c’è stata
negli uffici del gruppo di Forza Italia a
Montecitorio la seconda riunione di questo gruppo di esperti di leggi e collegi
elettorali. È stata una riunione lampo.
Non c’era nulla da decidere e l’unica cosa che si poteva fare è stata quella di aggiornarsi al 19 ottobre. Per quella data ci
sarà quell’elemento necessario per capire se si cambierà e come anche la legge
elettorale: sarà stato approvato il premierato. «Le due cose, premierato e legge
elettorale», dice Vincenzo Nespoli, l’esperto di An che siede al tavolo tecnico,
«si tengono l’un l’altra e se non c’è il primo non ci sarà neanche la seconda».
Tutto lascia pensare che alla fine l’accordo si troverà: ci sarà il premierato e ci
sarà una nuova legge elettorale proporzionale che funzionerà, però, sul modello del collegio uninominale (sarà abolita
la doppia scheda e il voto ai singoli partiti si estenderà automaticamente al candidato della coalizione).
Silvio Berlusconi cosa ne pensa? «L’idea lo intriga» dice Nespoli, «diciamo
che non è contrario». Si capisce perché:
il capo del centrodestra conserva la scelta dei candidati nei collegi uninominali e,
al contempo, raggiunge un compromesso
con l’Udc sulla proporzionale. L’intesa
dovrebbe reggere perché tutti riescono a
GI DE
portare qualcosa a casa.
Colpi bassi tra Cheney e Edwards
Elezioni Usa: confronto tra i vice.
Lo sfidante democratico
tira in ballo l’omosessualità della figlia
del repubblicano. Risposta: «Non siete
in grado di fronteggiare al Qaeda»
I
L BELLO, che fa sognare le teen ager americane e il duro, con la perenne aria del
manager tagliateste. Queste, in due battute, le definizioni più ricorrenti per i
due candidati alla vicepresidenza degli
Stati Uniti. Lo sfidante, il democratico
John Edwards e quello in carica, il repubblicano Dick Cheney, che si sono
scontrati la scorsa notte nel loro unico
faccia a faccia. Tom Brokaw, il più famoso tra gli anchormen della televisione
americana, alla fine ha offerto il paragone
più efficace: il vicepresidente americano
Dick Cheney è sembrato George Foreman, un pugile in apparenza non letale,
ma in realtà capace di sferrare il colpo risolutivo al momento giusto.
Le reazioni, come accade spesso, non
sono univoche nel valutare l’esito di questo confronto, ma se per il primo faccia a
faccia fra George W. Bush e John Kerry,
tutti erano stati d’accordo nell’assegnare
una vittoria ai punti allo sfidante senato-
re democratico, ora in molti sostengono
che Cheney ha dato l’impressione di essere il più solido.
Per il pubblico della Nbc e della Cbs ha
leggermente prevalso il giovane senatore
della North Carolina. Per l’Abc ha vinto
l’attuale vicepresidente. La Cnn sostiene,
invece, che sia finita pari. Edwards ha
tentato di giocare all’attacco, con l’aria
dell’avvocato di provincia, ma Cheney
gli ha contrapposto la propria pluridecennale esperienza politica di profondo
conoscitore dei problemi.
I colpi migliori Edwards li ha dati
quando ha toccato il tema ricorrente della credibilità dell’amministrazione Bush
nel determinare la scelta della guerra in
Iraq e ha accusato Cheney e il presidente
di avere mentito sulle armi di distruzione di massa. Un tema non nuovo.
Il vicepresidente ha replicato, con la
pacatezza del professionista, che Kerry e
Edwards non possono parlare di credibilità avendo cambiato costantemente posizione «secondo il vento che tirava sui
giornali». Cheney è parso efficace quando ha rinfacciato a Edwards di avere votato contro il finanziamento alla missione in Iraq perchè in quel periodo lui e
Kerry stavano cercando di prevalere nelle primarie democratiche su Howard
Dean, all’epoca in testa ai sondaggi: «Se
non siete in grado di sostenere la pressione di Dean, come pensate di fare fronte a quella di al Qaeda?». Gli analisti americani ritengono che questo dibattito alla
fine potrebbe contare più del solito e, forse, ha ridato fiato alla coppia repubblicana. I grandi quotidiani americani, anche
quelli che sostengono lo sfidante Kerry,
non sembrano avere apprezzato l’attacco
personale sferrato da Edwards a Cheney
quando ha ricordato le tendenze omosessuali della figlia. Al New York Times e
al Los Angeles Times è parsa un’inutile
caduta di stile, che avvalorerebbe la tesi
della inesperienza del candidato vicepresidente democratico.
Domani, di notte per noi italiani, tocca
di nuovo ai due candidati principali Bush e Kerry, che risponderanno questa volta alle domande di elettori indecisi all’interno della Washington University di
St. Louis, in Missouri, moderatore Charles Gibson dell’Abc.
Quindi, mercoledì prossimo, il gran finale all’Arizona State University di Tempe, dove il tema sarà la politica interna e
il moderatore Bob Schieffer della Cbs. Ieri, parlando a Wilkes-Barre in Pennsylvania, Bush ha ricordato i caduti italiani
[G.S.]
di Nassirya definendoli eroi.
nel Testo unico di pubblica di sicurezza
del 1931: sono indicate come guardie rurali. E in effetti i primi vigilantes sono soprattutto sorveglianti
utilizzati dai grandi proprietari agricoli
per controllare il rispetto dei confini e tenere lontana la minaccia dei ladri di bestiame. A 75 anni di distanza, non è cambiato il riferimento legislativo fondamentale, visto che la normativa sulla sicurezza privata è ancora discussa in Parlamento, ma anche quella particolare tipologia di sceriffi a pagamento esiste ancora. È utilizzata soprattutto dalle grandi
aziende agricole pugliesi, che si rivolgono a piccole agenzie con un organico limitato a 3 o 4 guardie.
Il settore, in tutto questo periodo, ha conosciuto grandi processi di sviluppo. La
svolta è arrivata con la stagione del terrorismo: intorno alla metà degli anni ’70
banche e aziende hanno sentito la necessità di proteggersi con personale privato
dagli assalti delle bande armate, e il numero delle guardie giurate in Italia ha superato quota 70mila. Un vero e proprio
esercito parallelo, i cui ranghi hanno cominciato a sfoltirsi negli anni ’80, quando sono stati introdotte le prime centrali
dotate di sistemi per la telesorveglianza.
Si è scesi nel giro di una quindicina di
anni intorno alle 40mila unità. Il recente
balzo in avanti che ha riportato l’esercito
dei vigilantes sopra quota 50mila è legato, non a caso, alla minaccia del terrorismo. Quello internazionale dei fonda[ E . N .]
mentalisti islamici, stavolta.
OMPAIONO PER LA PRIMA VOLTA
essere assicurata anche da periodi di formazione interna adatti a chi deve maneggiare una pistola. Lo Stato dovrebbe
preoccuparsi di tenere sotto controllo un
esercito privato così consistente. Ma in
Italia, per le guardie giurate, non esiste
nemmeno un albo. (2-continua)
E RRICO N OVI
POTERI FORTI
Editoria: una scossa
per la Rizzoli
Come si stanno riposizionando i vertici
della Rcs, a partire dal consiglio di amministrazione
U
N TERREMOTO costante sta
ridisegnando gli assetti
nei “supersalotti buoni”
della finanza. Nel cuore
dei poteri forti si stanno
riposizionando i vertici
di “Rcs media group” e
di Mediobanca, i cui destini sono da sempre collegati. Gli
effetti del dopo Agnelli, si stanno
dipanando. Inoltre è finita l’era
di un certo capitalismo dinastico
e elitario, oggi chi mette i soldi sul
tavolo alla fine pesa.
Dopo un’estenuante mediazione sembra avere trovato “la quadra” il vertice di “Rcs media
group”, la grande holding editoriale che controlla il Corriere della Sera, dove è iniziata l’era del
nuovo amministratore delegato
Vittorio Colao. Il problema che ha
tenuto banco per mesi era l’entrata nel consiglio di amministrazione dei nuovi grandi azionisti del
patto di sindacato. L’intesa, conseguita in questi ultimi giorni, è
stata possibile grazie alla disponibilità di Francesco Merloni, che
a nome del gruppo di Fabriano
possiede l’1,5 per cento.
Ha rinunciato a entrare subito
nel cda accogliendo un rinvio a
aprile, quando l’assemblea di bilancio dovrebbe decretare l’estensione del numero dei consiglieri. Questo passo indietro dell’industriale rende possibile l’ingresso immediato di 3 nuovi soci
(gruppo Ligresti, Capitalia-Geronzi, Della Valle). A fare posto ai
nuovi azionisti del patto saranno
Nicolò Nefri, il già dimissionario
Maurizio Romiti (uscito dalla carica di amministratore delegato
con una consistente liquidazione) e Paolo Mieli che lascerà la vicepresidenza del gruppo. L’ex direttore del Corriere otterrebbe in
cambio un ampliamento dei poteri di coordinamento e supervisione delle aree di business del
gruppo, fatta eccezione per “Rcs
quotidiani”. Dunque, per il momento, appare accantonata l’idea
di tenere subito un’assemblea per
allargare il consiglio da 18 a 21
consiglieri, mentre è imminente il
rimpasto dei 3. Nei piani alti di
Rcs è stata risolta anche un’altra
questione, quella dell’uscita dell’amministratore delegato della
“Rcs quotidiani”, Gianni Vallardi,
che avrebbe raggiunto l’intesa sulla sua liquidazione. Le sue deleghe, che poi rappresentano il nocciolo del potere editoriale dell’intero gruppo, andranno direttamente nelle mani di Colao.
In un sistema di convergenze
parallele, di morotea memoria, si
muovono anche altri assetti. Esattamente fra una settimana, giovedì 14 ottobre, è convocata l’assemblea plenaria degli aderenti
al patto di sindacato che regge le
sorti di Mediobanca. L’appuntamento è importantissimo in quanto, in vista dell’assemblea di bilancio del 28 ottobre, bisognerà
procedere alla designazione di 5
consiglieri destinati a sostituire
quelli in scadenza (Casare Geronzi, Monella Ligresti, Roberto Colaninno, Achille Marmotti e Berardino Libonati). I nuovi azionisti sono Diego Della Valle, la Finendo di Vittorio Merloni, il gruppo Amenduni, Oscar Zannoni, il
gruppo Mais di Isabella Seragnoli, la Finiper di Marco Brunelli, la
Toro Assicurazioni della DeAgostini e la Vittoria Assicurazioni.
Il patto dovrà, inoltre, confermare la presenza in consiglio di
Gianluigi Gambetti, entrato a seguito della morte di Umberto
Agnelli, mentre non appaiono
consistenti le voci che volevano
in pericolo la poltrona del presidente Gabriele Galatei e l’uscita,
verso il San Paolo di Torino, del
direttore generale Alberto Nagel.
F EDERICA C ORSI N I
L’INDIPENDENTE ❖ martedì 12 ottobre 2004
non si scherza. Almeno, non si dovrebbe. Invece in Italia la questione della sicurezza
privata è stata gestita, finora, con
eccessiva leggerezza. Ci sono alcuni istituti di vigilanza che assicurano livelli di qualità elevati,
ma rappresentano l’eccezione. Ce
ne sono molti altri, sulle oltre 800 aziende presenti sul mercato, che operano in
modo approssimativo, nella esecuzione
dei servizi ma anche nella selezione e
nella gestione del personale. E dal momento che si ha a che fare con il trasporto di soldi e con l’uso di armi, questa approssimazione può avere conseguenze
sociali assai pericolose.
Il problema di fondo è la grande fatica
incontrata dal ministero dell’Interno e dagli altri apparati dello Stato nell’esercitare le funzioni di controllo su queste imprese. Tra le ricadute più gravi che derivano da questo inopportuno spazio di libertà concesso agli operatori, c’è un sistema di “reclutamento” delle guardie giurate poco selettivo. Per finire con una fondina e un giubbotto antiproiettile davanti all’ingresso di una banca, basta avere il casellario giudiziario pulito. Della formazione interna si fa a meno con eccessiva
facilità, ma manca, soprattutto, un approfondito esame psico attitudinale che
dia garanzie sull’equilibrio del neoassunto. «Di fatto non c’è selezione», denuncia
il segretario del Savip, il sindacato autonomo dei vigilantes, Vincenzo Del Vicario, «la stragrande maggioranza degli istituti assume senza seguire nessun particolare criterio se non quello delle raccomandazioni, che magari arrivano dai piani alti delle questure o delle prefetture. Il
risultato è che chiunque può trovarsi con
una pistola in mano, anche un folle».
C
VIAGGIO NEL MONDO DELLA POLIZIA PRIVATA/3
ON LE ARMI
Agenti scelti. A caso
La mancanza di controlli
consente agli istituti
di vigilanza di ignorare
i più elementari criteri
di prudenza nella selezione
del personale: spesso
le pistole finiscono
nelle mani di psicolabili
re l’arma contro se stesso. L’allarme,
secondo Del Vicario, è giustificato anche
dai turni di lavoro massacranti: «Una nostra iscritta di Cecina, che da poco ha
cambiato istituto, va avanti con questo
ritmo: dalle 8 e 30 alle 13 e 50 davanti a
una banca e dalle 15 alle 23 a vigilare su
una polveriera. Pare che molti datori di
lavoro ragionino proprio in questi termini: spremere come limoni le persone per
poi sostituirle dopo qualche mese, visto
che nessuno impone il rispetto di particolari criteri nelle assunzioni e il ricambio può avvenire dunque con grande fa-
Secondo una psicologa
che ha intrapreso
uno studio sul settore,
quella delle guardie giurate
è una categoria «esposta
più di altre al rischio suicidio
per le insostenibili
condizioni di lavoro»
cilità». Non è difficile trovare persone
disposte a sottoporsi a queste sevizie. Si
tratta di un lavoro per il quale non sono
chieste particolari qualifiche. Isabella
Corradini, psicologa che fa parte di un’associazione di ricerca, “Themis”, nata per
studiare i problemi legati al mondo della
sicurezza, fa notare come la facilità di ac-
cesso al mestiere di guardia giurata sia
un elemento pericolosissimo: «Chi lavora in questo settore non ha particolari
motivazioni, se non quelle legate a uno
stato di necessità economica. Naturalmente chi proviene da condizioni di vita
disagiate può essere più vulnerabile agli
enormi carichi di stress che comporta
questo lavoro. Ecco perché si tratta di
una categoria in cui i casi estremi come il
suicidio incidono persino di più di quanto non avvenga tra le forze dell’ordine».
Il nodo da scogliere, anche secondo la
psicologa, resta quello della selezione:
Il leghista Peruzzotti: non li mandano neanche al tiro a segno
urgente. Il
senatore della Lega Luigi Peruzzotti è
firmatario di una delle proposte che poi
sono state integrate nel ddl del governo sulla riorganizzazione della sicurezza privata. «Il testo contiene norme più precise sui corsi di formazione, dà un riconoscimento giuridico alla categoria delle guardie
giurate. Ma ridare ordine a questo mondo»,
dice il parlamentare del Carroccio, «non è so-
U
Il sindacato: «Turni massacranti»
E negli ultimi anni l’incidenza dei suicidi, in questo settore, è cresciuta in modo
preoccupante. Se ne contano ormai una
quindicina l’anno, con casi in cui il gesto
estremo di una guardia si trasforma in
una strage, come è accaduto nel maggio
del 2002 a Cuneo, quando il dipendente
di un istituto di vigilanza è tornato a casa e ha ucciso 8 persone prima di punta-
NA LEGGE È ASSOLUTAMENTE
lo una questione formale: sono gli istituti di
vigilanza a dovere investire di più nella preparazione del personale. Questi agenti, invece, non vanno nemmeno a fare esercitazioni al tiro a segno, non seguono corsi di aggiornamento».
La nuova normativa dovrebbe imporre anche verifiche più accurate sull’equilibrio psichico di questi poliziotti privati: «È indispensabile, non possiamo dare la pistola a per-
sone psicolabili. Anche in questo caso, però,
il passo in avanti deve essere fatto dalle
aziende, innanzitutto: non è possibile sottoporre il personale a turni che in casi estremi
arrivano a 18 ore nell’arco di una giornata. Bisogna responsabilizzare gli istituti, e lo Stato
deve vigilare: non basta spedire corone di fiori quando i vigilantes muoiono dopo gli assalti
ai portavalori. È dal 1931 che questo settore aspetta di essere regolamentato». [ E . N .]
VITA DA CAMERA/1
VITA DA CAMERA/2
Il profondo rosso di Storace
E le convenienti amnesie di Marrazzo
I
N TRANSATLANTICO l’hanno già ribattezzata “profondo rosso”.
È la nuova campagna di affissioni della “lista Storace”, rivolta
agli indecisi. «Per chi non vuole astenersi», è lo slogan scritto
in bianco su campo rosso intenso. In sottofondo una gigantografia
del presidente del Lazio volutamente sgranata. Il poster,
che ha già invaso Roma e provincia, raccoglie giudizi contrastanti.
C’è chi lo definisce geniale. C’è chi lo scambia per la locandina
di un film di Dario Argento. E chi, come qualche vecchio camerata
capitolino con poca dimestichezza col colore rosso, storce il naso.
Ma se l’obiettivo era quello di non passare inosservati, allora Storace
ha colto nel segno. E non solo per la scelta cromatica dei manifesti
“sei per tre” della lista che porta il suo nome e che lo appoggia
per le prossime elezioni regionali. Pare che il governatore in persona
abbia consigliato ai grafici di riciclare le foto della campagna
della tornata del 2000. Quelle, cioè, che lo ritraevano in perfetta
forma dopo un prodigioso dimagrimento. Ben 21 chili in pochi mesi.
Quasi tutti, purtroppo per lui, riacquistati dopo 5 anni di governo.
«Abbiamo intrapreso uno studio sull’attività dei vigilantes, sulle loro condizioni
di lavoro», aggiunge la dottoressa Corradini, «e ne abbiamo anche intervistati diversi: ci dicono che gli esami psicotecnici vengono esauriti come una fastidiosa
formalità, in certi casi non avvengono affatto, come ci ha testimoniato una guardia
che fa da 8 anni questo lavoro e non se ne
è mai visto somministrare uno».
Tragedie evitabili
Ci sono episodi che dimostrano quanti disastri possano derivare da questa superficialità nei meccanismi di selezione: la
scorsa settimana, una guardia giurata di
27 anni si è tolta la vita dopo avere ucciso un transessuale che era nell’appartamento con lui. Gli investigatori hanno
scoperto che l’autore del gesto aveva tentato già il suicidio in passato. Una anamnesi fatta al momento dell’assunzione
avrebbe probabilmente evitato di consegnare un’arma da fuoco nelle mani di
quella guardia. «Sarebbe anche necessario effettuare dei controlli periodici sulla
salute psichica di queste persone», dice la
psicologa, «reazioni estreme come il suicidio hanno come sottofondo uno stato di
depressione. Basterebbe stilare un profilo della personalità all’inizio, ma un certo tipo di gesti sono sempre preannunciate da frasi e segnali che andrebbero colti. È vero anche che i carichi di responsabilità sono pesantissimi: chi rischia ogni
giorno la propria vita per strada li subisce
in modo decisamente più gravoso di
quanto non avvenga per un libero professionista».
A destabilizzare una persona già strutturalmente vulnerabile può bastare, secondo la dottoressa Corradini, «persino il
fatto, che capita a molte guardie impegnate davanti agli istituti di credito, di trascorrere buona parte del proprio tempo
senza dire una parola. Altri sono dislocati
a vigilare su strutture militari e trascorrono molte ore completamente isolati. Da
quando studio questo settore, mi capita di
provare un senso di angoscia, quando
passo davanti a una banca, perché mi
chiedo se la persona messa lì sia adeguata a una situazione così pesante».
E RRICO N OVI
(3-continua)
ON LO MANDA RAI TRE. Lo manda Bettino. E così si scopre che Piero
Marrazzo non sarebbe un giornalista prestato alla politica.
Semmai il contrario. Almeno stando a quanto rivelano Bobo Craxi
e l’assessore agli Affari istituzionali e enti locali della giunta Storace,
Donato Robilotta. Ieri i due hanno deciso di bacchettare Marrazzo,
oggi giornalista televisivo di successo e candidato alla presidenza
della Regione Lazio per il centrosinistra. Negli anni ’80, hanno
ricordato, aderiva in maniera «piena, incondizionata e non priva
di coerenti e legittimi vantaggi sul piano professionale» (parole
di Bobo e Robilotta, ndr) al Psi di Bettino Craxi. E fin qui nulla
di male. Il problema, secondo Bobo, sorge quando il “candidato
presentatore” tenta di accreditarsi verginità politiche che non gli
appartengono. Quello che più scoccia ai rappresentanti del Nuovo
Psi è che Marrazzo, «nel rifarsi alla sua militanza socialista»,
dà infatti l’impressione di volere prendere le distanze da Craxi.
Eppure, ricorda il secondogenito di Bettino, «qualche vantaggio
in Rai, forse, lo ha avuto. Come tutti i figli della Prima Repubblica».
N
L’imposta dell’ottimismo Prodi, il capo senza idee
La CdL alla ricerca
di un’intesa sul fisco
N
OVELLO TONINO GUERRA, ieri
Silvio Berlusconi ha spiegato
al Paese che meno tasse per
tutti vuole dire «avere più soldi in busta paga. E più soldi significa più ottimismo». Lo
stesso concetto lo ripeterà
quando i segretari dei partiti
del centrodestra, saranno convocati a Palazzo Chigi per trovare un accordo sulla riduzione fiscale. La data avrebbe dovuto essere oggi, ma c’è stato
un rinvio. Berlusconi ricorderà pure che nel 2006, con
meno soldi nel portafogli, gli
italiani saranno meno ottimisti verso la Casa delle Libertà.
Di questo ne sono convinti ormai anche gli alleati, che hanno superato i dubbi sul taglio
delle imposte. Restano le differenze su come farlo.
Silvio Berlusconi metterà
sul tavolo la sua proposta di
tre aliquote per l’Irpef, la tassazione per i cittadini: 23 per
cento per chi guadagna 26mila euro, il 33 per chi arriva a
32.600, il 39 per chi dichiara
di più. Quindi confermerà la
volontà di ridurre il monte
Irap, l’imposta per le aziende,
di un miliardo di euro. In tutto 6 miliardi in meno per l’Erario. Alleanza nazionale
chiede invece uno sforzo in
più per ceti medi, famiglie e
non abbienti. Anche alla Lega
e alla Udc sta a cuore il problema, con il Carroccio che
non si straccerebbe le vesti se
venissero alleggeriti i più ricchi e le aziende.
In Forza Italia le ultime
uscite degli alleati sono viste
come «un gioco delle parti
non concordato». Al ministero dell’Economia sono preoccupati. Il sottosegretario alle
Finanze, Giuseppe Vegas, ripete appena può: «La riforma
fiscale ha senso se aumenta il
potere di acquisto o le possibilità di investimento. Non bisogna confonderla con interventi a carattere sociale». Il
piano del governo ha infatti
R OBERTO D’A GOSTI NO
un costo contenuto rispetto a
uno con aliquote più basse
verso le fasce con minore reddito. E Berlusconi proverà a
vincere le resistenze di An,
Lega e Udc, promettendo una
compensazione verso i più
poveri con l’aumento dell’assegno per gli incapienti, che
potrebbe salire a 600 euro, o
con il bonus di 500 euro per il
primo e il secondo figlio.
Da capire pure come il governo coprirà la manovra: il
grosso dei 6 miliardi arriverà
dalla rimodulazione degli incentivi alle imprese. Il ministro Siniscalco si affiderà anche alla ripresa. Spiegano da
via XX settembre: «Secondo le
previsioni, il Pil nel 2005 dovrebbe crescere del 2 per cento. Questo basterebbe per rilanciare la produttività e i
consumi. Se si fabbricano e si
comprano più beni aumentano le entrate attraverso le imposte indirette. In fondo sarà
così che recupereremo i soldi
[PAC]
per tagliare le tasse».
L
COSÌ Romano e Francesco hanno fatto la pace. «Qui sono a
casa mia» ha detto il Professore entrando al gruppo della
Margherita a Montecitorio,
«sì, questa è casa tua», gli ha
risposto Rutelli, «e noi vogliamo contribuire a migliorarla, come vogliamo contribuire al tuo prossimo viaggio
in Italia». Questo quadretto
idilliaco è andato avanti per
una decina di minuti.
Da una parte, Prodi con il
suo sorriso bonario, dall’altra,
Rutelli pronto a segnare il territorio affinché il Professore
capisca che «la Margherita»,
dice un ex democristiano vicino a Franco Marini, «non è
E
un taxi da cui si può salire e
scendere a piacimento». Il nodo politico della giornata di
ieri è qui: il centrosinistra si ritrova unito nella figura di Prodi, ma qual è il prezzo di questa unità?
L’ex presidente del Consiglio dell’Ulivo, che fu mandato a casa dalla sua stessa maggioranza e dai voti contrari di
Rifondazione comunista, alla
fine del vertice di ieri ha lanciato la formula della «grande
alleanza democratica».
Prodi ha ottenuto ciò che
voleva: entro febbraio del
2005 si faranno le primarie
per «scegliere il candidato a
presidente del Consiglio» che
Le Maserati di palazzo Chigi: c’è chi va e chi viene
MASERATI che Luchino di Monteparioli ha fornito a Palazzo Chigi
non è piaciuta a Silvio Berlusconi. La potente autovettura è servita
solo qualche giorno a scarrozzare il presidente del consiglio, poi
è stata dimenticata nel cortile dell’edificio di piazza Colonna. Il
motivo di tanta disaffezione è legato a un fatto puramente tecnico o – se vogliamo – acustico. Il rombo del motore della Maserati, infatti, disturbava le conversazioni telefoniche del Cavaliere. Ora,
però, la fuoriserie è riapparsa sulla scena: porta in giro il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Gianni Letta. Ma nel cortile di palazzo Chigi c’è un altro Maserati-boy: è il ministro Frattini. Che ha battuto sul filo di lana Marzano, anche lui voglioso di avere un bolide.
A
E Rutelli paga
il conto dell’alleanza
Una risposta catodica alla scelta dell’Ulivo (Piero Marrazzo) arriva dal
presidente Berlusconi che sta pensando di candidare Annuzza La Rosa per la Regione Calabria. Si stanno facendo sondaggi…
Che ci facevano Luca Cordero di Montezemolo e Paolo Mieli a via Veneto, dopo l’incontro di Monteprezzemolo a Palazzo Chigi?
Giovedì scorso uno strano terzetto avanzava verso il capannone dell’impirellata Bicocca che ospita le sculture del picasso teutonico Kiefer. Il padrone di casa Carlo Puri Negri faceva da cicerone a Gad Lerner
e Alessandro Profumo. Che hanno risparmiato i 6 euro dell’ingresso.
è lo stesso Prodi. Vi parteciperà anche Fausto Bertinotti,
ma già si sa che il vincitore
sarà chi le ha proposte e volute: Prodi. A cosa servono le
primarie se il nome del vincitore già si conosce in partenza
e, per contratto, non può essere diverso? La risposta è semplice: servono a fare apparire
Prodi forte, mentre in realtà è
debole. È un caso strano, ma
comprensibile. Prodi, scottato
dalla brutta esperienza del
passato, vuole che i suoi stessi alleati gli manifestino fiducia in anticipo. In questo modo le primarie evidenziano
una debolezza, non certo forza e sicurezza. Prodi le ha ottenute a un prezzo alto: spostando sempre più a sinistra il
baricentro politico della
«grande alleanza democratica». Se lui lo ha fatto con una
certa normalità, la Margherita
ha compiuto il passo con tanti dubbi. La locomotiva politica del centrosinistra è la sinistra più radicale, quella che
va da Fabio Mussi a Bertinotti passando per il Pdci di Cossutta e Diliberto.
La Margherita quanto resisterà? Prodi è un capo senza
programma. È bravo a dire
molti «no»: alla Finanziaria,
alle riforme, alla presenza militare italiana in Iraq. Perché
non dice mai «sì»? Per fare un
programma politico servono
interessi e valori comuni. Il
centrosinistra che si prepara a
scendere in piazza contro il
governo Berlusconi è la stessa
«grande alleanza democratica» che con Bertinotti vuole la
GI DE
patrimoniale.
L’INDIPENDENTE ❖ martedì 19 ottobre 2004
U
VIAGGIO NEL MONDO DELLA POLIZIA PRIVATA/4
N PASSO IMPEGNATIVO, ma che in
Italia può rappresentare una
svolta modernizzatrice: affidare il controllo del territorio anche agli istituti di vigilanza.
Sollevare almeno in parte le
forze dell’ordine dal pattugliamento delle strade per impiegarle nelle attività investigative, che rappresentano evidentemente lo strumento
più efficace nella lotta al crimine. Il ricorso alle società di sicurezza per garantire non solo la tranquillità del singolo
privato che paga, ma di interi quartieri, è
diffuso da tempo negli Stati Uniti e in
Gran Bretagna. Da noi si cerca il modo per
introdurre questo sistema: una delle ipotesi percorribili è quella avanzata dal deputato Antonio Pezzella, che prevede la
«defiscalizzazione degli oneri investiti
dagli imprenditori nei servizi di sicurezza. Le sentinelle private, se professionalmente corrette e preparate», dice il parlamentare di An, «potrebbero essere di
grande aiuto alle forze di polizia».
Liberare le forze dell’ordine
La proposta di legge è in discussione alla Camera, e integra il disegno di legge
che dovrebbe riformare tutto il settore
della vigilanza privata. In effetti il criterio
della detassazione si basa su una logica
semplice: è vero che lo Stato incasserebbe di meno, ma la possibilità di liberare e
impiegare nell’investigazione i poliziotti
che oggi invece vagano per le strade in attesa di imbattersi in qualche scassinatore,
avrebbe un ritorno incalcolabile. Colpire
in modo più scientifico e meno casuale
gli interessi della criminalità assicura di
per sé benefici enormi all’economia nazionale. Si tratta di lasciare a negozianti,
aziende, privati cittadini, l’onere di investire di più per il semplice pattugliamento del territorio, con l’opportunità
però di pagare meno tasse.
Il discorso piace un po’ meno all’opposizione, compresi quei parlamentari
del centrosinistra che da tempo si occupano dei problemi della vigilanza privata, come il deputato dei Verdi Paolo Cento: «Sono favorevole all’impiego dei vigilantes nelle grande manifestazioni,
quelle sportive o i concerti musicali, ma
La giungla della sicurezza
Ripartire dalla formazione
Che serva una svolta in termini di garanzie e di qualità, lo sanno anche le aziende più attrezzate. «L’immagine di tutto il
settore rischia di essere compromessa dal
modo di procedere di tanti nostri concorrenti», dice Claudio Noziglia, nuovo
presidente della “Ivri holding”, vero colosso italiano della sicurezza, con oltre 60
società collegate per un totale di 7500 dipendenti. L’Ivri è uno di quei gruppi che
VITA DA CAMERA/1
L’internazionale
nerazzurra e comunista
A COMUNICAZIONE POLITICA costa. E pure Roberto
Formigoni se ne è dovuto fare una ragione,
quando lo hanno aggiornato sullo stato del fondo
per la comunicazione della Lombardia. Nel bilancio
per il 2004 la Regione ha destinato ben 12 milioni
e 477mila euro al capitolo. A tutt’oggi restano solo
le briciole. I primi a farne le spese i giornalisti delle Tv
private, che alla vigilia del viaggio di Formigoni
in Cina si sono visti revocare l’invito del Pirellone.
Una settimana fa a Praga l’ufficio stampa della giunta
dà appuntamento ai cronisti al seguito del governatore
in un ristorante di lusso. Ma prima di sedersi a tavola
un avvertimento: «Ragazzi, qui pagate voi». E tutti
hanno dovuto mettere mano alle carte di credito.
L
A
Nega ogni esigenza di innovazione sociale.
Critica la politica economica del governo
ma conosce bene l’urgenza di riformare
il mercato del lavoro, la previdenza e la scuola
vede nella manifattura il centro
dell’economia e che quindi appoggia una specie di patto industriale difensivo tra grandi imprese, banche e sindacati. Un problema reale in questo campo c’è.
Nasce dalla riluttanza delle grandi industrie a investire nell’innovazione e ora si chiede allo Stato
di rimediare, naturalmente a spese dei contribuenti. Alla fine qualcosa sarà necessario fare anche in
questa direzione, ma quello che
conta davvero, in un Paese in cui
la manifattura pesa per meno di
un quinto sul prodotto globale, è
l’ammodernamento complessivo
delle reti sociali, da quella del
mercato del lavoro alla scuola, al
sistema previdenziale. Quando ha
R OBERTO D’A GOSTI NO
LFONSO GIANNI, deputato di Rifondazione,
ha due grandi passioni. Il comunismo e l’Inter.
Talvolta capita che si intreccino. L’altro giorno,
felice come un bambino, gironzolava
per il Transatlantico con una copia della Gazzetta
dello Sport in mano, aspettando al varco i colleghi
interisti della Casa delle Libertà. Il primo che è
riuscito a intercettare è stato il coordinatore nazionale
di Alleanza nazionale, Ignazio La Russa. Come
lo ha visto Gianni gli ha spalancato davanti un titolo
a tutta pagina: “Hasta la victoria, Inter”. «Hai letto?
La nostra squadra aiuta il subcomandante Marcos» .
E l’altro, rattristato: «Ecco lo sapevo. Inter stava
per internazionale comunista».
La sinistra
conservatrice
C
Nei Paesi anglosassoni
i vigilantes sostituiscono
la polizia di Stato. I nostri
istituti passano invece
per complici dei rapinatori
governato la sinistra si è resa conto che questo è il tema centrale,
l’aveva scritto Paolo Onofri, il tecnico di Romano Prodi nel libro
bianco sul welfare. Continua a
spiegarlo Nicola Rossi, economista dalemiano. Le loro idee, però,
sono rimaste lettera morta, travolte dai no della Cgil e dalla caparbia autodifesa delle grandi potenze finanziarie, non a caso alleate nella conservazione. Quando Prodi ha tentato di limitare
l’assistenzialismo è stato affondato da Rifondazione, quando Massimo D’Alema ha spiegato, con
l’estremismo del neofita, ai giovani che non potevano puntare al
“posto fisso” è stato subissato da
una platea che si è poi riconosciuta nella piattaforma antiriformista di Cofferati.
Ora i capi dell’opposizione
sembrano avere imparato la lezione: appoggiano ogni rivendicazione, negano ogni esigenza di
reale innovazione sociale. Quella
lezione, però, è radicalmente sbagliata, i maggiori governi di sinistra d’Europa, quello tedesco e
quello britannico, l’hanno abbandonata, scontrandosi con le centrali sindacali che pure, in quei
Paesi, sono legate ai partiti socialisti. Da noi il coraggio di questo
confronto è sempre mancato, e le
conseguenze si vedono.
S ERGIO S OAVE
Pubblicità negativa
In ogni casa un impianto di allarme, videosorveglianza a tappeto: in questo modo davvero si realizzerebbe l’integrazione tra società private e polizia di Stato.
Ma in Italia uno scenario del genere sembra davvero lontano se, come riconosce lo
stesso presidente dell’Ivri, «la guardia
giurata qui, per tradizione negativa, passa ancora per il palo dei ladri».
Investire in comunicazione sarebbe
sensato, ma piuttosto che adottare questa
semplicissima strategia, spesso gli istituti si sono resi addirittura protagonisti
diretti di episodi gravi. Come capitò l’anno scorso a Avellino, dove venne svaligiato un portavalori della “Irpinia Security” che trasportava 900mila euro in contanti destinati agli uffici postali: parte del
denaro venne ritrovato all’interno degli
uffici dell’istituto. Licenza ritirata e 30 dipendenti rimasti senza lavoro. Fino a
quando si adotteranno questi sistemi,
piuttosto che promuovere un’immagine
affidabile, sarà difficile ottenere la fiducia
dei cittadini e trasformare queste aziende
in fornitori di sicurezza globale.
E fino a quando lo Stato non sarà in grado, anche attraverso una nuova legge, di
vigilare sul rispetto delle regole, difficilmente le guardie giurate potranno essere
utilizzate in modo da consentire alle forze dell’ordine di occuparsi di investigazione. E di non sprecare pattuglie nella
speranza di intercettare qualche scassiE RRICO N OVI
natore notturno.
(Le altre puntate
sono state pubblicate
il 5, 7 e 12 ottobre)
VITA DA CAMERA/3
Fassino irritato dalla Gad,
un acronimo perdente
P
IERO FASSINO non è convinto per niente della nuova
creatura partorita dalle fertili menti
del centrosinistra. Alla fine l’hanno chiamata
Grande alleanza democratica (Gad), ma al segretario
dei Ds non va giù. Soprattutto perché hanno ricordato
che esibizioni di grandeur, a sinistra, portano male.
Vedi la fine che ha fatto la Gmg, la Gioiosa macchina
da guerra di Occhetto. Fassino avrebbe preferito
Ad, Alleanza democratica. Senza la “g” di “grande”.
Ma anche qui c’è un precedente disastroso.
Quello del partito meteora di Ferdinando Adornato.
Aveva quindi deciso di optare per Vasta alleanza
democratica. L’acronimo, però, non ha convinto. Vad
ricorda vagamente l’incipit di un diffusissimo insulto.
Veltroni, Kyoto
e l’aria di Roma
L’ambientalismo del sindaco capitolino.
Un progetto per censire le emissioni di anidride
carbonica, mentre la capitale è soffocata
dai gas tossici. E i romani si avvelenano tutti i giorni
VELTRONI è un
uomo generoso. L’amore per l’umanità e
l’interesse per il futuro del pianeta appartengono al suo carattere. Se amministrasse
l’universo lo renderebbe equo e felice. Purtroppo per
adesso amministra solo Roma. Lui
però è convinto che la missione
del sindaco sia salvare il mondo.
La sua ultima trovata è un progetto per prevenire i cambiamenti
climatici del globo terrestre.
Si chiama “Roma per Kyoto”.
Prevede che il Comune attivi interventi, da definire in futuro, dopo avere effettuato un censimento delle emissioni di anidride car-
W
ALTER
bonica. All’apparenza nulla di
nuovo. Da sempre in Italia si affrontano le questioni ambientali
annunciando leggi, decreti e provvedimenti urgenti il cui primo atto (che spesso rimane l’unico) è il
solito censimento.
I mali di Roma sono ben altri e,
a differenza del clima, non riguardano l’atmosfera in generale
ma proprio gli strati più bassi della troposfera (quelli da cui attingiamo l’aria per respirare) di cui il
sindaco di una città, come massima autorità sanitaria, dovrebbe
principalmente preoccuparsi.
Non sono fenomeni a lungo termine, ma hanno conseguenze immediate sulla vita stessa dei cittadini: si pensi all’azione tossica
I diessini scartano Pecoraro Scanio e si mangiano il dentice
ENERDÌ SERA intorno alle 21, attovagliati da Fortunato al Pantheon,
due deputati diessini hanno commentato a lungo le riforme approvate in mattinata. «Bene che vada, se il referendum confermativo si terrà prima delle elezioni del 2006, il premierato entrerà
in vigore con la prossima legislatura. E fare tutto questo casino
contro i poteri del primo ministro significa essere davvero fessi, significa fare vedere a tutti che temiamo che Berlusconi vinca anche le
prossime elezioni nel 2006». E l’altro di sponda: «Se infatti credes-
V
Potenziale sprecato
Ci sono diverse ipotesi per ampliare il giro d’affari di questo settore: coinvolgere
nelle proprietà degli istituti anche le
aziende che producono gli impianti di sicurezza. In questo modo è possibile fornire alla clientela apparati di sicurezza assolutamente avveniristici, come quelli
per il riconoscimento biometrico, che attraverso l’identificazione del tracciato
facciale consentono l’ingresso in un ufficio solo alle persone autorizzate. Il fatturato complessivo degli istituti di vigilanza in Italia sfiora i 3 miliardi di euro l’anno, ma se si includessero anche i produt-
VITA DA CAMERA/2
Formigoni finisce i soldi,
giornalisti a terra
HE LA SINISTRA, quando è
all’opposizione, trovi “iniqua” la politica sociale,
“intollerabile” la condizione di vita degli strati
popolari, “fatiscente” l’economia e “minacciose”
le prospettive, non è una
novità. Se qualcuno dovesse riscrivere la storia economica dell’Italia sulla base della collezione
delle annate dell’Unità, non si accorgerebbe nemmeno che il Paese
è passato dalla miseria disperata
del dopoguerra alla società dei
consumi. Quando poi la sinistra si
è trovata nella maggioranza di governo, dal 1976 al 1978 e dal 1995
al 2001, ha adottato politiche economiche restrittive, basate sull’unico imperativo di abbattere l’inflazione e questo ha determinato
fasi di netto contenimento della
dinamica delle retribuzioni reali.
Ora l’obiettivo principale sembra quello di impedire una riduzione dell’imposizione fiscale sui
redditi personali, in nome della
priorità della lotta contro il “declino” industriale. Alla base di
questa deriva propagandistica c’è
una preoccupazione sincera, ma
obiettivamente conservatrice. In
discussione è il modello industrialista tradizionale, quello che
cerca di mantenere livelli di qualità e di
aggiornamento tecnologico elevati, ma
ha dovuto darsi un nuovo vertice in seguito all’inchiesta aperta dalla Procura di
Milano per un presunto giro di tangenti.
«Abbiamo dovuto correggere la rotta sotto tutti i punti di vista», dice Noziglia, «è
cambiata la struttura dirigenziale e l’obiettivo è quello di lavorare in modo diverso anche sulla comunicazione. Al di là
del fatto che il caso giudiziario non ha per
nulla scalfito la fiducia dei nostri clienti».
Non si può prescindere dalla qualità
della formazione, e l’Ivri assicura di seguire già percorsi rigorosi: «Il nostro personale viene istruito in base alle funzioni da svolgere: gli agenti impegnati, per
esempio, all’interno degli aeroporti, seguono corsi di antiterrorismo. E c’è un numero di tiri con cui esercitarsi al poligono al di sotto del quale nessuno dei nostri
dipendenti che abbia un porto d’armi può
scendere». Sul caso dei vigilantes che alla Malpensa si trovavano senza pistola, il
presidente dell’Ivri spiega che «con la
Sea, che gestisce l’aeroporto, ci eravamo
accordati per inviare anche personale disarmato. Poteva servire come deterrente».
credo che la tutela generale dell’ordine
pubblico debba essere demandata solo
allo Stato». Solo un ausilio occasionale
alle forze dell’ordine: i tempi, secondo
Cento, non sono maturi per spingersi oltre. Eppure, dice il parlamentare, «proprio certi eventi possono diventare l’occasione per sperimentare l’affidabilità e la
professionalità di questi agenti privati:
se la verifica fosse positiva, allora si potrebbe pensare anche a forme di affiancamento diverse».
L’affidabilità, questo è il punto. Nella
percezione generale che ne hanno gli italiani, gli istituti di vigilanza non rappresentano ancora una garanzia. Il personale è spesso dequalificato, si verificano
con frequenza sempre maggiore episodi
sconcertanti. Qualche giorno fa, all’esterno di una discoteca di Bussolengo, è
partito un colpo di pistola a una guardia
giurata che però, in quella circostanza, lavorava come semplice buttafuori.
Dunque non poteva usare l’arma. Il
proiettile ha ferito in modo grave un ragazzo di 20 anni. «Bisogna dare certezze
ai lavoratori del settore, anche nel senso
che bisogna rendere ineludibili certi percorsi formativi», dice Pezzella, «bisogna
obbligare le aziende a servirsi di uomini
dello Stato per addestrare i vigilantes all’uso delle armi».
tori di impianti, fa notare per esempio
Fulvio Valandro, l’editore del periodico
di settore La ronda, si arriverebbe all’astronomica cifra di 50 miliardi. Tutto questo, d’altra parte, non può ancora bastare
a rassicurare i cittadini e a allargare la
clientela. «In questo settore nessuno
spende un centesimo per la comunicazione, noi vogliamo lavorare seriamente
su questo fronte», dice Noziglia, «e il modello da seguire deve essere quello svedese, dove l’azienda “Securitas” fornisce assistenza a 7 milioni di abitanti, quasi il 90 per cento della popolazione».
simo un po’ di più nella vittoria di Prodi non diremmo stronzate come “silvierato”, daremmo per scontato che dal 2006 lì ci sarà Romano. E il premierato lo avevamo proposto proprio noi diessini».
Battuta finale dell’altro: «Ma ti rendi conto insieme a chi ci presentiamo? Con i Pecoraro Scanio. La verità è che è più facile che Nader
diventi presidente degli Stati Uniti, piuttosto che questa armata brancaleone del centrosinistra vinca le elezioni. Mangiamoci il dentice,
va, che è meglio così».
delle polveri sottili, il cui limite
stabilito dalle direttive europee e
dall’Organizzazione mondiale
della sanità (Oms) viene regolarmente superato. L’anidride carbonica cui si vuole dichiarare guerra favorirebbe l’effetto serra e
quindi, a lungo andare, cambiamenti climatici mondiali. Ma non
peggiora in nessun modo la salute di chi la respira, perché è innocua per l’uomo nelle concentrazioni atmosferiche. Per migliorare la qualità dell’aria serve ridurre i gas tossici: l’ozono, il biossido
di azoto, il monossido di carbonio. Urgenza più concreta rispetto al destino delle glaciazioni.
Nell’ottica del sindaco di Roma
un buon amministratore deve
conseguire non il bene di chi lo ha
eletto o della comunità che presiede, ma il bene assoluto, il bene
cosmico. Questo punto di vista è
un segno dei tempi. Ci dice che
stiamo entrando in una nuova
epoca di grandi ideali, sacrifici,
missioni. La recente iniziativa capitolina ne è un esempio: eroica e
solitaria, si annuncia come soluzione di un problema che l’Italia
ha difficoltà a affrontare, che la
Russia deve ancora sviscerare,
che gli Stati Uniti temono perfino
di chiamare per nome.
Annunciando che ci si adeguerà volontariamente ai limiti di
Kyoto si travisa però lo spirito del
protocollo: quei limiti in sé portano più svantaggi economici che
vantaggi ambientali e hanno senso solo perché, se messi a norma
di legge su scala planetaria, incentiveranno la ricerca di tecnologie alternative. Basti sapere che
nell’atmosfera ci sono circa 3mila
miliardi di metri cubi di anidride
carbonica. La quantità prodotta
annualmente dall’uomo è di appena 6 miliardi e scenderebbe di
0,15 miliardi se l’obiettivo del
protocollo venisse raggiunto.
F RANCESCO F U MAROLA