l`omicida incosciente
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l`omicida incosciente
Titolo della tesina: Incontro di due anime sulla strada della vita __________________________________ Sezione narrativa: racconto L’OMICIDA INCOSCIENTE Il 27 luglio 1926 mi arrivò una lettera da parte di un famoso editore estero che mi invitava nella sua sede di Los Angeles per un colloquio riguardo un progetto interessante: collaborare alla realizzazione di un’edizione estera del mio “Canzoniere”. Così decisi di andare in Sicilia per intraprendere il mio viaggio editoriale verso l’America. Appena salii sull’immensa nave che mi avrebbe portato a destinazione, sentii il vociare di donne e di bambini, sguaiate grida di marinai; ero abituato a quei rumori che mi facevano ricordare il porto della mia bella Trieste. Tra tutta quella gente spiccava un uomo dai tratti duri ma dagli occhi svegli e intelligenti. Indossava un lungo spolverino marrone consumato dagli anni, un cappello nero e sulla faccia campeggiava un folto paio di baffi. Incuriosito dagli sguardi che lanciava ad ogni passeggero, mi avvicinai a lui egli chiesi: “Anche lei diretto a Los Angeles?”. Lui, girandosi con un sorriso cortese mi rispose: “Eh già, il dipartimento di polizia di Los Angeles mi ha offerto un posto da detective nella squadra omicidi. Lei per quale motivo è diretto nella stessa città?”. Io risposi con lo stesso sorriso amichevole: “Io sono in viaggio per motivi di lavoro; comunque sia il mio nome è Umberto; il suo invece?”. Il detective rispose: “ Il mio nome è Oratio, incantato di conoscerla.” Improvvisamente la nostra conversazione fu interrotta dal forte suono della nave, quindi entrambi andammo a riporre i nostri bagagli nelle rispettive cabine. Passarono cinque giorni e imparai a conoscere, con mio sommo piacere, il detective che sarebbe stato il mio compagno di viaggio. La stessa notte fummo risvegliati entrambi dal terribile grido di una donna. Accorremmo subito per vedere cosa fosse successo e ci si parò davanti la più macabra delle scene: la povera donna era inginocchiata davanti al corpo trucidato di suo marito. La folla inorridiva e si domandava chi mai avesse potuto compiere una tale atrocità; io rivolsi il mio sguardo subito verso Oratio e dalla sua faccia corrucciata potevo ben intuire che si stava ponendo silenziosamente le stesse domande della folla. 1 Il suo istinto da detective si mise subito all’opera: poche parole di circostanza per la donna e poi iniziò a cercare gli indizi e l’eventuale arma del delitto. Con l’aiuto del capitano cominciò ad interrogare qualche passeggero, sperando di trovare qualche informazione utile riguardo l’accaduto. Velocemente mi avvicinai a Oratio e gli dissi: “ Posso essere d’aiuto in qualche modo? La faccenda sembra seria,e se interrogassi qualcuno anche io, le indagini andrebbero più velocemente.” Ma egli, dandomi una pacca sulla spalla, rispose: “Umberto, considerando che c’è un assassino a piede libero, forse la cosa migliore sarebbe che tu ritornassi nella tua cabina a riposarti poiché questa sarà una lunga notte di lavoro per me.” Allora risposi: “Va bene, fa del tuo meglio per cercare questo folle omicida.” Passarono dieci giorni e le indagini andavano avanti, purtroppo con scarsi risultati; il determinatissimo Oratio infatti era ancora sulle tracce dell’assassino che silenziosamente durante il tramonto di quella stessa giornata aveva colpito ancora. Mentre passeggiavo dirigendomi verso la prua della nave, trovai davanti a me una donna impiccata con una cinta appesa ad una delle travi del ponte superiore e con un coltello conficcato nel petto. Il sole era di colore rosso sangue e scagliava l’ombra sinistra del suo cadavere lungo il ponte affollato di gente atterrita e incredula. Il mio sgomento era enorme: come poteva l’assassino aver ucciso di nuovo nonostante metà della ciurma e Oratio gli stessero dando la caccia? Tutto ciò era folle, sembrava un omicidio fatto da un fantasma o da qualche creatura uscita dal peggiore degli incubi. Quella sera cenai con Oratio e gli chiesi quali opinioni avesse riguardo agli omicidi e i possibili sospettati. Egli mi disse: “Una cosa è certa, l’assassino è un uomo.” L’abile investigatore era giunto a questa deduzione per due motivi: le impronte delle scarpe insanguinate e la cintura che era stata usata per impiccare la povera ragazza erano indumenti di abbigliamento maschile. Purtroppo l’assassino si era tolto le scarpe prima che Oratio potesse seguire le sue tracce. Dopo cena me ne ritornai rimuginando verso la cabina. Una volta entrato fui scioccato scoprendo che la cinta regalatami da mia moglie e un paio di scarpe erano sparite. Che l’assassino avesse usato i miei indumenti per i suoi terribili misfatti? Corsi immediatamente da Oratio per informarlo della mia scioccante scoperta e lui mi garantì che avrebbe sorvegliato la mia cabina per tutta la notte. Così, rassicurato dalle parole del detective, andai a dormire con la convinzione che quella sera stessa il caso si sarebbe risolto. La mattina seguente mi risvegliai ammanettato nella stiva della nave. Davanti a me in piedi c’era Oratio, con tutta la ciurma e il capitano. Il detective si avvicinò a me. Con lo sguardo affranto e la voce pacata, mi spiegò cosa era avvenuto nella notte precedente. Ero rimasto metà della notte 2 davanti alla cabina finché io stesso, in preda a qualche forma di follia, avevo aperto la porta armato di un coltello preso dalla cucina della nave. Avevo iniziato ad avventarmi con violenza contro Oratio che cercava di riportarmi alla ragione, ma in preda a quel folle delirio, il coraggioso investigatore era riuscito a deviare i miei colpi. Così avevo cominciato a deriderlo del fatto che non era riuscito a scoprire che io avevo ucciso non una, ma due volte e stavo per farlo un’altra volta con mio sommo e folle piacere. Le mie grida avevano attirato l’attenzione di alcuni membri della ciurma, che presero in mano la situazione e mi stordirono. Così mi svegliai e appresi la terribile verità; ero stato io, soltanto io a macchiarmi di quegli efferati omicidi. Oratio nella sua infinita bontà e forse provando anche un po’ di pena nei confronti di un povero pazzo come me, decise di consegnarmi alle autorità senza ascoltare i consigli della ciurma che pensava che fosse meglio uccidermi subito. Così termina la mia storia, mentre scrivo questo assurdo evento dietro le sbarre di una cella del carcere di Los Angeles, sperando che l’essere malvagio che si cela dentro di me non esca mai più fuori per mietere vittime innocenti, dal momento che non avrò sempre Oratio a salvarmi da me stesso. Francesca Dersniku Classe 4LB 3