Link pdf - Radio Rock Revolution Anni 70
Transcript
Link pdf - Radio Rock Revolution Anni 70
eretici e/o sovversivi .6 * MÈL Guy-Ernest Debord nel 1968 Una delle ultime fotografìe di G.-Ernest Debord, in Liberation del 2 dicembre 1994. Guy-E. Debord, Raoul Vaneigem e altri Situazionismo Materiali per un'economia politica dell ' immaginario I testi dell' Internationale Situationniste a cura di Pasquale Stanziale I massari editore In accordo alla tradizione situazionista, su quest'opera non vi è alcun copyright, alcun diritto d'autore, di traduzione o di edizione. Guy-Ernest Debord, Raoul Vaneigem e altri Situazionismo Materiali per un'economia politica traduzioni e cura di Pasquale Stanziale (1998) dell'immaginario Senza copyright ' 1998, R. Massari editore seri Casella Postale 144 - 01023 Bolsena (VT) E-mail: [email protected] Http://www.enjoy.it/erre-emme/ Versamenti su c.c.p. n. 24 95 70 03 Stampa: Ceccarelli - Grotte di Castro Prima edizione: agosto 1998 ISBN 88-457-0120-4 INDICE Avvertenza Comunicazione di servizio 1 9 Introduzione Il '68: la vittoria sarà di chi avrà saputo creare il disordine senza amarlo di Pasquale Stanziale 15 Debord & Vaneigem (15) - Flashback (34) - Meduse situazionaute (43) - Per un'economia politica dell'immaginario (47) Situazionisti Tesi sulla rivoluzione culturale di G. E. Debord Teoria della deriva di G.-E. Debord Posizioni situazioniste sulla circolazione di G.-E. Debord A proposito di alcuni errori d'interpretazione di G.-E. Debord Programma elementare dell'ufficio di urbanismo unitario di A. Kotànyi, R. Vaneigem Prospettive di modificazioni coscienti della vita quotidiana di G.-E. Debord Commenti contro l'urbanistica di R. Vaneigem Banalità di base I di R. Vaneigem Banalità di base II di R. Vaneigem Risposta a un'inchiesta del centro d'arte socio-sperimentale di J. Martin, J. Strijbosch, R. Vaneigem, R. Viénet Corrispondenza con un cibernetico di G.-E. Debord 53 56 64 67 73 78 93 101 121 149 157 Di alcune questioni teoriche senza questionamento né problematica di R. Vaneigem Avere per fine la verità pratica di R. Vaneigem La separazione compiuta di G.-E. Debord Avviso ai civilizzati riguardo all'autogestione generalizzata di R. Vaneigem Sulla Comune di G.-E. Debord, A. Kotànyi, R. Vaneigem La questione dell'organizzazione per l'IS di G.-E. Debord Materiali Manifesto II questionario Prefazione all'unità scenica Nessuno e gli altri di A. Frankin Le parole prigioniere di M. Khayati La fine dell'economia e la realizzazione dell'arte diA.Jorn Prospettive per una generazione di T. Frey Le strutture elementari della reificazione diJ. Gamault Vive la libertad. L'Internazionale situazionista diR. Gutiérrez Massime situazioniste (Debord) Documenti Panorama intelligent de l'avant-garde à la fin de 1955 Projets d'embellissements rationnels de la ville de Paris Bibliografia minima 166 169 175 187 199 206 215 219 228 233 243 249 256 265 269 274 283 287 AVVERTENZA Nella prima parte di questo lavoro, oltre ad offrire un'introduzione critica alla problematica del Situazionismo, si cerca di fare il punto sulle tematiche originarie di tale movimento, esaminando alcune opere ad esso dedicate e proponendo una prospettiva critica di analisi, innovativa e attualizzante. Nella parte centrale del libro vengono riproposti i testi più significativi di G.-E. Debord e R. Vaneigem pubblicati originariamente sulla rivista Internationale Situationniste: tra gli altri, la prima parte de La società dello spettacolo di Debord e, integralmente, Banalità di base di Vaneigem. La sezione «Materiali» raccoglie ima scelta di saggi significativi di altri autori situazionisti. L'ultima parte del libro è dedicata a brevi testi situazionisti e comprende anche due documenti originali, in francese, tratti dalla rivista Potlatch diretta negli anni '50 da Debord. Indichiamo, di seguito, le pubblicazioni tratte dalla rivista Internationale Situationniste e che - nel bene e nel male - sono state tradotte in italiano. L'estremismo coerente dei situazionisti, Ed. 912, Milano, 1968. P. Cardan, Capitalismo moderno e rivoluzione, Ed. 912, Milano, 1969. R. Vaneigam (sic), Banalità di base, DeDonato, Bari,1969. 7 Internazionale situazionista (Rivista della sezione italiana dell'IS), n. 1, luglio 1969, Milano. R. Vaneigem, Saper vivere. Trattato ad uso dello giovani generazioni. Terrorismo e rivoluzione e altri scritti, ciclostilato, Genova, 1972 [Vallecchi, Firenze 1973]. R. Vaneigem, Terrorismo e rivoluzione e altri scritti, Arcana editrice, Roma, 1973. C. Reeve, La tigre di carta, Edizioni La Fiaccola, Ragusa, 1974 («Il punto di esplosione dell'ideologia in Cina», Internationale Situationniste, agosto 1967). Internazionale situazionista, Ecat libri, ciclostilato, Genova, 1975-77: voi. I (trad. dei nn. 1 e 2), II (trad. dei nn. 2 e 3), III (trad. dei nn. 4 e 5). Internationale situationniste (ce n'a été qu'un début), a cura di S. Ghirardi e D. Verini, La Salamandra, Milano, 1976. IS, Viva la Comune, Ed. G.d.C., Caserta, s.d. IS, Riforma e controriforma nel potere burocratico, Ed. G.d.C., Caserta, s.d. IS, Strutture elementari della reificazione, Ed. G.d.C., Caserta, s.d. Mirella Bandini, L'Estetico e il politico. Da Cobra all'Internazionale Situazionista (1948-1957), Officina Edizioni, Roma, 1977. Aa.Vv. «I situazionisti» in II Manifesto del 6 luglio 1989, ripreso nell'omonimo volume della Manifestolibri, Roma, 1991. R. Vaneigem, Banalità di base e Avviso ai civilizzati sull'autogestione generalizzata, Edizioni de L'Ammutinamento del Pensiero, Bologna, 1992. La rivolta situazionista (1954-1991), Tracce Edizioni, Piombino, 1992. Internationale situationniste, La critica del linguaggio come linguaggio della critica, Nautilus, Torino, 1992. Internazionale situazionista (1958-69), Nautilus, Torino 1994. 8 COMUNICAZIONE DI SERVIZIO A decenni di distanza dal '68 torniamo a parlare del Situazionismo. Ciò è dovuto al fatto che non se ne può fare a meno: del resto, è della sua «vittoria» che si parla e si scrive (M. Morelli 1995). Il problema, tuttavia, è che i Situazionisti, in un certo senso, hanno vinto vincendo e, per altro verso, hanno vinto perdendo. Ciò fa sì che, da un lato, vi sia chi insiste sul senso, ovvero su ciò che in un movimento si proietta, per propria forza critica, al di là della circoscrizione del suo tempo; da un altro lato, si nota come la critica decostruente e anticipatoria del Situazionismo si sia sciolta in una cultura più o meno di sinistra, a sua volta più o meno di potere. E' successo come al Marx di cui parla Vaneigem: per il suo valore d'uso, la critica si converte in dominio. Il Situazionismo era fondamentalmente la pratica teorica della consapevolezza dei processi in atto e quindi critica-progetto che tendeva a superare, nella prospettiva di un cambiamento, l'assetto capitalistico della produzione, gli sviluppi della scienza e le modalità di vita della quotidianità. Si trattava di un grado massimo di consapevolezza dei processi che non è riscontrabile in nessun tempo successivo. Il rapporto con l'oggi va a delinearsi in questa direzione, per notare come gli esiti del capitalismo odierno comportino un 'omologazione della filosofia e della politica pertinente a un grado minimo, questa volta, della consapevolezza dei processi in atto. La critica situazionista offriva una prospettiva di analisi che, prevedendo gli sviluppi del capitalismo, cominciava a por9 si il problema della complessità, relativa sia ai nuovi modi di produzione capitalistica che ai corrispondenti mutamenti tecno-comunicativi. Ci troviamo di fronte a una complessità strategica del sistema basata sul cambiamento strumentale^ sulla velocità gestita in una prospettiva di spaesamento e di frammentazione ,atta a spazzar via anche spiragli di consapevolezza dell'alienazione. Qualcosa di analogo all'ambito «dromoscopico» dì Virilio. I situazionisti hanno posto in essere l'ultima, per il momento, grande narrazione fenomenologica relativa a un'area vitale della complessità. Mentre altri, come Luhman, preferiranno trattare la complessità come razionalizzazione strumentale dell'esistente. In ogni caso questa complessità ha la sua principale dimensione strategica nel dominio dell'immateriale di cui parla Bernocchi nel suo recente libro sul '68. E a proposito delle nuove tecnologie della virtualità va intanto rilevato che esse fanno emergere unitamente a nuovi feticismi della merce, alle socialità sognate, all'abolizione delle contraddizioni della prassi mediante una mercantilizzazione generalizzata e spettacolare in cui la merce contempla se stessa in un mondo creato da se stessa (Debord 1967), anche possibili spazi di comunicazione liberata che vanno opportunamente recuperati e disegnati di là da ogni inteff-azione tecnologica e/o spettacolare. Il Situazionismo è qualcosa da cui ripartire. Certo è ingombrante con le sue scissioni, le sue polemiche, con l'ostentazione delle sue «certezze». Debord è stato ucciso molte volte prima di uccidersi e Vaneigem resiste in Francia producendo libri notevoli che in Italia vengono accuratamente evitati. Il problema è che si sente il bisogno di una narrazione distinta e non omologata. Oggi lo spazio dei discorsi è occupato da quelli di cui parla Lacan: il discorso del Padrone, dell'Università, dell'Isterico... Ridurre il Situazionismo a citazione, a scontato presupposto o 10 a forme folkloriche di attualizzazione è un modo di seppellirlo. La necessità quindi di ri-leggere i Situazionisti, come è stato fatto, in modo evolutivo, per altre grandi narrazioni negli anni '60. Una necessità che valga a re-istituire punti di riferimento critico rispetto all'esistente e al consolidamento strategico dell'esistente. La teoria critica situazionista si presenta, a trent'anni di distanza, come qualcosa che va ripensato senza intenti divulgativi, nostalgici o commemorativi. In tal senso è già stato provveduto in modo ampio e gratificante. P.S. 11 Sopra: Raoul Vaneigem (a sinistra) e J.-V. Martin. Sotto: «Chez Moineau». Michèle Bernstein (una delle fondatrici dell'IS), accende la sigaretta di Eliane Brau. A sinistra, riflesso nello specchio, Jean-Louis Brau [foto Ed van der Elsken], Introduzione Quinta conferenza dell'IS (Goteborg, 30 agosto 1961). In fondo al tavolo, lacqueline de Jong e Guy-Ernest Debord. IL '68: LA VITTORIA SARÀ DI CHI AVRÀ SAPUTO PROVOCARE IL DISORDINE SENZA AMARLO di Pasquale Stanziale Debord & Vaneigem 1. Una lucida critica del capitalismo degli anni '60 e la profezia di un'alienazione totalizzante e pervasiva sono distintamente articolate nelle analisi dei situazionisti, movimento nato verso la metà degli anni '50, sviluppatosi tra alterne vicende in Europa - ma avente come centro Parigi - nel periodo 1958-1969, e «dissoltasi nel popolo» successivamente. Le tesi dei situazionisti, dopo rimozioni, translazioni strumentali e banalizzazioni, sono state negli ultimi tempi opportunamente e giustamente richiamate nella necessaria possibilità di ridare loro il riscontro filosofico e sociologico che loro spetta, unitamente all'affermazione della loro attualità profetica ed esplicativa nell'attuale panorama sociopolitico europeo - e italiano, in particolare - di capitalismo integrato in via di ulteriore consolidamento. I situazionisti hanno dato un notevole contributo alla critica del capitalismo contemporaneo attraverso analisi articolate e puntuali, sulle pagine di quella rivista dalla copertina metallica colorata che si titolava Internationale Situationniste: una rivista parigina che autorizzava a tradurre, adattare e di1 1 Per es., in Italia, Aa. Vv., ISituazionisti, Manifestolibri, Roma 1993. 15 vulgare i propri testi liberamente e senza alcun diritto d'autore o copyright. All'alienazione nella società contemporanea, alla vita quotidiana, alle forme contemporanee dell'urbanismo, a questi e ad altri temi sono dedicate molte tesi che prendono in esame gli aspetti concreti di queste realtà di dominio. Dalla comunicazione colonizzata al ruolo di Godard, dall'imballaggio del tempo Ubero alle forme di separazione sociale: tutto ciò viene denunciato con sistematicità e con notevole violenza critica. In particolare il concetto di alienazione viene ad emergere trasversalmente come categoria centrale pertinente, nelle sue varie forme, all'affermato dominio spettacolare e reificante in cui si colloca il soggetto . Nel n. 10 dell'/S (1966), vi è un richiamo diretto al concetto di «alienazione», in occasione di un articolo di J.M. Domenach, apparso l'anno precedente sulla rivista Esprit. Domenach imputava al concetto di alienazione di essere «confuso, di essere utilizzato abusivamente, di essere svalutato storicamente, di dar luogo a formule sorpassate e vaghe» . I situazionisti, con il loro stile di scrittura veemente e brillante, mettono dapprima criticamente in discussione il background cristiano-gauchiste di Domenach, facendo poi notare che in una società materialmente divisa l'abolizione di concetti e di parole è funzionale solo al rafforzamento del dominio di determinate forze. Contro Domenach, essi fanno rilevare che l'invito di questi a «s'y re-signer», a rassegnarsi, a dimenticare l'alienazione, ed a sostituire questo concetto con quello di exploitation (sfruttamento) nasce dal fatto che l'alienazione - concetto d'origine filosofica - in relazione all'evoluzione capitalistica, è nella realtà di tutte le ore della vita quoti1 2 1 Per un'analisi più ampia di tale problematica, rinviamo al nostro Mappe dell'alienazione. Da Hegel al cyberpunk ad uso delle nuove generazioni, Erre emme, Roma 1995. 2 J.M. Domenach, «Pour finir avec l'aliénation», in Esprit, 12/1965. 16 diana e quindi, come una realtà garantita da un'ordine superiore, va accettata nel nouveau décor de l'epoque. E la requisitoria situazionista contro Domenach si conclude con queste parole: «Certo, in una società che ha bisogno di produrre una sottocultura di massa e di far capire i suoi pseudointellettuali spettacolarizzati, molti termini devono essere volgarizzati velocemente. Ma per la stessa ragione le parole perfettamente semplici e chiarificatrici hanno tendenza a sparire... I Domenach, essendo essi stessi dei servitori dello spettacolo culturale del potere, che vuole usare velocemente e recuperare a suo modo i termini, i più brucianti del pensiero critico moderno, non vogliono mai ammettere che i concetti più importanti e più veri dell'epoca sono precisamente misurati sulla più grande confusione e sui peggiori controsensi: alienazione, dialettica o comunismo. I concetti vitali di volta in volta vengono usati nel modo più vero come nel modo più falso, con una moltitudine di confusioni intermedie, perché la lotta della realtà critica e dello spettacolo apologetico conduce a una lotta sulle parole, lotta tanto più aspra quanto più di centrale importanza. Non è la purga autoritaria, è la coerenza del suo impiego, nella teoria e nella vita pratica, che rivela la verità di un concetto. L'alienazione porta a tutto a condizione di uscirne»1. 2. Il retroterra filosofico dei situazionisti e stato oggetto di varie interpretazioni. Ma si può certamente dire che l'esperienza situazionista perviene a un'originale maturazione storica in un crocevia ove si intersecano il giovane Marx («di là da ogni sua burocratizzazione all'Est come all'Ovest», tiene a precisare R. Vaneigem) , Lukàcs di Storia e coscienza di classe, indirettamente la psicoanalisi freudiana, Lenin, ma soprattutto la fenomenologia hegeliana e Feuerbach. Il tutto su imo sfondo di analisi politiche costruito con riferimenti a Marx, Abendroth, Sweezy ecc. Non meno importanti sono le ascendenze lettriste. 2 1 IS, «Domenach contre l'aliénation». 2 R. Vaneigem, Banalità di base, De Donato, Bari 1969. 17 I testi dei situazionisti sono articolati per tesi in uno stile «ispirato a modelli barocchi» , ma abbastanza incisivo, come è possibile rilevare da alcuni passi che estrapoliamo qui di seguito. 1 «Il linguaggio resta ancora la mediazione necessaria per la presa di coscienza dell'alienazione (Hegel direbbe: l'alienazione necessaria), lo strumento della teoria radicale... E' primordiale dunque che noi forgiamo un nostro proprio linguaggio, il linguaggio della vita reale, contro il linguaggio ideologico del potere, luogo di giustificazione di tutte le categorie del vecchio mondo... Il nostro dizionario sarà una sorta di griglia con la quale si potranno decrittare le informazioni e lacerare il velo ideologico che copre la realtà» . «La decomposizione dei valori e dell'antica comunicazione unilaterale artistica (nelle arti plastiche come nei vari aspetti del linguaggio) accompagna ciò che viene chiamata vagamente «crisi della comunicazione» nella società e che rappresenta, nello stesso tempo, la concentrazione monopolistica della comunicazione unilaterale (di cui i mass-media non sono che un'espressione tecnica) e la dissoluzione di tutti i valori comuni e comunicabili, dissoluzione che è prodotta dalla vittoria (annichilatrice) che ha riportato sul terreno dell'economia il valore di scambio contro il valore d'uso»-'. «E' impossibile sbarazzarsi di un mondo senza sbarazzarsi del linguaggio che lo garantisce e lo nasconde, senza mettere a nudo la sua verità» (M. Khayati, «Le mots...»). «Le banalità, per ciò che nascondono, lavorano per l'organizzazione dominante della vita» (ibid.). «Il potere vive della nostra impotenza a vivere mantenendo scissioni e separazioni moltiplicate indefinitamente»^. «Il declino del pensiero radicale accresce considerevolmente il potere delle parole, le parole del potere. Il potere non crea niente, recupera. Le parole forgiate dalla critica rivoluzionaria sono come le armi dei partigiani, abbandonate su un campo di battaglia: esse passano alla controrivoluzione; e come i prigionieri di guerra, esse sono sottomesse al regime dei lavori forzati... Gli ideologi, cani da , 1 A. Illuminati, «Cospirazioni irriverenti», in il Manifesto, 30 maggio 1994. 2 M. Khayati, «Les mots captifs», in IS [si veda avanti], 3 IS, «De l'aliénation, décomposition et récupération». 4 T. Frey, «Perspectives pour une génération», in IS [si veda avanti]. 18 guardia dello spettacolo dominante... fanno sì che i concetti più corrosivi siano svuotati dei loro contenuti, rimessi in circolazione al servizio dell'alienazione... essi diventano slogans pubblicitari» . «La società che ha realizzato l'optimum della separazione tra gli uomini e le loro attività, e tra gli uomini e loro stessi, distribuisce loro unilateralmente le immagini del loro proprio mondo come informazioni monopolizzate del potere economico statale... Si tratta di sperimentare la costruzione positiva della realtà dell'esistenza individuale come esecuzione dell'informazione esistente. Gli individui devono accettare di "riconoscersi" in sé stessi, e nelle loro relazioni con gli altri, secondo la fatalità di un codice presentato come libero e obiettivo. Ma i programmatori devono essere loro stessi programmati. I criteri che ispirano i loro questionari sono gli stessi che hanno creato dappertutto le separazioni. Se ognuno cerca l'altro per scoprire in questo rapporto l'esteriorizzazione della propria realtà, il preservativo del calcolo elettronico garantisce la scoperta reciproca della stessa menzogna» (IS, «De l'aliénation...»). 3. E in effetti quasi tutte le tesi situazioniste rappresentano una serrata critica dell'esistente attraverso una tessitura stringente, principalmente del concetto di alienazione. Rendere conto del lavoro dei situazionisti in senso generale, per il loro peso nella filosofia e nella politica contemporanee, è impresa ardua ed è auspicabile che qualcuno prenda l'iniziativa in proposito in modo organico e non frammentario. Per quanto ci riguarda ci occuperemo delle analisi di Guy-E. Debord (molto abusate e banalizzate) e di Raoul Vaneigem (poco conosciute e poco usate), anche se non è possibile, nell'ambito del Situazionismo, prescindere da scritti abbastanza rilevanti quali quelli, citiamo tra gli altri, di Rotile, di Frey, di Khayati, di Viénet, di Kotànyi. Il motivo di fondo del lavoro critico di Debord è dato dallo smascheramento d'una strategia di potere diffuso che, mentre da una parte ha bisogno di una umanità alienata e di1 M. Khayati, «Les mots...» e IS n. 8. 19 visa per la propria perpetuazione, dall'altra trova una forma di consolidamento e di autoreferenzialità nell'adombrare una unità fittizia dell'essere nello SPETTACOLO, attuando l'immaginario nello spettacolo. La società dello spettacolo di Debord (Parigi, 1967), con i relativi Commentari del 1988, è senza alcuna ombra di dubbio, un classico della filosofia contemporanea, di capitale valore pedagogico, regolarmente ignorato, o a malapena accennato, nella manualistica filosofica italiana. Articolato in nove sezioni consta di 221 tesi attraverso le quali si sostanzia un percorso critico che, partendo dalla riduzione del vissuto a rappresentazione, a spettacolarità totalizzante, apre ad una visione di virtualità generalizzata in cui è ben riscontrabile la morte della realtà come compimento di un processo di alienazione prodotto dallo stadio attuale del capitalismo egemone. Va pure sottolineato che tale esito tende anche a coincidere con analisi presenti, nello stesso periodo, in ambito lacaniano e foucaultiano. Ma cerchiamo di seguire le tesi di Debord, sintetizzandole e ponendone in evidenza alcuni punti fondamentali: La vita sociale è divenuta un immenso accumulo di spettacoli. Il vissuto è diventato rappresentazione. Lo spettacolo è rapporto sociale per immagini. Lo spettacolo è un modello della vita sociale, di cui forma e contenuto giustificano i fini del sistema esistente. Lo spettacolo unifica ciò che è divisione sociale. Si instaura ima doppia alienazione: Lo spettacolo diviene reale e la realtà si instaura nello spettacolo. In questa alienazione generalizzata il vero è un momento del falso. E' la vittoria dell'apparenza che nega la vita quando questa si visualizza. Lo spettacolo ha un carattere tautologico e positivo. Lo spettacolo non ha altro scopo che la propria affermazione. 20 Lo spettacolo mostra la subordinazione degli uomini all'economia. La prima degradazione: dall'essere all'avere. Ciò in corrispondenza della prima fase del dominio dell'economia sulla vita sociale. La degradazione attuale: dall'avere al sembrare. Ciò per l'occupazione della vita sociale da parte dell'accumulazione economica (viene a configurarsi, così, una processualità storica dell'alienazione). Sembrare è, in effetti, non-essere. Più non-si-è più è accettabile l'apparire. Lo spettacolo è la scissione prodotta definitivamente all'interno dell'uomo. Lo spettacolo è il cattivo sogno della società moderna. Nello spettacolo si esprime il permesso, non il possibile. L'alienazione nella società spettacolarizzata comporta una sclerotizzazione del vissuto a vantaggio della contemplazione dell'oggetto. La crescita dell'economia è la crescita dell'alienazione nello spettacolo. (Tesi 1-34/ Il principio del feticismo della merce produce il dominio della società per mezzo di «cose sovrasensibili come anche sensibili». Lo spettacolo è il momento in cui la merce ha occupato totalmente la vita sociale. C'è un umanismo della merce che prende in carico «il tempo libero e l'umanità». Il valore di scambio ha vinto la sua guerra rispetto al valore d'uso, è divenuto il condottiero del valore d'uso. 1 G.-E. Debord, «La divisione perfetta», in La società dello spettacolo, De Donato, Bari 1968, e «Commentari sulla Società dello spettacolo», in La società dello spettacolo, Sugarco, Milano 1990. 21 D consumatore reale è consumatore d'illusioni in quanto consumatore di merci che ha la propria manifestazione nello spettacolo. Lo spettacolo corrisponde all'altra faccia del denaro ed equivale, in astratto, a tutte le merci. La coscienza del desiderio e il desiderio della coscienza sono ciò che negano la società dello spettacolo, dove la merce contempla se stessa in un mondo creato da essa stessa. C Tesi 35, 53) 1 Hegel, interpretando la trasformazione del mondo, diviene il più alto punto filosofico della filosofia: vuole comprendere il mondo che si fa da sé. La società burocratica totalitaria vive in un presente perpetuo, dove tutto quello che è avvenuto esiste soltanto per essa... Non è possibile combattere l'alienazione sotto forme alienate. (Tesi 54-124) 2 Il tempo ciclico è in se stesso tempo senza conflitto. La vittoria della borghesia è la vittoria del tempo «profondamente storico» dato che è il tempo della produzione economica che trasforma permanentemente la società. Il trionfo del tempo irreversibile è anche la sua metamorfosi in «tempi di cose» perché ciò che ha vinto è la produzione in serie degli oggetti secondo le leggi del mercato. Il tempo irreversibile produttivo è anzitutto la misura di tutte le merci. (Tesi 125-147f 1 «La merce come spettacolo», in La società cit. 2 «Il proletariato come soggetto e come rappresentazione, ibid. 22 Il tempo pseudociclico non è che il «travestimento consumabile» del tempo merce della produzione. Il capitalismo concentrato si orienta verso la vendita di blocchi di tempo organizzati, ognuno di essi costituendo una sola merce unificata che ha integrato altre merci. Quest'epoca che si presenta come offerta di varie festività è, al contrario, un'epoca senza festa. Il momento partecipativo comunitario è impensabile in una società senza comunità e senza partecipazione. Lo spettacolo è la falsa coscienza del tempo come paralisi della storia e della memoria. Il tempo, come necessaria alienazione hegeliana, è la dimensione in cui il soggetto diventa altro per diventare la verità di se stesso. L'alienazione dominante, invece, è quella che impone al soggetto un «presente estraneo». C'è poi un'alienazione spaziale che riguarda il soggetto e la sua attività, con un tempo sottrattogli. C'è una alienazione «vivente» che viene sormontata da quella sociale. (Tesi 147-164j Questa società ha soppresso la distanza geografica ma ha raccolto la distanza interiormente, come divisione spettacolare. La circolazione umana come sottoprodotto della circolazione mercantile si realizza principalmente come accesso al banale. La geografia umana rispecchia la geografia delle espropriazioni sociali. (Tesi 165-179) 1 5 «Tempo e storia», ibid. 1 «Il tempo spettacolare», ibid. 2 «La disposizione del territorio», ibid. 23 L'innovazione nella cultura non può essere portata che dal movimento storico totale che, attraverso la coscienza della propria totalità, tende al superamento dei propri presupposti culturali, e va verso la soppressione di ogni divisione. La cultura proviene dalla storia, essa è l'intelligenza e la comunicazione sensibile, rimaste parziali in una società parzialmente storica. Il teatro e la festa, la festa teatrale, sono i momenti dominanti della realizzazione barocca, in cui ogni espressione non acquista il suo senso se non nel suo riferirsi alla decorazione di un luogo costruito, a una costruzione che deve essere per se stessa il centro dell'unificazione; questo centro è ^ p a s saggio», che e iscritto come un equilibrio minacciato nel disordine dinamico del tutto. La teoria critica deve «comunicarsi» nel proprio linguaggio che deve essere dialettico nella forma e nel contenuto. Esso non è un «grado zero» della scrittura, ma il suo rovesciamento. Non una negazione dello stile, ma lo stile della ' negazione. Le idee migliorano. Il senso delle parole vi partecipa. Il plagio è necessario. Il progresso lo implica. Elogio e necessità del détournement (storno di elementi estetici prefabbricati, inserimenti, ricombinatoria significante) come strumento antiideologico. (Tesi 180-2 11) L'ideologia è la base del pensiero di una società di classi, nel corso conflittuale della storia. Lo spettacolo è l'ideologia per eccellenza perché in esso si manifesta l'essenza di tutto il sistema ideologico, l'asservimento e la negazione della vita reale. Ecco ciò che è imposto a ogni ora della vita quotidiana 1 1 «La negazione è il consumo della cultura», ibid. 24 sottomessa allo spettacolo: un'organizzazione sistematica della «mancanza della facoltà di incontro» e la sua sostituzione con un «fatto allucinatorio sociale»; ciò che costituisce la falsa coscienza dell'incontro, «l'illusione dell'incontro». «Nei quadri clinici della schizofrenia - afferma Gabel - decadenza della dialettica della totalità (assieme, quale forma estrema, alla dissociazione) e decadenza della dialettica del divenire (assieme, quale forma estrema, alla catatonia) sembrano ben solidali». Colui che subisce passivamente la propria sorte quotidianamente estranea viene dunque spinto verso la follia... Il bisogno di imitazione che prova il consumatore è precisamente il bisogno infantile, condizionato da tutti gli aspetti del suo spossessamelo fondamentale. Emanciparsi dalle basi materiali della verità rovesciata, ecco in che cosa consiste l'autoemancipazione del nostro tempo. (Tesi 212-221) Scritto nel 1967 e pur ponendosi in parallelo, per alcuni accenni, al lavoro di Deleuze e Guattari, il libro di Debord sembra non tener molto in conto le analisi lacaniane relativamente al soggetto. Il fatto è che, in effetti, i situazionisti non vedono di buon occhio le scienze dell'uomo, considerate come persecutorie rispetto al soggetto. Mentre l'alienazione viene intesa come dimensione di massa e la sua denuncia si articola avendo tra i punti di partenza l'alienazione hegeliana. Il punto d'arrivo di Debord è una teoria critica che, come è stato fatto osservare, non è molto lontana dall'orizzonte adorniano , e che cerca di strutturare una rinnovata dialettica tra informazione e comunicazione in un universo di mer1 2 3 1 «L'ideologia materializzata», ibid. 2 A. Jappt,Debord, Tracce, Pescara 1993. 3 A. Illuminati, art cit. 25 cificazione spettacolarizzata in cui la simulazione tende a decretare la fine della realtà. Non si può trascurare il valore profetico delle tesi debordiane per quanto riguarda il dominio televisivo e per quanto riguarda le tecnologie informatiche della simulazione. A tale proposito i Commentari di Debord del 1988 ci forniscono ulteriori chiavi di lettura della realtà contemporanea. Anche i Commentari si articolano in Tesi (I-XXXIII) e, partendo dalla Società dello spettacolo riprendono le analisi dell'alienazione di massa per arrivare a far emergere gli aspetti più inquietanti della democrazia spettacolare-, molti sono i riferimenti all'Italia per ciò che riguarda i Servizi Segreti, la Mafia e la P2. Cerchiamo di seguire, ancora una volta schematicamente, il discorso dei Commentari: Esiste un ben preciso rapporto tra l'essenza dello spettacolo moderno, l'economia mercantile autocratica e le nuove tecniche di governo. Lo spettacolo consolida la sua potenza, influenza e intensifica i cambiamenti dei modi di vivere. I cambiamenti avvengono e sono accolti come «naturali». Di ciò che esiste non bisogna parlarne. Si assiste alla spettacolarizzazione di molteplici aspetti della vita sociale: politica-spettacolo, giustizia-spettacolo scienza-spettacolo, cultura ridotta a spettacolo, filosofiaspettacolo. Lo spettacolo e ormai leggibile a tre livelli: spettacolo concentrato (per i suoi aspetti come potere di strutturazione); spettacolo diffuso (globalizzazione mass-mediale); spettacolo integrato (integrato nella realtà verso ima indistinguibilità saturata). Ciò che caratterizza la democrazia spettacolare è: 26 il rinnovamento tecnologico; la fusione economico-statuale (concentrazioni e alleanze di potere economico/politico/mediale); il segreto generalizzato (invisibilità strutturale dei sistemi di controllo ecc.); il falso indiscutibile (e una fase successiva al fatto che il vero è un momento del falso, l'accettazione strumentalmente consapevolizzata, la scomparsa dell'opinione pubblica); un eterno presente (affermazione di una temporalità artificiale). Viene ad emergere dunque un disegno di controllo totale anche avvalorato da alcuni fatti: non si può discutere la logica della merce, la scomparsa della dialettica storica e della storia come riferimento, lo scandalo che rientra in una logica di integrazione, il sistema che, creando da sé i propri nemici, tende a spostare i giudizi su questi e non sui risultati della sua azione. Ipostatizzazione dell'immagine e unidimensionalità dei messaggi. Impoverimento costretto a integrarsi in un ordine di discorso e a un linguaggio che nasce dallo spettacolo, l'unico che gli è ormai familiare. La droga aiuta questo ordine di cose, la pazzia aiuta a fuggirlo. Ecco il villaggio globale spettacolare in una omologazione uniforme di valori, di fatti, di segni. Il predominio dell'economia si esercita anche rispetto alla scienza cui viene assegnato un compito giustificatorio. La scienza tende a diventare scienza della giustificazione, perché diretta in modo spettacolare. E' il dominio della disinformazione. Il segreto è parte importante e strategica della democrazia spettacolare: ciò vale per la «sicurezza», per le manovre di potere, per le informazioni importanti. Segreto è segreto del dominio. Si afferma il regno della sorveglianza-disinformazione, non contro il potere, ma a suo favore. 27 L'arte è morta perché soppiantata dal dominio di ima diffusa artisticità banalizzante ed essenzialmente inautentica. (Tesi I-XXXIII) I Commentari si chiudono con accenti pessimistici non dissimili da quelli dei francofortesi. Agamben nota come «il fatto più inquietante dei libri di Debord è la puntualità con cui la storia sembra essersi impegnata a verificarne le analisi» . E in effetti al capitalismo vincente corrisponde il consolidamento in atto della democrazia spettacolare debordiana con forme di alienazione di massa sempre più compiute. Di contro, il rifiuto delle identificazioni, delle aggregazioni di uomini che non si presentano con ima identità ben definita e caratterizzante - sembra ciò che, in una forma di disalienazione, può costringere la democrazia spettacolare a tradire la propria vocazione autoritaria di fondo . 1 Per quanto riguarda invece Raoul Vaneigem - autore di vari testi apparsi sull'Internationale Situationniste e del Traile de savoir-vivre a l'usage des junes générations del 1967 anch'egli si muove sullo stesso terreno teorico di Debord. Nel suo Trattato, alla parte di analisi critica della democrazia spettacolare, si aggiunge una parte indicativa che si collega alla più generale strategia di disalienazione situazionista di cui parleremo in seguito. 1 G. Agamben, «Glosse in margine ai Commentari». 2 G. Agamben «Violenza e speranza dell'ultimo spettacolo», ne I Situazionisti, cit. 3 R. Vaneigem, Traité de savoir-vivre à l'usage des jeunes générations, Gallimard, Paris 1967 [Vallecchi, Firenze 1973] e l'Internationale Situationniste 1958-69 [R. Vaneigem, Banalità di base, De Donato, Bari 1969], 28 Il Trattato di Vaneigem - pubblicato in Italia nel 1973 (trad. P. Salvadori) senza alcun commento o introduzione - è diviso in due parti («La prospettiva del potere», «Il rovesciamento di prospettiva») e in venticinque capitoli. L'opera parte dal presupposto che il mondo è da rifare, nel senso che deve divenire ciò che è: ciò che gli è impedito da manipolazioni e banalizzazioni. Non può essere accettato un mondo in cui «La garanzia di non morire di fame si scambia contro il rischio di morire di noia» E' necessario rilevare le negatività dell'esistente e mostrarne il reale e possibile rovesciamento di prospettive. Questo itinerario dialettico del Trattato viene realizzato con dovizia di articolazioni e, in effetti, sembra aver ragione Vaneigem quando afferma che l'importanza del Trattato si verificherà col fatto che, nel tempo, nessuno sfuggirà alle sue conclusioni. Ma cerchiamo di seguire , nel consueto modo schematico, le analisi di Vaneigem: La banalizzazione e l'impoverimento della vita quotidiana devono essere area di investimento politico. Nel vissuto individuale va compreso il valore«sowersivo» dei sentimenti. Il potere si configura come somma di costrizioni: l'umiliazione degli scambi, la sofferenza dell'alienazione sociale succeduta a quella naturale, il potere come organizzazione di costrizioni, l'orizzonte della morte. L'alienazione produttiva al posto della passione creativa. L'organizzazione dei tempi satura la vita degli individui. La comunicazione è impossibile e il potere si afferma come mediazione universale. La dittatura dei consumi, il primato dello scambio sul dono, trionfo della cibernetizzazione e del quantitativo. 29 La storia come trasformazione dell'alienazione naturale in alienazione sociale. La disalienazione deve disfare la storia realizzando nuovi modi di vita. Denuncia dello scambio generalizzato. La quotidianità si parcellizza in relazione ai gadgets di consumo. Pensare una società unitaria. La tecnica desacralizza. Le mediazioni alienate impoveriscono l'individuo divenendo vitali. La realtà è schiava della metafisica. Alla teologia si è sostituita l'astrazione pianificata dal potere. I metafisici hanno organizzato il mondo, si tratta ora di trasformarlo contro di loro. Capacità trasformatrice della teoria radicale nelle masse. La teoria radicale è la verità del linguaggio, l'ideologia ne è la menzogna. La lotta per il linguaggio è la lotta per la libertà e per la vita. Tre forme di libertà: - l'informazione corretta come traduzione dei messaggi ufficiali; - il dialogo libero, aperto e non spettacolare; - il linguaggio sensuale (Bohme). Il potere come potere di seduzione. Esistono dei segni di rivoluzione nella vita quotidiana: il rifiuto del sacrificio e dello scambio, la costruzione di situazioni vissute. Agire come se non ci dovesse essere futuro . Il piacere radicale soggettivo per-sé e per-tutti. L'apparenza è organizzata e protegge, è mito e spettacolo. I ruoli assunti nel vissuto sono incrostazioni di alienazione. Il ruolo come stereotipo. L'identificazione è quantitativamente necessaria al potere. Gli incidenti di identificazione rientrano nella categoria della «malattia mentale». Necessità di rifiutare il ruolo. Vivere intensamente e détoumer lo spazio-tempo individuale. 30 L'alienazione nel ruolo e sublimazione permanente. La borghesia fonda il suo dominio sulla trasformazione del mondo, ma rifiuta la propria trasformazione. Bisogna non esaurirsi nel proprio ruolo, lasciare uno spazio ludico, il ruolo porta in sé il ridicolo. Preparare l'era del gioco. L'età è un ruolo. Il tempo che passa riempie lo spazio lasciato vuoto dall'assenza dell'io. Il tempo va preso nel presente e il futuro è da costruire. La sopravvivenza è la vita ridotta al consumabile, essa tende a riempire la vita di cure infinite. La carenza di vita appare come carenza di consumo. Il suicidio è inutile perché non si possiede, in sé, un valore da distruggere. Il progetto della libertà personale è stato pervertito dal liberalismo. Il progetto della libertà collettiva è stato pervertito dal socialismo. Il progetto di ritrovamento della natura è stato pervertito dal fascismo. L'uomo del risentimento arriva ad essere nichilista. Il nichilismo attivo è coscienza della degradazione e denuncia delle cause. Il nichilismo attivo è pre-rivoluzionario. (Capitoli I-XVIH). Rovesciare la prospettiva significa sostituire la conoscenza con la prassi, l'esperienza con la libertà, la mediazione con il volere l'immediato. Significa affermare imo spazio intersoggettivo basato su tre poli: la partecipazione, la comunicazione, la realizzazione. Il soggetto è sempre creativo. La creazione spontanea è qualità. La poesia organizza la spontaneità creativa, essa è complementare alla teoria radicale. (Vaneigem, a questo punto saluta il Marchese De Sade.) Deve prodursi: il superamento dell'organizzazione patriarcale, del potere gerarchico, dell'arbitrio soggettivo e del capriccio autoritario. 31 La dittatura del proletariato è divenuta il più delle volte la dittatura sul proletariato. La fine dei ruoli implica il trionfo della soggettività. Bisogna détourner il tempo a favore dello spazio del vissuto. Bisogna riorientare la storia a fini soggettivi. La passione di creare fonda il progetto di realizzazione. La passione di amare fonda il progetto di comunicazione. La passione di giocare fonda il progetto di partecipazione. Isolate, le tre passioni degenerano. La soggettività radicale è la volontà di costruirsi una vita appassionata. Il progetto di realizzazione comporta un trasferimento di strutture dall'artistico al soggettivo. La realizzazione della soggettività individuale sarà collettiva o non sarà. La soggettività radicale è il fronte comune della identità ritrovata. L'amore offre il modello puro della comunicazione autentica. La passione amorosa appartiene al qualitativo. L'amore attraverso la spettacolarità diviene un rapporto reificato. L'erotico è il piacere che cerca la sua coerenza. E' il movimento delle passioni divenute comunicanti, inseparabili, unitarie. (Segue, a questo punto, una serie di riferimenti a Reich, Freud, N. Brown, Breton.) La noia è sempre controrivoluzionaria (IS, n. 3). La passione del gioco nasce dalla crisi della spettacolarità. In questo caso la partecipazione si fa reale e si ha una serie di rifiuti: - del capo e della gerarchia; - del sacrificio; 32 - del ruolo; e affermazione di: - una libertà di realizzazione autentica; - ima trasparenza dei rapporti sociali. La tattica come fase polemica del gioco tra la poesia e la spontaneità. Il détournement come rimessa in gioco globale e manifestazione di creatività. Esso è la costruzione di un nuovo ordine significante dopo la svalutazione di quello precedente. Dove c'è «decomposizione» là vi sono le condizioni del détournement. La soggettività ha un luogo incolto: l'interrando. E' una terra di nessuno tra lo spettacolare e l'insurrezionale. Attraverso una «nuova innocenza» l'interrando può cambiare le cose in una rivoluzione della vita quotidiana, verso l'edificazione di una società parallela. (Capitoli XIX-XXV) Nel maggio 1968 l'Internazionale Situazionista si scioglieva nel popolo portando a termine un itinerario critico certamente appassionante. L'idea di un'osmosi tra vita, arte e politica, aveva radici letterarie e riferimenti alle avanguardie storiche degli anni '20 , ma soprattutto dava corpo a una denuncia delle nuove forme di alienazione, correlate sia con lo sviluppo della società industriale, che con rimozioni politiche. Il tutto non senza contraddizioni e insofferenze verso una sinistra di tradizione cui i Situazionisti opponevano un radicalismo basato fondamentalmente sulla possibilità di ricostruzione e di ri-gestione qualitativa del mondo . 1 2 1 L. Passerini, «Critica della vita quotidiana», ne I Situazionisti, cit. 2 M. Perniola, «I Situazionisti», in Agaragar, 4/1972. 33 Ovviamente vari accadimenti successivi avrebbero dato al concetto di soggettività collocazioni diverse, ma ciò non toglie interesse e attrazione verso forme di divertimento che recuperano la soggettività attraverso l'organizzazione del détournement, attraverso la deriva (modo di comportamento sperimentale legato alle condizioni della società urbana: tecnica di passaggio improvviso attraverso ambienti diversi) e attraverso il disegno di una quotidianità ri-soggettivante. E' innegabile inoltre il valore delle analisi situazioniste per ciò che riguarda la realtà dell'assetto capitalistico degli anni '60 e per i successivi consolidamenti e sofisticazioni nell'ambito comunicativo e per ciò che riguarda quello che si definisce come «postmoderno». Flashback 1. Di là dagli esiti filosofici e politici, nell'analisi del Situazionismo è importante esaminare l'origine di questo movimento internazionale per una serie di passaggi certamente significativi. Un punto nodale, in tale ambito, è il fatto che il Situazionismo sia il risultato di un transito dall'ambito estetico a quello politico e filosofico. La ricerca di Robert Estivals ha posto bene in evidenza questo punto, mostrando come la maturazione delle avanguardie artistiche francesi, alla fine degli anni '50, abbia condotto al Situazionismo, in un clima di fermenti di varia origine, ma poi convergenti nel più generale movimento del '68. In Italia, nel 1975, sulla rivista Uomini e Idee, L. Caruso e S.M. Martini hanno ripreso l'impostazione di Estivals ponen1 1 R. Estivals, «Dall'avanguardia estetica alla rivoluzione di maggio», in Marcatré, 49/1969. 34 do l'accento su altri punti significativi . Anzitutto la polemica contro Vopera-merce: un tema centrale e reperibile in gran parte dei movimenti artistici dell'epoca. Poi quella che viene da Estivals definita come modestia di origine sociocentrica e marxista: una delle matrici del Situazionismo. Oltre ad altri aspetti sottolineati da Estivals, come l'ascendenza lettrista dei situazionisti e la comunanza di questo movimento col surrealismo di cui condivideva l'antidogmatismo. L'idea di base dei situazionisti è comunque la realizzazione del significato. E' un punto fondamentale che informerà di sé gran parte del '68. Realizzare il significato marcando la catena di dominio significante nei poli di alienazione, per riscattare una soggettività che - ora è possibile dirlo - pur essendo dissolta dall'attacco strutturalista in generale la si ritrova oggi lacanianamente come alienazione strutturale e strutturante che pur sempre rimanda all'oggetto «a» e quindi a un'offerta saturante di identificazioni a misura del discorsa del capitalista e quindi di un plusgodere . C'è quindi una processualità che vede in Debord il catalizzatore delle tendenze che sono passate, attraverso una maturazione dialettica, dall'estetica alla politica e alla filosofia. Dalle esperienze cinematografiche alla fondazione dell'Internazionale lettrista, prima, e poi doti'Intemazionale Situazionista, vi sono una continuità e una conseguenzialità evidenti. Si trattava di tradurre in termini rivoluzionari l'eversione artistica e farla straripare nella quotidianità e in un progetto politico che, con Vaneigem, si attesta su ima teoria dell'autogestione generalizzata basata sui consigli operai . Prendono quindi forma una serie di istanze artistico-poli1 3 1 L. Caruso-S.M. Martini, «La "rivoluzione culturale e i situazionisti», in Uòmini e Idee, 1/1975, Schettini Ed. Napoli. 2 J. Lacan, Seminario XVII, 1969-70. 3 R. Vaneigem, «Avviso ai civilizzati riguardo all'autogestione generalizzata», in IS n. 12 [si veda avanti]. 35 tiche quali la deriva, il détournement, la ricerca psicogeografica ecc. che caratterizzar anno il Situazionismo. In tale ambito acquista rilievo una dimensione, quella relativa all'esaltazione e alla valorizzazione del presente e ciò anche nella prospettiva di ima reale pratica dell'arte\ 2. Vi sono due documenti che, a nostro avviso, possono essere abbastanza indicativi della fase originaria del Situazionismo e che cercheremo di esaminare nei loro aspetti fondamentali. Il primo è un testo di Asger Jorn databile al 1954 che anticipa temi ripresi negli anni '60 e relativi al rapporto economia-arte, alla reificazione, all'opera d'arte come controvalore. E' un testo abbastanza articolato in cui vengono inizialmente prese in esame le forme dello sviluppo moderno della pittura, della scultura e dell'architettura. Si denuncia l'iniziativa di F.L. Wright di realizzare un museo inteso come ambiente in cui sono sepolte le opere d'arte senza passare prima nella vita di ogni gjiorno. Si passa quindi a una critica dell'architettura, intesa come arte per formare il nostro ambiente, ma ormai immobilizzata su vecchi problemi, senza una prospettiva nuova che ridefinisca il rapporto uomo-ambiente (come invece ha fatto Le Corbusier). Di qui la necessità di trasformare il programma funzionalista di là da ogni necessità assoluta dell'oggetto. Jorn cerca pertanto di ridisegnare una concezione dinamica della forma e del cambiamento, ponendo in evidenza alcuni parametri significativi: l'evoluzione formale ha luogo attraverso brusche rotture; l'uso crea la forma ideale; 1 M. Perniola, loc. cit. 2 A. Jorn, «Immagine e forma (Mouvement international pour un Bauhaus imaginiste)» in Uomini e Idee, cit. 36 esìstono un conservatorismo e un radicalismo delle forme stesse. Tutto ciò viene a costituire un punto di partenza propositivo per un nuovo Bauhaus il quale, per Jorn, dovrà avere un respiro artistico internazionale e basarsi su un corpo dottrinario definito, strutturato intorno a un'unica definizione dialettica dell'arte articolata su tre ambiti: estetico: l'arte è la realizzazione del non-conosciuto, è il realizzare l'irrealizzabile, è il principale punto di riferimento dell'uomo e la sua completa possibilità; etico: l'arte è la realtà soggettiva, è la capacità di un essere o di una comunità, è l'espressione di una manifestazione vitale; logico o scientifico: l'arte è la natura vista come un temperamento, è la fedele immagine dell'oggetto, è l'osservazione non interessata. A questi tre ambiti corrispondono tre prospettive di analisi dell'arte: - analisi estetica relativa gli effetti sensoriali, di shock e di novità dell'oggetto artistico; - analisi etica relativa all'utilità, agli interessi umani e alla funzionalità sociale dell'oggetto artistico; - analisi scientifica relativa alla costruzione dell'oggetto artistico in relazione alle sue possibilità. Jorn cerca con questo - che è un vero e proprio programma di intervento e di analisi con evidenti prospettive politiche - di superare il formalismo dottrinario imputabile ai rinnovatori del Bauhaus e a Gropius, in considerazione anche del fatto che sarebbe stupido ignorare che nel frattempo si è imposto il surrealismo. Da queste Manifesto presero avvio scissioni e costituzioni di gruppi e movimenti, tra i quali la rivista Reflex, il gruppo De Stijl, la rivista Cobra . Abbiamo poi la confluenza dell'/n- 37 ternationale lettriste nel Movimento per la Bauhaus imaginista. Siamo nel 1956. L'anno dopo, nel 1957, Debord comincerà a parlare della costruzione di situazioni. 3. Il secondo è il testo di Guy Debord Sur la construction des situations et sur les conditions de l'organisation et de l'action de la tendance situationniste internationale del 1957. Si tratta di un Rapporto presentato ai membri dell'Internationale lettriste, del Movimento per vaia Bauhaus imaginiste e del Comitè Psychogéographique di Londra, come base di discussione e strumento di propaganda. Con questo documento Debord traccia l'ambito teorico di base del Situazionismo, individuando due prospettive di lotta il cui valore non può essere considerato privo di una certa attualità: un rinnovato valore politico dell'arte di là da ogni valore di scambio e la critica serrata all'industria culturale, proseguendo in modo originale sulla via aperta dalla Scuola di Francoforte. L'unificazione delle due prospettive avviene nell'ambito di una propugnata rivoluzione da attuare attraverso i partiti operai. Punti fondamentali di questa rivoluzione saranno la costruzione di situazioni, un diverso assetto del territorio mediante il concetto di urbanismo unitario, la deriva intesa come gioco spaziale-emotivo riguardante un uso creativo degli ambienti e la delineazione di una nuova area di ricerca, quella psicogeografica, relativa al rapporto tra l'ambiente e il comportamento individuale. Abbiamo infine il détournement, una pratica di spiazzamento, di decontestualizzazione e di riutilizzo creativo di elementi della civiltà borghese. Si tratta chiaramente di un documento che definisce già tutte le direttrici analitiche presenti nella rivista Internationale Situationniste. Si divide in sei parti che sono: - rivoluzione e controrivoluzione nella cultura moderna; - il disfacimento, stadio supremo del pensiero borghese; 38 - verso un'Internazionale Situazionista; - piattaforma per un'opposizione provvisoria; - ruolo delle tendenze minoritarie nel periodo di riflusso; - nostri compiti immediati. Nella prima parte l'assunto principale è che «ciò che si chiama la cultura riflette e prefigura, in una società data, le possibilità di organizzazione della vita. La nostra epoca è caratterizzata principalmente dal ritardo dell'azione politica rivoluzionaria rispetto allo sviluppo delle possibilità moderne di produzione, che richiedono una superiore organizzazione del mondo». Questo perché «ogni anno si pone sempre più decisamente il problema del dominio razionale delle forze produttive e della formazione della civiltà su scala mondale. Il capitalismo, inoltre, inventa nuove forme di lotta: dirigismo del mercato, raggruppamento dei settori della distribuzione, governi fascisti...» E ciò sfruttando «le degenerazioni delle direzioni operaie e neutralizzando mediante tattiche riformiste le opposizioni di classe». E' evidente la proiezione in avanti di queste analisi che, in qualche modo, prefigurano i problemi connessi con la globalizzazione dell'economia, con le strategie di integrazione del capitalismo mondiale e con l'avanzata di una borghesia (vittoriosa) che Debord inquadra come impegnata a détourner il gusto del nuovo «verso forme inoffensive e confuse». Debord esamina, quindi, i percorsi del futurismo, del dadaismo e del surrealismo ponendo in evidenza le loro degenerazioni. La conclusione di questa prima parte è che «bisogna andare più avanti e razionalizzare di più il mondo, condizione prima per renderlo più appassionante». Nella seconda parte viene ancora sviluppata un'analisi della cultura borghese per ciò che riguarda le varie tendenze 39 letterarie, artistiche in generale, ma anche religiose. Il punto centrale di queste analisi è che «la crisi della cultura moderna si conclude come disfacimento ideologico. Niente di nuovo è costruibile su queste rovine e il semplice esercizio dello spirito critico diviene impossibile dato che ogni giudizio è in conflitto con altri, ognuno si riferisce a residui di sistemi d'insieme ormai vecchi, oppure a imperativi sentimentali personali. Il disfacimento si è esteso a tutto. Appare così l'uso massiccio della pubblicità commerciale influire sempre di più sui giudizi relativi alla creazione culturale, ciò che era un antico processo. Si è giunti a imo stato di assenza ideologica in cui agisce solo l'attività pubblicitaria, escluso ogni giudizio critico preliminare, ma non senza attivare un riflesso condizionato del giudizio critico». Siamo, in effetti, alla stessa chiaroveggenza della Società dello spettacolo, alla denuncia di stereotipi imposti all'immaginario collettivo dei quali il Sagan-Drouet è uno dei più rilevabili, alla fine degli anni '50. Anche l'architettura non sfugge a questo disfacimento che ha tout gagné. Debord conclude accennando a una possibile presa di coscienza della decadenza del pensiero borghese da parte delle minoranze di avanguardia come recupero di una dimensione positiva. Nella terza parte Debord centra le sue proposte d'intervento anzitutto sulla costruzione di «ambientazioni contingenti della vita e della loro trasformazione in qualità passionale di ordine superiore». Da qui il concetto di urbanismo unitario «da realizzare attraverso l'impiego dell'insieme delle arti e delle tecniche, come mezzi che possono portare ad una strutturazione integrale dell'ambiente». Ciò in modo dinamico e sperimentale, non escludendo, ad esempio la costruzione di quartieri stati-d'animo per cui è possibile pensare che «.ogni quartiere eli una città dovrà tendere a provocare un sentimento semplice cui il soggetto si esporrà con conoscenza di causa», 40 Debord parla poi delgioco situazionista come di un'attività che recupera l'unità della vita di là dalle separazioni poste in atto dal sistema borghese e riscontra «nell'abbondanza di bassezze televisive una delle ragioni dell'incapacità della classe operaia americana a politicizzarsi». II comportamento della deriva (in tale ambito Debord postula l'uso creativo della televisione e del cinema come rappresentazione diretta di un'attualità giocata) e le analisi psicogeografiche rientrano per Debord in una pratica che tiene conto del fatto che la vita di un uomo è una successione di situazioni fortuite. Particolare rilievo assume il conflitto «tra il desiderio e la realtà ostile a tale desiderio: ciò che sembra essere la sensazione del deflusso temporale». Al contrario i situazionisti «puntano sulla fuga del tempo, contrariamente ai metodi dell'estetica che tendono alla fissazione dell'emozione». La quarta e la quinta parte riguardano un approccio organizzativo e l'analisi dei percorsi delle avanguardie artistico-rivoluzionarie per tutto ciò che riguarda il rapporto tra creazione culturale e rivoluzione mondiale. Nell'ultima parte brevemente Debord si occupa delle forme di opposizione al modo di vivere capitalistico e in particolare della necessità di «distruggere, con tutti i mezzi iperpolitici, l'idea borghese di felicità». Si tratta di presentare un'alternativa rivoluzionaria alla cultura dominante. Perché «si sono interpretate abbastanza le passioni: si tratta ora di trovarne altre». 41 Meduse situazionaute 1. Machiavelli, il Guy Debord del Rinascimento... Sun Tze, il Guy Debord cinese... ...c'è una certa similitudine tra l'opera di Debord e quella del grande scrittore di fantascienza Philip Dick. Amenità del genere sono oggi reperibili su Internet, la rete in cui sono presenti materiali diversi - in contesti discutibili- relativamente ai Situazionisti, in generale, e a Debord e Vaneigem in particolare, con la possibilità di scaricare molti testi dei due situazionisti oltre a commenti di vario genere. Ciò a indicare la banalizzazione e l'espropriazione dell'ambito critico situazionista, nonché il suo uso traslato e, quindi la sua neutralizzazione di fatto, ovvero la vittoria perdente del Situazionismo 2. Il Debord più reale, tuttavia, è rintracciabile in determinati spazi culturali in cui troviamo per es. alcune riviste che, partendo dalle analisi debordiane, cercano di riprodurre fenomenologie critiche del postmoderno, estendendo il terreno alla cibernetica, alla critica d'arte e ad altri ambiti culturali. E' l'area di intervento della critica neosituazionista, che spesso però ottiene degli esiti discutibili e/o oscuri. A tutto ciò viene a corrispondere, per altro verso, la rimozione di Debord posta in atto nello studio della storia della filosofia, nonché la sua utilizzazione asettica nel discorso universitario. A maggior ragione, quindi, va riconosciuto il merito di studiosi come Mario Perniola e Giorgio Agamben che hanno correttamente posto il lavoro dei situazionisti e di Debord nella partitura storica del nostro secolo. 42 Perniola, per aver giustamente considerato Debord un filosofo del sospetto verso le forme sensibili, nell'ambito della critica ai nuovi media . Agamben, sia per ciò che riguarda l'attualità della fenomenologia debordiana, sia per il suo valore critico rispetto allo stato e alla politica spettacolari, che per la conferma profetica di taluni temi della fenomenologia heideggeriana di Essere e tempo . Un riconoscimento positivo va dato al libro di Anselm Jappe su Debord (1993, già cit.), per l'accuratezza dell'analisi documentaria relativa al percorso del pensiero debordiano e per l'inquadramento critico dei due punti centrali della Società dello spettacolo: la soggettività e l'alienazione. Due temi che l'evoluzione dell'antropologia filosofica ha ridefinito, con una tendenza a confermare e ad approfondire gli assunti strutturali del lavoro di Debord, piuttosto che renderli profetici in modo vago. La citata raccolta di saggi dal titolo I Situazionisti (del 1991), contiene, oltre al saggio di Agamben e gli accenti da lirismo teoretico di Enrico Ghezzi e di Roberto Silvestri (i situazionisti avrebbero vinto vincendo...), mia serie di altri contributi che si articolano con ricchezza di valutazioni critiche. Penso, in particolare, al saggio di Paolo Virno che si sofferma sulla profezia debordiana della morte dell'arte e sulla critica filosofica situazionista al capitalismo nella sua ideologia post-moderna. Molto circostanziata risulta l'analisi proposta da Roberto Massari , sia come collocazione storica del Situazionismo, nell'ambito internazionale delle culture e dei movimenti politici che aprirono la strada al '68, che come caratterizzazione 1 3 1 M. Perniola, L'estetica del Novecento, Il Mulino, Bologna 1997. 2 G. Agamben, «Violenza e speranza», cit. 3 R. Massari, «Situazionismi», in II '68. Come e perché, Massari Ed., Boisena 1998. 43 di questo movimento in rapporto ai temi principali di elaborazione della sua teoria critica. Al di là della sezione dedicata ai situazionisti, si tratta comunque di uno dei lavori più completi sul '68 e ciò per l'ampiezza dei riferimenti, per l'articolazione coerente delle tematiche richiamate e per la ricchezza delle conclusioni politiche. Salutarmente provocatorio è il lungo saggio di Gianfranco Marelli sui situazionisti, comparso sul n. 8 di Per il Sessantotto del 1995 e ripreso recentemente nel libro omonimo a cura di Diego Giachetti . Il saggio parte dallo «scandalo di Strasburgo» di cui ripercorre le tappe significative, per mettere a fuoco ima critica puntuale - e opportunamente smitizzante - del Situazionismo. La sfida sul cambiamento, la reinvenzione della rivoluzione, la critica del linguaggio, ma anche il settarismo, lo scissionismo, sono i punti posti in evidenza da Marelli nel proprio saggio, punti nevralgici e caratterizzanti. Il Situazionismo viene esaminato anche in rapporto alle sue illusioni storiche, per lo sganciamento di fatto dai nuovi proletari - di cui i situazionisti avevano peraltro individuato i bisogni - e per come il ricco armamento fenomenologico dei situazionisti sia stato recuperato dal potere per i suoi fini. 1 3. Riteniamo, infine, utile accennare a un movimento italiano che si richiama direttamente al Situazionismo attraverso iniziative, provocazioni e pubblicazioni. Si tratta del gruppo bolognese Luther Blisset, nome collettivo che tende a eludere il concetto di diritto d'autore per porsi come spazio creativo e critico, filiazione evidente della libertà divulgativa e riproduttiva tipica dei testi dell'ambito situazionista nonché spiaz1 G. Marelli, «Uno scandalo all'Università di Strasburgo. L'Internazionale Situazionista», ora in D. Giachetti (a cura di), Per il Sessantotto. Studi e Ricerche, Centro di Documentazione di Pistoia-Massari Ed., Bolsena 1998. 44 zamento mirante a svelare l'aspetto autoritario del sistema. La pubblicazone dall'omonimo nome - Luther Blisset. Rivista di guerra psichica e adunate sediziose - tende a riprendere il barocchismo stilistico dei testi situazionisti, riproponendosi di distruggere «i meccanismi di controllo della logica borghese, cambiare il mondo in cui viviamo nonché sabotare l'ordine virtuale» . Tenendo presente i criteri dell'analisi psicogeografica vengono sviluppate analisi territoriali e il fumetto viene «detournato» secondo lo stile situazionista; si riprende il concetto di deriva e anche il teatro viene rivisto in ima prospettiva situazionista cercando di recuperare al teatro il popolo delle discoteche. Anche Luther Blisset tende ad avere uno spazio di sviluppo e di azione internazionale. Vi sono articoli in inglese e collegamenti con gruppi americani e di altri paesi, oltre che con vari corrispondenti sul territorio nazionale. Presente su Internet Luther Blisset ha compiuto provocazioni via etere a Roma, a Catania ecc. E' certo un tentativo di attualizzazione del situazionismo, interfacciata in qualche modo con l'area pubblicistica cyber. Tentativo per vari aspetti discutibile e pertinente, in questo caso, alla vittoria perdente dei situazionisti; recupero di un senso che non va a sostanziarsi in una incidenza culturale, ma che allude, in qualche modo, a una necessità. Di questa area ci sembra che alcuni tentativi di narrazioni, che si riferiscono direttamente al cyberpunk, possano essere valutate come riflessioni critiche sulle nuove (possibili) libertà. Stiamo parlando di Net.gener@tion, manifesto di Luther Blisset sulla generazione della Rete. Ci si muove qui tra P.K. Dick, letteratura ciberpunk, neocritica cinematografica, cultura trash e, 1 2 1 Suppl. a Radio K Centr., Grafton, Bologna, 9 numeri zero e segg. 2 R. Bui, Transmaniacalità e situazionauti, Synergon, Bologna 1994. 45 ovviamente, riferimenti ai Situazionisti che ora, attraverso varie contaminazioni, divengono situazionauti . Nell'introduzione al libro si afferma che la Rete (Internet) è una nuova libertà, propria delle nuove generazioni, entro cui realizzare il senso dell'avventura... far esplodere la mente al Grande Cambiamento, ovvero: da oggi siete liberi. Abbastanza apprezzabile peraltro è la lettura di Pulp Fiction, il film di Quentin Tarantino, che viene visto come una felice metafora della realtà - presente e futura- avvitata in una retorica di chiacchiera e di violenza. Vi si coglie l'emergere di una necessità, il tentativo di costruire un profilo d'identità oltre il dominio complessante. E anche qui emerge la vittoria vincente dei situazionisti nell'anticipare come l'ineluttabile dominio complessante si riproduca incessantemente come spettacolo integrato, secondo l'analisi debordiana presente nei Commentari, un'integrazione esponenziale verificabile nei fatti. Certo, è possibile pensare a libertà esplorative e spazi ludici relativi al soggetto desiderante. Il problema è la rappresentazione. Se si tende a porre l'immagine (apparenza?) come sostituzione della realtà, a risolvere in ultima analisi la realtà in ima virtualità, con la conseguenza che il soggetto coincide con l'immagine senza discontinuità , allora si è realizzata una coincidenza simulativa, di cui non è forse azzardato dire che non è comunicazione e che si tratta di una deriva autarchica rispetto al mondo da cui tende a distanziarsi . E' questa una prospettiva di liberazione o non piuttosto, come sostiene Virilio, solo uno degli stadi finali verso il crack delle immagini ? 1 2 3 1 L. Blisset, Net. gener@tion, Mondadori, Milano 1996. 2 P. Virilio, «Occhio contro occhio, il crack delle immagini», in Le monde diplomatique, 22 febbr. 1998. 3 Per queste tematiche ci permettiamo di rimandare al nostro Mappe dell'alienazione, cit. 46 Per un'economia politica dell'immaginario 1. C'è un filo rosso che nel pensiero occidentale si dipana, volto a delineare un'area critica, variamente articolata, definibile in termini di economia politica dell'immaginario. Si tratta di un percorso che ha i suoi passaggi nodali in Hegel, Marx, Freud, Heidegger, la Scuola di Francoforte, fino ai Situazionisti, a Lacan... 2. Gli esiti moderni della Fenomenologia dello Spirito, partendo dalla lettura kojèviana di questa opera, rientrano a pieno titolo in una figurazione fondamentale: l'assetto vincente della nostra epoca ha fatto sì che si realizzasse una omologazione fittizia della padronanza per cui i servi si sentono sempre più padroni e, nell'affermare la propria padronanza essi, in effetti, si attardano sempre di più nella loro condizione servile. Tutto ciò riguarda l'economia e l'immaginario, pertiene al Marx non-banalizzato e pertiene all'alienazione strutturale e strutturante del soggetto lacaniano. Rientra nell'alienazione generalizzata che i situazionisti, più di altri, hanno posto in evidenza nelle loro analisi critiche. 3. Omologazione fittizia della padronanza, dunque: è ciò che i situazionisti conoscevano bene per averne definito i parametri attraverso i concetti di merce e di spettacolo, per averne individuato i meccanismi perversi ai vari livelli. Ma anche per averne mostrato, nei limiti owii di tale impresa, le vie di fuga possibili, fino a ridefinire il concetto di sociale o a prendere in esame l'architettura e la vita quotidiana. Si trattava di prospettive eluse da una sinistra che già più di trent'anni fa co- 47 minciava a perdersi in vicoli ciechi. E anche di questo i situazionisti sono stati profeti. 4. Là dove la deriva era una strategia creativa di ridefinizione e riappropriazione dello spazio tempo in un universo di flussi programmati ora, nella moltiplicazione di questi flussi, in un dominio di complessità, la deriva è stata settorializzata e istituzionalizzata. Basti pensare a certe serie televisive, a certe tecniche letterarie. Là dove si parlava di urbanismo unitario e di quartieri-stati-d'animo ora abbiamo le città a tema. Il problema di fondo è che questa complessità ha opportunamente mescolato padronanza e servitù nell'ambito strutturale, producendo virtualità che ben si sono insediate in un'economia dell'immaginario. Le derive così sono diventate molteplici e quindi la vittoria tende ad essere di coloro che sanno creare il disordine senza amarlo. 5. Gli intellettuali sono scomparsi. E ciò anche come effetto collaterale della cultura di sinistra. Conseguenza di tale scomparsa è la caduta della domanda sul senso e quindi la vittoria di un modello di pensiero fondamentalmente basato sull'accettazione dell'esistente. L'esatto contrario di quanto affermava Marx quando definiva la scienza in relazione al senso e alla fenomenicità. La complessità ha coronato opportunamente questo processo. 6. La categoria del concreto e quella di unità tendono ad assumere contorni sempre più sfumati. Da qui l'esigenza di ridefinirle nell'ambito di un materialismo negativo che individui i domìni strutturali e che possa costituire il punto di 48 partenza per una nuova economia politica dell'immaginario nella complessità (strumentale) del reale. 7. La prospettiva è di tener conto dell'antropologia filosofica e psicoanalitica contemporanee le quali, purtroppo per i situazionisti, hanno evidenziato l'alienazione costitutiva del soggetto (alienazione umana) quale prezzo inevitabile per l'accesso all'ordine simbolico che è politico come discorso. Un ordine che viene vissuto come spazio e dimensione in relazione con l'Altro, con le identificazioni e gli oggetti del desiderio. I situazionisti ben avevano previsto la capacità del dominio capitalista di attrezzarsi e di articolarsi per regolare l'economia politica dell'immaginario. 8. Non bisogna mai dimenticare che gli effetti del simbolico sulle aree suddette sono di natura politica e culturale e quindi, ad esempio, vengono a rinforzarsi nell'ignoranza, nelle parcellizzazioni, nella manipolazione tecnocomunicativa. E' qui che va a delinearsi il recupero di una nuova autenticità. E' qui che l'economia politica dell'immaginario deve farsi teoria critica partendo dal materialismo negativo. 9. Negli anni '60, i situazionisti hanno avvertito, più di altri, la domanda sul senso e intuito linee di tendenza. La loro teoria critica è una risposta ancor oggi valida. Una risposta nei confronti del recupero di un senso. Oggi l'offerta di senso tende strategicamente a saturare all'origine ogni domanda. Ma è da qui che può prendere forma un materialismo negativo decostruente. Era ciò che avevano iniziato i situazionisti e che costituisce la prospettiva di una loro rilettura critica produttiva. 49 Prendiamo l'Università. Non è forse vero che il discorso universitario, nella sua decostruzione - come afferma Lacan tende a coincidere con quello del Padrone? Non è forse vero che c'è ima miseria dell'ambiente studentesco la cui rimozione è generalmente accettata? Le quotidianità, quali riscontri autenticanti hanno trovato? E così di seguito. Guai a tagliare il filo rosso. Pasquale Stanziale 50 Situazionisti internationale situationniste Revue de la section frangaise de l'IS Directeur: Debord Rédaction: B.P. 307-03 Paris Comité de Rédaction : Mustapha Khayati, René Riesel, Christian Sébastiani, Raoul Vaneigem, René Viénet Tous les textes publiés dans «.INTERNATIONALE SITUATIONNISTE» peuvent étre librement reproduits, traduits ou adaptés mime sans indication d'origine\ GIOVANI, RAGAZZE Con qualche attitudine al superamento e al gioco senza speciali conoscenze. Se intelligenti o belli, voi potete andare nel senso della Storia, CON I SITUAZIONISTI Non telefonare. Scrivere o presentarsi 32, rue de la Montagne-Geneviève, Paris 5 n e m e Non si può certo dire che io abbia troppo in stima l'epoca presente; ma se non dispero di essa, ciò è per la sua situazione disperata, che mi riempie di speranza. Marx a Ruge 1 Tutti i testi pubblicati nell'Internationale Situationniste possono essere liberamente riprodotti, tradotti o adattati, anche senza indicarne la provenienza. 52 TESI SULLA RIVOLUZIONE CULTURALE di Guy-E. Debord 1 1 Il fine tradizionale dell'estetica è di far sentire, nella mancanza e nell'assenza, certi elementi passati della vita che, attraverso una mediazione artistica, sfuggirebbero alla confusione delle apparenze, essendo quindi l'apparenza ciò che subisce il dominio del tempo. Il grado della riuscita estetica è in rapporto, dunque, a una bellezza inseparabile dalla durata e che tende addirittura a una pretesa di eternità. Il fine dei situazionisti è la partecipazione immediata a un'abbondanza di passioni della vita, mediante il cambiamento di momenti deperibili deliberatamente organizzati. La riuscita di questi momenti non può consistere in altro che nel loro effetto temporaneo. I situazionisti considerano l'attività culturale, dal punto di vista della totalità, come metodo di costruzione sperimentale della vita quotidiana, permanentemente dispiegabile con la dilatazione del tempo Ubero e la scomparsa deUa divisione del lavoro (a partire dalla divisione del lavoro artistico). 2 L'arte può cessare di essere un rapporto suUe sensazioni per divenire un'organizzazione diretta di sensazioni supe1 «Thèses sur la revolution culturelle», da Internationale Situationniste n. 1, giugno 1958. 53 riori. Si tratta di produrre noi stessi e non delle cose che ci assoggettino. 3 Ha ragione Mascolo nell'affermare (Le Communismè) che una riduzione della giornata lavorativa, da parte del regime della dittatura del proletariato, è la garanzia più certa che esso possa dare della sua autenticità rivoluzionaria. Infatti, se l'uomo è una merce, se viene trattato come una cosa, se i rapporti generali degli uomini tra di loro sono rapporti tra cosa e cosa, è perché è possibile comprare il suo tempo. Tuttavia Mascolo conclude troppo affrettatamente nel dire che il tempo di un uomo liberamente impiegato è sempre impiegato bene e che il solo male è l'acquisto del tempo. Non esiste libertà nell'impiego del tempo senza il possesso degli strumenti moderni di costruzione della vita quotidiana. L'uso di tali strumenti segnerà il passaggio da un'arte rivoluzionaria utopica a un'arte rivoluzionaria sperimentale. 4 Un'associazione internazionale di situazionisti può essere considerata come un'unione dei lavoratori di un settore avanzato della cultura o, più precisamente, come un'unione di tutti coloro che reclamano il diritto a un lavoro attualmente precluso dalle condizioni sociali e, dunque, come un tentativo di organizzazione di rivoluzionari professionali nella cultura. 5 Siamo praticamente divisi dal dominio reale dei poteri materiali accumulati dal nostro tempo. La rivoluzione comunista non si è compiuta e siamo ancora nel quadro della decomposizione delle vecchie sovrastrutture culturali. Henri Lefebvre vede giustamente che questa contraddizione è al 54 centro di un disaccordo particolarmente moderno tra l'individuo progressista e il mondo e definisce romantico-rivoluzionaria la tendenza culturale che si basa su questo disaccordo. L'insufficienza della concezione di Lefebvre risiede nel fare della semplice espressione del disaccordo il criterio sufficiente di un'azione rivoluzionaria nella cultura. Lefebvre rinuncia in anticipo a ogni esperienza di modificazione culturale profonda, accontentandosi di un contenuto: la coscienza del possibile-impossibile (ancora troppo lontano), che può venire manifestata in qualsivoglia forma ripresa dal quadro della decomposizione. 6 Coloro che vogliono andare oltre il vecchio ordine stabilito, in tutti i suoi aspetti, non possono accettare il disordine del presente, anche nella sfera della cultura. Bisogna lottare senza più attendere, anche nel campo della cultura, per l'apparizione concreta dell'ordine fluido del futuro. E' la sua possibilità, già presente tra di noi, che svaluta tutte le espressioni nelle forme culturali conosciute. Bisogna portare al collasso finale tutte le forme di pseudocomunicazione, per arrivare un giorno a una comunicazione reale diretta (nella nostra ipotesi di impiego di mezzi culturali superiori: la situazione costruita). La vittoria sarà di coloro che avranno saputo provocare il disordine senza amarlo. 7 Nel mondo della decomposizione possiamo provare, ma non usare le nostre forze. Il compito pratico di superare il nostro disaccordo con il mondo, vale a dire di superare la decomposizione mediante alcune costruzioni superiori, non è romantico. Saremmo dei romantico-rivoluzionari, nel senso di Lefebvre, proprio nella misura del nostro fallimento. 55 TEORIA DELLA DERIVA di Guy-E. Debord 1 Tra i vari procedimenti situazionisti, la deriva si presenta come una tecnica di passaggio veloce attraverso vari ambienti. Il concetto di deriva è indissolubilmente legato al riconoscere effetti di natura psicogeografica e all'affermazione di un comportamento ludico-costruttivo, ciò che da ogni punto di vista lo oppone ai classici concetti di viaggio e di passeggiata. Una o più persone che si lasciano andare alla deriva rinunciano, per una durata di tempo più o meno lunga, alle ragioni di spostarsi e di agire che sono loro generalmente abituali, concernenti le relazioni, i lavori e gli svaghi che sono loro propri, per lasciarsi andare alle sollecitazioni del terreno e degli incontri che vi corrispondono. La parte di alcatorietà è qui meno decisiva di quanto si pensa: dal punto di vista della deriva, esiste un rilievo psicogeografico delle città, con dei flussi costanti, dei punti fissi e dei vortici che rendono molto disagevoli l'accesso o la fuoriuscita da certe zone. Ma la deriva, nella sua unità, comprende nello stesso tempo questo lasciarsi andare e la sua contraddizione necessaria: il dominio delle variazioni psicogeografiche attraverso la conoscenza e il calcolo delle loro possibilità. Sotto quest'ultimo aspetto, i dati posti in risalto dall'ecologia, per quanto sia limitato a priori lo spazio sociale che questa scien1 «Théorie de la derive», da IS n. 2, dicembre 1958. 56 za si propone di studiare, non cessano di sostenere utilmente il pensiero psicogeografico. L'analisi ecologica del carattere relativo o assoluto delle fratture del tessuto urbano, del ruolo dei microclimi, delle unità elementari interamente distinte dai quartieri amministrativi e soprattutto dall'azione dominante di centri d'attrazione, deve essere utilizzata e completata con il metodo psicogeografico. Il terreno passionale oggettivo in cui si muove la deriva deve essere definito contemporaneamente sia secondo il proprio determinismo sia secondo i suoi rapporti con la morfologia sociale. Chombart de Lauwe, nel suo studio su Paris et l'agglomération parisienne (Bibliotheque de Sociologie Contemporaine, PUF Paris 1952), nota come un quartiere urbano non è definito solo dai fattori geografici ed economici, ma anche dalla rappresentazione che ne hanno i suoi abitanti e quelli degli altri quartieri e presenta nella stessa opera - per mostrare l'angustia della Parigi reale, nella quale ciascun individuo vive geograficamente un quadro il cui raggio è estremamente piccolo il tracciato di tutti i percorsi effettuati in un anno da ima studentessa del XVI arrondissement: questi percorsi disegnano un triangolo di dimensioni ridotte, senza sbocchi, i cui tre vertici sono la Scuola di scienze politiche, il domicilio della ragazza e quello del suo professore di pianoforte. Non c'è dubbio che tali schemi, esempi di una poesia moderna suscettibile di generare vivaci reazioni affettive - in questo caso l'indignazione per il fatto che sia possibile vivere in questo modo - o anche la teoria, avanzata da Burgess, a proposito di Chicago, sulla ripartizione delle attività sociali in zone concentriche definite, debbano servire al progresso della deriva. Nella deriva, il caso gioca un ruolo tanto più importante quanto più l'osservazione psicogeografica è ancora incerta. Ma l'azione del caso è naturalmente conservatrice e tende, all'interno di un nuovo quadro, a ricondurre tutto all'alter- 57 nanza di un numero limitato di varianti, e all'abitudine. Poiché il progresso non rappresenta niente altro che la rottura di imo dei campi in cui si esercita il caso, con la creazione di condizioni nuove e più favorevoli ai nostri protetti, possiamo dire che se gli imprevisti della deriva sono sostanzialmente diversi da quelli della passeggiata, tuttavia le prime attrazioni psicogeografiche scoperte rischiano di stabilizzare il soggetto, o il gruppo, alla deriva intorno a nuovi assi abituali cui tutto li riconduce costantemente. Un certo sospetto rispetto al caso, e al suo impiego ideologico sempre reazionario, condannava a un penoso fallimento la famosa deambulazione senza scopo tentata nel 1923 da quattro surrealisti a partire da una città scelta a caso: l'erranza in aperta campagna è evidentemente deprimente e gli interventi del caso avvengono qui in modo quanto mai raro. Ma l'avventatezza è spinta ben oltre in Medium (maggio 1954) da un tal Pierre Vendryes che crede di poter avvicinare quell'aneddoto - dato che tutto ciò farebbe parte di un'identica liberazione antideterministica - ad alcuni esperimenti sulla probabilità, per esempio sulla ripartizione aleatoria di alcuni girini in un sfera di cristallo, intorno a cui esprime il suo profondo pensiero precisando: bisogna, beninteso, che tale massa non subisca dall'esterno alcuna influenza direttrice. In tali condizioni, nei fatti il successo ha arriso ai girini, che hanno il vantaggio di essere sprovvisti assolutamente di intelligenza, socialità e sessualità e, conseguentemente, veramente indipendenti gli uni dagli altri. All'opposto rispetto a queste aberrazioni, il carattere fondamentalmente urbano della deriva, a contatto con quei centri di possibilità e di significati che sono le grandi città trasformate dall'industria, corrisponderebbe piuttosto alla frase di Marx: gli uomini non possono vedere nulla intorno a sé che non sia il loro proprio volto: tutto parla loro di loro stessi. Anche il loro paesaggio ha un'anima. 58 Ci si può lasciar andare alla deriva da soli, ma tutto mostra che la ripartizione numerica più produttiva consiste nella costituzione di vari piccoli gruppi di due o tre persone giunte a una stessa presa di coscienza, poiché il confronto tra le impressioni di questi differenti gruppi deve consentire di giungere a delle conclusioni oggettive. E' auspicabile che la composizione di questi gruppi cambi da una deriva all'altra. Superando il numero di quattro o cinque partecipanti, il carattere proprio della deriva sfuma rapidamente e in ogni caso non è possibile superare la decina di persone senza che la deriva si frammenti in più derive condotte simultaneamente. D'altra parte la pratica di quest'ultimo movimento è di grande interesse, ma le difficoltà che esso comporta non hanno mai consentito fino ad ora di organizzarlo con l'ampiezza che gli spetterebbe. La durata media di una deriva è di una giornata, considerata come l'intervallo compreso tra due periodi di sonno. I punti di partenza e di arrivo, nel tempo, in rapporto al giorno solare sono indifferenti, tuttavia bisogna notare che in genere le ultime ore della notte sono poco adatte alla deriva. Questa durata media della deriva ha solo un valore statistico. Anzitutto, si presenta abbastanza raramente in tutta la sua autenticità, perché, difficilmente gli interessati evitano, al principio o alla fine di questa giornata, di sottrarvi una o due ore per dedicarle ad occupazioni banali; alla fine della giornata, la stanchezza contribuisce molto a questa forma di abbandono. Ma, soprattutto, la deriva si svolge spesso in alcune ore fissate deliberatamente o anche in modo fortuito, durante momenti abbastanza brevi, o, al contrario, durante vari giorni senza interruzione. Nonostante le pause imposte dalla necessità di dormire, alcune derive, di sufficiente intensità, si sono prolungate per tre o quattro giorni e anche più. E' vero che, nel caso di un succedersi di derive per un periodo abbastanza lungo, è quasi impossibile stabilire con precisione il 59 momento in cui lo stato d'animo proprio di una deriva lascia il posto a un altro stato d'animo. Una successione di derive è stata prolungata, senza interruzioni significative, fino a circa due mesi, ciò che può portare a nuove condizioni oggettive di comportamento che inducono la scomparsa di un buon numero di quelle precedenti. L'influenza sulla deriva delle variazioni climatiche, benché reale, è determinante nel caso di piogge prolungate, che la rendono impossibile quasi del tutto. Ma i temporali o altri generi di precipitazioni le sono piuttosto propizie. Il campo spaziale della deriva è più o meno definito o vago a seconda che questa attività miri piuttosto allo studio di un terreno o a risultati affettivi spaesanti. Non bisogna sottovalutare il fatto che questi due aspetti della deriva presentano molteplici interferenze e che è impossibile isolare uno dei due allo stato puro. Ma l'uso del taxi può, per esempio, fornire una linea di demarcazione abbastanza chiara; se nel corso di una deriva si prende un taxi sia per spostarsi in una destinazione precisa, sia per spostarsi in venti minuti in direzione ovest, è perché si è interessati soprattutto al disambientamento personale. Se ci si attiene all'esplorazione diretta di un terreno, vuol dire che si privilegia la ricerca di un urbanismo psicogeografico. In tutti i casi, il campo spaziale riguarda anzitutto le basi di partenza che sono costituite, per i soggetti isolati, dal loro domicilio e, per i gruppi, dai punti di riunione prescelti. L'estensione massima di questo campo spaziale non supera l'insieme di ima grande città e delle sue periferie. La sua estensione minima può essere limitata a una piccola unità ambientale: un solo quartiere o, se ne vale la pena, anche un solo isolato (d limite estremo, la deriva statica di una giornata senza uscire dalla stazione di Saint-Lazare). L'esplorazione di un campo spaziale prefissato presuppone, dunque, l'aver stabilito delle basi e l'aver calcolato le di- 60 rezioni di penetrazione. E' qui che interviene lo studio delle mappe, siano esse normali o ecologiche o psicogeografiche, la loro rettifica e il loro miglioramento. C'è bisogno di dire che il piacere per un quartiere sconosciuto in quanto tale, mai percorso, non interviene per niente? Oltre alla sua insignificanza, questo aspetto del problema è del tutto soggettivo e non sussiste a lungo. Al contrario, la parte dell'esplorazione appare minima, in rapporto a quella del comportamento spaesante, nell'appuntamento possibile. Il soggetto viene pregato di recarsi da solo a una certa ora in un certo luogo che gli viene fissato. E' slegato dai penosi obblighi di un appuntamento normale, perché, non ha nessuno da aspettare. Tuttavia, poiché questo appuntamento possibile lo ha condotto inaspettatamente in un luogo che può conoscere o no, ne osserva i dintorm. Contemporaneamente, potrebbe esser stato dato un altro appuntamento possibile, nello stesso luogo, a qualcuno di cui egli non può prevedere l'identità. Può anche non averlo mai visto, fatto che induce ad attaccare discorso con diversi passanti. Può non trovare nessuno o anche, incontrare casualmente chi ha fissato l'appuntamento possibile. In ogni caso, e soprattutto se il luogo e l'ora sono stati ben scelti, l'uso del tempo del soggetto prenderà ima piega imprevista. Può persino chiedere per telefono un altro appuntamento possibile a qualcuno che ignori dove il primo appuntamento l'abbia portato. Sono evidenti le risorse quasi infinite di questo passatempo. Così, il modo di vivere poco coerente e addirittura certi scherzi considerati di dubbio gusto, che sono sempre in voga e ben visti nel nostro ambiente, come, ad esempio, introdursi nottetempo nei piani delle case in demolizione o percorrere Parigi in autostop durante uno sciopero dei mezzi pubblici senza fermarsi, con il pretesto di aggravare la confusione facendosi trasportare in un luogo qualsiasi, o errare nei sotterranei delle catacombe proibiti al pubblico, discenderebbe da 61 un senso più generale che altro non è che il senso della deriva. Ciò che possiamo scrivere può valere soltanto come parola d'ordine in questo grande gioco. Gli insegnamenti della deriva consentono di stabilire i primi rilevamenti delle articolazioni psicogeografiche di una città moderna. Al di là del riconoscimento di unità ambientali, delle loro componenti principali e della loro localizzazione spaziale, si percepiscono le loro direttrici principali di passaggio, le loro vie d'uscita e le loro linee di difesa. Si giunge così all'ipotesi centrale circa l'esistenza di rotonde psicogegrafiche. Si misurano le distanze che separano effettivamente due regioni di una città e che sono incommensurabili rispetto a quello che poteva far credere una lettura approssimativa di ima pianta della città. Con l'aiuto di vecchie mappe, di vedute fotografiche aeree e di derive sperimentali, si può costruire una cartografia influenziale che sino ad oggi è mancata e la cui attuale incertezza, inevitabile fino a quando non verrà portata a termine una immensa mole di lavoro, non è peggiore di quella dei primi portolani, con questa differenza: che qui non si tratta più di delimitare con esattezza dei continenti stabili, ma di cambiare l'architettura e l'urbanistica. Le diverse unità di atmosfera e di abitazione, oggi, non sono ritagliate nettamente, ma si presentano circondate da linee di confine più o meno estese. Il cambiamento più generale che la deriva porta a proporre è la diminuzione costante di queste linee di confine, sino alla loro completa abolizione. Nell'architettura stessa, il gusto della deriva induce a rendere manifesta ogni sorta di nuove forme di labirinto, favorite dalle moderne possibilità di costruzione. Così, nel marzo 1955, la stampa segnalava la costruzione a New York di un palazzo dove si potevano vedere i primi segni di una possibilità di deriva all'interno di un appartamento: gli alloggi della casa elicoidale avranno la forma di una fetta di torta. Potranno venire ingranditi o diminuiti a volontà attraverso lo spostamenti to di pareti mobili. La suddivisione in semipiani evita di limitare il numero di stanze poiché l'affittuario può chiedere di poter utilizzare la fetta seguente immediatamente sopra o sotto quella che già abita. Questo sistema permette di trasformare in sei ore tre appartamenti di quattro stanze in un appartamento di dodici stanze o più. 63 POSIZIONI SITUAZIONISTE SULLA CIRCOLAZIONE di Guy-E. Debord 1 1. L'errore di tutti gli urbanisti è di considerare l'automobile individuale (e i suoi sottoprodotti, tipo scooter) fondamentalmente come un mezzo di trasporto. E' essenzialmente la principale materializzazione di una concezione del benessere che il capitalismo sviluppato tende a diffondere nell'insieme della società. L'automobile come bene sovrano di una vita alienata., e, inseparabilmente, come prodotto essenziale del mercato capitalista, si pone al centro della stessa propaganda globale: si dice correntemente, quest'anno, che la prosperità economica americana dipenderà presto dal successo dello slogan: Due vetture per famiglia. 2 Il tempo di trasporto, come ha ben visto Le Corbusier, è un lavoro aggiuntivo che riduce di altrettanto la giornata di vita cosiddetta libera. 3 Bisogna passare dalla circolazione come supplemento del lavoro, alla circolazione come piacere. 1 «Positions situationnistes sur la circulation», da IS n. 3, dicembre 1959. 64 4 Voler rifare l'architettura in funzione dell'esistenza attuale, massiva e parassitaria, delle vetture individuali, vuol dire spostare i problemi con grave irrealismo. Bisogna rifare l'architettura in funzione di tutto il movimento della società, criticandone tutti i valori effimeri, legati a forme di rapporti sociali ormai condannati (in primo luogo: la famiglia). 5 Anche se si può ammettere provvisoriamente, per un periodo transitorio, la divisione assoluta tra zone di lavoro e zone di abitazione, bisogna prevedere almeno una terza sfera : quella della vita stessa (la sfera della libertà, del tempo disponibile - la verità della vita). Si sa che l'urbanismo unitario è senza frontiere: pretende di costituire un'unità totale dell'ambiente umano in cui le separazioni, del tipo lavorisvaghi collettivi-vita privata, saranno finalmente dissolte. Ma prima, l'azione minima dell' urbanismo unitario è il terreno di gioco esteso a tutte le costruzioni possibili. Questo terreno sarà al livello di complessità di una città antica. 6 Non si tratta di combattere l'automobile come un male. La sua estrema concentrazione nelle città porta alla negazione del suo ruolo. L'urbanismo non deve certo ignorare l'automobile, ma ancor meno accettarla come tema centrale. Esso deve scommettere sul suo indebolimento. In ogni caso, si può prevedere la proibizione del suo uso all'interno di alcuni nuovi insiemi, come certe vecchie città. 7 Quelli che credono eterna l'automobile non pensano, anche da un punto di vista strettamente tecnico, ad altri futuri mezzi di trasporto. Per esempio, alcuni modelli di elicottero 65 individuale che sono attualmente sperimentati dall'esercito degli Stati Uniti, saranno probabilmente diffusi nel pubblico prima di vent'anni. 8 La rottura della dialettica dell'ambiente umano a favore delle automobili (si progetta l'apertura di autostrade all'interno di Parigi, che comportano la distruzione di migliaia di alloggi, mentre, d'altra parte, la crisi degli alloggi si aggrava continuamente) maschera la sua irrazionalità con delle spiegazioni pseudopratiche. Ma la sua vera necessità pratica corrisponde a una condizione sociale precisa: coloro che ritengono permanenti i dati del problema vogliono credere di fatto alla permanenza della società attuale. 9 Gli urbanisti rivoluzionari non si preoccuperanno soltanto della circolazione di cose e di uomini immobilizzati dentro un mondo di cose. Cercheranno di rompere queste catene topologiche, sperimentando territori per la circolazione degli uomini attraverso la vita autentica. 66 A PROPOSITO DI ALCUNI ERRORI D'INTERPRETAZIONE di Guy-E. Debord 1 Bisogna riconoscere allo studio di Robert Estivals, su quello che egli definisce sistema situazionista (Grammes, numero 4) l'onestà di una ricerca di informazione esatta, ancora assai poco comune quando si tratta dell'IS. Fatto che ci spinge a segnalare le cause della trasformazione del suo sforzo critico in incomprensione globale. Questa esplode nell'incoerenza dei suoi giudizi, poiché egli rimprovera alla teoria situazionista la sua megalomanìa - senza che venga definita prima la grandezza in questione - e, ancor più bizzarramente, la sua «scarsa erudizione», per arrivare alla conclusione generale che «essa ha tutte le caratteristiche che possiedono le creazioni autentiche». Estivals non è certamente in difficoltà per una carenza quantitativa di conoscenze, ma per un insufficiente livello di pensiero. Questo riguarda, come Estivals, tutti gli avanguardisti che decidono di superare l'estetica borghese servendosi degli strumenti concettuali della borghesia. In effetti, l'analisi di Estivals scopre che la situazione costruita, essendo partecipe di un'interazione tra un comportamento umano e l'ambiente che esso modifica, riguarda certa1 «A propos des quelques erreurs d'interprétation», da JS n. 4, giugno 1960. 67 mente un dualismo filosofico ereditato da Auguste Comte. Estivais autonomamente decide (p. 24) che il situazionista crea liberamente la sua situazione... sospesa alla sua propria volontà e l'idea del «Ubero arbitrio» ch'egli ci attribuisce dominerebbe notoriamente tutto il nostro giudizio sull'arte moderna. E' strano che Estivals non abbia riconosciuto, nelle sue letture, come noi abbiamo in primo luogo connesso questo giudizio dell'arte moderna alla lotta di classe, al ritardo della rivoluzione. Strano anche che egli riconduca al dualismo un metodo che è divenuto abbastanza usuale dopo che Engels, esplicitando ima tesi di Marx assai celebre, scriveva: «La coincidenza del cambiamento delle circostanze e dell'attività umana non può essere considerata, e compresa razionalmente, se non in quanto pratica rivoluzionaria». Ciò nonostante, Estivals confessa i suoi handicaps ideologici notando che, poiché si fonda su una «prospettiva sintetica», la concezione situazionista... non può intravedere la realtà storica fatta di settori fondamentalmente separati (p. 26). Sono io che sottolineo questa affermazione di Estivals, e di molti altri, perché illumina adeguatamente il suo punto di vista, che è all'opposto del nostro. «Il regno della categoria della totalità è il portatore del principio rivoluzionario nella scienza», come dice Lukàcs. E ciò che manca ad Estivals, poiché sembra non mancare di erudizione, è la dialettica. Bisogna credere che Estivals sia molto legato alla metafisica perché, per lui, «la nozione di momento conduce a un'opposizione alla visione tradizionale della storia, quindi alla metafisica e alla morale che ne discendevano, che essa sostituisce con un'altra, derivata evidentemente da se stessa». Costretti, ad ogni modo, a riconoscersi in una metafisica o in un'altra, dove vanno dunque i situazionisti? Secondo Estivals, è la metafisica del «presentismo» che riscuote i nostri favori. Perché? Perché noi respingiamo in blocco le nozioni, molto curiosamente amalgamate, «di evoluzione, di progresso, di 68 eternità, che rappresentano la fede moderna dopo la fine del XVII secolo» (p. 22). Questa apparizione dell'eternità alla fine del secolo XVII richiama quasi lo humour di un titolo di J.L. Borges; Nuova confutazione del tempo. Ma Estivals non scherza. La situazione non è mai stata tuttavia presentata come un istante indivisibile, isolabile, nel senso metafisico di Hume, per esempio, ma come un momento nel movimento del tempo, momento contenente i suoi fattori di dissoluzione, la sua negazione. Se essa pone l'accento sul presente, lo fa nella stessa misura in cui il marxismo ha potuto formulare il progetto di una società nella quale «il presente domina il passato». Questa struttura del presente che conosce la sua inevitabile scomparsa, che concorre alla sua sostituzione, è più lontana da un «presentismo» di quanto non lo sia l'arte tradizionale, che tendeva a trasmettere un presente ipostatizzato estratto dalla sua realtà mobile, privato del suo contenuto di passaggio. La metafisica e l'eternità che preoccupano Estivals si accompagnano naturalmente con una risoluta sopravvalutazione della creazione idealista individuale. Nel caso della creazione «situazionista», egli è tanto gentile da attribuirmene personalmente e subito la maggior parte. Mi sembra che ciò significhi che Estivals è ancora largamente influenzato dal sistema ideologico di Isou, di cui ha fatto un'insufficiente critica «sociologica», nella falsa chiarezza del ragionamento meccanicista. Testimoniando più di ogni altro della dissoluzione della cultura contemporanea, l'arte che Isou ha proposto è la prima arte del solipsismo. Nel quadro di un'espressione artistica sempre più unilaterale e separata, e completamente illuso da questo, Isou è giunto all'eliminazione teorica del pubblico, giungendo così all'assoluto - che è la morte e l'assenza una delle tendenze fondamentali della vecchia attività artistica. Così annunciava nella sua seconda Memoria sulle forze fu- 69 ture delle arti plastiche e sulla sua morte (apparso sulla rivista Ur, 1951): «Si creeranno ogni giorno delle forme nuove; non ci si darà più la pena di provarle, di verificare la loro resistenza con delle opere valide...» «Ecco dei tesori possibili», si dirà. «Ecco delle opportunità per delle opere secolari». Ma nessuno si chinerà a raccogliere una pietra. Si andrà più lontano al fine di scoprire altre «sorgenti secolari» che si abbandoneranno a loro volta, nelle stesso stato di virtualità non sfruttata. Il mondo traboccherà di ricchezze estetiche di cui non si saprà cosa fare». L'involontaria ammissione da parte di Isou, della scomparsa delle arti, è un riflesso della scomparsa reale delle arti. Ma Isou, che si scopre collocato, per caso o grazie a un tratto del suo genio, a un punto zero della cultura, si affretta ad arredare questo vuoto con una cultura simmetrica che fatalmente si riaprirà, dopo che era stata ridotta a niente, con degli elementi simili a quelli vecchi. E, approfittando dell'insperata fortuna per diventare il solo creatore definitivo di questa neocultura, Isou si appropria di concessioni sempre più grandi su terreni artistici che non occuperà. Isou, prodotto di un'epoca d'arte inconsumabile, ha soppresso l'idea stessa del suo consumo. Non ha più bisogno del pubblico. Ha bisogno solo di credere ancora alla presenza di un giudice nascosto quasi nulla, la sua variante personale del «Dio spettatore» giudice di un piccolo tribunale esterno al tempo, la cui sola funzione resta quella di omologare i titoli di proprietà di Isou, eternamente. Il «sistema di creazione» di Isou è un sistema di perorazioni, ima composizione del suo dossier il più estesa possibile, per difendere su ogni punto il suo potere ideale contro la cattiva fede e i cavilli di un eventuale concorrente alla creazione che cercasse di farsene riconoscere, con l'imbroglio, una particella. Niente limita la sovranità di Isou, salvo il fatto 70 che né il tribunale né il codice di procedura esistono al di fuori del suo sogno. Tuttavia, questo sistema non è stato applicato in modo assolutamente puro, perché il proposito di costituire nel secolo un movimento d'avanguardia ha portato Isou a realizzare, quasi accidentalmente, molte reali esperienze della decomposizione artistica contemporanea (libri «metagrafici», cinema). Io credo che Estivals, confutando Isou in nome dell'obiettività più evidente, non ha distinto abbastanza chiaramente tra il settore dell'attività pratica del lettrismo, almeno tra il 1946 e il 1952, e il settore dell'alienazione idealista, e i rapporti e le contraddizioni tra di loro. Di modo che, quando affronta le posizioni situazioniste - non senza avanzare molte considerazioni parziali e anche delle ipotesi che, nel dettaglio, sono giuste - è ancora, nell'insieme, vittima della sua concezione mistificata della creazione d'avanguardia fondamentalmente idealista, che in caso accetta come tale (e di cui critica solo l'esagerazione, la propensione al delirio). Poiché deve ricondurre tutto a un individuo, che esorterà in seguito a rimanere modesto, Estivals crea all'occorrenza il suo creatore: «Isou non faceva del romanzo tridimensionale che un rovesciamento parziale di un ramo della creazione artistica. Debord trova nella situazione, composta da tutte le attività umane, i mezzi per rovesciarle tutte insieme». Io me ne vedo ancora abbastanza lontano, tuttavia. E non penso di farlo da solo. Vale ancora la pena di ripeterlo? Non esiste «situazionismo». Io stesso non sono situazionista che per il fatto della mia partecipazione, sul momento e in certe condizioni, a una comunità praticamente in vista di un compito, che saprà o non saprà adempiere. Accettare la nozione di dirigente, anche in una direzione collegiale, in un progetto come il nostro, significherebbe già la nostra rinuncia ad esso. L'IS è evidentemente composta da individui molto diversi e anche da di- 71 verse tendenze individuabili i cui rapporti di forza sono già cambiati alcune volte. La sua attività complessiva è indiscutibilmente presituazionista. Noi non difendiamo in alcun modo delle «creazioni» che apparterrebbero ad alcuni, e ancor meno a imo solo di noi: al contrario, troviamo molto positivo che i compagni che si aggiungono a noi abbiano già sviluppato da soli una problematica sperimentale che confermi la nostra. Il più sicuro sintomo del delirio idealista è, d'altronde, i la stagnazione degli stessi individui, che si sostengono o litigano per anni intorno agli stessi valori arbitrari, perché sono i soli a riconoscerli come regole di un povero gioco. I situazionisti li lasciano ai loro allevamenti di polvere. Estivals ha sopravvalutato il loro interesse, fino a trarne dei criteri di giudizio inapplicabili altrove, forse perché l'ottica troppo strettamente parigina del suo lavoro sul periodo delle avanguardie recenti ingrandisce troppo questi dettagli. Una simile conoscenza degli aneddoti deve almeno fargli sapere che non ho mai considerato come un motivo per occuparmi delle persone i rapporti di subordinazione che esse erano capaci di intrattenere con me. Ma ho altri gusti. 72 PROGRAMMA ELEMENTARE DELL'UFFICIO DI URBANISMO UNITARIO di A. Kotànyi, R. Vaneigem 1. Il nulla dell'urbanistica e il nulla dello spettacolo L'urbanistica non esiste: non è niente altro che un'ideologia, nel senso di Marx. L'architettura esiste realmente, come la coca-cola: è una produzione ammantata di ideologia, ma reale, che soddisfa falsamente un falso bisogno. Invece l'urbanistica è paragonabile all'apparato pubblicitario della coca-cola, pura ideologia spettacolare. Il capitalismo moderno, che organizza la riduzione di tutta la vita sociale a spettacolo, è incapace di offrire un altro spettacolo che non sia quello della nostra alienazione. Il suo sogno di urbanistica costituisce il suo capolavoro. 2. La pianificazione urbana come condizionamento e falsa partecipazione Lo sviluppo dell'ambiente urbano è l'educazione capitalista dello spazio. Rappresenta la scelta di un certo materializzarsi del possibile ad esclusione di altri. Come l'estetica, di cui sta seguendo il movimento di decomposizione, può essere considerata come un ramo abbastanza trascurato della criminologia. Tuttavia, ciò che la caratterizza sul piano dell'wr1 «Programme élémentaire du bureau d'urbanisme unitaire», da IS n. 6, agosto 1961. 73 banistica rispetto al suo piano semplicemente architettonico, è che esige un consenso dalla popolazione, un'integrazione individuale nel far scattare questa produzione burocratica del condizionamento. Tutto ci è imposto attraverso il ricatto dell'utilità. Viene nascosto il fatto che il valore completo di questa utilità è posto al servizio della reificazione. Il capitalismo moderno porta a rinunciare ad ogni critica con la semplice argomentazione che un tetto è necessario, così come la televisione può passare con il pretesto che ci vuole informazione, divertimento. Inducendo a trascurare l'evidenza e cioè che questa informazione, questo divertimento, questo modo di vita non sono fatti per le persone, ma senza di loro, contro di loro. Tutta la pianificazione urbana si capisce solo come campo di pubblicità-propaganda di una società, vale a dire l'organizzazione della partecipazione a qualcosa cui non è possibile partecipare. 3. La circolazione, stadio supremo della pianificazione urbana La circolazione è l'organizzazione dell'isolamento di tutti. In ciò essa costituisce il problema principale delle città moderne. E' il contrario dell'incontro, l'espropriazione delle energie disponibili per gli incontri, o per qualunque tipo di partecipazione. La partecipazione, divenuta impossibile, viene risarcita come spettacolo. Lo spettacolo si manifesta nell'habitat e nello spostamento (in quanto status sociale espresso nell'abitazione e nei veicoli personali). Infatti, non si abita il quartiere di una città, ma il potere. Si abita in qualche grado della gerarchia. Al vertice di questa gerarchia, i ranghi possono essere commisurati al grado di circolazione. Il potere si materializza con l'obbligo di essere presenti quotidianamente in luoghi sempre più numerosi (pranzi di affari) e sempre più distanti gli uni dagli altri. Si potrebbe confi- 74 gurare l'alto dirigente moderno come un uomo a cui capita di trovarsi in tre capitali diverse nel corso di una sola giornata. 4. Il distanziamento di fronte allo spettacolo urbano La totalità dello spettacolo, che tende a integrare la popolazione, si manifesta altrettanto bene come sistemazione delle città e come rete permanente di informazioni. E' un quadro stabile per proteggere le condizioni esistenti di vita. Il nostro primo lavoro è quello di consentire alla gente di smettere di indentifìcarsi con l'ambiente circostante e con le condotte modello. Ciò che è inseparabile da una possibilità di riconoscersi Uberamente in alcune prime zone destinate aU'attività umana. Le persone saranno obbUgate ancora per molto tempo ad accettare il periodo di reificazione delle città. Ma l'atteggiamento con cui l'accetteranno può essere immediatamente cambiato. Bisogna appoggiare la propagazione del sospetto verso questi giardini di infanzia areati e colorati che costituiscono, all'Est come all'Ovest, le nuove città dormitorio. Soltanto ima presa di coscienza può porre il problema di una costruzione cosciente deU'ambiente urbano. 5. Una libertà indivisibile Il principale successo deU' attuale pianificazione deUe città è di far dimenticare la possibiUtà di ciò che noi chiamiamo urbanismo unitario, vale a dire la critica vivente, alimentata dalle tensioni di tutta la vita quotidiana, di questa manipolazione delle città e dei loro abitanti. Critica vivente vuol dire stabilire delle basi per una vita sperimentale: aggregazione di persone che creano la loro propria vita su luoghi attrezzati a loro misura. Queste basi non potranno essere riservate a pia- 75 ceri separati dalla società. Non c'è alcuna area spazio-temporale completamente separabile. Di fatto, c'è sempre una pressione della società globale sulle sue attuali riserve di vacanze. La pressione si eserciterà in senso opposto nelle basi situazioniste, che funzioneranno da teste di ponte per un'invasione di tutta la vita quotidiana. L'urbanismo unitario è il contrario di un'attività specializzata, e riconoscere un'area urbanistica separata è già riconoscere tutta la menzogna urbanistica e la menzogna in tutta la vita. L'urbanistica promette la felicità. Sarà dunque giudicata in base a questa promessa. Il coordinamento dei mezzi artistici e dei mezzi scientifici di denuncia deve portare alla denuncia completa del condizionamento esistente. 6. Lo sbarco Tutto lo spazio è già occupato dal nemico che ha strumentalizzato a suo uso persino le regole elementari di questo spazio (oltre la giurisdizione: la geometria). Il momento di apparizione dell'urbanismo autentico consistererà nel creare, in certe aree, il vuoto da questa occupazione. Ciò che noi chiamiamo costruzione comincia lì. Lo si può capire con l'aiuto del concetto di buco positivo, utilizzato dalla fisica moderna. Materializzare la libertà è anzitutto sottrarre a un pianeta asservito alcune particelle della sua superficie. 7. Nello spazio del détournement [spiazzamento] L'uso elementare della teoria dell'urbanismo unitario sarà la trascrizione di tutte le falsificazioni teoriche dell'urbanistica, détoumée [spiazzata, stravolta] in una prospettiva di disalienazione: bisogna difenderci in ogni attimo dal dominio degli artefici del condizionamento, ribaltare i loro ritmi. 76 8. Le condizioni del dialogo E' funzionale ciò che è pratico. E pratica è solo la risoluzione del nostro fondamentale problema: la realizzazione di noi stessi (la nostra separazione dal regime dell'isolamento). Questo è l'utile e l'utilitario. Niente altro. Tutto il resto non rappresenta che ima minima derivazione dalla pratica, la sua mistificazione. 9. Materia prima e trasformazione La distruzione situazionista dell'attuale condizionamento è già, nello stesso tempo, la costruzione delle situazioni. Si tratta della liberazione delle inesauribili energie presenti nella vita quotidiana pietrificata. L'attuale pianificazione delle città, leggibile come una geologia della menzogna, lascerà il posto, con l'urbanismo unitario, a una tecnica di difesa delle sempre più vessate condizioni della libertà, nel momento in cui i soggetti, che in quanto tali, non esistono ancora, costruiranno la propria storia Uberamente. 10. Fine della preistoria del condizionamento Noi non sosteniamo che bisogna ritornare a un qualunque stadio precedente il condizionamento, ma che bisogna andare oltre. Abbiamo inventato l'architettura e l'urbanistica le quaU non possono realizzarsi senza la rivoluzione deUa vita quotidiana, vale a dire mediante l'appropriazione del condizionamento da parte di tutti gU uomini, il suo inimitato arricchimento, il suo compimento. 77 PROSPETTIVE DI MODIFICAZIONI COSCIENTI DELLA VITA QUOTIDIANA di Guy-E. Debord 1 Studiare la vita quotidiana sarebbe un'impresa assolutamente ridicola, e condannata anzitutto a non comprendere nulla del suo oggetto, qualora non si proponesse espressamente di studiare questa vita quotidiana allo scopo di trasformarla. La conferenza, l'esposizione di alcune considerazioni intellettuali davanti a un pubblico, in quanto forma estremamente banale dei rapporti umani in un settore abbastanza ampio della società, rientra essa stessa nella critica della vita quotidiana. I sociologi, per esempio, evidenziano fin troppo la tendenza a lasciarfixoridalla vita quotidiana, a rimandare in sfere separate - dette superiori - ciò che loro accade in ogni istante. E' l'abitudine in tutte le sue forme - a cominciare da quella di manipolare alcuni concetti professionali, quindi prodotti dalla divisione del lavoro - ciò che nasconde la realtà dietro convenzioni privilegiate. E' augurabile allora mostrare, con uno spiazzamento delle formule tradizionali, che la vita quotidiana è proprio qui. Certo, una diffusione di queste parole attraverso un magne1 «Perspectives de modifications conscientes de la vie quotidienne», da IS n. 6, agosto 1961. 78 tofono non intende mostrare l'integrazione delle tecniche in questa vita quotidiana marginale al mondo tecnico, ma vuol cogliere la più semplice delle occasioni per rompere con le apparenze della pseudocollaborazione, del dialogo fittizio, che vengono istituite tra il conferenziere presente di persona e i suoi spettatori. Questa piccola rottura di un comfort può servire a coinvolgere di fatto nel campo della messa in discussione della vita quotidiana (messa in discussione altrimenti del tutto astratta) la conferenza stessa come tante altre disposizioni dell'impiego del tempo, o degli oggetti, disposizioni ritenute normali, che neppure si vedono, e che comunque ci condizionano. Rispetto a tale prospettiva, come rispetto all'insieme stesso della vita quotidiana, la modificazione è sempre la condizione necessaria e sufficiente per far apparire sperimentalmente l'oggetto del nostro studio, che altrimenti resterebbe problematico; oggetto che necessita piuttosto modificare che studiare. Ho appena detto che la realtà di un insieme osservabile che venga designato col termine vita quotidiana per molti rischia di restare ipotetico. Di fatto, da quando si è costituito questo gruppo di ricerca, l'aspetto che più colpisce non è evidentemente il fatto che non si sia ancora trovato nulla, ma che fin dal primo momento si sia manifestata una contestazione dell'esistenza stessa della vita quotidiana; e che non abbia cessato di rafforzarsi di seduta in seduta. La maggior parte degli interventi ascoltati fino ad ora proviene da persone che non sono affatto convinte che la vita quotidiana esista, perché non l'hanno incontrata in nessun luogo. Un gruppo di ricerca sulla vita quotidiana, animato da questo spirito, si può paragonare, in tutto e per tutto, a un gruppo partito alla ricerca dello Yeti, e la cui indagine potrebbe benissimo giungere alla conclusione che si trattava di uno scherzo folcloristico. 79 Tutti ammettono, comunque, che certi gesti ripetuti ogni giorno, come aprire porte o riempire bicchieri, sono del tutto reali; ma questi gesti si trovano a un livello così banale della realtà che viene contestato, a ragione, che possano essere abbastanza interessanti da giustificare una nuova specializzazione della ricerca sociologica. E un certo numero di sociologi sembra poco incline a immaginare altri aspetti della vita quotidiana, partendo dalla definizione proposta da Henri ' Lefebvre, ossia ciò che resta quando si estraggono dal vissuto tutte le attività specializzate. Qui si scopre che la maggior parte dei sociologi - e sappiamo quanto si trovino a loro agio nelle attività specialistiche, appunto, e quale fede cieca tributino loro abitualmente! - che la maggior parte dei sociologi dunque, individua attività specialistiche dappertutto, e la vita quotidiana da nessuna parte. La vita quotidiana è sempre altrove. Negli altri. In ogni caso nelle classi non-sociologicamente significative della popolazione. Qualcuno qui ha detto che si devono studiare gli operai. Probabilmente come cavie inoculate con questo virus della vita quotidiana, perché gli operai, non avendo accesso alle attività specializzate, hanno solo la vita quotidiana da vivere. Questo modo di chinarsi sul popolo, alla ricerca di un remoto primitivismo del quotidiano, e soprattutto questa gioia confessata senza remore, questo ingenuo orgoglio di essere partecipi di una cultura di cui nessuno si sogna di nascondere l'evidente fallimento, la radicale incapacità di comprendere il mondo che la produce, tutto ciò non cessa di sorprendere. Vi è in questi fatti un'evidente volontà di nascondersi dietro a una formazione del pensiero basato sulla separazione tra campi parcellari artificiali, per respingere il concetto inutile, volgare e imbarazzante di vita quotidiana. Questo concetto si riferisce alla parte residuale di una realtà catalogata e classificata, residuo con cui a qualcuno ripugna di venire rapportato, perché rappresenta, contemporaneamente, il 80 punto di vista della totalità; e come tale comporterebbe la necessita di un giudizio globale, di una politica. Sembrerebbe, in tal modo, che alcuni intellettuali possano vantare un'illusoria partecipazione personale al settore dominante della società, attraverso il possesso di una o più specializzazioni culturali: ciò che li pone tuttavia in un luogo privilegiato per rendersi conto che l'insieme di questa cultura dominante è notoriamente roso dalle tarme. Ma quale che sia il giudizio espresso sulla coerenza di questa cultura, o sul suo interesse nei particolari, l'alienazione che essa ha imposto a questi intellettuali consiste nel far loro ritenere, dal loro olimpo di sociologi, di essere estranei a questa vita quotidiana della gente qualunque, o di essere posti troppo in alto nella scala dei poteri umani, come se anche loro non fossero piuttosto dei poveri. Certamente le attività specializzate hanno un'esistenza; hanno anche, in ogni epoca, un utilizzo generale che è sempre bene saper riconoscere in modo demistificato. La vita quotidiana non è tutto, benché essa sia in osmosi con le attività specializzate al punto che, in un certo modo, non si è mai fuori dalla vita quotidiana. Ma volendo far ricorso a un'immagine facile di rappresentazione spaziale delle attività, dobbiamo comunque porre la vita quotidiana al centro di tutto. Qualunque progetto parte da lì e qualunque realizzazione vi ritorna per assumervi il suo autentico significato. La vita quotidiana è la misura di tutto: del compimento o del non compimento delle relazioni umane, dell'organizzazione del tempo vissuto, delle ricerche dell'arte, della politica rivoluzionaria. Non è sufficiente ricordare che quel tipo di vecchia agiografia scientifica dell'osservatore disinteressato è in ogni caso illusoria. Occorre sottolineare il fatto che l'osservazione disinteressata è ancora meno possibile in questo campo che in qualunque altro. Il riconoscimento stesso di un ambito 81 della vita quotidiana è difficile, non solo perché sarebbe già l'ambito in cui si incontrano una sociologia empirica e un'elaborazione concettuale, ma anche perché si trova ad essere oggi la posta in palio di qualunque rinnovamento rivoluzionario della cultura e della politica. La vita quotidiana non criticata significa oggi il perdurare delle forme attuali, profondamente degradate della cultura e della politica, forme la cui crisi estremamente avanzata, soprattutto nei paesi più moderni, si traduce in una spoliticizzazione e in un neoanalfabetismo generalizzati. Invece la critica radicale, e fattiva, della vita quotidiana data, può condurre a un superamento della cultura e della politica intese in senso tradizionale, cioè a un livello superiore di intervento sulla vita. Ma qualcuno potrà dire: questa vita quotidiana, che secondo me è l'unica reale, come può succedere che la sua importanza sia completamente e immediatamente deprezzata da persone che, tutto sommato, non hanno alcun interesse diretto a farlo, e molte delle quali sicuramente sono anche lungi dall'essere nemiche di un qualsiasi rinnovamento del movimento rivoluzionario? { Io penso sia perché la vita quotidiana è organizzata nei li( miti di una povertà scandalosa, ma soprattutto perché questa povertà della vita quotidiana non ha nulla di accidentale: ima i povertà che le viene imposta in ogni istante dalla costrizione e dalla violenza di una società divisa in classi, una povertà organizzata storicamente secondo le necessità della storia dello sfruttamento. L'uso della vita quotidiana, nel senso di un i consumo del tempo vissuto, viene imposto dal regno della raj rità: rarità del tempo Ubero e rarità dei possibiU impieghi di ! questo tempo Ubero. Come la storia accelerata deUa nostra epoca è la storia deU'accumulazione, deUa industrializzazione, U ritardo deUa vita quotidiana, la sua tendenza aU'immobiUsmo sono prodotti deUe leggi e degU interessi che hanno portato a questa 82 industrializzazione. La vita quotidiana presenta effettivamente, fino ad ora, ima resistenza alla storia. Questo è già un giudizio sulla storia, in quanto eredità e progetto di una società di sfruttamento. L'estrema povertà dell'organizzazione cosciente, della creatività delle persone nella vita quotidiana, traduce la fondamentale necessità dell'incoscienza e della mistificazione in una società di sfruttamento, in una società dell'alienazione. Henri Lefebvre ha applicato qui un'estensione dell'idea di sviluppo ineguale al fine di caratterizzare la vita quotidiana, in quanto sfasata, ma non tagliata fuori dalla storicità, come un settore arretrato. Credo si possa arrivare a definire questo livello della vita quotidiana come settore colonizzato. Abbiamo visto, a livello dell'economia mondiale, come sottosviluppo e colonizzazione siano fattori che interagiscono. Tutto porta a credere che così avvenga anche a livello della formazione economico-sociale e della prassi. La vita quotidiana, mistificata con ogni mezzo e controllata in modo poliziesco, è una sorta di riserva per i buoni selvaggi che mandano avanti, senza capirla, la società moderna attraverso il rapido aumento dei suoi domìni tecnici e l'espansione forzata del suo mercato. La storia cioè è la trasformazione del reale - non utilizzabile attualmente nella vita quotidiana perché l'uomo della vita quotidiana è il prodotto di una storia sulla quale non ha alcun potere. Certo, è lui a fare questa storia, ma non Uberamente. La società moderna si comprende per frammenti specialistici, pressoché intrasmissibili, e la vita quotidiana, in cui tutti i problemi rischiano di venir posti in modo unitario, è per questo, naturalmente, il regno dell'ignoranza. Attraverso la sua produzione industriale, questa società ha svuotato di significato i gesti del lavoro. E nessun modello di comportamento umano ha mantenuto una vera e propria attualità nel quotidiano. 83 Questa società tende ad atomizzare le persone in consumatori isolati, a vietare la comunicazione. La vita quotidiana diventa così vita privata, terreno della separazione e dello spettacolo. ^ Così la vita quotidiana è anche la sfera della dimissione degli specialisti. E' così, per esempio, che uno dei rari individui in grado di comprendere la più recente immagine scientifica dell'universo diventa stupido, e valuta attentamente le teorie artistiche di Alain Robbe-Grillet, oppure manda petizioni al Presidente della Repubblica nell'intento di modificare la sua politica. E' la sfera del cedimento, dell'ammissione dell'incapacità di vivere. Non si può quindi caratterizzare il sottosviluppo della vita quotidiana solamente per la sua relativa incapacità di integrare delle tecniche. Tale aspetto è un prodotto importante, ma ancora parziale, dell'insieme dell'alienazione quotidiana, che si potrebbe definire come incapacità di inventare una tecnica di liberazione del quotidiano. E di fatto molte tecniche modificano in modo più o meno marcato alcuni aspetti della vita quotidiana: le arti domestiche, come è stato detto qui, ma anche il telefono, la registrazione della musica su dischi microsolco, i viaggi aerei alla portata di tutti, eccetera. Questi elementi intervengono in modo anarchico, casuale, senza che nessuno ne abbia calcolato le connessioni e le conseguenze. Ma è certo che, nel suo complesso, questo movimento di introduzione delle tecniche nella vita quotidiana, inquadrato alla fine dalla razionalità del capitalismo moderno burocratizzato, va certamente nella direzione di una riduzione dell'indipendenza e della creatività delle persone. Così le nuove città di oggi interpretano chiaramente la tendenza totalitaria dell'organizzazione della vita da parte del capitalismo moderno: gli individui isolati (generalmente isolati nell'ambito della cellula famigliare) vedono la loro vita ridotta al puro squallore del ripetitivo, com- 84 binata alla fruizione obbligatoria di uno spettacolo ugualmente ripetitivo. E' necessario dunque ritenere che la censura delle persone sul problema della propria vita quotidiana si spieghi con la coscienza della sua insostenibile miseria. Oltre che con la sensazione, forse inconfessata, ma inevitabilmente sentita prima o poi, che tutte le vere possibilità, tutti i desideri repressi dal funzionamento della vita sociale risiedono lì, e niente affatto nelle attività o nelle distrazioni specializzate. Che la coscienza della ricchezza profonda, dell'energia lasciata nella vita quotidiana, è cioè inseparabile dalla conoscenza della miseria dell'organizzazione dominante di questa vita: solo l'esistenza percettibile di questa ricchezza non sfruttata porta a definire per contrasto la vita quotidiana come miseria e come prigione; poi, nello stesso processo, a negare il problema. In queste condizioni, mascherare la questione politica posta dalla miseria della vita quotidiana significa nascondere la profondità delle rivendicazioni relative alla ricchezza possibile di questa vita; rivendicazioni che non possono portare altro che ad una reinvenzione della rivoluzione. Si deve ammettere che una fuga dalla politica a questo livello non è affatto contraddittoria con il fatto di militare nel Partito sociaUsta unificato, per esempio, o di leggere con fiduciaL'Humanité. Effettivamente tutto dipende dal Uvello in cui si osa porre questo problema: come si vive? Quanto se ne è soddisfatti? 0 insoddisfatti. Questo senza lasciarsi intimidire un solo attimo daUe varie pubbUcità tutte miranti a persuaderci che si può essere feUci grazie aU'esistenza di Dio, o del Cnrs . Mi pare che l'espressione critica della vita quotidiana po1 1 Centre nationale de la recherche scientifique scientifique: è il Cnr francese [n.d.r.]. 85 trebbe e dovrebbe intendersi, anche con questo rovesciamento: critica che la vita quotidiana eserciterebbe, sovranamente, su tutto ciò che le è veramente esterno. Il problema dell'uso dei mezzi tecnici, nella vita quotidiana e altrove, non è altro che un problema politico (e fra tutti i mezzi tecnici reperibili quelli posti in essere sono in realtà selezionati in relazione agli scopi del mantenimento del dominio di una classe). Quando si considera l'ipotesi di un avvenire, come viene ammesso dalla letteratura di fantascienza, in cui le avventure interstellari coesisterebbero con ima vita quotidiana mantenuta su questa terra nella stessa indigenza materiale e lo stesso moralismo arcaico, questo significa di fatto che vi sarebbe ancora una classe di dirigenti specializzati che manterrebbe al suo servizio le masse proletarie delle fabbriche e degli uffici, e che le avventure interstellari sarebbero unicamente un'impresa decisa da questi dirigenti, il modo di sviluppare la loro economia irrazionale, il successo di attività specializzata. Ci si è chiesti: La vita privata, è privata di che? Semplicemente della vita, che ne è crudelmente assente. La gente è privata per quanto è possibile di comunicazione e di realizzazione di sé. Si dovrebbe dire: di fare la propria storia, in prima persona. Le ipotesi per rispondere positivamente a questa domanda sulla natura della privazione si potranno quindi enunciare solo sotto forma di progetti di arricchimento, progetti di un altro stile di vita, di fatto di uno stile... Oppure, se si considera che la vita quotidiana è al confine tra il settore dominato e il settore non dominato della vita, quindi il luogo dell'aleatorio, si dovrebbe arrivare a sostituire all'attuale ghetto un confine sempre in movimento: lavorare in permanenza all'organizzazione di nuove possibilità. Il problema dell'intensità del vissuto viene posto oggi, per esempio, con l'uso degli stupefacenti, nei termini in cui la società dell'alienazione è in grado di porre qualsiasi problema: 86 voglio dire in termini di falso riconoscimento di un progetto falsificato, in termini di fissazione e di legame. E' il caso di sottolineare anche a che punto l'immagine dell'amore elaborata e diffusa in questa società si apparenti a quella della droga. La passione vi è dapprima riconosciuta come rifiuto di tutte le altre passioni: poi viene impedita. E infine si ritrova soltanto nelle compensazioni dello spettacolo regnante. La Rochefoucauld ha scritto: Ciò che ci impedisce spesso di abbandonarci a un solo vìzio è il fatto eh ne abbiamo più di uno. Ecco una constatazione molto positiva se respingendone i presupposti moralistici, la si rimette in piedi come base di un programma di realizzazione delle capacità umane. Tutti questi problemi sono all'ordine del giorno perché il nostro tempo è visibilmente dominato dalla comparsa del progetto, portato dalla classe operaia, di abolizione di qualsiasi società di classe e di inizio della storia umana; è dominato dunque, come corollario, dalla resistenza accanita a questo progetto, dagli sviamenti e dalle sconfitte registrati finora. L'attuale crisi delta vita quotidiana rientra nelle nuove forme della crisi del capitalismo, forme che non vengono colte da coloro che si ostinano a profetizzare la scadenza classica delle prossime crisi cicliche dell'economia. La perdita di tutti i vecchi valori, di tutti i punti di riferimento della comunicazione del passato, nel capitalismo sviluppato: e l'impossibilità di sostituirli con qualsiasi altro riferimento, senza aver prima dominato razionalmente, nella vita quotidiana e ovunque, quelle nuove forze industriali che ci sfuggono sempre più; questi fatti producono non solo l'insoddisfazione quasi ufficiale della nostra epoca, particolarmente acuta fra i giovani, ma anche il movimento di autonegazione dell'arte. L'attività artistica era stata sempre la sola a rendere conto dei problemi clandestini della vita quotidiana, benché in modo velato, deformato, parzialmente illusorio. 87 Esiste, sotto i nostri occhi, la testimonianza di una distruzione di tutta l'espressione artistica: è l'arte moderna. Se si considera in tutta la sua ampiezza la crisi della società contemporanea, non credo sia possibile guardare ancora agli svaghi come a una negazione del quotidiano. Abbiamo ammesso qui che dovevamo studiare il tempo perduto. Ma vediamo il recente movimento di questa idea del tempo perduto. Per il capitalismo classico, il tempo perduto è ciò che è estraneo alla produzione, all'accumulazione, al risparmio. La morale laica, insegnata nelle scuole della borghesia, ha istituito questa regola di vita. Il fatto è che il capitalismo moderno, con un'astuzia inaspettata, ha bisogno di aumentare i consumi, di innalzare il livello di vita (ricordiamo che questa espressione è rigorosamente priva di senso). Poiché contemporaneamente le condizioni della produzione parcellizzata e cronometrata sin nei particolari sono diventate perfettamente indifendibili, la morale, già in atto nella pubblicità, nella propaganda, e in tutte le forme dello spettacolo dominante, ammette invece apertamente che il tempo perduto è quello | del lavoro, giustificato solo dai vari livelli del guadagno, che permette di comprare il riposo, i consumi, gli svaghi - cioè una passività quotidiana fabbricata e controllata dal capitalii smo. Ora, se consideriamo l'artificiosità dei bisogni del consumo, creata dal nulla, continuamente stimolata dall'industria moderna - se si riconoscere il vuoto degli svaghi e l'impossibilita del riposo - si può porre la domanda in modo più realistico: che cosa non sarebbe tempo perduto? In altre parole: lo sviluppo di una società dell'abbondanza dovrebbe portare all'abbondanza di che? Questo può evidentemente servire per molti aspetti come pietra di paragone. Quando per esempio, in imo dei giornali su cui si mette in mostra l'inconsistenza del pensiero di que- 88 ste persone chiamate intellettuali di sinistra - intendo FranceObservateur - si può leggere un titolo che annuncia qualcosa come «L'utilitaria all'assalto del socialismo» - per un articolo che spiega che i russi, di questi tempi, perseguirebbero individualmente un consumo privato di beni in stile americano, a cominciare naturalmente dalle auto, non ci si può impedire di pensare che non sarebbe comunque indispensabile aver assimilato, dopo Hegel, tutta l'opera di Marx, per accorgersi quanto meno che un socialismo che arretra di fronte all'invasione del mercato, da parte delle utilitarie, non è in alcun modo il socialismo per il quale il movimento operaio ha lottato. Così non è ad alcun livello della loro tattica, o del loro dogmatismo, che bisogna opporsi ai dirigenti burocratici della Russia, ma alla base, sul fatto che la vita della gente non ha realmente cambiato di senso. E questa non è l'oscura fatalità della vita quotidiana, destinata a restare reazionaria. E' una fatalità imposta da ciò che è esterno alla vita quotidiana dalla sfera reazionaria dei dirigenti specializzati, qualunque sia l'etichetta sotto cui pianificano la miseria in tutti i suoi aspetti. Allora, la spoliticizzazione attuale di molti vecchi militanti della sinistra, il distacco da una certa alienazione per lanciarsi in un'altra, quella della vita privata, non ha tanto il senso di un ritorno al privato, come rifugio contro le responsabilità della storicità, ma piuttosto di un allontanamento dal settore politico specializzato, e quindi sempre manipolato da altri, in cui l'unica vera responsabilità è stata quella di lasciare tutte le responsabilità a capi incontrollati, in cui il progetto comunista è stato ingannato e deluso. Come non si può opporre in blocco la vita privata a una vita pubblica, senza chiedere: che vita privata? che vita pubblica? (perché la vita privata contiene i fattori della sua negazione e del suo superamento allo stesso modo con cui l'azione collettiva rivoluzionaria ha potuto nutrire i fattori della 89 sua degenerazione), così sarebbe un errore fare il bilancio di un'alienazione degli individui nella politica rivoluzionaria mentre il problema riguarda l'alienazione della politica rivoluzionaria stessa. E' giusto dialettizzare il problema dell'alienazione, porre in evidenza le possibilità di alienazione sempre rinascenti nella stessa lotta condotta contro l'alienazione, ma sottolineiamo allora che tutto questo deve essere applicato al livello più alto della ricerca (per esempio alla filosofia dell'alienazione nel suo insieme), e non a livello dello stalinismo, la cui spiegazione è sfortunatamente più grossolana. La civiltà capitalista non è ancora superata in nessun luogo, ma ovunque continua essa stessa a produrre i suoi nemici. La prossima ondata del movimento rivoluzionario, radicalizzato dagli insegnamenti delle precedenti sconfitte, e il cui programma rivendicativo dovrà arricchirsi proporzionalmente ai poteri pratici della società moderna, poteri che costituiscono virtualmente fin da ora la base materiale che mancava alle correnti cosiddette utopiche del socialismo: questo prossimo tentativo di contestazione totale del capitalismo saprà inventare e proporre un altro impiego della vita quotidiana e poggerà su nuove pratiche quotidiane, su nuovi tipi di rapporti umani (non ignorando più che qualsiasi conservazione, all'interno del movimento rivoluzionario, dei rapporti dominanti nella società esistente porta insensibilmente a ricostruire, con varianti diverse, questa stessa società). Come la borghesia ha dovuto un tempo, nella sua fase ascendente realizzare una feroce liquidazione di tutto ciò che esulava dalla vita terrena (il cielo, l'eternità); così il proletariato rivoluzionario - che non può mai, senza cessare di esistere come tale, riconoscere un passato o dei modelli - dovrà rinunciare a tutto ciò che esula dalla vita quotidiana; o piuttosto a ciò che pretende di superarla: lo spettacolo, il gesto o la parola storici, la grandeur dei dirigenti, il mistero delle specializzazioni, l'immortalità dell'arte e la sua importanza esterna alla 90 vita. Come dire: rinunciare a tutti i sottoprodotti dell'eternità sopravvissuti come armi del mondo dei dirigenti. La rivoluzione nella vita quotidiana, spezzando la sua attuale resistenza al dato storico (e ad ogni sorta di cambiamento) creerà condizioni tali per cui il presente domini sul passato, e che la parte della creatività vinca sempre sulla parte ripetitiva. Dobbiamo perciò prevedere che il lato della vita quotidiana espresso dai concetti dell'ambiguità - il malinteso, il compromesso o l'uso improprio - perda molta importanza, a vantaggio dei loro contrari, la scelta cosciente o la scommessa. L'attuale messa in discussione artistica del linguaggio, contemporanea di questo metalinguaggio delle macchine, che non è altro che il linguaggio burocratizzato della burocrazia al potere, sarà allora superata da forme più alte di comunicazione. La presente nozione di testo sociale decifrabile dovrà sfociare in nuovi modi di scrittura di questo testo sociale, nella direzione di quanto ricercano oggi i miei compagni situazionisti con l'urbanismo unitario e l'abbozzo di un comportamento sperimentale. La produzione centrale di un lavoro industriale interamente riconvertito sarà l'allestimento di nuove configurazioni della vita quotidiana, la creazione libera di avvenimenti. La critica e la ricreazione perpetua della totalità della vita quotidiana, prima di essere fatte naturalmente da tutti gli uomini, devono essere intraprese nelle condizioni dell'oppressione presente, e per portare alla rovina queste stesse condizioni. Non può essere un movimento culturale d'avanguardia, anche con simpatie rivoluzionarie, a compiere questo. Non è neppure un partito rivoluzionario sul modello tradizionale, anche se accordasse ampio spazio alla critica della cultura (intendendo con questo termine l'insieme degli strumenti artistici o concettuali attraverso cui una società si spiega a se stessa e mostra di avere degli scopi di vita). Questa 91 cultura - come questa politica - sono consunte, e non è senza motivo che la maggior parte delle persone se ne disinteressa. La trasformazione rivoluzionaria della vita quotidiana, cui non è riservato un avvenire vago, ma che viene posta immediatamente davanti a noi dallo sviluppo del capitalismo e dalle sue insopportabili esigenze, poiché l'altro termine dell'alternativa, è il rafforzamento della schiavitù moderna; questa trasformazione segnerà la fine di ogni espressione artistica unilaterale e immagazzinata sotto forma di merce, come la fine di ogni politica specializzata. Questo sarà il compito di un'organizzazione rivoluzionaria di tipo nuovo, fin dalla sua formazione. Questa relazione è stata registrata il 17 maggio 1961 dal Gruppo di Ricerca sulla vita quotidiana, riunito da Henri Lefebvre nel Centro di studi sociologici del Cnrs. 92 COMMENTI CONTRO L'URBANISTICA di Raoul Vaneigem 1 Il parere di un esperto - Chombart de Lauwe - verifica, in relazione a precise esperienze, che i programmi proposti dai pianificatori producono, in certi casi, disagi e rivolte che avrebbero potuto, in parte, essere evitati se avessimo avuto una conoscenza più approfondita dei comportamenti reali, e soprattutto di ciò che motiva questi comportamenti. Grandezza e miseria dell'urbanistica. Allorché abbiamo fiutato il pianificatore urbanista con diffidente insistenza, ci si è discostati, come di dovere di fronte a una tale mancanza di buone maniere, a una simile scorrettezza. Non si tratta qui di incriminare il giudizio popolare. Il popolo si era già pronunciato con la stessa incongruenza: razza di architetto! è sempre stata in Belgio un'espressione esplicita. Ma poiché un certo esperto si allinea oggi all'opinione del volgo e si mette anche lui a fiutare il pianificatore, eccoci salvati! Cosi l'urbanista è ufficialmente accusato di suscitare disagio e rivolta, di suscitarli quasi come un principale provocatore. Bisogna auspicare una pronta reazione dei pubblici poteri: sarebbe impensabile che dei focolai di rivolta venissero apertamente provocati dagli stessi che hanno il compito di spegnerli. Vi è qui un crimine contro la pace sociale che solo un consiglio di guerra può troncare. Vedremo forse la giusti1 «Commentaires contre l'urbanisme», da IS n. 6, agosto 1961. 93 zia colpire tra le sue stesse file? A meno che l'esperto, dopo tutto, non sia che un astuto urbanista. Se il pianificatore non può conoscere le motivazioni comportamentali di coloro che egli vuole alloggiare nelle migliori condizioni per il loro equilibrio nervoso, tanto vale porre senza ritardi l'urbanistica al centro delle ricerche criminologiche (depistare i provocatori - vedi sopra - e permettere a ognuno di starsene tranquillo nella gerarchia); se lo può veramente, allora la scienza della repressione criminale si priva della sua ragione di essere e cambia la ragione sociale: sarà sufficiente l'urbanistica per mantenere l'ordine stabilito senza ricorrere all'indelicatezza delle mitragliatrici. L'uomo assimilato al calcestruzzo: che sogno o che incubo felice per i tecnocrati, anche se dovessero perdervi ciò che resta loro dell'Attività Nervosa Superiore, e conservarsi nel potere e nella durezza del calcestruzzo. Se i nazisti avessero conosciuto gli urbanisti di oggi, avrebbero trasformato i campi di concentramento in case popolari. Ma questa soluzione sembra troppo brutale al signor Chombart de Lauwe. L'urbanistica ideale deve impegnare tutti, senza insofferenze né rivolte, per ima soluzione finale del problema uomo. L'urbanistica è la realizzazione concreta più compiuta di un incubo. Incubo, secondo Littré: stato che finisce con un risveglio di soprassalto dopo un'estrema ansietà. Ma soprassalto contro chi? Chi ci ha rimpinzato fino alla sonnolenza? Sarebbe altrettanto stupido mettere a morte Eichmann che impiccare gli urbanisti. E' come prendersela con i bersagli quando ci si trova in un campo di tiro! Pianificazione è la grande parola: parola grossa dicono alcuni. Gli specialisti parlano di pianificazione economica e di urbanistica pianificata, poi strizzano l'occhio con un'aria di intesa e, purché il gioco sia eseguito bene, tutti applaudono. Il momento magico dello spettacolo è la pianificazione 94 della felicità. Già il contabile conduce la sua inchiesta; esperimenti precisi stabiliscono la densità dei telespettatori; si tratta di sistemare il territorio intorno a loro, di costruire per loro, senza distrarli dalle preoccupazioni di cui li si nutre attraverso gli occhi e le orecchie. Si tratta di assicurare a tutti un quieto vivere e un equilibrio, con quella previdenza astuta di cui davano prova i pirati dei fumetti nella loro sentenza: / morti non parlano. L'urbanistica e l'informazione sono complementari nelle società capitalistiche e anticapitalistiche, organizzano il silenzio. Abitare è il bevete coca-cola dell'urbanistica. Si sostituisce la necessità di bere con quella di bere Coca-cola. Abitare, è essere ovunque a casa propria, dice Kiesler, ma ima tale verità profetica non prende nessuno per il collo, essa è un foulard contro il freddo che si fa più intenso, anche se evoca un nodo scorsoio. Noi siamo abitati: è da questo punto che bisogna partire. Come public relations, l'urbanistica ideale è la proiezione nello spazio della gerarchia sociale senza conflitto. Strade, prati all'inglese, fiori naturali e foreste artificiali lubrificano gli ingranaggi del dominio, lo rendono amabile. In un romanzo di fantascienza di Yves Touraine, lo Stato offre persino ai pensionati un masturbatore elettronico: l'economia e la felicità vi trovano il loro utile. Una certa urbanistica di prestigio è necessaria, afferma Chombart de Lauwe. Questo spettacolo che egli ci propone rende Haussmann folcloristico, lui che non poteva programmare il prestigio al di fuori di un campo di tiro. Questa volta, si tratta di organizzare scenicamente lo spettacolo sulla vita quotidiana, di lasciar vivere ognuno nel quadro corrispondente al ruolo che la società capitalistica gli impone, di isolarlo sempre più, educandolo come un cieco a riconoscersi illusoriamente in una materializzazione della propria alienazione. 95 L'educazione capitalistica dello spazio non è nient'altro che l'educazione in uno spazio dove si perde la propria ombra, in cui si finisce per perdersi a forza di cercarsi in ciò che non si è. Che bell'esempio di tenacia per tutti i professori e altri organizzatori patentati dell'ignoranza. I percorsi di una città, le sue strade, i suoi muri, i suoi quartieri costituiscono altrettanti segni di uno strano condizionamento. Quale segno riconoscervi che sia nostro? Qualche graffito, parole di rifiuto o gesti proibiti, incisi di sfuggita, il cui interesse appare alle persone dotte solo sui muri di Pompei, in ima città fossile. Ma le nostre città sono ancora più fossilizzate. Noi vogliamo abitare in paesi di conoscenza, fra segni viventi come amici quotidiani. La rivoluzione sarà anche la creazione perenne di segni che appartengano a tutti. C'è un pesantezza incredibile in tutto ciò che riguarda l'urbanistica. La parola costruire cola a picco, nella flotta in cui le altre parole possibili galleggiano. Ovunque si sia estesa la civiltà burocratica, l'anarchia della costruzione individuale è stata consacrata ufficialmente, e se ne sono fatti carico gli organismi competenti del potere, di modo che l'istinto di costruzione è stato estirpato come un vizio e non sopravvive più che nei bambini, i primitivi (gli irresponsabili, nella terminologia amministrativa) E fra tutti coloro che, non potendo cambiare vita, la trascorrono a demolire e a ricostruire la loro casupola. L'arte di rassicurare, l'urbanistica intende proprio esercitarla sotto la sua forma più pura: l'ultima gentilezza di un potere sul punto di assicurarsi totalmente il controllo degli spiriti. Dio e la Città: nessuna forza astratta e inesistente poteva, meglio dell'urbanistica, rivendicare la successione di Dio al posto di portiere reso vacante dalla morte che conosciamo. Con la sua ubiquità, la sua immensa bontà e, un qualche giorno forse, la sua potenza sovrana, l'urbanistica (o il suo progetto) avrebbe certamente di che terrorizzare la 96 Chiesa, se al riguardo vi fosse mi minimo dubbio relativamente all'ortodossia del potere. Ma non così perché la Chiesa era urbanistica molto prima del potere; cosa potrebbe temere da un Sant'Agostino laico? C'è qualcosa di ammirevole nel far convivere nella parola abitare migliaia di esseri a cui si toglie finanche la speranza di un giudizio universale. In questo senso, l'ammirevole corona l'inumano. Industrializzare la vita privata. Fate della vostra vita un affare: questo sarà il nuovo slogan. Proporre a ognuno di organizzare la sua sfera vitale come ima piccola officina che bisogna gestire, come un'impresa in miniatura con i suoi surrogati di macchine, la sua produzione di prestigio, il suo capitale costante di muri e di mobili, non è forse il miglior modo per rendere perfettamente comprensibili le preoccupazioni di quei signori che possiedono una fabbrica, vera, grande, che anch'essa deve produrre? Uniformare l'orizzonte: i muri e gli angoli verdi approntati attribuiscono al sogno e al pensiero dei nuovi limiti, poiché malgrado tutto saper conoscere i limiti significa poetizzare il deserto. Le nuove città cancelleranno anche le ultime tracce delle lotte che opposero le città tradizionali agli uomini che vollero dominare. Strappare dalla memoria di tutti questa verità: che ogni vita quotidiana ha la sua storia e, nel mito della partecipazione, contestare il carattere irriducibile del vissuto; è in questi termini che gli urbanisti esprimerebbero gli obiettivi che perseguono, se si degnassero di mettere da parte per un istante lo spirito borioso che ostruisce il loro pensiero. Quando lo spirito serioso sparisce il cielo si rischiara, tutto diventa più netto o quasi; così gli umoristi lo sanno bene, distruggere l'avversario a colpi di bombe H è condannarsi a morire con sofferenze più lunghe. Bisognerà ironizzare ancora a lungo sugli urbanisti perché siano consapevoli del fatto che, nell'at- 97 tentato che stanno premeditando, non vi è forse un abbozzo del loro suicidio? I cimiteri sono le zone verdi più naturali che ci siano, le sole a integrarsi armoniosamente nel quadro delle città future, come gli ultimi paradisi perduti. I prezzi di costo devono finire di essere un ostacolo al desiderio di costruire, rivendicano i costruttori di sinistra. Dormano in pace: succederà ben presto, quando il desiderio di costruire sarà sparito. In Francia si sono sviluppati i procedimenti che fanno della costruzione un gioco di meccano (Q.J.E. Havel). Anche nel migliore dei casi, un self-service non è che un luogo in cui ci si serve, nel senso in cui la forchetta serve per mangiare. Mischiando il machiavellismo al cemento armato, l'urbanistica ha la coscienza a posto. Entriamo nel regno delle delicatezze poliziesche. Asservire nella dignità. Costruire nella fiducia: la realtà stessa delle vetrate non dissimula la comunicazione fittizia; l'atmosfera stessa dei luoghi pubblici denuncia la disperazione e l'isolamento delle coscienze private; lo stesso riempimento indaffarato dello spazio si misura in tempi morti. Progetto per un'urbanistica realista: sostituire le scalinate di Piranesi con ascensori, trasformare le tombe in grattacieli, cingere le fogne con i platani, ristrutturare le pattumiere come stanze di soggiorno, mettere in pila i tuguri e costruire tutte le città in forma di musei: trarre partito da tutto, anche dal nulla. L'alienazione a portata di mano: l'urbanistica rende l'alienazione tangibile. Il proletariato affamato viveva l'alienazione nella sofferenza delle bestie. Noi la vivremo nella sofferenza cieca delle cose. Sentirsi altro a tastoni. Gli urbanisti onesti e chiaroveggenti hanno il coraggio degli stiliti. Faremo della nostra vita un deserto per rendere legittime le loro aspirazioni? 98 I guardiani della fede filosofica hanno scoperto da circa vent'anni l'esistenza di una classe operaia. Nel momento in cui i sociologi si accordano per decretare che la classe operaia non esiste più, gli urbanisti, loro, non hanno atteso né i filosofi né i sociologi per inventare l'abitante. Bisognerà rendere loro questo merito: che cioè sono stati fra i primi a comprendere le dimensioni nuove del proletariato. Definizione tanto più precisa e tanto meno astratta in quanto seppero guidare, con metodi più flessibili di addestramento, verso una proletarizzazione meno brutale ma radicale, la quasi totalità della società. Avviso ai costruttori di rovine: agli urbanisti succederanno agli ultimi trogloditi delle bidonvilles e delle topaie. Costoro sapranno costruire. I privilegiati delle città-dormitorio non potranno che distruggere. C'è da aspettarsi molto da un simile incontro: definisce la rivoluzione. Svalutandosi, il sacro è divenuto mistero: l'urbanistica è l'ultima decadenza del Grande Architetto. Dietro l'infatuazione tecnologica si dissimula una verità rivelata, come tale indiscutibile: bisogna abitare. Sulla natura di una simile verità, il barbone sa benissimo come procedere. Senza dubbio, meglio di chiunque altro egli misura, fra le pattumiere in cui viene costretto a vivere da una proibizione ad abitare, come non si distinguano, sul solo piano di verità esistente - la pratica - il costruire la propria vita e il costruire la propria dimora. Ma l'esilio in cui lo tiene il nostro mondo civilizzato rende la sua esperienza così derisoria e così disagiata che il costruttore patentato vi troverà un pretesto per giustificarsi - supponendo, ipotesi assurda, che il potere abbia cessato di farsi garante della sua esistenza. Sembrerebbe che la classe operaia non esista più. Considerevoli quantità di proletari di ieri oggi possono accedere ai comfort una volta riservati a una minoranza: conosciamo l'antifona. Ma non è piuttosto ima quantità crescente di com- 99 fort che accede ai loro bisogni e dà loro il prurito della domanda? Di modo che ima certa organizzazione del comfort, a quanto pare, proletarizza, in modo epidemico, tutti coloro che essa contamina con la forza delle cose. Ora, la forza delle cose si esercita per il tramite di dirigenti responsabili, preti di un ordine astratto i cui soli privilegi si riassumeranno presto o tardi nel regnare su un centro amministrativo circondato da ghetti. L'ultimo uomo morirà di noia come un ragno muore di inedia nel mezzo della sua tela. Bisogna costruire in fretta, c'è molta gente da alloggiare dicono gli umanisti del cemento armato. Bisogna scavare trincee senza tardare, dicono i generali, c'è la patria intera da salvare. Non c'è forse qualche ingiustizia nel lodare i primi e nel beffarsi dei secondi? Nell'era dei missili e del condizionamento, la facezia dei generali è ancora una facezia di buon gusto. Ma innalzare trincee per aria con lo stesso pretesto...! 100 BANALITÀ DI BASE (I) di Raoul Vaneigem 1 1. Il Capitalismo burocratico ha trovato in Marx la sua giustificazione legittima. Qui non si tratta di accordare al marxismo ortodosso il dubbio merito di aver rafforzato le strutture neocapitalistiche, la cui attuale riorganizzazione porta in sé l'elogio del totalitarismo sovietico, ma di sottolineare come le più profonde analisi di Marx sull'alienazione si siano volgarizzate in fatti di un'estrema banalità che, spogliati del loro magico imballaggio e materializzati in ogni gesto, danno vita da se stessi, e giorno per giorno, a un numero sempre crescente di individui. Insomma, il capitalismo burocratico contiene in sé la chiara verità dell'alienazione: l'ha posta alla portata di tutti meglio di quanto Marx potesse sperare, l'ha banalizzata man mano che, attenuandosi la miseria, la mediocrità dell'esistenza si è estesa a macchia d'olio. Il pauperismo riguadagna in profondità sul modo di vivere ciò che perde in estensione sulla mera sopravvivenza; ecco quindi un sentire unanimemente condiviso che libera Marx da tutte le interpretazioni che un bolscevismo degenerato ne ricavava, benché la teoria della coesistenza pacifica intervenga opportunamente per accelerare una tale presa di coscienza e spinga lo scrupolo fino a rivelare, a quanti non avrebbero potuto non comprenderlo che tra sfruttatori l'intesa è possibile a dispetto delle divergenze spettacolari. 1 «Banalités de base I», da IS n. 7, aprile 1962. 101 12. Ogni atto - scrive Mircea Eliade - ha la possibilità di divenire un atto religioso. L'esistenza umana si realizza contemporaneamente su due piani paralleli: quello della temporalità, del divenire, dell'illusione e quello dell'eternità della sostanza, della realtà. Nel XIX secolo si ha la prova, con il divorzio brutale dei due piani, che sarebbe stato preferibile per il potere mantenere la realtà in un bagno di trascendenza divina. Bisogna tuttavia rendere giustizia al riformismo: Bonaparte fallisce là dove nega il divenire nell'eternità e il reale nell'illusione; l'unione non vale i sacramenti del matrimonio religioso, ma dura, e questo è il massimo che possono esigere da lei i managers della coesistenza e della pace sociale. Ci troviamo così a doverci definire, nella prospettiva illusoria della durata cui nessuno sfugge, come la fine della temporalità astratta, vale a dire la fine del tempo reificato dei nostri atti. In altri termini: definirci nel polo positivo dell'alienazione come fine dell'alienazione sociale, come fine del permanere dell'umanità nell'alienazione sociale? 3. La socializzazione dei gruppi umani primitivi dimostra la volontà di lottare più efficacemente contro le forze misteriose e terrificanti della natura. Ma lottare nell'ambiente naturale, contemporaneamente contro di esso e con esso, sottomettersi alle sue leggi più inumane al fine di strappargli una supplementare possibilità di sopravvivenza: tutto ciò non poteva che dar luogo a una forma più evoluta di difesa aggressiva, a un'attitudine più complessa e meno primitiva, presentando a un livello superiore le contraddizioni che l'uomo continuamente si sente imporre dalle forze incontrollabili e tuttavia influenzabili della natura. Socializzandosi, la lotta contro la dominazione cieca della natura riesce a imporre le 102 sue vittorie nella misura in cui assimila poco a poco, ma in una diversa forma, l'alienazione primitiva, l'alienazione naturale. Potrà essere un caso, ma la civiltà tecnica si è sviluppata a un punto tale che l'alienazione sociale vi si è rivelata entrando in conflitto con gli ultimi punti di resistenza naturale che la potenza tecnica non riusciva a ridurre, e a ragione. I tecnocrati ci propongono oggi, in un bello slancio umanitario, di porre fine all'alienazione primitiva, e incitano al maggiore sviluppo dei mezzi tecnici che permetterebbero in sé di combattere efficacemente la morte, la sofferenza, la malattia, la fatica del vivere. Ma il miracolo non sarebbe tanto quello di eliminare la morte, quanto di sopprimere il suicidio e il desiderio di morire. Vi è un modo di abolire la pena di morte che la fa rimpiangere. Fino ad oggi, l'impiego particolare della tecnica o, più in generale, il contesto economico-sociale in cui si definisce l'attività umana, ha ridotto quantitativamente le occasioni di sofferenza e di morte, mentre la morte si installava, come una malattia incurabile, nella vita di ciascuno. 4. Al periodo preistorico della raccolta del cibo succede il periodo della caccia, nel corso del quale si formano i clan cercando di aumentare le loro probabilità di sopravvivenza. Una tale epoca vede costituirsi e delimitarsi riserve e terreni di caccia sfruttati a profitto del gruppo e dai quali restano esclusi gli stranieri, interdizione tanto più assoluta in quanto da essa dipende la salvezza di tutto il clan. In modo che la libertà ottenuta grazie a ima collocazione più confortevole nell'habitat naturale, e al tempo stesso con una protezione più efficace contro i suoi rigori, questa libertà genera a sua volta la propria negazione al di fuori dei limiti fissati dal clan e costringe il gruppo a limitare la sua attività lecita organizzando i rapporti con i gruppi esclusi i quali costituiscono ima 103 V continua minaccia. Fin dalla sua apparizione, la sopravvivenza economica socialmente costituita postula l'esistenza di limiti, di restrizioni, di diritti contraddittori. Bisogna ricordarlo come si ripete l'abc: fino ad oggi il divenire storico non ha cessato di definirsi e di definirci in funzione del movimento di appropriazione privata, dell'assunzione da parte di una classe, di un gruppo, di una casta o di un individuo, di un potere generale di sopravvivenza economico-sociale la cui forma resta complessa, a partire dalla proprietà di ima terra, di un territorio, di una fabbrica, di capitali, fino all'esercizio puro del potere sugli uomini (gerarchia). Al di là dell'opposizione contro i regimi che pongono il loro paradiso in un wel\ fare-state cibernetico, emerge la necessità di estendere la lotta contro uno stato di cose fondamentale e inizialmente naturale, nel cui movimento il capitalismo non gioca che un ruolo episodico, e che non scomparirà senza che scompaiano le ultime tracce del potere gerarchizzato, o i padroncini dell'umanità, ben inteso. 5. ^ Essere proprietario vuol dire arrogarsi un bene dal godimento del quale gli altri sono esclusi; è nello stesso tempo, riconoscere a ciascuno un diritto astratto di possesso. Escludendo il diritto reale di proprietà, il possidente estende la i sua proprietà sugli esclusi (specialmente sui non-possidenti, , relativamente sugli altri possidenti) senza i quali egli è niente. Da parte loro, i non-possidenti non hanno scelta. Il possidente se ne appropria e li aliena come produttori della sua potenza mentre, per la necessità dalla propria esistenza fisica, essi sono costretti a collaborare loro malgrado alla propria esclusione, a produrla e a sopravvivere nell'impossibilità di vivere. Sì, essi partecipano alla proprietà per il tramite del proprietario, partecipazione mistica perché, così, si organizzano 104 all'origine tutti i rapporti di clan e tutti i rapporti che a poco a poco succedono al principio di coesione obbligata secondo il quale ciascun membro è funzione integrante del gruppo (interdipendenza organica). La loro garanzia di sopravvivenza dipende dalla loro attività nel quadro dell'appropriazione privata; essi rafforzano un diritto di proprietà da cui sono esclusi. Per questa ambiguità, ciascuno di essi si coglie come partecipante alla proprietà come vivente particella del diritto di possedere, proprio mentre una tale credenza, nel momento in cui si rafforza, Io definisce a un tempo come escluso e come posseduto. (Termine estremo di questa alienazione: lo schiavo fedele, il poliziotto, la guardia del corpo, il centurione che, per una sorta di unione con la propria morte, dà alla morte una potenza uguale alle forze di vita, identifica in un'energia distruttrice il polo negativo dell'alienazione e il polo positivo, lo schiavo assolutamente sottomesso e il padrone assoluto.) Nell'interesse dello sfruttatore è necessario che l'apparenza si mantenga e si affini; la chiave non è in alcun machiavellismo, ma in un semplice istinto d sopravvivenza. L'organizzazione dell'apparenza è legata alla sopravvivenza del proprietario, una sopravvivenza legata a quella dei suoi privilegi, ed essa passa per la sopravvivenza fisica del non-proprietario, un modo di restar vivo nello sfruttamento è l'impossibilità di essere uomo. L'accaparramento e la dominazione a fini privati sono così imposti e sentiti primitivamente come un diritto positivo, ma anche come un'universalità negativa. Valido per tutti, giustificato agli occhi di tutti per ragione divina o naturale, il diritto di appropriazione privata si oggettiva in un'illusione generale, in una trascendenza universale, in una legge essenziale in cui ognuno, a titolo individuale, trova ima giustificazione sufficiente per sopportare i limiti più o meno angusti assegnati al suo diritto di vivere e alle condizioni di vita in generale. 105 12. Bisogna comprendere la funzione dell'alienazione come condizione di sopravvivenza in questo contesto sociale. Il lavoro dei non-proprietari obbedisce alle stesse contraddizioni del diritto di appropriazione particolare. Esso li trasforma in posseduti, in fabbricanti di appropriazione e in autori della loro stessa esclusione, ma rappresenta la sola possibilità di sopravvivenza per gli schiavi, i servi, i lavoratori, cosicché l'attività che fa durare l'esistenza svuotandola di ogni contenuto finisce per prendere un senso positivo attraverso un rovesciamento di ottica comprensibile e sinistro. Non solo il lavoro è stato valorizzato (nella sua forma di sacrifìcio nell'ancien régime, nel suo aspetto abbrutente nell'ideologia borghese e nelle sedicenti democrazie popolari) ma, già molto presto, lavorare per un padrone, alienarsi con la buona coscienza della sottomissione, è divenuto il prezzo onorevole e appena contestabile della sopravvivenza. La soddisfazione dei bisogni elementari resta la miglior salvaguardia dell'alienazione, quella che la dissimula meglio giustificandola sulla base di un'esigenza inattaccabile. L'alienazione moltiplica senza fine i bisogni perché non ne soddisfa nessuno; oggi, l'insoddisfazione si misura in numero di auto, frigo, TV; gli oggetti alienanti non hanno più l'astuzia né il mistero di ima trascendenza, ma ci circondano nella loro povertà concreta. Il ricco è oggi colui che possiede il più gran numero di oggetti poveri. Sopravvivere ci ha, fino ad oggi, impedito di vivere. E' per questo che bisogna aspettarsi molto dall'impossibilità della sopravvivenza che si annuncia ormai con un'evidenza tanto meno contestabile quanto più il comfort e la sovrabbondanza nel quadro della sopravvivenza ci spingono al suicidio o alla rivoluzione. 106 12. Il sacro presiede anche alla lotta contro l'alienazione. Da quando, rivelando la sua trama, la copertura mistica cessa di avviluppare i rapporti di sfruttamento e la violenza, espressione del loro movimento, la lotta contro l'alienazione si svela e si definisce nello spazio di un lampo, nel tempo di una rottura, come un corpo a corpo inesorabile con il potere messo a nudo, scoperto improvvisamente nella sua forza brutale e nella sua debolezza, un gigante contro il quale ogni colpo va a segno ma ogni ferita del quale conferisce all'aggressore la fama maledetta di Erostrato; finché sopravvive il potere, ognuno vi trova il suo profitto. Prassi di distruzione, momento sublime in cui la complessità del mondo diventa tangibile, cristallina, alla portata di tutti, rivolte inesplicabili come quelle degli schiavi, degli Jacques, degli iconoclasti, degli Arrabbiati, dei Federati, di Kronstadt, delle Asturie e, promesse per il futuro, dei blusons noirs di Stoccolma e degli scioperi selvaggi, ecco ciò che solo la distruzione di ogni potere gerarchizzato saprà farci dimenticare; è a questo che noi intendiamo dedicarci. L'usura delle strutture mitiche e il loro ritardo nel rinnovarsi che rendono possibile la presa di coscienza e la profondità critica dell'insurrezione, sono anche la causa del fatto che, passati gli «eccessi» - eccessi rivoluzionari - la lotta contro l'alienazione viene proiettata su un piano teorico, come prolungamento della demistificazione che prepara alla rivolta. E' l'ora in cui la rivolta nel suo aspetto più vero, e il più autenticamente capito, viene riesaminata e liquidata dal noi non volevamo questo dei teorici incaricati di spiegare il senso di un'insurrezione a coloro che l'hanno fatta, a quelli che vogliono demistificare con i fatti, non soltanto con le parole. Tutti i fatti che contestano il potere esigono oggi un'analisi e uno sviluppo tattico. Bisogna aspettarsi molto: a) dal 107 nuovo proletariato che scopre la sua privazione nell'abbondanza consumabile (vedere lo sviluppo delle lotte operaie che sorgono attualmente in Inghilterra, così come l'atteggiamento della gioventù ribelle in tutti i paesi moderni); b) dai paesi che, insoddisfatti delle loro rivoluzioni parziali e truccate, relegano nei musei i loro teorici passati e presenti (vedere il ruolo dell'intellighenzia nei paesi dell'est); c) dal Terzo Mondo, la cui diffidenza verso i miti tecnicisti è stata alimentata dai poliziotti e dai mercenari del colonialismo, ultimi militanti troppo solerti di ima trascendenza di cui essi sono i migliori vaccini preventivi; d) dalla forza dell'IS («le nostre idee sono in tutte le teste») capaci di impedire le lotte telecomandate, le notti di cristallo e le rivolte acquiescenti. 8. L'appropriazione della proprietà privata è legata alla dialettica del particolare e del generale. Nella mistica in cui si fondano le contraddizioni dei sistemi schiavista e feudale, il non-proprietario, escluso in particolare dal diritto di proprietà, si sforza con il proprio lavoro di assicurare la propria sopravvivenza: egli vi riesce tanto meglio quanto più si sforza di identificarsi con gli interessi del padrone. Egli non conosce gli altri non-proprietari se non attraverso i loro sforzi identici ai suoi, nella cessione obbligata della forza-lavoro (il cristianesimo raccomanderà la cessione volontaria; la schiavitù finisce nel momento in cui lo schiavo offre di buon animo la propria forza-lavoro), nella ricerca delle condizioni ottimali di sopravvivenza e di identificazione mistica. Sorta da una volontà di sopravvivenza comune a tutti, la lotta emerge tuttavia al livello dell'apparenza in cui mette in gioco l'identificazione con la volontà del padrone e scatena dunque una certa rivalità individuale che riflette la rivalità dei padroni tra loro. La competizione si svilupperà su questo piano finché i rapporti di sfruttamento resteranno dissimulati 108 nell'opacità mistica, e fino a quando sopravviveranno le condizioni di una tale opacità; o ancora, finché il grado di schiavitù determinerà nella coscienza dello schiavo il grado della realtà vissuta. (Si continua sempre a chiamare coscienza oggettiva quella che è coscienza di essere oggetti.) Da parte sua, il proprietario si trova legato al riconoscimento di un diritto da cui egli è il solo a non essere escluso, ma che è sentito al livello dell'apparenza come un diritto valido per ogni escluso preso individualmente. Il suo privilegio dipende da una tale credenza, sulla quale poggia anche la forza indispensabile per fronteggiare e tener testa agli altri proprietari: essa è la sua forza. Se a sua volta egli rinuncia apparentemente all'appropriazione esclusiva di ogni cosa e di ognuno, se si pone meno come padrone che come servitore del bene pubblico e garante della sicurezza comune, allora il prestigio incorona la sua forza, egli aggiunge ai suoi privilegi quello di negare al livello dell'apparenza (che è il solo livello di riferimento nella comunicazione troncata) la nozione stessa di appropriazione personale, rifiuta questo diritto a chiunque, e nega gli altri proprietari. Nella prospettiva feudale, il proprietario non si integra nell'apparenza allo stesso modo dei non-proprietari, schiavi, soldati, funzionari, servitori di ogni razza. Costoro conoscono ima vita così sordida che, per la maggior parte, non hanno altra scelta che viverla come una caricatura del Padrone (il feudatario, il principe, il maggiordomo, l'aguzzino, il gran prelato, Dio, Satana...). In ogni caso il padrone è costretto a sostenere il ruolo di tale caricatura. Egli vi riesce senza grande sforzo, tanto è già caricaturale nella sua pretesa di vivere totalmente nell'isolamento in cui lo tengono coloro che non possono che sopravvivere, e appartiene ormai (con la grandezza dell'epoca già passata come sovrappiù, grandezza passata che conferiva alla tristezza un sapore desiderabile e forte) alla specie che oggi è la nostra, triste, simile a ognuno di 109 noi che brama l'avventura in cui arde di ricongiungersi a se stesso, di ritrovarsi sul cammino della propria totale perdizione. Ciò che il padrone coglie degli altri nel momento stesso in cui li aliena, sarebbe forse la loro natura di esclusi e di posseduti? In questo caso, egli si rivelerebbe a se stesso come sfruttatore, come essere puramente negativo. Ma tale consapevolezza è poco probabile e pericolosa. Estendendo la sua autorità e il suo potere sul maggior numero possibile di soggetti, non permette loro di mantenersi in vita, non accorda loro una possibilità unica di salvezza? (Senza i padroni che si degnano di dar loro lavoro, che cosa diventerebbero gli operai? amavano ripetere le anime belle del XIX secolo). In effetti il proprietario si esclude ufficialmente dalla pretesa del possesso privato. Al sacrificio del non-proprietario che nel suo lavoro scambia la sua vita reale con una vita apparente (la sola che gli impedisce di scegliere deliberatamente la morte, e che permette al padrone di sceglierla per lui), il proprietario risponde sacrificando apparentemente la sua natura di proprietario e di sfruttatore; egli si esclude miticamente, si pone al servizio di tutti e del mito (al servizio di Dio e del suo popolo, per esempio). Con un gesto ulteriore, con una gratuità che lo avvolge di un'aura meravigliosa, egli dà alla rinuncia la sua pura forma di realtà mitica; rinunciando alla vita comune, egli è il povero in mezzo alla ricchezza illusoria, colui che si sacrifica per tutti mentre gli altri non si sacrificano che per se stessi, per la propria sopravvivenza. Così facendo, egli tramuta la necessità in cui si trova in prestigio. Il suo sacrificio è commisurato alla sua potenza. Egli diventa il punto di riferimento vivente di ogni vita illusoria, la più alta scala tangibile dei valori mitici. Allontanandosi volontariamente dai comuni mortali, è verso il mondo degli dei che egli tende, ed è la sua partecipazione più o meno riconosciuta alla divinità che, al livello dell'apparenza (il solo 110 livello di riferimento comunemente ammesso), consacra il suo posto nella gerarchia degli altri proprietari. Nell'organizzazione della trascendenza, il feudatario - e per osmosi i proprietari di un potere o di beni produttivi, in diverso grado - è portato a ricoprire il ruolo principale, il ruolo che egli ricopre effettivamente nell'organizzazione economica della sopravvivenza del gruppo. Di modo che l'esistenza del gruppo si trova legata a tutti i livelli all'esistenza dei proprietari in quanto tali, a coloro che, proprietari di ogni cosa attraverso la proprietà di ogni essere, strappano così la rinuncia di tutti per mezzo della loro rinuncia unica, assoluta, divina. (Dal dio Prometeo punito dagli dei al dio Cristo punito dagli uomini, il sacrificio del Proprietario si volgarizza, perde in sacralità, si umanizza). Il mito unisce dunque proprietario e non-proprietario, li ingloba in una forma in cui la necessità di sopravvivere, come essere fisico o come essere privilegiato, costringe a vivere nella sfera dell'apparenza e nel segno invertito della vita reale, che è quella della prassi quotidiana. Noi siamo sempre presenti, aspettando di vivere al di là o al di qua di una mistica contro la quale ciascuno dei nostri gesti protesta, obbedendole. 9. Il mito, l'assoluto unitario in cui le contraddizioni del mondo si ritrovano illusoriamente risolte, la visione in ogni istante armoniosa e armonizzata in cui l'ordine si contempla e si rafforza, è veramente il luogo del sacro, la zona extraumana da cui è accuratamente bandita, fra tante rivelazioni, la rivelazione del movimento di appropriazione privato. Nietzsche l'ha ben compreso, quando scrive: Ogni" divenire è nei confronti dell'essere eterno un'emancipazione colpevole, che bisogna pagare con la morte. Quando all'Essere puro della feudalità, la borghesia pretenderà di sostituire il divenire, es- ili sa si limiterà di fatto a desacralizzare l'essere e a risacralizzare per suo maggior profitto il Divenire, innalzando così il suo divenire all'Essere, non più della proprietà assoluta, bensì dell'appropriazione relativa; un piccolo divenire democratico e meccanico, con la sua nozione di progresso, di merito e di successione causale. Ciò che il proprietario vive lo dissimula a se stesso; legato al mito con un patto di vita o di morte, gli è vietato cogliersi nel godimento positivo ed esclusivo di un bene se non mediante l'apparenza vissuta della propria esclusione; e non è attraverso questa esclusione mitica che i nonproprietari coglieranno la realtà della loro esclusione? Egli porta la responsabilità di un gruppo, e assume il peso di un dio. Sottomesso alla sua benedizione come alla sua vendetta, egli si riveste di proibito e vi si consuma. Modello di dei e di eroi, il signore, il proprietario è il vero volto di Prometeo, del Cristo, di tutti i sacrificati spettacolari che hanno permesso che la grandissima maggioranza degli uomini non cessi di sacrificarsi ai padroni, all'estrema minoranza (converrà peraltro affinare l'analisi del sacrifìcio del proprietario: nel caso del Cristo, non si dovrebbe ammettere che si tratta più precisamente del figlio del proprietario? Ora, se il proprietario non può mai sacrificarsi che nell'apparenza, si assiste tranquillamente all'immolazione effettiva, quando le circostanze lo esigono imperiosamente, del figlio del proprietario; in quanto questi non è in realtà che un proprietario molto incompiuto, un abbozzo, una semplice speranza di proprietà futura. E' in questa dimensione mitica che bisogna intendere la famosa frase di Barrès, giornalista, nel momento in cui la guerra del 1914 era infine giunta ad esaudire i suoi voti: «La nostra gioventù, come era giusto, è andata a versare a fiotti il nostro sangue». Questo gioco discretamente disgustoso ha del resto conosciuto, prima di raggiungere i riti e il folclore, un'epoca eroi- 112 ca in cui re e capi tribù erano ritualmente messi a morte secondo la loro volontà. Di qui si giunge rapidamente, assicurano gli storici, a sostituire gli augusti martiri con prigionieri, schiavi e criminali. Sparito il supplizio, l'aureola è rimasta. 10. Il sacrificio del proprietario e del non-proprietario fonda il concetto di sorte comune; in altri termini, la nozione di condizione umana si definisce sulla base di un'immagine ideale e dolorosa in cui tenta di risolversi l'opposizione irriducibile tra il sacrificio mitico degli uni e la vita sacrificata degli altri. Il mito ha la funzione di unificare e di eternizzare, in ima successione di istanti statici, la dialettica del voler vivere e del suo contrario. Una tale unità fittizia e ovunque dominante si raggiunge nella comunicazione, e in particolare nel linguaggio, la sua rappresentazione più tangibile, più concreta. A questo livello, l'ambiguità è più manifesta, si apre sull'assenza di comunicazione reale, consegna l'analista a fantasmi derisori, a delle parole - istanti eterni e mutevoliche cambiano di contenuto a seconda di chi le pronuncia, come cambia la nozione di sacrificio. Messo alla prova, il linguaggio cessa di dissimulare il malinteso fondamentale e sbocca nella crisi della partecipazione. Nel linguaggio di un'epoca, si può seguire la traccia della rivoluzione totale, incompiuta e sempre imminente. Sono segni esaltanti e spaventosi per gli sconvolgimenti che preannunciano, ma chi li prenderebbe sul serio? Il discredito che colpisce il linguaggio è così profondo e così istintivo quanto la diffidenza di cui si circondano i miti, ai quali si resta tuttavia fermamente attaccati. Come scovare le parole chiave con altre parole? Come mostrare con l'aiuto di frasi quali segni denunciano l'organizzazione fraseologica dell'apparenza? I testi migliori aspettano la loro giustificazione. Quando una poesia di Mallarmé apparirà come la sola spiegazione di 113 un atto di rivolta, allora sarà permesso parlare senza ambiguità di poesia e di rivoluzione. Attendere e preparare questo momento significa manipolare l'informazione, non come l'ultima onda d'urto di cui tutti ignorano l'importanza, bensì come la prima ripercussione di un atto futuro. 11. Nato dalla volontà degli uomini di sopravvivere alle forze incontrollabili della natura, il mito è una politica di salute pubblica che si è mantenuta al di là della sua necessità, e si è confermata nella sua forza tirannica riducendo la vita all'unica dimensione della sopravvivenza, negandola come movimento e totalità. Contestato, il mito unifica le sue contestazioni, presto o tardi le assimila e le digerisce. Nulla gli resiste di ciò che, immagine o concetto, tenta di distruggere le strutture spirituali dominanti. Esso regna sull'espressione dei fatti e del vissuto, alla quale impone la sua struttura interpretativa (drammatizzazione). La coscienza del vissuto, che trova la sua espressione al livello dell'apparenza organizzata, definisce la coscienza privata. Il sacrificio compensato alimenta il mito. Poiché ogni vita individuale implica una rinuncia a se stessi, bisogna che il vissuto si definisca come sacrificio e ricompensa. Come premio della sua ascesi, l'iniziato (l'operaio promosso, lo specialista, il manager - nuovi martiri canonizzati democraticamente) riceve un ruolo su misura nell'organizzazione dell'apparenza, e si installa comodamente nell'alienazione. Ora, i ricoveri collettivi sono scomparsi con le società unitarie e sussistono solo le loro traduzioni concrete ad uso del volgo: templi, chiese, palazzi... ricordi di una protezione universale. Restano oggi i rifugi individuali, di cui si può contestare l'efficacia, ma di cui con certezza si conosce il prezzo. 114 12. La «vita privata» si definisce soprattutto in un contesto formale. Certo, essa ha le sue radici nei rapporti sociali nati dall'appropriazione privativa, ma è l'espressione di questi rapporti che le dà la sua forma essenziale. Universale, incontestabile e ad ogni istante contestata, una tale forma fa dell'appropriazione un diritto riconosciuto a tutti e da cui ciascuno è escluso, un diritto al quale non si accede che rinunciandovi. Non si prende coscienza del vissuto più autentico, non lo si esprime e non lo si comunica, ove questo non spezzi il contesto nel quale si trova imprigionato (rottura che ha nome rivoluzione), se non con un movimento d'inversione di segno in cui la sua contraddizione fondamentale si dissimula. In altri termini, se esso rinuncia a prolungare una prassi di rovesciamento radicale delle condizioni di vita - condizioni che, in tutte le loro forme, sono quelle dell'appropriazione privata - un progetto positivo non ha la minima possibilità di sfuggire a un'assimilazione da parte della negatività che regna sull'espressione dei rapporti sociali; esso viene ricuperato, come l'immagine nello specchio, in senso inverso. Nella prospettiva totalizzante in cui condiziona la vita di tutti, e in cui non si distinguono più il suo potere reale e il suo potere mitico (entrambi reali ed entrambi mitici), il movimento di appropriazione privata non lascia al vissuto altra via di espressione che la via negativa. La vita tutta intera è immersa in una negatività che la corrode e la definisce formalmente. Parlare di vita suona oggi come parlare di corda in casa dell'impiccato. Perduta la chiave della volontà di vivere, tutte le porte si aprono su delle tombe. Ora, il discorso del colpo di fortuna e del caso non basta più a giustificare la nostra inerzia; quelli che accettano ancora di vivere sommersi dalla loro fatica si costruiscono più facilmente di se stessi un'immagine indolente più di quanto non riconoscano in ciascuno 115 dei loro gesti quotidiani ima smentita vivente della loro disperazione, una smentita che dovrebbe piuttosto incitarli a disperare solo della loro povertà d'immaginazione. Fra queste immagini che sono come un oblio del vivere, il ventaglio della scelta si apre fra due estremi: il bruto conquistatore e il bruto schiavo da una parte, il santo e l'eroe puro dall'altra. E' già da molto tempo che in questa latrina l'aria è divenuta irrespirabile. Il mondo e l'uomo come rappresentazione puzzano di carogna e non c'è nessun dio ormai che possa trasformare i carnai in campi di mughetti. Da quando gli uomini muoiono, sarebbe abbastanza logico che ci si ponesse la questione di sapere - dopo aver, senza cambiamenti apprezzabili, accettato la risposta venuta dagli dei, dalla Natura e dalle leggi biologiche - se ciò non corrisponde con il fatto che una gran parte della morte entra, per delle ragioni molto precise, in ogni istante della nostra vita. 13. L'appropriazione privata può definirsi in particolare come appropriazione di cose tramite l'appropriazione di esseri. Essa è la sorgente e l'acqua torbida dove tutti i riflessi si confondono in immagini confuse. Il suo campo d'azione e di influenza, che ricopre tutta la storia, sembra essersi caratterizzato fino ad oggi per una duplice determinazione comportamentale di base: una ontologia fondata sulla negazione di sé e sul sacrificio (nei suoi aspetti rispettivamente oggettivo e soggettivo), e una dualità fondamentale, una separazione fra particolare e generale, individuale e collettivo, privato e pubblico, teorico e pratico, spirituale e materiale, intellettuale e manuale, eccetera. La contraddizione fra appropriazione universale ed espropriazione universale postula una messa in rilievo e un isolamento del padrone. Questa immagine mitica di terrore, di necessità e di rinuncia si offre agli schiavi, ai servi, a tutti 116 quelli che aspirano a cambiare pelle e condizione; essa è il riflesso illusorio della loro partecipazione alla proprietà, illusione naturale poiché essi vi partecipano effettivamente con il sacrificio quotidiano delle loro energie (ciò che gli antichi chiamavano pena o supplizio e che noi chiamiamo fatica o lavoro), poiché, questa proprietà, essi la fabbricano in modo tale da escluderli. Il padrone, lui, non ha altra scelta che quella di aggrapparsi alla nozione di lavoro-sacrificio, come il Cristo alla sua croce e ai suoi chiodi; di autenticare il sacrificio a modo suo, di rinunciare apparentemente al suo diritto di godimento esclusivo e di cessare di far uso, per l'espropriazione, di una violenza puramente umana (vale a dire senza mediazioni). La sublimità del gesto smorza la violenza iniziale, la nobiltà del sacrificio assolve l'uomo delle truppe speciali, la brutalità del conquistatore si irradia in una trascendenza il cui regno è immanente, gli dei sono i depositari intransigenti dei diritti, i pastori irascibili di un gregge pacifico e tranquillo dell'Essere e del Voler-Essere proprietario. La scommessa sulla trascendenza - e il sacrificio che implica - sono la più bella conquista del padrone, la sua più bella sottomissione alla necessità di conquistare. Chi ambisce a qualche potere e rifiuta la purificazione della rinuncia (brigante o tiranno) si vedrà presto o tardi braccato come un animale, o peggio, come chi non persegue altri finì che i suoi e per il quale il lavoro si concepisce senza la minima concessione alla serenità di spirito degli altri: Troppmann, Landra, Petiot pareggiando il loro bilancio senza mettere in conto la difesa del mondo libero, dell'occidente cristiano, dello stato o del valore umano, erano vinti in partenza. Rifiutando le regole del gioco, pirati, gangster, fuorilegge turbano le buone coscienze (le coscienze-riflesso del mito), ma i padroni, uccidendo il bracconiere o facendone un guar- 117 diacaccia rendono alla verità di sempre la sua onnipotenza: chi non paga di persona perde anche la sopravvivenza, chi si indebita per pagare ha il diritto di vita pagato. Il sacrificio del padrone è ciò che dà all'umanesimo i suoi contorni, ciò che fa dell'umanesimo - e questo sia inteso ima volta per tutte - la negazione derisoria dell'umano. L'umanesimo non è che il padrone preso sul serio nel proprio gioco e acclamato da coloro che vedono nel sacrificio apparente, questo riflesso caricaturale del loro sacrificio reale, una ragione di sperare nella salvezza. Giustizia, dignità, grandezza, libertà... queste parole che guaiscono o gemono, che cosa sono d'altro se non dei cagnolini da salotto, di cui i padroni attendono il ritorno in tutta serenità da quando degli eroici lacchè hanno strappato il diritto di portarli al guinzaglio per le strade? Usarle, è dimenticare che sono la zavorra grazie alla quale il potere si innalza e si mette fuori tiro. E supponendo che un regime, giudicando che il sacrificio mitico dei padroni non debba volgarizzarsi in forme così universali, si accanisca a distruggerle e a perseguitarle, si è in diritto di inquietarsi del fatto che la sinistra non trovi, per combatterlo, che una logomachia belante in cui ogni parola, ricordando il sacrifìcio di un antico padrone, chiama al sacrificio non meno mitico di un padrone nuovo (un padrone di sinistra, un potere che fucilerà i lavoratori in nome del proletariato). Legato alla nozione di sacrificio, ciò che definisce l'umanesimo appartiene alla paura dei padroni e alla paura degli schiavi, non è che solidarietà di un'umanità fifona. Ma non importa quale parola prenda il valore di un'arma quando serve a scandire l'azione di chiunque rifiuti qualsiasi potere gerarchizzato, Lautréamont e gli anarchici illegalisti l'avevano già capito, i dadaisti anche. Il padrone diventa dunque proprietario nel momento in cui rimette la proprietà degli esseri e delle cose nelle mani di Dio, o di una trascendenza universale, la cui onnipotenza ri- 118 cade su di lui come ima grazia che santifica i suoi più piccoli gesti; contestare il proprietario così consacrato, significa prendersela con Dio, con la natura, con la patria, con il popolo. Escludersi, insomma, dal mondo fisico e spirituale. Per cui sono sature di violenza le parole di Marcel Havrenne che scriveva con tanta noncuranza non si tratta di governare e ancora meno di essere ; non vi è né salvezza né dannazione, non vi è posto nella comprensione universale delle cose, né presso Satana, il grande recuperatore di credenti, né nel mito, qualunque esso sia, poiché egli è l'inutilità vivente. Costoro sono nati per una vita che resta da inventare; nella misura in cui hanno vissuto, è su questa speranza che hanno finito per uccidersi. Sulla singolarizzazione nella trascendenza, due corollari: a) se ontologia implica trascendenza, è chiaro che ogni ontologia giustifica a priori l'esistenza del padrone e il potere gerarchizzato in cui il padrone si riflette in immagini degradate più o meno fedeli; b) alla distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra teoria e pratica, si aggiunge in sovrimpressione la distinzione tra il lavoro-sacrificio-reale e la sua organizzazione sotto la forma del sacrificio apparente. Sarebbe abbastanza affascinante spiegare il fascismo - fra le altre ragioni - come un atto di fede, l'autodafé di una borghesia ossessionata dall'assassinio di Dio e dalla distruzione del grande spettacolo sacro e che si vota al diavolo, a una mistica invertita, una mistica nera con i suoi riti e i suoi olocausti. Mistica e grande capitale. Ricordiamo anche che il potere gerarchizzato non si concepisce senza trascendenze, senza ideologie, senza miti. Il mito della demistificazione è d'altra parte pronto a prendere le consegne, basta omettere, molto filosoficamente, di demistificare con le azioni. Dopo di che, ogni demistificazione, 119 opportunamente sterilizzata, diventa indolore, eutanasiaca, umanitaria insomma. Sarà il movimento di demistificazione, che finirà per demistificare i demistificatori. (Il seguito al prossimo numero) * Che cosa avverrà della totalità, inerente alla società unitaria, alle prese con la demolizione borghese di questa unità? * Una ricostituzione apparente dell'unità riuscirà a ingannare il lavoratore alienato nel consumo? * Ma quale potrebbe essere l'avvenire della totalità in una società parcellare? * Quale superamento inatteso di questa società, e di tutta la sua organizzazione dell'apparenza, ci porterà a un felice epilogo? * E' ciò che dovreste sapere, e che verrà esposto nella seconda parte di questo studio! 120 BANALITÀ DI BASE (II) di Raoul Vaneigem 1 Riassunto dei capitoli precedenti Il Welfare State ci impone oggi, sotto forma di tecniche di comfort (frullatore, conserve, Sarcelles e Mozart per tutti), gli elementi di ima sopravvivenza al cui mantenimento la maggior parte degli uomini non ha cessato e non cessa di consacrare tutta la propria energia, proibendosi, per ciò stesso, di vivere. Ora, l'organizzazione che suddivide l'assetto materiale della nostra vita quotidiana è tale che ciò che, in sé, dovrebbe permettere di costruirla riccamente, ci immerge in un lusso di povertà e rende l'alienazione tanto più insopportabile quanto più ogni elemento di comfort ci piomba addosso con l'aria di una liberazione e il peso di una servitù. Eccoci condannati alla schiavitù del lavoro liberatore. Per comprendere tale problema, è importante situarlo nell'ambito del potere gerarchico, che è l'evidenza del giorno e della notte. Ma forse non basta dire che il potere gerarchizzato protegge l'umanità da millenni come l'alcol protegge il feto impedendogli di putrefarsi o di crescere. Bisogna ancora precisare che il potere gerarchizzato rappresenta lo stadio più elevato dell'appropriazione privata, è storicamente il suo 1 «Banalités de base II», da IS n. 8, gennaio 1963. 121 alfa e omega. Quanto all'appropriazione privata, si può definirla come l'appropriazione delle cose mediante l'appropriazione degli esseri, mentre la lotta contro l'alienazione naturale genera l'alienazione sociale. L'appropriazione privata implica un 'organizzazione dell'apparenza, in cui siano dissimulate le contraddizioni radicali: occorre che i servi si riconoscano come riflessi degradati del padrone, rafforzando così, al di là dello specchio di una illusoria libertà, quel che accresce la loro sottomissione e la loro passività. Occorre che il padrone si identifichi col servitore mitico e perfetto di un dio o di una trascendenza che non è altro che la rappresentazione sacra ed astratta della totalità degli esseri e delle cose su cui egli esercita un potere tanto più reale e tanto meno contestato quanto più si accredita universalmente la virtù della rinuncia ad esso. Al sacrificio dell'esecutore risponde il sacrificio mitico del dirigente, l'imo si nega nell'altro, lo strano diventa familiare e viceversa, ognuno si realizza in senso inverso. Dalla comune alienazione nasce l'armonia, un'armonia negativa di cui la nozione di sacrificio è l'unità fondamentale. Ciò che mantiene l'armonia oggettiva (e pervertita), è il mito, e questo termine è stato usato per designare l'organizzazione dell'apparenza nelle società unitarie, cioè nelle società in cui il potere schiavistico, tribale e feudale ha l'esperienza ufficiale di un'autorità divina e in cui il sacro permette al potere di occupare la totalità. Ora, l'armonia fondata inizialmente sul dono di sé «dono di sé» ingloba una forma di rapporto che si svilupperà, diverrà autonoma e la distruggerà. Questo rapporto si appoggia sullo scambio parcellare (merce, denaro, prodotto, forza-lavoro...), lo scambio di una parte di sé che fonda la nozione di libertà borghese. Esso nasce man mano che il commercio e la 122 tecnica diventano preponderanti all'interno delle economie di tipo di agrario. Con la presa del potere da parte della borghesia, l'unità del potere scompare. L'appropriazione privata sacra si laicizza nei meccanismi capitalistici. Liberata dal sequestro ad opera del potere, la totalità è ridiventata concreta, immediata. L'epoca parcellare non è che un succedersi di sforzi per riconquistare un'unità inaccessibile, risuscitare un surrogato di sacro per porvi al riparo il potere. Un momento rivoluzionario è quando «tutto ciò che la realtà presenta» trova la sua rappresentazione immediata. Tutto il resto del tempo, il potere gerarchizzato, sempre più lontano dal suo apparato magico e mistico, si adopera a far dimenticare che la totalità (che non era altro che la realtà!) lo denuncia come impostore. 14. Attaccando frontalmente l'organizzazione mitica dell'apparenza. le rivoluzioni borghesi andavano a colpire, loro malgrado, il punto nevralgico, non soltanto del potere unitario, ma soprattutto del potere gerarchizzato sotto qualunque forma. Tale errore inevitabile riuscirà a spiegare il complesso di colpa che è uno dei tratti dominanti dello spirito borghese? Quel che è fuor di dubbio, è che si tratta veramente di un errore inevitabile. Errore, intanto, perché una volta spezzata l'opacità menzognera che dissimula l'appropriazione privata, il mito esplode e lascia un vuoto che solo una libertà delirante e la grande poesia vengono a riempire. Certo, la poesia orgiastica fino ad oggi non è riuscita ad abbattere il potere. Non vi è riuscita per ragioni facilmente spiegabili, e i suoi segni ambigui denunciano i colpi che essa ha inferto intanto che cicatrizzano 123 le piaghe. E tuttavia - lasciamo gli storici e gli esteti alle collezioni - basta grattare la crosta del ricordo perché le grida, le parole, i gesti antichi facciano nuovamente sanguinare il potere in tutta la sua estensione. Tutta l'organizzazione della sopravvivenza dei ricordi non impedirà all'oblio di cancellarli man mano che, divenuti vivi, cominceranno a dissolversi; nello stesso modo in cui la nostra sopravvivenza si dissolverà nella costruzione della nostra vita quotidiana. Processo inevitabile: come ha mostrato Marx, l'apparizione del valore di scambio e la sua sostituzione simbolica da parte del denaro aprono una crisi latente e profonda in seno al mondo unitario. La merce introduce nelle relazioni un carattere universale (un biglietto da 1000 franchi rappresenta tutto che ciò che si può comprare con quella somma) e un carattere egualitario (vi è scambio di cose eguali). Questa universalità egualitaria sfugge in parte allo sfruttatore come allo sfruttato, ma l'imo e l'altro vi si riconoscono. Si ritrovano faccia a faccia, a confronto non più nel mistero della nascita e dell'ascendenza divina, come nel caso della nobiltà, ma in una trascendenza intelligibile, che è il Logos, insieme di leggi comprensibili per tutti, anche se una simile comprensione resta misteriosa. Un mistero che ha i suoi iniziati, i sacerdoti che si sforzano di mantenere il Logos nel limbo della mistica divina, per cedere ben presto ai filosofi, successivamente ai tecnici, il posto, se non anche la dignità della loro sacra missione. Dalla Repubblica platonica allo Stato Cibernetico. Così sotto la pressione del valore di scambio e della tecnica (che potremmo definire come una mediazione a portata di mano) il mito si laicizza lentamente. Tuttavia vanno notati due fatti: a) Il Logos che si libera dall'unità mistica si afferma contemporaneamente in essa e contro di essa. Alle strutture comportamentali magiche e analogiche vanno a sovraimprimersi strutture comportamentali razionali e logiche che le 124 negano e le conservano (matematica, poetica, economia, estetica, psicologia ecc.). b) Ogniqualvolta il Logos, od organizzazione dell'apparenza intelligibile, guadagna in autonomia, esso tende a staccarsi dal sacro e a parcellizzarsi. Di modo tale che presenta un doppio pericolo per il potere unitario. Si sa già che il sacro esprime la confisca della totalità da parte del potere, e che chiunque voglia accedere alla totalità deve passare per l'intermediazione del potere. L'interdetto che colpisce i mistici, gli alchimisti, gli gnostici lo prova a sufficienza. Questo spiega anche perché il potere attuale protegga gli specialisti nei quali riconosce confusamente i missionari di un Logos risacralizzato, senza concedere loro piena fiducia. Storicamente esistono dei segni che testimoniano degli sforzi compiuti per fondare nel potere unitario mistico un potere rivale che rivendichi la propria unità del Logos: tali appaiono il sincretismo cristiano, che rende Dio spiegabile psicologicamente, il movimento del Rinascimento, la Riforma e l'Aufklàrung. Sforzandosi di mantenere l'unità del Logos, tutti i signori avevano coscienza del fatto che soltanto l'unità rendeva il potere stabile. Se guardiamo più da vicino, i loro sforzi non sono stati così vani come sembra mostrare la parcellizzazione del Logos nel XIX e nel XX secolo. Nel movimento generale di atomizzazione, il Logos si è sgretolato in tecniche specializzate (fisica, biologia, sociologia, papirologia e risparmio il seguito); ma il ritorno alla totalità si impone simultaneamente con maggior forza. Non lo si dimentichi, basterebbe un potere tecnocraticamente onnipotente perché sia messa in opera la pianificazione della totalità, perché il Logos succeda al mito come requisizione della totalità da parte del potere unitario futuro (cibernetico). In una simile prospettiva, il sogno degli Enciclopedisti (progresso indefinito rigorosamente razionalizzato) avrebbe avuto soltanto una dilazione di due secoli prima di realizzarsi. In questo senso gli stalino-ciberneti- 125 ci preparano l'avvenire. In una tale prospettiva bisogna comprendere che la coesistenza pacifica limita l'unità totalitaria. E' tempo che ognuno prenda coscienza che si è cominciato a resistervi. 15. Il campo di battaglia è conosciuto. Si tratta di preparare la lotta prima che sia dovutamente benedetto il coito politico del patafisico, provvisto della sua totalità senza tecnica, e del cibernetico con la sua tecnica senza totalità. Dal punto di vista del potere gerarchizzato, desacralizzare il mito non era ammissibile se non risacralizzando il Logos, o almeno i suoi elementi desacralizzanti. Prendersela col sacro, era al tempo stesso - conosciamo la musica - liberare la totalità, dunque distruggere il potere. Ora, il potere della borghesia, sbriciolato, povero, contestato senza tregua, conserva un equilibrio relativo appoggiandosi su questa ambiguità: la tecnica, che desacralizza oggettivamente, appare soggettivamente come uno strumento di liberazione. Non una liberazione reale, quale solo la desacralizzazione, vale a dire la fine dello spettacolo, consentirebbe, bensì una caricatura, un surrogato, un'allucinazione provocata. Ciò che la visione unitaria del mondo rigettava nell'aldilà (l'immagine dell'elevazione), il potere parcellare lo inscrive in un futuro maggior benessere (l'immagine del progetto), del sol dell'avvenire che sorge sul letamaio del presente, e che non è altro che il presente moltiplicato per il numero dei gadget da produrre. Dallo slogan Vìvete in Dio, siamo passati alla formula umanistica sopravvivete alla vecchiaia, che suona vivete giovani, vivete a lungo. Il mito desacralizzato e parcellizzato perde la sua superbia e la sua spiritualità. Diventa ima forma povera, che conserva le sue vecchie caratteristiche, ma le rivela in modo concreto, brutale, tangibile. Dio ha cessato di essere regista e, in 126 attesa che il Logos prenda il suo posto con le armi della tecnica e della scienza, i fantasmi dell'alienazione si materializzano dappertutto e seminano il disordine. Stiamo attenti: si tratta dei prodromi di un ordine futuro. Fin da ora, tocca a noi giocare se voghamo evitare che l'avvenire sia posto sotto il segno della sopravvivenza, o anche che la sopravvivenza, divenuta impossibile, sparisca radicalmente (l'ipotesi di un suicidio dell'umanità). E sparisca con lei, evidentemente, tutta l'esperienza di costruzione della vita quotidiana. Gli obiettivi di una lotta per la costruzione della vita quotidiana sono i punti nevralgici di ogni potere gerarchizzato. Costruire l'ima è distruggere l'altro. Presi nel vortice della desacralizzazione e della risacralizzazione, gli elementi contro i quali ci definiamo prioritariamente restano: l'organizzazione dell'apparenza in spettacolo quale ognuno si nega; la separazione che fonda la vita privata, poiché essa è il luogo in cui la separazione oggettiva fra coloro che possiedono e coloro che sono spossessati, è vissuta e ripercossa su tutti i piani; e il sacrificio. I tre elementi sono solidali, questo va da sé, come d'altronde i loro antagonisti: partecipazione, unificazione, realizzazione. Lo stesso vale per il loro contesto: non-totalità (mondo deficitario, ovvero totalità sotto controllo) e totalità. 16. I rapporti umani, un tempo dissolti nella trascendenza divina (in altri termini: la totalità ammantata di sacro), si sono decantati e solidificati da quando il sacro ha finito di agire come catalizzatore. La loro materialità si è rivelata e, mentre le leggi capricciose dell'economia prendevano il posto della Provvidenza, sotto il potere degli dei traspariva il potere degli uomini. Al ruolo allora mitico giocato da ciascuno sotto i riflettori divini corrisponde oggi una moltitudine di ruoli, le cui maschere, per essere dei visi umani, nondimeno continuano ad esigere dall'attore - come dalla comparsa - che ne- 127 ghi la sua vita reale, secondo la dialettica del sacrificio mitico e del sacrificio reale. Lo spettacolo non è altro che il mito desacralizzato e parcellizzato. Esso costituisce il guscio corazzato di un potere (definibile anche come mediazione essenziale) che diventa vulnerabile ad ogni colpo dal momento in cui non riesce più a dissimulare, nella cacofonia in cui tutte le grida si soffocano e si armonizzano a vicenda, la sua natura di appropriazione privata. Come l'infelicità che distribuisce a tutti in dose più o meno forte. Nel quadro di un potere parcellare roso dalla desacralizzazione, i ruoli si impoveriscono, come lo spettacolo segna un impoverimento rispetto al mito. Essi tradiscono la meccanicità e l'artificio tanto pesantemente che il potere, per far fronte alla denuncia popolare dello spettacolo, non ha altra risorsa che quella di prendere l'iniziativa di questa denuncia in modo ancor più pesante, cambiando attori come ministeri, ed organizzando pogrom di registi putativi o prefabbricati (agenti di Mosca, di Wall Street, della giudeocrazia, delle duecento famiglie). Ciò significa anche che ogni attore o comparsa della vita ha fatto posto suo malgrado all'istrione, che lo stile è scomparso, cancellato dalla maniera. Il mito, in quanto totalità immobile, inglobava il movimento (esempio del pellegrinaggio, che è avventura e compimento nell'immobilità). Da una parte, Io spettacolo coglie la totalità solo riducendola a un frammento e a un susseguirsi di frammenti (le Weltanschauung psicologica, sociologica, biologica, filologica, mitologica); dall'altra, si situa alla confluenza del movimento di desacralizzazione e dei tentativi di risacralizzazione. Così esso non riesce a imporre l'immobilità che all'interno del movimento reale, del movimento che lo cambia malgrado la sua resistenza. Nell'epoca parcellare, l'organizzazione dell'apparenza fa del movimento ima successione lineare di istanti immobili (questa progressione a cremagliera si trova perfettamente illustrata dal diamat stali- 128 niano). Nel quadro di ciò che abbiamo chiamato la colonizzazione della vita quotidiana, non esistono altri cambiamenti che quelli di ruoli frammentari. Si è successivamente - e secondo convenienze più o meno imperative - cittadino, padre di famiglia, partner amoroso, politico, specialista, uomo del mestiere, produttore, consumatore. E tuttavia, quale governante non si sente governato? A tutti si applica l'adagio: fottitore qualche volta, fottuto sempre! L'epoca parcellare almeno non avrà consentito alcun dubbio su questo punto: è la vita quotidiana ad essere il campo di battaglia in cui si svolge la lotta tra la totalità e il potere, che impegna tutta la sua energia per controllarla. Ciò che noi rivendichiamo, esigendo il potere della vita quotidiana contro il potere gerarchizzato, è tutto. Noi ci situiamo nel conflitto generalizzato che va dalla lite domestica alla guerra rivoluzionaria, e abbiamo scommesso sulla volontà di vivere. Ciò significa che dobbiamo sopravvivere come antisoprawiventi. Noi ci interessiamo fondamentalmente ai momenti in cui la vita zampilla attraverso la glaciazione della sopravvivenza (che questi momenti siano privi di coscienza o teorizzati, storici - come la rivoluzione - o personali). Ma, occorre arrendersi all'evidenza, noi siamo anche impediti di seguire liberamente il corso di questi momenti (eccettuato il momento della rivoluzione stessa), sia da parte della repressione generale del potere, che da parte delle necessità della nostra lotta, della nostra tattica eccetera. E' importante parimenti trovare il mezzo di compensare questa percentuale di errore supplementare, nell'ampliamento di questi momenti e nella messa in evidenza della loro portata qualitativa. Ciò che impedisce che quanto diciamo sulla costruzione della vita quotidiana sia ricuperato dalla cultura e dalla sottocultura (es.: Arguments, i pensatori che si danno da fare con le loro domande e con le loro ferie pagate), è precisamente il fatto che ognuna delle idee situazioniste è il prolungamento fedele 129 dei gesti abbozzati in ogni istante e da migliaia di persone per evitare che una giornata sia costituita da ventiquattr'ore di vita sciupata. Siamo un'avanguardia? Se sì, essere d'avanguardia vuol dire camminare al passo con la realtà. 17. Noi non pretendiamo di avere il monopolio dell'intelligenza ma quello del suo impiego. La nostra posizione è strategica, siamo al centro di ogni conflitto, quale esso sia. Il qualitativo è la nostra forza d'urto. Se qualcuno getta questa rivista nel cesso perché gli fa schifo, fa un gesto molto più ricco che se la leggesse, la comprendesse a metà e ci domandasse una dissertazione amplificativa grazie a cui potesse provare a se stesso di essere un uomo intelligente e colto, vale a dire un imbecille. Bisognerà ben capire, presto o tardi, che le parole e le frasi che usiamo sono ancora in ritardo sulla realtà; in altri termini, che il carattere distorto e maldestro del nostro modo di esprimerci (ciò che un uomo di gusto chiama, non senza verità, un terrorismo ermetico piuttosto agghiacciante) dipende dal fatto che, anche a questo proposito, noi siamo al centro, sulla frontiera confusa in cui si svolge il combattimento infinitamente complesso del linguaggio sequestrato dal potere (condizionamento) e del linguaggio liberato (poesia). A colui che ci segue con un passo di ritardo, preferiamo chi ci rigetta con impazienza, perché il nostro linguaggio non è ancora l'autentica poesia, cioè la costruzione libera della vita quotidiana. Tutto ciò è relativo al pensiero è relativo allo spettacolo. La maggior parte degli uomini vive nel terrore, opportunamente coltivato dal potere, di un risveglio a se stessi. Il condizionamento, che è la poesia speciale del potere, spinge così lontano la sua influenza (ha tutto l'equipaggiamento materiale in mano sua: stampa, TV, stereotipi, magia, tradizione, economia, tecnica, ciò che noi chiamiamo linguaggio seque- 130 strato) che arriva quasi a dissolvere ciò che Marx chiamava settore non dominato, per sostituirlo con un altro (vedere più avanti il ritratto-robot del sopravvivente). Ma il vissuto non si lascia ridurre così facilmente a una successione di figurazioni vuote. La resistenza all'organizzazione esteriore della vita, cioè all'organizzazione della vita come sopravvivenza, contiene più poesia di tutto quanto, versi e prosa, sia mai stato pubblicato, e il poeta, nel senso letterario del termine, è colui che lo ha almeno compreso o provato. Ma su questa poesia incombe una pesante minaccia. Certo nell'accezione situazionista, questa poesia è irriducibile e irrecuperabile dal potere (giacché un gesto quando viene recuperato dal potere, diventa subito stereotipo, condizionamento, linguaggio del potere). Non impedisce che essa si trovi accerchiata dal potere. E' per mezzo dell'isolamento che il potere accerchia e contiene l'irriducibile; e tuttavia l'isolamento è invivibile. E' una tenaglia: da una parte la minaccia di disintegrazione (follia, malattia, caduta, clochardizzazione, suicidio), dall'altra, le terapie telecomandate; quelle permettono la morte, queste permettono la sopravvivenza nuda e cruda (comunicazione vuota, coesione familiare o amicale, psicoanalisi al servizio dell'alienazione, cure mediche, ergoterapia). L'IS dovrà definirsi, presto o tardi, come terapia: noi siamo pronti a proteggere la poesia fatta da tutti contro la falsa poesia proposta dal solo potere (condizionamento). E' importante che lo capiscano anche medici e psicoanalisti, sotto pena di subire un giorno, con gli architetti ed altri apostoli della sopravvivenza, le conseguenze dei loro atti. 18. Gli antagonismi non possono evolversi se non rimanendo prigionieri delle vecchie forme non superate (per esempio, l'arte anticulturale nello spettacolo culturale). Ogni opposi- 131 zione radicale non vittoriosa o parzialmente vittoriosa - che è la stessa cosa - poco a poco si riduce a opposizione riformi{sta. Le opposizioni parcellari sono come i denti degli ingraf naggi: ingranano e fanno girare la macchina dello spettacolo, del potere. Il mito conservava tutti gli antagonismi nell'archetipo del manicheismo. Dove trovare l'archetipo in una società parcellare? In verità, il ricordo degli antichi antagonismi, colti nella loro forma chiaramente svalorizzata e non-aggressiva, appare oggi come l'ultimo sforzo di coerenza nell'organizzazione dell'apparenza, a tal punto lo spettacolo è divenuto spettacolo della confusione e delle equivalenze. Noi siamo pronti a cancellare ogni traccia di questi ricordi, raccogliendo in una prossima lotta radicale tutta l'energia contenuta negli antichi antagonismi. Da tutte le sorgenti che il potere ha murato può sgorgare un fiume che modificherà il rilievo del mondo. Caricatura degli antagonismi, il potere preme su ciascuno affinché sia prò o contro Brigitte Bardot, le nouveau roman, la 4 cavalli Citroen, gli spaghetti, il mescal, le minigonne, l'Onu, le antiche forme umane, la nazionalizzazione, la guerra termonucleare e l'autostop. A tutti si chiede il loro parere su tutti i dettagli, per meglio impedir loro di averne uno sulla totalità. La manovra, per quanto pesante, riuscirebbe se i commessi viaggiatori che hanno l'incarico di presentarla di porta in porta non si avvedessero anche loro della propria alienazione. Alla passività imposta alle masse spossessate, si aggiunge la passività crescente dei dirigenti e degli attori sottomessi alle leggi astratte del mercato e dello spettacolo, partecipi di un potere sempre meno effettivo sul mondo. Già si manifestano i segni di una ribellione fra gli attori, vedettes che cercano di sfuggire alla pubblicità o dirigenti che criticano il loro stesso potere, B.B. o Fidel Castro. Gli strumenti del potere si logorano, bisogna fare i conti con loro nella misura 132 in cui, da strumenti che erano, rivendicano il loro statuto di esseri liberi. 19. Nel momento in cui la rivolta degli schiavi minacciava di sconvolgere la struttura del potere, e di svelare ciò che univa le trascendenze al meccanismo di appropriazione privata, si è trovato pronto il Cristianesimo per sviluppare un riformismo in grande stile la cui rivendicazione democratica centrale consisteva nel fare accedere gli schiavi non alla realtà di una vita umana - cosa che sarebbe stata impossibile senza denunciare l'appropriazione nel suo movimento di esclusione ma piuttosto all'irrealtà di un'esistenza la cui sorgente di felicità è mitica (l'imitazione di Gesù Cristo come prezzo dell'aldilà). Che cosa c'è di cambiato? L'attesa dell'aldilà è diventata l'attesa del sol dell'avvenire; il sacrificio della vita reali e immediata, è il prezzo pagato per comprare la libertà illusoria di una vita apparente. Lo spettacolo è il luogo in cui il lavoro forzato si trasforma in volontario sacrificio. Niente di più sospetto della formula a ciascuno secondo il suo lavoro in un mondo in cui il lavoro è il ricatto della sopravvivenza; senza parlare della formula a ciascuno secondo i suoi bisogni, in un mondo in cui i bisogni sono determinati dal potere. Rientra nel progetto riformista ogni costruzione che intenda definirsi in modo autonomo, e dunque parziale, e che non tenga conto del fatto di venire in realtà definita dalla negatività in cui tutto è in sospensione. Essa pretende di poggiare sulle sabbie mobili come se si trattasse di una pista di cemento. Tenere in dispregio e misconoscere il contesto fissato dal potere gerarchizzato porta solo a rafforzare quel contesto. Per contro, i gesti spontanei che vediamo apparire in ogni dove, contro il potere e il suo spettacolo, devono essere posti sull'avviso di tutti gli ostacoli e devono trovare ima tattica che tenga conto della forza dell'avversario e dei suoi mezzi di 133 ricupero. Questa tattica che noi ci apprestiamo a divulgare è il détoumement. 20. Il sacrificio è inconcepibile senza ricompensa. In cambio del loro reale sacrificio, i lavoratori ricevono gli strumenti della loro liberazione (comfort, gadget) ma si tratta in questo caso di ima liberazione puramente fittizia perché il potere detiene le modalità d'uso di tutto l'equipaggiamento materiale, perché il potere utilizza ai propri fini sia gli strumenti sia coloro che li usano. Le rivoluzioni cristiana e borghese hanno democratizzato il sacrificio mitico o sacrificio del padrone. Oggi sono legione gli iniziati che raccolgono delle briciole del potere mettendo al servizio di tutti la totalità del loro sapere parziale. Non li si chiama più iniziati, non li si chiama ancora sacerdoti del Logos, ma specialisti e basta. Al livello dello spettacolo il loro potere è incontestabile; il candidato a Lascia o raddoppia e l'impiegato alle P&T che spiegano minuziosamente per tutto il giorno le raffinatezze meccaniche della propria 2Cv [2 Cavalli, Citroen], si identificano l'uno e l'altro allo specialista, ed è noto quanto i capi della produzione traggano profitto da tali identificazioni per addomesticare gli operai. La vera missione dei tecnocrati , consisterebbe soprattutto nell'unificare il Logos se, per una delle contraddizioni del potere parcellare, essi non restassero emarginati in un ridicolo isolamento. Alienati come sono dalle reciproche interferenze, essi conoscono tutto di una particella, ma l'insieme sfugge loro. Il tecnico atomico, lo stratega, lo specialista politico ecc., quale controllo possono esercitare su un'arma nucleare? Quale controllo assoluto può sperare disimporre il potere a tutti i gesti che vengono abbozzati contro di lui? Sono così tanti gli attori che compaiono sulla scena che il caos la fa da padrone. L'ordine regna ma non governa. Nella misura in cui lo specialista partecipa 134 i all'elaborazione degli strumenti che condizionano e trasformano il mondo, egli innesca la rivolta dei privilegiati. Fino ad ora una simile rivolta si è chiamata fascismo. E' essenzialmente una rivolta da operetta - Nietzsche non aveva forse visto in Wagner un precursore? - in cui gli attori, che per lungo tempo sono stati tenuti in disparte o che si ritengono sempre meno Uberi, rivendicano d'un tratto i ruoli principali. Clinicamente parlando, il fascismo è l'isteria del mondo spettacolare, spinta al parossismo. E' in tale parossismo che lo spettacolo assicura momentaneamente la sua unità mentre svela, contemporaneamente, la sua inumanità radicale. Attraverso il fascismo e lo stalinismo, che costituiscono le sue crisi romantiche, lo spettacolo rivela la sua vera natura: esso è una malattia. Noi siamo intossicati dallo spettacolo. Ora, tutti gli elementi che portano a ima cura disintossicante (traduci: a costruire noi stessi, la nostra vita quotidiana) sono nelle mani degli specialisti. Costoro ci interessano dunque tutti al più alto grado, e tuttavia a differenti titoli. Così, ci sono dei casi disperati: non cercheremo di mostrare agli specialisti del potere, ai dirigenti, l'estensione del loro delirio. Per contro, siamo pronti a prendere in considerazione il rancore degli specialisti prigionieri di un ruolo angusto, ridicolo o infamante. Si ammetterà, nondimeno, che la nostra indulgenza non è senza lìmiti. Se, malgrado i nostri sforzi, essi si ostinano a fabbricare il condizionamento che colonizza la loro stessa vita quotidiana, a mettere la loro cattiva coscienza e la loro amarezza al servizio del potere, se preferiscono alla vera realizzazione una rappresentazione illusoria nella gerarchia, se brandiscono con ostentazione la loro specialità (la loro pittura, i loro romanzi, le loro equazioni, la loro sociometria, la loro psicoanalisi, le loro conoscenze balistiche), infine se, sapendo bene - e fra poco si avrà che non lo ignoreranno più che soltanto l'IS e il potere possiedono le modalità d'uso del- 135 la loro specializzazione, scelgono lo stesso di servire il potere, poiché il potere, forte della loro inerzia, li ha, fino ad oggi, scelti per servirlo, allora che crepino! Non si potrebbero mostrare più generosi. Possano capirlo e possano comprendere sopra ogni altra cosa che, oramai, la rivolta degli attori non dirigenti è legata alla rivolta contro lo spettacolo (si veda l'IS e il potere). 21. L'anatema generalizzato scagliato contro il lumpenproletariat dipende dall'uso che di questi faceva la borghesia, alla quale esso forniva, oltre che un regolatore per il potere, le forze dubbie dell'ordine: poliziotti, spie, scagnozzi, artisti... Tuttavia, la critica della società del lavoro vi è latente a un grado di radicalismo notevole. Il disprezzo che vi si professa per i servi e i padroni contiene una critica valida del lavoro come alienazione, critica che non è stata presa in considerazione fino ad oggi perché il lumpenproletariat era il luogo delle ambiguità, ma anche perché la lotta contro l'alienazione naturale, e la produzione del benessere, apparivano ancora nel XIX e all'inizio del XX secolo come dei pretesti validi. Una volta resosi conto che l'abbondanza dei beni di consumo non era che l'altra faccia dell'alienazione nella produzione, il lumpenproletariat acquista ima dimensione nuova; libera il suo disprezzo del lavoro organizzato che prende poco a poco, nell'età del Welfare State, il peso di una rivendicazione che solo i dirigenti rifiutano ancora di ammettere. Malgrado i tentativi di recupero di cui lo sommerge il potere, ogni esperimento effettuato sulla vita quotidiana, vale a dire per costruirla (pratica illegale a partire dal momento della distruzione del potere feudale, in cui essa era stata limitata e riservata ad alcuni), si concretizza attualmente attraverso la critica del lavoro alienante e il rifiuto di sottomettersi al lavoro forzato. Tanto che il nuovo proletariato tende a definirsi 136 negativamente come un Fronte contro il lavoro forzato nel quale si trovano riuniti tutti coloro che resistono al ricupero da parte del potere. E' qui ciò che definisce il nostro campo di azione, il luogo dove noi giuochiamo l'astuzia della storia contro l'astuzia del potere, il ring dove noi scommettiamo sul lavoratore (metallurgico o artista) che cosciente o meno rifiuta il lavoro e la vita organizzati, e contro colui che cosciente o meno - accetta di lavorare agli ordini del potere. In questa prospettiva, non è arbitrario prevedere un periodo transitorio in cui l'automazione e la volontà del nuovo proletariato abbandoneranno il lavoro in mano ai soli specialisti, riducendo manager e burocrati al rango di schiavi momentanei. In un'automazione generalizzata, gli operai invece di sorvegliare le macchine potrebbero circondare con la loro sollecitudine gli specialisti cibernetici ridotti al semplice ruolo di accrescere una produzione che avrà cessato di essere il settore prioritario per obbedire, con un rovesciamento di forza e di prospettiva, al primato della vita sulla sopravvivenza. 22. Il potere unitario si sforzava di dissolvere l'esistenza individuale in ima coscienza collettiva, in modo che ogni unità sociale si definisse soggettivamente come una particella di peso ben determinato in sospensione in un liquido oleoso. Occorreva che ciascuno si sentisse immerso in questa evidenza: che solo la mano di Dio, scuotendo il recipiente, usasse di ogni cosa per i suoi disegni che, andando naturalmente oltre la comprensione di ogni essere umano, si imponevano come emanazione di una volontà suprema e davano senso al minimo cambiamento. (Ogni scossa d'altra parte era solo una via ascendente discendente verso l'armonia: i Quattro Regni, la Ruota della Fortuna, le prove inviate dagli dei). Si può parlare di una coscienza collettiva nel senso che essa è contemporaneamente per ogni individuo e per tutti: del mito e coscien- 137 za dell'esistenza-particolare-nel-mito. La forza dell'illusione è tale che la vita autenticamente vissuta attinge il proprio significato da ciò che essa non è; da qui quella condanna clericale della vita, ridotta alla pura contingenza, alla materialità sordida, alla vana apparenza e al più basso livello di una trascendenza che si degrada man mano che sfugge all'organizzazione mitica. Dio si faceva garante dello spazio e del tempo, le cui coordinate definivano una società unitaria. Egli era il punto di riferimento comune a tutti gli uomini; in cui lo spazio e il tempo si riunivano, come in lui gli esseri si univano al loro destino. Nell'era parcellare, l'uomo resta frammentato tra imo spazio e un tempo che nessuna trascendenza viene a unificare attraverso la mediazione di un potere centralizzato. Viviamo in uno spazio-tempo dissociato, privato di ogni punto di riferimento e di ogni coordinata, come se non dovessimo mai entrare in contatto con noi stessi, benché tutto ci inviti a farlo, C'è un luogo in cui si agisce e un tempo in cui ci si diverte. Lo spazio della vita quotidiana, in cui ci si realizza realmente, è tutto accerchiato da condizionamenti. Lo spazio angusto della nostra realizzazione effettiva ci definisce, e tuttavia noi ci definiamo nel tempo dello spettacolo. O ancora la nostra coscienza non è più coscienza del mito e dell'essere particolare-nel-mito ma coscienza dello spettacolo e coscienza del rao/o-particolare-nello-spettacolo (ho segnalato più sopra i legami di ogni ontologia con un potere unitario, e qui potremmo ricordare che la crisi dell'ontologia appare con tendenza parcellare). O, per esprimerlo in altri termini ancora: nella relazione spazio-tempo, in cui si situano ogni essere e ogni cosa, il tempo è divenuto l'immaginario (il campo delle identificazioni); lo spazio ci definisce, sebbene noi definiamo nell'immaginario e sebbene l'immaginario ci definisca in quanto soggettività. 138 La nostra libertà è quella di ima temporalità astratta in cui noi siamo nominati nel linguaggio del potere (questi nomi, sono i ruoli che ci sono assegnati): una scelta che ci viene lasciata di trovarci dei sinonimi ufficialmente riconosciuti come tali. Al contrario, lo spazio della nostra realizzazione autentica (lo spazio della nostra vita quotidiana) è sotto il dominio del silenzio. Non vi è nome per nominare lo spazio del vissuto, se non nella poesia, nel linguaggio che si libera dal dominio del potere. 23. Desacralizzando e parcellizzando il mito, la borghesia ha messo in testa alle sue rivendicazioni l'indipendenza della coscienza (vedi le rivendicazioni di libertà di pensiero, libertà di stampa, libertà di ricerca, il rifiuto dei dogmi). La coscienza cessa dunque di essere più o meno la coscienza-riflesso del mito. Essa diviene coscienza dei ruoli successivi interpretati nello spettacolo. L'esigenza che la borghesia ha posto sopra ogni cosa è la libertà degli attori e delle comparse all'interno di uno spettacolo organizzato, non più da Dio, dai suoi sbirri e suoi preti, ma dalle leggi naturali ed economiche, leggi capricciose e inesorabili al cui servizio troviamo ancora una volta poliziotti e specialisti. Dio è stato strappato come una benda inutile e la piaga è rimasta aperta. Certo, la benda impediva alla piaga di cicatrizzarsi, ma giustificava la sofferenza, le dava un senso che valeva bene qualche dose di morfina. Ora la sofferenza non si giustifica più e la morfina costa cara. La separazione è divenuta tangibile. Chiunque può metterci il dito e, in fatto di rimedi, tutto quel che la società cibernetica è capace di proporci è di diventare spettatori della cancrena e della putrefazione, spettatori della sopravvivenza. Il dramma della coscienza di cui parla Hegel è piuttosto la coscienza del dramma. Il Romanticismo risuona come il 139 grido dell'anima strappata al corpo, una sofferenza tanto più acuta quanto più ciascuno si ritrova isolato ad affrontare la caduta della totalità sacra e di tutte le case Usher. 24. La totalità è la realtà oggettiva nel cui movimento la soggettività può inserirsi soltanto sotto forma di realizzazione. Tutto ciò che non è realizzazione della vita quotidiana rientra nello spettacolo in cui la sopravvivenza è congelata (ibernazione) e smerciata in pezzi. Non c'è realizzazione autentica se non nella realtà oggettiva, nella totalità. Tutto il resto è caricatura. La realizzazione oggettiva che si opera nel meccanismo dello spettacolo non è altro che un successo di oggetti manipolati dal potere (è la realizzazione oggettiva nella soggettività degli artisti famosi, delle vedettes, dei personaggi del Who's who). Al livello dell'organizzazione dell'apparenza, ogni successo - come pure ogni fallimento - è gonfiato fino a diventare stereotipo, e volgarizzato dall'informazione come se si trattasse del solo successo o del solo fallimento possibili. Fino ad oggi, unico giudice è rimasto il potere, benché il suo giudizio sia sottoposto a pressioni. I suoi criteri sono gli unici validi per coloro che accettano lo spettacolo e si accontentano di interpretarvi un ruolo. Su quel palcoscenico non vi sono più artisti, ma soltanto comparse. 25. Lo spazio-tempo della vita privata si armonizzava nello spazio-tempo del mito. A quell'armonia pervertita risponde l'armonia universale di Fourier. Dal momento in cui il mito cessa di inglobare l'individuale e il parziale in una totalità dominata dal sacro, ogni frammento si erige in totalità. Nei fatti, il frammento eretto in totalità è il totalitario. Nello spaziotempo dissociato che produce la vita privata, il tempo, assolutizzato secondo il modulo della libertà astratta, che è 140 quella dello spettacolo, consolida con la sua stessa dissidenza l'assoluto spaziale della vita privata, il suo isolamento, la sua angustia. Il meccanismo dello spettacolo alienante dispiega una forza tale che la vita privata ne risulta definita come ciò che è privato di spettacolo, il fatto di sfuggire alle categorie spettacolari ed ai ruoli, essendo inteso come una privazione supplementare, come un malessere da cui il potere trae pretesto per ridurre la vita quotidiana a gesti senza importanza (sedersi, lavarsi, aprire una porta). 26. Lo spettacolo che impone le sue norme al vissuto ricava la propria causa dal vissuto. Il tempo dello spettacolo vissuto sotto forma di ruoli successivi, fa dello spazio del vissuto autentico il luogo dell'impotenza oggettiva mentre, simultaneamente, l'impotenza oggettiva, quella che dipende dal condizionamento dell'appropriazione privata, fa dello spettacolo l'assoluto della libertà virtuale. Gli elementi nati nel vissuto non trovano riconoscimento se non al livello dello spettacolo, in cui si esprimono sotto forma di stereotipi, nonostante che un'espressione siffatta sia ad ogni momento contestata e smentita nel vissuto e per il vissuto autentico. L'identikit dei sopravviventi - che Nietzsche chiamava i piccoli o degli ultimi uomini - è concepibile solo nella dialettica del possibile-impossibile compresa come segue: a) il possibile al livello dello spettacolo (la varietà dei ruoli astratti) rafforza l'impossibile al livello del vissuto autentico; b) l'impossibile (cioè i limiti imposti al vissuto reale da parte dell'appropriazione privata) determina l'area dei possibili astratti. La sopravvivenza è a due dimensioni. Contro una simile riduzione, quali sono le forze che possono mettere l'accento 141 su ciò che costituisce il problema quotidiano di tutti gli esseri umani: la dialettica della sopravvivenza e della vita? O quelle forze precise sulle quali ha puntato l'IS renderanno possibile il superamento di questi contrari e riunificheranno lo spazio e il tempo nella costruzione della vita quotidiana, oppure vita e sopravvivenza si sclerotizzeranno in un antagonismo indebolito fino all'estrema confusione e all'estrema povertà. 27. La realtà vissuta è parcellizzata ed etichettata spettacolarmente in categorie, siano esse biologiche, sociologiche o altre, dipendenti dal comunicabile ma che non comunicano mai altro che fatti svuotati del loro contenuto autenticamente vissuto. E' in questo che il potere gerarchizzato, che imprigiona ogni meccanismo oggettivo dell'appropriazione privata (ammissione-esclusione, vedi paragrafo 3, è altresì dittatura sulla soggettività. E' in quanto dittatore della soggettività che esso costringe, con limitate possibilità di successo, ogni soggettività individuale a oggettivarsi, cioè a diventare un oggetto che essa manipola. C'è qui ima dialettica estremamente interessante, che converrebbe analizzare più da vicino (cfr. la realizzazione oggettiva nella soggettività - che è quella del potere - e la realizzazione oggettiva nell'oggettività - che riguarda la prassi di costruzione della vita quotidiana e di distruzione del potere). Ora i fatti sono privati di contenuto in nome del comunicabile, in nome di una universalità astratta, in nome di un'armonia pervertita in cui ognuno si realizza in senso inverso. In una simile prospettiva, l'IS si situa nella linea di contestazione che passa attraverso Sade, Fourier, Lewis Carroll, Lautréamont, il surrealismo, il lettrismo - per lo meno nelle sue correnti meno conosciute, che furono le più estreme. In un frammento eretto a totalità, ogni particella è essa stessa totalitaria. L'individualismo ha trattato la sensibilità, il 142 desiderio, la volontà, l'intelligenza, il buon gusto, il subconscio e tutte le categorie dell'io come degli assoluti. La sociologia oggi viene ad arricchire le categorie psicologiche, ma la varietà introdotta nei ruoli non fa che accentuare ancor più la monotonia del riflesso di identificazione. La libertà del sopravvivente sarà quella di assumere il costituente astratto cui avrà scelto di ridursi. Una volta scartata ogni realizzazione reale, non rimane che una drammaturgia psicosociologica in cui l'interiorità serve da eccedenza per evacuare le spoglie di cui ci si è rivestiti nell'esibizione quotidiana. La sopravvivenza diventa lo stadio più compiuto della vita organizzata secondo il modulo del ricordo meccanicamente riprodotto. 28. Fino ad oggi l'approccio alla totalità è stato falsificato. Il potere si insinua parassitariamente come una mediazione indispensabile fra gli uomini e la natura. Ora, solo la prassi fonda il rapporto fra gli uomini e la natura. E' essa che spezza senza tregua lo strato di menzogna di cui il mito e i suoi succedanei tentano di esprimere la coerenza. La prassi, anche alienata, è ciò che mantiene il contatto con la totalità. Nel rivelare il suo carattere frammentario, la prassi rivela nel contempo la totalità reale (la realtà), essa è la totalità che si realizza attraverso il suo contrario, il frammento. Nella prospettiva della prassi, ogni frammento è totalità. Nella prospettiva del potere, che aliena la prassi, ogni frammento è totalitario. Questo deve bastare per silurare gli sforzi che il potere cibernetico si appresta a compiere per integrare la prassi in una mistica, per quanto non si debba sottovalutare la serietà di questi sforzi. Tutto ciò che è prassi entra nel nostro progetto, ne fa parte con la sua dose di alienazione, con le impurità del potere: ma noi siamo in grado di filtrare. Noi metteremo in luce la forza e la purezza dei gesti di rifiuto come delle manovre 143 dì assoggettamento, non in ima visione manichea, ma facendo evolvere, con la nostra strategia, questa battaglia in cui ovunque, in ogni istante, gli avversari cercano il contatto e si scontrano senza metodo, in una notte e in un'incertezza senza rimedio. 29. La vita quotidiana è sempre stata svuotata a vantàggio della vita apparente, ma l'apparenza, nella sua coesione mitica, aveva forza sufficiente perché mai si parlasse di vita quotidiana. La povertà, il vuoto dello spettacolo, che traspare attraverso tutti i vari tipi di capitalismo e tutte le varietà borghesi, ha rivelato contemporaneamente l'esistenza di una vita quotidiana (una vita rifugio, ma rifugio di che cosa e contro che cosa?) e la povertà della vita quotidiana stessa. Man mano che si rafforzano la reificazione e la burocratizzazione, il carattere deficitario dello spettacolo e della vita quotidiana divengono la sola evidenza. D conflitto tra l'umano e l'inumano è passato anch'esso sul piano dell'apparenza. Dal momento in cui il marxismo diventa un'ideologia, la lotta che Marx conduce contro l'ideologia in nome della ricchezza della vita si trasforma in una antideologia ideologica, uno spettacolo dell'antispettacolo (così come nella cultura d'avanguardia, la disgregazione dello spettacolo antispettacolare è quella di restare fra gli attori soltanto, essendo l'arte antiartistica fatta e compresa dai soli artisti; è necessario considerare i rapporti che questa antideologia ideologica ha con la funzione del rivoluzionario di professione nel leninismo). E' in questo modo che il manicheismo si è trovato per qualche tempo rivivificato. Perché Sant'Agostino combatte i manichei con tanta asprezza? Perché ha ben valutato il pericolo di un mito che offre una sola soluzione, la vittoria del buono sul cattivo; egli sa che una simile impossibilità rischia di provocare il crollo delle strutture mitiche nella loro inte- 144 rezza e di riportare in primo piano la contraddizione tra vita mitica e vita autentica. Il cristianesimo offre la terza via, quella della confusione sacra. Quel che il cristianesimo ha compiuto con la forza del mito, oggi si compie con la forza delle cose. Non esiste più antagonismo possibile fra i lavoratori sovietizzati e i lavoratori capitalizzati, come non c'è più antagonismo possibile fra la bomba dei burocrati staliniani e quella dei burocrati non staliniani, ormai esiste soltanto un'unità nella confusione degli esseri reificati. Dove sono i responsabili, gli uomini da abbattere? E' un sistema a dominarci, una forma astratta. I gradi di umanità e di inumanità si misurano secondo variazioni puramente quantitative di passività. La qualità è ovunque la stessa: o tutti proletarizzati o in via di diventarlo. Cosa fanno i rivoluzionari tradizionali? Riducono la distanza fra i pianerottoli, fanno in modo che certi non lo siano più di altri. Quale partito ha messo nel suo programma la fine del proletariato? La prospettiva di sopravvivenza è divenuta insopportabile. Quel che noi siamo è il peso delle cose nel vuoto. E' questa la reificazione: ogni essere e ogni cosa cadono nel vuoto con velocità eguale, ogni essere e ogni cosa che recano il proprio valore eguale come ima tara. Il regno delle equivalenze ha realizzato il progetto cristiano, ma lo ha realizzato al di fuori del cristianesimo (come Pascal ha supposto) e soprattutto lo ha realizzato sul cadavere di Dio, contrariamente alle previsioni pascali ane. Spettacolo e vita quotidiana coesistono nel regno delle equivalenze. Gli esseri e le cose sono intercambiabili. Il mondo della reificazione è il mondo privato del centro, come le nuove città che ne costituiscono lo scenario. Il presente si dilegua di fronte alla promessa di un futuro perpetuo che non è che l'estensione meccanica del passato. La temporalità stessa è privata di centro. In questo universo concentrazionario in cui vittime e torturatori portano la stessa maschera, la 145 realtà autentica è quella delle torture. Queste torture nessuna nuova magia le può alleviare, né l'ideologia della totalità (Logos), né quella del nichilismo, che saranno le stampelle della società cibernetica. Queste torture sono la condanna di qualsivoglia potere gerarchizzato, comunque dissimulato e organizzato che sia. L'antagonismo che l'IS si avvia a rinnovare è il più antico che ci sia: è l'antagonismo radicale ed è per questo che esso riprende in sé quanto i momenti insurrezionali o le grandi individualità hanno abbandonato nel corso della storia. 30. Ci sarebbero molte altre banalità da riprendere e da ripercorrere. Le cose migliori non hanno mai fine. Prima di rileggere quanto precede, e che imo spirito mediocre può comprendere al terzo tentativo, è bene consacrare al testo che segue un'attenzione tanto più sostenuta quanto più questi appunti, frammentari come gli altri, richiedono delle discussioni e delle messe a punto. Si tratta di una questione centrale: l'IS e il potere rivoluzionario. L'IS, considerando congiuntamente la crisi dei partiti di massa e la crisi delle élites, dovrà definirsi come superamento del Ce bolscevico (superamento del partito di massa) e del progetto nietzschiano (superamento dell'intellighenzia): a) Ogniqualvolta un potere si è presentato come dirigente di una volontà rivoluzionaria, esso ha compromesso a priori il potere della rivoluzione. Il Ce bolscevico si definiva contemporaneamente come concentrazione e come rappresentanza. Concentrazione di un potere antagonista al potere borghese, rappresentanza della volontà delle masse. Questa doppia caratteristica lo costrinse a non essere ben presto nient'altro che un potere svuotato, un potere dalla rappresentanza vuota e, di conseguenza, a ricongiungersi in una forma comune (la 146 burocrazia) col potere borghese, sottoposto, sotto la sua pressione a un'evoluzione similare. Virtualmente, le condizioni di un potere concentrato e di una rappresentanza di massa esistono nell'IS, allorché fa presente che essa è detentrice del qualitativo e che le sue idee sono nella testa di tutti. Tuttavia noi rifiutiamo contemporaneamente la concentrazione di un potere e il diritto di rappresentare, consapevoli di prendere da tale istante il solo atteggiamento pubblico (poiché non possiamo evitare di farci conoscere, fino a un certo punto, nei modi spettacolari) che possa dare a coloro che si scoprono sulle nostre posizioni teoriche e pratiche il potere rivoluzionario, il potere senza mediazione, il potere che contiene in sé l'azione diretta di tutti. L'immagine-guida potrebbe essere la Colonna Durruti che passa di città in villaggio liquidando gli elementi borghesi e lasciando ai lavoratori la cura di organizzarsi. b) ì-.'intellighenzia è la sala degli specchi del potere. Contestando il potere, essa offre soltanto identificazioni catartiche alla passività di coloro i cui gesti sono ognuno un abbozzo di contestazione reale. Il radicalismo - del gesto e non della teoria, evidentemente - che si è potuto cogliere nella dichiarazione dei 121 , ha mostrato tuttavia qualche possibilità differente. Noi siamo capaci di precipitare questa crisi, ma possiamo farlo solo entrando come potere nel?intellighenzia (e contro di essa). Questa fase - che deve precedere quella descritta nel punto a) ed essere integrata da essa - ci collocherà nella prospettiva del progetto nietzschiano. Ci avviamo, in effetti, a costituire un piccolo gruppo sperimentale, quasi alchimista, in cui si inneschi la realizzazione dell'uomo totale. Una simile impresa è concepita da Nietzsche solo nel 1 1 Manifesto redatto da 121 intellettuali francesi contro la guerra d'Algeria [n.d.t.]. 147 quadro del principio gerarchico. Orbene, è questo il quadro in cui di fatto ci troveremo. Sarà dunque della massima importanza che noi ci presentiamo senza la minima ambiguità (al livello del gruppo, la purificazione del nucleo e l'eliminazione dei residui sembra ora compiuta). Non accettiamo il quadro gerarchico nel quale ci troviamo collocati se non nell'impazienza di annientare quelli che dominiamo, e che non possiamo non dominare sulla base dei nostri criteri di riconoscimento. c) Sul piano tattico, la nostra comunicazione deve essere un irradiamento a partire da un centro più o meno nascosto. Noi stabiliremo delle reti non materializzate (rapporti diretti, episodici, contatti non costrittivi, sviluppo di rapporti vaghi di simpatia e di comprensione, alla maniera degli agitatori rossi prima dell'arrivo degli eserciti rivoluzionari). Noi rivendichiamo come nostri, mentre li analizziamo, i gesti radicali (azioni, scritti, atteggiamenti politici, opere) e consideriamo i nostri gesti o le nostre analisi come rivendicate dai più. Come Dio costituiva il punto di riferimento della società unitaria passata, cosi noi ci prepariamo a fornire a una società unitaria ora possibile il suo punto di riferimento centrale. Ma questo punto non potrebbe essere fisso. Esso rappresenta, contro la confusione sempre ripetuta che la società cibernetica attinge nel passato dell'inumanità, il gioco di tutti gli uomini, l'ordine mobile dell'avvenire. 148 RISPOSTA A UN'INCHIESTA DEL CENTRO D'ARTE SOCIO-SPERIMENTALE diJ.-V. Martin, J. Strijbosch, R. Vaneigen, R. Viénet 1 1. Perché il popolo non si sente toccato dall'arte? Perché l'arte rimane privilegio di certi strati colti della classe borghese? L'importanza del tema della presente inchiesta del Centro d'arte socio-sperimentale, e lo spazio limitato riservato alle risposte, obbligano a un certo schematismo. La posizione dei situazionisti su questi argomenti è stata esposta con più esattezza nelle riviste dell'IS (Internationale Situatìonniste, Der Deutsche Gedanke, Situationistìk Revolution) e nel catalogo pubblicato in occasione della manifestazione Distruzione di RSG 6 nel giugno scorso in Danimarca. Il popolo, vale a dire le classi non dominanti, non può, legittimamente sentirsi interessato da nulla nella cultura o nell'organizzazione della vita sociale, di ciò che si è formato al di fuori della sua partecipazione e del suo controllo; e anche deliberatamente contro questa partecipazione o questo controllo. Il popolo può solo trovarsi ad essere illusoriamente interessato da sottoprodotti appositamente destinati al suo consumo: tutte le forme di pubblicità e di propaganda spettacolari a favore di modelli di comportamento, e di prodotti disponibili. 1 «Réponse à une enquéte du centre d'art socio-expérimental», da IS n. 9, agosto 1964. 149 Eppure non è possibile dedurne semplicemente che l'arte sussista come privilegio della classe borghese. Nel passato ogni classe dominante ha avuto la sua arte - per le stesse ragioni per cui ima società senza classi non ne avrà, sarà al di là della pratica artistica. Ma le condizioni storiche del nostro tempo, per l'appunto legate al superamento di una soglia nel processo di appropriazione della natura da parte dell'uomo e, per questa via, al progetto concreto di una società senza classi, sono tali che in essa la grande arte è stata giocoforza rivoluzionaria. Ciò che è stato chiamato arte moderna dalle sue origini nel diciannovesimo secolo fino alla sua fioritura nel primo terzo del ventesimo, è stata un'arte contro la borghesia. La crisi attuale dell' arte è legata alla crisi del movimento operaio dopo la sconfitta della rivoluzione russa e la modernizzazione del capitalismo. Oggi è un seguito posticcio dell'arte moderna: ripetizioni formali imballate in modo pubblicitario, scisse dalla contestazione originale, come pure il consumo bulimico di pezzi e brandelli di antiche culture, amputati di tutto il loro significato (dei quali Malraux fu il più comico venditore in teoria e ora ne realizza l'esposizione nelle sue case della cultura) a costituire più esattamente il discutibile privilegio del nuovo strato di lavoratori attuali che prolifera con lo sviluppo del settore terziario dell'economia. Questo settore è strettamente legato a quello dello spettacolo sociale: questo strato intellettuale (le cui necessità di formazione e di impiego spiegano insieme l'accrescimento quantitativo e la degradazione dell'insegnamento) è al tempo stesso il più direttamente produttore dello spettacolo, e consumatore della sua parte propriamente culturale. Due correnti ci sembrano rappresentare l'attuale consumo culturale proposto a questo pubblico di lavoratori intellettuali alienati. Da una parte, i tentativi del genere Gruppo di ricerca d'ar- 150 te visiva vanno nettamente nel senso dell'integrazione della popolazione al sistema socio-economico regnante quale la perseguono, in questo momento, l'urbanistica poliziesca e i pensatori del controllo cibernetico: un'autentica parodia delle tesi rivoluzionarie sulla fine della passività dello spettatore separato e sulla costruzione delle situazioni, è ciò con cui quest'arte visiva pretende di far partecipare lo spettatore e alla sua miseria; spingendo la mancanza di dialettica fino a liberarlo facendogli divieto di non partecipare (volantino alla III Biennale di Parigi). D'altra parte, il nuovo realismo, riprendendo molto della forma (non dello spirito) dadaista è un'arte apologetica della pattumiera. Si inscrive bene nel margine di pseudolibertà e può offrirsi una civiltà del gadget e dello spreco. Ma l'importanza di simili artisti resta molto secondaria, anche in confronto alla pubblicità commerciale. Così, paradossalmente, il realismo socialista dell'Est, che non è per nulla un'arte, ha nondimeno una funzione sociale più decisiva. Il fatto è che all'Est il potere resiste anzitutto vendendo ideologia (cioè giustificazioni mistificatrici), e all'Ovest vendendo beni di consumo. Il fatto che la burocrazia non ha potuto costituirsi la sua arte specifica, ma ha adottato formalmente la visione pseudoartistica dei piccoli borghesi conformisti del secolo scorso, a dispetto della mancanza di efficacia che grava su questa formula, conferma l'impossibilità attuale di un'arte come privilegio della classe dominante. Tuttavia, ogni arte è sociale nel senso che è radicata in una società, e anche suo malgrado si apparenta alle condizioni dominanti, o alla loro negazione. Antichi momenti della contestazione sopravvivono frammentariamente e perdono così il loro valore artistico (o postartistico) nell'esatta misura della loro perdita del centro della contestazione. Con questo centro va perduto il riferimento alla massa di atti postartistici (di ribellione e di ricostruzione libera della vita) che esistono 151 già nel mondo, e che tendono a sostituire l'arte. Allora, questa contestazione frammentaria si ripiega sull'estetica, si fissa in un estetica subito invecchiata, inoperante, in un mondo in cui è già troppo tardi per l'estetica come è avvenuto per il surrealismo. Altre correnti rappresentano tipicamente il misticismo borghese degradato (l'arte come sostituto della religione). Esse riproducono - ma soltanto nel sogno solitario e nella pretesa idealista - le forze che dominano ufficialmente e praticamente la vita sociale presente: la non-comunicazione, il bluff, il gusto frenetico del rinnovamento in sé della sostituzione rapida di gadget arbitrari e privi di interesse: come il lettrismo, a proposito del quale abbiamo potuto scrivere che Isou, prodotto di un'epoca d'arte inconsumabile ha soppresso l'idea stessa del suo consumo e che ha proposto la prima arte del solipsismo (Intemazionale Situazionista n. 4) Infine, la moltiplicazione stessa delle pretese correnti artistiche che nulla distingue realmente dalle altre è, in qualche modo, un'applicazione dei princìpi della vendita moderna dello stesso prodotto sotto etichette rivali. 2. In che cosa l'arte può essere realmente sociale? I tempi dell'arte sono passati. Si tratta ora di realizzare l'arte, di costruire effettivamente a tutti i livelli della vita, ciò che, in precedenza, non ha potuto essere altro che illusione o rimembranza artistica, sognati e conservati unilateralmente. Non si può realizzare l'arte se non sopprimendola. Tuttavia, occorre obiettare allo stato presente della società, che sopprime l'arte rimpiazzandola con l'automatismo di imo spettacolo ancora più gerarchico e passivo, che non si potrà realmente sopprimere l'arte se non realizzandola. 3. La società politica in cui vivete favorisce o sfavorisce la vostra funzione sociale d'artista? 152 Questa società ha soppresso, di fatto, ciò che voi chiamate funzione sociale dell'artista. Se si tratta della funzione di impiegato nello spettacolo regnante è evidente che i posti da occupare si moltiplicano con lo spettacolo stesso. Ma i situazionisti non sono affatto disposti a integrarvisi. Se si considera, al contrario, che si tratta di essere gli eredi dell'arte passata mediante nuovi tipi di attività, a cominciare dalla contestazione della totalità sociale, è del tutto normale che la società in questione ostacoli una tale pratica. 4. Pensate che la vostra estetica sarebbe diversa se foste posti in altre realtà sociali, politiche, economiche? Certamente. Realizzandosi le nostre prospettive, l'estetica (come pure la sua negazione) sarà superata. Se, attualmente, ci trovassimo posti in un paese sottosviluppato o sottomessi a condizioni arcaiche di dominio (colonizzazione, dittatura di tipo franchista), riconosceremmo una certa partecipazione possibile degli artisti in quanto tali alle lotte popolari, e quindi a ima comunicazione non completamente posticcia, su di una base più antica: la vecchia funzione sociale dell'artista ancora reale per qualche tempo, rispetto al ritardo generale (sociale e culturale) dell'ambiente. Se la nostra tendenza fosse costituita in un paese governato dalla burocrazia cosiddetta socialista, dove è sistematicamente organizzata la mancanza di informazione sulle esperienze, culturali ed altre, dei cinquanta ultimi anni nei paesi industriali avanzati, noi condivideremmo certo l'esigenza minima della diffusione della verità, ivi compresa la verità sull'arte occidentale attuale. Ciò nonostante l'inevitabile ambiguità di questa rivendicazione, dato che la storia dell'arte moderna in Occidente è Ubera e perfino famosa, ma falsificata in profondità; e che la sua importazione all'Est favorirebbe necessariamente anzi- 153 tutto gli Evtusenko di turno, cioè tuia modernizzazione dell'arte ufficiale. 5. Partecipate o no alla politica? E perché? Sì, ma a una sola: lavoriamo, con diverse altre forze nel mondo, al collegamento e all'organizzazione teorica e pratica di un nuovo movimento rivoluzionario. Tutte le considerazioni che sviluppiamo qui costituiscono le nostre non separabili ragioni per andare al di là dei fallimenti della vecchia politica specializzata. 6. Un'unione degli artisti sembra necessaria? Quali potrebbero esserne gli obiettivi? Le unioni di artisti abbondano, prive di princìpi o fondate arbitrariamente su qualche stravagante delirio, come sindacato di mutuo soccorso, circuito chiuso di garanzie elogiatrici, arrivismo collettivo. I lavori che, per la minima occasione, si proclamano collettivi sono di moda e persino in primo piano alle sventurate biennali di Parigi, per distogliere l'attenzione dai problemi effettivi del superamento dell'arte. Noi guardiamo a tutte queste unioni con eguale disprezzo, non accettiamo alcun contatto con questo ambiente. Quanto a un'unione coerente e disciplinata, per la realizzazione di un programma comune, pensiamo che essa è possibile, sulle basi dell'Internazionale Situazionista a condizione che i partecipanti siano abbastanza severamente selezionati da avere tutti del genio, e da cessare in qualche modo di essere degli artisti, di considerarsi degli artisti, secondo la vecchia accezione del termine. D'altronde, ci si può domandare se i situazionisti siano degli artisti, anche d'avanguardia. Ciò non soltanto perché questo riconoscimento è quasi universalmente contestato nel 154 II 1 j ! ) mondo culturale, per lo meno dal momento in cui l'insieme del programma situazionista è in gioco, e perché i loro interessi eccedono certamente il vecchio campo dell'arte. Ma questa qualità di artisti è ancora più discutibile sul piano socioeconomico. Molti situazionisti vivono per lo più di espedienti, che vanno dalla ricerca storica al poker, sono barman o marionettisti. E' anche un fatto notevole che, su 28 membri dell'Internazionale situazionista che abbiamo dovuto escludere fino ad oggi, 23 figuravano fra quei situazionisti che hanno individualmente un'attività artistica caratterizzata, ed anche un successo economico crescente in questa attività: capitava loro di venir riconosciuti come artisti a dispetto della loro adesione all'IS; ma allora tendevano a dare delle garanzie ai nostri nemici - che sperano di inventare un situazionismo per sbarazzarsi di noi, integrandoci allo spettacolo come una qualunque estetica della fine del mondo; con ciò, essi volevano ancora rimanere nell'IS, era inaccettabile. Il valore statistico di queste cifre pare innegabile. Va da sé che altri obiettivi di un'eventuale unione degli artisti ci sono indifferenti, poiché li consideriamo interamente decaduti. 7. Quali relazioni ponete tra l'opera che esponete qui e queste dichiarazioni? L'opera allegata non può evidentemente rappresentare un 'arte situazionista. Nelle condizioni culturali presenti, molto chiaramente controsituazioniste, noi ricorriamo ad ima comunicazione contenente la propria critica, sperimentata in tutti i suoi supporti accessibili, dal cinema alla scrittura e che abbiamo teorizzato col nome di détoumement. Poiché il centro d'arte socio-sperimentale ha limitato in questo caso la sua inchiesta alle arti plastiche, abbiamo scelto, fra le numerose possibilità che offre il détoumement per l'agitazione, 155 l'antiquadro di Michèle Bernstein: Vittoria della banda Bonnot. Fa parte di una serie, che comporta segnatamente la Vittoria della Comune di Parigi, la Vittoria della Grande Jacquerie del 1358, la Vittoria dei Repubblicani spagnoli, la Vittoria dei Consigli Operai a Budapest, e molte altre vittorie ancora. Tali pitture si propongono di negare la pop art (caratterizzata materialmente e «ideologicamente» dall'indifferenza e l'uggiosa soddisfazione) integrando solo oggetti presi nella categoria del giocattolo, e rendendoli il più pesantemente possibile significanti. Questa serie riprende così, in un certo modo, la pittura di battaglie e corregge, nel senso che ci si addice, la storia delle rivolte, che non è finita. Sembra che un nuovo avvio della trasformazione del mondo debba sempre cominciare con l'apparire di un nuovo irrealismo. Speriamo che le nostre manifestazioni di umorismo come di serietà contribuiranno ad illuminare la nostra posizione sui rapporti attuali fra l'arte e la società. 6 dicembre 1963 Per l'Internazionale Situazionista J.-V. Martin J. Strijbosch R. Vaneigen R. Viénet 156 CORRISPONDENZA CON UN CIBERNETICO di G.-E. Debord 1 Abraham A. Moles - a giudicare dall'intestazione della sua carta da lettere: dottore in lettere (filosofia), dottore in scienze (fìsica), ingegnere, professore assistente (Università di Strasburgo), professore all'Eost - ha indirizzato, il 16 dicembre 1963, questa lettera aperta al Gruppo Situazionista Signore, ho appreso dell'esistenza del Gruppo Situazionista per mezzo del mio amico e collega Henri Lefebvre. Il significato che ho attribuito al termine «situazionista» deriva dunque in gran parte da quel che lui mi ha detto e dalla lettura di un certo numero dei vostri bollettini, cui vi pregherei di abbonarmi. L'interpretazione che adotto della parola «situazione» è qui puramente personale e forse in disaccordo con la vostra. Mi sembra che, di fronte al dramma personale dell'alienazione tecnologica che ciascuno di noi per proprio conto avverte, di fronte al consumo sfrenato dell'opera d'arte che distrugge il significato stesso del termine, di fronte a un certo numero di concetti, come la felicità anestetica o l'obsolescenza incorporata, cara a Vance Packard, degli individui possano chie1 «Correspondance avec un cybernéticien» da IS n. 9, agosto 1964. 157 dersi dove si può situare l'originalità creativa in una società frigoriferizzata, integrata o no da una mistica dell'aspirapolvere, secondo Goldmann. La libertà interstiziale è riconducibile poco a poco allo zero, man mano che i cibernetici tecnocratici, di cui io faccio parte, schedano progressivamente i tre miliardi di insetti. La vita quotidiana è un susseguirsi di situazioni; queste situazioni appartengono a un ambito fortemente limitato. E' possibile allargare questo repertorio, si possono trovare nuove situazioni? Mi sembra che sia qui che la parola situazionista acquisti un senso. Una situazione mi pare un sistema di percezioni legato ad un sistema di reazione a breve scadenza. Certo mi piacerebbe trovare nelle vostre pubblicazioni uno studio su quello che chiamate «situazione»: un individuo che, per una ragione qualunque cammina sul soffitto invece che per terra, è in ima situazione nuova? Uno che danza su una corda è in una situazione rara? Mi sembra che due caratteri consentano di apprezzare questo concetto. C'è innanzitutto la novità di una situazione data in rapporto all'insieme di quelle che conosciamo. Per un viaggiatore, una lingua straniera porta un gran numero di situazioni nuove e vi è in ciò, visibilmente, una grandezza metrica: la quantità di stranezza che percepisce nel mondo estemo. Noi viviamo abitualmente delle situazioni leggermente nuove per le quali dobbiamo creare un comportamento. Questo termine ha qui un semplice carattere statistico: quello che vale per X non vale per Y, ma vi può essere un «situazionismo marginale» in cui gli individui ricercano sistematicamente delle percezioni o dei comportamenti slightly queer. Una importante fonte di situazioni nuove deriverà dall'assemblaggio straordinario di un grande numero di microsituazioni ordinarie; è ciò che dà valore alla tecnica redazionale di Graham Greene, che assembla in una sequenza stringata un 158 gran numero di atti banali che si trovano ad essere straordinari per il loro assemblaggio. Ognuna delle posizioni elementari, correttamente, razionalmente o convenzionalmente legate al mondo esterno, sembrerebbe perfettamente normale: migliaia di borghesi vi si trovano in ogni momento; l'insieme particolare delle situazioni è, in quanto tale, straordinario perché non è «abituale» che esse si susseguano in questo ordine (Ministry of Fear, Stambul Train, The Third Man). Vi segnalo che i teorici dell'Informazione sono capaci (in pura teoria) di misurare la quantità di novità che un simile sistema apporta. Vi sono d'altronde delle situazioni intrinsecamente rare; per esempio, l'omosessualità è statisticamente meno frequente della sessualità puerile e innocente; il gioco d'amore con tre partner lo è meno della copulazione legale. Uccidere un uomo, o una donna, è una situazione rara e, per ciò, tanto più interessante: la quantità legata alla situazione, misurata da ima certa escursione al di fuori del campo della libertà sociale, è più grande di un susseguirsi di piccole infrazioni al codice della strada (si veda Dostoevskij, perché io penso che la letteratura poliziesca non apporti, su questo piano, che una statistica situazionale [!], per di più fittizia). E' qui che la nostra libertà interstiziale si ridurrà ben presto a zero, a partire dal momento in cui la tecnologia ci porterà il controllo di tutti da parte di tutti, la matrice degli atti elementari e la macchina per inventariare il contenuto dei pensieri di ognuno in ciascun istante. Uscire molto dalle norme, raramente, o uscirne molto poco, assai spesso. Su questo punto pertanto vediamo apparire due dimensioni delle situazioni: la loro novità intrinseca o la rarità del loro assemblaggio. La società controlla sempre più la prima con le armi congiunte della morale sociale, degli archivi e delle schedature, delle ricette mediche dei farmacisti eccetera. Controlla anco- 159 ra abbastanza male la seconda e mi sembra che si possa ancora vivere ima vita originale in senso situazionista, attraverso uno schema di piccole deviazioni banali. I surrealisti nella loro vita quotidiana lo avevano già preavvertito, benché avessero scoperto che il peggior nemico del Surrealismo poteva essere la stanchezza fisica o l'esaurimento delle riserve di coraggio intellettuale. Ma mi sembra che, a prezzo di essere incoerenti rispetto alla stessa nostra accettazione dell'automobile, del frigorifero e del telefono, vale a dire della civiltà tecnologica in cui viviamo, sia nell'asse della tecnologia che noi dobbiamo ricercare delle situazioni nuove e mi chiedo in quale misura il vostro movimento lo accetti. Mi pare estremamente facile definire delle situazioni nuove basate su un cambiamento tecnico, le cui condizioni fisiche sono già realizzate o realizzabili o ragionevolmente concepibili. Per esempio, vivere senza forza di gravità, abitare sott'acqua, camminare sul soffitto, più in generale vivere in ambienti estranei: sono situazioni che ci vengono fornite dalla tecnica, nel senso classico della parola. Si può pensare che la tecnica sia lontana dalla nostra vita quotidiana. Io credo tuttavia che sarebbe disconoscere di fatto che una coppia che possiede una cucina con il termostato vive una situazione nuova. E' evidente, in base a questi esempi, che è l'eco psicologica di una situazione a determinare il suo valore per una filosofia situazionista. Qui si delinea una politica: chiedi ai sociologi quali sono le molle sociali del convenzionalismo. Tra le più evidenti c'è la sessualità che è certamente capace di apportare un gran numero di situazioni nuove. La fabbricazione, biologicamente concepibile, di donne con due paia di seni è senza alcun dubbio una proposta della biologia alla tradizione. L'invenzione, accanto ai due sessi convenzionali, di uno, due, tre, n sessi differenti, propone una combinatoria sessuale che segue 160 il teorema delle permutazioni e suggerisce un numero rapidamente immenso di situazioni amorose (n fattoriale). Un'altra fonte di variazioni, dunque di situazioni, potrebbe fondarsi sullo sfruttamento dei nostri sensi. Le arti «olfattive», ad esempio, non sono state sviluppate che in notazioni esclusivamente e fortemente sessualizzate, e piuttosto come strumento di lotta tra i sessi, ma mai come un'arte astratta. Nel campo artistico, un gran numero di altre situazioni discenderanno prossimamente dalle capacità tecniche e se i registi americani non sanno che fare del Cinerama, e a maggior ragione del Ciclorama, è forse legittimo aspettarsene una fonte di arti nuove. Il sogno dell'Arte Totale è condizionato dalla povertà dell'immaginazione artistica. Che succederebbe di ima società composta di strati sociali basati su quello che Michael Young chiama la meritocrazia e in cui questi strati fossero inseriti nelle leggi dello Stato? Prefigurarlo è certamente funzione della fiction sociologica. Di fatto, la vita quotidiana come noi la conosciamo è capace, attraverso scarti che possono sembrare trascurabili, di proporre delle situazioni infinitamente nuove. Penso, per esempio, alla grande discriminazione tra gli uomini e le donne basata su una categorializzazione a priori, aleatoria, ma definitiva. Non è più del tutto inconcepibile che gli esseri cambino di sesso nel corso della loro vita, e le situazioni nuove, prima di carattere individuale, poi di carattere sociale, sono in questo caso perfettamente concepibili. Mi sembra che uno dei ruoli dell'Internazionale Situazionista sarebbe quello di esplorarle. Se si suppone semplicemente che i vettori di attrazione degli nomini verso le donne e delle donne verso gli uomini divengano simmetrici, invece di subire la dissimmetria temporale, che è la regola statistica attuale, si può pensare che il 90 % del Teatro, del Cinema della Letteratura e dell'Arte figurativa debba venir sostituito. 161 Si potrebbe continuare questa enumerazione indefinitamente, ma mi sembra, in breve, che la ricerca di situazioni nuove che appare, se capisco bene, come uno degli scopi che potrebbe porsi il Situazionismo, sia relativamente facile e debba venir legata, tra le altre cose, a uno studio di quanto apportano le tecniche biologiche che vari tabù lasciano praticamente intatte. Riassumendo: 1. Il mio interesse per il Vostro movimento deriva dall'idea di base di ricercare delle situazioni nuove, in ima società costretta alla felicità tecnologica. 2. Mi sembra che il termine situazione dovrebbe venir meglio definito o ridefinito nella vostra prospettiva, e che sarebbe necessario da parte vostra un rapporto dottrinale con questo termine. In particolare, la misura del valore di novità di una situazione mi pare un criterio indispensabile. 3. Non è difficile trovare un gran numero di situazioni nuove - ne ho elencate qui una dozzina ma il ragionamento può essere spinto oltre. Esse possono derivare: a) dalla trasgressione dei tabù che, all'interno del campo della libertà legale, vengono ancora a restringere la nostra libertà pratica, in particolare in campo sessuale e biologico; b) dal crimine nel senso della Sociologia di Durkheim; c) da numerose deviazioni strane, ma di debole ampiezza attorno alla norma; d) infine, dalla tecnologia, vale a dire dal potere dell'uomo sulle leggi della natura. Vi prego di gradire, signore, l'espressione dei miei migliori sentimenti. 162 Risposta a Moles, 26 dicembre 1963 Testolina, era davvero inutile scriverci. Avevamo già constatato come tutti che l'ambizione che ti incita a uscire dal tuo uso funzionale immediato è sempre infelice, dato che la capacità di pensare su qualsivoglia altra cosa non rientra nella tua programmazione. C'è appena il bisogno, quindi, di segnalare che non hai capito niente da alcune tue letture situazioniste (per le quali, evidentemente ti mancavano tutte le basi). Tilt. Rifai i tuoi calcoli, Moles. Rifai i tuoi calcoli: ecco una soddisfazione che mai alcun risultato positivo verrà a portarti via. Se abbiamo cercato la tua lettera aperta, per noi smarrita, ma che diverse persone avevano letto, è stato perché pensavamo che, provenendo da una persona della tua specie e indirizzata a noi, non potesse essere che ima lettera di insulti. Neanche questo! Non c'è bisogno di sapere se la tua lettera rifletta fedelmente il grado medio della tua balordaggine o se magari hai cercato lo scherzo. Falso problema, dato che tutto quello che tu potrai mai fare è contenuto, ai nostri occhi, in questa ridondante e grossolana burla che è data dalla tua esistenza. Quando si conosce l'apparenza umana di cui i tuoi programmatori ti hanno rivestito, si comprende come tu possa sognare la produzione di donne fornite di ti serie di seni. Sospettiamo che tu possa difficilmente venire accoppiato con meno. Messo da parte il tuo caso personale, i tuoi sogni pornografici sembrano tanto mal informati quanto le tue pretese filosofico-artistiche. Vi è tuttavia un punto in cui tu hai fallito ancora di più: malgrado la tua carta da lettere, sei un robot troppo rustico per far credere di poter gestire il ruolo di professore univer- 163 sitano. A dispetto di molteplici deficienze, l'università borghese - precedentemente alla burocratizzazione cibernetica che tu rappresenti così elegantemente - lascia un certo margine di obiettività professionale ai suoi insegnanti. Nei casi in cui degli allievi brillanti abbiano un'opinione opposta a quella del loro esaminatore, accade che la realtà dei loro studi venga comunque riconosciuta e soprattutto non capita, che i motivi di risentimento extrauniversitari che si hanno contro di loro vengano ingenuamente proclamati in anticipo, con i risultati che comporteranno. Ma tu, parvenu sorpreso dalla polvere di autorità che ti tocca in sorte, non puoi lasciar passare l'occasione di ima prima rivincita. E' così che miserabilmente (nel senso «come un vigliacco» e nel senso «il colpo fallì»: medita sul valore anticombinatorio di una parola), correndo a tutta velocità sulle tue gambette, hai cercato di far eliminare, a un esame nello scorso giugno, uno dei nostri giovani compagni di cui probabilmente invidiavi l'intelligenza e l'umanità. Pensavi che noi avremmo dimenticato il tuo comportamento perché hai fallito il tuo colpo? Errore, Moles. Che i meccanismi della tua specie diventino infine, per via ufficiale, superiori a qualcuno, che abbiano il potere di far rispettare le loro inette decisioni: eccoli scatenarsi allo stimolo. Ma quanto è ancora fragile questo potere, dopo tanto arrivismo! Noi ridiamo di te. Sappi tuttavia che osserveremo tutti il prosieguo della tua carriera con l'attenzione che merita. Guy Debord 164 ANNUNCIO Dato che nessuno dei situazionisti ha una passione per i giardini del Palais-Royal al punto da passeggiarvi ogni giorno tra mezzogiorno e l'una\ è scrivendo alla Casella Postale 7506 a Parigi che possono contattarci gli editori, i mecenati, i produttori cinematografici eccetera. Che sia per puro disinteresse, o in previsione dei superprofitti afferenti a certi investimenti intelligenti, noi non vi vediamo ostacoli. Basta sapere che non discuteremo in nessun caso del contenuto - o della forma - dei nostri libri, delle nostre riviste, di film ed opere di ogni natura, della cui completa libertà non può dar conto che l'IS. 1 Riferimento a Charles Fourier che attese invano, per anni, che a quell'appuntamento si presentasse un ricco mecenate disposto ad aiutare la realizzazione del progetto falansteriano [n.d.r.]. 165 DI ALCUNE QUESTIONI TEORICHE SENZA QUESTIONAMELO NÉ PROBLEMATICA di Raoul Vaneigem 1 Bisogna impedire che vengano trattate in modo speculativo le questioni che possono essere trattate dalla teoria radicale. Questa esigenza tende ad acquistare un'importanza sempre più grande man mano che l'analisi situazionista della realtà fa avanzare il processo di realizzazione pratica del nostro progetto. La conoscenza è inseparabile dall'uso che se ne fa. L'agitazione che le nostre evidenze teoriche cominciano a porre in discussione ai vari livelli in tutti i settori del vecchio mondo sta per incaricarsi di completare e correggere il buon uso che noi facciamo delle idee e delle cose: è per questo che'nella prevedibile società dell'abbondanza, noi siamo i soli a non essere spaventati dall'abbondanza. Il modo d'uso non è mai problematico. Gli specialisti del questionamento - da Socialisme ou Barbarie a Planète - si preoccupano unicamente di non far capire chi favorisca la loro ideologia della confusione. I situazionisti lavorano nella prospettiva opposta. Essi pongono unicamente delle domande 1 «De quelques questions théoriques sans questionnement ni problémtique», da IS n. 10, marzo 1966. 166 alle quali può rispondere la volontà sovversiva della maggior parte degli uomini. Si tratta di imprimere a questa volontà il massimo di efficacia. I punti da prendere in considerazione, elencati qui di seguito in una lista sommaria ed esemplificativa, avranno il vantaggio di far luce sul valore rivoluzionario di chi li tratterà e, dunque, sull'importanza che ad essi deve essere attribuita nelle lotte attuali. Critica dell'economia politica - Critica delle scienze umane - Critica della psicoanalisi (in particolare: Freud, Reich, Marcuse) - Dialettica della decomposizione e del superamento nella realizzazione dell'arte e della filosofia - La semiologia, contributo allo studio di un sistema ideologico - La natura e le sue ideologie - Il ruolo del ludico nella storia Storia delle teorie e teorie della storia - Nietzsche e la fine della filosofia -Kierkegaard e la fine della teologia - Marx e Sade - Gli strutturalisti. La crisi romantica - Il preziosismo - Il barocco -1 linguaggi artistici - L'arte e la creatività quotidiana - Critica del dadaismo - Critica del surrealismo - Prospettiva pittorica e società - L'arte autoparodistica - Mallarmé, Joyce e Malevic Lautréamont- Le arti primitive - Della poesia. La rivoluzione messicana (Villa e Zapata) - La rivoluzione spagnola - Asturie 1934 -L'insurrezione di Vienna - La guerra dei contadini (1525) - La rivoluzione Spartachista -La rivoluzione congolese - Le Jacqueries- Le rivoluzioni sconosciute - La rivoluzione inglese -1 movimenti comunalisti - Gli arrabbiati - La Fronda - La canzone rivoluzionaria (Studio e antologia) - KronStadt - Bolscevismo e trotskismo - La Chiesa e le eresie - 1 socialismi - Socialismo e sottosviluppo - La 167 cibernetica e il potere - Lo Stato - Le origini dell'Islam - Tesi sull'anarchia - Tesi per ima soluzione finale del problema cristiano - Il mondo degli specialisti - Della democrazia - Le Internazionali- Dell'insurrezione - Problemi e teoria deU'autogestione - Partiti e sindacati - Dell'organizzazione dei movimenti rivoluzionari - Critica del diritto civile e del diritto penale - Le società non-industrializzate - Tesi sull'utopia Elogio di Charles Fourier-1 Consigli operai - Il fascismo e il pensiero magico- Del ripetitivo nella vita quotidiana -1 sogni e l'onirismo - Trattato delle passioni -1 momenti e la costruzione delle situazioni - L'urbanistica e la costruzione popolare - Manuale di détoumement sovversivo - Avventura individuale e collettiva - Intersoggettività e coerenza nei gruppi rivoluzionari - Gioco e vita quotidiana - Le fantasticherie individuali- Sulla libertà di amare - Studi preliminari alla costruzione di una base - La follia e gli stati secondi. 168 AVERE PER FINE LA VERITÀ PRATICA di Raoul Vaneigem 1 Cercando di presentare alle nuove forze rivoluzionarie un modello di coerenza teorico-pratica, l'IS si trova in ogni momento in grado, se necessario, di sanzionare con l'esclusione 0 con la rottura, gli errori, le insufficienze, i compromessi di coloro che ne fanno - o riconoscono in essa- lo stadio sperimentale più avanzato del loro progetto comune, Se la generazione insorta, decisa a fondare una società nuova, si mostra a partire dai princìpi primi indiscutibili, tesa a stroncare ogni tentativo di recupero, non è assolutamente per gusto della purezza, ma per un semplice riflesso di autodifesa. Provenendo da organizzazioni che prefigurano nei loro tratti essenziali il tipo futuro di organizzazione sociale, l'esigenza minima consiste nel non tollerare quegli individui che il potere può tollerare perfettamente. Nel suo aspetto positivo, la risposta esclusione e rottura pone la questione dell'adesione all'IS e dell'alleanza con i gruppi e con gli individui autonomi. Nella sua definizione minima delle organizzazioni rivoluzionarie, la settima conferenza ha insistito particolarmente sul punto seguente: Un'organizzazione rivoluzionaria rifiuta ogni riproduzione in se stessa delle condizioni gerarchiche del mondo dominante. L'unico li1 «Avoir pour fin la vérité pratique», da IS n. 11, ottobre 1967. 169 mite della partecipazione alla sua democrazia totale è il riconoscimento e l'autoappropriazione da parte di tutti i suoi membri della coerenza della sua critica: tale coerenza deve essere nella teoria critica propriamente detta e nel rapporto fra questa teoria e l'attività pratica. Essa critica radicalmente ogni ideologia in quanto potere separato delle idee e idee del potere separato. La coerenza della critica e la critica dell'incoerenza sono un solo e unico movimento condannato a distruggersi e a fossilizzarsi in ideologia dal momento in cui s'introduce la separazione tra i differenti gruppi di una federazione, tra individui di un'organizzazione, tra la teoria e la pratica di un membro di questa organizzazione. Nella lotta globale in cui siamo impegnati, cedere di un punto sul fronte della coerenza significa lasciare che la separazione vinca su tutta la linea. E' questo che incita alla più grande prudenza: a non dare mai per acquisita la nostra coerenza, a restare lucidi di fronte ai pericoli che la minacciano nell'unità di fondo dei comportamenti individuali e collettivi, a prevenire e ad evitare questi pericoli. Che una frazione segreta abbia potuto formarsi tra noi, ma anche che essa sia stata tempestivamente smascherata: ciò è sufficiente a indicare il rigore e la mancanza di rigore di cui abbiamo dato prova nella trasparenza dei rapporti intersoggettivi. In altri termini, questo significa che la propagazione dell'IS consiste essenzialmente in ciò: essa è capace di fornire un esempio sia in senso negativo, mostrando le proprie debolezze e correggendole, che in senso positivo traendo dalle correzioni nuove esigenze. Noi abbiamo spesso ripetuto che era importante non ingannarsi sulle persone; bisogna provarlo continuamente e nello stesso tempo accrescere l'impossibilità di sbagliarci su di noi. E ciò che vale per le persone vale ugualmente per i gruppi. Si conosce il detto di Socrate a uno dei giovani cui si ri- 170 volgeva: Parla un po', così che possa vederti. Noi siamo in grado di evitare questo genere di Socrate e questo genere di giovani se il carattere esemplare della nostra attività assicura la forza di irradiazione della nostra presenza dentro e contro lo spettacolo dominante. Ai boss del recupero e ai miserabili che si accorderanno nel volerà presentare come un gruppo dirigente, bisogna opporre l'esempio antigerarchico di una radicali/razione permanente; non dissimulare nulla delle nostre esperienze, stabilire tramite la diffusione dei nostri metodi, delle nostre tesi critiche, dei nostri procedimenti di agitazione, la più grande trasparenza sulla realtà del progetto collettivo di liberazione della vita quotidiana. L'IS deve agire come un asse che, ricevendo il suo movimento dagli impulsi rivoluzionari del mondo intero, fa precipitare, in modo unitario, il corso radicale degli avvenimenti. A differenza dei settori arretrati che si ostinano a ricercare prima di tutto l'unità tattica (i Fronti comuni, nazionali, popolari), l'IS e alcune organizzazioni autonome alleate si incontreranno solamente nella ricerca di un'unità organica, considerando che l'unità tattica non è efficace se non là dove l'unità organica è possibile. Gruppo o individuo, bisogna che ciascuno viva alla velocità di radicalizzazione degli avvenimenti al fine di radicalizzarli a sua volta. La coerenza rivoluzionaria non è nient'altro che questo. Certamente, noi siamo ancora lontani da ima tale armonia di progressione, ma certamente vi siamo impegnati del tutto. Dai primi princìpi alla loro realizzazione, vi è la storia dei gruppi e degli individui, che è anche quella dei loro ritardi possibili. Solo la trasparenza nella partecipazione reale blocca la minaccia che pesa sulla coerenza: la trasformazione del ritardo in separazione. Tutto ciò che ci separa ancora dalla realizzazione del progetto situazionista deriva dall'ostilità del vecchio mondo nel quale viviamo, ma la coscienza di queste separazioni contiene già ciò che le dissolverà. 171 Ora, è precisamente nella lotta intrapresa contro le separazioni che il ritardo appare a diversi livelli; è là che la noncoscienza del ritardo oscura la coscienza delle separazioni e introduce l'incoerenza. Quando la coscienza si deteriora, compare l'ideologia. Li si è visti serbare per se stessi, l'uno (Kotànyi) i risultati delle sue analisi, comunicandoli con il contagocce e con la superiorità di una clessidra sul tempo, gli altri (esclusi dall'ultimo rovescio) le loro mancanze a tutti i riguardi, facendo i pavoni ma senza averne la coda. L'attendismo mistico e l'ecumenismo egualitario avevano il medesimo odore. Passate dunque, grottesca mascherata, saltimbanchi dei malesseri incurabili. La nozione di ritardo appartiene al modo ludico e si ricollega a quella di conduttore del gioco. Come la dissimulazione del ritardo, o la dissimulazione di esperienze, ricrea la nozione di prestigio, tende a trasformare il conduttore del gioco in capo, produce i comportamenti stereotipi e il ruolo con le sue conseguenze nevrotiche, le sue attitudini tormentate, la sua inumanità, allo stesso modo la trasparenza permette di entrare nel progetto comune con l'innocenza calcolata dei giocatori del falansterio che rivaleggiano tra di loro (composito), che cambiano di occupazione (volubile), che ambiscono a raggiungere la radicalità più spinta (cabalista). Ma lo spirito di leggerezza passa attraverso l'intelligenza dei rapporti di pesantezza. Presuppone la lucidità sulle capacità di ciascuno. Delle capacità non voghamo sapere nulla al di fuori dell'uso rivoluzionario che se ne può fare, uso che acquista il suo senso nella vita quotidiana. Il problema non è che alcuni vivano, pensino, facciano l'amore, sparino, parlino meglio degli altri, ma invece che nessun compagno viva, pensi, faccia l'amore, spari o parli così male da trovarsi costretto a dissimulare i propri ritardi, a giocare alle minoranze oppresse, e a reclamare, nel nome stesso del plusvalore che concede agli 172 altri per le proprie insufficienze, una democrazia dell'impotenza dove affermerebbe evidentemente il suo dominio. In altri termini, è necessario almeno che ogni rivoluzionario abbia la passione di difendere quanto ha di più caro: la propria volontà di realizzazione individuale, il desiderio di liberare la propria vita quotidiana. Se qualcuno rinuncia a investire la totalità delle proprie capacità - e di conseguenza a svilupparle - nella lotta per la propria creatività, per i propri sogni, per le proprie passioni, in modo che rinunciandovi rinuncia per ciò stesso a sé medesimo, si impedisce fin dall'inizio di parlare a proprio nome e, a-fortiorì, nel nome di un gruppo che porta in sé le possibilità di realizzazione di tutti gli individui. Il suo gusto del sacrificio, la sua scelta dell'inautentico, l'esclusione o la rottura non fanno che concretizzarli pubblicamente, con la logica della trasparenza alla quale costui ha mancato. Sull'adesione e sull'alleanza, l'esempio della partecipazione reale al progetto rivoluzionario decide sovranamente. La coscienza dei ritardi, la lotta contro le separazioni, la passione di raggiungere una maggiore coerenza, è ciò che deve fondare tra noi, come tra l'IS e i gruppi autonomi o le federazioni future, una fiducia oggettiva. Ci sono tutti i motivi per sperare che i nostri alleati rivaleggeranno con noi nella radicalizzazione delle condizioni rivoluzionarie, come noi contiamo che rivaleggino con i situazionisti coloro che avranno scelto di unirsi a loro. Tutto lascia supporre che, a un certo grado di estensione della coscienza rivoluzionaria, ciascun gruppo avrà raggiunto una coerenza tale che la qualità di conduttore del gioco di tutti i partecipanti e il carattere irrisorio dei ritardi lasceranno agli individui il diritto di variare nelle loro opzioni e di cambiare organizzazione secondo le loro affinità passionali. Ma la preminenza momentanea dell'IS è un fatto di cui biso- 173 gna anche tener conto, una felice disgrazia, come il sorriso ambiguo del gattopardo delle rivoluzioni invisibili. Poiché l'Internazionale dispone oggi di ima ricchezza teorica e pratica che aumenta solo quando viene condivisa, fatta propria e rinnovata dagli elementi rivoluzionari (fino al giorno in cui l'IS e i gruppi autonomi spariranno a loro volta nella ricchezza rivoluzionaria), essa ha il dovere di accogliere solo coloro che lo desiderano con cognizione di causa, cioè chiunque ha provato che parlando e agendo per se stesso, parla e agisce in nome di molti; sia creando con la propria prassi poetica (volantino, sommossa, film, agitazione, libro) un raggruppamento di forze sovversive, sia trovandosi solo detentore della coerenza nell'esperienza di radicalizzazione di un gruppo. L'opportunità del passaggio dell'US diventa da quel momento una questione di tattica da discutere: o il gruppo è abbastanza forte per cedere uno dei conduttori del gioco, o il suo insuccesso è tale che i conduttori del gioco restano soli a decidere, o il conduttore del gioco, in conseguenza di circostanze oggettive ineluttabili, non è riuscito a formare un gruppo. Dovunque il nuovo proletariato sperimenta la propria emancipazione, l'autonomia nella coerenza rivoluzionaria è il primo passo verso l'autogestione generalizzata. La lucidità che ci sforziamo di mantenere su noi stessi e sul mondo insegna che non ci sono, nella pratica dell'organizzazione, né precisazione né avvertimento superflui. Sulla questione della libertà, l'errore di dettaglio è già una verità di Stato. 174 LA SEPARAZIONE COMPIUTA di Guy-E. Debord 1 «E senza dubbio il nostro tempo... preferisce l'immagine alla cosa, la copia all'originale, la rappresentazione alla realtà, l'apparenza all'essere... Ciò che per esso è sacro non è che l'illusione, ma ciò che è profano è la veri- tà. Ami il sacro s'ingigantisce ai suoi occhi via via che diminuisce la verità e l'illusione au- menta, cosicché il colmo dell'illusione è anche per esso il colmo del sacro». Feuerbach, Prefazione alla seconda edizione de L 'essenza del Cristianesimo. 1. Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un'immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione. 2. Le immagini che si sono staccate da ciascun aspetto della vita si fondono in un corso comune, in cui l'unità della vita non può più essere ristabilita. La realtà considerata parzialmente si dispiega nella propria unità generale in quanto pseudo-mondo a parte, oggetto della sola contemplazione. La specializzazione delle immagini del mondo si ritrova, compiuta, nel mondo autonomizzato dell'immagine, in cui il bugiardo ha mentito a se stesso. Lo spettacolo in generale, 1 «La séparation accomplie», da IS n. 11, ottobre 1967. 175 come inversione concreta della vita, è il movimento autonomo del non-vivente. 3. Lo spettacolo si presenta nello stesso tempo come la società stessa, come ima parte della società, e come strumento di unificazione. In quanto parte della società, esso è espressamente il settore che concentra ogni sguardo e ogni coscienza. Per il fatto stesso che questo settore è separato, è il luogo dello sguardo illusorio e della falsa coscienza; e l'unificazione che esso compie non è altro che un linguaggio ufficiale della divisione generalizzata. 4. Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra persone, mediato dalle immagini. 5. Lo spettacolo non può essere compreso come un abuso del mondo visivo, un prodotto delle tecniche di diffusione massiva delle immagini. Esso è invece una Weltanschauung divenuta effettiva, tradotta materialmente. E' una visione del mondo che si è oggettivata. 6. Lo spettacolo, nella sua totalità, è contemporaneamente il risultato e il progetto del modo di produzione esistente. Non è un supplemento del mondo reale, la sua decorazione sovrapposta. E' il cuore dell'irrealismo della società reale. In tutte le sue forme particolari, informazione, propaganda, pubblicità o consumo diretto di divertimenti, lo spettacolo costituisce il modello presente della vita sociale dominante. | Esso è l'affermazione onnipresente della scelta già fatta nella I produzione e il suo consumo ne è il corollario. Forma e con- 176 tenuto dello spettacolo sono entrambe l'identica giustificazione totale delle condizioni e dei fini del sistema esistente. Lo spettacolo è anche la presenza permanente di questa giustificazione, in quanto occupazione della parte principale del tempo vissuto al di fuori della moderna produzione. 7. La separazione fa essa stessa parte dell'unità del mondo, della prassi sociale globale che si è scissa in realtà e in immagine. La pratica sociale, di fronte alla quale si pone lo spettacolo autonomo, è anche la totalità reale che contiene lo spettacolo. Ma la scissione che è in questa totalità la mutila al punto da far apparire lo spettacolo come il suo fine. Il linguaggio dello spettacolo è costituito da segni della produzione imperante, che sono nel contempo la finalità ultima di questa produzione 8. Non si può opporre astrattamente lo spettacolo all'attività sociale effettiva; questo sdoppiamento è a sua volta sdoppiato. Lo spettacolo che inverte il reale è effettivamente prodotto. Nello stesso tempo la realtà vissuta è materialmente invasa dalla contemplazione dello spettacolo, e riproduce in se stessa l'ordine spettacolare portandogli un'adesione positiva. La realtà oggettiva è presente da entrambe i lati. Ogni nozione così fissata non ha per sfondo che il suo passaggio nell'opposto: la realtà sorge nello spettacolo, e lo spettacolo è reale. Questa alienazione reciproca è l'essenza e il sostegno della società esistente. 9. Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso. 177 Il concetto di spettacolo unifica e spiega una grande diversità di fenomeni apparenti. Le loro diversità e i loro contrasti sono le apparenze di questa apparenza organizzata socialmente, che deve essere a sua volta riconosciuta nella sua verità generale. Considerato secondo nei suoi termini propri, lo spettacolo è l'affermazione dell'apparenza e l'affermazione di ogni vita umana, cioè sociale, come mera apparenza. Ma la critica, che raggiunge la verità dello spettacolo, lo scopre come negazione visibile della vita; come una negazione della vita divenuta visibile. 11. Per descrivere lo spettacolo, la sua formazione, le sue funzioni, e le forze che tendono alla sua dissoluzione, bisogna distinguere artificialmente gli elementi inseparabili. Analizzando lo spettacolo, si parla in una certa misura il linguaggio stesso dello spettacolare, in quanto si passa al terreno metodologico di questa società che si esprime nello spettacolo. Ma lo spettacolo non è nient'altro che il senso della pratica totale di una formazione economico-sociale, il suo impiego del tempo. E' il momento storico che ci contiene. 12. Lo spettacolo si presenta come un'enorme positività indiscutibile e inaccessibile. Esso non dice niente di più di questo, che ciò che appare è buono, ciò che è buono appare. L'attitudine che esso esige per principio è questa accettazione passiva, che ha di fatto già ottenuto con il suo modo di apparire senza confronti, con il suo monopolio dell'apparenza. 13. Il carattere fondamentalmente tautologico dello spettacolo si deduce dal semplice fatto che i suoi mezzi sono al tempo 178 stesso il suo scopo. Esso è il sole che non tramonta mai sull'impero della passività moderna. Esso copre l'intera superficie del mondo ed è immerso indefinitamente nella propria gloria. 14. La società che si fonda sull'industria moderna non è spettacolare in modo fortuito o superficiale: essa è fondamentalmente spettacolista. Nello spettacolo, immagine dell'economia imperante, il fine non è niente, lo sviluppo è tutto. Lo spettacolo non vuole approdare a nient'altro che a se stesso. 15. In quanto indispensabile ornamento degli oggetti attualmente prodotti, in quanto esposizione generale della razionalità del sistema, e in quanto settore economico avanzato che produce direttamente una moltitudine crescente di oggetti-immagine, lo spettacolo è il principale prodotto della società attuale. 16. Lo spettacolo sottomette gli uomini viventi a sé nella misura in cui l'economia li ha totalmente sottomessi. Esso non è che l'economia che si sviluppa per se stessa. E' il riflesso fedele della produzione delle cose, e l'oggettivazione infedele dei produttori. 17. La prima fase del dominio dell'economia sulla vita sociale aveva comportato nella definizione di ogni realizzazione umana un'evidente degradazione dell'essere in avere. La fase presente dell'occupazione totale della vita sociale, attraverso i risultati accumulati dell'economia, conduce a uno slittamento generalizzato dell'avere ne\Vapparire (sembrare), da 179 cui ogni avere effettivo deve trarre il suo prestigio immediato e la sua funzione ultima. Nello stesso tempo, ogni realtà individuale è divenuta sociale, direttamente dipendente dalla potenza sociale modellata da questa. Le è permesso di apparire, soltanto in ciò che essa non è. 18. Là dove il mondo reale si cambia in semplici immagini, le semplici immagini divengono degli esseri reali, e le motivazioni efficienti di un comportamento ipnotico. Lo spettacolo, come tendenza a far vedere per il tramite di diverse mediazioni specializzate il mondo che non è più direttamente percepibile, normalmente trova nella vista il senso umano privilegiato che in altre epoche fu il tatto; il senso più astratto e più mistificabile, corrisponde all'astrazione generalizzata della Società attuale. Ma lo spettacolo non è identificabile al semplice sguardo, sia pure combinato con l'ascolto. E' ciò che sfugge all'attività degli uomini, alla riconsiderazione e al correzione della loro opera. E' il contrario del dialogo. Ovunque vi è rappresentazione indipendente, lo spettacolo si ricostituisce. 19. Lo spettacolo è l'erede di tutta la debolezza del progetto filosofico occidentale, che fu ima comprensione dell'attività, dominata dalle categorie del vedere-, così come si fonda sull'incessante dispiegamento della precisa razionalità tecnica che è uscita da questo pensiero. Non realizza la filosofia, filosofizza la realtà. E' la vita concreta di tutti che si è degradata in universo speculativo. 20. La filosofia, in quanto potere del pensiero separato, e pensiero del potere separato, non ha mai potuto da se stessa 180 superare la teologia. Lo spettacolo è la ricostruzione materiale dell'illusione religiosa. La tecnica spettacolare non ha dissipato le nubi religiose in cui gli uomini avevano deposto i propri poteri staccati da loro stessi; le ha soltanto riagganciate a una base terrena. Così è la vita più terrena che diviene opaca e irrespirabile. Essa non rimanda più nel cielo, ma alberga presso di sé il suo ripudio assoluto, il suo ingannevole paradiso. Lo spettacolo è la realizzazione tecnica dell'esilio dei poteri umani in un al di là; la scissione compiuta all'interno dell'uomo. 21. Quanto più la necessità viene ad essere socialmente sognata, tanto più il sogno diviene necessario. Lo spettacolo è il cattivo sogno della società moderna incatenata, che non esprime in definitiva se non il suo desiderio di dormire. Lo spettacolo è il guardiano di questo sonno. 22. Il fatto che la potenza pratica della società moderna si sia staccata da se stessa, e si sia edificata un impero indipendenta nello spettacolo, non può spiegarsi che con quest'altro fatto, che questa pratica potente continuava a mancare di coesione, ed era rimasta in contraddizione con se stessa. 23. E' la più vecchia specializzazione sociale, la specializzazione del potere, che è alla radice dello spettacolo. Lo spettacolo è perciò un'attività specializzata che parla per l'insieme delle altre. E' la rappresentazione diplomatica della società gerarchica dinanzi a se stessa, dove ogni altra parola è bandita. Il più moderno è qui anche il più arcaico. 181 24. Lo spettacolo è il discorso ininterrotto che l'ordine presente rivolge a se stesso, il suo monologo elogiativo. E' l'autoritratto del potere nell'epoca della sua gestione totalitaria delle condizioni di esistenza. L'apparenza feticista della pura oggettività nelle relazioni spettacolari nasconde il loro carattere di relazione tra uomini e tra classi: ima seconda natura sembra dominare il nostro ambiente con le sue leggi fatali. Ma lo spettacolo non è il prodotto necessario dello sviluppo tecnico visto come sviluppo naturale. La società dello spettacolo è, al contrario, la forma che sceglie il proprio contenuto tecnico. Se lo spettacolo, considerato sotto l'aspetto ristretto dei «mezzi di comunicazione di massa», che sono la sua manifestazione superficiale più opprimente, può sembrare invadere la società come una semplice strumentazione, questa in effetti non è nulla di neutro, ma la strumentazione stessa utile al suo automovimento totale. Se i bisogni sociali dell'epoca in cui si sviluppano delle simili tecniche non possono trovare soddisfazione che attraverso la loro mediazione, se l'amministrazione di questa società e ogni contatto fra gli uomini non possono più esercitarsi che per mezzo di questa potenza di comunicazione istantanea, è perché tale «comunicazione» è essenzialmente unilaterale; di modo che la sua concentrazione non fa che accumulare nelle mani dell'amministrazione del sistema esistente i mezzi che le permettono di continuare questa amministrazione determinata. La scissione generalizzata dello spettacolo è inseparabile dallo Stato moderno, vale a dire dalla forma generale della scissione nella società, prodotto della divisione del lavoro sociale e organo del dominio di classe. 182 24. La separazione è l'alfa e l'omega dello spettacolo. L'istituzionalizzazione della divisione sociale del lavoro e la formazione delle classi avevano edificato una prima contemplazione sacra, l'ordine mitico in cui ogni potere si avviluppa dalla sua origine. Il sacro ha giustificato l'ordinamento cosmico e ontologico che corrispondeva agli interessi dei potenti, ha spiegato e abbellito ciò che la società non poteva fare. Ogni potere separato è stato dunque spettacolare, ma l'adesione di tutti a una tale immagine immobile non significava altro che il riconoscimento comune di un prolungamento immaginario alla povertà dell'attività sociale reale, ancora largamente avvertita come una condizione unitaria. Lo spettacolo moderno esprime al contrario ciò che la società può fare, ma ih questa espressione il permesso si oppone assolutamente al possibile. Lo spettacolo è la conservazione dell'incoscienza nel cambiamento pratico delle condizioni di esistenza. Esso è il proprio prodotto, ed è esso stesso che ha posto le sue regole: è insomma uno pseudosacro. Mostra ciò che è: la potenza separata che si sviluppa in se stessa, nell'aumento della produttività realizzato per mezzo del raffinamento incessante della divisione del lavoro come parcellizzazione dei gesti, dominati dal movimento indipendente delle macchine; e che lavora per un mercato sempre più esteso. Ogni comunità e ogni senso critico si sono dissolti nel corso di questo movimento, nel quale le forze che hanno potuto crescere, separandosi, non si sono ancora ritrovate. 26. Con la separazione generalizzata del lavoratore e del suo prodotto, si perde ogni punto di vista unitario sull'attività realizzata, ciò vale anche per ogni comunicazione personale 183 diretta fra i produttori. Seguendo il progresso dell'accumulazione dei prodotti separati e della concentrazione del processo produttivo, l'unità e la comunicazione divengono attributo esclusivo della direzione del sistema. Il successo del sistema economico della separazione è la proletarizzazione del mondo. 27. Per la riuscita stessa della produzione separata in quanto produzione del separato, l'esperienza fondamentale, legata nelle società primitive a un lavoro principale, si sta spostando oggi, al polo di sviluppo del sistema, verso il non-lavoro, l'inattività. Ma questa inattività non è per nulla liberata dall'attività produttiva: dipende da essa, è sottomissione inquieta e ammirata relativamente alle necessità e ai risultati della produzione; è essa stessa un prodotto della sua razionalità. Non può esserci libertà al di fuori dell'attività, e nel quadro dello spettacolo ogni attività viene negata, esattamente come l'attività reale è stata captata integralmente per l'edificazione globale di questo risultato. Così, l'attuale liberazione dal lavoro, l'aumento del tempo libero, non è in alcun modo liberazione nel lavoro, né liberazione di un mondo modellato da questo lavoro. Nulla dell'attività estorta nel lavoro si può ritrovare nella sottomissione al suo risultato. 28. Il sistema economico fondato sull'isolamento costituisce una produzione circolare dell'isolamento. L'isolamento fonda la tecnica, e il processo tecnico isola di rimando. Dall'automobile alla televisione, tutti i beni selezionati dal sistema spettacolare sono anche le sue armi per il consolidamento costante delle condizioni d'isolamento delle folle solitarie. Lo spettacolo ritrova sempre più concretamente i propri presupposti. 184 24. L'origine dello spettacolo è la perdita dell'unità del mondo, e l'espansione gigantesca dello spettacolo moderno esprime la totalità di questa perdita: l'astrazione di ogni lavoro particolare e l'astrazione generale della produzione d'insieme si traducono perfettamente nello spettacolo, il cui modo d'essere concreto è precisamente l'astrazione. Nello spettacolo, ima parte del mondo si rappresenta davanti al mondo e gli è superiore. Lo spettacolo non è che il linguaggio comune di questa separazione. Ciò che avvicina gli spettatori non è che un rapporto irreversibile nel centro stesso che mantiene il loro isolamento. Lo spettacolo riunisce il separato, ma lo riunisce in quanto separato. 30. L'alienazione dello spettatore a vantaggio dell'oggetto contemplato (che è il risultato della sua stessa attività incosciente) si esprime così: più egli contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la sua esistenza e il suo desiderio. L'esteriorità dello spettacolo in rapporto all'uomo che agisce si manifesta in ciò, che i suoi gesti non sono più suoi, ma di un altro che glieli rappresenta. E' la ragione per cui lo spettatore non si sente a casa propria in nessun luogo, perché lo spettacolo è dappertutto. 31. Il lavoratore non produce se stesso, ma produce una potenza indipendente. Il successo di questa produzione, la sua abbondanza, ritorna al produttore come abbondanza dell'espropriazione. Tutto il tempo e lo spazio del suo mondo gli divengono estranei con l'accumulazione dei suoi prodotti alienati. Lo spettacolo è la mappa di questo nuovo mondo, 185 mappa che copre l'esatta estensione del suo territorio. Le forze stesse che ci sono sfuggite ci si mostrano in tutta la loro potenza. 32. Lo spettacolo nella società corrisponde a una fabbricazione concreta dell'alienazione. L'espansione economica è principalmente l'espansione di questa produzione industriale precisa. Ciò che cresce con l'economia, ciò che si muove autonomamente non può essere se non l'alienazione che era appunto insita nel suo nucleo originario. 33. L'uomo separato dal suo prodotto produce sempre più potentemente egli stesso tutti i particolari del suo mondo, e si trova così sempre più separato dal suo mondo. Quanto più la sua vita è ora il suo prodotto, tanto più è separato dalla sua vita. 34. Lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine. Questo testo costituisce il primo capitolo di un libro attualmente in stampa, La società dello spettacolo 186 AVVISO AI CIVILIZZATI RIGUARDO ALL'AUTOGESTIONE GENERALIZZATA di Raoul Vaneigem 1 «Non sacrificate per nulla il bene presente al bene futuro. Godete del momento, evitate qualunque associazione di matrimonio o di interesse che fin dal primo momento non soddisfi le vostre passioni. Perché dovrete lavorare per il bene futuro, dal momento che questo andrà oltre i vostri sogni di oggi. E voi nell'ordine combinato non avrete che un solo dispiacere, quello cioè di non poter raddoppiare la lunghezza dei giorni per farli bastare all'immenso giro dei godimenti che avrete da percorrere». Charles Fourier, Avviso ai civilizzati riguardo alla prossima metamorfosi sociale. 1. Nella sua incompiutezza, il movimento delle occupazioni ha volgarizzato in maniera confusa la necessità di un superamento. L'imminenza di una sovversione totale, sentita da tutti, deve ora scoprire la sua pratica: il passaggio all'autogestione generalizzata attraverso l'instaurazione dei consigli operai. La linea d'arrivo, dove lo slancio rivoluzionario ha portato la coscienza, sta ormai per diventare una linea di partenza. 1 «Avis aux civilisés relativement à l'autogestion généralisés», da IS n. 12, settembre 1969. 187 24. La storia risponde oggi alla domanda posta ai lavoratori da Lloyd George, e ripetuta in coro dai servitori del vecchio mondo: Voi volete distruggere la nostra organizzazione sociale, ma con che cosa la sostituirete? Conosciamo la risposta grazie alla profusione di piccoli Lloyd George, che difendono la dittatura statale di un proletariato di loro scelta e aspettano che la classe operaia si organizzi in consigli per scioglierla ed eleggerne un'altra. 3. Ogni volta che il proletariato si assume il rischio di cambiare il mondo, ritrova la memoria globale della storia. L'instaurazione di ima società dei consigli - fino ad oggi confusa con la storia del suo annientamento in varie epoche - svela la realtà delle sue possibilità passate attraverso la possibilità della sua realizzazione immediata. Ciò è apparso evidente a tutti i lavoratori da quando, durante il maggio, lo stalinismo e i suoi residui trotskisti hanno dimostrato, con la loro aggressiva debolezza, l'impotenza a soffocare un eventuale movimento dei consigli e, con la loro forza di inerzia, l'attitudine a frenarne ancora l'apparizione. Senza manifestarsi veramente, il movimento dei consigli si è trovato presente in un arco di rigore teorico che scaturiva da due poh contraddittori: la logica interna delle occupazioni e la logica repressiva dei partiti e dei sindacati. Chi confonde ancora Lenin e il Che fare? non fa che prepararsi una pattumiera. 4. Sono molti quelli che hanno sentito il bisogno di rifiutare qualsiasi organizzazione che non sia l'emanazione diretta del proletariato che si nega come proletariato e, inseparabilmente, la possibilità infine realizzabile di una vita quotidiana sen- 188 za tempi morti. In questo senso, la nozione di consigli operai fonda il primo principio dell'autogestione generalizzata. 5. Il maggio ha segnato ima fase essenziale nella lunga rivoluzione: la storia individuale di milioni di uomini, ogni giorno alla ricerca di una vita autentica, è andata a saldarsi con il movimento storico del proletariato in lotta contro l'insieme delle alienazioni. Questa unità d'azione spontanea, che fu il motore passionale del movimento delle occupazioni, può sviluppare solo unitariamente la sua teoria e la sua pratica. Ciò che fu in tutti i cuori sta per passare in tutte le teste. Avendo provato che non potrebbero più vivere come prima, neanche un po' meglio di prima, molti tendono a prolungare il ricordo di una parte di vita esemplare, e la speranza, un istante vissuta, di un grande possibile, in una linea di forza alla quale, per diventare rivoluzionaria, manca solo una maggiore lucidità sulla costruzione storica dei rapporti individuali liberi, sull'autogestione generalizzata. 6. Solo il proletariato precisa, negandosi, il progetto di autogestione generalizzata, poiché lo porta in sé oggettivamente e soggettivamente. E' per questo che le prime precisazioni verranno dall'unità della sua lotta nella vita quotidiana e sul fronte della storia, e dalla coscienza che tutte le rivendicazioni sono realizzabili nell'immediato, ma soltanto dal proletariato. E' in tal senso che l'importanza di un'organizzazione rivoluzionaria deve ormai valutarsi, in base alla sua capacità di accelerare il dissolvimento di se stessa nella realtà della società dei consigli. 7. I consigli operai costituiscono un nuovo tipo di organizza- 189 zione sociale, mediante i quali il proletariato pone fine alla proletarizzazione dell'insieme degli uomini. L'autogestione generalizzata non è che la totalità conformemente alla quale i consigli inaugurano imo stile di vita fondato sull'emancipazione permanente individuale e collettiva, unitariamente. 8. Se vogliamo essere conseguenziali, a questo punto è chiaro che il progetto di autogestione generalizzata richiede tante precisazioni quanti sono i desideri presenti in ogni rivoluzionario, e tanti rivoluzionari quante sono le persone insoddisfatte della loro vita quotidiana. La società mercantile-spettacolare fonda le condizioni repressive e - contraddittoriamente, nel rifiuto che suscita - la positività della soggettività; a sua volta, la formazione dei consigli, scaturita anch'essa dalla lotta contro l'oppressione globale, fonda le condizioni di una realizzazione permanente della soggettività, senza altro limite che la sua impazienza a fare la storia. Così l'autogestione generalizzata si integra con la capacità dei consigli di realizzare storicamente l'immaginario. 9. Al di fuori dell'autogestione generalizzata, i consigli operai perdono il loro significato. Bisogna trattare come futuro burocrate, e quindi immediatamente come nemico, chiunque parli dei consigli in termini di organismi economici o sociali, chiunque non li situi al centro della rivoluzione della vita quotidiana, con la pratica che ciò presuppone. 10. Uno dei grandi meriti di Fourier è quello di aver messo in luce la necessità di realizzare immediatamente - e, per noi, ciò significa: fin dall'inizio dell'insurrezione generalizzata - le condizioni oggettive dell'emancipazione individuale. L'inizio 190 del momento rivoluzionario deve segnare per tutti un aumento immediato del piacere di vivere, l'ingresso vissuto e cosciente nella totalità. 11. Il ritmo accelerato con cui il riformismo lascia dietro di sé tutta una serie di deiezioni, tanto ridicole quanto gauchistes il moltiplicarsi, nella colica tricontinentale, dei mucchietti maoisti, trotskisti, guevaristi - dimostra olfattivamente ciò che la destra, e in particolare socialisti e stalinisti, aveva subodorato da tanto tempo: le rivendicazioni parziali contengono in sé l'impossibilità di un cambiamento globale. Invece di combattere un riformismo per nasconderne un altro, la tentazione di rivoltare il vecchio ciarpame come una pelle burocratica appare, per molti aspetti, come una soluzione finale del problema dei recuperatori. Ciò comporta il ricorso a ima strategia che scateni l'incendio generale col favore di momenti insurrezionali sempre più ravvicinati; e a una tattica di progressione qualitativa le cui azioni, per forza di cose parziali, contengano però tutte, come condizione necessaria e sufficiente, la liquidazione del mondo della merce. E' ora di cominciare il sabotaggio positivo della società mercantilespettacolare. Finché si manterrà come tattica di massa la legge del piacere immediato, non ci sarà motivo di preoccuparsi del risultato. 12. Al solo fine di esemplificazione e di emulazione, è facile ricordare qui alcune possibilità la cui insufficienza sarà evidenziata ben presto dalla pratica dei lavoratori liberati: in ogni occasione - apertamente durante lo sciopero, più o meno clandestinamente durante il lavoro - inaugurare il regio della gratuità offrendo agli amici e ai rivoluzionari prodotti lavorati o immagazzinati, fabbricando oggetti-regalo (tra- 191 smettiteli, giocattoli, armi, ornamenti, macchine dai vari usi), organizzando distribuzioni bianche o a singhiozzo di merci nei grandi magazzini; spezzare le leggi dello scambio e avviare la fine del salariato appropriandosi collettivamente dei prodotti del lavoro, servendosi collettivamente delle macchine per fini personali e rivoluzionari; deprezzare la funzione del denaro generalizzando l'autoriduzione dei pagamenti (affitto, imposte, cambiali, trasporti eccetera); incoraggiare la creatività di tutti, rimettendo in funzione, anche a intermittenza, ma sotto il solo controllo operaio, alcuni settori di approvvigionamento e di produzione, e considerando l'esperienza come un esercizio necessariamente timido e perfettibile; liquidare le gerarchie e lo spirito di sacrificio, trattando i dirigenti padronali e sindacali come meritano, rifiutando il militarismo; agire unitariamente dovunque, contro tutte le separazioni; produrre la teoria da ogni pratica, e viceversa con la redazione di volantini, di manifesti, di canzoni eccetera. 13. Il proletariato ha già dimostrato che saprebbe rispondere alla complessità oppressiva degli Stati capitalisti e socialisti con la semplicità dell'organizzazione esercitata direttamente da tutti e per tutti. Nella nostra epoca, le questioni di sopravvivenza si pongono solo alla condizione preliminare di non essere mai risolte; al contrario, i problemi della storia da vivere si presentano chiaramente attraverso il progetto dei consigli operai, insieme come positività e come negatività: in altre parole, come elemento di base di una società unitaria industriale e passionale, e come anti-Stato. 14. Poiché non esercitano alcun potere separato dalle decisioni dei loro componenti, i consigli non tollerano altro potere che il proprio. Il fatto di incoraggiare dovunque le manife- 192 stazioni di anti-Stato non può quindi essere confuso con la creazione anticipata di consigli, che in tal caso sarebbero privi di potere assoluto sulle zone che investono, separati dall'autogestione generalizzata, necessariamente vuoti di contenuto e pronti a riempirsi di ogni tipo di ideologie. Le sole forze lucide che oggi siano in grado di rispondere alla storia fatta con la storia da fare saranno le organizzazioni rivoluzionarie che svilupperanno nel progetto dei consigli una eguale coscienza sia dell'avversario da combattere che degli alleati da sostenere. Un aspetto importante di questa lotta si annuncia sotto i nostri occhi con l'apparizione di un doppio potere. Nelle fabbriche, negli uffici, nelle strade, nelle case, nelle caserme, nelle scuole, prende forma una realtà nuova, il disprezzo dei capi, sotto qualunque nome e con qualsiasi atteggiamento essi abbiano. Bisogna ormai che questo disprezzo arrivi al suo risultato logico, dimostrando, attraverso l'iniziativa concertata dei lavoratori, che i dirigenti non sono solo disprezzabili, ma che sono inutili, e che si può, dal loro stesso punto di vista, liquidarli impunemente. 15. La storia recente non tarderà a manifestarsi, nella coscienza dei dirigenti come in quella dei rivoluzionari, sotto forma di un'alternativa che li riguarda gli uni e gli altri: l'autogestione generalizzata o il caos insurrezionale; la nuova società dell'abbondanza, o la disgregazione sociale, il saccheggio, il terrorismo, la repressione. La lotta nel doppio potere è già inseparabile da una simile scelta. La nostra coerenza esige che la paralisi e la distruzione di tutti i modi di governo coincida con la costruzione dei consigli; a rigor di logica, l'elementare prudenza dell'avversario dovrebbe accontentarsi del fatto che un'organizzazione di nuovi rapporti quotidiani riuscirebbe ad ostacolare l'estendersi di quello che uno specialista della polizia ameri- 193 cana chiama già il nostro incubo', piccoli commandos di insorti che sbucano dalle uscite del metrò, sparano dai tetti, utilizzano la mobilità e le risorse inesauribili della guerriglia urbana per abbattere i poliziotti, liquidare i servitori dell'autorità, aizzare sommosse, distruggere l'economia. Ma non siamo tenuti a salvare i dirigenti loro malgrado. Ci basti preparare i consigli e con tutti i mezzi assicurarne l'autodifesa. Lope de Vega, in ima sua opera teatrale, fa vedere come gli abitanti di un villaggio mettano a morte un funzionario regio che li aveva esasperati con le sue esazioni, e come ai magistrati incaricati di colpire il colpevole rispondano tutti col nome del villaggio: Fuenteovejuna. La tattica di Fuenteovejuna, di cui si servono molti minatori delle Asturie nei confronti degli ingegneri malaccorti, ha il difetto di avvicinarsi troppo al terrorismo e alla tradizione dell'omicidio. L'autogestione generalizzata sarà la nostra Fuenteovejuna. Non è più sufficiente che un'azione collettiva scoraggi la repressione (si pensi a come sarebbero state impotenti le forze dell'ordine se, durante le occupazioni, gli impiegati di una banca avessero dilapidato i fondi); essa deve anche incoraggiare, con lo stesso movimento, il progresso verso una maggiore coerenza rivoluzionaria. I consigli sono l'ordine di fronte alla decomposizione dello Stato, contestato nella sua forma dalla crescita dei nazionalismi regionali e nel suo principio dalle rivendicazioni sociali. Alle domande che si pone, la polizia non può rispondere se non calcolando il numero dei suoi morti. Solo i consigli portano una risposta definitiva. Che cosa impedisce il saccheggio? L'organizzazione della distribuzione e la fine della merce. Che cosa impedisce il sabotaggio della produzione? L'appropriazione delle macchine da parte della creatività collettiva. Che cosa impedisce le esplosioni di rabbia e di violenza? La fine del proletariato attraverso la repressione collettiva della vita quotidiana. L'uni- 194 ca giustificazione della nostra lotta è la soddisfazione immediata di tale progetto: è ciò che ci soddisfa immediatamente. 16. L'unico sostegno dell'autogestione generalizzata è lo slancio della libertà vissuta da tutti. Ed è quanto basta per poter passare fin d'ora dal rigore preliminare alla sua elaborazione. Un tale rigore deve caratterizzare d'ora in poi le organizzazioni consiliari rivoluzionarie; viceversa la loro pratica conterrà già l'esperienza della democrazia diretta. Ciò permetterà di definire meglio certe formule. Così, un principio come «solo l'assemblea generale è sovrana» significa pure che ciò che sfugge al controllo diretto dell'assemblea autonoma risuscita sotto forma di mediazioni tutte le varietà autonome di oppressione. Attraverso i suoi rappresentanti, è l'assemblea tutta intera, con le sue tendenze, che dev'essere presente al momento di decidere. Se la distruzione dello Stato impedisce essenzialmente il ripetersi di quella beffa che fu il Soviet Supremo, bisogna non di meno fare attenzione a che la semplicità organizzativa renda impossibile l'apparizione di una neoburocrazia. Ora, sarà proprio la ricchezza delle tecniche di telecomunicazioni, pretesto per il mantenimento o il ritorno degli specialisti, a permettere il controllo permanente della base sui delegati, la conferma, la correzione o la sconfessione immediata delle loro decisioni a tutti i livelli. Telex, computer, televisioni appartengono quindi inalienabilmente alle assemblee di base. Realizzano la loro ubiquità. Nella composizione di un consiglio ci saranno senza dubbio consigli locali, urbani, regionali, internazionali: sarà bene che l'assemblea possa eleggere e controllare una sezione di equipaggiamento, destinata a raccogliere le richieste di forniture, a tracciare le possibilità di produzione e a coordinare questi due settori; una sezione d'informazione, incaricata di mantenere un rapporto costante con la vita degli altri Consigli; una 195 sezione di coordinamento, con il compito di arricchire, nella misura in cui le necessità della lotta lo permettono, i rapporti intersoggettivi, di radicalizzare il progetto fourierista, di occuparsi delle richieste di soddisfazione passionale, di fornire tutto ciò che non è necessario alla soddisfazione dei desideri individuali, delle sperimentazioni e delle avventure, di armonizzare le disponibilità ludiche dell'organizzazione dei lavori necessari (servizi di pulizia, custodia dei bambini, educazione, cucina eccetera); una sezione di autodifesa. Ogni sezione è responsabile di fronte all'assemblea plenaria; i delegati, revocabili e sottoposti al principio di rotazione verticale e orizzontale, si riuniscono e presentano regolarmente il loro rapporto. 17. Al sistema logico della merce, che mantiene la pratica alienata, deve rispondere la logica sociale dei desideri, con la pratica immediata che essa comporta. Le prime misure rivoluzionarie riguarderanno necessariamente la diminuzione delle ore di lavoro e la più larga riduzione del lavoro-servitù. I consigli cureranno la distinzione tra settori prioritari (alimentazione, trasporti, telecomunicazioni, metallurgia, costruzioni, abbigliamento, elettronica, tipografia, armamento, medicina, comforts e, in generale, l'equipaggiamento materiale necessario alla trasformazione permanente delle condizioni storiche); settori di riconversione, considerati dai lavoratori che vi partecipano come settori riappropriabili a vantaggio dei rivoluzionari, e settori parassitari, di cui le assemblee avranno deciso la soppressione pura e semplice. E' evidente che i lavoratori dei settori eliminati (amministrazione, uffici, industrie dello spettacolo e della merce pura) a otto ore al giorno di presenza in un posto di lavoro, preferiranno tre o quattro ore alla settimana di un lavoro liberamente scelto da loro fra i settori prioritari. I consigli sperimenteran- 196 no forme attrattive di lavori necessari, non per dissimularne il carattere penoso, ma per compensarlo con un'organizzazione ludica, e per quanto possibile, per eliminarli a vantaggio della creatività (secondo il principio lavoro no, piacere sì). Mano a mano che la trasformazione del mondo s'identificherà con la costruzione della vita, il lavoro necessario sparirà nel piacere della Storia per sé. 18. Affermando che l'organizzazione consiliare della distribuzione e della produzione impedisce il saccheggio e la distruzione delle macchine e delle scorte, ci si pone ancora nell'unica prospettiva dell'anti-Stato. Ciò che il negativo conserva qui di separazioni, i consigli, come organizzazione della società nuova, lo elimineranno mediante una politica collettiva dei desideri. La fine del salariato è realizzabile immediatamente, a partire dall'instaurazione dei consigli, dall'istante preciso in cui la sezione equipaggiamento e approvvigionamento di ogni consiglio organizzerà la produzione e la distribuzione in funzione dei voleri dell'assemblea plenaria. Sarà allora che, in omaggio alla migliore predizione bolscevica, si potranno chiamare Lenin i gabinetti pubblici d'oro e d'argento massiccio. 19. L'autogestione generalizzata implica l'estensione dei consigli. All'inizio, le zone di lavoro saranno prese in carico dai lavoratori interessati, riuniti in consigli. Per togliere ai primi consigli il loro aspetto corporativo, i lavoratori li apriranno, il più presto possibile, alle loro compagne, alla gente del quartiere, ai volontari venuti dai settori parassitari, in modo che prendano rapidamente la forma di consigli locali, frammenti della Comune (saranno unità pressoché equivalenti dal punto di vista numerico, dalle 8 alle 10.000 persone?). 197 24. L'estensione interna dei consigli deve andare di pari passo con la loro estensione geografica. Bisogna vegliare sulla perfetta radicalità delle zone liberate, senza l'illusione di Fourier sul carattere attraente delle prime comuni, ma senza peraltro sottovalutare la seduzione che si sprigiona da ogni esperienza di emancipazione autentica, una volta liberata dalla menzogna. L'autodifesa dei consigli esemplifica così la formula: la verità in armi è rivoluzionaria. 21. E' vicino il giorno in cui l'autogestione generalizzata avrà il suo codice dei possibili, destinato a liquidare la legislazione repressiva e la sua influenza espropriatrice millenaria. Forse apparirà nel doppio potere, prima che siano annientati gli apparati giuridici e gli sciacalli della penalità. I nuovi diritti dell'uomo (diritto di vivere ognuno a proprio modo, di costruirsi ima casa, di partecipare a tutte le assemblee, di armarsi, di vivere da nomadi, di rendere pubblico ciò che pensa - a ciascuno il suo giornale murale - di amare senza riserve; diritto d'incontro, diritto all'equipaggiamento materiale necessario alla realizzazione dei propri desideri, diritto di creatività, diritto di conquista sulla natura, fine del tempomerce, fine della storia in sé, realizzazione dell'arte e dell'immaginario, eccetera) attendono i loro antilegislatori. 198 SULLA COMUNE di G.-E. Debord, A. Kotànyi, R. Vaneigem 1 Note editoriali dell'IS 1. Bisogna riprendere lo studio del movimento operaio classico in un modo disingannato e innanzitutto disingannato rispetto alle varie specie dei suoi eredi politici o pseudoteorici, perché non possiedono altro che l'eredità del suo fallimento. Gli apparenti successi di questo movimento sono i suoi fallimenti fondamentali (il riformismo o il collocamento al potere di una burocrazia statale) e i suoi fallimenti (la Comune o la rivolta delle Asturie) sono finora i suoi aperti successi, per noi e per l'avvenire. 2. La Comune è stata la più grande festa del XIX secolo. Vi si trova, alla base, l'impressione degli insorti di essere divenuti padroni della propria storia, non tanto a livello di decisione politica governativa quanto a livello di vita quotidiana, in quella primavera del 1871 (vedi il gioco di tutti con le armi, ciò che vuol dire: giocare con il potere). E' anche in questo senso che occorre comprendere Marx: La più grande misura sociale della Comune era la sua stessa esistenza in atto. 1 Da IS n. 12, settembre 1969. 199 24. La frase di Engels, «Guardate la Comune di Parigi. Era la dittatura del proletariato», deve essere presa sul serio, come punto di partenza per dimostrare ciò che non è la dittature del proletariato in quanto regime politico (le varie modalità di dittature sul proletariato, in suo nome). 4. Tutti hanno saputo muovere giuste critiche alle incongruenze della Comune, all'evidente carenza di un apparato. Ma poiché oggi pensiamo che il problema degli apparati politici sia molto più complesso di quanto lo pretendono gli eredi abusivi dell'apparato di tipo bolscevico, è ora di considerare la Comune non solo come uno spontaneismo rivoluzionario superato di cui si superano tutti gli errori, ma come un'esperienza positiva di cui non si è ancora ritrovata e compiuta tutta la verità. 5. La Comune non ha avuto capi. Questo in un periodo storico in cui l'idea che se ne dovessero avere dominava in modo assoluto il movimento operaio. Si spiegano così in un primo momento le sue sconfitte e i suoi successi paradossali. Le guide ufficiali della Comune sono incompetenti (se prendiamo come riferimento il livello di Marx o Lenin, e perfino Blanqui). Ma in compenso gli atti irresponsabili di quel momento sono precisamente da rivendicene per la continuazione del movimento rivoluzionario del nostro tempo (anche se le circostanze li hanno limitati quasi tutti allo stadio distruttivo: l'esempio più noto è quello dall'insorto che dice al borghese sospetto che afferma di non aver mai fatto politica: è proprio per questo che ti uccido). 200 6. L'importanza vitale dell'armamento generale del popolo si manifesta, nella pratica e nei segni, da ima parte all'altra del movimento. Nell'insieme non si è abdicato a favore di reparti specializzati nel diritto di imporre con la forza una volontà comune. Il valore esemplare di questa autonomia dei gruppi armati ha il suo lato negativo nella mancanza di coordinamento: il fatto di non aver portato la forza popolare al livello dell'efficacia militare in nessun momento, offensivo o difensivo, nella lotta contro Versailles; ma non bisogna dimenticare che la rivoluzione spagnola, e alla fine la guerra stessa è stata persa in nome di una simile trasformazione in esercito repubblicano. Si può pensare che la contraddizione fra autonomia e coordinamento dipendesse in buona parte dal livello tecnologico dell'epoca. 7. La Comune rappresenta fino ai nostri giorni l'unica realizzazione di un'urbanistica rivoluzionaria, che attacca sul campo i segni pietrificati dell'organizzazione dominante della vita, riconosce lo spazio sociale in termini politici, non crede che un monumento possa essere innocente. Chi riconduce tutto ciò a un nichilismo da lumpenproletario, all'irresponsabilità delle incendiarie, deve ammettere in contropartita tutto ciò che ritiene positivo, da salvare, nella società dominante (si vedrà che è quasi tutto). Tutto lo spazio è già occupato dal nemico... il momento di apparizione dell'urbanismo autentico consisterà nel creare, in certe zone, il moto da questa occupazione. Ciò che noi chiamiamo costruzione comincia lì. Può comprendersi con l'aiuto del concetto di buco positivo forgiato dalla fisica moderna («Programma elementare di urbanismo unitario», da IS n. 6). 201 6. La Comune di Parigi è stata sconfitta meno dalla forza delle armi che dalla forza dell'abitudine. L'esempio pratico più scandaloso è il rifiuto di usare il cannone per impadronirsi della Banca di Francia mentre il denaro scarseggiava abbastanza. Per tutta la durata del potere della Comune, la Banca è rimasta un'enclave versagliese dentro Parigi, difesa da alcuni fucili e dal mito della proprietà e del furto. Le altre abitudini ideologiche sono state in tutti i campi disastrose (il risorgere del giacobinismo, la strategia disfattista delle barricate in ricordo del '48, eccetera). 9. La Comune dimostra come, su un punto o sull'altro, i difensori del vecchio mondo traggano sempre beneficio dalla complicità dei rivoluzionari; soprattutto da quelli che pensano la rivoluzione. E' là dove i rivoluzionari pensano come loro. Il vecchio mondo mantiene così delle basi (l'ideologia, il linguaggio, i costumi, i gusti) nello sviluppo dei suoi nemici, e le usa per riconquistare il terreno perduto. (Solo, sfugge per sempre il pensiero, in atti naturali, del proletariato rivoluzionario: la Corte dei Conti è bruciata). La vera quinta colonna è nella mente stessa dei rivoluzionari. 10. L'aneddoto degli incendiari venuti, negli ultimi giorni, per distruggere Notre-Dame, e si confrontano col battaglione armato degli artisti della Comune, è ricco di significato: è un buon esempio di democrazia diretta. Mostra anche, più a fondo, i problemi ancora da risolvere nella prospettiva del potere del consigli. Questi artisti unanimi avevano ragione a difendere una cattedrale in nome di valori estetici permanenti, e di fatto nello spirito dei musei, mentre altri uomini volevano giustamente comunicare qualcosa, traducendo con que- 202 sta demolizione la loro sfida totale a ima società che, nella sconfitta presente, gettava nuovamente tutta la loro vita nel silenzio e nel nulla? Gli artisti partigiani della Comune, agendo da specialisti, si trovavano già in conflitto con una manifestazione estremista della lotta contro l'alienazione. Bisogna rimproverare agli uomini della Comune di non aver osato rispondere al terrore totalitario del potere con la totalità dell'uso delle loro armi. Tutto porta a credere che si siano fatti sparire i poeti che hanno tradotto in quel momento la poesia in sospeso nella Comune. La massa degli atti incompiuti della Comune consente che gli atti abbozzati diventino atrocità e che i ricordi siano censurati. La frase «Coloro che fanno delle rivoluzioni a metà non fanno che scavarsi la fossa» spiega anche il silenzio di Saint-Just. 11. I teorici che restituiscono la storia di questo movimento ponendosi dal punto di vista onnisciente di Dio, che caratterizzava il romanziere classico, dimostrano facilmente che la Comune era oggettivamente condannata, che non aveva un possibile futuro. Non bisogna dimenticare che, per coloro che hanno vissuto l'avvenimento, il superamento era lì. 12. L'audacia e l'invenzione della Comune non si misurano ovviamente rispetto alla nostra epoca, ma rispetto alle banalità di allora nella vita politica, intellettuale, morale. Rispetto alla solidarietà di tutte le banalità fra le quali la Comune ha portato il fuoco. Così, considerando la solidarietà delle banalità attuali (di destra e di sinistra) ci si rende conto della misura dell'invenzione che ci possiamo aspettare da un'eguale esplosione. 203 13. La guerra sociale, di cui la Comune è un momento, continua sempre (benché le sue condizioni superficiali siano molto mutate). Per il lavoro di rendere consce le tendenze inconsce della Comune (Engels), non è detta l'ultima parola. 14. Da quasi vent'anni, in Francia, i cristiani di sinistra e gli stalinisti si accordano, in ricordo del loro fronte nazionale antitedesco, per mettere l'accento su quanto nella Comune vi fu di turbamento nazionale, patriottismo ferito, e insomma di popolo francese che chiedeva per petizione di essere ben governato (secondo la «politica» stalinista attuale), e spinto infine alla disperazione dalla carenza della destra borghese apolide. Per risputare quest'acqua santa, basterebbe studiare il ruolo degli stranieri venuti a combattere per la Comune: si trattava, prima di tutto, dell'inevitabile prova di forza in cui si doveva condurre tutta l'azione in Europa dal 1848 del nostro partito, come diceva Marx. 18 marzo 1962 Debord, Kotànyi e Vaneigem Il testo sulla Comune viene pubblicato suU'lS nel quadro di un confronto con un testo di H. Lefebvre, filosofo vicino, fino ad un certo punto, alle posizioni situazioniste. Tale confronto è giustificato dal fatto che il testo di Lefebvre, pubblicato sulla rivista Arguments, riprende in modo quasi letterale il testo sulla Comune dei situazionisti. Tutto ciò è anche oggetto di una polemica violenta contro Lefebvre da parte di Vaneigem in un articolo pubblicato sullo stesso numero 12 dell'IS, col titolo NELLE PA TTUMIERE DELLA STORIA! [n.d.t.]. 204 Non credete più ai pensatori rispettabili e non credete più che la teoria rivoluzionaria sia assente. Leggete direttamente la rivista Internationale Situationniste E' appena uscito il numero 8. In vendita in edicola. Indirizzo B.P. 75-06 Parigi. LA QUESTIONE DELL'ORGANIZZAZIONE PER L'IS di G.-E. Debord} (aprile 1968) 1. Tutto ciò che finora è stato conosciuto dell'IS fa parte di un'epoca che per fortuna è finita (si può dire più precisamente che era la seconda epoca, se si conta come prima l'attività centrata sul superamento dell'arte, tra il 1957 e il 1962). 2. Le nuove tendenze rivoluzionarie della società attuale, se sono ancora deboli e confuse, non sono più relegate in un'area di clandestinità: quest'anno appaiono nelle strade. 3. Parallelamente, l'IS è uscita dal silenzio e deve, in termini strategici, sfruttare ora questo varco. Non si può impedire la moda, qua e là, del termine situazionista. Dobbiamo fare in modo che questo fenomeno (normale) ci serva più di quanto ci possa nuocere. Quel che ci serve, ai miei occhi è indistinto da ciò che serve a unificare e radicalizzare le lotte sparse. E' il compito dell'IS, in quanto organizzazione. Al di fuori di ciò, il termine situazionista potrebbe vagamente designare una certa epoca del pensiero critico (è già abbastanza bene averlo inaugurato), ma in cui ciascuno è impegnato soltanto per ciò che fa personalmente, senza riferimento a ima comunità organizzata. Ma finché questa comunità esiste, dovrà riuscire a distinguersi da chi parla di lei senza essere lei. 1 «La question de l'organisation pour l'IS», da IS n. 12, settembre 1969. 206 4. Si può dire, relativamente ai compiti che ci siamo già riconosciuti precedentemente, che attualmente bisogna porre l'accento meno sull'elaborazione teorica, da proseguire, che sulla sua comunicazione: essenzialmente, sul legame pratico con ciò che sta apparendo (aumentando in fretta le nostre possibilità di intervento, di critica, di sostegno esemplare). 5. Il movimento che comincia poveramente è l'inizio della nostra vittoria (vale a dire della vittoria di ciò che sostenevamo e indicavamo da parecchi anni). Ma questa vittoria non deve venir capitalizzata da noi (ogni affermazione di un momento della critica rivoluzionaria, in tal senso, si richiama già, al livello in cui è, a questa esigenza: che ogni organizzazione coerente avanzata sappia dissolversi essa stessa nella società rivoluzionaria). Nelle correnti sovversive attuali e prossime, vi è molto da criticare. Sarebbe assai poco elegante che noi compissimo questa necessaria critica lasciando l'IS al di sopra di essa. 6. L'IS deve ora provare la sua efficacia in uno stadio ulteriore dell'attività rivoluzionaria, oppure sparire. 7. Per avere delle possibilità di raggiungere tale efficacia, bisogna vedere e dichiarare alcune verità sull'IS che evidentemente erano già vere prima, ma, nello stadio presente, in cui questo vero si verifica, è diventato urgente il precisarlo. 8. Poiché l'IS non è stata mai considerata da noi come un fine, ma come un momento di un'attività storica, la forza delle cose ci porta adesso a provarlo. La coerenza dell'IS è il rapporto, tendente alla coerenza, tra tutte le nostre tesi formulate, tra loro e la nostra azione; così come la nostra solidarietà per i problemi (molti, ma non tutti) in cui qualcuno di 207 noi deve impegnare la responsabilità degli altri. Questo non può significare l'autorevolezza garantita per chiunque, che fosse giudicato aver compreso così bene le nostre basi teoriche da ricavarne automaticamente la buona condotta indiscutibile. Questo non può significare l'esigenza (ancor meno il riconoscimento) di un'eccellenza uguale di tutti su tutte le questioni od operazioni. 9. La coerenza si acquisisce e si verifica con la partecipazione egualitaria all'insieme di una pratica comune, che contemporaneamente rivela i difetti e fornisce i rimedi: questa pratica esige delle riunioni formali che stabiliscano le decisioni, la trasmissione di tutte le informazioni, l'esame di tutte le carenze constatate. 10. Questa pratica richiede attualmente più partecipanti all'IS presi tra coloro che affermano il loro accordo e dimostrano le loro capacità. Il piccolo numero, abbastanza ingiustamente selezionato sino ad ora, è stato causa e conseguenza di una sovraestimazione ridicola ufficialmente accordata a tutti i membri dell'IS per il solo fatto che lo sono, mentre molti non avevano provato per nulla delle capacità minime reali (si vedano le esclusioni da un anno a questa parte, garnaultini o inglesi). Una simile limitazione numerica pseudoqualitativa alimenta esageratamente l'importanza di ogni sciocchezza particolare, quando al tempo stesso la suscita. 1 11. Un prodotto diretto di questa illusione selettiva, all'esterno è stato il riconoscimento mitologico di pseudogruppi autonomi, collocati gloriosamente al livello dell'IS, 1 Da Jean Garnault, situazionista di Strasburgo che, insieme a Herbert Holl, Theo ed Edith Frey, era stato espulso dall'IS il 15 gennaio 1967 [n.d.r.]. 208 mentre non ne erano che degli ammiratori deboli di mente (dunque, per forza, a breve termine, disonesti detrattori). Mi sembra che non possiamo riconoscere dei gruppi autonomi senza un ambiente di lavoro pratico autonomo né la riuscita durevole di un gruppo autonomo senza un'azione unitaria con gli operai (ovviamente senza che questo ricada al di sotto della nostra definizione minima delle organizzazioni rivoluzionarie). Tutti i tipi di esperienze recenti ci hanno dimostrato il confusionismo recuperato del termine anarchico a cui mi sembra che dobbiamo opporci ovunque. 12. Ritengo che si debba ammettere dell'IS la possibilità di tendenze riguardo a diverse preoccupazioni od opzioni tattiche, a condizione che non vengano messe in discussione le nostre basi generali. Del pari bisogna andare verso ima completa autonomia pratica dei gruppi nazionali, nella misura in cui potranno costituirsi realmente. 13. All'opposto delle abitudini degli esclusi che, nel 1966, pretendevano conseguire - inattivamente - nell'IS una realizzazione totale della trasparenza e dell'amicizia (ci si trovava quasi imbarazzati nel giudicare la loro compagnia noiosa) e che, come corollario, sviluppavano in segreto le gelosie più idiote, menzogne indegne della scuola elementare, dei complotti tanto ignominiosi quanto irrazionali, noi non dobbiamo ammettere tra di noi che dei rapporti storici (una fiducia critica, la conoscenza delle possibilità o dei limiti di ciascuno), ma sulla base della lealtà fondamentale che esige il progetto rivoluzionario che si va definendo da più di un secolo. 14. Non abbiamo più il diritto di sbagliarci nella rottura. Dovremo sbagliarci ancora nell'adesione - più o meno frequentemente: le esclusioni non hanno quasi mai segnato un progresso teorico dell'IS (in quelle occasioni non scoprivamo 209 una definizione più precisa di ciò che è inaccettabile - il lato sorprendente del garnaultismo sta appunto nel fatto che era un'eccezione a questa regola). Le esclusioni sono state quasi sempre delle risposte a delle pressioni oggettive che le condizioni esistenti riservano alla nostra azione: questo rischia quindi di riprodursi a dei livelli più alti. Ogni tipo di nashismi . potrebbe riformarsi: si tratta soltanto di essere in grado di distruggerli. 1 15. Per accordare la forma di questo dibattito a quello che io credo debba essere il suo contenuto, propongo che questo testo venga comunicato a certi compagni vicini all'IS 0 suscettibili di farne parte e che si solleciti il loro parere su tale questione. Nota aggiunta nell'agosto 1969 Queste note dell'aprile 1968 erano un contributo a un dibattito sull'organizzazione che allora doveva cominciare fra di noi. Due o tre settimane dopo, il movimento delle occupazioni, che evidentemente fu più piacevole e più istruttivo di questo dibattito, ci costrinse a rimandarlo. Solo l'ultimo punto era stato immediatamente approvato dai compagni dell'IS Questo testo, quindi, che non aveva certo nulla di segreto, non era neppure esattamente un documento interno. Tuttavia, verso la fine del 1968, abbiamo constatato che delle versioni tronche e senza data erano state messe in circolazione da alcuni gruppi gauchistes, non so a qual fine. L'IS ha giudicato, in conseguenza di ciò, che bisognava pubblicare in questa rivista la versione autentica. 1 Da Jorgen Nash, artista danese e membro dell'IS, espulso nel 1962. A novembre dello stesso anno, nella conferenza di Anversa, l'IS aveva adottato una definizione polemica e satirica del «nashismo» [n.d.r.]. 210 Quando la nostra discussione sull'organizzazione potè venir ripresa, nell'autunno dei 1968, i fatti avevano camminato molto in fretta e i situazionisti adottarono queste tesi che ne uscivano confermate. Reciprocamente, l'IS ha saputo agire in maggio in una maniera che rispondeva abbastanza bene alle esigenze che erano state formulate per il futuro immediato. Credo che si debba aggiungere ima precisazione, nel momento in cui questo testo conosce una diffusione più vasta, per evitare un controsenso sulla questione dell'apertura relativa richiesta per l'IS. Non ho proposto qui nessuna concessione all'azione comune con quelle correnti semiradicali che possono già cercare di formarsi, né soprattutto l'abbandono del nostro rigore nella scelta dei membri dell'IS e nella limitazione del loro numero. Ho criticato un cattivo uso astratto di questo rigore, che potrebbe sfociare nel contrario di ciò che vogliamo. Gli eccessi, di ammirazione o successivamente di ostilità, di tutti coloro che parlano di noi da spettatori intempestivamente appassionati non devono trovare il loro corrispondente in una «situ-vanteria» che, fra di noi, aiuterebbe a far credere che i situazionisti sono tutti delle meraviglie che possiedono effettivamente, nella loro vita, ciò che hanno enunciato o semplicemente ammesso in quanto teoria e programma rivoluzionario. Si è potuto vedere, dopo il maggio, che ampiezza abbia preso questo problema e quelle urgenza. I situazionisti non hanno un monopolio da difendere, né delle ricompense da ottenere. Un compito, che ci andava bene, è stato avviato, mantenuto mediamente e, nell'insieme, correttamente, con ciò che si trovava in quel momento. L'attuale sviluppo delle condizioni soggettive della rivoluzione deve condurre a definire una strategia che, a partire da dati differenti, sia altrettanto valida che quella che l'IS ha seguito in tempi più difficili. 211 les mensonges de Théo Prey, Jean Garnault et Herbert Holl ayant été mis en évidence, ils ont été exclus sur le champ, et l'I.S. refuserà naturellement tout contact à l'avenir avec quiconque se compromettrait avec eux. Le 15 janvier 1967 pour l'I.S» fctnu4 \tu* Bernstein Debord jCU-A^-f f\JtÀ\j0lr»-A, tm^i Xhayati Nicholson-Smith Viénet La risoluzione originaria con cui vennero espulsi i «garnaultini» e le firme di alcuni celebri esponenti dell'IS. Materiali Df LO SCS» , l LLOS M I S H O S , A sinistra: «L'emancipazione dei lavoratori sarà opera d'essi stessi». Sotto: «Non conosco niente di meglio che scopare con un minatore asturiano. Questi sì che sono uomini!». Volantini clandestini per la Spagna, riprosotti sull'/S. «*" * n•Mm n)<N> «jtv»'» \ I (Ut »< •"« MHtl" MANIFESTO 1 Una nuova forza umana, che il potere esistente non potrà dominare, si accresce di giorno in giorno con l'irresistibile sviluppo tecnico e l'insoddisfazione per le sue utilizzazioni possibili nella nostra vita sociale privata di senso. L'alienazione e l'oppressione nella società non possono essere pianificate in nessuna delle loro varianti, ma solo rigettate in blocco con questa stessa società. Ogni progresso reale è evidentemente connesso alla soluzione rivoluzionaria della multiforme crisi del presente. Quali sono le prospettive d'organizzazione della vita in una società che, autenticamente, riorganizzerà la produzione sulle basi di un'associazione libera e uguale di produttori? L'automazione della produzione e la socializzazione dei beni vitali ridurranno sempre di più il lavoro come necessità esterna, e diiranno infine la libertà completa all'individuo. Liberato così da ogni responsabilità economica, liberato da tutti i suoi debiti e le sue colpe verso il passato e gli altri, l'uomo avrà a disposizione un nuovo plusvalore, incalcolabile in denaro perché impossibile da ridurre a misura del lavoro salariato: il valore del gioco, della vita liberamente costruita. L'esercizio di questa creazione ludica è la garanzia della libertà di ognuno e di tutti, nell'ambito della sola uguaglianza garantita dal non-sfruttamento dell'uomo sull'uomo. 1 «Manifeste», da IS n. 4, giugno 1960. 215 La liberazione del gioco è la sua autonomia creativa, che supera l'antica divisione tra il lavoro imposto e i divertimenti passivi. La Chiesa ha bruciato un tempo le cosiddette streghe per reprimere le tendenze ludiche primitive conservate nelle feste popolari. Nella società attualmente dominante, che produce in maniera massiccia squallidi pseudogiochi di nonpartecipazione, una vera e propria attività artistica viene classificata necessariamente come criminalità. E' semiclandestina. Si presenta come fatto scandaloso. Cos'è, in effetti, la situazione? E' la realizzazione di un gioco superiore; più precisamente, è la provocazione a quel gioco che è la presenza umana. I giocatori rivoluzionari di tutti i paesi possono unirsi nell'IS per cominciare ad uscire dalla preistoria della vita quotidiana. Proponiamo fin d'ora un'organizzazione autonoma dei produttori della nuova cultura, indipendente dalle organizzazioni politiche e sindacali che esistono in questo momento, poiché non riconosciamo loro la capacità di organizzare nient'altro che il riassetto dell'esistente. L'obiettivo più urgente che fissiamo per questa organizzazione, dal momento in cui esce dalla sua fase sperimentale iniziale per ima prima campagna pubblica, è la presa dell'Unesco. La burocratizzazione, unificata su scala mondiale, dell'arte e di tutta la cultura è un fenomeno nuovo che esprime la profonda affinità dei sistemi sociali coesistenti nel mondo, sulla base della conservazione eclettica e della riproduzione del passato. La risposta degli artisti rivoluzionari a queste nuove condizioni deve essere un tipo nuovo di azione. Poiché l'esistenza stessa di questa concentrazione direttiva della cultura localizzata in un solo edificio, favorisce la conquista con un putsch; e poiché l'istituzione è del tutto sprovvista della possibilità di un uso sensato al di fuori della nostra prospettiva sovversiva, ci troviamo giustificati, di fronte ai nostri contemporanei, se ci impossessiamo di questo apparato. E 216 l'avremo. Siamo determinati a impadronirci dell'Unesco, anche se per poco tempo, perché siamo sicuri di fare all'istante un'opera che resterà tra le più significative per illuminare un lungo periodo di rivendicazioni. Quali dovranno essere i caratteri principali della nuova cultura, prima di tutto in rapporto all'arte del passato? Contro lo spettacolo, la cultura situazionista realizzata introduce la partecipazione sociale. Contro l'arte conservata, si oppone un'organizzazione del momento vissuto, direttamente. Contro l'arte parcellare, ci sarà una pratica globale basata contemporaneamente su tutti gli elementi utilizzabili. Tendendo naturalmente a una produzione collettiva e senza dubbio anonima (almeno nella misura in cui, essendo note le opere immagazzinate in merci, questa cultura non sarà governata dal bisogno di lasciare tracce). Le sue esperienze si propongono, come minimo, ima rivoluzione del comportamento e un urbanismo unitario dinamico, suscettibile di essere esteso all'intero pianeta, e di essere poi diffuso su tutti i pianeti abitabili. Contro l'arte unilaterale, la cultura situazionista sarà un'arte del dialogo, un'arte dell'interazione. Gli artisti -con tutta la cultura visibile - si sono separati del tutto dalla società, come sono separati tra loro dalla concorrenza. Ma anche prima di questa impasse del capitalismo, l'arte era essenzialmente unilaterale, senza risposta. Essa supererà questo periodo chiuso del suo primitivismo a favore di una comunicazione completa. Poiché tutti diventeranno artisti a uno stadio superiore, cioè in modo inseparabile, produttori-consumatori di una creazione culturale totale, si assisterà alla rapida dissoluzione del criterio lineare di novità. Poiché tutti diventeranno, per così dire, situazionisti, si assisterà a un'inflazione multidimensionale di tendenze, esperienze, di scuole radicalmente 217 differenti, e tutto questo non più successivamente, ma simultaneamente. Inauguriamo ora quello che sarà, storicamente, l'ultimo dei mestieri. Il ruolo di situazionista, di dilettante-professionista, di antispecialista è ancora ima specializzazione fino a quel momento di abbondanza economica e mentale in cui tutti diventeranno «artisti», in un senso che gli artisti non hanno raggiunto: la costruzione della loro vita. Tuttavia, l'ultimo mestiere della storia è così vicino alla società senza divisione permanente del lavoro, che non gli si riconosce la qualifica di mestiere quando fa la sua apparizione nell'I.S, A quelli che non ci comprendessero bene, diciamo con un irriducibile disprezzo: «I situazionisti, di cui vi credete forse i giudici, vi giudicheranno un giorno o l'altro. Vi aspettiamo alla svolta, che è la liquidazione inevitabile del mondo della privazione, sotto tutte le forme. Questi sono i nostri fini e saranno i futuri fini dell'umanità». 17 maggio 1960 218 IL QUESTIONARIO 1 1. Che significa il termine «situazionista»? Definisce un'attività che vuole creare le situazioni, non riconoscerle, come valore esplicativo o altro. Questo a tutti i livelli della pratica sociale e della storia individuale. Noi sostituiamo alla passività esistenziale la costruzione di momenti di vita, al dubbio l'affermazione ludica. Fino ad ora, i filosofi e gli artisti non hanno fatto che interpretare le situazioni; si tratta ora di trasformarle. Dato che l'uomo è il prodotto delle situazioni che attraversa, è importante creare delle situazioni umane. Dato che l'individuo è definito dalla sua situazione, vuole il potere di creare delle situazioni a misura del suo desiderio. In questa prospettiva devono fondersi e realizzarsi la poesia (la comunicazione come realizzazione di un linguaggio in situazione), l'appropriazione della natura, la liberazione sociale completa. Il nostro tempo sostituirà la frontiera fissa delle situazioni-limite, che la fenomenologia si è compiaciuta nel descrivere, con la creazione pratica delle situazioni; stabilizzerà permanentemente questa frontiera con il movimento della storia della nostra realizzazione. Noi voghamo una fenomeno-prassi. Non dubitiamo affatto che questa sarà la banalità primaria del movimento di liberazione possibile del nostro tempo. Cosa si tratta di mettere in situazione? 1 «Le questionnaire», da IS n. 9, agosto 1964. 219 A differenti livelli, può essere questo pianeta, o l'epoca (una civiltà nel senso di Burckhardt, per esempio), o un momento della vita individuale. Comincino le danze! I valori della cultura passata, le speranze di realizzare la ragione nella storia, non hanno altra prospettiva possibile. Tutto il resto si decompone. Il termine situazionista, nell'accezione dell'IS, è esattamente il contrario di ciò che attualmente in portoghese si chiama un situazionista, vale a dire un difensore della situazione esistente, in quel caso, del salazarismo. 2. L'Internazionale Situazionista è un movimento politico? L'espressione «movimento politico» definisce oggi l'attività specializzata dei capi di gruppi e di partiti che traggono dalla passività organizzata dei loro militanti la forza oppressiva del loro potere futuro. L'IS non vuole avere niente in comune con il potere gerarchizzato, sotto qualunque forma si ponga. L'IS quindi non è né un movimento politico, né una sociologia della mistificazione politica. L'IS si propone di essere il più alto grado della coscienza rivoluzionaria internazionale. E' per questo che si sforza di chiarire e di coordinare i gesti di rifiuto e i segni di creatività che definiscono i nuovi contorni del proletariato, la volontà irriducibile di emancipazione. Articolata sulla spontaneità delle masse, una simile attività è incontestabilmente politica, a meno che non si neghi tale qualità agli agitatori stessi. Nella misura in cui delle nuove correnti radicali appaiono in Giappone (l'ala estremista del movimento Zengakuren), in Congo, nella clandestinità spagnola, l'IS fornisce loro un appoggio crìtico, e dunque si attiva per aiutarli praticamente. Ma contro tutti i «programmi transitori» della politica specialistica, l'IS si riferisce a una rivoluzione permanente della vita quotidiana. 220 3. L'I.S è un movimento artistico? Una gran parte della critica situazionista dedicata alla società dei consumi consiste nel mostrare a che punto gli artisti contemporanei, abbandonando la ricchezza di superamento contenuta, se non proprio sfruttata, nel periodo 1910-1925, si siano in maggioranza condannati a fare arte così come si fanno affari. I movimenti artistici, da allora, non sono che le conseguenze immaginarie di un'esplosione che non ha mai avuto luogo, che minacciava e minaccia ancora le strutture della società. La coscienza di un simile abbandono e delle sue contraddittorie implicazioni (il vuoto e la volontà di ritornare alla violenza iniziale) fa dell'IS il solo movimento che possa, integrando la sopravvivenza dell'arte nell'arte di vivere, rispondere al progetto dell'artista autentico. Siamo degli artisti soltanto in quanto non siamo più degli artisti: stiamo realizzando l'arte. 4. L'IS è una manifestazione nichilista? L'IS rifiuta il ruolo, che tutti sono pronti a concederle, nello spettacolo della decomposizione. L'aldilà del nichilismo passa per la decomposizione dello spettacolo ed è per questo che l'IS intende impegnarsi fortemente. Tutto ciò che viene elaborato e costruito al di fuori di una simile prospettiva non ha bisogno dell'IS per crollare da sé; ma è anche vero che, ovunque nella società dei consumi, le aree dismesse del crollo spontaneo offrono ai valori nuovi un campo di sperimentazione di cui l'IS non può non tener conto. Non possiamo costruire che sulle rovine dello spettacolo. D'altronde, la previsione, perfettamente fondata, di una distruzione totale obbliga a non costruire mai se non alla luce della totalità. 221 5. Le posizioni situazioniste sono utopiche? La realtà supera l'utopia. Tra la ricchezza delle possibilità tecniche attuali e la povertà del loro uso da parte dei dirigenti di ogni tipo, non c'è che da lanciare un ponte immaginario. Noi voghamo mettere l'attrezzatura materiale a disposizione della creatività di tutti, come ovunque le masse si sforzano di farlo nel momento della rivoluzione. E' un problema di coordinamento, o di tattica, come si vuole. Tutto ciò di cui noi trattiamo è realizzabile, sia immediatamente, sia a breve termine, dal momento in cui si comincino a mettere in pratica i nostri metodi di ricerca, di attività. 6. Giudicate necessario chiamarvi così: «situazionisti»? Nell'ordine esistente, in cui la cosa prende il posto dell'uomo, ogni etichetta è compromettente. Tuttavia quella che abbiamo scelto porta in sé la propria critica, magari sommaria, per il fatto che si oppone a quella di «situazionismo» che gli altri scelgono per noi. D'altronde sparirà quando ciascuno di noi sarà situazionista interamente, e non più proletario che lotta per la fine del proletariato. Nell'immediato, per quanto ridicola sia un'etichetta, ha il merito di segnare una cesura tra l'antica incoerenza e un'esigenza nuova. Quel che più era mancato all'intelligenza da alcune decine di anni era per l'appunto questa cesura. 7. Qual è l'originalità dei situazionisti in quanto gruppo delimitato? Ci sembra che tre punti importanti giustifichino l'importanza che noi ci attribuiamo, come gruppo organizzato di teorici e di sperimentatori. In primo luogo, noi facciamo, per la prima volta, una nuova critica, coerente, della Società che 222 si sviluppa attualmente, da un punto di vista rivoluzionario; questa critica è profondamente radicata nella cultura e nell'arte di questo tempo, ne detiene le chiavi (evidentemente questo lavoro è piuttosto lungi dall'essere portato a termine). In secondo luogo, noi pratichiamo la rottura completa e definitiva con tutti coloro che ci obbligano a farlo: è una rottura a catena. Ciò è prezioso in un'epoca in cui le diverse forme di rassegnazione, subdolamente, sono solidali. In terzo luogo, noi inauguriamo un nuovo stile di rapporti con i nostri «sostenitori»: rifiutiamo assolutamente i discepoli. Ci interessiamo soltanto alla partecipazione al più alto livello e a lanciare nel mondo persone autonome. 8. Perché non si parla dell' IS? Se ne parla abbastanza spesso, fra i possessori specializzati del pensiero moderno in liquefazione, ma se ne scrive molto poco. Nel senso più generale perché rifiutiamo il termine situazionismo, che sarebbe la sola categoria capace di introdurci nello spettacolo regnante, integrandoci sotto forma di dottrina fossilizzata contro noi stessi, sotto forma di ideologia nel senso di Marx. E' normale che lo spettacolo che noi rifiutiamo, ci rifiuti. Si parla più volentieri dei situazionisti in quanto individui, per tentare di separarli dalla contestazione d'insieme, senza la quale, d'altra parte, non sarebbero neppure degli individui «interessanti». Si parla dei situazionisti da quando smettono di esserlo (le varietà rivali di nashismo , in diversi paesi, hanno questa sola celebrità in comune, di rivendicare bugiardamente una qualsiasi relazione con l'IS). I cani da guardia dello spettacolo riprendono, senza dirlo, frammenti di teoria 1 1 Da Jorgen Nash, vedi sopra, nota a p. 210 [n.d.r.]. 223 situazionista, per rivolgerla contro di noi. Se ne ispirano, com'è normale, nella loro lotta per la sopravvivenza dello spettacolo. E' loro necessario quindi nascondere la fonte, per la coerenza fittizia di simili «idee». Non è soltanto per vanità di plagiari. Inoltre: molti intellettuali esitanti non osano parlare apertamente dell'IS, perché parlarne implica un minimo di presa di posizione: dire chiaramente ciò che si rifiuta rispetto a ciò che se ne assume. Molti credono, assai a torto, che fingere intanto l'ignoranza li libererà più tardi dalle loro responsabilità. 9. Che appoggio date al movimento rivoluzionano? Sfortunatamente non c'è. La società, certo, contiene delle contraddizioni e cambia. Cosa che rende, in un modo sempre nuovo, possibile e necessaria un'attività rivoluzionaria che attualmente non esiste più, o non ancora, nella forma di movimento organizzato. Non si tratta quindi di «appoggiare» un simile movimento, ma di farlo: di definirlo e, in maniera inseparabile, di sperimentarlo. Dire che non c'è movimento rivoluzionario è il primo gesto, indispensabile, a favore di un tale movimento. Tutto il resto è ridicola riverniciatura del passato. 10. Siete marxisti? Tanto quanto Marx quando diceva «Non sono marxista». 11. C'è un rapporto tra le vostre teorie e il vostro modo di vita reale? Le nostre teorie non sono niente altro che la teoria della nostra vita reale e del possibile sperimentato o intravisto in 224 essa. Per quanto parcellari siano i campi di attività disponibili, sino a nuovo ordine, in essi noi ci comportiamo al meglio. Trattiamo il nemico da nemico, ed è un primo passo che raccomandiamo a tutti come apprendimento accelerato del pensiero. D'altra parte, va da sé che sosteniamo incondizionatamente tutte le forme di libertà dei costumi, tutto ciò che la canaglia borghese o burocratica chiama dissolutezza. E' evidentemente escluso che noi prepariamo la rivoluzione della vita quotidiana con l'ascetismo. 12.1 situazionisti sono all'avanguardia della società dei divertimenti? La società dei divertimenti è un'apparenza che copre un certo tipo di produzione-consumo dello spazio-tempo sociale. Se il tempo del lavoro produttivo propriamente detto si riduce, l'esercito di riserva della vita industriale lavorerà nel consumo. Tutti sono successivamente operai e materia prima nell'industria delle vacanze, dei divertimenti, dello spettacolo. 1 lavoro esistente è l'alfa e l'omega della vita esistente. L'organizzazione dei consumi più l'organizzazione dei divertimenti deve equilibrare esattamente l'organizzazione del lavoro. Il «tempo Ubero» è ima misura ironica nel corso di un tempo prefabbricato. Rigorosamente, questo lavoro non potrà dare che questo divertimento, sia per l'éUte oziosa - di fatto, sempre più semioziosa - sia per le masse che accedono ai divertimenti momentanei. Nessuna barriera di piombo può isolare né un pezzo del tempo, né il tempo completo di un pezzo di società, dalla radioattività diffusa dal lavoro aUenato; se non altro perché esso genera la totaUtà dei prodotti e deUa vita sociale, cosi e non altrimenti. 225 13. Chi vi finanzia? Siamo sempre stati finanziati, in maniera estremamente precaria, soltanto dal nostro proprio lavoro nell'economia culturale dell'epoca. Questo impiego è sottoposto a questa contraddizione: abbiamo tali capacità creative che possiamo «riuscire» in tutto quasi a colpo sicuro; abbiamo ima così rigorosa esigenza di indipendenza e di perfetta coerenza tra il nostro progetto e ciascuna delle nostre realizzazioni presenti (cfr. la nostra definizione di una produzione artistica antisituazionista) che risultiamo quasi totalmente inaccettabili per l'organizzazione dominante della cultura, anche in questioni assai secondarie. Lo stato delle nostre risorse discende da questa componente. A tale proposito, si veda quel che abbiamo scritto nel numero 8 di questa rivista (p. 29) sui «capitali che non mancheranno mai alle imprese nashiste» e, al contrario, sulle nostre condizioni (ultima pagina di questa rivista). 14. Quanti siete? Un po' più del nucleo iniziale della guerriglia nella Sierra Maestra, ma con meno armi. Un po' meno dei delegati che erano a Londra nel 1864 per fondare l'Associazione Internazionale dei Lavoratori, ma con un programma più coerente. Altrettanto risoluti dei greci alle Termopili («Passante, vai a dire a Lacedemone...») ma con un più bell'avvenire. 15. Che valore potete attribuire a un questionario? A questo? Si tratta manifestamente di una forma di dialogo fittizio, che oggi diviene ossessiva con tutte le psicotecniche dell'integrazione allo spettacolo (la passività gioiosamente assunta sotto un travestimento grossolano da «partecipazione», da 226 attività mascherata). Ma noi, possiamo sostenere, a partire da un'interrogazione incoerente, reificata, delle posizioni esatte. Di fatto, queste posizioni non «rispondono», in quanto non rinviano alle domande, rinviano le domande. Sono delle risposte tali che dovrebbero trasformare le domande. Così il vero dialogo potrebbe cominciare dopo queste risposte. Nel presente questionario, tutte le domande sono false, e tuttavia le nostre risposte sono vere. 227 PREFAZIONE ALL'UNITÀ SCENICA «NESSUNO E GLI ALTRI» di André Frankin 1 Noi non vogliamo lavorare allo spettacolo dellafinedel mondo, ma allafinedel mondo dello spettacolo. Nota editoriale dell'/S n. 3. Ce l'hanno ripetuto? Ce l'hanno profetizzato? Il teatro è morto. Considerazione senza interesse dal momento in cui noi scriviamo «per il teatro»! I registi praticheranno la respirazione artificiale a questi testi, per lo meno inopportuni, nel peggiore dei casi infallibili. In quanto all'autore, chi non avrebbe la sua piccola idea del cadavere così come l'hanno le vecchie signore all'annuncio dell'annegamento del vicino del piano di sotto? Essendo ciascuno a questo punto, il teatro fa la parte del leone per coloro, tutti e nessuno, che si danno come regola di offrire, data la solennità funeraria, «la» pièce che, definitivamente, sprofonderà quest'arte nell'oblio. Con troppa evidenza, questo primo testo non sfugge alla tentazione di questo rito. Si è scritto su delle tombe. Ciò è troppo visibile e lascia poco spazio per dire, contro ogni certezza della quale non mancherà di ammantarsi ridicolmente l'avanguardia, ciò che si è realmente tentato di fare. Ebbene sì! Che cosa ho voluto fare? E, prima di tutto perché: unità scenica? 1 «Préface à l'unité scénique "Personne et les autres"», da IS n. 5, dicembre 1960. 228 Dopo Brecht, e il dadaismo, è la moda di Beckett; sarebbe indecente scoprire l'antipièce o procedimenti arciconosciuti. Sarebbe non meno indecente credere a conseguenze più ampie. Questa rianimazione può essere appassionante o secondaria: non s'innalzerà mai all'altezza di quegli scopritori. Rifarsi a Brecht o ad altri, evidenzierebbe non soltanto una certa impudicizia ma una tentazione più sottile: quella della novità paziente, la nozione di ima ricerca applicata, comparativa, studiosa e infine illusoria: il Dr. Faust non è niente di meno che l'allievo di Satana. Da cui il didascalismo, volontario o no, delle pièces d'avanguardia! L'unità scenica, da parte sua, non ha che i suoi prestiti da far valere, che essi siano patenti o che siano stati suggeriti da altre forme di arte in decomposizione (come il romanzo, genere letterario esausto, ma destinato alla massima fortuna se viene rappresentato così com'è sulla scena). L'unità scenica è anzitutto un romanzo. Certo non trasposto. Al contrario! Un romanzo rappresentato. Cioè la proiezione sulla scena di questa curiosa mescolanza tra uno stile di vita, mai raggiunto o soltanto sfiorato, e l'asimmetria dei nostri atti, lo iato quotidiano delle situazioni. Da una parte, lo stile di vita dialoga davanti a noi e, dall'altra, questi gesti, queste decisioni, questi incontri e queste partenze non sono esprimibili positivamente in esso: ecco che cos'è l'unità scenica, una volta tenuto conto dei preconcetti o incidenti della rappresentazione (come la soppressione dell'intervallo). Quattro elementi costituiscono l'unità scenica. Tutti concorrono alla visione globale dello spettacolo, quale che sia il momento del dialogo; nessuno è estraneo all'articolazione di questi dialoghi, alla loro progressione (al di fuori di ogni drammatizzazione), alla loro efficacia lineare, essendo questa più profonda nella misura in cui ogni spettatore coglie che la sua vita è rappresentata davanti a lui, non più mediante una qualunque azione o dei mezzi scenici sperimentati, ma 229 dal fatto che questi dialoghi isolano in lui due totalità: ciò che si dice e ciò che si fa. 1. Polverizzazione dell'intrigo: fino ad ora, la drammatizzazione teatrale si basava prima di tutto sulla singolarità del personaggio e sul potere più o meno grande che egli aveva di agire, a seconda delle situazioni, come se egli ripetesse se stesso. Un personaggio efficace, teatrale, è prima di tutto un personaggio ripetuto. La coerenza dell'intrigo mascherava così ima dialettica più o meno cosciente che si sviluppa effettivamente in ogni personaggio dal momento in cui questi è disposto a confessare a se stesso - o vi è spinto - che potrebbe anche essere un altro personaggio. Non c'è bisogno di ricorrere allo sdoppiamento della personalità o all'esame molteplice della verità del personaggio, come hanno tentato Pirandello o Strindberg. Il vero intrigo è quello delle coscienze: è la singolarità intercambiabile dei personaggi. L'unità scenica non è dunque per nulla drammatica (se s'intende per intrigo la progressione dei personaggi verso un «destino»): è dialettica perché la sua ambizione tende alla rappresentazione totale di tutti gli istanti di un'azione rappresentata, contro o malgrado il loro ordine cronologico. 2. Funzioni cicliche dei personaggi: il distanziare l'azione sulla scena non sarà recepito dallo spettatore che a condizione di non perdere nulla di questi personaggi sempre nuovi a se stessi. Se concepiamo un spazio di tempo scenico durante il quale tutti i personaggi dell'unità scenica restano davanti a noi, occupati o no, e sia impedito ad essi di entrare o uscire dalla scena, intervenendo al di fuori del dialogo eseguito da altri, allora la funzione del personaggio si allontana contemporaneamente da ciò che rappresenta e da ciò che ha fatto o farà in un altro dialogo che lo riguarderà in un altro spazio di tempo. E' la funzione ciclica del personaggio. E' altrettanto 230 distante dalla sua passione quanto da quella dello spettatore. Si tratta di un ruolo sorpreso di non essere più soltanto un ruolo, e che accentua la distorsione, esistente allo stato reale, nella vita di tutti i giorni. Tra quello che diciamo e quello che facciamo, sentiamo bene che non c'è mai identità o anche solo identificazione - ma il teatro, finora, aveva per fine di farci credere il contrario. L'unità scenica non è che una smentita la più assoluta: quella del quotidiano per mezzo del quotidiano (perché nessuno sfugge al quotidiano). 3. Partecipazione e stile di vita: ciò che è portato sulla scena deriva dallo stile di vita (di fatto, dall'inaccessibile se si considera veramente la vita). Poste quelle azioni, apparentemente nella casualità, i personaggi non vi sono preparati. Come quelli di Cechov. Ma la nuova dimensione attribuita al tempo scenico, la soppressione assoluta dell'intrigo rendono impossibile - al di là di quello che Cechov tentava - la partecipazione del pubblico. Non bisogna aspettarsi nulla: né catarsi, né dimostrazione brechtiana eccetera. Sono dei personaggi che non esprimono niente di sé stessi, se non per mezzo di altri, come noi non esprimiamo niente di noi stessi se non mediante ciò che ci concerne di meno. Appartengono a una vita terribile, alienata, innegabilmente falsa e che ognuno di noi vive dal mattino alla sera. 4. Dialogo e temporalità: il dialogo non ha qui il potere del sogno. Ha soltanto quello che si ritrova uscendo da uno spettacolo, che è quello dove ciascuno cerca di rassicurarsi senza essere convinto di doverlo essere, come se le parole scambiate subito dopo esorcizzassero i nostri atti. Il dialogo ha dunque qui il valore e il non-valore della comunicazione, secondo i casi. Modifica l'esistenza mettendola fuori dalla portata degli atti da esso stimolati e che ad ogni momento difendono la causa del risparmio che se ne potrebbe fare. Il dialogo, so- 231 lo supporto dell'unità scenica, sarebbe, al limite, ima presa diretta, ma invivibile, dell'affettività più profonda costantemente opposta alla ripetizione ciclica di questi atti o episodi. Attraverso di loro, i personaggi smettono di possedere un'importanza veramente scenica. Questi episodi ci divengono non-familiari, non più vicini, ma più strazianti perché noi non vorremmo più viverli e infatti lo potremmo, se il quotidiano non mettesse la comunicazione tra parentesi - come tra due sonni. 232 LE PAROLE PRIGIONIERE (PREFAZIONE A UN DIZIONARIO SITUAZIONISTA) di Mustapha Khayati 1 Le banalità, per quel che nascondono, lavorano per l'organizzazione dominante della vita. Come dire che il linguaggio non è dialettico, per impedire così l'uso di ogni dialettica. Ora niente è più evidentemente sottomesso alla dialettica che il linguaggio, in quanto realtà vivente. Così ogni critica del vecchio mondo è stata fatta con il linguaggio di questo mondo oppure contro di esso, dunque automaticamente in un linguaggio altro. Ogni teoria rivoluzionaria ha dovuto inventare le proprie parole, distruggere il senso dominante delle altre parole e portare nuove posizioni nel mondo dei significati, corrispondente alla nuova realtà emergente e che bisogna liberare dal guazzabuglio dominante. Le stesse ragioni che impediscono ai nostri avversari (i padroni del Dizionario) di fissare il linguaggio ci permettono oggi di affermare posizioni altre, negatrici del senso esistente. Tuttavia sappiamo in anticipo che queste stesse ragioni non ci permettono affatto di aspirare a una certezza legiferata definitivamente; una definizione è sempre aperta, mai definitiva; le nostre valgono storicamente per un periodo dato, legato a una prassi storica determinata. 1 «Les mots captifs (préface à un dictionnaire situationniste)», da IS n. 10, marzo 1966. 233 E' impossibile liberarsi di un mondo senza liberarsi del linguaggio che lo nasconde e lo garantisce, senza mettere a nudo la sua verità. Come il potere è la menzogna permanente e la verità sociale, il linguaggio ne è la garanzia permanente e il Dizionario il suo riferimento universale. Ogni prassi rivoluzionaria ha provato il bisogno di un nuovo campo semantico e di affermare una nuova verità: dagli Enciclopedisti fmo alla critica del linguaggio stereotipato stalinista (da parte degli intellettuali polacchi nel 1956), questa esigenza non cessa di venire affermata. Il fatto è che il linguaggio è la dimora del potere, il rifugio della sua violenza poliziesca. Ogni dialogo con il potere è violenza, subita o provocata. Quando il potere risparmia l'uso delle armi, è al linguaggio che affida la cura di conservare l'ordine oppressivo. Di più ancora, la coniugazione dei due è l'espressione più naturale di ogni potere. Per passare dalle parole alle idee, non c'è che un passo-. sempre valicato dal potere e dai suoi pensatori. Tutte le teorie del linguaggio, dal misticismo demente dell'essere,, fino alla suprema razionalità (oppressiva) della macchina cibernetica, appartengono a un solo e medesimo mondo, vale a dire il discorso del potere, considerato come il solo mondo di riferimento possibile, come la mediazione universale. Come il Dio cristiano è la mediazione necessaria tra due coscienze e tra la coscienza e il sé, il discorso del potere s'installa nel cuore di ogni comunicazione, diventa la mediazione necessaria da sé a sé. Così arriva a mettere le mani sulla contestazione, piazzandola in anticipo sul proprio terreno, controllandola dall'interno e infiltrandola. La critica del linguaggio dominante, il suo détournement, diventerà la pratica permanente della nuova teoria rivoluzionaria. Poiché ogni senso nuovo è chiamato controsenso dalle autorità, i situazionisti instaureranno la legittimità del contro- 234 senso, e denunceranno l'impostura del senso garantito e dato dal potere. Poiché il dizionario è il guardiano del senso esistente, noi ci proponiamo di distruggerlo sistematicamente. La sostituzione del dizionario, della giuda del parlare (e del pensare) di tutto il linguaggio ereditato e addomesticato, troverà espressione adeguata nell'infiltrazione rivoluzionaria del linguaggio, nel détournement, largamente praticato da Marx, sistematizzato da Lautréamont e che l'IS mette alla portata di tutti. Il détournement, che Lautréamont chiamava plagio, conferma la tesi, da tempo affermata dall'arte moderna, della non-sottomissione delle parole, dell'impossibilità per il potere di recuperare totalmente i sensi creati, di fissare una volta per tutte il senso esistente, insomma l'impossibilità oggettiva di una neolingua. La nuova teoria rivoluzionaria non può avanzare senza una ridefinizione dei principali concetti che la sostengono. «Le idee migliorano - dice Lautréamont - il senso delle parole ne partecipa. Il plagio è necessario. Il progresso lo implica. Stringe da vicino la frase di un autore, si serve delle sue espressioni, cancella un'idea falsa, la sostituisce con l'idea giusta». Per salvare il pensiero di Marx, bisogna sempre precisarlo, correggerlo, riformularlo alla luce di cento anni di rafforzamento dell' alienazione e delle possibilità della sua negazione. Marx ha bisogno di essere traslato (détoumé) da coloro che continuano questa strada storica, e non di essere stupidamente citato dalle mille varietà di recuperatori. D'altra parte, il pensiero del potere stesso diventa, nelle nostre mani, un'arma contro di esso. Dal suo avvento, la borghesia trionfante ha sognato una lingua universale, che i cibernetici cercano oggi di realizzare elettronicamente. Cartesio sognava una lingua (antenata della neolingua) dove i pensieri si susseguissero come i numeri, con un rigore matematico: la mathesis universalis o l'eternità delle categorie borghesi. Gli Enci- 235 clopedisti che sognavano (sotto il potere feudale) definizioni così rigorose da essere inaccettabili per la tirannia - preparavano l'eternità del potere futuro, come ultima ratio del mondo, della storia. L'insubordinazione delle parole, da Rimbaud ai surrealisti, ha rivelato, in una fase sperimentale, che la critica teorica del mondo del potere è inseparabile da una pratica che lo distrugga; il recupero da parte del potere di tutta l'arte moderna e la sua trasformazione in categorie di dominio attraverso il suo spettacolo regnante ne è la triste conferma. «Ciò che non uccide il potere, il potere lo uccide». I Dadaisti hanno per primi riconosciuto alle parole la loro diffidenza, inseparabile da una volontà di cambiare la vita. Hanno affermato, dopo Sade, il diritto di dire tutto, di liberare le parole e di «sostituire l'alchimia del verbo con una vera chimica» (Breton). L'innocenza delle parole è ormai coscientemente denunciata, e il linguaggio è affermato come «la peggiore delle convenzioni» da distruggere, da demistificare, da liberare. I contemporanei di Dada non hanno mancato di sottolineare la sua volontà di distruggere tutto («impresa di demolizioni», diceva preoccupato Gide), il pericolo che rappresentava per il senso dominante. Con Dada, è divenuto un'assurdità credere che ima parola è per sempre legata a un'idea: Dada ha realizzato tutte le possibilità del dire, e chiuso per sempre la porta dell'arte come specializzazione. Ha definitivamente posto il problema della realizzazione dell'arte. Il Surrealismo non ha valore che come prolungamento di questa esigenza; è una reazione nelle sue realizzazioni letterarie. Ora, la realizzazione dell'arte, la poesia (nel senso situazionista) significa che non è possibile realizzarsi in un'opera, ma, al contrario, realizzarsi tout court. II «dire tutto», inaugurato da Sade, implicava già l'abolizione dell'ambito della letteratura separata (dove solo ciò 236 che è letterario può essere detto). Soltanto che questa abolizione, coscientemente affermata dai Dadaisti, dopo Rimbaud e Lautréamont, non era mi superamento. Non c'è superamento senza realizzazione, e non si può superare l'arte senza realizzarla. Praticamente non c'è stata nemmeno abolizione, perché dopo Joyce, Duchamp e Dada, una nuova letteratura spettacolare continua a pullulare. Il fatto è che il dire tutto non può esistere senza la libertà di fare tutto. Dada aveva una possibilità di realizzazione con Spartakus, nella pratica rivoluzionaria del proletariato tedesco. La sconfìtta di quest'ultimo rendeva la sua inevitabile. Dada è diventato, nelle scuole artistiche successive (senza escludere la quasi totalità dei suoi protagonisti), l'espressione letteraria del nulla nel far poesia, l'arte di esprimere il nulla della libertà quotidiana. L'ultima espressione di quest'arte del dire tutto privato del fare è la pagina biancaLa poesia moderna (sperimentale, permutazionale, spazialista, surrealista o neodadaista) è il contrario della poesia, il progetto artistico recuperato dal potere. Abolisce la poesia senza realizzarla; vive della sua autodistruzione permanente. «A che scopo salvare la lingua - riconosce miserabilmente Max Bense - quando non c'è più niente da dire?». Confessione di imo specialista! Psittacismo o mutismo, è la sola alternativa degli specialisti della permutazione. Il pensiero e l'arte moderna garantiti dal potere, e suoi garanti, si muovono quindi in quel che Hegel chiamava il «linguaggio dell'adulazione». Tutti contribuiscono all'elogio del potere e dei suoi prodotti, perfezionano la reificazione e la banalizzano. Affermando che la realtà consiste nel linguaggio... o che il linguaggio «non può essere considerato che in sé e per sé», gli specialisti del linguaggio ne deducono un linguaggio-oggetto, delle parole-cose... e si dilettano nell'elogio della loro reificazione. Il modello della cosa diventa dominante, e la merce, ancora una volta, trova la sua realizzazione, i suoi poeti. La 237 teoria dello Stato, dell'economia, del diritto, della filosofia, dell'arte, tutto ha adesso questo carattere di precauzione apologetica. Là dove il potere separato prende il posto dell'azione autonoma delle masse, quindi là dove la burocrazia si impadronisce della direzione di tutti gli aspetti della vita sociale, essa viene alle prese con il linguaggio e riduce la sua poesia alla volgare prosa della sua informazione. La burocrazia si appropria del linguaggio, privatizzandolo come tutto il resto, e lo impone alle masse. Il linguaggio ha allora il compito di comunicare i suoi messaggi e contenere il suo pensiero; è il supporto materiale della sua ideologia. Che il linguaggio sia prima di tutto un mezzo di comunicazione tra gli uomini, la burocrazia lo ignora. Poiché ogni comunicazione passa attraverso di essa, gli uomini non hanno nemmeno più bisogno di parlarsi: devono prima di tutto assumere il loro ruolo di recettori, nella rete di comunicazione informazionista alla quale è ridotta tutta la società, recettori di ordini da eseguire. Il modo d'esistenza di questo linguaggio è la burocrazia, il suo divenire la burocratizzazione. L'ordine bolscevico nato dalla sconfitta della rivoluzione sovietica ha imposto una serie di espressioni più o meno magiche, impersonali a immagine della burocrazia al potere. Politburo, Komintern, Cavarmée, Agitprop, sono altrettanti nomi misteriosi di organi specializzati, realmente misteriosi, che si muovono nella sfera nebulosa dello Stato (o della direzione del partito) senza relazione con le masse, se non quella di instaurare e consolidare il dominio. Il linguaggio colonizzato della burocrazia si riduce a ima serie di formule senza sfumature, inflessibili, dove gli stessi nomi sono sempre accompagnati dagli stessi aggettivi e participi; il nome li dirige e ogni volta che questo appare, quelli seguono automaticamente e al posto opportuno. Questa messa al passo delle parole traduce una militarizzazione più pro- 238 fonda di tutta la società, la sua divisione in due categorie principali: la casta dei dirigenti e la grande massa degli esecutori. Ma queste stesse parole sono chiamate a giocare altri ruoli; sono penetrate dal potere magico di sostenere la realtà opprimente, di mascherarla e di presentarla come la verità, la sola verità possibile. Così non si è più «trotskista», ma «hitlero-trotskista», non c'è più «marxismo», ma il marxismoleninismo, e l'opposizione è automaticamente «reazionaria» nel «regime sovietico». La rigidità con la quale si sacralizzano le formule rituali ha per scopo di preservare la purezza di questa «sostanza» di fronte a fatti che apparentemente la contraddicono. Il linguaggio dei padroni è dunque tutto, e la realtà nulla, è tutt'al più l'involucro di questo linguaggio. Le persone devono, nelle loro azioni, nei loro pensieri e nei loro sentimenti, fare come se il loro Stato incarnasse questa ragione, questa giustizia, queste libertà proclamate dall'ideologia; il rituale (e la polizia) ci sono per fare osservare questo comportamento (cfr. Marcuse, Soviet Marxism). Il declino del pensiero radicale accresce considerevolmente il potere delle parole, le parole del potere. «Il potere non crea niente, recupera» (cfr. IS n. 8). Le parole prodotte dalla critica rivoluzionaria sono come le armi dei partigiani, abbandonate su un campo di battaglia passano alla controrivoluzione e, come i prigionieri di guerra, sono sottoposti al regime dei lavori forzati. I nostri nemici più immediati sono i sostenitori della falsa critica, i suoi funzionari autorizzati. La separazione tra la teoria e la pratica fornisce la base centrale del recupero della pietrificazione della teoria rivoluzionaria in ideologia che trasforma le esigenze pratiche reali (i cui indici di realizzazione esistono già nella società attuale) in sistemi di idee, in esigenze della ragione. Gli ideologi di ogni sponda, cani da guardia dello spettacolo dominante, sono gli esecutori di questo compito; e i 239 concetti più corrosivi vengono allora svuotati del loro contenuto, rimessi in circolazione, al servizio dell'alienazione mantenuta: il dadaismo a rovescio. Diventano slogan pubblicitari (cfr. il recente opuscolo del «Club Méditerranée»), I concetti della critica radicale conoscono la stessa sorte del proletariato; li si priva della loro storia, li si taglia dalle loro radici: sono buoni per tutte le macchine per pensare del potere. Il nostro progetto di liberazione delle parole è storicamente paragonabile all'impresa dell'Enciclopedia. Al linguaggio della lacerazione dcll'Aufklàrung (per continuare l'immagine hegeliana) mancava la dimensione storica cosciente; era effettivamente la critica del vecchio mondo feudale decrepito, ma ignorava totalmente ciò che stava per uscirne: nessuno degli Enciclopedisti era repubblicano. Esprimeva piuttosto il dissidio proprio dei pensatori borghesi; il nostro prende di mira prima di tutto la pratica che lacera il mondo, cominciando col lacerare i veli che lo nascondono. Mentre gli Enciclopedisti cercavano l'enumerazione quantitativa, la descrizione entusiasta di un mondo d'oggetti in cui si dispiegava la vittoria già presente della borghesia e della merce, il nostro dizionario traduce il qualitativo e la vittoria possibile ancora assente, il rimosso della storia moderna (il Proletariato) e il ritorno del rimosso. Noi proponiamo la liberazione reale del linguaggio, perché proponiamo di inserirlo nella pratica libera da ogni ostacolo. Noi rifiutiamo ogni autorità linguistica o di altro tipo: solo la vita reale permette un senso, e solo la prassi lo verifica. La diatriba sulla realtà o la non-realtà del senso di una parola, isolata dalla pratica, è una questione puramente scolastica. Noi collochiamo il nostro dizionario in questa regione libertaria che sfugge ancora al potere, ma che è la sua sola erede universale possibile. 240 Il linguaggio resta ancora la mediazione necessaria della presa di coscienza del mondo dell'alienazione (Hegel direbbe: l'alienazione necessaria), lo strumento della teoria radicale che finirà per impadronirsi delle masse, perché è la loro; ed è allora soltanto che troverà la sua verità. E' fondamentale che noi costruiamo il nostro linguaggio; il linguaggio della vita reale, contro il linguaggio ideologico di giustificazione di tutte le categorie del vecchio mondo. Dobbiamo impedire fin d'ora la falsificazione delle nostre teorie, il loro possibile recupero. Utilizziamo dei concetti determinati, già usati dagli specialisti, ma dando loro un nuovo contenuto, rivoltandoli contro le specializzazioni che essi sostengono e contro i futuri pensatori prezzolati che (come hanno fatto Claudel per Rimbaud e Klossowski per Sade) volessero proiettare il proprio marciume sulla teoria situazionista. Le future rivoluzioni devono inventare da sé il proprio linguaggio. Per ritrovare la loro verità, i concetti della critica radicale saranno riesaminati uno a uno: la parola alienazione, per esempio, uno dei concetti chiave per la comprensione della società moderna, deve essere disinfettata dopo essere passata nella bocca di un Alexos. Tutte le parole, per quanto al servizio del potere, hanno con esso lo stesso rapporto che ha con esso il proletariato e, come questi, sono lo strumento e l'agente della futura liberazione. Povero Rével! Non ci sono parole vietate; nel linguaggio, come sarà d'altronde dappertutto, tutto è permesso. Proibirsi l'uso di una parola, è rinunciare a un'arma utilizzata dai nostri avversari. Il nostro dizionario sarà una sorta di griglia con la quale si potranno decrittare le informazioni e lacerare il velo ideologico che ricopre la realtà. Noi daremo le traduzioni possibili che permetteranno di capire i differenti aspetti della società dello spettacolo, e dimostrare come i minimi indizi (i segni minimi) contribuiscono a mantenerla. E', in qualche 241 modo, un dizionario bilingue, perché ogni parola possiede un senso «ideologico» del potere, e un senso reale; che noi riteniamo corrispondere alla vita reale nella fase storica attuale. Così potremo ad ogni passo determinare le diverse posizioni delle parole nella guerra sociale. Se il problema dell'ideologia è di sapere come scendere dal cielo delle idee nel mondo reale, il nostro dizionario sarà un contributo all'elaborazione della nuova teoria rivoluzionaria, dove il problema è di sapere come passare dal linguaggio alla vita. L'appropriazione reale delle parole che lavorano non può realizzarsi al di fuori dell'appropriazione del lavoro stesso. La fondazione dell'attività creatrice liberata sarà al tempo stesso la fondazione della vera comunicazione, infine liberata, e la trasparenza dei rapporti umani sostituirà la povertà delle parole sotto l'ancien régime dell'opacità. Le parole non smetteranno di lavorare finché gli uomini non avranno smesso di farlo. 242 LA FINE DELL'ECONOMIA E LA REALIZZAZIONE DELL'ARTE diAsgerJorn 1 Il tempo per l'uomo non è altro che una successione di fenomeni in un punto di osservazione dello spazio, mentre lo spazio è l'ordine di coesistenza dei fenomeni nel tempo, o il processo. Il tempo è il cambiamento che non è concepibile che sotto forma di movimento in progressione nello spazio, mentre lo spazio è l'elemento stabile che non è concepibile che nella partecipazione a un movimento. Né lo spazio né il tempo posseggono una realtà, o valore, al di fuori del cambiamento, 0 processo, cioè fuori dalla combinazione attiva spazio-tempo. L'azione dello spazio-tempo è il processo, e questo processo è esso stesso il cambiamento del tempo in spazio e il cambiamento dello spazio in tempo. Così vediamo che l'aumento di qualità, o resistenza contro il cambiamento, è dovuto all'aumento quantitativo. Vanno di pari passo. Questo sviluppo è il fine del progresso socialista: l'aumento della qualità attraverso l'aumento della quantità. Ed esso riconosce che questo doppio aumento è forzatamente identico alla diminuzione del valore, dello spazio-tempo. Questa è la reificazione. 1 «La fin de l'économie et la realisation de l'art», da IS n. 4, giugno 1960. 243 La grandezza che determina il valore è lo spazio-tempo, l'attimo o l'avvenimento. Lo spazio-tempo che è riservato all'esistenza della specie umana sulla terra manifesta il suo valore negli avvenimenti. Senza avvenimenti, non c'è storia. Lo spazio-tempo di una vita umana, è la sua proprietà privata. E' la grande scoperta di Marx, nella prospettiva della liberazione umana, ma nello stesso tempo il punto di partenza degli errori dei marxisti, perché ima proprietà non diventa valore se non realizzandosi, liberandosi, adoperandosi, e ciò che fa dello spazio-tempo di una vita umana una realtà, è la sua variabilità. E ciò che fa dell'individuo un valore sociale, è la sua variabilità di comportamento in rapporto agli altri. Se questa variabilità è divenuta privata, esclusa dalla valorizzazione sociale, come è in realtà nel socialismo autoritario, lo spazio-tempo dell'uomo è diventato irrealizzabile. Così il carattere privato delle qualità umane (l'hobby diventato una devalorizzazione ancora più grande della vita umana rispetto alla proprietà privata dei mezzi di produzione poiché l'inutile è, nel determinismo socialista, inesistente). Il socialismo, invece di abolire il carattere privato delle proprietà, non ha fatto altro che aumentarlo fino all'estremo, rendendo l'uomo stesso inutile e socialmente inesistente. La fine dello sviluppo artistico è la liberazione dei valori umani, attraverso la trasformazione delle qualità umane in valori reali. Ed è qui che comincia la rivoluzione artistica contro lo sviluppo socialista, la rivoluzione artistica che è legata al progetto comunista... Il valore dell'arte è così un controvalore in rapporto ai valori pratici e si misura in senso opposto a questi. L'arte è l'invito a un dispendio di energia, senza fine preciso al di fuori di quello che lo spettatore stesso può apportarvi. E' la prodi- 244 galità... Si è pertanto immaginato che il valore dell'arte fosse nella sua durata, nella sua qualità. E si è creduto che l'oro e le pietre preziose fossero dei valori artistici, che il valore artistico fosse ima qualità inerente all'oggetto in sé. Invece l'opera d'arte non è altro che la conferma dell'uomo come essenziale sorgente di valoreLa rivoluzione capitalista è stata essenzialmente una socializzazione del consumo. L'industrializzazione capitalista apporta all'umanità una socializzazione tanto profonda quanto la socializzazione proposta dai socialisti: quella dei mezzi di produzione. La rivoluzione socialista è il compimento della rivoluzione capitalista. L'unico elemento da togliere al sistema capitalista è il risparmio, perché la ricchezza del consumo è stata già eliminata dai capitalisti stessi. Trovare oggi un capitalista il cui consumo superi le esigenze più meschine, è davvero raro. La differenza del tenore di vita tra un gran signore del XVII secolo e un gran capitalista dell'epoca di Rockefeller è grottesca e si va accentuando sempre più. La ricchezza nella variabilità del consumo è stata economizzata dal capitalismo, perché la merce non è nient'altro che un oggetto d'uso socializzato. E' per questo che i socialisti evitano di occuparsi dell'oggetto d'uso. La socializzazione dell'oggetto d'uso, che permette di considerarlo come una merce, ha tre aspetti principali: a) Soltanto l'oggetto d'uso d'interesse comune, desiderato da una quantità abbastanza alta di persone, può servire come merce. La merce ideale è l'oggetto desiderato da tutti. Per aprire la strada alla produzione industriale verso una simile socializzazione, il capitalismo ha dovuto distruggere l'idea della produzione individuale e artigianale, considerarla «formalismo». b) Perché si possa parlare di merce, bisogna avere una 245 quantità di oggetti tutti uguali. L'industria non si occupa che di oggetti in serie, di fabbricazione sempre più numerosa. c) La produzione capitalista è caratterizzata da una propaganda del consumo popolare che raggiunge ima forza e un volume incredibili. La pubblicità per una produzione socialista non è che la conseguenza logica della pubblicità per un consumo socializzato. Il denaro è la merce completamente socializzata, che indica la misura di valore comune a tuttiLa socializzazione costituisce realmente un sistema fondato sul risparmio assoluto. Consideriamo, in effetti, l'oggetto d'uso. Abbiamo indicato che l'oggetto d'uso diventa una merce nel momento in cui diventa immediatamente inutile, in cui viene a mancare il legame causale tra il consumo e la produzione. Soltanto un oggetto d'uso trasformato in risparmio, inimmagazzinato, diventa merce, e questo solo nel caso in cui esista una quantità di oggetti d'uso in magazzino. Questo sistema di stoccaggio, che è la radice della merce, non viene eliminato dal socialismo, al contrario: il sistema socialista è fondato sull'immagazzinamento di tutta la produzione senza eccezione, prima della sua distribuzione, allo scopo di assicurare un controllo perfetto di questa distribuzione. Fino ad ora, nessuno ha mai analizzato l'accumulazione l'immagazzinamento o il risparmio - nella forma che le è propria, quella del contenitore. L'immagazzinamento si fa in funzione del rapporto tra contenitore e contenuto. Abbiamo fatto notare, all'inizio, che la sostanza, spesso chiamata contenuto, non è altro che il processo e, sotto forma di contenuto, sta a significare una materia immagazzinata, una forza latente. Ma noi l'abbiamo sempre considerata a partire dalla sua forma stabile. Essa, la forma di un contenitore, è una forma contraria della materia in sé, dove non c'è mai altro che la 246 forma del contenuto: qui uno dei termini si trova in contraddizione assoluta con l'altro. E' solo nel campo biologico che il contenitore diventa funzione elementare. Tutta la vita biologica si è evoluta, per così dire, opponendo le forme-contenitori alle forme della materia. E lo sviluppo tecnico segue lo stesso cammino, e tutti i sistemi di misura, di controllo scientifico, sono delle relazioni di forme oggettive con delle forme-contenitori. Le forme-contenitore sono stabilite come contraddizione delle forme misurate. La forma-contenitore nasconde di solito la forma del contenuto, e possiede così una terza forma: quella dell'apparenza. Queste tre forme non sono mai distinte chiaramente nelle discussioni sulla formali denaro è la misura del tempo nello spazio sociale... Il denaro è il mezzo di imporre la stessa velocità in uno spazio dato, che è quello della società. L'invenzione della moneta è alla base del socialismo scientifico, e la distruzione della moneta sarà alla base del superamento del meccanismo socialista. La moneta è l'opera d'arte trasformata in cifre. Il comunismo realizzato sarà l'opera d'arte trasformata in totalità della vita quotidiana... La burocrazia appare, ovunque si manifesti (nel capitalismo, nel riformismo, nel potere cosiddetto «comunista») come la realizzazione della socializzazione controrivoluzionaria comune, in certo modo, ai diversi settori rivali del mondo attuale. La burocrazia è la forma-contenitore della società: blocca il processo, la rivoluzione. In nome del controllo dell'economia, la burocrazia economizza senza controllo (per i suoi fini, per la conservazione dell'esistente). Ha tutti i poteri, salvo quello di cambiare le cose. E ogni tipo di mutamento si fa anzitutto contro di essa... Il comunismo reale sarà il salto nel territorio della libertà e dei valori, della comunicazione. Il valore artistico, il contrario del valore utilitario (chiamato di solito materiale) è il va- 247 lore progressivo perché è la valorizzazione dell'uomo stesso, attraverso un processo di provocazione. La politica economica ha mostrato, dopo Marx, le sue impotenze e i suoi capovolgimenti. Una iperpolitica dovrà tendere alla realizzazione diretta dell'uomo. Questo testo è estratto da un opuscolo di Jom: Critica della politica economica, che è stato appena pubblicato nella serie dei «Rapporti presentati all'IS» (Bruxelles, maggio 1960). 248 PROSPETTIVE PER UNA GENERAZIONE di Théo Frey 1 Una società folle si propone di pianificare il proprio avvenire generalizzando l'uso di camicie di forza individuali e collettive tecnicamente perfezionate (case, città, territorio pianificato), che ci impone come un rimedio ai suoi mah. Noi siamo invitati ad accettare, a riconoscere come nostro questo «corpo inorganico» prefabbricato; il potere medita di rinchiudere l'individuo in un altro sé, radicalmente altro. Allo scopo di realizzare questo compito, effettivamente vitale per lui, oltre ai cortigiani (urbanisti, pianificatori del territorio), può contare sui fuorviati che fanno attualmente gli straordinari nelle scienze cosiddette umane. I servitori, segnatamente, di va?antropologia non più speculativa, ma strutturale e operativa, si adoperano attivamente ad estrarre una «natura umana» in più, ma questa volta direttamente utilizzabile, a somiglianza di una scheda della polizia, attraverso diverse tecniche di condizionamento. Il risultato ultimo del processo così iniziato (ammesso che la crescita delle forze della nuova contestazione che l'accompagna dappertutto gliene dia il tempo) si denuncia fin d'ora come la versione modernizzata di una soluzione già sperimentata, il campo di concentramento, qui decentrata sull'insieme del pianeta. Le persone vi saranno assolutamente libere, so1 «Perspectives pour une génération», da IS n. 10, marzo 1966. 249 prattutto di andare e venire, di circolare, ma interamente prigioniere di questa libertà futile di andare e venire nei viali del potere. La società dominante, in nessun luogo governata (eliminata) da noi, non può governarsi che dominandoci. La convergenza delle varianti attuali di sistemazione dello spazio materializza poco a poco questo dominio. Possono e devono essere preordinati, man mano o simultaneamente, una camera, un appartamento, una casa, un quartiere, ima città, un territorio intero: senza transizione dal come vivere felici in un grande complesso al come «rendere - questa società - gradevole per l'insieme degli uomini» (Le Monde). La società attuale, nel suo desiderio morboso quanto ingenuamente proclamato di sopravvivere, si rimette interamente a una crescita che non può peraltro che sviluppare piattamente potenzialità irrisorie, le sole permesse dalla propria razionalità, la logica della merce. Come dire che l'economia politica, in quanto «compimento logico del rinnegamento dell'uomo», prosegue la sua opera devastatrice. Ovunque politiche e teorie economiche spettacolarmente divergenti si oppongono; da nessuna parte gli imperativi assurdi dell'economia politica stessa sono contestati e le categorie economiche borghesi abolite, praticamente, a vantaggio di una costruzione Ubera (posteconomica) delle situazioni, e quindi di tutta la vita, sulla base dei poteri attualmente concentrati e sprecati nelle Società «avanzate». Questa colonizzazione del futuro, in nome di un passato che a giusto titolo ha meritato d'essere abbandonato completamente, al punto che se ne perda il ricordo, presuppone la riduzione sistematica del possibile radicalmente altro, malgrado tutto presente in tutte le manifestazioni della società oppressiva attuale, in modo che le cose sembrano persistere ad avanzare «dal loro lato cattivo» mentre vi sono costrette. 250 Questo gioco di prestigio povero rivela da subito il suo marchio di fabbrica: quello dell'ideologia, cioè un riflesso rovesciato, mutilato, del mondo reale, della Praxis, ma un'ideologia attiva che la sua pratica fa entrare nel reale che appare allora ribaltato, distorto, non più solo nella testa dei filosofi e di altri ideologi, ma nella realtà: il mondo alla rovescia per davvero. Questo procedimento moderno di riduzione dello scarto tra la vita e la sua rappresentazione a vantaggio di una rappresentazione, che si ritorce contro i suoi presupposti, non è che una risoluzione fittizia, parodistica, spettacolare, dei problemi veri che pone la crisi rivoluzionaria generalizzata del mondo moderno, un «simulacro» di risoluzione che cadrà nello stesso tempo delle illusioni della maggioranza che ancora lo permettono. Il Potere vive della nostra impotenza a vivere, alimentando scissioni e separazioni indefinitamente moltiplicate mentre contemporaneamente pianifica gli incontri permessi pressoché a suo modo. Il suo colpo da maestro è ancora la dissociazione riuscita della vita quotidiana in quanto spazio-tempo, individuale e sociale, della ricostruzione attualmente possibile, indissolubilmente, di noi stessi e del mondo, al fine di controllare separatamente e congiuntamente il tempo e lo spazio e in definitiva di ridurli l'imo e l'altro, l'uno per mezzo dell'altro. Lo stato di avanzamento dei lavori traduce visibilmente la serietà di un tentativo in cui il sinistro fa a gara con il farsesco. Si mira alla costituzione di uno spazio omogeneo, perfettamente «integrato», costruito per somma di blocchi funzionali omologhi strutturati gerarchicamente (la famosa rete gerarchizzata di città che innerva e coordina una regione di un modello dato è comune alle società industriali) in modo che 251 nell'assemblaggio così ottenuto siano affogate nel calcestruzzo le scissioni, segregazioni e opposizioni multiple nate dalla divisione del lavoro, dalla separazione: l'opposizione delle classi, l'opposizione tra città e campagna, l'opposizione tra la società e lo Stato, classiche da Marx in poi, alle quali bisogna aggiungere le molteplici disparità interregionali di cui l'attuale opposizione tra i paesi sviluppati e sottosviluppati non è che l'amplificazione patologica. L'astuzia della storia è però tale che i primi successi apparenti del riordino poliziesco, un'attenuazione della lotta di classe (nel vecchio senso) e dell'antagonismo città-campagna, mascherano sempre di meno la proletarizzazione radicale e senza speranza dell'immensa maggioranza della popolazione, condannata a «vivere» nell'orizzonte uniformato che costituisce l'ambiente «urbano» bastardo e spettacolare, nato dallo scoppio della città, ciò che aggiunto all'antagonismo Stato-società da ciò rafforzato e che allarma tanto i sociologi («Tra il potere e la popolazione bisogna stabilire nuovi canali di comunicazione», Chombart de Lauwe, Le Monde, 13 luglio 1965), tradisce il carattere letteralmente «irragionevole» del processo di «razionalizzazione» della reificazione attualmente in corso e gli assicura ogni specie di noie, perfettamente «irrazionali» dal suo punto di vista burocratico e alienato, ma non meno perfettamente fondate dal punto di vista della ragione dialettica inerente ad ogni realtà vivente, ad ogni Praxis. Come ha ben visto Hegel, ma per rallegrarsene, nel regime degli Stati moderni, lo Stato permette lo sviluppo di una pseudolibertà dell'individuo, pur mantenendo la coerenza dell'insieme e trae da questo antagonismo una forza infinita, che si trova ad essere di norma il suo tallone di Achille da quando ima nuova coerenza, radicalmente antagonista a un tale ordine di cose, si fonda e si rafforza. In più, ogni pianificazione coerente e «riuscita» deve imporsi alla totalità del 252 pianeta in un'urbanistica generalizzata che implica la riduzione dei fenomeni di sottosviluppo in quanto potenzialmente perturbatori dell'impossibile equilibrio perseguito. Ma, come per inavvertenza, e in ima mortale fedeltà a se stesso, il capitalismo si trova a fare la guerra ai paesi sottosviluppati al posto della guerra al sottosviluppo tanto proclamata, preso com'è al laccio da esigenze contraddittorie, ma per esso ugualmente vitali, compromettendo in tal modo le proprie pretese di sopravvivenza: tutte le «programmazioni» tecnocratico-cibernetiche. Una tale dialettica garantisce un risveglio brutale ai dirigenti dell'attuale mondo preistorico che sognavano di mettersi definitivamente al sicuro seppellendoci sotto un rivestimento di cemento che, finirà per essere la loro tomba. La pianificazione, in questa prospettiva, si deve anche comprendere come agonia della comunicazione nel senso antico, limitata, ma reale, i cui residui sono dappertutto braccati, a profitto dell'informazione, dal Potere. Fin d'ora una rete universale di comunicazioni sopprime radicalmente la distanza tra le cose aumentando indefinitamente la distanza tra le persone. In una simile rete, la circolazione finisce per neutralizzarsi da sé, in modo che la soluzione dell'avvenire consisterà nel far circolare meno le persone e più le informazioni, restando le persone a casa, trasformate in semplici «ricettori» audiovisivi di informazione: ossia un tentativo per eternizzare praticamente le categorie economiche attuali, cioè borghesi, per creare le condizioni di un funzionamento permanente e automatico della presente società alienata, «una macchina che gira meglio» (Le Monde, 4 giugno 1964). Il «mercato perfetto» degli economisti è impossibile, specie per il fattore della distanza: un'economia perfettamente razionale dovrebbe essere concentrata in un solo punto (Produzione e Consumo istantaneo); se il mercato non è perfetto, 253 ciò tenderebbe all'imperfezione del mondo stesso; in virtù di ciò, i programmatori lavorano per rendere il mondo perfetto. La pianificazione del territorio è un'impresa metafisica in cerca di uno spazio neofeudale. La Grande Opera dei pianificatori, è la costituzione di imo spazio senza sorprese, dove la mappa sarebbe tutto e il territorio niente, perché interamente fatto sparire per incanto e non più importante, giustificando a cose fatte tutta l'architettura di quei cretini semantici, che pretendono di liberarvi dalla tirannia aristotelica, dell 'A non è Non-A, come se non si fosse stabilito da secoli che «A diventa Non-A». Questo è così vero, che oggi non si consuma più spazio, che tende ad essere uniformato, ma tempo. L'americano, che fa il giro del mondo di Hotel Hilton in Hotel Hilton, senza mai vedere variare lo scenario, se non in superficie, in quanto colore locale ricostituito, quindi integrato e ridotto a gadget, prefigura chiaramente gli itinerari della maggioranza. La conquista dello spazio, in quanto «avventura» riservata a vn'élite e ripercossa spettacolarmente su tutto il pianeta, ne sarà la compensazione organizzata e prevedibile. Ma, con l'espediente della colonizzazione dello spazio, il Potere intende «emettere delle cambiali sul futuro», «catturare il lungo termine», il tempo, che si tratta di svuotare della sua sostanza (la nostra realizzazione nel corso di una Storia) per sezionarlo in pezzi perfettamente inoffensivi, privati di ogni «avvenire non prevedibile», non programmato dalle sue macchine. Si punta alla costituzione di un gigantesco dispositivo destinato a «riciclare il tempo lineare a vantaggio di un tempo espurgato e ristretto», il tempo meccanico, combinatorio e senza storia delle macchine, che ingloberebbe il tempo pseudociclico del quotidiano in un tempo neociclico generalizzato, il tempo dell'accettazione passiva e della rassegnazione forzata alla permanenza dell'ordine attuale delle cose. 254 Bisogna dirlo: «Non è possibile riorganizzare l'alienazione e l'oppressione nella società, in nessuna delle loro varianti, ma solo respingerle in blocco con questa stessa società» (IS n. 4, p. 36). Il compito di «unificare lo spazio e il tempo in Una costruzione libera dello spazio-tempo individuale e sociale appartiene alla rivoluzione che viene. La sconfitta dei «pianificatori»: essa coinciderà con una trasformazione decisiva della vita quotidiana, sarà questa trasformazione. 255 LE STRUTTURE ELEMENTARI DELLA REIFICAZIONE di Jean Garnault 1 Come se il vecchio Marx dirigesse tutto dalla sua tomba, la forma di merce ha contribuito, mediante la logica del suo sviluppo reale, al chiarimento e all'approfondimento della critica dell'economia politica. Certamente, gli eredi di questa critica hanno fatto di tutto teoricamente e praticamente, come borghesi e come burocrati, per mascherarla o mantenere la confusione intorno ad essa, affogandola sotto un guazzabuglio di sottigliezze metafìsiche e di sofismi teologici. Ma il mondo è continuato senza di loro. Queste analisi, che essi si ingegnavano a dissimulare, il mondo le ha trascritte con una chiarezza abbagliante nell'usuale quotidianità: ha dato alla teoria del feticismo della merce una verità oggettiva e una banalità vissuta che l'ha messa alla portata di tutti. Malgrado le metamorfosi che ha subito dopo Marx, la merce si è conservata in quanto forma: una forma che riveste i prodotti dell'attività creatrice (della prassi) che il lavoro salariato ha spogliato di ogni umanità; ima forma che, quale fedele erede del vecchio dio giudaico-cristiano, ha acquistato un'esistenza autonoma e creato l'uomo e il mondo a sua immagine; ima forma che generò l'antropologia dell'individuo isolato che restava privato della ricchezza dei suoi rapporti 1 «Les structures élémentaires de la réification», da IS n. 10, marzo 1966. 256 sociali. La merce è la praxis del potere: non solamente il principio di dissoluzione della vecchia civiltà contadino-religiosa (di cui ancora perseguita i resti), ma un modo di rappresentazione del mondo e una forma di azione su di esso ha ridotto l'insieme della realtà sociale al quantificabile, e instaurato il dominio totalitario del quantitativo, la sua estensione a tutti i settori della vita non ancora dominati (cfr. IS nn. 7 e 8, Banalità di base). Ciò che appariva la cosa più concreta era in effetti la più astratta: ima razionalizzazione formale, un'illusione. Ma una tale illusione, come succede per le idee rivoluzionarie, una volta che ha acquistato la sua autonomia agisce sul mondo reale, ma al contrario di esse, come un incitamento alla rassegnazione. La società dominante va sempre avanti e supera nuovi gradini nell'escalation della repressione e dell'alienazione. Lo Stato cibernetico in tal modo ha fatto nascere, combinando feticismo della merce e feticismo dell'opera d'arte, un feticcio a sua misura: lo spettacolo mercantile, proiezione della vita intera in un'essenza ipostatizzata e cristallizzata, simulacro e modello normativo di questa vita. La concentrazione delle alienazioni è continuata così sul filo della concentrazione del capitale. Il capitalismo concorrenziale si era accontentato di opprimere l'uomo sociale con una moltitudine di alienazioni parziali; riducendo le vecchie sfere separate a una sola e identica reificazione, questo capitalismo burocratico, in via di rapida cibernetizzazione, lo congela e lo pone in vetrina. Un simile processo era imprevedibile solo per il pensiero borghese, e per l'aborto strutturalista e prospettivo che ne costituisce il risultato. Un'analisi strutturale, in effetti, avrebbe potuto dedurre dalla forma di merce l'insieme della società che essa produce e che la riproduce, compresa l'ideologia 257 strutturalista. Questa ne era incapace, poiché non faceva che tradurre inconsciamente le strutture del processo di reificazione in corso, e le innalzava come un assoluto astorico. La vecchia opera negatrice della borghesia, intrapresa dal Rinascimento, è stata portata a termine alla meno peggio e con dei ritardi. La società unitaria, da molto tempo dissolta, è sostituita dal vuoto, un vuoto eretto in un ristretto possibile. A quella microsocietà che si organizzava intorno ad unità reali ma limitate quantitativamente e qualitativamente (villaggio, famiglia, corporazioni eccetera...), il vuoto ha sostituito ima coorte di astrazioni reificate: l'individuo, lo Stato, il consumatore, il mercato, che traggono la loro realtà apparente dall'apparenza di realtà che hanno assunto nella nostra vita. I princìpi della logica formale (che sono penetrati nella Città con i primi mercanti) trovano la loro realizzazione adeguata nello spettacolo mercantile. Il principio di identità sta alla merce come la categoria della totalità sta al movimento rivoluzionario. Nella struttura della forma mercantile, anteriormente alla sua crisi di crescita, l'identità generale delle merci non si otteneva che con il sotterfugio della loro identificazione fittizia con un equivalente generale astratto. Questa identità illusoria, assunta quotidianamente ha finito per indurre l'identità di tutti i bisogni, quindi di tutti i consumatori, e raggiunge così un certo grado di realtà. La realizzazione integrale dell'antica equivalenza astratta sarebbe il punto ultimo di questo processo. Il settore della produzione culturale, o della pubblicità, per effetto dell'inflazione ha sempre maggiori difficoltà nel differenziare i prodotti, annunciando e prefigurando questa grande tautologia. La merce, come la burocrazia, è una formalizzazione e una razionalizzazione della praxis la sua riduzione a qualche cosa di dominabile e manipolabile. Sotto questo dominio, la 258 realtà sociale finisce per ridursi a due significati contraddittori: mi significato burocratico-mercantile (che ad un altro livello corrisponde al valore di scambio) e un significato reale. La burocratizzazione del capitalismo non traduce una trasformazione qualitativa interna, ma al contrario l'estensione della forma mercantile. La merce è sempre stata burocratica. La forma mercantil-spettacolare è la parodia del progetto rivoluzionario di dominio dell'ambiente (naturale e sociale) ad opera di un'umanità finalmente padrona di se stessa e della propria storia. Essa presiede al dominio su di un uomo isolato e astratto da parte di un ambiente organizzato dal potere. Se è vero che gli uomini sono il prodotto delle loro condizioni, basta creare condizioni disumane per ridurli allo stato di cose. Nell'allestimento di ambienti mercantili, secondo il principio dei vasi comunicanti, l'uomo è ridotto a cosa, le cose in cambio prendono qualità umane. La rivista Elle può intitolare una pubblicità: «Questi mobili vivono» - sì, ma della nostra vita. L'uomo, è il mondo dell'uomo. Nella Gaia Scienza, Nietzsche nota che «L'enorme prevalenza del riso nell'alimentazione spinge a far uso dell'oppio e delle sostanze narcotiche, alla stessa guisa in cui l'enorme prevalenza delle patate come cibo invoglia all'alcol: in un ulteriore e più sottile effetto, induce però anche a determinati modi di pensare e di sentire che agiscono come narcotici. Con ciò concorda il fatto che i sostenitori di certi modi narcotizzanti di pensare e di sentire, come quei maestri indiani, vantano precisamente una dieta che è puramente vegetale e vorrebbero elevarla a legge di massa; vogliono così suscitare e accrescere quel bisogno che essi sono in condizione di soddisfare». Ma in una società che non può secernere che il bisogno di un'altra vita l'oppio dello spettacolo mercantile non è che una realizzazione parodistica di questo solo desiderio reale. Con la forma mercantile e le rappresentazioni che ne sono derivate, la società dello spettacolo tende a frammentare 259 questo desiderio unico fornendogli una moltitudine di soddisfazioni parcellari e illusorie. In cambio dell'abbandono del solo possibile, cioè un'altra società, ci concede generosamente tutte le possibilità di essere altro in questa società. Lo spettacolo mercantile colonizza i possibili delimitando poliziescamente l'orizzonte teorico e pratico dell'epoca. Allo stesso modo in cui nel Medioevo il quadro religioso sembrava l'orizzonte insuperabile, all'interno del quale dovevano inscriversi le lotte di classe, la forma mercantil-spettacolare tende a crearsi un tale quadro, nel cui ambito si svolgerebbero tutte le lotte perdute in partenza per l'emancipazione totale. Ma nello stesso modo in cui la forma merce, pur monopolizzando l'insieme del reale, non aveva esistenza reale nel cervello del borghese del Diciannovesimo secolo, questo incubo di società non è che un'ideologia vissuta, un'organizzazione dell'apparenza che non si innalza che ad un'apparenza di organizzazione. Lo spettacolo, infatti, non è stato altro che la realizzazione fantastica della merce, perché la merce non ha mai posseduto una vera realtà; il suo carattere misterioso è semplicemente nel suo rimandare agli uomini i caratteri della loro vita presentandoli come dei caratteri oggettivi. Il potere proietta dunque l'immagine della sopravvivenza, come esso la permette, integrandovi degli elementi che hanno talvolta un contenuto liberatorio, sempre aperti sul possibile. Con questa operazione, passano al servizio della repressione, rendendo l'alienazione più sopportabile dopo averla adornata dei fiori della critica. Per questo le fantasticherie delle classi dominanti sono sempre più leggibili a chi sa decrittare il testo sociale dell'epoca: nientemeno che la costituzione di una società astratta (astratta dalla società) dove spettatori astratti consumerebbero astrattamente degli oggetti astratti. Così sarebbe ottenuta la coincidenza, tanto desiderata, tra l'ideologia e il 260 reale: le rappresentazioni divenendo immagine del mondo per sostituirsi, al limite, al mondo ed edificare un mondo dell'immagine, creato dal potere e venduto sul mercato. La rappresentazione cosciente della sua vita, come prodotto della propria attività, svanirebbe allora dalla mente dello spettatore-consumatore, che ormai assisterebbe soltanto allo spettacolo del proprio consumo. La concezione cibernetica del superamento della filosofia va di pari passo con il suo sogno di ricostituire, sulla base della società dello spettacolo, il paradiso perduto delle società imitarle, arricchendolo di due millenni di progresso nell'alienazione sociale. Questi sogni rivelano, en passant, il carattere sapientemente nascosto e mistificato di quelle società: esse non hanno mai tratto la loro unità che dal dominio. In un reale interamente ridotto al quantitativo, dominato integralmente dal principio di identità, senza che la minima particella di contestazione venga a minacciare il suo equilibrio, il vecchio sproloquio filosofico-economico diventerebbe infatti inutile. Queste fantasie trovano d'altronde talvolta un embrione di realizzazione pratica, sempre esemplarmente rivelatore. L'Ospedale di Richmond, in Virginia ha messo a punto un'«Isola di vita» per grandi ustionati. Si tratta di una gigantesca bolla di plastica tenuta Ubera da ogni germe. All'interno, gli ustionati, dopo la completa decontaminazione, sono sistemati in un'«atmosfera presterilizzata. Nessuna claustrofobia: l'Isola di vita è trasparente» (Paris-Match). Aspettando che un conflitto nucleare fornisca a quest'opera filantropica i dienti che si merita, questa società edifica l'immagine deUe condizioni che essa impone: la sopravvivenza neU'isolamento controUato. Benché lo spettacolo mercantile tenda a instaurare questa positività piatta e disincantata, riscalda il negativo nel suo seno e come ogni realtà storica produce da sé i germi deUa 261 propria distruzione. Vecchia banalità socioeconomica, lo sviluppo dell'industria dei beni di consumo di massa produce e sovrapproduce la sovrapproduzione. Alcuni sociologi giungono perfino a ritenere che con la sovrapproduzione mercantile scompaia ogni differenza oggettiva tra le cose. La sola differenziazione che possa essere introdotta non è che soggettiva. Ma scoprire le tendenze latenti all'autodistruzione, che un tale processo nasconde, oltrepassa le capacità di un sociologo. Con la scomparsa del valore d'uso, l'identità generale tra le cose passa dalla fantasia vissuta alla realizzazione fantasmagorica. Il valore d'uso è tuttavia il nucleo di realtà indispensabile per la fioritura e la sopravvivenza del valore di scambio. La merce sopprime da sé le proprie condizioni. Quando il sistema può fare a meno della realtà, è la realtà che può fare a meno del sistema. La società moderna è gravida a tal punto di una rivoluzione che fa la parodia in anticipo della propria distruzione. I gadget lavorano alla fine del mondo della merce. Gli ultimi gadget sono dei nothing gadget: la macchina che non serve a nulla, la macchina che si distrugge da sé, il dollaro falso da bruciare nel camino. Ma la merce produce anche i propri affossatori, che non potrebbero limitarsi allo spettacolo della sua distruzione, poiché il loro obiettivo è la distruzione dello spettacolo. Non si possono confutare delle condizioni di esistenza, ci si può solo liberare di esse. A ogni grado della contestazione pratica, i gesti si profilano, pronti a trasformarsi in atti rivoluzionari. Ma, in assenza di un movimento rivoluzionario, questa contestazione pratica resta a livello individuale. La nostalgia dell'appropriazione privata è stata alla base della teoria della riappropriazione individuale e l'ha ridotta a una semplice reazione contro la socializzazione astratta introdotta dalla forma mercantile. Il furto nei grandi magazzini, che gli psicosociologi dei padroni 262 hanno così giustamente qualificato come «pratica sconosciuta», è di un'essenza qualitativamente differente. Nello spettacolo dell'abbondanza, gli oggetti cosiddetti di consumo cessano di essere degli oggetti di godimento, per divenire oggetti di contemplazione, sempre più radicalmente estranei a coloro di cui si ritiene soddisfino i bisogni. Il furto sembra essere allora il solo modo di appropriazione per il godimento, al contrario della «pratica conosciuta» che appare come un modo di usarli contemplativo, una maniera di essere posseduti dagli oggetti senza goderne. Certi sociologi hanno annunciato come una scoperta delle loro investigazioni poliziesche il rapporto esistente tra le bande di blousons noirs e le società arcaiche. Questo non è peraltro, semplicemente ed evidentemente, che il rapporto reale tra ima società al di qua della merce e dei gruppi che si pongono al di là. Le distruzioni volontarie di merci, la rottura delle vetrine, ricordano le distruzioni voluttuarie delle società precapitalistiche (con questa riserva, che tali gesti vedono limitata la propria portata rivoluzionaria in una società dove c'è sovrapproduzione mercantile). Rubando delle merci per donarle, alcuni blousons noirs evitano questa ambiguità. Riproducono a un livello superiore la pratica del dono che ha dominato le società arcaiche e che lo scambio, in quanto formalizzazione dei rapporti sociali sulla base di un debole livello di sviluppo delle forze produttive, è giunto a distruggere. Essi trovano così una condotta ancor meglio adatta a una società che si autodefinisce società dell'abbondanza, e innescano praticamente il suo superamento. Durante le insurrezioni passate, i gesti più spontanei, quelli che i gendarmi del potere hanno qualificato come ciechi, erano in definitiva i più rivoluzionariamente chiaroveggenti. Per citare solo un esempio tratto dall'attualità più re- 263 cente, gli insorti di Los Angeles se la sono presa direttamente con il valore di scambio spettacolare che fungeva da scenario della loro schiavitù; hanno dato l'assalto al cielo dello spettacolo. Nello stesso tempo in cui distruggevano le vetrine e incendiavano i supermercati, abbozzavano sul campo una restituzione del valore d'uso: «Un nero che porta su di una carriola un frigorifero rubato, lo apre e ne tira fuori delle bistecche e qualche bottiglia di whisky» (L'Express). Se è vero che, finora, le rivoluzioni hanno generalmente perso tempo a vestirsi delle spoglie delle vecchie feste, il nemico che sembravano aver dimenticato ha sempre saputo ricordare loro i gesti che avrebbero dovuto compiere da molto tempo. Ciò che si è preso per gesti di disperazione esprimeva soltanto la disperazione per non averli compiuti prima. Questi gesti, le prossime rivoluzioni dovranno ritrovarli immediatamente e compierli senza indugiare: in quanto distruzione dello spettacolo mercantile sono portatori della speranza di una costruzione Ubera deUa vita. Si tratterà aUora di rivendicare come proprietà deU'uomo tutti i tesori spogUati a profitto del cielo dello spettacolo, di rivolgerU nel senso della vera vita. Ci chiameranno i distruttori del mondo deUa merce, non saremo che i costruttori di noi stessi. 264 VIVE LA LIBERTAD. L'INTERNAZIONALE SITUAZIONISTA di Ricardo Gutiérrez 1 Rivoluzionare la vita quotidiana Fondata nel 1952, l'Internazionale situazionista (IS) esalta la costruzione di situazioni, vale a dire la costruzione concreta di ambienti, di atmosfere momentanee della vita e la loro trasformazione in una appassionante esistenza di qualità superiore. Animato da gruppi organizzati di teorici e di sperimentatori, il movimento si basa sul principio di una rivoluzione permanente della vita quotidiana. Questo movimento è alla base della rivolta del maggio 1968 in Francia. Concretamente, l'IS invita i cittadini a creare situazioni a misura dei loro desideri al fine di rendere la vita più appassionante. Ciò suppone agli occhi dei situazionisti una liberazione sociale completa. Essi si oppongono così alla società di classe e al Capitale che organizza il regno della merce e costringe gli uomini a ima vita da sopravvissuti (la vita ridotta al consumabile). In questo mondo al contrario che privilegia il lavoro, il denaro e il potere, l'IS propone il godimento come mezzo di sovversione radicale: non ci sarà emancipazione del proletariato senza l'emancipazione reale dei piaceri. Ciò perché i situazionisti sostengono tutte le forme di libertà dei costumi, tutto quello che la canaglia borghese o burocratica chiama 1 «Vive la libertad. L'Internationale Situationniste», da Internet (1997). 265 «débauché». E' chiaramente escluso, spiegano, che noi prepariamo la rivoluzione quotidiana attraverso l'ascetismo. L'IS mette pertanto in guardia contro i piaceri mercificati pertinenti più a una proletarizzazione del godimento piuttosto che alla sua liberazione. I situazionisti denunciano anche il mito della società di diritto. Essi non rivendicano che un modo supplementare di produzione-consumo dello spazio-tempo sociale. Se il tempo del lavoro produttivo si riduce, il tempo consacrato al consumo aumenta incitando a produrre di più. In questa concezione alienante della società, il lavoro rappresenta l'alfa e l'omega della vita. I situazionisti oppongono a ciò il godimento e la sua arma assoluta, la gratuità: si tratta di sostituire il dono allo scambio mercantile. Arte e politica L'IS si considera come il più alto grado della coscienza rivoluzionaria internazionale. A metà degli anni '60, dopo aver preso l'esistenzialismo per bersaglio (Sartre, l'inqualificabile-, Heidegger, povero nazi), i situazionisti denunciano la soverchieria maoista e la catechesi leninista. Essi mettono in luce l'ipocrisia del socialismo, perché le vittorie del sociale hanno coinciso sempre con quelle della merce. Ma l'IS rifiuta l'etichetta di movimento politico: essa contesta ogni forma di potere gerarchizzato e rinuncia ai discepoli. I situazionisti ammettono tuttavia di giocare un ruolo politico nella misura in cui contribuiscono all'irriducibile volontà di emancipazione del proletariato. L'IS conta dalla sua creazione les plasticiens d'avanguardia del lettrismo e del gruppo Cobra, con ciò volendo porsi come il solo movimento in grado di rispondere a un autentico progetto d'artista. I situazionisti vedono nell'arte una capacità 266 di emancipazione, un'esplosione che minaccia le strutture della società. Essi vogliono mettere strutture e mezzi materiali a disposizione della creatività di tutti, come dappertutto le masse si sforzano di fare al momento della rivoluzione. Nel primo anno della sua esistenza l'IS si pone in evidenza essenzialmente per l'attività dei suoi artisti: l'italiano Giuseppe Pinot-Gallizio, il danese Asger Jorn, l'olandese Constant. Debord, e Vaneigem Fondatore dell'IS, il francese Guy-Ernest Debord (19311994) è l'autore della Società dello spettacolo (1967), senza dubbio uno dei più grandi testi sul capitalismo contemporaneo e sul suo sistema illusorio. Debord concepisce l'opera come una critica al regno irresponsabile della merce e dei metodi di governo moderni. Venti anni dopo la pubblicazione della Società dello spettacolo, il suo autore constata che i fatti gli hanno dato ragione: ecco dunque una società che si annuncia democratica quando ella è giunta allo stadio dello spettacolare integrato. Una società che mette in scena un consenso ingannatore. Altro grande teorico de l'IS è il saggista belga Roul Vaneigem che ha tracciato alcuni dei grandi princìpi del movimento nel suo Trattato del saper vivere ad uso delle giovani generazioni (1967): rifiuto radicale della società dei consumi, denuncia dei suoi contrasti e della sua tendenza al conformismo, contestazione ecologica in una prospettiva liberatoria. Nel Libro dei piaceri (1979) egli invita gli esseri viventi al godimento senza contropartita per chiudere, una volta per tutte con una civiltà della merce in via di disfacimento. 267 Ispirazioni situazioniste I situazionisti rifiutano ogni ideologia e, ancora di più le organizzazioni che ne derivano (apparati, partiti e sindacati) e i poteri collegati. Le loro inquietudini e le loro ispirazioni hanno fonti multiple e diverse: Hegel, Fourier, Clausewitz, Marx, Baltasar Graciàn, Lukàcs, Omar Khayyam, Sade, Lautréamont, Babeuf, Lacenaire, Stirner, Léhautier, Vaillant, Henry, Villa, Zapata, Makhno... senza dimenticare l'alcol e 13, rue de l'Espoir, settimanale sentimentale pubblicato in Francia da France Soir, negli anni '60. 268 MASSIME SITUAZIONISTE (Debord) * La felicità è un'idea nuova per l'Europa. * L'amore non è valido che in un perìodo rivoluzionario. * Ho vissuto la mia vita in tempi di disordine e in una società piena di esasperate lacerazioni e di immense distruzioni; io ho partecipato a questi disordini. * Le nostre ambizioni sono decisamente megalomani, ma forse non valutabili coi criteri dominanti del successo. Io credo che tutti i miei amici si accontenterebbero di lavorare anonimamente, con salari da operai qualificati, al Ministero del Tempo Libero di un governo che finalmente si preoccupasse di trasformare la vita. * L'unica impresa interessante è la liberazione della vita quotidiana. * La formula per cambiare il mondo non l'abbiamo trovata nei libri, ma girando. * Gli spettatori non trovano ciò che desiderano, ma desiderano ciò che trovano. * Il mondo è già stato filmato: si tratta di trasformarlo. 269 * Si sono interpretate le passioni abbastanza, si tratta ora di trovarne delle nuove. * Che cos'è in effetti la situazione? E' la realizzazione di un gioco superiore, più esattamente la provocazione in questo gioco che è la presenza umana. * Noi pensiamo che il ruolo dei teorici, ruolo indispensabile ma non dominante, è di apportare elementi di conoscenza e strumenti concettuali che traducano chiaramente - o in forma più chiara e coerente - la crisi e i desideri latenti, in modo che possano essere vìssuti dalla gente: intendiamo il nuovo proletariato di questa NUOVA POVERTÀ che bisogna richiamare è descrivere. * Vi sono tempi in cui bisogna spendere il disprezzo con parsimonia, a causa del gran numero di bisognosi. * Il movimento dell'arte moderna può essere considerato come una DEQUALIFICAZIONE permanente della forza-lavoro intellettuale dell'uomo. * La complicità con la falsa contestazione del mondo non è separabile da una complicità con la sua falsa ricchezza. * La burocrazia è la forma-contenitore della società: essa blocca i processi, la rivoluzione. In nome dell'economia la burocrazia economizza senza controllare (per i propri fini, per la conservazione dell'esistente). Essa ha tutti i poteri, salvo il potere di cambiare le cose (AJom). * C'é contraddizione tra la massa d'informazioni riversate su un numero crescente di persone e i tempi e l'intelligenza disponibile per analizzarle. 270 * Noi siamo totalmente popolari. Noi non prendiamo in considerazione che i problemi che sono già in sospeso nel popolo. La teoria situazionista è nel popolo come il pesce nell'acqua. * Che si cessi di ammirarci come se fossimo superiori ai nostri tempi: è che l'epoca inorridisce essa stessa specchiandosi PER CIO CHE È. * Chi considera la vita dell'IS trova la storia della Rivoluzione. Niente ha potuto renderla malvagia. * Il linguaggio è la dimora del potere (M. Khayati). * La conoscenza è inseparabile dall'uso che se ne fa (R. Vaneigem). * Andremo in giro la notte e saremo consumati dal fuoco. * Il mio metodo sarà molto semplice. Dirò ciò che amo e tutto il resto, alla luce di questo sarà visibile e si farà comprendere sufficientemente. * Vuoi che la tua vita poggi su solide basi? Vuoi vivere giorni con il cuore libero da ogni preoccupazione? Non restare un istante senza senza bere vino, allora ad ogni respiro troverai che la tua esistenza avrà un nuovo fascino (Rubaiyyat di Omar Khayyam). * L'arte della saggezza mondana: 1 Non mostrarti più brillante del tuo capo. 2 Trova la maniglia di ogni persona, il suo punto debole. 3 Capisci quando essere evasivo. 4 Le tue intenzioni scrivile in modo cifrato. 5 Opera ma sembra anche. 271 6 Lascia che qualcun altro meriti il successo. 7Non entrare nello spazio (vasto?) lasciato da un altro. 8 Non competere mai con qualcuno che non ha niente da perdere. 9 Usa mezzi umani come se quelli divini non esistessero e quelli divini come se quelli umani non esistessero. 10 Comportati sempre come se gli altri ti osservassero. [Baltasar Graciàn, gesuita spagnolo del XVII secolo molto apprezzato da Debord] DE P E S T E SI H A D I C À L BffflM H E L U U I E N f c S S A I b DE HECUI COMME VOUS A V E Z R A I S O N DE VOLER DES L I V R E S . LA C U L T U RE D E V R A I T E T R E A LA P O R T É E D I S E I D É A L E , C E L L E QUI FAIT PAYER T O U T E S L E S A U T R E S . PAS ETONNANT QUE VOUS VOULIEZ L O F F R I R A T O U S ... Fumetto situazionista: Comics par réalisation directe. Testo di R. Vaneigem, disegni di Gérard Joannès. Documenti PANORAMA INTELLIGENT DE L'AVANT-GARDE À LA FIN DE 1955 1 Urbanìsme À Paris il est actuellement recommandé de fréquenter: la Contrescarpe (le Continent); le quartier chinois; le quartier juif; la Butte-aux-Cailles (le labyrinthe); Aubervilliers (la nuit); les squares du 7° arrondissement; l'Institut médico-légal; la rue Dauphine (Nesles); les Buttes-Chaumont (le jeu); le quartier Merri; le pare Monceau; l'Ile Louis (l'ile); Pigalle; les Halles (rue Denis, rue du Jour); le quartier de l'Europe (la mémoire); la rue Sauvage. Il est recommandé de ne fréquenter en aucun cas: les 6 et 15 arrondissements; les grands boulevards; le Luxembourg; les Champs-Élysées; la place Bianche; Montmartre; l'Ecole Militaire; la place de la République, l'Étoile et l'Opéra ; tout le 16 arrondissement. e e e Poesie La disparition presque totale de cette activité, sous la forme qu'on lui connaissait depuis ses débuts, disparition évidemment liée au dépérissement continu de l'esthétique, est un des phénomènes les plus marquants qui se produisent 1 Da Potlatch n. 24, novembre 1955. 274 sous nos yeux. Durant ces dernières années, la poésie onomatopéique et la poésie néoclassique ont simultanément manifesté la dépréciation complète de ce produit. Malgré l'attachement normal d'ime société mourante à des expressions faisandées, il est à noter qu'aujourd'hui une revue sérieuse n'ose plus publier de poèmes. Quand elle s'y essaie, avec une évidente mauvaise conscience (voir un certain du Bouchet dans le n. 117 des Temps Modernes), les résultats se passent de commentaires. Au nom du renouvellement progressiste de Coppée-Lamartine, Guillevic vient de prendre les risques d'une explication à la loyale («Expliquons-nous sur le sonnet», Nouvelle Critique n. 68) qui fait éclater sa burlesque insuffisance. Passons sur l'aspect cocardier du panégyrique («notre sonnet», «cette forme... n'est pas une création artifìcielle par hasard jetée par Marot, du Bellay, Ronsard et les autres. Si elle a été employée par eux, si elle a traversé plusieurs siècles, c'est bien qu'elle répond à des nécessités de l'esprit frangais»), puisque Guillevic a beau mentir, il vient trop tard, tout le monde sait que «nous» avons emprunté cette forme à l'Italie et qu'à l'époque des médiévaux attardés devaient en rester à la ballade, préférant, comme Guillevic aujourd'hui, «lutter contre l'envahissement de la culture cosmopolite». Plus significative est la référence à «la vie d'un des hommes les plus sensibles, les plus nobles, les meilleurs, les plus grands que le monde ait connus»: on a peine à le croire, mais il s'agit de Louis Aragon. Dans ses lourdes tentatives pour conférer quelque dimension mythique à la vie d'Aragon, Guillevic va si loin au-delà de son talent qu'il arrive à gravement desservir son lugubre chef de file: «Je revois Aragon un certain soir de janvier 1954... J'entends son exclamation: Elsa, il écrit des sonnets!». L'ensemble de l'argumentation est de la mème encre. Reste de tant de vide que des gens qui se recommandent du 275 matérialisme dialectique fondent toute leur malheureuse thèse sur l'exaltation inconditionnelle des «formes fixes». Les «formes fixes» - au sens de cadres répondant aux besoins d'un travail donné - qu'il convient maintenant de pratiquer, pourront ètre momentanément: le procès-verbal de dérive, le compte rendu d'ambiance, le pian de situation. Décoration Projet de J. Fillon pour l'aménagement d'une salle de réception: les trois quarts de la salle, constituant la partie que l'on traverse en entrant par la seule porte du lieu, sont meublés élégamment et n'ont aucune destination précise. Au fond de la salle se dresse une barricade qui en délimite la partie utile, égale au quart de la superficie totale. Cette barricade est on ne peut plus réelle, constituée de pavés, sacs de sable, tonneaux et autres objets consacrés par l'usage. Elle s'élève à peu près à hauteur d'homme, avec quelques points culminants et quelques brèches ébauchées. Plusieurs fusils chargés peuvent étre posés dessus. Une étroite chicane livre accès à la partie utile de la pièce, également meublée avec gout, où tout est disposé pour recevoir agréablement les amis et connaissances. Cette salle de réception, qui implique évidemment un éclairage et un fond sonore appropriés, peut servir à varier l'ordonnance d'une maison banale, et n'y introduire qu'un pittoresque superficiel. Mais sa vraie destination est de s'intégrer dans un complexe architectural étendu, où apparait pleinement sa valeur déterminante pour la construction d'ime situation. 276 Explorations Dans un proche avenir une équipe de lettristes, opérant à partir de la rue des Jardins-Paul, devra reconnaitre entièrement le quartier Merri, jusqu'à présent omis sur les eartes psychogéographiques. ADHÉREZ EN MASSE À L'INTERNATIONALE LETTRISTE ON EN GARDERA QUELQUES-UNS Jeux éducatifs Récemment mise au point, «la discussion idéologique considérée comme match de boxe» semble promise à un brillant avenir dans l'éhte intellectuelle, dont elle comble tous les besoins. (La discussion idéologique considérée comme match de boxe vous fera gagner de l'estime en perdant du temps.) En voici la règie: Les deux adversaires et l'arbitre, dont la décision est souveraine, s'assoient à la mème table, l'arbitre séparant les deux joueurs. Il a été convenu que le match se déroulerait en un certain nombre de rounds d'un minutage précis. Après que l'arbitre a annoncé l'ouverture du match, les deux adversaires s'observent un instant; puis celui qui choisit, le premier, l'offensive énonce une proposition quelconque sur un sujet qui lui parait bon. L'autre répond, soit en niant hardiment le raisonnement qu'il vient d'entendre, soit en passant à d'autres affirmations sur un sujet voisin ou inattendu, soit mème - ce qui est mieux - en combinant ces deux 277 mouvements. L'arbitre veille à ce qu'un adversaire n'interrompe pas l'autre. Cependant, un usage trop prolongé de la parole fait perdre des points au maladroit. Le chronométreur annonce la fin du round par un signal adéquat qui interrompt à l'instant le discours. L'arbitre déclare alors le round à l'avantage d'un des adversaires, ou éventuellemerit nul. Pendant le temps de repos, les supporters et les soigneurs apportent aux combattants des verres d'alcool ou des tasses de café (dans certains cas, des stupéfiants). La dispute recommence à l'ordre donne. Le ko est proelamé par l'arbitre quand un des adversaires, déconcerté par la violence ou la subtilité d'une attaque, se révèle incapable de poursuivre la discussion. Si cette issue n'intervient pas, le vainqueur est désigné à la fin, aux points, d'après le nombre de rounds où il a dominé. La mauvaise foi, mème apparènte, n'entraìne aucune pénalité. On a déjà noté, parmi les sujets les plus courus: le Zen, la Nouvelle-Gauche, l'ontologie phénoménologique, Astruc, les Monnaies Gauloises, la censure, l'intelligence du jeu d'Echecs. (Les lettristes, forcément gagnants, ne jouent pas à ce jeu.) Cinéma Il y a plusieurs années qu'on n'a pas vu un film qui apporte la moindre nouveauté. La production générale est si terne qu'un film banal, s'il est fait dans une perspective politique simplement sympathique (Le sei de la terre), bouleverse la plupart des critiques, et fait dire de lui, contre toute vérité, qu'il resterà comme ime date cinématographique. Il est vrai qu'ici tant d'impératifs financiers et policiers règnent, qu'un 278 film - dont les ressources sont très supérieures à celles du roman - a peu de chances d'atteindre le niveau intellectuel d'un bon roman de troisième ordre, du genre Raymond Queneau par exemple. Dans ces conditions, le mieux est de ne plus s'inquiéter de l'état actuel de cet art. Dans les salles obscures que la derive peut traverser, il faut s'arrèter un peu moins d'une heure, et interpréter en se jouant le film d'aventures qui passe: reconnaitre dans les héros quelques personnages plus ou moins historiques qui nous sont proches, relier les événements du scénario inepte aux vraies raisons d'agir que nous leur coimaissons, et à la semaine que l'on est soi-méme en train de passer, voilà im divertissement collectif acceptable (voir la beauté du Prisonnier de Zenda quand on sait y nommer Louis de Bavière, J. Vaché sous les traits du comte Rupert de Rantzau, et l'imposteur qui n'est autre que G.-E. Debord). On peut aussi voir la sèrie des aventures de l'admirable Dents-Blanches, dont l'utilisation actuelle, tout à fait négligeable, ne laisse pas de rappeler les vrais pouvoirs d'enseignement du cinéma. Au cas où tout cela ne vous plairait vraiment pas, il ne vous reste qu'à aimer Les Mauvaises Rencontres d'Alexandre Astruc, où vous ne manquerez pas de reconnaìtre parfaitement, selon le mot étonnant de Jacques Doniol-Valcroze (France-Observateur du 20 octobre 1955) l'atmosphère et la signification de V O T R E jeunesse. Philosophie IMBÉCILES, VOUS pouvez Lisez Marx, lisez Dahou. cesser de l'étre. 279 Arts plastiques Toute la peinture abstraite, depuis Malevitch, enfonce des portes ouvertes. Naturellement cette activité est inintéressante et, de plus, parfaitement uniforme. Ce n'est pas le «tachisme» qui va la renouveler. On pense bien d'autre part qu'une recherche d'images réellement susceptibles de provoquer des effets nouveaux doit rompre avec des modes de représentation hérités de Chirico, de Max Ernst ou de Magritte, qui tendent d'eux-mèmes à recréer le vieil ordre des surprises - surprises considérablement affaiblies par la diffusion déjà ancienne de ces oeuvres et l'inflation des imitateurs. Les diverses réalisations de la métagraphie, qui se proposent théoriquement d'intégrer en une seule écriture tous les éléments dont la signification peut servir, ont été, jusqu'à présent, tout à fait insuffisantes. Il semble que l'on doive attribuer cet échec provisoire à la préoccupation constamment mise en vedette de «faire des maquettes d'affiches», qui a imposé finalement soit un chaos illisible, soit une forme dégénérée du vieux collage (exposition métagraphique de la Galerie du Doublé Doute, en juinjuillet 1954). Revues L'Internationale lettriste collabore à la revue Les Lèvres Nues depuis la parution de son numéro 6. Cette revue (Marièn éditeur, 28 rue du Pépin, Bruxelles) se trouve chez le Minotaure, libraire, rue des Beaux-Arts. 280 Politique Rien de très nouveau. Dans le cadre de la détente, la presse révèle avec attendrissement que deux jeunes fìlles soviétiques, après s'étre fait photographier aux còtés de deux vedettes de cinema frangaises, ont affirmé avoir vécu ainsi la plus belle journée de leur vie. En mème temps la Pravda fait savoir que l'Urss a achevé la construction d'ime société socialiste, et que le passage au stade du communisme est dès à présent amorcé. En France, c'est naturellement encore pire: mobilisation destinée à s'étendre, pour alimenter la guerre d'Algérie (Algériens! ce n'est pas par ce que vous ètes frangais que vous devez ètre patriotes), la guerre du Rif et les suivantes; développement du troc inaugurò par Mendès-Bonn, avec Franco dont les menues faveurs sont payées par l'abandon des réfugiés républicains; condamnation scandaleuse de Pierre Morain, de la Fédération Communiste Libertaire, en des termes qui tendent à établir que des opinions anticolonialistes sont désormais incompatibles avec la nationalité frangaise. Propagande Un procède «décisif pour l'avenir de la communication: le détournement des phrases», était désigné dans Internationale Lettriste n. 3 (aoùt 1953). L'usage du détournement fait maintenant l'objet d'une étude exhaustive, entreprise en collaboration par deux lettristes. Cette étude paraìtra en son temps, et laissera peu de choses à dire sur la question. Le numéro 25 de Potlatch, inaugurant sa troisième année, sera publié en janvier 1956. 281 Littérature On ne manquera jamais d'ersatz pour faire marcher l'industrie de l'édition et maintenir la consommation. Mais, plus on ira, plus on s'apercevra que les problèmes et les divertissements de l'epoque se situent sur d'autres plans. Déjà, il faut signaler des truqueurs qui vont essayer de se faire irne réputation en remàchant, dans un cadre purement littéraire, les émotions nouvelles que certaines associations d'événements peuvent entrainer. Ainsi M. Julien Gracq rédigeant de jolies narrations qui ont pour thème une ambiance et ses diverses composantes: ce n'est rien de refuser le prix Goncourt; encore faut-il ne pas l'avoir mérité. N E COLLECTIONNEZ PAS POTLATCH LE TEMPS TRAVAILLE CONTRE VOUS Tous les textes publiés dans Potlatch peuvent ètre reproduits, imités ou partiellement cités, sans la moindre indication d'origine. 282 PROJETS D'EMBELLISSEMENTS RATIONNELS DE LA VILLE DE PARIS 1 Les lettristes présents le 26 septembre ont proposé communément les solutions rapportées ici à divers problèmes d'urbanisme soulevés au hasard de la discussion. Ils attirent l'attention sur le fait qu'aucun aspect constructif n'a été envisagé, le déblaiement du terrain paraissant à tous l'affaire la plus urgente. Ouvrir le mètro, la nuit, après la fin du passage des rames. En tenir les couloirs et les voies mal éclairés par de faibles lumières intermittentes. Par un certain aménagement des échelles de secours, et la création de passerelles là où il en faut, ouvrir les toits de Paris à la promenade. Laisser les squares ouverts la nuit. Les garder éteints. (Dans quelques cas un faible éclairage Constant peut ètre justifié par des considérations psychogéographiques.) Munir les réverbères de toutes les rues d'interrupteurs; l'éclairage étant à la disposition du public. 1 Da Potlatch n. 23, octobre 1955. 283 Pour les églises, quatre solutions différentes ont été avancées, et reconnues défendables jusqu'au jugement par l'expérimentation, qui fera triompher promptement la meilleure: G.-E. Debord se déclare partisan de la destruction totale des édifices religieux de toutes eonfessions. (Qu'il n'en reste aucune trace, et qu'on utilise l'espace.) Gii. J. Wolman propose de garder les églises, en les vidant de tout concept religieux. De les traiter comme des bàtiments ordinaires. D'y laisser jouer les enfants. Michèle Bernstein demande que l'on détruise partiellement les églises, de fagon que les ruines subsistantes ne décèlent plus leur destination première (la Tour Jacques, boulevard de Sebastopol, en serait un exemple accidentel). La solution parfaite serait de raser complètement l'église et de reconstruire des ruines à la place. La solution proposée en premier est uniquement choisie pour des raisons d'économie. Jacques Fillon, enfin, veut transformer les éghses en maisons à faire peur. (Utiliser leur ambiance actuelle, en accentuant ses effets paniques.) Tous s'accordent à repousser l'objection esthétique, à faire taire les admirateurs du portail de Chartres. La beauté, quand elle n'est pas une promesse de bonheur, doit ètre détruite. Et qu'est-ce qui représente mieux le malheur que cette sorte de monument élevé à tout ce qui n'est pas encore dominé dans le monde, à la grande marge inhumaine de la vie? Garder les gares telles qu'elles sont. Leur laideur assez émouvante ajoute beaucoup à l'ambiance de passage qui fait le léger attrait de ces édifices. Gii J. Wolman réclame que l'on supprime ou que l'on fausse arbitrairement toutes les indications concernant les départs (destinations, horaires, etc.). Ceci pour favoriser la dérive. Après un vif débat, l'op- 284 position qui s'était exprimée renonce à sa thèse, et le projet est admis sans réserves. Accentuer l'ambiance sonore des gares par la diffusion d'enregistrements provenant d'un grand nombre d'autres gares - et de certains ports. Suppression des cimetières. Destruction totale des cadavres, et de ce genre de souvenirs: ni cendres, ni traces. (L'attention doit etre attirée sur la propagande réactionnaire que représente, par la plus automatique association d'idées, cette hideuse survivance d'un passé d'aliénation. Peut-on voir ini cimetière sans penser à Mauriac, à Gide, à Edgar Faure?) Abolition des musées et répartition des chefs-d'oeuvre artistiques dans les bars (l'oeuvre de Philippe de Champaigne dans les cafés arabes de la rue Xavier-Privas; le Sacre de David, au Tonneau de la Montagne-Geneviève). Libre accès illimité de tous dans les prisons. Possibilité d'y faire un séjour touristique. Aucune discrimination entre visiteurs et condamnés. (Afin d'ajouter à l'humour de la vie, douze fois tirés au sort dans l'année, les visiteurs pourraient se voir raflés et condamnés à ime peine effective. Ceci pour laisser du champ aux imbéciles qui ont absolument besoin de courir un risque inintéressant: les spéléologues actuels, par exemple, et tous ceux dont le besoin de jeu s'accommode de si pauvres imitations.) Les monuments, de la laideur desquels on ne peut tirer aucun parti (genre Petit ou Grand Palais), devront faire place à d'autres constructions. Enlèvement des statues qui restent, dont la signification est dépassée - dont les renouvellements esthétiques possibles sont condamnés par l'histoire avant leur mise en place. On 285 pourrait élargir utilement la présence des statues - pendant leurs dernières années - par le changement des titres et inscriptions du socie, soit dans un sens politique (Le Tigre dit Clemenceau, sur les Champs-Élysées), soit dans un sens déroutant (Hommage dialectique à la fièvre et à la quinine, à l'intersection du boulevard Michel et de la rue Comte; Les grandes profondeurs, place du parvis dans l'ile de la Cité). Faire cesser la crétinisation du public par les actuels noms des rues. Effacer les conseillers municipaux, les résistants, les Émile et les Edouard (55 rues dans Paris), les Bugeaud, les Gallifet, et plus généralement tous les noms sales (rue de l'Evangile). À ce propos, reste plus que jamais valable l'appel lancé dans le numéro 9 de Potlatch pour la non-reconnaissance du vocable saint dans la dénomination des lieux. 286 BIBLIOGRAFIA MINIMA a completamento dei precedenti riferimenti bibliografici G.-E. Debord, Guide psychogéographique de Paris, Le Bauhaus Imagìniste, Permild and Rosengreen, K0benhavn 1957 G.-E. Debord, Panégirique, Gallimard, Paris 1993 G.-E. Debord, Considérations sur l'assassinat de Gerard Lebovici, Gallimard, Paris 1993 G.-E. Debord, Cette mauvaise réputation, Gallimard, Paris 1993 G.-E. Debord, Oeuvres cinématografiques complètes, Gallimard, Paris 1993 R. Vaneigem, Pour la révolution Ernest Coeurderoy, Ed. Champ Libre, Paris 1972 R. Vaneigem, Le livre des plaisirs, Encre, Paris 1979 R. Vaneigem, Le mouvement du libre-esprit, Ramsay 1986 R. Vaneigem, Addresse aux vivants sur la mort qui les gouverne et l'oppurtunité de s'en défaire, Seghers, Paris 1990 R. Vaneigem, Scutenaire, Seghers, Paris 1991 L. Lemaìtre, Bilan lettriste, Richard-Marre, Paris 1955 J. Isou, Introduction à une nouvelle poésie et à une nouvelle musique, Gallimard, Paris 1974 R. Gombin, Les origines du gauchisme, Seuil, Paris 1971 H. Lefebvre, La sociologia di Marx, Il Saggiatore, Milano 1969 H. Lefebvre, Il marxismo e la città, Mazzotta, Milano 1973 H. Lefebvre, L'irruptìon de Nanterre au sommet, Anthropos, Paris 1969 H. Lefebvre, Critica della vita quotidiana, Laterza, Bari 1977 J.-F. Martos, Rovesciare il mondo, Sugarco, Milano 1993 287