A CURA DI CONFIMPRESE VENDERE n Perché (e come) guardare
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A CURA DI CONFIMPRESE VENDERE n Perché (e come) guardare
Ritaglio stampa ad uso esclusivo interno, non riproducibile. Estratto da pag. Domenica 30/06/2013 42. Direttore Responsabile Diffusione Testata Marco Gatti 133.294 A CURA DI CONFIMPRESE VENDERE n Perché (e come) guardare alla Cina MARIO RESCA Presidente di Confimprese L I a Cina continua a fare appetito al settore retail, che attualmente soddisfa il 20% della popolazione: nel 2012 ha messo a segno 1.000 miliardi di euro di vendite al dettaglio, con un trend incrementale del 15% su base annua. Nel ranking delle città, dove nel 2012 si è registrato il più alto lasso di crescita nel retail, Pechino è in pole position con quasi 8 miliardi di euro di vendite (+15%) e un reddito prò-capite di 36mila euro, seguita da Shanghai, con oltre 7 miliardi (+14,3%) e un reddito di 40mila euro, e da Ghoungzhou, con 6 miliardi (-t-12%) e un reddito di 38mi1a euro (dati CBRE). Nel 2020 in Cina ci saranno 420 milioni dì consumatori appartenenti alla middle-class, un numero pari a sei volte la popolazione dell'Italia. Anche la saturazione degli spazi di sviluppo del retail in Europa occidentale costituisce un forte incentivo per chi vuole investire in Oriente, dove il bacino dei consumatori è in grande crescita. A ciò si aggiunga che stanno anche aumentando i livelli salariali e di conseguenza la capacità di spesa, che porta a un incremento della domanda di beni di consumo, soprattutto quelli prodotti dai brand occidentali. Accanto alle potenzialità di sviluppo che offre il mercato cinese, è però necessario tenere ben presenti alcune difficoltà di penetrazione nello stesso, legate soprattutto a problematiche di natura sindacale e alla gestione della forza lavoro. In base alla Legge del 2001, il sindacato Ac.f.Lu (Ail China Federations of Trade Unions) ha acquisito maggiore forza contrattuale, tanto che può arrivare a chiedere l'annullamento del licenziamento, se pure la sua funzione rimane principalmente quella di sostenere il lavoratore nel periodo che segue la perdita del posto di lavoro. Inoltre. il turnover in Cina supera di gran lunga i normali livelli fisiologici, in quanto il lavoratore è disposto a cambiare il posto di lavoro per una retribuzione di poco superiore a quella percepita. Per il retailer straniero non è facile muoversi all'interno di queste dinamiche e, dunque, si corre il rischio di un fallimento dell'intero progetto di sviluppo distributivo, oltre che di un'errata gestione del rapporto con il lavoratore. Non solo. E stato calcolato che nel 2015 i costi per fare business in Cina saranno maggiori rispetto agli Usa, a causa sia della lentezza nelle procedure di registrazione del marchio (1218 mesi), sia di un continuo aumento dei costi di logistica, delle tasse, del lavoro, degli adempimenti burocratici. Aspetti, questi ultimi, che Ì potenziali retailer devono osservare e analizzare scrupolosamente per non cadere nelle maglie di un sistema economico che poi non perdona e che drena importanti risorse finanziarie. Un primo sbarco 'm Cina potrebbe anche avvenire inizialmente attraverso i'e-commerce, che qui cresce a ritmi del 40% l'anno: il 68,1% dei cinesi acquista online abbigliamento e calzature, il 30% prodotti cosmetici, il 20% food. Oggi la Cina, con 86 miliardi di euro di vendite online, è il secondo mercato asiatico, dietro al Giappone (99 miliardi di euro), ma ha una spesa prò-capite annua ancora bassa: 390 euro contro i 2.790 degli Usa, i 1.784 della Gran Bretagna e Ì 1.074 dell'Italia. Entro 4 anni, però, si stima che I'e-commerce cinese supererà Ì 300 miliardi di euro. Al di là di facili canalizzazioni, insomma, sono convinto che il futuro del retail risieda nell'espansione all'estero, soprattutto nei mercati dove il concetto del commercio a catena è già fortemente sentito. Quindi sosteniamo le nostre imprese che decidono di sbarcare in Cina dove, pur con le difficoltà sopra descritte, c'è ancora spazio per crescere. Qui attualmente è presente il 47% circa dei retailer internazionali, ma mancano ancora molti marchi, dalle calzature all'abbigliamento, dall'entertainment alla ristorazione fino alla gioielleria e all'accessoristica, tutti settori ben rappresentati in Confimprese. I » Nel 2015 fare business in Cina costerà più che negli Stati Uniti Si parla di noi Pag. 1