Corruzione e crescita economica - Dipartimento di Scienze Statistiche
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Corruzione e crescita economica - Dipartimento di Scienze Statistiche
ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI BOLOGNA Scuola di Economia, Management e Statistica Corso di Laurea Magistrale in Statistica, economia e impresa TESI DI LAUREA MAGISTRALE Corruzione e crescita economica: la peculiarità del caso italiano nella panoramica europea Relatrice: Presentata da: Prof. Cristina Brasili Duccio Bianciardi Anno Accademico 2015/2016 pag. 1 INDICE Capitolo I. La prospettiva istituzionalista e le misure della qualità istituzionale 1.1. Da North ad Acemoglu: una rivoluzione di pensiero 1.2. Come è possibile misurare la qualità istituzionale? 1.3. I principali indicatori della corruzione Capitolo II. Corruzione e crescita economica: una visione d’insieme 2.1. La corruzione e le sue origini: le cause fondamentali della sua diffusione 2.2. Gli effetti economici, istituzionali e sociali della corruzione: la relazione tra crescita e corruzione vista secondo il parere dei principali autori 2.3. La corruzione in Italia: lo “strano” caso del nostro Paese Capitolo III. Corruzione e crescita economica: l’analisi empirica 3.1. Dati e modello: le procedure utilizzate 3.2. I risultati 3.3. Conclusioni e direzioni di ricerca pag. 2 1.1. COME È POSSIBILE MISURARE LA QUALITÀ ISTITUZIONALE? Nel paragrafo precedente è stato definito il concetto northiano di istituzioni e le principali convinzioni del pensiero istituzionalista. A questo punto, è necessario occuparsi di come la qualità istituzionale può essere tradotta a livello quantitativo in modo da poterla studiare con un approccio statistico. Questo passaggio, tuttavia, non è così immediato come sembra. In primo luogo, esistono molteplici definizioni di governance o di qualità istituzionale1. Secondo Kaufmann, Kraay e Mastruzzi (2004), “la governance è l’insieme delle tradizioni e delle istituzioni attraverso cui viene esercitata l’autorità in una nazione”. La Commissione europea, invece, la definisce come “la capacità dello Stato di servire i cittadini. Essa si riferisce alle regole, ai processi ed ai comportamenti tramite cui si articolano gli interessi, si gestiscono le risorse e si esercita il potere in una società.” Secondo l’UNDP (“United Nations Development Programme”, 2007) la governance rappresenta “il sistema di valori, politiche ed istituzioni all’interno del quale una società gestisce i propri affari economici, politici e sociali tramite il legame tra Stato, società civile e settore privato”. In poche parole, come sostiene Maurset (2006, pag. 6), la governance ha un significato estremamente difficile da comprendere proprio perchè raccoglie una moltitudine di aspetti che si riferiscono al modo con cui in ogni società “l’autorità viene creata, modellata, esercitata e cambiata”. Quindi, se non esiste una definizione unanime della governance, come è possibile misurare un concetto che già di per sé non è quantitativo? Il secondo problema (forse anche quello più immediato) è legato al fatto che la qualità istituzionale è un qualcosa di estremamente difficile da valutare: una stessa misura di policy, ritenuta imprescindibile ed applicabile ovunque, infatti, può avere effetti positivi in un Paese, ma essere totalmente inefficace in un altro. Questo succede perché gli assetti istituzionali e le riforme sono sempre “contest-specific”. A tutto ciò, si aggiunge la difficoltà di creare “misure oggettive” di governance. Quest’ultime, utilizzando numerosi indici macroeconomici (livello degli investimenti, spese in educazione, tasso di disoccupazione, ecc…), hanno il grande vantaggio di essere poco influenzabili dalle opinioni degli esperti e permettono di creare un ranking imparziale tra i Paesi in merito 1 I due termini, nella letteratura, sono quasi sempre considerati come sinonimi. pag. 3 alla qualità istituzionale2; tuttavia, questi indicatori sono tremendamente rari e spesso sono portati a rilevare la quantità di governance piuttosto che la qualità: ad esempio, il rapporto tra lavoratori del settore pubblico e popolazione complessiva può essere visto come proxy del grado di intervento statale nel settore economico, ma non fornisce alcuna informazione sulla qualità e sull’efficacia dell’azione governativa. Nonostante tutte queste difficoltà, negli ultimi tre decenni numerosi ricercatori, privati ed organizzazioni monitoranti si sono dedicati alla costruzione di complesse misure rappresentative della governance. Secondo Maurset (2009), tutto il loro lavoro si basa su sei assunti basilari: 1. La governance può sempre essere misurata, poiché si differenzia da nazione a nazione. 2. E’ sempre possibile misurare le dimensioni individuali della governance. Esse appartengono alle quattro diverse sfere della società: politica, burocratica, economica e familiare. 3. La governance può essere espressa sotto forma di un ranking tra Paesi. 4. La governance può essere “scalata” in modo cardinale. La maggior parte degli indicatori, infatti, assumono un valore compreso tra 1 e 10. 5. Si possono aggregare singoli indicatori della governance in uno soltanto. 6. E’ possibile tracciare cambiamenti della governance nel corso del tempo3. Basandosi su queste premesse, nonostante le numerose difficoltà ed il pare contrario di molti esperti, è stata comunque prodotta una grandissima varietà di indicatori sulla qualità istituzionale, fondamentali per gli studi di oggi. Secondo Arndt e Oman (2006), l’accresciuto interesse per la misurazione della governance a partire dagli anni 80’ è dovuta a quattro fattori principali, primo tra tutti la 2 Le due principali misure oggettive di qualità istituzionale sono il Polity Database ed il Database of Political Istitutions. Il primo, inizialmente costruito da Gurr nel 1974 e da allora costantemente aggiornato, contiene al giorno d’oggi informazioni sulle strutture pubbliche di 165 nazioni, riguardanti il tipo di regime, i limiti imposti al potere esecutivo ed il grado di apertura e di partecipazione politica. Il secondo, invece, viene prodotto dalla Banca Mondiale grazie al contributo di Keefer e contiene un insieme di indicatori sui vincoli del potere esecutivo, sul sistema di “checks and balance”, sul potere di veto e sulle norme elettorali (Fonte: Reverberi, 2013). 3 Occorre, tuttavia, tener presente che la maggior parte degli indicatori di governance non tengono conto di questa premessa. pag. 4 globalizzazione. Quest’ultima, infatti, abbattendo le distanze geografiche e facilitando l’interazione economica, ha portato ad un ingente incremento degli investimenti internazionali, al quale si è accompagnata una sempre maggiore richiesta di informazioni relativa alla qualità istituzionale delle nazioni per i fini decisionali. Per gli autori, anche la fine della Guerra Fredda e il fallimento delle politiche del “Washington Consesus”4 hanno rappresentato due eventi di svolta epocale: la prima, facendo cessare la disputa tra economia di mercato ed economia pianificata (di stampo comunista), è riuscita a spostare l’attenzione dei policy makers dalle caratteristiche prettamente finanziarie dei Paesi a quelle istituzionali; il secondo, invece, ha imposto la ricerca di soluzioni alternative al problema della mancata crescita di alcuni territori (in particolar modo quelli dell’America Latina). Infine, la quarta ragione fondamentale della nascita di numerosi indicatori della governance risiede proprio nello sviluppo della teoria istituzionalista e nel propagarsi di molti studi econometrici relativi ad essa: secondo Maurset (2009, pag. 9), infatti, “le nuove ricerche hanno portato un crescente ottimismo riguardante i potenziali benefici della qualità istituzionale sulla vita economica ed hanno incrementato le paure relative alla cattiva gestione delle risorse”. 1.2. I PRINCIPALI INDICATORI DELLA CORRUZIONE Come ho già accennato in precedenza, la governance è un concetto molto ampio che consta di molteplici sfaccettature. Secondo i principali autori della scuola istituzionalista, tuttavia, le dimensioni basilari della qualità istituzionale possono essere riassunte in tre soltanto: democrazia, rule of law e corruzione, efficienza ed efficacia del governo. La democrazia rappresenta “il benchmark con il quale valutare le istituzioni politiche di un Paese” (Reverberi, 2013, pag. 51): secondo Dahl (1971), essa si fonda sulla liberalizzazione, ossia sulla possibilità di opporsi e contestare le autorità, e sull’inclusività, ossia sull’allargamento delle attività di partecipazione. La democrazia, però, da sola non è sufficiente a garantire una buona qualità istituzionale, basti pensare ai 4 Il “Washington Consensus” è un’espressione coniata nel 1989 dall’economista J. Williamson per indicare l’insieme di 10 direttive di politica economica condivise in particolare dalla Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti (tutte istituzioni con sede a Washington), volte a ricreare all’interno delle economie meno industrializzate le condizioni favorevoli per ottenere nel breve termine stabilità e crescita (Fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/washingtonconsensus_(Dizionario-di-Economia-e-Finanza)/). pag. 5 numerosi casi di governi incaricati legittimamente che però, in una seconda fase, hanno esercitato il proprio potere in modo autoritario calpestando i diritti fondamentali. E’ quindi necessario, da un alto, il rispetto dello stato di diritto (comunemente definito come rule of law5) e, dall’altro, il contenimento del livello di corruzione. Il primo è un requisito primario affinché una società possa progredire e svilupparsi dal punto di vista economico: se le regole non sono applicate o chi le infrange non viene punito a dovere, aumentano notevolmente i costi di transazione con il risultato di evidenti distorsioni nell’allocazione delle risorse. La corruzione, invece, può essere vista come il nemico numero uno dello stato di diritto, non solo perché compromette irrimediabilmente i principi della democrazia distorcendo l’espressione della volontà popolare, ma soprattutto perché ha conseguenze devastanti sulla vita economica e sociale di ogni nazione. La terza caratteristica fondamentale della governance, infine, riguarda l’azione del settore pubblico. Le performance di tutti le economie mondiale devono infatti essere valutate osservando l’efficienza e l’efficacia dei governi: il primo aspetto si concentra sulla quantità di risorse che vengono impiegate nel processo di produzione grazie all’opera delle istituzioni; il secondo, invece, è strettamente legato all’utilizzo degli input necessari a produrre il giusto output, ossia al fornimento di beni e servizi indispensabili a tutti i cittadini e a tutti gli agenti economici. Nel mio progetto, tuttavia, prenderò in esame prevalentemente la dimensione della corruzione. In particolar modo, ai fini dell’analisi statistica, utilizzerò i due indicatori relativi ad essa più diffusi nella letteratura e che forse meglio di tutti gli altri riescono a classificare il fenomeno: il “Corruption Perceptions Index” (CPI) elaborato da Transparency International ed il “Control of Corruption” (CoC) che rientra all’interno dei sei Worldwide Governance Indicators prodotti dalla Banca Mondiale. Il “Corruption Perceptions Index” è, senza dubbio, una delle misure di governance più conosciute al mondo, anche fuori dalla cerchia di ricercatori ed economisti: ogni anno, infatti, l’uscita del rapporto di Transparency International6 (di cui l’indice rappresenta la 5 Il “rule of law” è definito da Weingast (1997) come un insieme di politiche e di diritti applicati e riconosciuti stabilmente ed imparzialmente a tutti i cittadini. Secondo Kaufmann, Kraay e Mastruzzi (2004), invece, esso cattura le percezioni del grado in cui gli agenti rispettano le regole della società ed in particolare riguarda la qualità dell’esecuzione dei contratti, i diritti di proprietà, la polizia e le coorti, ed anche le probabilità di subire un crimine od una violenza. 6 Transparency International è un’organizzazione non governativa e no profit che si occupa della corruzione, non solo politica. E’ stata fondata nel Maggio del 1993 a Berlino (dove attualmente si trova la sede centrale) su iniziativa di Peter Eigen, allora direttore di una sezione della Banca Mondiale (Fonte: https://www.transparency.it/). pag. 6 parte fondamentale assieme al “Bribe Payers Index”7 ed al “Global Corruption Barometer”8) cattura enormemente l’attenzione dei media e fa molto scalpore dentro l’opinione pubblica. La prima edizione del CPI, ad opera del Prof. Lambsdorff, risale al 1995 e da allora l’indice è stato costantemente aggiornato e migliorato a livello della qualità dei dati, al punto che oggi riesce a classificare oltre 180 Paesi in base ai loro livelli di corruzione. Come specifica il nome stesso, il Corruption Perceptions Index si fonda su percezioni e quindi rientra a tutti gli effetti all’interno delle “misure soggettive di qualità istituzionale”: esso, infatti, include informazioni tratte da specifici sondaggi in cui a rispondere sono uomini d’affari, imprenditori, economisti od esperti della materia. In particolar modo, le fonti9 su cui è basato il CPI sono ben 13: • L’African Development Bank Governance Ratings (copre 53 nazioni) • I Bertelsmann Foundation Sustainable Governance Indicators (coprono 31 nazioni) • Il Bertelsmann Foundation Transformation Index (copre 128 nazioni) • Gli Economist Intelligence Unit Country Risk Ratings (coprono 138 nazioni) • Il Freedom House Nations in Transit (copre 29 nazioni) • I Global Insight Country Risk Ratings (coprono 175 nazioni) • L’IMD World Competitiveness Yearbook (copre 59 nazioni) • Il Political and Economic Risk Consultancy Asian Intelligence (copre 16 nazioni) • Il Political Risk Services International Country Risk Guide (copre 140 nazioni) • Il Transparency International Bribe Payers Survey (copre 29 nazioni) • Il Country Performance and Institutional Assessment (copre 67 nazioni) 7 Il Bribe Payers Index (BPI) è un indicatore di quanto il settore finanziario ed economico di una nazione appare impegnato in pratiche legate alla corruzione. In particolar modo, esso nasce allo scopo di classificare i principali Paesi esportatori sulla base di quanto le loro imprese multinazionali usano tangenti operando all’estero: tale ranking viene calcolato grazie alle risposte di uomini di affari su due domande dell’Executive Opinion Survey del World Economic Forum. Il primo BPI è stato pubblicato nell’Ottobre del 1999 (Fonte: http://www.transparency.org/research/bpi/overview). 8 Il Global Corruption Barometer (GCP) è una misura che racchiude al suo interno il più grande sondaggio mondiale legato all’opinione pubblica sulla corruzione. La sua prima edizione risale al 2003 e ad oggi raccoglie il parere di oltre 114.000 persone appartenenti a 107 nazioni differenti (Fonte: http://www.transparency.org/research/gcb/overview). 9 In questo caso particolare, vengono elencate le fonti del CPI dell’edizione del 2012. pag. 7 • Il World Economic Forum Executive Opinion Survey (copre 147 nazioni) • Il World Justice Project Rule of Law Index (copre 97 nazioni)10 Una volta raccolte tutte le informazioni, il Corruption Perceptions Index viene costruito facendo una semplice media aritmetica degli score standardizzati degli indici relativi a ciascuna fonte: in tal modo, viene creata una misura composita che, in una scala che va da 0 (massimo livello di corruzione percepita) a 10 (totale assenza di corruzione), fornisce una classifica di tutti Paesi coperti. Tuttavia, proprio il fatto di essere basato sul ranking, ossia sulla posizione relativa di una nazione rispetto alle altre, costituisce il limite principale del CPI: poiché esso tende a trascurare completamente la distanza tra i punteggi, l’indice non può essere impiegato per confrontare i suoi valori nel tempo, con il risultato della sua preclusione dall’utilizzo in serie storiche. Per superare queste difficoltà, dall’edizione 2012 è stato modificato il metodo di aggregazione delle fonti (ora calcolato come semplice media degli score distribuiti secondo una normale standard) e “riscalato”11 l’indice, e quindi a partire dal CPI di quell’anno è possibile rilevare i trend o compiere confronti inter-temporali. Simili al CPI in quanto anch’essi basati su opinioni e percezioni, ma più attentamente costruiti e più accreditati in ambito accademico per la ricerca statistica, sono i “Worldwide Governance Indicators” (WGI) della Banca Mondiale. Questi indicatori sono stati sviluppati per la prima volta da Kaufmann, Kraay e Zoido-Lobatòn (poi sostituito da Mastruzzi) nel 1999 con i dati riguardanti i tre anni precedenti12 e ad oggi vantano una copertura pressoché planetaria, interessando oltre 200 nazioni. Il nodo focale di tutto il progetto legato alla realizzazione dei WGI risiede nella complessità e nella multidimensionalità del fenomeno della governance. Al fine di estrarre la maggiore quantità di informazioni possibile senza però compromettere la bontà dei risultati, Kaufmann e gli altri sono infatti dovuti ricorre ad oltre 250 fonti (riguardanti prevalentemente il parere di 10 Tra tutte queste fonti, solo il “World Justice Rule of Law Index” si avvale anche di sondaggi campionari. 11 Fino al 2011, l’indice poteva assumere solamente valori compresi tra 0 e 10; a partire dall’edizione 2012, invece, è stata modificata la scala dei punteggi del CPI: adesso i livelli di corruzione percepita per ciascuna nazione sono compresi tra 0 (corruzione massima) e 100 (assenza di corruzione). 12 I WGI sono disponibili a cadenza biennale dal 1996 al 2002; successivamente sono stati realizzati anno per anno. pag. 8 esperti o sondaggi popolari)13 che sono state successivamente aggregate in 6 “superindici”, ciascuno dei quali collegato ad una specifica dimensione della qualità istituzionale: Voice and Accountability (VA): concerne la possibilità dei cittadini di selezionare e sostituire i membri delle istituzioni dello Stato. Include misure relative ai processi e ai diritti politici, alle libertà civili, al potere delle forze militari e all’indipendenza dai media. Political Stability and Absence of Violence (PS): riflette le percezioni dei cittadini sulla possibilità che il governo venga destabilizzato da atti anticostituzionali o da episodi di violenza. Contiene indicatori sul rischio di conflitti armati, delitti politici, disordini sociali, attacchi terroristici, tensioni etniche e colpi di stato. Government Effectiveness (GE): riguarda la capacità dei governi di formulare e mettere in pratica politiche credibili e coerenti nel tempo. Si basa su indici legati alla qualità dell’apparato burocratico (ad esempio l’efficienza del servizio postale) e del personale governativo e sulle competenze dei servizi civili e pubblici. Regulatory Quality (RQ): serve ad offrire un focus più specifico sulla qualità delle politiche condotte dai Paesi. Contiene misure relative al numero di interventi del governo, alle norme sulla concorrenza, al controllo dei prezzi e dei salari, alle regolamentazioni dei flussi di capitali e all’incidenza negativa di politiche che generano possibili distorsioni sul mercato. Rule of Law (RL): rispecchia il grado di fiducia dei cittadini nel sistema di leggi che regolano la vita dello Stato e rappresenta la capacità di produrre regole che garantiscano la tutela dei diritti delle persone. Include indicatori sulle probabilità di subire un crimine o una violenza, sul rispetto dei diritti di proprietà, sulla forza dei contratti, sull’efficacia del sistema giudiziario e sugli ostacoli (non burocratici) legati alla creazione di nuove attività economiche. 13 Le 250 variabili utilizzate per costruire i WGI provengono da 4 diverse tipologie di fonti: Indagini presso famiglie ed imprese (ad esempio, il Global Competitiveness Report). Società produttrici di informazioni di business a scopi commerciali (tra cui l’Economist Intelligence Unit, il Global Insight ed i Political Risk Services). Organizzazioni non governative. Organizzazioni multi-laterali (tra cui gli indici CPIA per l’International Development Assistance della Banca Mondiale). pag. 9 Control of Corruption (CC): è l’indice su cui si baserà gran parte del modello della tesi. Così come il Corruption Perceptions Index, riassume le percezioni di corruzione interna (quest’ultima viene definita come l’esercizio del potere pubblico per ottenere guadagni personali). Contiene indicatori sulla corruzione tra ufficiali pubblici e nel sistema politico e misure relative alla frequenza di pratiche e pagamenti illegali nella sfera pubblica. Come è logico aspettarsi, le 6 misure, sebbene forniscano informazioni precise e diversificate ed appartengano a sfere della governance non complementari, presentano tra di loro un alto grado di correlazione (positivo). Tabella 1.1. Correlazioni tra gli indicatori WGI. Fonte: Reverberi, 2013, pag. 92. Nella Tabella 1, sono riportati gli 𝑅 2 ottenuti con un semplice modello OLS tra i 6 WGI, utilizzando i dati del 2011 che riguardano 210 Paesi (N=210). La correlazione minore, ma rilevante (0,6182), è quella tra le dimensioni Regulatory Quality e Political Stability and Absence of Violence, mentre quella più elevata (0,9442) si registra tra Rule of Law e Control of Corruption. Quest’ultimo dato è molto significativo per lo sviluppo successivo della tesi, poiché significa che la fiducia nelle leggi dello Stato e il rispetto delle norme della società hanno un forte legame con la diffusione e con il livello percepito di corruzione. I 6 indicatori della Banca Mondiale, oltre ad essere il risultato di un’incredibile esercizio di aggregazione di dati, sono frutto di un processo di costruzione molto elaborato e complesso che si articola principalmente in 5 fasi. In primo luogo, per ciascuno degli indici, viene effettuata una media aritmetica delle fonti impiegate, che viene poi pag. 10 “riscalata” e normalizzata (sottraendo il minor punteggio e dividendo per il campo di variabilità). Successivamente, attraverso una procedura di screening14, vengono determinate le fonti che davvero risultano essere rappresentative del Paese preso in esame: più specificatamente, Kaufmann e gli altri costruiscono un “indice di copertura” basato su 45 sottocategorie (relative a reddito, classi e regioni) che assume valori che vanno da 0 a 1; se l’indice è molto vicino ad 1, allora le fonti sono molto rappresentative. Il terzo passo consiste nell’aggregazione delle “fonti rappresentative” in un unico indicatore composito preliminare: in questo passaggio, le misure non sono aggregate ricorrendo a medie aritmetiche come in precedenza, ma bensì facendo delle medie ponderate tramite l’Unobserved Component Model15 (UCM). I pesi assegnati dipendono dalla correlazione tra gli indicatori delle diverse fonti: naturalmente, quelli che presentano una correlazione più alta con gli altri ricevono una rilevanza maggiore. L’utilizzo della ponderazione e del metodo UCM è uno dei tratti distintivi dei WGI, in quanto consente di migliorare la precisione statistica degli indicatori e di considerare non solo le posizioni ma anche le distanze relative tra le nazioni, risultando meno sensibile agli outlier (ossia ai valori che si trovano agli estremi della distribuzione). Nelle ultime due fasi, infine, da un lato vengono determinati i pesi delle “fonti non rappresentative” (osservando gli errori di previsione stimati) e dall’altro viene realizzato l’indice finale basandosi sulle ponderazioni relative alle “fonti rappresentative” (terzo passaggio) e a quelle “non rappresentative” (quarto passaggio). Il risultato finale di questo lungo processo sono i 6 WGI: ciascuno di essi si distribuisce normalmente con media 0 e deviazione standard pari a 1, assumendo valori compresi tra -2,5 (minor livello possibile di governance) e +2,5 (livello di governance più alto in assoluto) per ogni Paese considerato. Da non dimenticare è anche il fatto che ciascuna stima (ossia il preciso punteggio assegnato) viene rappresentata con il rispettivo intervallo di confidenza al 90% e ciò consente, secondo Kaufmann e gli altri, di catturare tutta l’incertezza legata alle “inosservabili” misure di governance. Tale aspetto dei WGI presenta anche un ulteriore vantaggio: quando, infatti, si tenta di effettuare una 14 Il termine “screening” (in italiano «vaglio» o «accurato controllo») viene utilizzato generalmente in ambito sanitario per indicare controlli eseguiti a tappeto su un’intera popolazione al fine di prevenire certe patologie (Fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/screening_(Dizionario-di-Economia-eFinanza)/). In questo contesto, serve ad indicare il procedimento che è stato attuato per ottenere una scrematura delle fonti impiegate per la costruzione dei WGI. 15 Gli autori ricorrono a questo tipo di modello, originariamente proposto da Goldberg (1972), per rendere comparabili i valori delle diverse fonti. pag. 11 comparazione tra due nazioni, i livelli di qualità istituzionale quasi certamente risultano diversi solo nel caso non vi siano sovrapposizioni tra gli intervalli di confidenza; pertanto, se due Paesi si trovano agli estremi della distribuzione, è pressoché sicuro che essi abbiano livelli opposti di governance16. L’altra grande peculiarità dei 6 indicatori della Banca Mondiale è legata alla gamma di valori che essi possono assumere, infatti la loro distribuzione normale con media imposta uguale a 0 (e deviazione standard pari ad 1) implica che i livelli mondiali di qualità istituzionale siano sempre costanti. Questo aspetto ha pregi e difetti: da un lato, “i WGI non possono essere usati per tracciare trend della governance reale nel tempo”17 (Kaufmann et al; 2004), ma dall’altro possono essere impiegati, sin dalla loro prima edizione con i dati relativi al 1996, per rilevare le differenze tra nazioni in un dato periodo o per analizzare le variazioni della qualità istituzionale di uno stesso Paese nel corso degli anni. Come ho già accennato in precedenza, i WGI sono in assoluto le misure più impiegate in ambito accademico per studiare gli effetti e le caratteristiche della governance. Tuttavia, nonostante le loro numerose qualità, molti studiosi hanno aspramente criticato questi indicatori. Ad esempio, secondo Kurtz e Schrank, i WGI devono essere utilizzati con molta cautela in quanto “soffrono di distorsioni percettive, problemi di selezione avversa nel campionamento e conflation18 concettuale” (2007, pag. 538). In particolar modo, essendo basati su sondaggi fatti ad imprenditori e uomini d’affari che spesso hanno avuto difficoltà nel mondo del lavoro per via della corruzione o della cattiva amministrazione, essi riescono ad esprimere un livello “distorto” della governance in un determinato Paese. A tutto ciò si aggiunge il cosiddetto “halo effect”19: poiché le risposte raccolte nei questionari risentono molto della qualità dell’ambiente in cui vivono gli intervistati, in genere accade che le nazioni più ricche sono anche quelli con i punteggi migliori. In 16 Maggiore attenzione è, invece, richiesta quando si confrontano nazioni con punteggi vicini allo 0. In tal caso, se si tiene conto del margine di errore della stima, il range in cui si possono trovare i Paesi varia di molto e quindi risulta impossibile affermare con certezza quale di essi abbia la migliore qualità istituzionale. 17 Tuttavia, gli autori sottolineano che dalle serie storiche delle singole fonti non emergono trend significativi. In altre parole, così come sostiene Acemoglu, i dati evidenziano come la qualità istituzionale sia dominata nel tempo dalla “persistenza”. 18 Per “conflation” si intende una pratica che consiste nel trattare due concetti distinti come se fossero uno solo, producendo errori e misunderstanding. 19 Il termine è stato coniato da Edward Thorndike, uno psicologo che ha usato questa espressione per la prima volta in uno studio pubblicato nel 1920 per descrivere il modo in cui comandanti valutano i loro soldati (Fonte: www.economist.com/). pag. 12 sostanza, la grande correlazione tra ricchezza ed elevata qualità istituzionale porterebbe a snaturare gran parte degli studi che vedono nella governance un fattore determinante per lo sviluppo: secondo gli autori, infatti, è lo sviluppo stesso a determinare un miglioramento della qualità istituzionale e non viceversa20. Di fronte alle numerose critiche rivolte ai difetti dei propri indicatori, sono gli stessi creatori (Kaufmann, Kraay e Zoido-Lobatòn) a rispondere direttamente, infatti, in un articolo pubblicato nel Giugno del 2000 sul magazine “Finance & Development”, essi spiegano i 4 motivi che rendono i WGI le misure della governance più precise e complete a livello mondiale: 1. Essi sono basati su dati “coerenti”21 ed “informativi”22. 2. Le tecniche statistiche utilizzate per costruirli fanno sì che essi possano essere sempre comparati nel corso del tempo. 3. Utilizzando gli intervalli di confidenza al 90%, è possibile quantificare esattamente la precisione delle stime. 4. Essi si avvalgono di più fonti di qualsiasi altro indicatore, coprendo virtualmente tutti i Paesi presenti sul pianeta. Personalmente, sono molto d’accordo con quanto espresso da Mauro (1997): i 6 indicatori, essendo basati sostanzialmente su interviste e questionari standardizzati, sono soggettivi e talvolta risultano “distorti”; nonostante ciò, l’elevata correlazione con tutte le altre misure prodotte dalle altre agenzie di rating e le similarità nei ranking dei Paesi suggeriscono un certo consenso sulla loro buona affidabilità. Ad esempio, se si confrontano i dati del Corruption Perceptions Index (CPI) con quelli dell’indicatore Control of Corruption (CoC) dei WGI, l’ordinamento dei Paesi risulta pressoché 20 Questo tema, tuttavia, verrà trattato con maggiore attenzione nel capitolo successivo. I dati sono “coerenti” poiché nella maggioranza dei casi, secondo Kaufmann e gli altri, emerge un grande consenso quando si confrontano le risposte degli analisti e degli esperti con quelle degli imprenditori e dei cittadini. 22 Basarsi su “dati informativi” equivale a dire che ciascuna fonte impiegata fornisce indicazioni sempre più dettagliate sulla misura più ampia della governance a cui si riferisce. 21 pag. 13 invariato. Questo risultato non deve sorprenderci troppo, soprattutto se si pensa alla grande correlazione tra le due misure23. Tabella 1.2. Confronto tra CPI e Control of Corruption relativi all’anno 2014. Rank UE Paese CPI Score 2014 Rank UE Paese CoC Score 2014 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 11 13 13 15 16 17 17 19 19 21 22 23 24 25 25 25 25 Denmark Finland Sweden Netherlands Luxembourg Germany UK Belgium Ireland Austria Estonia France Cyprus Portugal Poland Spain Lithuania Slovenia Latvia Malta Hungary Czech Republic Slovak Republic Croatia Bulgaria Greece Italy Romania 92 89 87 83 82 79 78 76 74 72 69 69 63 63 61 60 58 58 55 55 54 51 50 48 43 43 43 43 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 Denmark Finland Sweden Luxembourg Netherlands Germany UK Ireland Belgium Austria France Estonia Cyprus Portugal Malta Slovenia Poland Spain Lithuania Latvia Czech Republic Croatia Hungary Slovak Republic Italy Romania Greece Bulgaria 2,261 2,180 2,142 2,089 1,998 1,829 1,727 1,620 1,552 1,437 1,274 1,268 1,066 0,885 0,863 0,687 0,593 0,526 0,479 0,340 0,317 0,185 0,131 0,117 -0,110 -0,138 -0,200 -0,284 Fonte: elaborazione tramite excel sull’indicatore “Control of Corruption” dei WGI e sul Corruption Perceptions Index relativi all’anno 2014 per i soli 28 Paesi appartenenti all’Unione Europea (UE). Nella Tabella 2, viene effettuata una comparazione tra i ranking ottenuti con i due indicatori relativamente all’anno 2014 per i 28 Paesi dell’UE. Danimarca, Finlandia e Svezia risultano in entrambe le tabelle le nazioni con il livello più basso di corruzione (rispettivamente al 1°, 2° e 3° posto), mentre Italia, Romania, Bulgaria e Grecia si trovano sempre nella parte più bassa di tutte e due le classifiche, essendo le meno virtuose da questo punto di vista. Se si osserva la parte centrale delle graduatorie, la situazione non 23 Facendo un semplice confronto tramite OLS tra il “Control of Corruption” del 2011 ed il “Corruption Perceptions Index” del 2012, la correlazione (R-quadro) tra le due misure è pari addirittura a 0,9864 (Fonte: Reverberi, 2013, pag. 94). pag. 14 cambia: in entrambe, la Germania si conferma al 6° posto, il Regno Unito al 7°, l’Austria al 10°, la Francia all’11°, Cipro al 13° e così via; solo la “piccola” Malta passa dal 15° posto ottenuto con il CoC al 19° conseguito con il CPI. Le similarità tra i due ranking persistono anche se si considerano gli anni precedenti al 2014. Nella Tabella 3, vengono infatti riportati i punteggi delle due misure con le rispettive graduatorie per il decennio 2004-2014 relativamente a tre soli Paesi dell’UE: Danimarca, Bulgaria ed Italia. Tale scelta non è affatto casuale: da un lato, Danimarca e Bulgaria sono (nel periodo considerato) le nazioni con lo score in media rispettivamente più alto e più basso; dall’altro, l’Italia risulta il Paese europeo che ha subito il peggioramento più considerevole, passando dal 18° posto del 2004 al 26° del 201224. Tabella 1.3. Confronto tra CPI e Control of Corruption nel corso del tempo. 24 Questi dati valgono per il ranking europeo relativo al “Corruption Perceptions Index”. Nella graduatoria del “Control of Corruption”, invece, il peggioramento appare meno consistente (l’Italia passa dal 22° posto del 2006 al 25° del 2014). pag. 15 Paese Denmark Bulgaria Italy Anno CPI Score 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 9,5 9,5 9,5 9,4 9,3 9,3 9,3 9,4 90* 91* 92* 4,1 4 4 4,1 3,6 3,8 3,6 3,3 41* 41* 43* 4,8 5 4,9 5,2 4,8 4,3 3,9 3,9 42* 43* 43* CoC Score CPI Rank UE CoC Rank UE 2,514 2,306 2,549 2,525 2,470 2,519 2,414 2,453 2,391 2,410 2,261 0,099 0,058 -0,101 -0,233 -0,304 -0,247 -0,207 -0,225 -0,238 -0,294 -0,284 0,378 0,397 0,459 0,306 0,250 0,125 -0,005 0,082 -0,028 -0,040 -0,110 2 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 23 25 25 26 28 26 27 28 27 27 25 18 18 19 19 22 24 25 25 26 25 25 2 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 27 27 27 28 28 27 27 28 26 28 28 22 21 19 19 22 23 24 24 24 25 25 Fonte: elaborazione tramite excel sull’indicatore “Control of Corruption” dei WGI e sul Corruption Perceptions Index relativi agli anni 2004-2014 per Danimarca, Bulgaria ed Italia. Nonostante i due indicatori siano basati su fonti diverse e soprattutto su metodi di costruzione realmente agli antipodi, i dati mostrano ancora una volta l’andamento similare dei ranking e degli score: emblematico è il caso della Danimarca che per entrambe le misure risulta in Europa al 2° posto nel periodo 2004-2006 ed al 1° nel periodo 2007-2014. Leggermente più discordante è il comportamento di Bulgaria ed Italia, anche se occorre sottolineare come la discrepanza tra le due graduatorie consista al massimo in 4 posizioni: per il solo 2004, infatti, nel ranking ottenuto col CPI Italia e Bulgaria sono rispettivamente al 18° ed al 23° posto, mentre in quello ottenuto col CoC pag. 16 appaiono al 22° ed al 27° posto. Per tutti gli altri anni, c’è grande accordo tra i due indicatori della corruzione. Un altro aspetto interessante che emerge osservando la Tabella 3 riguarda la diversa “comparabilità” nel tempo degli score delle due misure. Come avevo già accennato in precedenza, il CPI fino all’edizione del 2011 (compresa) è stato costruito assegnando determinati punteggi in base alla posizione relativa di ciascuna nazione rispetto alle altre: ciò significa che il Paese che ogni anno risulta meno contraddistinto da episodi legati alla corruzione riceve il punteggio maggiore, mentre a tutti gli altri vengono assegnati punteggi man mano sempre più bassi a scalare. In questo modo, è possibile per ciascuna nazione confrontare il ranking, ma non il punteggio nel corso del tempo. Tuttavia, dal CPI del 2012, è stata effettuata da Transparency International una “ri-standardizzazione” dell’indice che ha permesso di risolvere completamente questo problema e che ha però modificato la scala dei valori che esso può assumere25. Osservando i dati della Tabella 3 per gli anni 2011 e 2012 relativi agli score del Corruption Perceptions Index, ci si accorge immediatamente di questo scarto tra i due anni: ad esempio, è facile notare come la Bulgaria passi da un punteggio di 3,3 (2011) ad uno di 41 (2012), ma ciò non vuol dire che il livello di corruzione nel paese balcanico sia sceso drasticamente nell’arco di un solo anno; bisogna quindi prestare molta attenzione quando si decide di utilizzare il CPI all’interno di un modello statistico. Discorso diverso vale per il CoC elaborato da Kaufmann e gli altri: attraverso di esso26, è invece possibile rilevare i trend della corruzione per ciascuna nazione27. Tutti questi aspetti verranno poi ripresi ed affrontati con maggiore attenzione nel capitolo III, quando saranno illustrate le variabili del modello della tesi. All’approfondimento della relazione tra corruzione e crescita economica sarà, invece, dedicato interamente il capitolo successivo. 25 Vedi nota n° 20. La stessa cosa vale anche per gli altri 5 WGI. 27 Molto evidente è il peggioramento del livello di corruzione in Italia (da +0,378 del 2004 a -0,110 del 2014) e in Bulgaria (-0,383 nel periodo 2004-2014). 26 pag. 17 BIBLIOGRAFIA Abed, George T., e Sanjev Gupta, (2002) “Governance, Corruption and Economic Performance.” International Monetary Fund, IMF, Washington DC. Acemoglu, Daron, Simon Johnson, e James Robinson, (2004). “Institutions as the Fundamental Cause of Long-Run Growth.” NBER Working Paper. National Bureau of Economic Research, Inc. Acemoglu, Daron, Simon Johnson, e James Robinson, (2010). “The Role of Institutions in Growth and Development.” Review of Economics and Institutions 1, no. 2, http://www.rei.unipg.it/rei/article/view/14. pag. 18 Alonso, José Antonio, e Carlos Garcimartín, (2013). “The Determinants of Institutional Quality. More on the Debate.” Journal of International Development, no. 25: 206-226. 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