An: né Bolkestein né Prodi

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An: né Bolkestein né Prodi
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politica
Secolo d’Italia | martedì 22 novembre 2005
Immigrati,
4 italiani su 10
temono
per la sicurezza
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L’emergenza banlieue sta finendo
Francesi convinti dalla cura Sarkozy
Nei sondaggi s’impenna il gradimento del leader neogollista
Tutto merito della sua politica di “fermezza e giustizia”,
che sta funzionando da autentico ricostituente per la destra
SEGUE
DALLA
PRIMA
sempre più il proprio elettorato con gli
attacchi allo stesso Sarkozy, dipinto
come un «campione dell’irresponsabilità» dal segretario socialista François
Hollande, che continua a puntare l’indice contro «la crisi sociale causata dai
guasti del liberalismo» per giustificare
i fatti avvenuti nelle banlieue.
A dimostrare l’interesse sempre crescente dei francesi verso le azioni della
destra, del resto, sono anche altri
numeri, oltre quelli dei neo-iscritti
all’Ump. L’ultimo sondaggio, anzi, lo
spiega anche meglio. Più dei due terzi
dei transalpini (il 68 per cento) si è detto favorevole al prolungamento di tre
mesi dello stato d’emergenza, decretato dopo le rivolte nelle periferie delle
maggiori metropoli. Inoltre, più della
metà delle persone intervistate (il 56
per cento) si è detto ugualmente favorevole a una «definizione più restrittiva
dell’applicazione delle regole di ricongiungimento familiare per i lavoratori
stranieri» e il 55 per cento si è dichiarato anche a favore «dell’espulsione
degli stranieri, anche se regolari, condannati per violenze urbane».
«La delinquenza esiste, non si tratta
di fare del buonismo, in questi quartieri i tassi di criminalità sono superiori agli altri», diceva tempo fa Robert
Castel sociologo, tutt’altro che di
destra, e direttore di studi all’Ecole des
hautes études en sciences sociales. E
così le auto in fiamme, gli attacchi vio-
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Un momento della manifestazione di An
lenti contro le forze dell’ordine, le sassaiole contro gli autobus hanno smentito le cassandre della sinistra sulla
“rivolta sociale”. Cassandre che volevano a tutti i costi relegare a disagio
sociale i tumulti di queste settimane.
Non solo di questo si trattava, ma,
come ha dimostrato la politica della
“fermezza e giustizia” usata dal ministro dell’Interno, di una rivolta ben più
grave, nella quale era coinvolta la
delinquenza comune e sulla quale ha
soffiato la criminalità organizzata.
Ragione questa per cui oggi sui giornali francesi la questione delle banlieue è praticamente scomparsa dalle
prime pagine per essere relegata, se
non in trafiletti, a normale notizia nelle
pagine interne.
Dunque Sarkozy ha vinto la sua
“battaglia delle periferie” non solo
contro la «feccia» in strada, come ha
definito i violenti scandalizzando i
benpensanti d’oltralpe, ma anche
presso l’opinione pubblica francese.
«Ho tenuto duro perché sentivo milioni di persone al mio fianco», ha detto
il leader dell’Ump ripensando ai venti giorni di bufera vissuti dalla Francia
e da lui stesso, accerchiato da una
sorta di isolamento nel governo e dalle accuse furiose della sinistra. E la
sua tenacia, la sua certezza che quelle violenze della disperazione erano il
frutto di droga e delinquenza, gli
sono valse un aumento di popolarità
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Ripensando alle violenze
vissute dalla Francia,
il ministro dell’Interno
ha detto: «Ho tenuto duro
perché sentivo milioni
di persone al mio fianco»
record (+11 per cento in un mese).
La vittoria del ritorno di una politica
del decisionismo, da troppo tempo
congelato nella Francia di Chirac, è
spiegata dalle stesse cifre percentuali
che mostrano come sette francesi su
dieci sono in perfetta sintonia con il
ministro neogollista. Un decisionismo
quasi di stampo thatcheriano, quando
la lady di ferro inglese si prendeva
responsabilità “scomode” ma che poi
risultavano sempre vincenti e dalla
parte del “Paese reale”, che oggi sembra incarnare sempre più “Super
Sarko”. E non sarà un semplice caso
che in questi giorni in Francia esce un
libro su François Mitterrand in cui l’ex
presidente francese viene dipinto
come «ossessionato» proprio dal decisionismo dell’ex-premier britannico.
E sono quelle stesse cifre che ora
preoccupano non poco la sinistra transalpina. Tanto che si sta già cercando di
instaurare il “timore” che il Paese possa «sterzare paurosamente a destra»,
come affermano già alcuni quotidiani,
paventando la possibilità che questo
possa favorire l’estrema destra lepeniana. Ma anche qui, la strada intrapresa sembra quella sbagliata. Perché
alla paura la gente ha risposto con la
ricerca della sicurezza. Sono le frasi del
tipo: «Gli abitanti dei quartieri popolari devono sapere che la Repubblica sta
tornando per garantire loro la stessa
sicurezza degli altri», che la gente oggi
si vuol sentir dire. Parole chiare che
Sarkozy ha posto come suo nuovo
cavallo di battaglia. Tutto il resto, per
chi è costretto a vivere barricato in casa
nelle banlieue, sono chiacchiere.
FRANCESCO RUBINO
Oggi il voto sulla contestata direttiva Ue ideata ai tempi del Professore
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ROMA. Si è svolta ieri pomeriggio davanti alla sede italiana del Parlamento europeo la manifestazione del Comitato
Europa Sociale contro la direttiva ProdiBolkestein.
Tra i partecipanti all’iniziativa, il capodelegazione di An al Parlamento europeo, Roberta Angelilli, il vicesegretario
generale della Ugl, Renata Polverini, i
senatori di An, Lodovico Pace e Michele
Bonatesta, l'eurodeputato di An, Alessandro Foglietta, il presidente della
Federazione romana di An, Vincenzo
Piso, il segretario della Ugl di Roma e
del Lazio, Luca Malcotti, il dirigente
nazionale e presidente romano di Azione giovani, Federico Iadicicco.
I manifestanti, circa 500, hanno inscenato una “catena umana” lungo via IV
Novembre e hanno esposto alcuni stri-
scioni all’insegna di slogan come “Ne'
Prodi Ne' Bolkestein, difendiamo il
modello sociale europeo" e "Stracciamo la direttiva Bolkestein".
«In vista del voto in commissione di
domani (oggi, per chi legge, ndr), abbiamo manifestato contro la proposta di
Direttiva Bolkestein che, così come concepita dalla Commissione Prodi, rischia
di scardinare il modello sociale europeo,
creando un esercito di "nuovi poveri".
Infatti c'è il rischio concreto di un livellamento verso il basso delle tutele sia
salariali che contrattuali», ha spiegato
Roberta Angelilli. Senza volersi addentrare in dettagli appaiono chiarissimi i
segni che la Direttiva Bolkestein sarebbe destinata a lasciare: apertura alla
concorrenza e alla privatizzazione di
quasi tutte le attività di servizio, dalle
attività logistiche di qualunque impresa produttiva ai servizi pubblici come
istruzione e sanità; deregolamentazione
totale dell'erogazione dei servizi con
drastica riduzione, se non annullamento, delle possibilità d'intervento degli
enti locali e delle organizzazioni sindacali; pericolo di dumping sociale all’interno dell’Europa.
In verità, l’iter del provvedimento
dimostra che ci troviamo di fronte a una
sorta di trappola politica e sociale abilmente organizzata. «Apparentemente,
la direttiva Bolkestein aveva come
obiettivo la liberalizzazione dei servizi
al fine di creare nuova occupazione e
offrire maggiori vantaggi ai consumatori. In realtà rischia di diventare solo
un modo per liberalizzare le regole del
mercato del lavoro, scardinando dalla
ROMA. «Tra dieci anni in Italia ci
saranno sei milioni di immigrati,
come in Germania». La previsione
poggia sui dati statistici elaborati
dalla Caritas, che registra nel
nostro Paese 2.800.000 immigrati,
provenienti da 195 Paesi diversi.
«L’Europa - ha sottolineato Franco
Pittau, coordinatore dello studio sta vivendo il più grande fenomeno immigratorio del mondo. Non si
può contrastare la storia: meglio
quindi affrontare l'immigrazione
intelligentemente. L’integrazione è
un discorso per costruire il quale
dobbiamo trovare nuove parole;
alcune le abbiamo già, altre le
dobbiamo trovare insieme agli
immigrati, altre ancora vanno cercate nei Paesi d’origine».
Ma il dato più interessante viene
dalla percezione che i popoli ospitanti hanno del fenomeno.
In Europa - osservano sociologi e
addetti ai lavori - l’immigrazione
non ha smesso di fare paura e ogni
Paese gli dà il nome dei propri problemi interni. «Gli immigrati sono
visti come minaccia per l’ordine
pubblico in Italia, e per l’occupazione nei paesi della nuova Europa». Così il sociologo Ilvo Diamanti
ha sintetizzato i primi risultati del
rapporto su “Immigrazione e cittadinanza in Europa” condotto dalla
Fondazione Nord Est e dal laboratorio di studi politici “La Polis” dell'università di Urbino, realizzato su
un campione di circa 6 mila intervistati in Italia, Francia, Germania,
Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria. É la fotografia di una Europa in
cui l’immigrazione è guardata con
preoccupazione da quote rilevanti
di tutti i Paesi ed è strettamente
legata al processo di unificazione
europea. Nei Paesi della nuova
Europa convivono sentimenti
diversi: la necessità di affrancarsi
definitivamente dall’Unione Sovietica e le paure per fenomeni migratori a cui i Paesi non sono mai stati
interessati. Per Germania, Francia
e Italia le cose stanno diversamente. Nel nostro Paese per 4 italiani
su 10 gli immigrati rappresentano
una minaccia per l’ordine pubblico. La questione sicurezza rappresenta una specificità nel confronto
con gli altri Paesi europei. A essere
preoccupate dall’immigrazione
sono soprattutto le persone oltre i
55 anni, residenti in Comuni con
meno di 20 mila abitanti, e con
scarse relazioni sociali. «In Italia,
al primo posto delle spiegazioni
degli orientamenti nei confronti
dell’immigrazione c’è proprio la
posizione politica — ha detto Diamanti — perché in Italia più che
altrove le questioni legate all’immigrazione sono oggetto di offerta
politica». Ma italiani, francesi e
tedeschi valutano con favore
anche la possibilità che gli stranieri regolari possano prendere parte,
con il proprio voto, non solo alle
elezioni amministrative, ma anche
alle consultazioni per il parlamento nazionale.
base i diritti dei lavoratori», ha tenuto a
precisare Renata Polverini. «Ma la questione - sottolinea Roberta Angelilli non è soltanto legislativa, è anche e
soprattutto politica: è bene che l’ex presidente della Commissione europea e
attuale candidato del centrosinistra,
Romano Prodi, dica da che parte sta,
visto che fino a questo momento si è
contraddistinto per un assordante
silenzio. Come dire, chi tace acconsente», ha dichiarato il capodelegazione di
An al Parlamento europeo, Roberta
Angelilli. Certo, sarebbe difficile per il
Professore dirsi oggi contrario a un
provvedimento contro il quale non
insorse ai tempi in cui, presidente della
Commissione a Bruxelles, se lo vide
proporre dal suo commissario alla concorrenza, l’olandese Frits Bolkestein.
Ma appare anche arduo continuare a
convivere con una parte significativa
della sua coalizione che scende in piazza per contrastare la direttive ”Bolkenstein“, come viene definita in assonanza con il mostruoso Frankenstein.