Lookout News

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REPORTAGE I La Grecia di Tsipras e l’Ucraina dei ribelli
LA ROULETTE
Shock petroliferi, califfati,
stati falliti, guerre civili.
Dietro ogni crisi e conflitto,
c’è la sfida per le risorse
energetiche di domani
www.lookoutnews.it
ROSSA
IRAQ
INTERVISTA
ESCLUSIVA
ALL’AMBASCIATORE
IN ITALIA
anno III - n. 15 gennaio-febbraio 2015 |
Guerre e petrolio
20
| anno III - numero 15 - gennaio-febbraio 2015
USA, Arabia Saudita
e i grandi fondi di Private Equity
giocano la partita
per il finanziamento
dell’industria petrolifera
e il futuro dell’energia.
Gli avversari?
Russia, Iran, Qatar e Venezuela
sicurezza
12 reportaGe
dal donbass
Casa doce casa
15 Il battaglione dei Nerd
16 russia
Il vento del Nord: la nuova
corsa agli armamenti
nell’Artico
64
Geopolitica
osservatorio sociale
20 stati uniti
Guerra e petrolio
MonitoraGGio dei principali
eventi e fenoMeni ribellistici
ed eversivi nel nostro paese
26 alGeria - qatar
arabia saudita - iran
russia - venezuela
le rubriche
30
focus - iraq
baGhdad,
avaMposto
contro lo
stato islaMico
18
spy GaMes
La “bomba” contro
Enigma
25
borsa enerGetica
La Geopolitica dell’energia
44
l’araba fenice
Sajida Al Rishawi, la
terrorista che intimidiva
il Califfo
60
do you spread?
La sfida per la leadership
industriale tra Italia e
Germania
Le petroeconomie
30 focus - iraq
Baghdad, avamposto
contro lo Stato Islamico
34 iraq
L’arte e le donne in Iraq
64
osservatorio
sociale
L’antagonismo e il
disordine pubblico
36 iraq
Daesh e l’armata
internazionale
66
dietro lo
specchio
Previsioni meteo 2015:
EUROPA
40 libia
Divisi e agguerriti
38 libia
Mille e una Libia
econoMia
48 Grecia
Atene e Roma, il possibile
tandem anti austerity
52 reportaGe
da salonicco
Tempo di raccogliere
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l’aggiornamento quotidiano dal mondo
56 Grecia
La lunga strada per Itaca
la viGnetta
“ ar m a di d istr u zio ne d i m as s a ”
7 g enn aio 20 15
UNO SCENARIO CHE PREOCCUPA
DI MARIO MORI
l’editoriale
erto non si può dire che sul
fronte della geopolitica e della
sicurezza internazionale il 2015
sia iniziato sotto i migliori auspici. A oltre quindici anni dalla crisi del Kosovo, che innescò
l’ultima guerra guerreggiata nel
continente europeo, le tensioni in Ucraina minacciano pericolosamente di degenerare in guerra aperta. Quella in Ucraina è una crisi abbastanza speculare a
quella che portò alla secessione del Kosovo dalla Serbia. Stranamente, nel caso
della ex Jugoslavia Stati Uniti ed Europa
appoggiarono incondizionatamente le
istanze secessioniste. Oggi, invece, appoggiano il governo di Kiev che, analogamente a quello che fece il governo di Milosevic, tenta con le armi di soffocare
l’indipendentismo delle regioni dell’est.
Sono le stranezze della geopolitica. Oggi
il presidente Obama sostiene solennemente che le frontiere in Europa non si
toccano. Eppure, quando si è trattato della Jugoslavia, le frontiere si sono toccate
eccome, anche con i bombardamenti.
Per l’importanza della crisi ucraina e
per le sue pericolose implicazioni, troverete all’interno di questo numero un reportage dal Donbass realizzato da un nostro inviato. Proseguendo nelle analisi
delle tensioni che travagliano l’Europa in
questa congiuntura, da Donetsk ci siamo
C
spostati a Salonicco per una verifica dell’impatto sociale che ha travolto la società ellenica schiacciata da una crisi economica della quale è difficile vedere la fine.
Ma i problemi non sono solo in Europa. Gli effetti devastanti delle (finte)
primavere arabe sono sotto i nostri occhi. Dalla Libia all’Iraq, dalla Siria alla
Giordania, nuovi focolai di guerra e di
crisi energetica rischiano di riverberarsi su tutto il Mediterraneo. Terrorismo,
ondate migratorie incontrollate, taglio
della produzione del petrolio sono problemi con i quali l’Europa si deve confrontare con intelligenza e fermezza.
Intelligenza e fermezza che sembrano
mancare completamente a New York,
dove nel Palazzo di Vetro delle Nazioni
Unite pare non si riescano più a individuare soluzioni concrete. Due voci importanti dal Nord Africa e dal Medio
Oriente ci aiutano a comprendere gli
eventi che ci scorrono davanti, due interviste esclusive all’ambasciatore iracheno
a Roma e al ministro del Petrolio del governo islamista di Tripoli. Si tratta di due
punti di vista originali su dinamiche geopolitiche concrete. Siamo convinti che
apprezzerete il nostro sforzo di estrarre
dagli episodi della cronaca quotidiana le
linee evolutive di uno stato di conflitto
internazionale col quale saremo obbligati a confrontarci per molto tempo.
inbox
Il dIRettoRe edItoRIale
RIsponde
Come sConfIggeRe lo stato
IslamICo?
La Giordania in tre giorni ha
detto di aver neutralizzato il 20%
degli armamenti dell’ISIS. Perché allora Obama parla di tre anni per concludere questa guerra? Chi mente?
lIbIa, l’onU Che fa?
Aspettare per vedere come si evolve la situazione in Libia potrebbe
andare bene per l’ONU, ma ci sono già troppi morti soprattutto dell’Egitto, un Paese laico e moderatamente musulmano. Un’invasione di terra
da parte di truppe delle Nazioni Uniti adesso è impensabile, ma non possiamo permetterci di abbassare la guardia.
tommy Jones
anselmo passaRellI
La soluzione non è così semplice e in
questo caso la matematica non ci aiuta. La distruzione del 20% delle infrastrutture dell’ISIS da parte dei giordani è
stata compiuta con i bombardamenti aerei.
Per sconfiggere l’ISIS occorre riconquistare i
territori occupati dalla scorsa estate e per
fare questo ci vogliono gli “stivali sul terreno”. Se l’Occidente non ha intenzione di
impegnarsi direttamente nel teatro iracheno
e siriano, resta comunque aperta la strada
di un sostegno politico e militare significativo ai peshmerga curdi e alle truppe irachene. È una strada lunga e irta di incognite,
ma va comunque percorsa se non vogliamo
consegnare a poche decine di migliaia di
miliziani jihadisti uno Stato che per le sue
caratteristiche non potrebbe che essere uno
“Stato canaglia”.
L’ONU purtroppo continua a confermare di essere diventato col passare degli anni
un pachiderma burocratico capace soltanto di partorire montagne di carta. Se è impensabile che l’Italia possa intervenire militarmente in Libia da sola, il nostro governo potrebbe tuttavia sollecitare Europa e Stati Uniti ad aiutare e sostenere con decisione il governo egiziano, che ha già dimostrato di essere in grado di colpire in Libia i
tagliagola dell’ISIS.
gUeRRa In medIo oRIente: QUal è Il RUolo del QataR?
Nonostante gli aiuti del Qatar alle milizie jihadiste, l’Europa continua a
fare affari con Doha. L’unico obiettivo è sempre il denaro. Anche in
questa guerra contro lo Stato Islamico, il Vecchio Continente sta dimostrando di non avere alcuna identità.
John dalto
L’Europa forse è (giustamente) distratta dalla crisi greca e dalla guerra in Ucraina,
due focolai di tensione che non possono non polarizzare l’attenzione dell’UE. Per
quanto riguarda il Qatar, è un discorso difficile, che però diventerà ancora più difficile se e quando si troveranno le prove del sostegno di Doha ai miliziani dell’ISIS.
emeRgenza ImmIgRazIone: Il pReCedente è l’albanIa
SCRIVI A:
[email protected]
[email protected]
Mafia e politica hanno tutto da guadagnare dall’emergenza dei flussi
migratori dal Nord Africa. La Commissione europea ha promesso lo
stanziamento di 13,7 milioni di euro, ma di soluzioni neanche l’ombra.
baRtolomeo meRIsI
facebook.com/LookoutNews
twitter.com/lookoutnews
Nel nostro articolo sulla rubrica Oltrefrontiera per Panorama.it abbiamo indicato
una strada per tentare di ostacolare il traffico di clandestini. Un fatto è certo: quando i migranti arrivano sulle nostre coste non abbiamo altra scelta che accoglierli.
L’unica strategia è quella di non farli partire e per questo occorrerebbe intervenire sul terreno in Libia. I droni potrebbero aiutarci in questa missione.
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
5
cuba
arGentina
irlanda
Mali
Dopo lo storico
disgelo tra Washington
e L’Avana sono in corso
accordi per stabilire
connessioni telefoniche
dirette tra i due Paesi.
Presto dovrebbe toccare
anche alla connessione
wi-fi.
Continuano le proteste
dopo l’omicidio di Alberto
Nisman, il procuratore
che indagava sul
coinvolgimento
argentino nell’attentato
iraniano del 1994
alla comunità ebraica
di Buenos Aires.
Apple sfrutta le
agevolazioni fiscali
dell’Irlanda e annuncia
la costruzione di un data
center nella contea di
Galway. Dublino pone
così un altro tassello
per la sua ripresa. Attesa
forte crescita nel 2015.
Le porte della leggendaria
Timbuktu stanno per
essere riaperte ai turisti.
Eppure in Mali la
situazione resta instabile.
I separatisti del nord
sfidano i lealisti
di Bamako. Si temono
infiltrazioni qaediste.
niGeria
libano
cina
australia
Gli islamisti di Boko
Haram continuano a
seminare terrore lungo
le rive del Lago Ciad.
Per eliminare la minaccia
jihadista al governo
serviranno armi, soldati
e magari una mano
dall’Occidente.
L’esercito dello Stato
Islamico starebbe
pianificando di attaccare
il Libano dalla Siria.
Il governo di Beirut
è infatti corso ai ripari,
ricevendo armi da Stati
Uniti, Arabia Saudita
e Francia.
Il governo cinese ha
iniziato a costruire isole
artificiali nell’arcipelago
delle isole Spratly,
situato nel Mar Cinese
Meridionale. Non resta
che attendere la
reazione dell’avversario
giapponese.
Il premier Tony Abbott
annuncia un nuovo
piano contro il
terrorismo. Previste
leggi più severe per
ottenere la cittadinanza.
Sono 90 gli australiani
già al servizio dello
Stato Islamico.
ACCADDE
OGGI
1961
1975
8
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
In oltre un decennio di guerra tra
Vietnam, Laos e Cambogia, morirono
58.220 americani su un totale
di 1.475.000 soldati deceduti e 4 milioni
di civili da ambo le parti. Solo nel 1968
trovarono la morte oltre 16mila soldati
statunitensi.
vietnaM |
di Luciano Tirinnanzi
8 marzo 1965
L’America sbarca in Vietnam
UNA BRILLANTE
SCONFITTA
on possiamo più stare in disparte, orgogliosi nell’isolamento.
Terrificanti difficoltà e pericoli
che una volta chiamavamo
“stranieri” ora vivono costantemente in mezzo a noi”. È con
queste parole, pronunciate il 20
gennaio del 1965 nel discorso inaugurale
alla Nazione, che inizia il secondo mandato del presidente Lyndon B. Johnson.
Due anni dopo l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy nel novembre del 1963,
il vicepresidente è divenuto l’uomo più
potente degli Stati Uniti. Nonostante il
suo successo personale nel promuovere
politiche di riforme interne, tuttavia la
sua presidenza sarà segnata per sempre
dal fallimento delle sue politiche nei
confronti del Vietnam.
Una settimana dopo questo discorso, infatti, mentre il generale Khanh
prende ufficialmente il controllo del
Vietnam del Sud, il segretario alla Difesa americano Robert McNamara invia una nota al presidente Johnson,
affermando che il limitato coinvolgimento militare americano in Vietnam
non sta funzionando, e che gli Stati
Uniti sono ormai a un bivio: ritirarsi
dal Vietnam o intensificare le operazioni militari.
N
“
Passa un’altra settimana e i guerriglieri
Viet Cong, che intendono imporre un regime comunista in tutto
il Vietnam, attaccano il
compound militare statunitense di Pleiku negli Altopiani Centrali,
uccidendo otto americani, ferendone 126 e distruggendo
dieci aerei. La mattina dopo, Johnson
è furioso e si sfoga con i suoi consiglieri alla Casa Bianca, gridando “ne
ho abbastanza di questo”. La prima
conseguenza è l’approvazione dell’Operazione Flaming Dart, che prevede il bombardamento di un campo
dell’esercito nordvietnamita vicino a
Dong Hoi da parte della US Navy,
condotto dalla portaerei Ranger.
I sondaggi forniti al presidente indicano il suo gradimento in crescita, tra
il 70 e l’80%. Forti di questi dati, i
suoi consiglieri militari pianificano
una campagna di lunga durata nel sudest asiatico. Il 22 febbraio, il generale Westmoreland chiede due battaglioni di marines americani per proteggere la base aerea americana di Da
Nang, minacciata da circa seimila
Viet Cong ammassati nelle zone limitrofe. Il presidente approva la richiesta, nonostante l’allarmato dispaccio dell’ambasciatore americano in
Vietnam Maxwell D. Taylor esprima
“gravi riserve” sull’escalation militare, avvertendo che gli USA rischiano
di ripetere in Indocina gli stessi errori
che furono commessi dei francesi.
Nel secondo giorno di marzo, inizia
così l’Operazione Rolling Thunder, che
individua oltre un centinaio di obiettivi
in Vietnam del Nord per i cacciabombardieri statunitensi. L’Operazione, che
avrebbe dovuto durare solo otto settimane, proseguirà invece per i successivi tre anni della presidenza Johnson.
Ma è l’8 marzo 1965 la data spartiacque dell’impegno militare americano in Vietnam. Quel giorno, le prime truppe da combattimento, il Nono
Reggimento dei Marines, sbarca a Red
Beach. Da allora, il numero di soldati
americani in Vietnam salirà dai sedicimila del 1963, quando Lyndon Johnson
aveva assunto l’incarico di presidente,
agli oltre cinquecentomila del 1968, anno che segnerà il maggiorn numero di
caduti tra le truppe americane.
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FACES
I volti più significativi
del mese
Due grandi sfide
per il potere:
EUROPA e LIBIA
10
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YANIS VAROUFAKIS
Il ministro delle finanze greco è la speranza per la crisi
economica di Atene. Chi lo vede già come un semidio,
dimentica che Zeus oggi abita a Bruxelles.
SERGIO MATTARELLA
Il dodicesimo presidente della Repubblica è l’ultima
delle sorprese dell’enfant prodige della politica italiana,
Matteo Renzi. Sarà il presidente della ripresa?
ABDEL FATTAH AL SISI
Il generale, autore del golpe d’Egitto che ha defenestrato
il presidente Morsi, oggi rappresenta la prima linea contro
l’ondata islamista del Nord Africa.
OMAR AL HASSI
L’altra faccia della medaglia in Libia è lui. Il governo islamista
di Tripoli e Misurata risponde infatti a quest’uomo. Ma quest’uomo
a chi risponde?
ABDULLAH AL-THANI
Il premier indipendentista rappresenta il governo di Tobruk,
ma è contestato da Tripoli, Misurata, Sirte, Derna e le aree
tribali. In bocca al lupo.
KHALIFA HAFTAR
Il generale in quota CIA è stato a lungo il guardiano
del regime di Muammar Gheddafi. Oggi è l’amico del Cairo
e del governo di Tobruk, unico argine agli islamisti.
sicurezza
REPORTAGE
DAL
DONBASS
CRISI UCRAINA
La guerra tra l'Ucraina e ribelli
filo-russi, che ha avuto inizio poco
dopo l’annessione della Crimea
alla Russia nel 2014, è la peggiore
crisi nei rapporti tra Est e Ovest
dalla Guerra Fredda.
Donetsk
Slaviansk
Kramatorsk
AREA CONTRALLATA DAI SEPARATISTI
Febbraio 2015
Kostyantynivka
Giugno 2014
Settembre 2014
CONFINI
Ribelli
Ucraina
UCRAINA
Scontri
recenti*
Sotto il controllo
di Kiev
Volo MH17 della
Malaysia Airlines
Sospetta
presenza
militare russa*
(luogo dello schianto)
Kiev
Luhansk
Kharkiv
Sieverodonetsk
Stanytsia
Luhanska
Lysychansk
Hirske
Artemivsk
Slovianoserbsk
Popasna
Horlivka
Avdiivka
Krasnohorivka
Krasnyi Luch
Donetsk
Marinka
Novotroits’ke
Amvrosiivka
Volnovakha
Starohnativka
RUSSIA
RUSSIA
Rostov-on-Don
Mariupol
Novoazovsk
Shyrokyne
Sea of Azov
Crimea
* I luoghi di scontro sono approssimati
fonte: national security and defense Council of Ukraine (nsdC)
12
Luhansk
Debaltseve
UCRAINA
ROMANIA
MOLDAVIA
Shchastya
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
25 miles
25 km
CASA
DOLCE
CASA
Quel che si respira nel paese
è soprattutto l’incertezza sul
futuro. se il mestiere di soldato
è divenuto un antidoto
alla disoccupazione, l’odio
ha ormai penetrato i cuori
di un’intera generazione
perduta nell’arte della guerra
di Joshua Evangelista
UCRAINA
a piazza intorno a Sant’Andrea è gremita di
anziane, bambini e giovani coppiette. Nonostante sia impossibile trovare posto
nell’ampia cattedrale rinascimentale, nessuno vuole perdersi il sermone del sabato
e pregare (o piangere) per mariti, fratelli, fidanzati e padri arruolatisi volontariamente
per combattere nelle regioni di Donetsk e Lugansk. Dopo l’omelia, il prete invita i fedeli a lasciare beni e soldi destinati a comprare elmetti,
giubbotti antiproiettili, ginocchiere, divise e tutto
ciò che può servire ai combattenti che vanno incontro al freddo inverno ucraino.
Nella cattolicissima Leopoli il clero e le associazioni di credenti sono punti di raccordo fondamentali per le famiglie e per chi ha deciso
di difendere i confini orientali del Paese. Amici dai tempi dei boyscout, ora molti giovani
della città dedicano il loro tempo libero per la
causa “patriottica”, come definiscono il loro
attivismo.
“Ma non chiamateci nazisti, come fanno i russi” ci chiedono i volontari disposti nei punti di
raccolta. “Siamo semplicemente nazionalisti,
così come quei poveri ragazzi del Pravyy Sector.
L
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13
sicurezza
Sono ucraini come noi che tengono al futuro dell’Ucraina.
Sono di destra? E qual è il problema? dopo decenni di occupazione sovietica è la cosa più normale”. I famigerati
membri del “Settore destro” - identificati come antisemiti
un po’ in tutta Europa, sebbene non considerati “predicatori
d’odio” dall’Associated Press - sono argomento di dibattito
anche all’interno dei gruppi più attivi nella propaganda antiseparatisti. “Alcuni di loro sono violenti e non condivido le
loro idee, ma stanno facendo tantissimo per noi, più di tanti
altri”, ci racconta un’accademica di orientamento progressista fuggita di recente dalla Crimea. Ci
chiede di rimanere anonima, la sua fami- MINSK
Putin, Hollande,
glia è ancora lì e teme ripercussioni.
Merkel
Il proselitismo e la raccolta di beni e Poroshenko al
non sono affidati solo alla chiesa. Nel- tavolo della pace
l’elegantissima Rynok Square, patrimonio Unesco e orgoglio di tutti gli abitanti
dell’Oblast di Leopoli, i più attivi sono i
membi dell’Upa, l’Esercito insurrezionale ucraino che raccoglie l’eredità dei paramilitari che durante la Seconda guerra
mondiale combatterono contro l’Armata
rossa. Organizzano cori, concerti rock e
folk, reading teatrali basati sui racconti
dei volontari e proiezioni di foto scattate a
Donetsk. In uno di questi incontri conosciamo Tatiana, una signora ucraina sposata con un siracusano di nobili origini
che fa spola tra la Sicilia e Leopoli. Mentre
il coro canta gli inni dell’antica resistenza
ai tartari, lei si commuove pensando ai
morti della guerra. “Fino a qualche mese
fa eravamo una nazione. Eravamo tutti
fratelli. E ora? La propaganda di Putin ci
ha messo gli uni contro gli altri”.
Verso il presidente russo è catalizzato
l’odio di gran parte degli ucraini dell’ovest.
E il mercatino vicino al quartiere armeno
di Leopoli ne è la dimostrazione. La faccia
di Putin è sulla carta igienica, nei tappetini
per la casa insieme alla scritta “qui puoi
pulirti i piedi”, ed è rappresentato con baffetti hitleriani sugli adesivi da frigorifero. Chi parla in russo è
visto con sospetto e gli stessi profughi dell’est non sempre sono sopportati dalle anziane della città. “Cosa fate qui da noi,
mentre i nostri figli combattono per voi?”
In quasi ogni strada del centro ci sono volontari in divisa,
di ritorno dal fronte o in procinto di dirigersi per la prima
volta verso le aree contese. Hanno le facce stravolte, non sono pochi quelli che dopo aver combattuto nei pressi dell’aeroporto di Donetsk sono in cura da psicologi. Hanno estrazione sociale diversa, i professionisti combattono fianco a
fianco a studenti e operai senza distinzione alcuna.
“
Dzwin (“campana”) è il nome in codice di un combattente alto e muscoloso di 53 anni, appena tornato dalla
guerra e in procinto di tornare a combattere. Dove, non
può dircelo: “veniamo e scompariamo per confondere i nemici, è questo il nostro obiettivo”. Per nemici s’intende indistintamente i russi, i mercenari ceceni e le spie interne di
quella parte dell’esercito ancora vicina a Yanukovich, il deposto presidente contro il quale è scaturita la protesta di
piazza nota come Euromaidan. E proprio dagli scontri di
Kiev vengono la maggior parte dei combattenti ora sui
fronti dell’Est.
Dzwin si è arruolato il 12 agosto e prima di allora faceva
con successo il marmista. Un giorno il suo vicino di casa,
un soldato venticinquenne in procinto di diventare papà, è
stato ucciso in un agguato. È stata la molla per lasciare il
FINO A QUALCHE MESE FA ERAVAMO
UNA NAZIONE, FRATELLI. E ORA?
14
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”
marmo e prendere il fucile. “Ce l’ho a morte con i capi
dell’esercito regolare”, ci spiega. “Sono quasi sicuro che
abbiano preso accordi con i russi, così come ha fatto il presidente Poroshenko con Putin. Mandano comandanti incompetenti. Per loro, i giovani combattenti che vengono da
ovest sono nient’altro che carne da macello da dare in pasto al fuoco russo”. La settimana scorsa, Dzwin ha catturato
due soldati russi. “I miei compagni di battaglione volevano
ucciderli sul momento, io li ho convinti ad aspettare. Meglio
uno scambio di ostaggi. Questa è una guerra sporca e c’è un
silenzio minaccioso. Dobbiamo prepararci a tutto”.
sicurezza
Il battaglione dei Nerd
di Joshua Evangelista
ltre l’elegante quartiere Pechersk e l’NSK Olimijs’kyj - lo stadio che ha ospitato la finale di Euro
2012 - in un magazzino all’interno di un piccolo complesso industriale della periferia
di Kiev, c’è un viavai di ingegneri, informatici e sviluppatori. Il Battaglione dei
nerd, come l’ha ribattezzato la stampa
locale, lavora senza sosta per fornire supporti tecnologici all’esercito regolare e ai paramilitari nazionalisti dislocati nel Donbass. Gratuitamente.
“L’esercito è in balìa della corruzione, l’educazione militare è rimasta quasi del tutto invariata rispetto agli anni ‘60 e la tecnologia è così imbarazzante
che in molti casi è praticamente impossibile connettere tra loro i battaglioni e individuare i nemici nascosti
nelle foreste. Per questo, noi tecnici informatici ci siamo
sentiti in dovere di mettere le nostre competenze a serREPORTAGE
vizio della patria”, ci racconta Max, sviluppatore a capo di questo particolare laboratorio bellico.
DAL
Army sos, l’organizzazione alla quale appartengono gli
DONBASS
uomini di Max, è uno dei principali snodi del crowdfunding per i militari, che si nutre in maniera significativa delle donazioni della diaspora, soprattutto quella canadese.
“Mentre parliamo, uno dei nostri responsabili è a Montreal
per sbloccare dei fondi molto consistenti”, ci dice Oleksiy
BACINO
DEL DONEC
Savchenko, tra i leader della logistica di Army Sos, indicando
Noto anche
con orgoglio una grande bandiera canadese affissa sopra a
come
Donbass,
una dozzina di pacchi diretti a Donetsk. Una macchina ormai
prende il nome
oliata e con obiettivi precisi: progettare e costruire accessori
dall’omonimo
hi tech per i veicoli blindati, tablet geolocalizzatori e droni.
fiume che bagna
Di giorno startupper dell’IT o dipendenti delle multina- Russia e Ucraina.
È diviso in tre
zionali web, la sera improvvisati ingegneri militari. “Riuoblast (regioni).
sciamo a produrre nonostante l’inevitabile turnover. Dalle
Donetsk
grandi aziende internazionali per le quali lavoriamo, abe Luhansk fanno
biamo imparato a programmarci in maniera sistematica il
parte dell’oblast
lavoro in team”. Così, tra cartoni di pizza e precari equilibri
orientale.
familiari, si fanno le prove generali per avvicinarsi alla tecnologia russa. “Qui tutti rischiamo il divorzio”, ironizza
Max, “ma ne vale la pena”.
Mentre due ingegneri provano un dispositivo su un elicottero telecomandato da riprodurre in scala sui droni faida-te, la nostra attenzione cade su un numero notevole di
Samsung Galaxy raccolti in un angolo. “Li raccattiamo un
po’ da tutta Europa. Se sono rotti li ripariamo e poi installiamo delle app che abbiamo ideato per stanare i nemici”.
Sono in fase beta, ma già diversi comandanti hanno iniziato a usarle. “Il principio è quello delle mappe open source.
O
Trasmettendoci informazioni sulle posizioni dei separatisti e sulla qualità delle
strade riusciamo a tracciare quasi in tempo reale una panoramica del percorso verso il quale vanno incontro i mezzi pesanti
dell’esercito in transito nel Donbass”.
Affinché tali dispositivi abbiano efficacia, è fondamentale un training non
sempre in linea con le tempistiche dell’emergenza. “L’essere aperti o meno a
queste tecnologie”, spiega Savchenko,
“può influire sulle vite di centinaia di
combattenti”. La linea di supporto indipendente del Battaglione
dei nerd è imprescindibile: si assiste chiunque è disposto
a essere aiutato, che si tratti dell’esercito
regolare o dei nazionalisti del Pravyy Sektor poco conta. “Vicino all’aeroporto di Donetsk, dove ci sono i peggiori combattimenti, c’è una moltitudine di combattenti:
per noi è importante capire chi combatte
effettivamente e chi finge, solo per tornare a casa da eroe di guerra”.
I detrattori dei tecnici volontari si
chiedono come persone totalmente
digiune d’ingegneria bellica riescano
a sviluppare tali dispositivi solo grazie
a manuali trovati sul web e scaricabili
in creative commons. “Sì, è vero, professionisti stranieri sono venuti qui per
mettere a nostra disposizione del know
how significativo”, ammette Max. Rifiutandosi però di dirci chi c’è dietro a
questa formazione di qualità.
Al di là della provenienza di fondi e
conoscenze, gli sviluppatori fai-da-te sono entrati ormai nell’olimpo della narrazione nazionale pro-Kiev. Tra le figure
più interessanti spicca Yaroslav Markevich, un imprenditore a capo di una piccola impresa digitale di Kharkov, storico
hub della tecnologia aerea di sovietica
memoria. Markevich ha sviluppato sia
droni muniti di infrarossi per individuare attacchi notturni sia droni a lungo
raggio, in grado di localizzare con precisione i target dell’artiglieria. La sua storia è diventata virale sui social network.
Da lì a essere eletto deputato nelle elezioni d’ottobre il passo è stato brevissimo, giusto il tempo necessario per diventare un eroe su Facebook.
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
15
sicurezza
IL VENTO DEL NORD:
LA NUOVA CORSA
AGLI ARMAMENTI
NELL’ARTICO
Nuove rotte commerciali e immense riserve di
idrocarburi. Ma anche gli eserciti delle potenze
mondiali. Tutti guardano al Polo Nord
di A.M.
Estensione
mare ghiacciato
Marzo 2014
CANADA
Passaggio
a Nord Ovest
Alaska
U.S.
GROENLANDIA
Rotta
Mare del Nord
POLO NORD
Estensione
mare
ghiacciato
Sett. 2014
Porti Artici
Russi
Mosca
500 miles
500 km
RUSSIA
LE ROTTE ARTICHE
RUSSIA
iciamoci la verità. Vista da Mosca, la crisi in Ucraina può legittimimamente essere considerata come un’offensiva strategica
della NATO e degli Stati Uniti
per esercitare una forte pressione politico-militare sui sacri
confini della Madre Russia. Non è un segreto che gli americani con la CIA e con
l’uso spregiudicato dei mercenari della
Blackwater appoggiarono gli insorti di
Piazza Maidan che poi, nel febbraio del
2014, costrinsero alla fuga in elicottero
da un cortile del palazzo del governo il
presidente Viktor Yanukovich, legittimamente eletto con libere elezioni.
Da quel momento, quegli stessi americani che negli anni Novanta hanno appoggiato anche militarmente le spinte
secessioniste che hanno portato alla disgregazione dell’ex Jugoslavia, sono diventati i paladini della difesa dei confini
D
sicurezza
esercitazione militare dalla caduta
dell’Unione Sovietica. Migliaia di soldati di terra, mare e aria hanno “giocato alla guerra” utilizzando gli armamenti più moderni e sofisticati, missili
tattici balistici compresi. Nello stesso
tempo, il comando della nona flotta
ha annunciato il dispiegamento della
brigata di fanteria di marina nella regione dell’Artico per tutto il 2015.
La spiegazione politica di questa
presenza militare nelle regioni dell’Artico è contenuta nel testo della nuova
dottrina militare russa, firmato dal
presidente Vladimir Putin nel dicembre del 2014. Secondo la “Dottrina Putin”, l’Artico viene inserito nella lista
delle zone prioritarie di influenza di
Mosca. L’importanza del suo controllo
viene equiparata all’importanza assegnata al Mar Nero e alla Crimea. Queste iniziative hanno sollevato i giustificati timori dell’unico Stato dell’Alleanza Atlantica presente fisicamente
nella regione artica, la Norvegia.
Il governo di Oslo sa di essere diventato una “bestia nera” per Mosca,
dopo aver preso parte attiva al programma di sanzioni decise dai membri della NATO in risposta al sostegno
russo dei separatisti ucraini. Putin,
d’altronde, sa bene che l’articolo 5
della Carta della NATO prevede una
risposta automatica di tutti i membri
dell’Alleanza nei confronti di una possibile aggressione contro uno di loro.
Per questo, difficilmente i russi supereranno il punto di non ritorno nei
rapporti con i norvegesi al Polo Nord.
Tuttavia, l’apertura di questo nuovo
fronte introduce un ulteriore elemento
di destabilizzazione nei rapporti tra
Mosca e l’Occidente e può essere utilizzata da Putin per alleggerire la pressione in Ucraina. Inoltre, il Cremino sa
bene che quando si tratta di acquisire
territori l’azione vale più delle parole,
come insegna il caso della Crimea. Per
cui è presumibile che passo dopo passo l’influenza russa nei mari dell’Artico sia destinata ad aumentare, mentre
NATO ed Europa sono impegnate e
“distratte” dalla crisi ucraina.
IDROCARBURI NELL’ARTICO
Risorse
Petrolio
Gas
Regioni con alta probabilità
di presenza idrocarburi
Impianti
Attivi
Pianificati
In attesa
OCEANO PACIFICO
Devil’s Paw
CANADA
ALASKA
(U.S.)
Chukchi
Sea
Beaufort
Sea
Arc
tic
East
Siberian
Sea
OCEANO
ARTICO
Ci
e
rcl
ucraini contro secessionisti che, a ben
vedere, avanzano le stesse rivendicazioni di sloveni, croati e kosovari.
Insomma, Belgrado ha dovuto accettare anche con i bombardamenti le
spinte secessioniste, mentre Kiev si
può opporre alle stesse spinte con il
sostegno di chi ha contribuito alla dissoluzione di un Paese europeo come
la Jugoslavia.
Per Mosca, il sostegno occidentale
al governo ucraino non è altro che un
modo per espandere pericolosamente
i confini della NATO. I politici russi
sono notoriamente lungimiranti e per
questo motivo hanno aperto da qualche anno un nuovo fronte del confronto Est-Ovest, che guarda al Polo
Nord.
Grazie al riscaldamento climatico e
al parziale scioglimento dei ghiacci
dell’Artico, si sono aperte in quei mari finora inaccessibili nuove vie di comunicazione che portano dritte dritte
a giacimenti di gas naturale che, si
stima, contengano il 30% delle riserve mondiali e il 13% delle riserve di
petrolio.
Lo scioglimento dei ghiacci ha inoltre aperto nuove rotte di comunicazione tra l’Asia Orientale e l’Europa attraverso i mari del Polo e questa è certo
un’opportunità per la Russia per sviluppare infrastrutture logistiche nel
nord del Paese. Siccome le vie del
commercio e del progresso economico
sin da quando esiste l’uomo sono state aperte dai militari, Mosca ha attivato un processo di militarizzazione della parte russa dell’Artico, dislocando
la nona flotta - che rappresenta i due
terzi di tutta la forza navale russa nell’arcipelago della Novaya Zemlya.
Mentre sull’isola maggiore è stato recentemente ingrandito e ammodernato un aeroporto attrezzato per accogliere i jet e i bombardieri più moderni e sofisticati dell’ex Armata Rossa.
Forse allo scopo di mandare un segnale concreto alla NATO, alla fine del
2014 il ministero della Difesa russo ha
organizzato nella regione artica l’esercitazione “Vostok 2014”, la più grande
Laptev
Sea
Polo Nord
Baffin
Bay
Kara
Sea
RUSSIA
Yamal
Barents Pechora
Sea
GROENLANDIA
(Danimarca) Norwegian
Goliat Shtokman
Sea
Jan Mayen
Island (NOR)
Snovhit
OCEANO
ATLANTICO
ISLANDA
Aasta
Hansteen
NORVEGIA
fonte: Usgs, World atlas of oil and gas basins
IL
DIZIO
NARIO
Negli ultimi dieci anni,
il suolo artico ha attirato
l’interesse di tutti
i suoi Stati confinanti.
La Russia possiede
attualmente i diritti
entro 370 chilometri
dalle sue coste, e ha
recentemente deciso di
presidiare militarmente
gli oltre 6.700
chilometri di confine,
prima che la disputa
per la titolarità di queste
terre si faccia ancor
più dura. La presenza
di diverse piattaforme
sottomarine in
quest’area complica
però la spartizione
delle terre ghiacciate
con gli altri competitor
coinvolti nella corsa
alle riserve energetiche,
Canada e Stati Uniti in
primis.
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
17
spy GaMe
La “bomba” contro Enigma
Secondo Winston Churchill è grazie all’Operazione Ultra, di cui Alan Turing
fu il protagonista, che gli inglesi vincono la guerra
el luglio del 1945 dopo aver perso incredibilmente le elezioni politiche in Inghilterra, Winston Churchill nel congedarsi
da Re Giorgio VI gli rivelò il segreto meglio conservato della seconda guerra
mondiale: “Maestà, è stato grazie a Ultra che abbiamo vinto la guerra”.
Re Giorgio, che peraltro non ha mai brillato
per particolare acume, probabilmente prese la
battuta di Churchill come una delle solite sparate al quale l’ex primo ministro lo aveva abituato. In realtà, Churchill aveva semplicemente detto la verità. Questa verità ha conosciuto anche un momento di gloria cinematografica all’inizio del 2015 con un film di grande successo, The Imitation Game, la storia romanzata della più grande operazione di spionaggio del secolo scorso.
N
di Alfredo Mantici
Direttore editoriale
di Lookout News,
capo del Dipartimento
analisi del Sisde fino al 2008
18
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
La storia vera comincia negli anni Trenta,
quando gli esperti criptoanalisti tedeschi sviluppano una sofisticata macchina cifrante alla
quale viene dato il nome di Enigma. Lo strumento aveva l’aspetto di una grossa macchina da scrivere e il segreto della sua efficienza
risiedeva nel fatto che un operatore poteva digitare sulla tastiera un messaggio in chiaro
che Enigma provvedeva a cifrare automaticamente con l’uso di rotori intercambiabili, che
rendevano quasi impossibile la decifrazione
del messaggio se questo non veniva inviato a
un’altra macchina Enigma, con i rotori sistemati nello stesso modo della trasmittente.
Ovviamente, il cambio dei rotori faceva
cambiare il codice e, quindi, chi il lunedì fosse stato in grado di decifrare un messaggio
non avrebbe potuto riutilizzare lo stesso codice il martedì, grazie alla semplice sostituzione dei rotori.
Grazie a un colpo fortunato dei suoi servizi
segreti, nel 1939 la Polonia - prima di essere
conquistata dai nazisti - entrò in possesso di
una macchina Enigma e del relativo manuale
d’uso. Dopo la caduta di Varsavia, questa
macchina venne consegnata ai servizi segreti
inglesi che, rendendosi conto dell’enorme potenziale che ne poteva derivare in campo
spionistico, dettero avvio al progetto “Ultra”,
costituendo in una ricca villa vittoriana nella
campagna inglese il centro di intercettazioni e
decodifica di Bletchley Park.
La bella magione si trovò a essere presto
popolata di una folla variopinta ed eccentrica
di matematici, fisici, ingegneri meccanici,
esperti di enigmistica e spie. Tra questi, spiccava la figura del giovane genio della matematica Alan Turing. Nato poco prima dell’inizio della prima guerra mondiale, Turing aveva
studiato la meccanica quantistica e il calcolo
delle probabilità al King’s College di Cambridge e aveva disegnato le basi teoriche della
Turing Machine, che rappresenterà la base
teoretica per la costruzione dei computer.
storie di spionaGGio e controspionaGGio
Grazie anche alla felice cattura di
alcuni esemplari di Enigma ritrovati
a bordo di U-Boot tedeschi costretti
alla resa nelle acque dell’Atlantico,
Turing costruì un rozzo ma efficace
calcolatore elettromeccanico con il
quale tutta la squadra di Bletchley
Park tentò di aggredire il traffico radio delle armate di terra, di mare e
dell’aria della Germania nazista. Un
traffico che i tedeschi ritenevano assolutamente impenetrabile.
Nel gennaio del 1940 la “bomba”
di Turing riesce a decifrare per la
prima volta un intero messaggio radio dell’Alto Comando tedesco. Da
questo momento, con alti e bassi, i
criptoanalisti di Bletchley Park riuscirono a decifrare migliaia di messaggi in codice nemici, riuscendo
spesso ad anticiparne le mosse e a
bloccarne le iniziative.
Alla fine della guerra, il contributo di “UlUno dei successi più grandi fu conseguito tra” alla vittoria alleata era conosciuto da podurante i due anni (1941-1943) della battaglia chissime persone. Tra queste, ovviamente il
dell’Atlantico. I tedeschi, nel tentativo di im- suo leader Alan Turing, per il quale tuttavia il
pedire l’arrivo dei rifornimenti americani in dopoguerra significò l’ingresso in un girone
Inghilterra, schierarono nelle acque del- infernale. Turing infatti era omosessuale in un
l’Oceano i “branchi di lupi”, gruppi di somPaese nel quale gli echi della morale vittomergibili concentrati su alcune rotte
riana facevano considerare l’omosesdi passaggio che dovevano aggredisualità un crimine.
re in massa i convogli anglo-ameNel 1952 Alan Turing venne inL’INvENzIONE
ricani. Grazie alle intercettazioni
fatti
arrestato per “condotta sesDELLA
di “Ultra”, Bletchley Park era in
suale
inappropriata” e condanTURING MACHINE
grado di conoscere in anticipo i
nato
a
essere sottoposto a un
PERMISE LA
luoghi degli appuntamenti degli
processo di castrazione chimica
DECRIPTAzIONE DEI
U-Boot, che ovviamente ricevecon l’iniezione di ormoni femmiCODICI TEDESChI
vano le coordinate attraverso i
nilizzanti. Nel giro di due anni, il
messaggi criptati dalle macchine
suo corpo e la sua mente uscirono
Enigma.
sconvolti da questa esperienza e nel
La decriptazione era faticosa ma veniva 1954 un uomo che secondo Churchill aveva
spesso facilitata dall’eccessivo senso di sicu- contribuito in modo decisivo a far vincere la
rezza dei tedeschi. Per esempio, per più di un seconda guerra mondiale agli alleati, si suicimese un ufficiale tedesco comunicò dal de- dò dando un morso a una mela che aveva inserto di El Alamein lo stesso messaggio ogni tinto di cianuro.
giorno: “La situazione è ancora calma”. QueSembra che in silenzioso omaggio a Turing,
sto messaggio, viaggiando da un rotore all’al- Steve Jobs abbia scelto proprio la mela con il
tro, consentiva ai criptoanalisti di Turing di morso come simbolo della Apple. Il 24 dicemdisporre di una piccola ma significativa chia- bre del 2013 Allan Turing ha formalmente rive per sfondare il codice giorno dopo giorno. cevuto il perdono della Regina Elisabetta II.
IMITATION GAME
I film, come noto,
non rendono merito
alle biografie
di personaggi
così avvincenti.
Ciò nonostante,
la sceneggiatura
del film sulla vita
di Alan Turing è valsa
una statuetta agli
Oscar allo scrittore
Graham Moore.
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Geopolitica
la copertina
GUERRA
E PETROLIO
LA TEMPESTA PERFETTA
di Ottorino Restelli
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LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
Geopolitica
USA, Arabia Saudita
e i grandi fondi
di Private Equity
giocano la partita
per il finanziamento
dell’industria petrolifera
e il futuro dell’energia.
Gli avversari? Russia,
Iran, Qatar e Venezuela
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
21
Geopolitica
STATI UNITI
ell’ultimo anno il prezzo del
petrolio si è ridotto del 54%,
facendo sì che il prezzo di un
barile di brent passasse da
110 a 48 dollari. L’inarrestabile discesa del prezzo del barile ha ricondotto le quotazioni
ai livelli del 2009.
Il prezzo del petrolio è il risultato
del rifiuto dell’Araa seguire:
bia Saudita di aderire alle richieste dei
Paesi produttori di
PETRO
petrolio convenzioECONOMIE
nale, OPEC in primis, di ridurre la
I maggiori
produzione-estrazioproduttori
al mondo
ne per bilanciare la
debole domanda
mondiale, conseIRAQ
guenza della prolungata crisi economiIntervista
ca, iniziata nel 2008
all’Ambasciatore
con il fallimento delI numeri dell’ISIS
la banca d’affari
Lehman-Brothers.
Molti analisti hanLIBIA
no visto in questa
decisione della moLa mappa delle
narchia saudita la
forze in campo
volontà di contrastaParla il ministro
re la crescita della
del petrolio
produzione di petrolio non convenzionale (sand-tar oil,
shale oil, tight oil)
resa sempre più accessibile ed economicamente sostenibile grazie alle nuove
tecniche di estrazione (fracking, ma non
solo). Ovvero, in breve, come una guerra commerciale senza quartiere tra Arabia Saudita (primo produttore di petrolio
convenzionale), Stati Uniti (primo produttore di petrolio non convenzionale e
primo produttore mondiale assoluto di
gas) e Canada (primo produttore di petrolio da sabbie bituminose, con 1,7 milioni di barili al giorno).
N
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LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
QUANDO CALA IL PREZZO DEL PETROLIO, CALA ANCHE L’OCCUPAZIONE
La caduta del prezzo del petrolio nel 2008-2009 ha impattato sul mercato del
lavoro petrolifero sei mesi dopo.
U.S. CRUDE FUTURES - CHIUSURA MENSILE, DOLLARO PER BARILE
Calo del Prezzo 70%
150
Calo del Prezzo 54%
Giugno 2008: 140
100
Giugno 2014: 105.37
50
Gennaio 2015: 48.24
Gennaio 2009: 41.68
0
2005
2006
2007
2008
2009
2010
OIL & GAS JOBS - IN MIGLIAIA DI DIPENDENTI
2011
2012
Estrazione di petrolio e gas
2013
2014
Attività di supporto
51,000 jobs shed
600
Settembre 2008
390,6
Ottobre 2009
339,6
400
200
0
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
Nota: U.S. crude futures chiuse al 13 Febbraio
fonte: U.s. bureau of labor statistics
FRACKING
Fratturazione
idraulica
del sottosuolo
finalizzata ad
estrarre gas
e petrolio
da argille
in quantità
superiori
alla norma
La caduta del prezzo del greggio potrebbe non essere il
risultato di una strategia di breve periodo, ma potrebbe
continuare a lungo come ha recentemente lasciato intendere il ministro del petrolio saudita, che ha affermato: “che il
prezzo del greggio scenda a 20 dollari al barile, a 40, 50 o
60 è irrilevante”.
Recenti valutazioni stimano, infatti, che ai livelli correnti
di spesa con un prezzo del barile a 60 dollari la monarchia
saudita non avrebbe bisogno di ricorrere alle sue imponenti riserve valutarie (900 miliardi di dollari) per almeno
quattro anni, mentre con un prezzo del greggio compreso
tra 40 e 50 dollari al barile, dovrebbe attingere alle riserve
valutarie per 10 miliardi al mese. Costi sicuramente
sostenibili, anche in una prospettiva di medio periodo. A
questa sorta di ordalia, la monarchia saudita avrebbe sacrificato non solo l’amicizia degli USA, ma persino la stabilità
del cartello dei produttori OPEC.
Come riconciliare questa visione con la vista a Riad del
27 gennaio scorso del Presidente Barack Obama, di sua
moglie Michelle e di una delegazione di alto profilo di cui
facevano parte il segretario di stato John Kerry, Nancy Pelosy, Joe Crowley, il direttore della CIA John Brennan, il
Geopolitica
Generale Austin, comandante della regione arabica, Condoleeza Rice, eccetera? Proviamo a raccontare una storia
diversa.
Il rapporto di gennaio dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) afferma che l’effetto della caduta del prezzo sulla produzione canadese (-90.000 barili al giorno) e
statunitense (-80.000 barili al giorno) sarà inferiore alle
“
emesse da aziende attive nel settore petrolio e gas. Quindi,
i fondi di Private Equity hanno deciso di supportare le banche nel finanziamento dell’industria petrolifera non convenzionale americana e rinviare così la riduzione delle perforazioni-estrazioni.
Viceversa, il basso prezzo del greggio potrebbe compromettere i nuovi progetti di esplorazione e perforazione (oltre 100 miliardi d’investimenti), in particolare quelli in acque profonde e nei mari artici
(quindi Russia soprattutto), che per produrre campi di coltivazione sostenibili richiedono un prezzo del petrolio ben superiore ai
100 dollari al barile.
A questo punto, si può tracciare l’identikit
dei bersagli del nuovo duopolio Arabia Saudita e USA che governa l’offerta mondiale
del greggio e del gas naturale, il cui prezzo è
indissolubilmente legato a quello del petrolio, passato in un anno da 6 a 2,8 dollari.
Al primo posto troviamo la Russia, secondo produttore
di gas dopo gli Usa e terzo produttore di petrolio, di fatto
una oil-economy (il 50% del suo PIL proviene dal settore
idrocarburi), sotto embargo per la crisi Ucraina.
Al secondo posto, la repubblica sciita dell’Iran, altra oileconomy sull’orlo di una crisi umanitaria per il pluriennale
embargo dovuto alla questione del nucleare e alleata della
Russia e di Bashar Assad nella crisi siriana, nonché ispiratrice degli insorti sciiti che hanno conquistato Sanaa, capitale dello Yemen.
LA CADUTA DEL PREZZO DEL GREGGIO
POTREBBE NON ESSERE IL RISULTATO
DI UNA STRATEGIA DI BREVE PERIODO
”
aspettative, indicando come i produttori non convenzionali
siano in grado di fronteggiare una caduta del prezzo anche
di queste dimensioni.
I produttori non convenzionali efficienti, cioè quelli dotati di nuove tecnologie e di estesi campi di coltivazione,
hanno infatti smentito gli esperti che indicavano in 60 dollari il prezzo minimo per evitare di produrre in perdita (il
prezzo minimo per i produttori più efficienti è stimato tra
35 e 40 dollari al barile). Il che testimonia che il fracking e
le altre tecnologie di estrazione non convenzionale sono ormai affidabili e sostenibili.
A sostenere i driller statunitensi nella loro incessante
opera di perforazione di
nuovi pozzi, sono segnalati
i grandi fondi di Private
Equity (fondi che investono
GLI INVESTIMENTI USA
in capitale di rischio d’imPER ESPLORAZIONI
prese). Tra questi figura
E PERFORAZIONI
Blackstone Group, il più
grande Private Equity del
mondo, che il mese scorso
ha finanziato con 500 milioni di dollari Linn Energy e
che attraverso il gruppo
L’EFFETTO DELLA CADUTA
GSO sta allestendo un fonDEL PREZZO SULLA
do dedicato al settore enerPRODUZIONE CANADESE
getico di un miliardo di dollari. Altri grandi fondi Private, come Apollo Global
Management e KKR, stanno
costituendo fondi per acquisire le obbligazioni
100 MLD
di dollari
-90.000
barili di greggio
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
23
Geopolitica
Al terzo posto, si piazza il Qatar
dell’emiro Tamin Bin Hamad Al Thani, grande produttore di petrolio e soprattutto di gas, storico avversario
della monarchia saudita. Il Qatar, attraverso la rete mediatica di Al Jazeera, ha offerto finanziamento e protezione, quando non asilo, ai ribelli in
Mali, alla Fratellanza egiziana e ad
Hamas. Non solo, con gli investimenti
del suo miliardario fondo sovrano cerca ora di conquistarsi un posto tra le
potenze regionali a danno della monarchia wahhabita di Riad.
Infine, nel mirino c’è il Venezuela
del presidente NiINTESA
cholas Maduro, doSTRATEGICA
ve il PIL si è ridotto
WAShINGTON E
del 2,4%, la disoccuRIAD PUNTANO
pazione ha raggiunA ISOLARE
to il 5,5% e l’inflaLA RUSSIA E
zione tocca il 64%.
RIDIMENSIONARE
Il Venezuela, Paese
L’IRAN
con le maggiori riserve di petrolio al
mondo e che deriva oltre il 90% delle
sue entrate in dollari dal petrolio, per
tentare di contrastare il sempre più
probabile default (stimato al 67%) si
appresta a lanciare un nuovo sistema
di cambio bolivar-dollaro, visto che al
tasso ufficiale di 6,3 bolivar per dollaro
- che verrebbe sostenuto solo per alcuni beni primari e per i farmaci - corrisponde un cambio al mercato nero di
180 bolivar per dollaro.
Se le cose stanno così, la vicenda
del prezzo del petrolio non segna tanto la crisi della storica alleanza USAArabia Saudita, ma l’avvio di una cooperazione strategica tesa a piegare chi
si oppone al nuovo ordine disegnato
da Washington e Riad.
Ridimensionare la Russia e circondarla
con un “cordone sanitario”, infrangere le
aspirazioni nucleari della repubblica degli ayatollah, circoscrivere la minaccia
sciita nel mondo musulmano riaffermando la leadership saudita nella penisola arabica, e cancellare l’eredità chavista nel Sud America sono specchio di
una partita di poker in cui Washington
può calare i suoi numerosi assi.
24
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
PRINCIPALI DISTRIBUTORI DI PETROLIO E GAS
Il fornitore di servizi petroliferi Baker hughes ha annunciato una possibile
fusione con la rivale halliburton. Ecco le 20 principali fusioni di società
di idrocarburi degli ultimi vent'anni.
Target/date announced
Deal value
Acquirer
Shell Transport & Trading
Ott. 2004
$95,4 miliaridi
Mobil
Dic. 1998
85,1
Kinder Morgan Energy Partners
Ago. 2014
Elf Aquitaine
Lug. 1999
Amoco
Ago. 1998
Brazil-Oil & Gas Blocks
Set. 2010
XTO Energy
Dic. 2009
Burlington Resources
Dic. 2005
36,5
ConocoPhillips
El Paso
Ott. 2011
36,2
Kinder Morgan
TNK-BP
Ott. 2012
27,9
NK Rosneft
Mag. 2006
27,5
Knight Holdco
TNK-BP
Ott. 2012
26,1
NK Rosneft
Cenovus Energy
Nov. 2009
22,7
Shareholders
ConocoPhillips-Refining ,Mktg
April 2012
21,7
Shareholders
Lattice Group PLC(BG Group)
Mar. 2000
20,2
Shareholders
Lattice Group PLC
Apr. 2002
18,4
National Grid Group
Petro-Canada
Mar. 2009
18,3
Suncor Energy
Kerr-McGee
Giu. 2006
18.2
Anadarko Petroleum
Unocal
Apr. 2005
18,2
ChevronTexaco
Nexen
Feb. 2013
17,7
CNOOC Canada Holding
Kinder Morgan
fonte: thomson Reuters
58,6
55,3
52,7
42,9
40,7
Royal Dutch Petroleum
Exxon
Kinder Morgan
Total Fina
British Petroleum
Petroleo Brasileiro
Exxon Mobil
borsa enerGetica
coMe caMbia il Mercato del petrolio e del Gas
La Geopolitica dell’energia
Nonostante il calo del prezzo del petrolio, l’output degli Stati Uniti
continua a crescere a ritmi record
l 23 gennaio 2015, all’età di 91 anni, è
scomparso Abddullah bin Abdulaziz, re
dell’Arabia Saudita dal 2005 e figlio del
fondatore del regno Abdul Aziz bin Saud.
Società di studi
A succedergli il fratellastro Salam (80 aneconomici
ni), che nei primi giorni di regno ha riceindipendente,
vuto la visita di una delegazione bipartisan
realizza attività di
ricerca e consulenza
dagli Stati Uniti, guidata dal Presidente Obama.
economica per
Obiettivo rafforzare l’asse Washington-Riad,
imprese, associazioni
che
vede i due Paesi uniti nella lotta all’IS, ma
e pubbliche
anche,
in maniera meno manifesta, nell’indeboamministrazioni,
limento di avversari storici, quali Russia e Venea livello nazionale
e internazionale
zuela per gli USA, e Iran per l’Arabia Saudita.
La decisione presa a fine novembre dell’Arabia Saudita, primo
esportatore al mondo
ARABIA SAUDITA:
PRODUZIONE DI GREGGIO E % OPEC
e responsabile di un
terzo della produzione OPEC, di non tagliare l’output nonostante il crollo dei
prezzi, per Mosca,
Caracas e Teheran,
che vedono nelle
esportazioni petrolifere il cuore del proprio sistema economico, rappresenta un
vero e proprio terremoto recessivo che,
IMPIANTI DI PERFORAZIONE ATTIVI E PREZZI
con le dovute diffeDEL PETROLIO (STATISTICHE SETTIMANALI)
renze, lascia intravedere all’orizzonte il
rischio default.
Negli USA, gli effetti dell’inesorabile
calo sotto i 50 dollari/bbl sono tutto
sommato circoscritti,
con impatti sostanzialmente relegati a
società economiche
o finanziarie collegate alla produzione
A CURA DI
NOMISMA
ENERGIA
I
americana. L’output statunitense, osservato
speciale dall’inizio del trend ribassista, continua
infatti a crescere toccando nuovi record verso i
9,2 mln.bbl/g di produzione di solo greggio.
Tali valori sono collegati a investimenti di
sviluppo che hanno dei timing d’implementazione pluriennali, e quindi possono essere
condizionati da shock di prezzo solo nel medio termine. Al contrario, l’attività esplorativa
e di perforazione è invece più price sensitve e
collegata alla congiuntura, ed è qui che cominciano a vedersi le prime conseguenze del
crollo dei prezzi, con una riduzione del numero di impianti di perforazione attivi sul
suolo americano. Secondo il Rig Count elaborato dalla società di servizi Baker and Huges,
negli Stati Uniti al 30 gennaio 2015 si contavano 1.543 trivelle attive tra onshore e offshore, 90 in meno che una settimana prima e 242
meno che a inizio 2014. E, in prospettiva, ci si
attende un ulteriore spostamento nel tempo
di investimenti in estrazione per i giacimenti
unconventional, a causa della bassa reddittività garantita dalle quotazioni dei greggi.
Malgrado il cambio alla guida dell’Arabia Saudita, la strategia di immobilismo di Riad non è
destinata a cambiare: con costi di produzione
che oscillano tra i 4 e i 5 dollari/bbl, e un debito
pubblico che non raggiunge il 2% del PIL (quello italiano è intorno al 130% del PIL), può permettersi cali, anche nel medio termine, verso i
20 dollari/bbl. Se a ciò si associano gli annunci
di diversi Paesi OPEC di non avere alcuna intenzione, nel breve e nel medio termine, di tagliare
il proprio output per non perdere quote di mercato, in futuro i fondamentali del cartello, lato
offerta, dovrebbero rimanere ribassisti.
Ciò che intuitivamente appare positivo, segnala il Fondo Monetario Internazionale, in
realtà si ripercuoterà in maniera negativa sul
PIL mondiale, dove gli impatti negativi per le
economie dei produttori più che compenseranno il calo della bolletta energetica per i
consumatori. Quesitone di prospettive.
elaborazioni ne nomisma energia su dati doe e Iea
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
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Geopolitica
LE PETROECONOMIE
La personalissima guerra di Algeri,
la sfida Doha-Riad e la partita
a scacchi di Mosca e Teheran
ALGERIA
In Salah, oasi situata al centro dell’Algeria, non esistono
grattacieli come nelle illuminate skyline di Doha. Le acque non sono purificate come dovrebbero, l’aria che si
respira è tra le più calde e aride del Paese e gli ospedali
non hanno reparti specializzati come nei ricchi Paesi
del Golfo. Eppure, In Salah è il cuore degli investimenti
in campo energetico del Paese, il punto nevralgico dove
si affollano le più grandi compagnie internazionali che operano
nell’area in partnership con Sonatrach, anche se nessun investimento è mai andato a beneficio della comunità locale.
Perché In Salah non è come Doha se l’Algeria è seconda
solo al Qatar, nel contesto mediorientale, quanto a esportazione di gas naturale? Partono da qui le ragioni delle proteste che infervorano questa località da oltre due mesi. La motivazione ufficiale è l’opposizione della popolazione locale e
delle organizzazioni della società civile alle attività di ricerca di shale gas che Sonatrach sta conducendo da due mesi
nel bacino di Ahnet, a una quarantina di chilometri da In
Salah. Le tecniche utilizzate nelle operazioni di fracking
(processo di fratturazione idraulica di uno strato roccioso
nel sottosuolo attraverso l’impiego di agenti chimici) sono
infatti ritenute deleterie per l’ambiente. Quella ufficiosa, ma
ben più radicata, è invece l’avversione delle popolazioni del
sud (le proteste di In Salah hanno contagiato molte altre località nelle province di Adrar e Tamanrasset) nei confronti
dello Stato per l’abbandono e il disinteresse per queste aree.
Algeri è accusata di ignorare ogni richiesta di investimenti e
sviluppo del Grande Sud algerino (dalla sanità all’educazione, dalle infrastrutture all’impiego giovanile).
Quel che preoccupa maggiormente le autorità algerine è
il timore che dietro le proteste legate allo shale gas, vi sia
addirittura lo zampino del Qatar. Chi altri potrebbe godere
di un improvviso dietro front del grande colosso nordafricano dell’energia, si domanda infatti il governo? L’ombra
del soft power qatarino - che ha già pesantemente influenzato l’andamento delle Primavere arabe - si staglia anche
dietro questa ennesima sollevazione popolare, che sta mettendo a dura prova la tenuta del governo algerino. (m.p.)
A
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DOHA
Il nome della
capitale
dell’emirato
significa
“grande albero”
IN SALAH
Il nome dell’Oasi
algerina significa
“buon pozzo”
QATAR
l 24 febbraio, l’Emiro del Qatar
Sheikh Tamim bin Hamad Al
Thani ha incontrato il Presidente
USA Barack Obama nella sua prima visita alla Casa Bianca, da
quando ha assunto l’incarico
succedendo al padre nel 2013. Un
incontro dettato dalle urgenze politiche che discendono dai vari focolai di
crisi: dallo Stato Islamico alla Libia, fino alle tensioni tra Qatar e Egitto e in
seno al Consiglio di Cooperazione del
Golfo. In agenda, anche colloqui sulla
situazione economica che deriva dal
crollo del prezzo del petrolio che sta
mettendo in ginocchio le economie
dei maggiori rentier state, Qatar incluso, e che di conseguenza gl’impone di
puntare tutto sulla sua risorsa primaria, il gas. Non a caso, Doha attende
con trepidazione la chiusura dell’accordo con il Pakistan grazie al quale
cui l’Emirato fornirà 3 milioni di tonnellate di LNG per i prossimi 15 anni.
I
tamim bin hamad al thani
Geopolitica
PROSPETTIVE SUI FUTURI PROGETTI DI GAS PETROLIO
ARABIA
SAUDITA
on il recente cambio ai vertici
della dirigenza saudita, seguito alla morte di Re Abdallah e
all’ascesa al trono di Re Salman, due considerazioni sono
necessarie circa la direzione
che la politica interna del Regno intende assumere. Innanzitutto, a
fronte dell’ampio rimpasto ministeriale effettuato, spicca il mantenimento
di Ali Al Naimi al posto di Ministro
del Petrolio. Ormai ottantenne, in carica da due decenni e prima presidente della Saudi Aramco (la società petrolifera di Stato), Al Naimi ha già attraversato gli anni bui delle precedenti
crisi energetiche e finanziarie dei primi anni Ottanta e di fine anni Novanta, oltre all’ultima recessione globale.
La riconferma del suo incarico a fine gennaio indica che il colosso saudita del petrolio difficilmente rivedrà
le rigide posizioni già imposte all’ultimo vertice OPEC di novembre. Quanto alle politiche sulla sicurezza interna, la dice lunga la nomina del triumvirato che Re Salman ha voluto ai vertici dei reparti per la difesa nazionale.
Nominando suo figlio, Mohammed
bin Salman a ministro della Difesa, riconfermando agli Interni Mohamed
bin Nayef (tra l’altro, principe ereditario, secondo in linea di successione) e
rimpiazzando il capo dell’intelligence
con il Generale Khalid bin Ali bin Abdullah al Humaidan, il sovrano si è
circondato di persone a lui molto vicine e potenti, nonché amiche delle
agenzie americane CIA e FBI. Salman
ha, inoltre, messo tra le sue priorità il
contenimento delle frontiere: a nord
con l’Iraq, dove è già attivo il programma di sensori anti-attacco
(SBGDP), e a sud con lo Yemen, dove
il recente colpo di Stato sciita ha peggiorato la situazione. (m.p.)
C
Il futuro dei progetti di gas e petrolio nel mondo appare incerto dopo la caduta del
40% del prezzo del petrolio negli ultimi cinque mesi, intorno ai 70 dollari al barile.
Riserve stimate per ciascun anno di FID*
In milioni di BOE (barrels of oil equivalent) al giorno
100,000
I *Final Investment Decisions (FID) per i grandi
progetti possono determinare il profilo futuro delle
maggiori compagnie petrolifere internazionali.
80,000
60,000
Progetti
Onshore
40,000
20,000
Progetti
Offshore
0
Anno di FID:
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
2018
2019
Stime di produzione per i progetti con FID 2015
In milioni di BOE al giorno
A SECONDA DELLA TIPOLOGIA
A SECONDA DEL PREZZO BREAKEVEN DEL PETROLIO
8
8
7
7
Gas
6
6
5
5
Gas condensato
4
4
$80-100
3
3
$60-80
2
2
Oil
$40-60
1
1
$20-40/BOE
0
0
2015
2020
2025
2015
2020
2025
fonte: UCube by Rystad energy
SBGDP
Il Saudi Border
Guard
Development
Program,
sviluppato
dal gruppo
euro-francese
Airbus, consiste
in un sistema
di monitoraggio
e difesa dei 900
km di frontiera
settentrionali tra
Arabia Saudita
e Iraq.
Consta di un
muro di sabbia
intervallato
da filo spinato
e torrette di
controllo dotate
di veicoli-vedetta,
radar a raggi
infrarossi,
videocamere e
stazioni radio.
IRAN
l vicepresidente iraniano Eshag Jahangiri lo ha definito un “complotto politico” per destabilizzare Teheran.
Il calo del prezzo del petrolio, infatti, complica non
poco la situazione economica dell’Iran, già costretto a
drastici tagli alla spesa pubblica per far fronte all’embargo imposto da Stati Uniti, Unione Europea e
Nazioni Unite per i suoi piani di riarmo nucleare. La
deadline per il raggiungimento di un accordo con il gruppo
dei 5+1 è slittata al 30 giugno 2015. All’ombra della partita diplomatica condotta dal ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif, intanto, il governo degli Ayatollah lavora
per tenere unito il fronte sciita in Medio Oriente: quel che
resta del regime di Bashar Assad in Siria, Hamas in Palestina, Hezbollah in Libano e i ribelli Houthi in Yemen. Gli affari collegano invece l’Iran principalmente alla Russia, alla
Turchia (con cui si lavora sul gas nonostante le posizioni divergenti sul conflitto siriano), al Pakistan e a quelle grandi società energetiche europee che hanno già riposizionato le proprie succursali intorno a Teheran. Sullo sfondo resta apertissima la sfida con Israele: l’Iran prova a sfruttare le rotte clandestine del traffico di armi per sostenere i nemici di Tel Aviv,
finora però il Mossad ha sempre prevenuto ogni sua mossa.
I
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
27
Geopolitica
RUSSIA
orte dell’alleanza sempre più consolidata
con la Cina, negli ultimi mesi il presidente
russo Vladimir Putin
si è mosso principalmente su due fronti.
La prima pista conduce ad
Atene e Ankara. Sfilatasi
dal progetto di realizzazione del gasdotto South Stream, al momento congelato,
il colosso energetico Gazprom ha trovato con la società turca Botas l’intesa
per un nuovo tracciato che
dai giacimenti della Russia
attraverserà il Mar Nero virando poi sulla Turchia:
quattro ramificazioni lunghe oltre 900 chilometri e
capaci di trasportare 63 miliardi di metri cubi di gas.
In questa partita, potrebbe entrare in gioco anche la
F
Grecia del nuovo premier
Alexis Tsipras, che in cambio di liquidità e investimenti potrebbe garantire al
Cremlino un avamposto
strategico tra il Mediterraneo e l’Europa. L’altro alleato su cui punta Putin è Teheran. Anche qui vale la logica dello scambio. Mosca
offre tecnologia e investimenti sul nucleare, forniture di armi e, soprattutto,
una posizione morbida nel
gruppo dei 5+1. In cambio, ottiene una sponda per
far valere il suo peso in Medio Oriente, mirando nel
medio termine ad accaparrarsi la fetta più
consistente del mercato iraniano, nel
momento in cui verrà allentata la morsa
dell’embargo. (r.b.)
NICOLAS MADURO
Sotto la sua presidenza, il PIL del
Paese è sceso a -2,8% nel 2014
28
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
VENEZUELA
5+1
Il “board”
è composta
da Russia, Cina,
Stati Uniti,
Francia,
Regno Unito
più la Germania
a dipendenza dal petrolio e le
voragini economiche emerse dopo quindici anni di chavismo,
fanno del Venezuela uno dei
Paesi meno attrezzati per sopperire al calo del prezzo del greggio. A metà gennaio, il presidente Nicolas Maduro ha girato il mondo
in cerca di sostegno, trovando però
solo nell’Algeria un interlocutore disponibile a formare un fronte unito
per la stabilizzazione del mercato petrolifero. Da allora, di fatto, poco è
cambiato. Gli indici dell’inflazione e
della disoccupazione altissimi, gli
scontri diplomatici con gli Stati Uniti e
gli arresti eccellenti degli oppositori
(l’ultimo è stato il sindaco della capitale Caracas, Antonio Ledezma, accusato di tramare un colpo di Stato), trasmettono all’esterno l’immagine di un
Paese sull’orlo del baratro, sempre più
vicino allo spettro del default. In vista
delle decisive elezioni parlamentari
che dovrebbero tenersi entro l’anno, a Maduro non resta che
sperare nella solidarietà dei
Paesi in via di sviluppo del
G7 e, soprattutto, in nuovi
investimenti da parte della Cina. (r.b.)
L
FARE
BUSINESS
ALL’ESTERO
IL SALTO DI
QUALITÀ DI RIAD
li immensi giacimenti di petrolio e
gas e la presenza
dei principali luoghi sacri dell’Islam
conferiscono
all’Arabia Saudita un
peso geo-economico, politico e morale senza pari nel
mondo musulmano.
L’Arabia Saudita rappresenta, dopo gli Emirati Arabi Uniti, il secondo mercato
di riferimento per l’Italia in
Medio Oriente, con oltre 4,5
miliardi di euro di beni esportati nel 2013 e nei primi dieci
mesi del 2014 i dati si confermano in linea con una crescita tendenziale del 3,5%.
Le nostre esportazioni sono ben posizionate in settori chiave per lo sviluppo industriale come la meccanica strumentale e nel mediolungo termine potrebbero
sorgere ottime opportunità.
La recente scomparsa del
re Abdullah non ha compromesso in modo sostanziale la stabilità del Regno e
il suo successore Salman cercando di puntellare la
sua situazione - sarà altrettanto riluttante a tenere a
freno la spesa fiscale,
G
accelerando il deterioramento delle finanze statali e
costringendo il governo ad
attingere alle sue ingenti riserve. Ma si sa che a Riad
non mancano tasche profonde e soprattutto non esistono debiti da estinguere.
Oggi è necessario però fare i conti con il cambiamento e sono proprio la staticità
del sistema politico e l’elevata disoccupazione giovanile
a costituire le principali sfide
alla stabilità di lungo periodo del Paese, rimasto peraltro immune dai fermenti
delle primavere arabe.
L’Arabia Saudita sta vivendo uno straordinario momento di floridità economica
e finanziaria, anche grazie a
una politica fiscale espansiva, con focus su sanità, educazione e infrastrutture.
Nel lungo periodo i sussidi non possono bastare ma
serve generare lo sviluppo
economico e i conseguenti
benefici sulla popolazione:
a Riad è arrivato il momento
di fare un salto di qualità.
Le previsioni 2015 indicano una crescita del PIL in
lieve miglioramento rispetto
al 2014, trainato dalla spesa
pubblica in investimenti e
da una robusta attività nel
settore privato.
Le autorità saudite puntano
su una strategia di diversificazione
dell’economia. L’obiettivo
è abbassare la dipendenza
dal petrolio e dal gas. I progetti,
e i soldi per finanziarli, non mancano
Le autorità saudite stanno
perseguendo una strategia
di diversificazione dell’economia del Regno, cercando
di abbassare la dipendenza
dallo sfruttamento delle risorse energetiche non rinnovabili e i progetti non
mancano.
Per quanto riguarda le costruzioni è prevista la realizzazione di 6 “città economiche” per un investimento
globale di oltre 100 miliardi di
dollari e il potenziamento di
una “Industrial Valley” dove
lo scorso dicembre ha già iniziato la sua attività un grosso
stabilimento della Mars, marchio di fama mondiale.
Nel processo di diversificazione a valle del petrolio
dal petrolchimico si è passati alla produzione di materie plastiche ed è intenzione del Regno sviluppare ulteriormente la filiera, ad
esempio nel packaging.
Emergono nuove sensibilità
sul tema delle rinnovabili e
l’obiettivo è garantire entro
il 2032 una capacità da fonti
energetiche rinnovabili pari
a 54 GW tra solare fotovoltaico, solare termodinamico, eolico, geotermico e
energia da rifiuti.
Riad, dunque, guarda al
futuro. Sta a noi coglierne le
opportunità.
a cura di
IBS ITALIA
Società di consulenza
specializzata
nell’offerta di servizi
all’internazionalizzazione
d’impresa: studi di
mercato, tax planning,
ricerca partner,
assistenza operativa
in loco, organizzazione
eventi, redazione
pratiche per
finanziamenti agevolati
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
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Geopolitica
FOCUS
Baghdad,
avamposto
contro
lo Stato
Islamico
L’intervista all’ambasciatore
iracheno in Italia, Saywan
Barzani, svela alcune
sfumature di una guerra
politica che ha dilaniato un
Paese ma che, nonostante
il sangue e l’orrore,
vede crescere il proprio PIL
del 6% annuo
di Luciano Tirinnanzi e Rocco Bellantone
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LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
IRAQ
Qual è la situazione reale oggi in Iraq?
La crisi che stiamo vivendo risale al 2003, e
dunque alla caduta del regime di Saddam
Hussein. Da allora, gruppi di terroristi arrivati
soprattutto dalla Siria hanno iniziato ad attaccarci con il sostegno di altri Paesi del Medio
Oriente e del mondo arabo. Dal giugno 2014,
sempre dalla Siria c’è stata una nuova ondata
di offensive militari, condotte però questa volta da un vero e proprio esercito organizzato,
l’esercito dello Stato Islamico. Sinora hanno
preso il controllo di Mosul, Tikrit e di molte altre città e province della parte ovest dell’Iraq.
Un’armata di quindicimila combattenti che
non provengono solo dalla Siria, ma da altri 87
Paesi del mondo. In Siria, in questi anni di
guerra civile, sono stati addestrati e armati fin
troppo bene. Per questo, ora abbiamo bisogno
dell’aiuto della comunità internazionale.
Quella in corso in Siria e Iraq è descritta da
molti come una guerra tra sunniti e sciiti.
È così?
Sono gli interessi politici ed economici che
spingono per questa visione. In Iraq c’è sicuramente un forte comunitarismo, ma questa non
è una guerra tra sunniti e sciiti, bensì una
campagna terroristica e criminale che non ha
niente a che fare con l’Islam.
Chi è il Califfo Al Baghdadi e che cos’è lo
Stato Islamico?
Dietro lo Stato Islamico c’è un’ideologia totalitaria, da malati di mente. Il 99% delle vittime dello Stato Islamico sono musulmane.
Hanno distrutto le nostre città, perseguitato
cristiani, yazidi e ogni altra minoranza che si è
rifiutata di sottostare alle loro tasse. Al Baghdadi era un giovane iracheno che lavorava
per il regime di Saddam Hussein. Dopo la sua
caduta, ha radunato i soldati dell’esercito baahatista, gli ha fatto tagliare i baffi e allungare
la barba, poi ha guidato i primi attacchi contro
gli americani e contro il nuovo governo. Molti
di quelli che sarebbero poi diventati suoi miliziani sono stati assoldati nelle prigioni americane come Camp Bucca. Lo stesso è accaduto
in questi anni anche nelle carceri d’Europa.
UN SALUTO
ALLA PATRIA
Hadeel Azeez
(2013)
Collezione
Ambasciata Iraq
a Roma.
Smalto su tela
cm. 300x300
Geopolitica
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
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Geopolitica
L’instaurazione del Califfato
Islamico è un progetto politico che include solo i sunniti?
Secondo la loro visione, il
Califfo dev’essere sunnita e avere una provenienza diretta dalla
famiglia del Profeta.
Al Baghdadi dice di
essere un Quraish,
vale a dire un membro della famiglia del
Profeta. Nell’Islam, come noto, i principi del Corano sono molto vicini a quelli della Bibbia e del Vangelo.
Le interpretazioni, invece, sono per la maggioranza false. E
proprio una di queste interpretazioni false afferma che il
Califfo deve avere una linea
diretta con la famiglia del Profeta, ma questo passaggio nel
Corano non esiste.
Tra gli obiettivi dello Stato Islamico c’è
il Kurdistan iracheno. Lei, che è di origini curde, come spiega questa cosa?
Prima dell’arrivo dei terroristi, la
popolazione in Kurdistan era di cinque milioni e mezzo di persone, oggi
è arrivata a dieci milioni. Tutte le minoranze perseguitate nel nord dell’Iraq hanno trovato rifugio qui: cristiani, shabaq, sciiti, yazidi, duecentosettantamila siriani e più di un milione di sunniti che hanno lasciato
Mosul, Tikrit e Ramadi. Al momento,
in totale ci sono due milioni e trecentomila profughi, in pratica uno ogni
tre abitanti. Lo Stato Islamico vuole
attaccare il Kurdistan perché è la testimonianza che in Iraq possono convivere pacificamente comunità, culture
e religioni diverse. È un simbolo che
loro vogliono abbattere. Perché ciò
non accada, c’è bisogno dell’aiuto
della comunità internazionale.
FOCUS
Quindi si tratta solo di propaganda?
I Califfi che si sono succeduti dopo la morte del Profeta
hanno utilizzato questo e altri
argomenti per governare e legittimare la propria posizione
di dominio. La cosa grave è
che il principio di queste successioni è stato tramandato di
generazione in generazione e
oggi viene studiato in molte
scuole nel mondo arabo. Il
problema, dunque, è anche e
soprattutto culturale. Le università e i centri studi di Egitto e Tunisia, ma anche dell’Iran, devo impegnarsi insieme per porre fine a questa
propaganda. Non possiamo
permettere che si trasmetta
un’ideologia secondo cui è
giusto uccidere chiunque non
sia d’accordo con questa visione. E questo discorso vale
anche per l’Europa, dove la
propaganda si copre dietro la
libertà di espressione.
32
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
“
L’ISIS ATTACCA IL KURDISTAN
PERCHÉ RAPPRESENTA LA PACE TRA
COMUNITÀ, CULTURE E RELIGIONI
”
Alla fine di questa guerra ci sarà un
Kurdistan indipendente?
Il popolo curdo ha subito un genocidio per settant’anni nel silenzio del
mondo. Dei suoi cinquemila villaggi
ne sono rimasti cinquecento e più
dell’80% della popolazione è stata deportata, soprattutto durante il regime
di Saddam. Dopo la sua caduta, i curdi hanno comunque deciso di collaborare con il popolo iracheno per la
creazione di nuove istituzioni, che oggi assomigliano molto a quelle del
Kurdistan, dal monocameralismo al
sistema di voto. Il 99% dei curdi ha
votato la nuova Costituzione irachena. Sono quindi parte integrante dell’Iraq. Non è facile creare un grande
Geopolitica
Kurdistan tra Siria, Turchia, Iran e
Iraq. La soluzione è avere garantiti i
diritti: parlare la propria lingua, e avere autonomia amministrativa ed economica. E in Iraq, i curdi godono di
questi diritti.
Nella guerra contro lo Stato Islamico,
il governo iracheno deve tenere conto anche dei rapporti con Damasco.
Si può collaborare con Bashar Assad?
Noi vogliamo per la Siria un governo democratico che rispetti i diritti
umani del suo popolo e la vicinanza
pacifica con gli altri Paesi della regione. È ovvio che preferisco Assad a Daesh (lo Stato Islamico in arabo, ndr),
perché Assad quantomeno non si è
mai macchiato delle violenze compiute dallo Stato Islamico. Il problema,
però, è che tra il 2003 e il 2009 il governo siriano ha mandato migliaia di
terroristi in Iraq contro gli alleati occidentali. E quegli stessi terroristi sono
poi tornati per combattere contro il regime di Assad. Lo stesso hanno fatto
altri Paesi arabi, senza tenere conto di
quello che sarebbe accaduto dopo.
Si riferisce ad Arabia Saudita e Qatar?
Non posso dirlo con esattezza. So
però che tanti Paesi in questi anni non
hanno fatto nulla per impedire che
migliaia di giovani arrivassero
in Siria per combattere. Il problema però è che in Siria non
comanda l’Esercito Libero Siriano ma Daesh e Al Qaeda.
Per far cadere il regime siriano
ci sarebbe voluto un colpo di
Stato oppure mettere sotto embargo Damasco. Invece, sono
stati fatti arrivare terroristi da
ogni parte del mondo. Quei terroristi sono poi andati in Iraq e
adesso stanno già facendo ritorno in Europa e nel resto dell’Occidente.
Di cosa ha bisogno Baghdad
per sconfiggere lo Stato
Islamico?
Basta mandare aiuti, armi, addestratori e continuare con i raid aerei.
Abbiamo liberato Kobane inviando i
peshmerga e grazie ai bombardamenti
della coalizione. Abbiamo bisogno di
questo tipo di sostegno militare, unito
a un supporto logistico e d’intelligence. Non abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti a instaurare una democrazia, perché in Iraq c’è già ma segue regole diverse da quelle dell’Occidente.
Applicare in Iraq il sistema democratico occidentale è sbagliato?
Questo tentativo ha già rovinato
una volta l’Iraq. La storia dimostra
che il sostegno offerto per instaurare
democrazie in realtà è sempre stato
mosso solo da interessi economici.
L’Europa ci ha messo mille anni per
creare gli Stati Nazione. Pensare di
farlo in Iraq in soli dieci anni non è possibile, perché non si possono uniformare in un unico sistema così tante lingue,
religioni e culture diverse. Solo i cristiani in Iraq contano quattordici comunità
diverse. A Barzan, il mio Paese, c’erano
già una sinagoga, una chiesa e una moschea. Il progetto di esportare il modello occidentale è perciò fallito. Noi abbiamo trovato una soluzione più adatta: una federazione basata sulla democrazia e su altri due punti fondamentali, vale a dire il mantenimento della
lingua materna e della fede religiosa.
Con il nuovo premier Al Abadi abbiamo
ritrovato l’unità tra le varie componenti
del Paese: arabi, curdi, sunniti, sciiti, cristiani, turcomanni. Tutti partecipano al
governo e tutti hanno dei rappresentanti
in parlamento.
L’Italia può essere decisiva per la ricostruzione dell’Iraq dopo questa guerra?
Quando lo Stato Islamico è entrato
in Iraq nel giugno del 2014, l’Italia
presiedeva l’Unione Europa. Nel momento in cui è stata attaccata Erbil tutti
i 28 Paesi membri dell’UE hanno deciso di inviare armi e aiuti umanitari al
Kurdistan. Il vostro Paese si è impegnato per primo in tal senso. L’Iraq è un
grande Paese. Malgrado la guerra e il
calo del prezzo del petrolio, la crescita
per quest’anno sarà comunque del
6%. Entro il 2018 saremo una grande
potenza economica e secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia tra vent’anni su due barili di petrolio prodotti
in tutto il pianeta, uno sarà iracheno.
Ma non abbiamo solo petrolio e sabbia, ci sono anche gas, agricoltura, importanti risorse umane. Il nostro sistema è complementare alle vostre piccole e medie imprese. Ci sono tutte le
condizioni per ricostruire un Paese stabile e ricco, ma abbiamo bisogno del
sostegno del mondo libero.
SAYWAN BARZANI
Nato a Erbil, nel Kurdistan iracheno,
nel 1972, si è laureato in Giurisprudenza
presso l'Università di Orléans e in
Scienze Politiche, Relazioni Internazionali
e Diplomazia presso l'Università
di Parigi Panthéon-Sorbonne.
Ha iniziato la carriera diplomatica nel
1992 come coordinatore dell'ufficio
relazioni pubbliche di Erbil. Dal 2010,
è ambasciatore straordinario e
plenipotenziario della Repubblica
dell’Iraq in Italia e Ambasciatore non
residente presso Malta.
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
33
Geopolitica
L’arte e le donne in Iraq
Intervista ad hadeel Azeez, artista irachena che nel viaggio
da Baghdad a Roma ha visto cambiare lo stato sociale del suo Paese
e l’interpretazione stessa dell’arte
di Marta Pranzetti
Premesso che è dal 2003 che non fai ritorno
nel tuo Paese, che rapporto hai con l’Iraq e
quali sono i ricordi della tua vita lì oggi?
L’idea di rientrare nel mio Paese è come un sogno nel cassetto. Tutti i miei sogni sono là. Come tutte le mie opere aspettano di rientrare.
L’artista che sono oggi, quello che faccio, tutto
è legato a Baghdad, la città nella quale sono cresciuta e dove vive tuttora la mia famiglia. A lungo ho pensato di fare ritorno ma mi ha sempre
frenato il fatto di esser sposata a un occidentale,
il che avrebbe messo in pericolo sia lui che me
(prima per via della guerra poi per il mutato
34
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
contesto sociale, ndr). I miei amici mi descrivono una realtà molto diversa da quella che ho lasciato. La società è diversa nei modi di fare e di
pensare: da un lato c’è una profonda depressione, tanto immobilismo, dall’altro tanta voglia di
cambiare. Ma anche questo cambiamento è
spaccato a metà tra chi lo vuole in un verso e chi
in un altro (leggasi la dicotomia tra sunniti e sciiti e tra liberali e conservatori, ndr). Per quanto
riguarda i miei ricordi, sarà per il mio carattere
da artista sempre “con la testa fra le nuvole”, io
non ricordo niente di traumatico e soprattutto
non ricordo di aver mai subito le distinzioni che
HADEEL AZEEZ
Nata a Baghdad
nel 1981 da padre
iracheno e madre
iraniana.
Frequenta
l'istituto di Belle
Arti della capitale
irachena, prima
di trasferirsi
a Londra, in Puglia
e poi a Roma
Geopolitica
adesso invece dominano il mondo musulmano.
La mia famiglia è sciita, ma mia sorella è sposata con un sunnita e questo non ha mai rappresentato un problema. Né dentro casa né fuori. Oggi invece tale differenza si sente molto.
opera nella vita e quindi anche nella sfera
politica. L’arte per me si concentra sulla filosofia della vita. Forse è da questo che derivano i miei soggetti e questa visione intimista
che in molti riscontrano nei miei lavori.
A proposito di religione e società: come interpreti il rapporto tra arte e religione?
Nel mio caso è stato fondamentale, ma
non nel senso di religione musulmana come
fede e pratica, piuttosto nel senso spirituale
del termine: una religione intesa come legame che unisce l’essere umano a qualcosa di
trascendente. La religione, come la politica e
la filosofia, sono i grandi temi con cui l’individuo si confronta e tramite cui cerca le risposte alla propria esistenza. E il mio studio
dell’essere umano, nelle mie tele, passa appunto anche da qui.
Anche la ricorrenza del corpo femminile è
dovuta a una ragione politica?
Credo che inizialmente sia stata una scelta
inconscia e naturale, dato che i miei studi
all’accademia si erano concentrati su corpi
umani. Essendo donna per me era più facile
dipingere corpi femminili. Con il tempo, invece, ho cominciato a ragionare sul perché
lo trovavo così interessante. Credo di aver avuto una scintilla durante una mia mostra a Cisternino, quando un intellettuale e poeta iracheno residente in Italia ha criticato le mie opere e l’eccessivo uso del corpo femminile, sentenziando che non si deve andare oltre il senso
figurativo e che l’arte deve essere più discreta
con il corpo. In particolare, il risentimento gli
veniva dal fatto che era una donna a raffigurare una donna, forse se stessa, perché nella storia dell’arte figurativa islamica sono sempre
stati gli uomini a dipingere. Il fatto che sia una
donna a “esporsi” può essere percepito come
un affronto. Da lì è nata un’attenzione più consapevole e mirata su questo tema.
Come ti poni allora, da artista e musulmana, nei confronti dell’iconoclastia, la distruzione dell’arte e delle immagini?
Sinceramente, io ho un punto di vista religioso molto particolare. Potrei essere musulmana, cristiana, buddista, ebrea o induista.
Per quanto mi riguarda, sono tutti modi di
conoscersi. Io non credo che sia la religione
di per sé a imporre il divieto di rappresentare figure umane e di certo non condivido
l’avversione che certi gruppi (dai talebani allo Stato Islamico) hanno nei confronti dell’arte. Anzi, la cultura islamica ha una tradizione artistica che fa invidia. L’arte è parte
della vita. Certa gente però non ha la sensibilità per comprenderlo, e non perché musulmana. L’ignoranza è disarmante. E lo è
ancor di più l’egoismo di chi pensa di poter
imporre la sua concezione delle cose sugli
altri. L’unico modo per contrastare queste
forme di pensiero anti-esistenziali, per me, è
continuare a fare quello che faccio.
Le tue opere esprimono una scelta politicamente motivata?
Quello che faccio, ogni mio lavoro, deriva
da uno studio del tutto, del mio sé, di quanto mi succede intorno. Personalmente, per
quanto la mia arte si concentri su soggetti figurativi e ritratti, non riesco a non vedere il
lato politico del mio lavoro, perché tutte le
mie opere e i miei studi ruotano intorno all’essere umano, cosa fa, cosa desidera e come
a stoRy
of lIbeRatIon
(2010)
Colori ad olio su tela
lost In the deep
(2011)
Colori ad olio su tela
e acrilico su tessuto
Riscontri un’evoluzione nel tuo percorso
di artista da Baghdad a Roma?
Assolutamente sì. In accademia a Baghdad
ho studiato ritratti, paesaggi e natura morta.
Il corpo e i volti hanno però sempre destato
in me un interesse particolare, e negli ultimi
anni ho preso a inserire anche versi di poeti
iracheni sulle mie tele. Questi dettagli sono diventati quasi il mio timbro. D’altronde, nella
tradizione islamica le parole hanno un valore
molto profondo anche in campo artistico.
to WheRe
I WoUld esCape
(2009)
Colori ad olio su tela
Quali sono i tuoi modelli di riferimento?
Ho sempre apprezzato molto gli studi di
Caravaggio e Rembrandt, che sono maestri
di luce. Un’artista contemporanea che ammiro è invece l’iraniana Shirin Neshat. Mentre a livello ideologico direi che uno dei miei
maggiori modelli d’ispirazione è stato mio
padre, comunista convinto e al tempo stesso
atipico, che ha influenzato il mio modo di
percepire le cose, dalla politica alla storia,
dall’arte alla vita.
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
35
Geopolitica
Daesh e l’armata
internazionale
Una milizia eterogenea
e misteriosa,
proveniente da oltre
80 paesi del mondo,
è riuscita a instaurare
un nuovo stato
nel cuore della
mesopotamia. ecco
con quali strumenti
di Marco Giaconi
IRAQ
uanti sono i combattenti stranieri che operano con l’ISIS in
Iraq e Siria, oggi? Molti, e
questo fenomeno è un dato
politico e strategico fondamentale per il nostro futuro
europeo e mediterraneo.
Si calcola che gli jihadisti provenienti
dall’Europa, dagli USA e dalle aree
islamiche periferiche siano oltre ventimila, esattamente 20.730, il maggior
numero di “volontari” dalla fine della
Seconda Guerra Mondiale. Il totale dei
militanti ISIS, fra stranieri e autoctoni,
è di 31.000 militanti, secondo la CIA,
ma i Servizi russi parlano addirittura
di 38.000 elementi. Hanno ragione
tutti e due: la differenza è tra i militari
a tempo pieno e i collaboratori dell’armata jihadista.
I Foreign Fighters vengono da 81
Paesi e quindi si tratta del primo fenomeno di statualizzazione globale
Q
36
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
del jihad, e questo avviene proprio
nell’area-cardine di tutto il Grande
Medio Oriente, non alla periferia
dell’Islam, come in Afghanistan, in
Sudan (la prima tappa di Bin Laden
dopo il suo “lavoro” afghano) o in
Yemen.
Siria e Iraq sono il centro di gravità dell’Islam, sono strategicamente
vicini a Israele, possono rapidamente modificare gli equilibri energetici,
sociali e strategici dell’Europa e della NATO. Se quindi, come si desume
dai files trovati nei computer di Osama Bin Laden, il fondatore di Al
Qaeda voleva continuare a colpire il
Nemico Primario, gli USA e i Paesi
islamici “traditori”, e solo successivamente le aree periferiche, la “linea”
di Al Baghdadi e del suo ISIS è opposta: creare un territorio statuale, non
una semplice rete jihadista, e da lì
partire per una massificazione del jihad soprattutto dove il Nemico, ovvero noi, è più debole e manipolabile: in Europa e nel Maghreb stupidamente destabilizzato dalle “Primavere Arabe”.
IL CALIFFO IBRAHIM
Abu Bakr Al Baghdadi
nasce nel 1971
a Samarra, Iraq, col
nome Ibrahim Awad
Ibrahim Al Badry
Geopolitica
NIENTE PIÙ CONFINI
DOPO LA SIRIA E L'IRAQ,
DOvE LO STATO ISLAMICO hA
fATTO DI RAQQA E MOSUL LE
DUE CAPITALI DEL CALIffATO,
ADESSO I MILIzIANI PUNTANO
SUL LIBANO, LA LIBIA E IL RESTO
DEL NORD AfRICA
ARMI E MEZZI IN DOTAZIONE ALLO STATO ISLAMICO
Armi leggere
Cingolati
Documentate a Nord della Siria
XM-15 (U.S.)
AK-47 (Russia)
M-16 (U.S.)
PKM-M80 (Cina)
T-72
(Russia)
Elmech EM-992
(Croazia)
La maggior parte
dei Tank sono
stati distrutti dai
raid aerei della
coalizione
internazionale
Armi anticarro/antiaeree
AT-4 (Russia) SA-7 (Russia) FIM-92 Stinger M-79 Osa
(U.S.)
(Ex Yugoslavia)
M1-Abrams
(U.S.)
HJ-8 (Cina)
Mezzi corazzati - Sequestrati all’esercito iracheno
MRAP
(U.S.)
Artiglieria pesante
Humvee
(U.S.)
M198 (U.S.)
Note: la lista non include le pistole i mezzi per gli spostamenti veloci.
fonte: Reuters, Conflict armament Research
Una quota, quella dei quasi trentamila “volontari”, appena superiore
perfino a quella dei mujaheddin che
accorsero al richiamo dei pakistani (e
dei loro finanziatori sauditi) in Afghanistan, durante l’invasione sovietica di
quel Paese. Almeno il 25%, secondo i
centri di ricerca specializzati nella “radicalizzazione” dell’islamismo, intende commettere attentati terroristici dopo il ritorno nei Paesi di provenienza;
soprattutto se si tratta, come nel nostro
caso, di Paesi “infedeli”. E chi ha imparato a combattere con l’ISIS, esercitando una ferocia che serve soprattutto ad
addestrare i militanti e a spaventare
gli “infedeli”, continuerà certamente a
farlo. L’efferatezza delle decapitazioni
è un’azione di psywar (guerra psicologica) che modifica stabilmente la
mente degli jihadisti e li adatta a ogni
evenienza oggi ma, soprattutto, nel
futuro che sarà “teleguidato” dai dirigenti jihadisti secondo le regole della
autonomia massima per gli obiettivi e
i tempi.
Non conta l’obiettivo, contano l’atto
e soprattutto il momento scelto per
compierlo. Saranno gli stessi “media
degli infedeli” a propagandarlo e a
massimizzarne l’effetto psicologico tra
le masse europee, che resteranno bloccate nelle loro reazioni dalla paura e
dal terrore. Si tenga conto che, pur essendo uno spin off di Al Qaeda, l’ISIS
(e il “Fronte Al Nusra”) sono il primo
caso di jihad di massa che gestisce ben
più di una semplice rete coperta per gli
attacchi “ai Crociati e agli Ebrei”.
Si calcola che gli jihadisti di origine
occidentale - di recente e spesso superficiale islamizzazione - siano 3mila, tra i pochissimi che provengono da
Paesi come l’Italia e dalla Svezia.
Mentre la Giordania, Paese di origine
del primo fondatore dell’ISIS, Al Zarqawi, criminale comune convertitosi
in carcere (un pattern comune anche
in Occidente) ne ha forniti ben 315,
cui si aggiungono 92 che vengono dalla Bosnia, quasi 100 dal Kosovo mentre dalla Tunisia, il paese laico del Maghreb per eccellenza, ne sono finora
arrivati nell’area, tra ISIS e Al Nusra,
ben 280.
L’Algeria, altro bastione del laicismo
maghrebino, ha esportato 200 jihadisti nell’ISIS, mentre i militanti di origine marocchina sono addirittura
1500, una cifra elevatissima che segnala la destabilizzazione infausta del
Regno Alawita verso il sud e il confine
sahariano e atlantico.
Ci sarà un’altra fase, prevediamo,
nella quale le stesse minoranze etniche e tribali dell’universo islamico,
avranno modo di utilizzare il jihad
globale ma territoriale dell’ISIS come
strumento della loro battaglia e cassa
di risonanza per le loro richieste identitarie e geo economiche.
È quindi evidente un nesso tra il laicismo dei Paesi islamici di provenienza, che viene ritenuto dagli jihadisti
un “asservimento all’Occidente”, e la
quota di combattenti stranieri disponibili per il jihad in Siria e in Iraq.
È inoltre evidente il nesso tra il “laicismo” militante di certi Paesi occidentali e la quota elevata dei loro jihadisti. È un problema geoculturale di
grandissima importanza, che va affrontato con strumenti nuovi.
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
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Mar Mediterraneano
Geopolitica
TUNISIA
Al Jurf Bouri
Tripoli
Misurata
Beida
Mellitah
Derna
Sirte
T
Bengasi
Zintan
TRIPOLITANIA
Ras
Lanuf
Es Sider
Marsa el H
Zuetina
Marsa el Brega
Bacino di
Ghadames
El Feel o
ALGERIA
FEZZAN
El Sharara
oilfield
Ghad
Sabha
Bacino della Sirte
Sarir
Sarir
oilfield
CYRENAICA
Bacino di Murzuq
Al Jawf
NIGER
38
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
CIAD
200 km
Geopolitica
FORZE POLITICHE
GOVERNO DI TRIPOLI
BERBERI-AMAZIGH
Tobruk
GOVERNO DI TOBRUK
Hariga
ANSAR AL SHARIA
GRUPPI ETNICI
ARABO-BERBERI
BERBERI
EGITTO
oilfield
Mille
e una Libia
S
STATO ISLAMICO
e l’avanzata in Libia da parte degli affiliati al Califfato
non riuscirà mai ad attecchire definitivamente - così
come per Baghdad, è irrealizzabile anche la conquista
di Tripoli - è pur vero che la destabilizzazione nel Paese è già riuscita. Il successo politico dello Stato Islamico, supera così quello militare e ottiene lo scopo
che si prefiggeva: terrorizzare il mondo occidentale
(Italia in primis) e quello arabo. L’Italia ha chiesto un ruolo
guida per gestire la grave crisi libica. Si vedrà.
Intanto, all’ONU siamo ancora all’impasse e così l’Egitto si
ritrova per il momento a lottare da solo contro quella parte
di milizie che non sono sotto il controllo del governo amico
di Tobruk e del suo comandante militare, generale Khalifa
Haftar. Il potere di Tobruk in Libia è davvero risicato e scarsamente esteso, mentre le numerose forze islamiste proliferano nelle nuove “città-Stato”. Per dare una dimensione del
problema basti sapere che dalla fine della rivoluzione, ben
236 organizzazioni militari distinte si sono registrate solo a
Misurata. Piccoli battaglioni da 12 fino a 1.747 combattenti
ciascuno, che, presi come collettivo, corrisponderebbero alla
forza militare più coesa e potente in Libia.
TUAREG
TOBBOU (TEBU)
DISABITATO
RISORSE ENERGETICHE
GIACIMENTI
PETROLIO
GAS
OLEODOTTI
RAFFINERIE
PORTI
BACINO DELLA SIRTE
f
PRODUZIONE DI GREGGIO IN LIBIA
milioni di barili al giorno (media)
1.5
1.0
0.5
0
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
fonte: World energy atlas; U.s. energy Information administration; thomson Reuters
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
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Geopolitica
Divisi
e agguerriti
Il ministro del petrolio libico, mashallah zwai, risponde al governo
islamista di tripoli. ecco cosa pensa del “nemico” e come intende
uscire dalla guerra civile
di Cristiano Tinazzi
LIBIA
a Libia sta vivendo una situazione di caos e divisione che è probabilmente la peggiore dalla
guerra civile del 2011. Il Paese è
scisso politicamente e territorialmente tra coloro che appoggiano
il vecchio parlamento presieduto dal premier Omar al-Hassi, e coloro
che invece sostengono il nuovo, rappresentato da Abdullah al-Thani. Nell’agosto scorso, le milizie pro-vecchio
parlamento conquistano Tripoli, ricacciando le milizie avversarie di Zintan
sulle montagne dello Djebel Nafusah.
Sostanzialmente, gli schieramenti che
si contrappongono sono due: il primo,
che ha in mano Tripoli, gli uffici ministeriali e controlla la maggior parte
delle entrate e delle risorse petrolifere
L
40
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
è capitanato dalla città di Misurata, alleata con la minoranza berbera in Tripolitania e con i tuareg nel Fezzan,
mentre in Cirenaica sono stati fatti accordi con il consiglio della Shura dei
rivoluzionari di Bengasi (una coalizione di milizie) e gli jihadisti di Ansar
al-Sharia.
Dall’altra parte troviamo una coalizione guidata dalla città di Zintan insieme al fallito golpista generale Khalifa Haftar, alla tribù dei Wershefana e
alle milizie Toubu. A livello internazionale, è stato riconosciuto come legittimo il premier al-Thani e il suo
parlamento, costretti però a risiedere
nell’estremo est della Libia, a Tobruk,
senza nessun controllo sulle principali città della Libia e sulla capitale.
Abbiamo incontrato Mashallah Zwai,
detentore del dicastero del petrolio del
governo non riconosciuto, per capire
meglio il punto di vista di una componente determinante della politica libica.
Ministro, la situazione di confusione
nel Paese è notevole. I danni economici sono ingenti e la produzione
del petrolio è crollata...
Nel 2010 il reddito derivante dal petrolio era di 47 miliardi di dollari. In
molti credevano che prima di un decennio la produzione non potesse tornare ai valori precedenti alla guerra,
ma tra il 2011 e il 2012 siamo arrivati
a una produzione di 1,7 milioni di barili, che equivale a circa 60 miliardi di
dollari.
Questi però sono dati vecchi. Il 2014 ha
avuto un forte calo nella produzione.
Nel 2013 purtroppo a causa dei blocchi nei porti petroliferi e agli stop degli
impianti il reddito è calato a 40 miliardi
e nel 2014 a 15 milioni di dollari. La colpa è dovuta ad attori esterni, Paesi limitrofi o concorrenti petroliferi che hanno minato la credibilità della Libia e
soffiato sul conflitto interno. Hanno
alimentato la guerra civile e nel prossimo futuro sapremo distinguere poi
tra quelli che hanno aiutato la Libia a
ricostruire le infrastrutture e a indirizzarla sulla via della democrazia e altri
che invece hanno favorito la controrivoluzione. Come ministero del Petrolio abbiamo due obbiettivi: la stabilità
e l’aumento della produzione.
Con una produzione ormai scesa a
circa 200mila barili, quanto influisce il controllo dei vostri avversari
sui pozzi di petrolio in Cirenaica?
A dicembre abbiamo prodotto 362,780
barili al giorno, con un calo del 50% rispetto al mese di novembre. Il calo ulteriore è dovuto anche alla chiusura dei
pozzi nel sud del Paese. Se non ci fossero
problemi di stabilità la produzione tornerebbe ai livelli massimi nel giro di qualche
settimana. Quanto a Ibrahim Jadran*, è solo un burattino nella mani dei separatisti e
dei governi stranieri. Le tribù della Cirenaica hanno in gran parte rifiutato l’idea del federalismo e hanno fatto fallire il suo progetto di esportare petrolio a terzi in modo illegale. Come governo ufficiale della Libia a Tripoli non vogliamo combattere
ENI E LA LIBIA
Eni è presente in Libia
dal 1959. Le sue attività,
suddivise in sei grandi aree,
vengono condotte
nell'offshore mediterraneo
di fronte a Tripoli e nel
deserto libico
*Capo dei ribelli della Cirenaica
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
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Geopolitica
con le armi ma attraverso il dialogo politico, sapendo che il petrolio è il pilastro della nostra economia.
QUANTO COSTA COMBATTERE LO STATO ISLAMICO
La campagna in Siria e Iraq contro il Califfato costa, solo agli
Stati Uniti, 8,1 miliardi di dollari al giorno, secondo il Dipartimento
della Difesa
COSTO DELL’OPERAZIONE
Stimato dal Center for Strategic and Budgetary Assessments
Costo stimato a seconda dello scenario
Miliardi di dollari l’anno
$22
$13
$3,8 miliardi
$2,4
Campagna aerea
a bassa intensità
$6,8
$4,2
Campagna aerea
ad alta intensità
Totale Agosto-Dicembre 2014
$1,02 mld
Costo medio al giorno
$8,1 milioni
Operazioni
di terra
COSTO OPERAZIONI E MUNIZIONI AEREE STANDARD
TOMAHAWK
Missile da crociera
subsonico a lungo raggio
Costo unitario: $1,1 mln
AGM-114 HELLFIRE
Missile terra-aria
Costo unitario: $102,300
F-15 | F-16 | F/A-18
Caccia
Costo per ora-volo:
$8,972 – $20,115
MQ-1 PREDATOR
Veicoli senza pilota
Costo per ora-volo:
$511
*Immagini non in scala.
DURATA DELLA CAMPAGNA
Operazioni condotte da USA e alleati nel recente passato
TARGET
PAESE
DURATA
Forze Serbe
Ex Yugoslavia
24 Mar. - 10 Giu. 1999
Talebani/Al Qaeda
Afghanistan
7 Ott. - 18 Dic. 2001
Stato Islamico
Iraq/Siria
Dall’8 Agosto 2014
GIORNI
78
72
Fino all’11 Dicembre: 125
Scenario 1: Campagna aerea a bassa intensità = 90 missioni* al giorno, 100 obiettivi attaccati al mese.
Scenario 2: Campagna aerea ad alta intensità = 120 missioni al giorno, 150 obiettivi attaccati al mese.
Scenario 3: Operazioni terrestri = 150 missioni al giorno, 200 obiettivi attaccati al mese, con lo
schieramento di 25.000 soldati americani sul campo.
* Per missione si intendono operazioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione.
fonte: U.s. department of defense; air force historical
studies office, U.s. air force; Center for strategic
and budgetary assessments; barr group aerospace
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LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
MASHALLAH
ZWAI
Ex INGEGNERE
PER IL
SETTORE
PETROLIfERO,
è STATO
NOMINATO
MINISTRO
DA OMAR
AL hASSI
Cosa chiedete ai Paesi occidentali?
Chiediamo ai Paesi esteri di fermare
il loro supporto esterno alle parti in lotta. Per questo motivo speriamo che il
mondo si assuma le proprie responsabilità per quanto avviene in Libia, perché
questo ha ripercussioni su interessi globali, non solo libici. Siamo molto delusi
però quando vediamo che a livello internazionale molti stati sostengono il generale Khalifa Haftar. Ha raccontato bugie
facendo passare la sua campagna armata
personale come una lotta al terrorismo,
ma è il primo a farlo perché sta ammazzando donne e bambini e bombarda infrastrutture e installazioni in tutto il Paese. Ha fatto colpire dalla sua aviazione
una petroliera greca battente bandiera liberiana, ha bombardato la centrale elettrica di Sirte e l’impianto di Abu Kammash. Anche a Sidra,
Haftar ha bombardato
due depositi di greggio. È
stato difficilissimo estinguere le fiamme, abbiamo anche inviato due petroliere per svuotare i serbatoi ma il generale ha
minacciato di bombardarle se si fossero avvicinate. Le perdite in questo
ultimo caso sono state di circa un milione di barili. Non nego che ci siano estremisti in Libia, ma nel 2012 siamo riusciti
a contenere queste minoranze e a portarle alle elezioni. Le azioni di Haftar adesso
stanno facendo sì che questi gruppi radicali allarghino la loro influenza.
Quale soluzione per la Libia?
Il miglior modo di uscire da questo
problema è il dialogo e la negoziazione. Ma Haftar non è altro che un ex
generale di Gheddafi; non può essere
un fattore positivo per la Libia. E a Tobruk stanno costruendo un’altra Banca Centrale e un altro Ministero del
Petrolio. Loro vogliono dividere il Paese. E noi non lo permetteremo.
Geopolitica
l’opinione
CRISI LIBICA,
ISIS
ATTACCHERÀ
L’ITALIA?
MATTEO SALVINI
Segretario federale Lega Nord
GIORGIA MELONI
Presidente fratelli d’Italia
emergenza libica può non essere considerata
un’emergenza da chi sta dall’altra parte dell’Oceano Atlantico. L’Italia invece ha la guerra e il
terrorismo alle porte. Non possiamo fermarci di
fronte all’immobilismo delle Nazioni Unite. Pertanto credo sia necessario che quantomeno intervenga l’Unione Europea. Può farlo con una missione congiunta nelle coste libiche per fermare l’avanzata
dei terroristi. In attesa di una decisione da parte di Bruxelles, è necessario impedire che questi barconi con a bordo migliaia di clandestini partano dalla Libia e dal resto del Nord
Africa e arrivino indisturbati sulle nostre coste. Spero che gli
jihadisti dello Stato Islamico non arrivino in Italia. L’ISIS però
controlla parte delle coste libiche e dunque può fare la selezione di chi deve imbarcarsi e raggiungere il nostro Paese.
L’
alma e sangue freddo. Non giudico perché di mestiere non faccio il generale. All’estero però siamo
impegnati in missioni di pace ormai vecchie e francamente poco funzionali. Avere uomini in 30 Paesi
al mondo con un’emergenza come quella libica
sotto casa nostra mi sembra un controsenso. Non
lo so se i terroristi riusciranno ad arrivare sulle nostre coste. Sicuramente se però continuiamo con la politica
del ministro dell’Interno Angelino Alfano il rischio è alto.
Il fatto che sulle rotte dei migranti si possano infiltrare degli jihadisti è una possibilità che ormai denunciano i servizi segreti di mezza Europa. Spero che non si piangano lacrime di coccodrillo troppo tardi. Bisogna agire subito interrompendo partenze e sbarchi. Se fossi al posto del premier Matteo Renzi, lo farei da domani mattina.
C
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
43
l’araba fenice
Sajida Al Rishawi, la terrorista
Se le donne prendono le armi. Migranti europee nei battaglioni di Al Baghdadi
di Marta Pranzetti
Arabista, laureata in Scienze Politiche, si occupa di analisi
strategica (geopolitica e sicurezza) con particolare attenzione ai
temi dell’Islam politico, del terrorismo e delle questioni di genere
33:33
IL VERSETTO DEL CORANO
SULLE MOGLI DEL PROFETA
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LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
inizio febbraio la Giordania dava annuncio dell’impiccagione nel carcere di Swaqa (80 km a sud
di Amman) di Sajida Al Rishawi, la terrorista
irachena incarcerata per partecipazione all’attentato del 2005 ad Amman. La sua sentenza di morte
è stata emessa in ritorsione alla barbara esecuzione del giovane pilota giordano Mouath Al
Kasasbeh, arso vivo dai miliziani dello Stato Islamico. Da
Raqqa, capitale siriana del Califfato, infatti, era giunta ad
Amman la richiesta di uno scambio di prigionieri: Al
Kasasbeh per Al Rishawi. La libertà del giovane pilota, finito nelle mani dello Stato Islamico a fine dicembre dopo
un’incursione aerea su Raqqa, in cambio della scarcerazione
della nota terrorista detenuta in Giordania dal 2005.
Originaria di Ramadi, roccaforte della militanza sunnita
della provincia irachena di Anbar, Sajida Al Rishawi era
legata al ramo iracheno di Al Qaeda, in quanto moglie prima di Abu Anas al-Urdoni, un giordano membro di Al Qaeda ucciso a Fallujah dagli americani tra il 2003 e il 2004, e
poi di Ali al-Shamari, uno dei kamikaze morto suicida
nell’attentato al Radisson Hotel di Amman, che costò la vita
a una sessantina di persone. Allo stesso attentato aveva preso parte anche Sajida, ma il suo giubbotto esplosivo non
funzionò. Una volta catturata, dopo un tentativo di fuga,
dichiarò di aver reagito per vendetta: anche i suoi tre fratelli,
legati al gruppo militante fondato da Abu Musab Al Zarqawi,
erano stati uccisi da militari americani in Iraq.
In tutta questa storia di vendette e assassinii, è interessante analizzare dove trae origine la richiesta dello scambio
di prigionieri avanzata dallo Stato Islamico alla Giordania.
Se inizialmente si era ipotizzato un qualche grado di parentela
tra Al Rishawi e membri della leadership di IS che giustificassero la richiesta, si è fatta poi strada un’altra e più accreditata tesi secondo cui l’attentatrice irachena rappresentasse piuttosto una minaccia all’autorità del Califfato.
Sajida Al-Rishawi era infatti considerata, a torto o a ragione, un’icona del terrorismo di matrice islamica e
avrebbe potuto attirare l’interesse delle tante donne, arabe
e non, che si sono schierate a fianco del gruppo jihadista
in Siria e Iraq. Inspiegabilmente (ad occhi estranei alle dinamiche veicolate negli ambienti islamisti dallo Stato
Islamico) un numero crescente di donne straniere, infatti,
si è unito alla causa jihadista. Vengono definite foreign
fighters ma sarebbe più corretto chiamarle muhajirat
A
donne, società e i tanti volti dell’islaM
che intimidiva il Califfo
(dall’arabo “emigranti”) in quanto sono escluse
dai combattimenti a tutti gli effetti.
Secondo lo studio dell’Institute for Strategic
Dialogue “Becoming Mulan. Female Western
Migrants to ISIS”, una ricerca pubblicata nel
febbraio 2015 che analizza la vita delle
straniere che si sono unite al gruppo terroristico
grazie ai social media, le donne rivestono un
ruolo fondamentale all’interno del Califfato,
ma esclusivamente per quanto attiene alle
loro mansioni entro le mura domestiche.
Come conferma anche il Manifesto delle
donne dello Stato Islamico (“Women of the
Islamic State”), pubblicato in arabo dalle
Brigate femminili Al Khansaa e tradotto in inglese dalla Quilliam Foundation nel gennaio
2015, attenendosi all’interpretazione del versetto coranico 33:33 (sulle mogli del Profeta),
una delle principali qualità delle donne dello
Stato Islamico sta nella loro dimensione
casalinga. Prendersi cura della casa, del marito
e dei figli sono i principali incarichi che vengono conferiti a ogni donna (sia essa araba o
straniera) che si unisce allo Stato Islamico e
ne sposa i dettami.
Al Rishawi, al confronto, appariva invece
ben più autonoma nei movimenti e soprattutto era attiva sul lato operativo della jihad, che
invece ISIS delega esclusivamente agli uomini. In questo senso, la sua figura attentava
all’autorità stessa del Califfo. Alcuni analisti
avevano addirittura ipotizzato che la ragione
dietro alla richiesta di scambio potesse essere
quella di volersi impossessare della terrorista
per impartirle la “giusta” punizione pubblica
o per farla piegare ai voleri della Sharia, così
come intesa dallo Stato Islamico e scongiurare il potenziale incoraggiamento femminile
a imbracciare le armi, contravvenendo a
quanto finora imposto in Siria e Iraq. Se così
fosse stato, anche questa mossa sarebbe stata
guidata da una pura logica di propaganda, elemento su cui lo Stato Islamico ha dimostrato
finora di riporre la massima attenzione.
Il legami di Al Rishawi
con i prodromi dello Stato Islamico
Jamaat al-Tawhid wa l-Jihad
(Gruppo per il Monoteismo
e la Jihad), era il nome della
rete insurrezionale fondata
in Iraq negli anni Novanta
dal giordano Abu Musab
Al Zarqawi, mentore e padre
putativo dell’odierno
“Califfo nero” Abu Bakr
Al Baghdadi.
Quest’organizzazione,
fondendosi con Al Qaeda
nel 2004, era divenuta
“Al Qaeda in Iraq” (AQI)
o meglio “Al Qaeda in
Mesopotamia” (dall’arabo:
Tanzim Qaidat al-Jihad
fi Bilad al-Rafidayn),
e rappresentava il gruppo
precursore di ISIS
(Stato Islamico in Iraq e
Siria), venuto poi alla ribalta
nel conflitto siriano e oggi
meglio noto come Stato
Islamico o Daesh
(dall’acronimo arabo,
Dawla al-Islamiya fi al-Iraq
wash-Sham).
LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
45
PLACES
I luoghi meno conosciuti
al mondo
Gennaio-febbraio 2015
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LOOKOUT 15 - gennaio-febbraio 2015
PARIGI, FRANCIA
L’attentato alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo
pare destinato a divenire solo un episodio che l’Europa vuole
già gettarsi alle spalle.
DEBALTSEVO, UCRAINA
Che ormai sia improprio chiamare “Ucraina” la regione
di Donestsk lo dimostra la furia dei combattimenti
e delle munizioni lasciate sul campo dall’esercito.
GAZA CITY, TERRITORI PALESTINESI
Quel che rimane della casa di una famiglia palestinese
dopo 50 giorni di bombardamenti israeliani nell’estate 2014,
Operazione Protective Edge.
HONK KONG, CINA
Passata la stagione delle proteste e degli ombrelli, l’ex colonia
inglese festeggia l’anno della capra offrendo doni al tempio di
Wong Tai Sin.
NEW DELHI, INDIA
Ecco come viaggiano abitualmente i passeggeri indiani
per raggiungere New Delhi. Il governo indiano ha promesso
investimenti ferroviari per 137 miliardi di dollari.
NABATIYEH, LIBANO
Il leader di Hezbollah Sayyed Hasan Nasrallah osserva e
protegge il villaggio di Jbaa anche durante il rigido inverno.
Atene
e Roma,
il possibile
tandem anti
austerity
econoMia
GRECIA
Salonicco,
il reportage
Atene e il ruolo
della sinistra
europea oggi
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econoMia
l’Italia deve appoggiare
atene in questa battaglia
per le politiche
espansive e smarcarsi
definitivamente dalla
tutela tedesca, la cui
ricetta austera ha sfibrato
l’economia dell’eurozona
di Ottorino Restelli
GRECIA
n questi anni abbiamo cercato di offrire
un racconto della crisi dell’eurozona diverso da quello dei principali quotidiani e
media italiani. Abbiamo richiesto il Quantitative Easing (QE) da parte della Banca
Centrale Europea (BCE) molto tempo fa,
quando ancora molti illustri esperti volevano che ci indebitassimo con la Troika per essere costretti a manovre di austerità ancora più
restrittive di quelle che hanno stritolato il Paese.
Abbiamo richiesto da subito un piano straordinario d’investimenti pubblici in infrastrutture di rete, energia e innovazione nel manifatturiero, finanziato con un fondo ad hoc garantito
dalla Cassa Depositi e Prestiti (CdP) e allocato
presso in grandi collettori del risparmio privato: assicurazioni, fondi pensione e casse previdenziali, le cui gestioni finanziarie andrebbero
sottoposte a un’indagine parlamentare.
Abbiamo ritenuto, in buona compagnia, che
una ristrutturazione del debito pubblico greco
sarebbe stata sicuramente più sostenibile e
meno costosa delle assurde politiche di austerità che hanno condotto la Grecia, dove i poveri
I
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econoMia
sono cresciuti al 40% della popolazione totale, in una crisi umanitaria insostenibile.
Abbiamo denunciato la socializzazione del rischio delle banche tedesche e francesi che avevano sottoscritto massicciamente il debito greco per
gli elevati tassi d’interessi che pagava,
a spese di tutti i Paesi dell’eurozona
(il fondo salva-Stati) per cui ora l’Italia, le cui banche avevano praticamente un pugno di miliardi di titoli
greci, si ritrova esposta verso Atene
per oltre 43 miliardi. Le banche tedesche e francesi viceversa erano esposte per oltre 110 miliardi e le rispettive autorità avrebbero avuto molte
difficoltà a realizzare interventi di
salvataggio, in particolare la Bundesbank che aveva già impiegato 250
miliardi per salvare dal default le casse di risparmio.
Abbiamo denunciato l’iniquo processo di concentrazione di ricchezza
negli Stati e tra gli Stati realizzato attraverso la finanza, quel processo che
ha portato a una crescita inaccettabile
delle disuguaglianze sociali che lascia
presagire un nuovo medioevo di pochi
ricchi e moltitudini di poveri. Questa
possibilità è così concreta che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama
ha deciso di impiegare gli ultimi due
anni del suo mandato nella lotta alla
disuguaglianza economica e sociale,
finanziata con oltre 320 miliardi di
dollari in 10 anni, e nell’aumento di
tasse sui paperoni a stelle e strisce, a
cominciare dalla lotta all’elusione e
dalla tassa sui capital gain, che si propone di elevare al 28%.
Tanto è stato iniquo questo processo di trasferimento netto di ricchezza
negli Stati e tra gli Stati che anche il
Governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, ha auspicato per la
Grecia politiche espansive per evitare
all’UE un altro decennio di stagnazione. Carney ha invitato la Germania a essere più solidale, come si è
fatto nel Regno Unito, perché la ricerca di un aumento della competitività
attraverso la compressione dei costi di
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PADOAN
VAROUFAKYS
A LORO I DUE
PORTAFOGLI
FINANZIARI DI
ROMA E ATENE
produzione e soprattutto dei salari
(svalutazione interna) non produce
gli effetti desiderati, come anche il caso della Lettonia dimostra (in Lettonia
la svolta si è avuta dopo che il Paese
aveva perso il 24% del PIL ed era passato a politiche monetarie e fiscali
espansive che avevano fatto crescere
la domanda interna).
L’opposizione alle politiche di svalutazione interna è così generale ormai che anche il Financial Times ha
pubblicato un‘intervista con il professor Michael Pettis in cui si afferma
40%
LA QUOTA DEI POVERI
IN GRECIA
43
miliardi di euro
LA QUOTA DI
ESPOSIZIONE DI ROMA
VERSO ATENE
econoMia
che la Germania ha avuto un
tasso medio di crescita della
produttività dello 0,6% annuo
nel periodo 1998-2014, inferiore anche a quello della Grecia,
con un prodotto orario per addetto inferiore a quello che
aveva nel 2007. Il miracolo
tedesco non è dovuto agli investimenti, quanto piuttosto
all’alto valore dell’euro, alle
produzioni delocalizzate nell’area tedesca extra UE e soprattutto alla mancata dinamica dei salari, vera anomalia
dell’eurozona.
Date queste premesse, appare più che ragionevole la richiesta del ministro dell’economia greco Yanis Vaurofakis
di ristrutturare il debito sostituendo gli oltre 250 miliardi di
debiti verso le istituzioni sovranazionali (FMI, BCE e
BM), pari all’80% delle passività di Atene, con titoli legati
alla crescita del paese (GDPlinked bond o growth bond).
La proposta è semplice: si paga un certo interesse quando
il Paese raggiunge un tasso
minimo di crescita annuo, minore quando la crescita è inferiore a quell’obiettivo, maggiore quando è più elevata.
Questa forma di titolo pubblico derivato è stata usata
molte volte a partire dagli anni Settanta (Messico) e da altri
Paesi sud americani, fino al caso più
recente dell’Argentina che, dopo il default, nel 2005 emise titoli legati alla
crescita a 30 anni al 5%, se la crescita
avesse superato il 3% dal 2015. Le cose andavano bene fino a quando una
corte di New York non ha dichiarato
illegittima la ristrutturazione del debito e spinto di nuovo l’Argentina verso
il default.
L’Italia deve appoggiare Atene in
questa battaglia e smarcarsi definitivamente dalla tutela franco-tedesca. I
francesi, come anche il recente viaggio
infruttuoso a Soci dimostra, sono a rimorchio della Germania e da loro non
ci si può attendere nulla di buono.
L’Italia deve riconquistarsi una posizione di leader nell’UE e questo può
farlo a cominciare dalla tragedia greca
e dall’empasse in Ucraina. La Germania è il competitor commerciale principale dell’Italia
in Europa e con la Russia i suoi interessi geoL’ITALIA
economici sono conPUò ESSERE
fliggenti. L’Italia ha
LEADER
una giovane ministro
degli Esteri europeo, è
IN EUROPA
la seconda manifattura
d’Europa, il terzo partner
commerciale e quinto fornitore della Russia, inoltre vanta un
legame indissolubile con Atene dai
tempi della Magna Grecia. L’Italia deve trovare la forza di uscire dal coro e
mostrare al mondo quell’astuzia diplomatica e quella capacità economica che l’hanno fatta grande.
SCADENZE
il 28 febbraio 2015
scade il
programma di
aiuti della Troika
GASDOTTO PERSIANO PROPOSTO PER PORTARE
IL GAS IRANIANO VERSO L'EUROPA
Con la seconda più grande riserva di gas al mondo, l'Iran potrebbe diventare
un'alternativa al gas russo per l'Europa. Uno dei progetti proposti, conosciuto
come il Gasdotto Persiano, dovrebbe partire da Assaluyeh (Iran), passando
attraverso la Turchia, la Grecia e Italia dove si diramerebbe in due direzioni.
IRAN
TURCHIA
GRECIA
SVIZZERA
ITALIA
FRANCIA
AUSTRIA
GERMANIA
SPAGNA
GASDOTTI VERSO L’EUROPA IN FASE DI COSTRUZIONE
SVIZZERA
AUSTRIA
UNGHERIA
South Stream
ITALIA
SERBIA
Capacità: 63 miliardi di metri cubi
Mar Nero
BULGARIA
ALBANIA
Trans Adriatic Pipeline GRECIA
Mar
Mediterraneo
RUSSIA
AZERBAIDJAN
TURCHIA
Trans Anatolian Pipeline
TAP/TANAP capacità: 16 miliardi di metri cubi
IRAN
fonte: Companies; World energy atlas
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econoMia
o lasciato la neve di Sofia e trovato una serata quasi primaverile a Salonicco, condita con
ouzo e frittura di pesce. Qui mi confermano
che Tzipras andrà a Mosca il 9 maggio con il
Ministro delle Finanze, avendo accettato l’invito di Putin. Nel frattempo le parti prepareranno una serie di proposte per accordi commerciali ed energetici, e anche pare di natura finanziaria. Il ministro Varoufakis ha dichiarato che non è
intenzione del governo greco chiedere aiuti finanziari alla Russia. Ma il 9 maggio è lontano e nei prossimi due mesi molte cose potranno accadere.
Qui si respira un’aria pessimista, e i sentimenti antitedeschi sono alle stelle. La gente, quando parla
della Merkel, sputa per terra. Hanno paura di lasciare
l’euro e l’Europa perché temono di essere comprati
da turchi e cinesi, allora meglio i russi. Sono tutti
confusi. Quando ricordo loro che hanno fatto errori
enormi con insegnanti che andavano in pensione a
45 anni con 1.600 euro di pensione, fanno orecchie
da mercante. Con quello che ne è seguito, oggi ogni
greco, nascituri compresi, ha un debito consolidato
di circa 50 mila euro solo per i prestiti ricevuti. Ma a
che serve far firmare a qualcuno cambiali di un importo che non potrà mai pagare?
Da Salonicco ad Atene è tutta autostrada per 500
km, percorrendo la E75. Gli amici di Salonicco mi
hanno detto di non farla, perché da due giorni hanno
alzato il pedaggio da 35 a 60 euro. Così, il movimento
di “No pago” qualche sera fa ha attaccato e bruciato
alcuni caselli autostradali, anche se non si sa bene dove. Questo movimento è sul modello dell’italiano No
Tav, ma con obiettivi diversi: colpisce le strutture che
attuano aumenti indiscriminati di tariffe e prezzi.
Il viaggio è stato tranquillo. Poche auto, tempo
buono, caselli incendiati lungo l’autostrada non se
ne sono visti. Forse era qualcuno di quelli esterni di
accesso. L’autostrada è in concessione a un consorzio privato spagnolo che ne ha effettuato la costruzione. È sempre una sorpresa arrivare ad Atene da
Salonicco. Queste sono le uniche vere città della Grecia, ma appartengono a due mondi diversi. Salonicco
è la vera capitale della Macedonia. Partendo da Sofia,
voluta da Augusto e in suo onore chiamata Augusta
Serdica, si arriva a Salonicco percorrendo la valle del
fiume Struma, con le sue strette gole. È da questi luoghi che i pastori guerrieri accorsero al richiamo del
loro re ragazzo, Alexandros, partendo alla conquista
del mondo, fino alle sponde del Gange.
Salonicco è frivola, popolata di giovani universitari, moltissimi fuori corso, afflitti dai costi proibitivi
dello studio. È permeata da una sinistra intellettuale,
ma un po’ dégagé. È borghese e indaffarata, industriale
H
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Tempo di
raccogli
di Vincenzo Perugia
econoMia
di
iere
GRECIA
REPORTAGE
DA
SALONICCO
EPICENTRO
DELLA CRISI
relativamente agli standard greci, cosmopolita, defilata. Qui la crisi si vede meno, pochi i negozi chiusi,
nelle strade si trovano serbi turchi bulgari russi israeliani arabi italiani, tutti che trafficano. Il sentimento
generale è la paura per il futuro confuso che si appresta e che minaccia di disperdere un certo benessere
che vi si respira ancora. È una città senza apparenti
contrasti sociali, uniforme e dinamica.
Atene è un’altra cosa. Atene è la Grecia. Tutta l’Ellade è racchiusa nel nuovo Raccordo Anulare che la
circonda. Atene è popolare e padronale, qui convivono gli armatori e petrolieri evasori con i disoccupati
e i manager decaduti, poveri emarginati con i ricchi
struttatori. Ma tra tutti, per opposte ragioni, prevale
la rabbia. Per questo ha vinto Tzipras. Se Salonicco
è confusa e incerta, Atene è arrabbiata e determinata. Una rabbia più forte della paura, ma forse è proprio la rabbia che fa paura.
Ovunque ti dicono: “ormai non abbiamo più nulla
da perdere, peggio di così non potrà essere”. A un distributore lungo l’autostrada il benzinaio, vista la mia
auto bulgara, mi ha detto in bulgaro: “voi bulgari venivate per pochi soldi a lavorare da noi per fare i lavori che nessuno di noi voleva fare, invece quest’estate sono venuto io da voi a Sunny Beach (la Rimini
bulgara) a fare il cameriere, perché dovevo pagare le
spese mediche di mia moglie. Mah, come tutto cambia”. Quando gli ho detto che ero italiano, mi ha sorriso triste e mi ha detto: “poi toccherà a voi”.
Mentre a Salonicco trovi sempre qualcuno che ti propone un affare, ad Atene trovi sempre più persone che
ti propongono di scendere in piazza con loro. A me domandano perché gli Italiani se ne stanno a guardare
come se quello che succede qui non li riguardasse?
Quando gli dico che vivo in Bulgaria, mi guardano
incuriositi e mi dicono “i bulgari proprio non li capisco. Stavano tanto bene a fare gli amici dei russi, perché hanno cambiato bandiera, che ci hanno guadagnato a stare con gli americani? Guarda noi fedeli
servitori della NATO, ci hanno affamato come cani”.
Allora gli parlo della situazione generale: ISIS, terrorismo, immigrazione, crisi economica. Tutti mi rispondono facendo il segno dei soldi. Questi sono gli
affari di oggi. Prima si guadagnava commerciando,
ora si guadagna seminando la paura, le guerre, i traffici di uomini. Dietro tutto, ci sono i soliti della Grande Mafia. Per la gente della strada questo concetto
della Grande Mafia è il luogo comune più gettonato.
Racchiude banchieri, trafficanti, criminali, politici,
etc. Loro stanno da una parte e il popolo dall’altra.
Ma per tutti quelli con cui si parla, Tzipras è il Robin Hood che li ha sfidati. Un po’ la gente comune
ha paura per lui e teme che non ce la farà, ma gli è
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econoMia
grata che li rappresenti e spera che continui a farlo.
Anche chi non lo ha votato, in fondo è d’accordo con
quello che dice, e nella maggior parte dei casi non lo
ha votato solo perché ha pensato che non ce la farà.
La signora che pulisce la stanza in albergo, e che
parla bene italiano, è insegnante ma arrotonda qui
perché ha un figlio che studia medicina a Bologna. Dice che gli costa meno mantenerlo a Bologna che ad
Atene. Se escono dall’euro, suo figlio dovrà tornare a
casa, forse interrompere gli studi o emigrare. Comunque, lavora anche il marito, fa il tassista, perciò si ritengono fortunati. Mi ha confidato che ha votato Tzipras, ma è sicura che i greci saranno puniti per averlo
fatto. Ecco un’altra immanenza per i greci: la Punizione. Sono stati puniti, ma non si sa bene perché.
A costoro rispondo che sono stati “puniti” anche
per i loro sbagli: hanno permesso corruzione, evasione fiscale, politici inetti, spese fuori controllo, privatizzazioni selvagge, egoismo sociale. Per esempio, i
tassisti hanno scioperato perché non volevano gli apparecchi che emettono la ricevuta fiscale (poi mi sono accorto che c’era da mordersi le labbra, perché
anche in Italia...). Dicono di noi e loro “una faccia,
una razza”. Ad Atene, la tassa sulle piscine la pagano
in 500, ma le piscine censite sono 5.000. Per decenni
la tassa sulla casa non è stata pagata, con il trucco
che non si rifinivano le facciate e si lasciavano i ferri
del cemento armato fuori: così, niente abitabilità
niente tasse. Ma naturalmente le case, soprattutto le
seconde, erano utilizzate da sempre.
Tutto vero, mi dicono. Ma in Grecia hanno comandato dieci, forse quindici persone che hanno sempre
fatto e disfatto tutto per i loro interessi. Questi sono
già al sicuro con tutti i loro soldi all’estero. Allora forse è stato sbagliato lasciarli fare? Esatto, mi rispondono, siamo nella democrazia che noi abbiamo inventato, per questo abbiamo votato Tzipras. Perché questa per noi è una vera rivoluzione. Tzipras non è nulla di tutto quello, non ha nulla a che vedere con il nostro passato, è uno fuori dai giochi. Questo non capite in Europa. Allora chiedo: e gli alleati di destra? Alzano le spalle e mi rispondono che non si può avere
tutto, Tzipras è il tentativo pacifico di cambiare. Se
fallisce, allora ci sarà da avere paura sul serio. Sorridendo dico: beh, i greci sono mercanti, dunque Tzipras va in Europa e minaccia per ottenere di più. No,
mi dicono: “Tzipras non è un commerciante e racconta alla Merkel solo come stanno le cose”.
Chiedo del Ministro delle Finanze Varoufakis, lo conoscono in pochi, ma dicono che è un lottatore, uno con
la faccia da pugile, che non si farà calpestare dalla Troika come i venduti suoi predecessori, lui è uno pulito.
C’è una certa fiducia, forse un po’ ingenua, ma
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GRECIA
REPORTAGE
DA
SALONICCO
EPICENTRO
DELLA CRISI
econoMia
“
in fondo cos’altro si poteva fare? Continuare così
sarebbe stato impossibile. Questo è un altro punto
importante. Sembra che, rabbia a parte, gli umori
siano divisi a metà tra gli ottimisti da una parte,
“alla fine l’accordo si trova”, e i pessimisti dall’altra, “si andrà ai materassi”. Pare che prevalgano i
pessimisti. Ma in tutti i discorsi non si trova mai
rassegnazione.
A Piazza Sintagma c’è un presidio permanente dei
sindacati e del KKE (Partito Comunista
Greco), le facce sono scure. Verso le 19
è arrivato un mio amico professore universitario fuori ruolo che fa parte del
presidio, comunista. È pessimista. Dice
che Alba Dorata si sta preparando, i capi sono in galera ma gli altri sono pronti, perciò occorre guardarsi le spalle,
perché al momento opportuno usciranno fuori e allora le belle parole di Tzipras non basteranno. Quindi, attenti alle provocazioni e a chi semina tensione. Dice che bisogna costruire un grande fronte popolare transnazionale dal Portogallo alla Grecia per cambiare tutto in Europa.
Quando chiedo alla gente di Alba Dorata, quasi tutti
preferiscono non parlarne. Dicono che sono pochi,
organizzati, con molti soldi e che sono solo la punta
di un iceberg.
Se tra la gente prevale un certo pessimismo, tra la
classe politica di Syriza prevale invece un sicuro ottimismo. Sono certi che alla fine con l’Europa troveranno un ragionevole e necessario accordo. Ma la situazione è davvero drammatica. I trasportatori incontrati hanno i mezzi fermi, pagano gli stipendi a
pezzi e bocconi, sono pieni di debiti e non pagano le
rate dei leasing, sono scoraggiati e temono il peggio.
Pare che nelle banche greche i soldi ci siano, ma
devono rifinanziare i debiti dei prestiti e mutui della
loro clientela, per evitare che il Paese e i suoi abitanti falliscano. Un circolo vizioso. Lo Stato greco
deve pagare i propri debiti alla Troika, mentre i greci devono pagare le tasse allo Stato e i propri debiti
alle banche. Ma dove prenderanno i soldi, se la crisi
economica si mangia tutto? Tutto ciò era ben noto
quando tre anni fa furono concessi i prestiti ponte
alla Grecia. Tutti sapevano che il prelievo fiscale
forzoso sui redditi non avrebbe comunque permesso allo Stato di avere valuta sufficiente per rimborsare i debiti. Allora, si chiedono i greci, perché la
Troika ci ha messo in queste condizioni? È vero, abbiamo sbagliato, ma perché ci vogliono annientare?
Dicono di averlo fatto per salvare l’euro. Se falliamo
ora, lo salveranno?
TRA LA CLASSE POLITICA
DI SYRIZA PREVALE L’OTTIMISMO
”
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econoMia
LA LUNGA STRADA
PER ITACA
La sinistra radicale ai tempi
di Syriza, dall’ideologia al pragmatismo
di Tersite
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econoMia
i insiste da più parti, nella stampa estera come in quella nazioQUELLA DI
nale, nel definire il governo di
SYRIZA
Syriza come di “sinistra radiNON
È UNA
cale”, non sapendo bene coBATTAGLIA
me maneggiare oggigiorno
DI SINISTRA
questa vetusta definizione.
Forse meglio collocare Syriza nell’ambito di quella Nuova Sinistra nata - in Europa come negli States - dall’abbandono delle
categorie ottocentesche della lotta di classe,
per calarsi nel XXI secolo in cui è alla prova
L’ALTRA SINISTRA
IN GRECIA
con la resistenza - variegata e trasversale, dai
giovani all’intellettualità tecnica, ai membri di
comunità locali, precari, disoccupati - contro
le derive di un capitalismo che, reso libero da
(Sinistra, Movimenti,
regole e tabù, applica senza scrupoli l’eugeneEcologia)
tica del darwinismo sociale.
Da qui le lotte ambientaliste, animaliste, localiste, come quelle più politiche No global o
(Comunisti Ecologisti)
Occupy Wall Street, tutte diffusesi in virtù dello
scambio comunicativo offerto dalla rete globale
Internet. Siryza è un agglomerato di queste for(Internazionalisti)
ze cresciute con una spinta alla socialità che
superasse le strettoie minoritarie e autoreferenziali che hanno fatto della Grecia l’ultimo Paese
(Scisso dal Partito
europeo in cui ha operato il terrorismo comuComunista)
nista con la 17 Novembre, e dove ha poi attecchito quello anarchico delle Cellule di fuoco.
Messa in soffitta l’ideologia del comunismo,
che forniva già pronte strategia e tattica, occor(Organizzazione
reva inventarsi giorno per giorno, nell’orizzondi Manolis Glezos)
te dato, la strada su cui camminare per conquistare un risultato concreto. Dove non c’è
ideologia, c’è pragmatismo. Il risultato è oggi
S
che il programma di governo di questa “sinistra radicale” non è poi così tanto radicale.
Non prevede nazionalizzazioni, ad esempio.
Non solo quella annunciata delle banche, ma
neanche della Banca Centrale. Non sono più
presenti l’uscita dalla NATO, il ritiro di tutte le
truppe americane, come anche il ritiro di quelle greche dall’Afghanistan e dall’Iraq. Neanche
il taglio delle spese militari o l’abolizione dei
privilegi della Chiesa Ortodossa.
l’attUale foRza dIRompente
deglI obIettIVI eConomICI
Con la vittoria elettorale, Syriza ha messo da
parte il massimalismo, malattia infantile del
radicalismo. Ora il suo programma è concentrato su concreti obiettivi economici, e suo
punto centrale è la ridiscussione del debito.
Una ridiscussione politica, non tecnica, con i
“killer economici” della Troika. Tsipras ha capito che questa è la battaglia centrale, attorno
alla quale potranno semmai poi ruotare tutte le
altre, accantonate per non offrire sponda ad attacchi che la mettano a rischio. Una battaglia
che non è poi neanche tanto di sinistra. Se lo
fosse, allora Obama sarebbe un comunista picconatore: “Quando hai una economia che è in
caduta libera ci deve essere una strategia di
crescita, e non semplicemente il tentativo di
spremere sempre di più una popolazione che è
sempre più rovinata”.
Dato che Obama non lo è, quella di Syriza
non è una battaglia di per sé di sinistra, o destabilizzante, come alcuni hanno interessatamente avanzato. Lo scontro è tra i due diversi
modi di affrontare la crisi del 2008,
che ha poi messo in ginocchio i Paesi
europei maggiormente esposti alla
RISULTATI ELETTORALI IN GRECIA
speculazione o con più alto debito
(PIIGS). Da una parte, il modello tedesco basato sulla regolazione dei
conti
tramite tagli di spesa e salari e
Sinistra
Destra
aumento delle tasse. Dall’altra, il
modello che vede nella ripresa della
Syriza Radical
RIVER PASOK
New
Independent Golden
crescita l’unico modo per ripianare i
Left Coalition
Democracy Greeks
Dawn
conti, dato che l’austerity comprime
i consumi, e quindi la crescita, e
149
17 13
76
13 17
quindi le tasse, e quindi aumenta il
debito,
in un circolo vizioso. CosicTOTAL 300 SEATS
ché, 1 euro di austerità produce solo
0,4 euro di riduzione del deficit.
SYNASPISMOS
AKOA
DEA
KEDA
CITTADINI ATTIVI
Communist
Party
15
fonte: ministry of Interior of greece
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econoMia
la battaglIa polItICo-fInanzIaRIa
sUll’eURopa
La Germania è per l’austerity. A questa prospettiva si oppongono in prima linea l’Inghilterra (che mal digerisce ovviamente un’Europa dominata dalla Germania) e ora anche
la Banca Centrale Europea. Poi si sono
aggiunte, in una ristabilita alleanza
anti-germanica, la Francia e l’Italia, entrambe cooptate dagli inglesi. Cioè dai banchieri della City da
cui, ancora prima delle elezioni, si
era recato in visita Tsipras.
Chiaro l’intervento di Mark Carney,
Governatore della Banca di Inghilterra nonché del Financial Stability Board del G-20, sulla necessità
di rafforzare l’Europa con strumenti comuni in grado di
ammortizzare le perdite, per non caricarle sul singolo Paese soggetto a una scossa localizzata. Sia Mario Draghi che
Carney (ma non solo loro) sono uomini della Goldman
Sachs, ovvero la più potente banca d’affari mondiale che
ha dato numerosi ministri del Tesoro agli Stati Uniti, e non
solo a loro, ed è cassaforte di governi, multinazionali e loro
board. Anche i vertici della Goldman Sachs hanno aspramente criticato l’austerity. La complessa battaglia geopolitico-finanziaria è allora tra un pezzo d’Europa - più BCE,
Wall Street e la City - contro la corazzata Germania-BundesBank. Ed è una Bismarck, non una corazzata tascabile
Graf von Spee.
soCIalIsmo o sfasCIsmo?
La piccola Grecia è oggi determinante pedina nella battaglia sulla guida dell’Europa. La sua ribellione alla Troika,
e la sua richiesta di discussione sul debito, hanno spiazzato la Germania, proponendo una configurazione politica
della Comunità opposta a quella grettamente fondata sulla
forza incontrovertibile dei conti.
In piena coincidenza con la tradizione omerica, la Grecia è oggi un cavallo di Troia in una battaglia epocale per
l’Europa. I Paesi che contrastano l’austera leadership tedesca vedono nell’appoggio a Tspiras un tassello per scardinarne la potenza, mentre Tsipras vede in questo scardinamento la possibilità di dare avvio a un’inversione politica di tendenza che favorisca una Nuova Sinistra in tutta
l’Europa, per ridisegnarla in senso sociale. O socialista,
che dir si voglia.
Un disegno che metterebbe fuori gioco le forze delle destre anti-euro, che nulla possono proporre oltre lo sfascio
che le porterebbe al potere. Ma che, se Syriza fallisse,
avrebbero ulteriore slancio e giustificazione. A cominciare,
per quanto concerne la Grecia, dai già forti neonazisti di
Alba Dorata.
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Il gRande gIoCo geopolItICo
ContInentale
Ma la partita è ancora più epocale
perché la posizione geografica pone la
Grecia come il ponte tra Europa e
Oriente. Il porto del Pireo, già per metà cinese, è hub per lo smistamento in
Europa delle merci in arrivo attraverso
Suez. Se nel prossimo futuro la Grecia
sarà anche sbocco del gasdotto che
Russia e Turchia hanno appena messo
in cantiere, ne risulterà per l’UE un rilancio della partnership con l’altra
metà d’Europa, rappresentato
dalla Russia. Ne conseguirebbe una spinta
verso una soluzione politica della
crisi ucraina.
Dunque,
la piccola
1 EURO
Grecia
è
in
questo
momento
al
DI AUSTERITÀ
centro di un Grande Gioco geoPRODUCE 0,4
politico e geo-economico, vaDI RIDUZIONE
sto
e pericoloso e di certo più
DEL DEFICIT
grande di lei. Tsipras ha annunciato l’opposizione della Grecia alle sanzioni contro la Russia. Potrebbe
essere soltanto uno strumento di pressione sulla Germania e, al momento,
sarebbe meglio che altro non fosse.
Mettere insieme il ridisegno politico
della Comunità Europea e le sue alleanze strategiche, infatti, potrebbe segnare
la fine dell’esperimento Syriza. Meglio
procedere una tappa alla volta. Con la
forza e l’astuzia di Ulisse.
GRECIA
Prodotto Interno Lordo
-0,2%
Percentuale anno per anno
0,7%
1
25,8%
Disoccupazione
Percentuale anno per anno
28
0,7%
0,3%
27
-0,3%
-0,2%
0
26
-1
Q4
Q1
Q2
Q3
Q4
25
NOV FEB
MAG AGO
do you spread?
La sfida per la
leadership industriale
tra Italia e Germania
Come riposizionare il nostro Paese nel mercato
internazionale, partendo dalle sue vocazioni,
per ricollocare l’industria e il mercato del lavoro
in settori a maggior valore aggiunto
di Brian Woods
el mese di marzo prenderà
l’avvio il Quantitative Easing
(QE) gestito dalla Banca Centrale Europea (BCE) da 60
miliardi di euro mensili per
un totale di 1.140 miliardi di
euro. Visti gli obiettivi, per
ora espressi da un tasso medio d’inflazione nell’UE di almeno il 2% - ma
che in seguito, come accaduto per la
FED, potrebbero tener conto anche
del tasso di disoccupazione - non desterebbe meraviglia una crescita del
QE fino a 2.000 miliardi di euro.
L’annuncio dell’avvio del QE ha
avuto una serie di effetti immediati:
riduzione dello spread tra i titoli di
stato dei Paesi più indebitati rispetto
al bund tedesco, crescita della curva
dell’inflazione attesa a cinque anni,
riduzione dei tassi sui titoli di nuova
emissione, svalutazione dell’euro rispetto al dollaro, che ha avuto il risultato di posporre l’annunciato aumento dei tassi d’interesse negli USA, decisione che la governatrice della Riserva Federale degli USA (FED), Janet
Yellen, ha preso per non gelare la crescita economica a stelle e strisce.
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Tuttavia, pur in questo clima di generale euforia, crescono i dubbi sulla
capacità della politica monetaria
espansiva adottata dalla BCE di riavviare la crescita economica nel vecchio continente. Non è solo un problema di timing: la crisi è così progredita
che questa tardiva cura può rivelarsi
inefficace e al più utile a generare
qualche nuova bolla sul mercato finanziario. Analizzando, infatti,
gli effetti delle politiche monetarie espansive attuate
LA
da UK e USA, si osserva
MANIFATTURA
che sono stati i mercati
è IL CAMPO
azionari, più che quelli
IN
CUI
SI SfIDANO
delle obbligazioni e dei
ITALIA
tassi di cambio, a generaE GERMANIA
re impressionanti crescite
nelle quotazioni, ma che
queste imponenti rivalutazioni
si sono trasformate solo in piccola
parte in nuovi investimenti reali.
Quindi, viene meno la certezza che le
politiche monetarie espansive, non
supportate da politiche fiscali di spesa
pubblica, siano in grado di rompere la
spirale recessione-deflazione-recessione in cui è precipitata l’eurozona.
voci dal Mercato Globale
In una recente intervista al Times, sto dell’energia, nello scarso adeguaMark Carney, Governatore della Ban- mento delle infrastrutture che ne preca d’Inghilterra (BoE) e prima ancora giudica la qualità, e infine nella buroGovernatore della banca Centrale del crazia costosa e spesso inutile. La
Canada (BoC), pur lodando l’avvio scarsa produttività del lavoro e ancor
del QE che risponde al mandato della più dei fattori di produzione sono il ristabilità dei prezzi affidato alla BCE, sultato di investimenti sbagliati e di
ha ammonito che queste misure la- gestioni manageriali inadeguate, oltre
sciate da sole “sono insufficienti a che dell’assenza di un progetto induevitare il rischio di un altro decennio striale per il Paese.
perduto per l’UE”. Criticando i ferrei
Questa crisi rappresenta l’opportuparadigmi dell’austerità-rigore e ci- nità per riposizionare l’Italia nel mertando l’esempio del Regno Unito, in cato internazionale, partendo dalle
cui la politica fiscale ha consentito di sue vocazioni, ma ricollocandola su
suddividere i rischi tra gli individui e settori a maggior valore aggiunto e ad
le regioni, Mark Carney ha invitato i alta tecnologia, giacché la competizioPaesi forti e in surplus come la Ger- ne negli altri mercati è persa da temmania a sostenere i Paesi in difficoltà po. Occorre un piano d’investimenti
attraverso trasferimenti del gettito di pubblici che riavvii la domanda agtassazione, cioè prestiti
gregata e aiuti a ri-orienper investimenti, e a
tare le aspettative degli
procedere nell’armonizinvestitori e delle famizazione dei sistemi fiscaglie: un piano di investili, perché solo in questo
menti pubblici nelle inmodo l’Unione può sofrastrutture di rete, nelpravvivere.
l’energia e nel capitale
VALORE AGGIUNTO
Lo studio Fondazione
umano (i tecnici la chiaNELL'INDUSTRIA
Edison e Confindustria
mano education). Occordi Bergamo, presa in esare un piano d’interventi
me la manifattura nelche colpisca le rendite e i
l’UE (gennaio 2015),
privilegi, a cominciare
mette inequivocabilmendalle concessioni e dalle
te in evidenza come la
licenze per l’uso dei beni
leadership nell’industria
pubblici, ma che colpisia ancora oggi una quesca anche gli stipendi
stione tra l’Italia e la Germania. Nel smisurati dei public servant, sopratconfronto competitivo con i tedeschi, tutto negli enti locali dove oggi avvol’Italia sopravanza per numerosità cati, consulenti e dirigenti percepiscodelle aree a vocazione industriale no stipendi medi da 300.000 euro.
(Lombardia, Veneto ed Emilia) ma è Tutto ciò ha prodotto storture ormai
in netto ritardo per ciò che riguarda la insostenibili economicamente e ingiupercentuale di valore aggiunto nell’in- stificabili socialmente.
dustria, 34% in Italia contro il 60% in
Germania, e soprattutto per il valore
TROIKA
aggiunto per addetto, 60.000 euro in
È formata
Italia contro 140.000 in Germania.
da Commissione
Ormai numerosi studi mettono in
Europea, Banca
evidenza che il vincolo alla crescita
Centrale Europea
e Fondo Monetario
dell’Italia è nell’inadeguatezza del
Internazionale
management, nella scarsa penetrazione dell’ITC nelle imprese, nell’alto co-
34%
Italia
60%
Germania
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RAGES
Le principali manifestazioni
di rabbia e dissenso
Gli scontri dall’inizio
dell’anno
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NAROK, KENYA
Proteste Masai per cacciare il governatore Samuel Tunai
di Narok County, accusato di acquisizione illegale e mala
gestione dei fondi destinati alla riserva naturale.
ISTANBUL, TURCHIA
Le bandiere del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK)
sventolano per dimostrare solidarietà al leader ribelle curdo
Abdullah Ocalan, imprigionato sedici anni fa.
SAN CRISTOBAL, VENEZUELA
Manifestazione contro il presidente Nicolas Maduro
per ricordare l’anniversario delle proteste anti-governative
del 2014, in cui morirono 43 studenti.
MANAMA, BAHRAIN
A San Valentino, il quarto anniversario delle proteste
per ottenere riforme democratiche e sbloccare lo stallo
tra governo e opposizioni sciite.
IL CAIRO, EGITTO
I violenti scontri tra ultras e forze dell’ordine durante
la partita di calcio tra due club locali, Zamalek ed Enppi,
avrebbero provocato venti morti, non confermati.
ROMA, ITALIA
Più che rabbia, stupidità. I tifosi olandesi del Feyenoord devastano
il centro storico della capitale e deturpano il monumento
di Pietro Bernini a Piazza di Spagna, noto come “Barcaccia”.
osservatorio sociale
Monitoraggio dei principali eventi e fenomeni ribellistici ed eversivi nel nostro Paese
L’antagonismo
e il disordine pubblico
l periodo intercorso tra la fine del 2014 e l’inizio del nuovo anno dimostra che il movimento antagonista e anarchico italiano è pienamente in grado di operare secondo le linee strategiche definite nella
loro produzione ideologica, ma anche di saper agire con un ottimo coordinamento operativo a livello regionale e nazionale. Ne siano
esempio gli attentati alle linee ferroviarie nelle giornate prenatalizie
che, oltre a creare gravi problemi al traffico, hanno evidenziato una
regia tra i vari “nuclei di fuoco” anarchici.
Il movimento sarà ancora in grado, nel prossimo futuro, di creare problemi
a livello di ordine pubblico, e di avviare ulteriori campagne sul fronte NoTAV
e sugli altri fronti frutto delle loro tesi ideologiche: energia, banche, difesa
dell’ambiente, lotta alla “repressione”.
Gli scontri tra anarchici e neofascisti di Casapound e i risultati dell’inchiesta
del ROS dei Carabinieri sulla formazione di estrema destra “Avanguardia
ordinovista” dimostrano, inoltre, che la sicurezza pubblica italiana potrebbe doversi occupare presto anche di queste nuove formazioni eversive di
matrice neofascista.
Con il terrorismo internazionale “alle porte”, inoltre, la situazione per le
Forze dell’Ordine si complica ulteriormente e gli sforzi degli operatori della
sicurezza, così come oggi, potrebbero non bastare a trattare adeguatamente i numerosi dossier.
I
ROMA-FEYENOORD
Il monumento
di Pietro Bernini
a Piazza di Spagna
deturpato dagli
Hooligans, simbolo
di una sicurezza
che manca
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TIMELINE
DEGLI EVENTI
18 dicembre
TORINO-MILANO
Tentativo NoTav
d’incendio dei cunicoli
postali sulla linea
Torino-Milano al km 98.
21 dicembre
ROVEZZANO (FI)
Sulla direttissima
Roma-Firenze, un
ordigno incendiario
ha danneggiato
un pozzetto elettrico,
bloccando per diverse
ore il traffico.
23 dicembre BOLOGNA
Alle porte della città
sono stati sabotati col
fuoco 4 pozzetti
elettrici della linea
dell’Alta velocità.
8-9 gennaio TRENTO
Distrutti Bancomat e
vetrate di numerose
banche in solidarietà
con “i compagni
arrestati a Barcellona”,
anarchici spagnoli.
27 gennaio TORINO
Il Tribunale ha
condannato a un totale
di 147 anni di carcere 47
militanti dei movimenti
No TAV per le violenze
compiute in Val di Susa
nell’estate del 2011.
29 gennaio UDINE
Assaltata la sede del PD
di via Joppi. L’ingresso
è stato imbrattato con
scritte molto esplicite:
“PD = mafia”, “PD
devasta e saccheggia”,
“Servi infami”, “la Valle
non si arresta”.
copertina
DIC-GEN
2014-15
Aggiornato
al 5 febbraio 2014
ATTENTATI
LETTERE O
PACCHI BOMBA
TRENTO
UDINE
INCIDENTI
DI PIAZZA
RAPINE
O AGGRESSIONI
MILANO
RISCHI
O MINACCE
TORINO
INO
ARRESTI
BOLOGNA
ROVEZZANO
dietro lo specchio
Previsioni meteo 2015:
EUROPA
L’Ucraina è oggi, di fatto, un protettorato
americano in funzione anti-russa
el 1981 gli Stati Uniti erano al collasso: disoccupati +10%, crescita 1%,
inflazione, debito. L’opulenza dell’american way of life avviata dalla
Seconda Guerra Mondiale, si estingueva nella drastica riduzione di
profittabilità degli investimenti industriali. La ricetta neoliberista del presidente Ronald Reagan - agevolazioni fiscali agli
alti redditi, deregulation finanziaria, scure
sulla spesa sociale - fu integrazione della
scelta di fondo di non regolare il debito
ma, seguendo la rottura del Gold Standard di Richard Nixon, di ingigantirlo.
Da Paese esportatore a importatore. Ricattare il mondo a mantenerne la solvibilità, rimandando indietro montagne
di dollari ad alimentare la nuova industria americana: la speculazione finanziaria. La disgregazione industriale e il
drenaggio di ricchezza verso l’alto (la
favola dei ‘ricchi’ propensi a copiosi
consumi e virtuosi investimenti)
avrebbero portato fatalmente all’erosione della middle class e, con essa,
dell’american way of life.
Veniva però a spuntarsi l’arma
di propaganda sempre opposta al
modello sovietico, la cui economia, benché fallimentare, era indirizzata al benessere sociale. Così
nel 1982 - in tandem a Londra con
la frantumatrice Margaret Thatcher - Reagan avviò l’esorcismo
sull’eclisse del liberalismo, catalizzando l’attenzione sulla Russia: “Il comunismo è un altro
triste, bizzarro capitolo della
storia umana le cui ultime pagine si stanno scrivendo proprio ora”.
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storie di un Mondo al rovescio
un libro al Mese
PER SAPERNE DI PIÙ
dIetRo lo speCChIo - WWW.LOOKOUTNEWS.IT
Pagine che vennero scritte con un sotto condizioni strategiche mutate.
forte riarmo: il bombardiere strategico Se al tempo dell’attacco in Serbia non
Rockwell B-1, i missili balistici MX poteva opporre resistenza, la Russia
Peacekeeper, fino allo “spettro delle di oggi ha una forza e una strategia
Guerre Stellari”. E, a supporto l’Arabia (tutela di interessi del Paese e conteniSaudita, con la caduta del prezzo del mento del suprematismo americano a
petrolio: 92 dollari al barile nel 1981, danno dei BRICS) che ostacolano il
30 dollari nel 1986. Una doppia spal- dominio globale indispensabile agli
lata ad affossare l’ansimante econo- Stati Uniti per rinviare sine die bancamia sovietica.
rotta e declino.
Crollata l’URSS, sparisce il rivale alL’Ucraina è oggi, di fatto, un protetl’american way of life e alla suprema- torato americano in Europa. Americazia globale degli Stati Uniti, fatto es- ni sono i ventennali finanziamenti ai
senziale per imporre al mondo la
partiti anti-russi, fino al neonazitassazione che regge l’impero
sta Svoboda. Americano l’aldel debito. Una spesa publestimento del putsch di
blica stellare (col riarmo
Maidan (come involontaCROLLATA
di Reagan da 700 a 3miriamente rivelato da VicL’URSS
la miliardi di dollari, e
toria “Fuck the EU” NuSPARISCE IL RIvALE
oggi a 17mila), mentre
land), e filo-americano
ALL’AMERICAN
gli indefessi speculatori
un presidente che nei
WAy Of LIfE
di City e Wall Street hancablo riservati inviati alla
no creato un debito vaganCasa Bianca è descritto cote per il mondo ben oltre i
me “our insider Ukraine”.
600mila miliardi in derivati del
Americani sono poi i due mini2008. Franata la forza economica, la stri economici e i business della famisupremazia richiede debito, e il debito glia del vicepresidente. Americani anrichiede supremazia. Chiudendo così cora l’addestramento e le ingenti forl’anello di guerra del new american niture all’esercito, e sotto il loro concentury.
trollo sono le unità di contractor che
L’assaggio del nuovo dominio arriva uccidono europei a pagamento.
con l’Operazione NATO Allied Force, il
Con la risoluzione 758 della Cameprimo attacco a uno stato sovrano eu- ra, gli Stati Uniti hanno praticamente
ropeo contro un Paese, la Serbia, con dichiarato guerra alla Russia. Non saun presidente eletto ma comunista e rà il timoroso e disarmonico questuaalleato della Russia. Un attacco senza re dei sudditi europei a farli desistere.
mandato ONU e senza minaccia ai Non hanno mollato l’URSS fino al suo
Paesi che la NATO tutelava.
crollo, non molleranno oggi l’Ucraina,
Le guerre americane contro gli “Assi finché non avranno ottenuto la caduta
del Male” si conoscono. E quella in di Vladimir Putin e l’accondiscendenUcraina è un ritorno in piena Europa za russa ai loro diktat strategici.
Il CalIffato del teRRoRe
di Maurizio Molinari
Rizzoli - 2015
pp. 160 - 18,00 euro
hi è il Califfo Abu Bakr al
Baghdadi e chi finanzia le
sue milizie? Lo Stato Islamico
rappresenta una minaccia reale per
l’Italia? Il giornalista Maurizio Molinari,
corrispondente da Gerusalemme
per La Stampa, analizza il fenomeno
Stato Islamico in un libro uscito
da poco per Rizzoli, Il Califfato del
terrore. “Il Califfo Abu Bakr al
Baghdadi - spiega Molinari - intende
creare uno Stato totalitario jihadista
sul territorio occupato dall’Islam
delle origini, al tempo di Maometto.
Attualmente ha un patrimonio
di circa 3 miliardi di dollari e un
bilancio annuale in attivo di quasi
250 milioni di dollari grazie alle
ingenti donazioni private in arrivo
dai Paesi del Golfo e alla vendita di
greggio. Il suo intento è stravolgere
la mappa del Medio Oriente
che conosciamo per sostituire
gli Stati esistenti con un Califfato
panislamico”. L’avanzata di ISIS
in Libia pone degli interrogativi
sulla tenuta della sicurezza anche
in Italia. “Se ISIS dovesse riuscire
ad espandere il controllo anche
sulla Libia, ci troveremmo esposti
a incursioni terroristiche e ondate
di profughi come già in parte sta
avvenendo. Nessun Paese è, a
priori, pronto ad affrontare tali
minacce ma quando iniziano a
manifestarsi è bene prenderle
sul serio e iniziare a ragionare
sulle opportune contromisure”.
C
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