Recupero del relitto del Diana

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Recupero del relitto del Diana
Recupero del relitto del Diana
Roberto Negrelli
__________________________________________________________________Storia Navale_____
Articolo di Gerardo Musuraca tratto dal giornale L'Arena del 9 e 11.01.2009
Diana era la più bella barca del lago di Garda. Affondò nel 1932 per lo spostamento
del carico a Castelletto di Brenzone....alla profondità di 120 metri ancora in assetto
di navigazione.
Diana dorme da quasi ottant'anni sul fondo del lago, dove la luce non arriva a vincere
il buio e l'acqua fredda ha protetto dai batteri e microrganismi la bellezza della
signora del Garda: era partita dalla Val di Sogno con tonnellate di massi che
avrebbero dovuto comporre il pennello del porto di Castelletto di Brenzone.
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Storia del Diana
Immatricolata a Riva del Garda con la sigla “Riva M6” era stata improntata negli
attuali cantieri della Navigarda di Peschiera, dai maestri d'ascia e carpentieri Dal
Ferro, che la costruirono in acciaio, nel 1919.
Lunga circa 18 metri per un dislocamento di 50 tonnellate ed un carico trasportabile
di 500 quintali, Diana era armata a due alberi.
Montava due motori diesel “testa calda”, proprio come i motori Landini, che venivano
accesi raramente per risparmiare carburante e forse, se fossero stati utilizzati quel
giorno, e se la manovra non fosse stata effettuata a vela, Diana non sarebbe stata
inghiottita dal Garda.
Aveva una polena raffigurante un angelo che reggeva una lanterna.
Il valore storico
“La Diana è un valore inestimabile per la Sovrintendenza. Barche in ferro ed acciaio
come questa ne sono state fatte quattro in tutto. Ma questa, che è in ottime
condizioni ed è stata anche motorizzata negli anni trenta del secolo scorso, per noi è
un unicum”.
A dirlo è stato Francesco Dossola, assistente tecnicoscientifico e subacqueo
professionista della Sovraintendenza ai Beni archeologici del Veneto.
A Verona , sotto la direzione della Dott.ssa Brunella Bruno, Dossola ha il compito di
seguire in prima persona quanto sta accadendo a quello che non è affatto un relitto
ma una vera e propria barca, come le immagini, proiettate dagli abissi del Garda a
terra, hanno ampiamente confermato.
L'incidente
Nel novembre 1932 l'imbarcazione era partita da Val di Sogno alla volta di Castelletto
di Brenzone.
Trasportava massi per la costruzione del pennello del porto stesso.
Ad un tratto iniziò ad imbarcare acqua e, in pochi minuti, affondò. I due marinai, i
fratelli Franco ed Alessandro Zecchini si salvarono grazie ad alcuni pescatori.
L'imbarcazione giace a 100 metri di profondità con la prua puntata a sud e la poppa
verso Riva.
Dal 2003 sul Garda si stanno prodigando per cercare di recuperarla. Per agire però,
come sempre servono i soldi.
“Proprio lo scafo in ferro ed acciaio”, ha spiegato Gianni Calafà, “conferisce un
carattere unico a questa imbarcazione. Se riusciamo a recuperarla, potremo
restaurarla grazie al lavoro impagabile di un grandissimo maestro d'ascia quale è
Sauro Feltrinelli”.
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Il retroscena
Il primo a toccare lo scafo della Diana affondata non fu, come tutti credono, il
palombaro Bruno Soncina di Desenzano ma fu invece Giuseppe Tronconi di
Castelletto.
Negli anni cinquanta infatti l'uomo, che faceva il palombaro per conto della ditta
Cattelani (quella cioè che si occupava di recuperare gli ordigni bellici sull'isola di
Trimelone) fu il primo a scendere a 100 metri sul relitto.
La notizia è stata confermata sia da Gino Zecchini che da altri anziani del posto, che
si ricordano questo fatto.
I subacquei guidati da Lorenzo Veneziano quindi sono i terzi che, dal 1932 a oggi,
hanno potuto toccare il relitto.
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