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La nuova BMW R1200GS
La moto più attesa dell’anno debutta all’Intermot.
Cilindrata invariata, tutto il resto cambia radicalmente
per restare al top
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70.000 esemplari venduti in nove anni – un
numero che da solo dà la
misura del successo della BMW
R1200GS, e che forse basta a
spiegare perché a Monaco abbiano lavorato tanto per migliorare una moto già eccellente.
Come nel 2004, sulla nuova
R-GS debutta la nuova generazione di boxer, ma stavolta l’evoluzione va molto oltre, tanto
da far pensare che continuare a
chiamarla R1200GS non renda
piena giustizia ad un modello
che, di fatto, cambia molto più
di quanto non fosse mai successo in precedenza. Obiettivi?
Valorizzare i tanti pregi del modello precedente limando via i
pochi difetti, e rendere la “Giessona” più adatta all’impiego
fuoristradistico.
Il nuovo Boxer
Ancora una volta la R1200GS,
da vera ammiraglia, ha l’onore
di far debuttare il propulsore
che passerà poi a spingere gli
altri modelli della gamma boxer. Il propulsore mantiene le
misure caratteristiche del precedente e dunque la cilindrata,
ma le somiglianze finiscono
qui. Il raffreddamento passa
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da aria/olio ad aria/acqua, modernizzando il propulsore senza
stravolgerne la personalità. L’alimentazione avviene secondo un
flusso verticale (corpi farfallati sopra, scarichi sotto) migliorando
nettamente l’efficienza e dunque le prestazioni del motore – 125
cavalli e 125Nm i valori massimi di potenza e coppia – che vengono trasmesse alla ruota posteriore attraverso un’inedita frizione
antisaltellamento multidisco in bagno d’olio e una trasmissione
cardanica rivista. Dal punto di vista elettronico il propulsore fa
un balzo in avanti ancora più netto: finalmente arriva anche sulle
bicilindriche contrapposte il comando dell’acceleratore ride-bywire, con la possibilità quindi di gestire diversi riding mode e tre
curve di progressione del gas. I riding mode qui sono addirittura
cinque: Rain, Road, Dynamic, Enduro ed Enduro Pro, ovviamente
con interventi di ABS e controllo di stabilità ASC, nonché risposta dell’acceleratore ma soprattutto delle sospensioni semi-attive
Dynamic ESA che variano a seconda del riding mode impostato.
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Dall’HP4 al Boxer
Avete letto bene: arrivano sulla GS anche le sospensioni semi-attive che hanno debuttato solo qualche settimana fa sull’ipersportiva HP4. Anche in questo caso, al di là della miglioria tecnologica
singola, è la possibilità di gestire in maniera integrata il pacchetto
motore-sospensioni-freni-controllo di stabilità ad alzare nettamente l’asticella prestazionale. Naturalmente, tanto le sospensioni Dynamic ESA quanto il controllo di trazione/stabilità ASC
sono optional (l’ABS è invece di serie, come previsto dall’iniziativa
BMW Safety 360°) e andranno acquistati a parte per godere delle
massime potenzialità offerte dalla nuova GS, ma BMW ha previsto pacchetti di accessori che dovrebbero ridurre sensibilmente
l’impatto sul prezzo finale. In sostanza, la nuova R1200GS mette
a disposizione su queste cinque modalità di guida (selezionabili
anche in movimento) una combinazione di tre curve di risposta
dell’acceleratore, tre diversi livelli d’intervento dell’ABS e quattro
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del controllo di stabilità ASC. La
Rain offre una risposta molto
dolce del motore, controllo di
trazione ed ABS più cautelativi,
nonché una risposta più morbida delle eventuali sospensioni
Dynamic ESA. In Road si ha un
comportamento medio per tutti i controlli, mentre scegliendo
Dynamic il motore diventa più
pronto nella risposta, ABS ed
ASC più permissivi e sospensioni dalla taratura più rigida
nella modalità Dynamic ESA.
Le due modalità fuoristradistiche si prendono cura dei piloti
di ogni capacità: la Enduro offre
risposta morbida del motore,
intervento prudente dell’ASC
in comportamento Enduro, una
ripartizione ottimale della forza
frenante, nonché interventi di
regolazione dell’ABS e una taratura del Dynamic ESA optional che favoriscono la trazione.
Chi ci sa fare e monta pneumatici tassellati può scegliere
(attraverso un’apposita chiave
codificata) la Enduro Pro, in cui
il motore risponde in maniera
più diretta, l’ABS non interviene sull’asse posteriore, l’ASC
lascia passare una buona dose
di pattinamento e le sospensioni lavorano in maniera più
aggressiva.
Una ciclistica tutta nuova
Il telaio a doppio trave in acciaio è completamente nuovo, ed
è stato sviluppato per valorizzare le capacità sportive della
R1200GS senza penalizzare
il comfort: la presenza di un
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telaio “vero” al posto dei due telaietti imbullonati alle due estremità del motore portante (che comunque mantiene la sua funzione)
aumenta la rigidità. In quest’ottica Telelever e Paralever sono stati
profondamente rivisti. Il primo è stato ottimizzato nella geometria,
riducendo il diametro degli steli senza sacrificare il comportamento dinamico e migliorando anzi il feedback verso il pilota – da sempre l’unico aspetto in cui l’atipica soluzione BMW pagava qualcosa
rispetto alla concorrenza, mentre il secondo cambia a tal punto da
fare si che la casa parli di EVO Paralever. La protezione della parte
inferiore del forcellone è più efficace, e il forcellone stesso è nettamente più lungo che in precedenza (588mm contro i 535,6 della
precedente GS) a parità di passo, con il risultato di una trazione
nettamente migliorata tanto su asfalto che fuoristrada. E già che
parliamo di fuoristrada, vale la pena di segnalare anche la maggior luce a terra: 195mm, 8 in più del precedente modello. Diverse
anche le misure degli pneumatici, volte a migliorare il comportamento sportivo della GS. Al retrotreno un cerchio in lega a 10 raggi
da 4,5” calza una gomma 170/60R17 (4” e 150/70R17 sulla “vecchia” GS), mentre all’avantreno debutta un’inedita 120/70R19 su
cerchio da 3” (contro il 110/70R19 su cerchio da 2,5”) che migliora
precisione, tenuta e feeling in frenata, ingresso e percorrenza di
curva. Migliorati anche i freni, dove arrivano le pinze Brembo monoblocco ad attacco radiale che lavorano dischi sempre contraddistinti da un diametro di 305mm. Al posteriore, invece, il disco
passa da 265 a 276mm.
Ponte di comando ed ergonomia:
evoluzione, non rivoluzione
Come su diverse altre novità BMW, anche sulla R1200GS
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debuttano i fari anabbaglianti a LED. I proiettori, unità composte
da quattro elementi con sagoma a “U” che fa il verso ai due anelli
luminosi della K1600GT, garantiscono un sostanziale risparmio di
peso e di energia; il sistema è in grado di commutare automaticamente fra luce diurna e anabbagliante quando scende la notte o si
entra in galleria. Altro vantaggio di un impianto elettrico integrato
con tecnologia CAN-BUS e LIN-BUS, nonché doppia centralina
ZFE. Fra gli optional non figura l’impianto multimediale di cui sono
dotate R1200RT e K1600GT, ma il sistema Multicontroller, che
demanda al solo blocchetto sinistro tutti gli input di comando, debutta comunque anche sulla GS per controllare il BMW Navigator
IV optional. Restando in tema di elettronica vale la pena di citare il
cruise control elettronico che valorizza ulteriormente il comportamento turistico della R1200GS, nonché il computer di bordo e la
nuova strumentazione completamente personalizzabile. La nuova
carenatura continua a sviluppare i temi ben cari a chi ama ed apprezza la GS attuale: i volumi restano grossomodo gli stessi, con il
caratteristico “becco” frontale e il leggero codino pressoché privo
di sovrastrutture. L’impatto è però più aggressivo e grintoso, con
un avantreno più carico e muscoloso. Resta, ovviamente, il faro
asimmetrico sia pure declinato in maniera leggermente diversa,
con i due gruppi ottici che si compenetrano. La zona “vita” della
R1200GS è ora più snella, con una sella regolabile su due posizioni
(850 o 870mm) e nell’angolo di inclinazione. Il parabrezza ora si
può regolare con una sola mano, grazie ad un volantino montato
in zona strumentazione; BMW dichiara per il nuovo cupolino una
riduzione della rumorosità aerodinamica di 5db. Quattro le colorazioni disponibili: Alpinewhite, Racing Red, Blue Fire e Thundergrey
metallizzato.
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Il Boxer del futuro
Debutta sul nuovo GS un propulsore completamente rivisto, che andrà
progressivamente a sostituire il vecchio 1200 su tutta la gamma.
Un motore che unisce efficacemente tradizione boxer e innovazione
1
300, 1250, anzi 1200: nei
mesi scorsi le ipotesi sulle cilindrate (e sulle soluzioni) del nuovo boxer BMW si
sono sprecate, tanto da lasciare quasi straniti nel constatare
che le misure caratteristiche
del “contrapposto” di Monaco
sono rimaste assolutamente
identiche: alesaggio di 101mm,
corsa di 73, cilindrata complessiva 1170cc. Ma attorno tutto
è cambiato, tanto da poter far
parlare a buona ragione di un
motore completamente nuovo
- possiamo dire senza timore di
smentita che un’evoluzione di
questa portata non si è mai vista nella storia del boxer BMW
fin da quando la R32 del 1923
diede origine alla stirpe ormai
novant’anni fa. Gli obiettivi della casa di Monaco erano chiari:
migliorare ancora la regolarità
dell’erogazione,
aumentare
la potenza massima, facilitare la guida. Il tutto rendendo il
propulsore “a prova di futuro”,
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tanto da un punto di vista tecnologico quanto da quello delle normative anti-inquinamento sempre più stringenti. In attesa di toccare con mano, sulla carta la missione pare ampiamente riuscita.
Raffreddamento ad acqua, o quasi
Il sistema di raffreddamento aria/olio utilizzato sul boxer attuale
iniziava a mostrare la corda – non tanto sul piano prestazionale, dove offriva comunque risultati più che apprezzabili, quanto
su quello del contenimento delle emissioni sonore ed inquinanti,
dove la stabilità termica del motore è fondamentale per ottimizzare la combustione e ridurre dunque la presenza di incombusti allo
scarico. BMW è però andata ancora una volta controcorrente, sostituendo l’acqua all’olio nel circuito di raffreddamento, ma continuando a limitarne l’impiego sulle testate. Seguendo infatti la filosofia del raffreddamento di precisione (o raffreddamento mirato)
tanto cara alla F1, il boxer BMW mantiene il raffreddamento ad aria
per i cilindri (da qui l’alettatura ancora visibile) con evidenti benefici di peso, dimensioni (la larghezza resta di 750mm) e… rispetto
della tradizione, utilizzando però l’acqua nella zona maggiormente
soggetta a riscaldamento: le testate. Il circuito può contare su due
radiatori nascosti all’interno dei convogliatori, con elettroventola
ausiliaria controllata da termostato dietro l’unità destra. Rispetto
alla precedente unità, contraddistinta da una ripartizione del raffreddamento fra liquido e aria di 22/78, l’attuale aumenta il contributo del liquido spostando il bilanciamento a 35/65 migliorando
sensibilmente l’efficacia del raffreddamento. Il tutto porta ad un
sacrificio in termini di peso di 2,7kg, ampiamente compensato
però dalla maggior efficienza del propulsore.
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lato aspirazione e 10° per lo scarico, con diametri rispettivamente
di 40 e 34mm), con notevoli benefici in termini di disegno della
camera di combustione che risulta più compatto e, velocizzando
la combustione della miscela consente a sua volta di aumentare
il rapporto di compressione di mezzo punto – da 12 a 12,5:1. La
miglior combustione consente inoltre di continuare ad utilizzare
carburante a 95 ottani senza dover però fare ricorso al sistema
antibattito. Gli alberi a camme di scarico sono inoltre dotati di
decompressore automatico che riduce lo sforzo necessario per
l’avviamento, e consente quindi di risparmiare peso su motorino
d’avviamento e batteria, aumentando nel contempo l’affidabilità
complessiva.
Elettronica: benvenuti nel futuro
Teste girate
Il boxer attuale è contraddistinto da un flusso orizzontale –
per intenderci, i corpi farfallati
dietro ai cilindri immettevano
miscela all’interno dei cilindri che la facevano poi uscire
dagli scarichi posizionati anteriormente. Nel nuovo boxer
il flusso diventa verticale, con
condotti d’aspirazione rettilinei posizionati sopra ai cilindri che consentono non solo
un posizionamento ottimale
degli iniettori, ma anche la
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realizzazione di condotti di identica lunghezza con notevoli benefici sulla sincronizzazione dei corpi farfallati. Risultato: più potenza
ed erogazione più regolare. Questa rivoluzione copernicana – ovvero quella cha a tutti gli effetti si può considerare una rotazione
in avanti dei cilindri – consente inoltre di ottimizzare il comando
della distribuzione secondo uno schema più tradizionale, mantenendo comunque il comando a catena. Nel precedente bialbero,
infatti, curiosamente ogni albero attuava una valvola di aspirazione ed una di scarico; nel nuovo boxer invece ogni asse comanda le
valvole di aspirazione o di scarico. La fasatura è stata ovviamente
modificata, riducendo sensibilmente l’incrocio delle valvole con
benefici per potenza, erogazione e consumi. In attesa della prossima evoluzione, già dichiarata da BMW, che doterà il boxer di fasatura variabile! E’ stato quindi possibile abbandonare la configurazione radiale per le valvole (il cui angolo compreso “crolla” a soli 8°
Sarebbe stato quasi impossibile che BMW, pioniera nella gestione
elettronica dei propri motori, resistesse alla tentazione di imbottirne il nuovo boxer. Debutta quindi anche sul boxer l’acceleratore
ride-by-wire con tutto quanto ne consegue, nella fattispecie riding
modes integrati con la gestione delle sospensioni Dynamic ESA
e controllo di trazione di nuova generazione – finalmente anche
la famiglia boxer riceve le meravigliose innovazioni già viste su
S1000RR e K1600GT e GTL. Tutto l’impianto d’alimentazione è
stato rivisto, con corpi farfallati da 52mm invece dei precedenti
50, cornetti d’aspirazione ridisegnati e un airbox di maggiori dimensioni con un inedito filtro dell’aria “a piastre”. Anche lo scarico
è stato totalmente ridisegnato, con evidenti diversità nell’andamento e nei volumi di collettori e silenziatore, con una valvola allo
scarico all’interno che contiene la rumorosità entro i limiti di legge,
pur conferendo al boxer una sonorità grintosa e dinamica.
Basamento open deck
Un’altra “prima” per il boxer è lo schema open deck, con carter in
alluminio diviso verticalmente e cilindri (con canne rivestite di una
lega ferro/carbonio a bassa usura ed attrito attraverso un processo di spruzzatura termica ad arco elettrico a filo) integrati nei due
semigusci. All’interno del carter gira il nuovo albero motore, più
compatto grazie a cuscinetti di banco il cui diametro passa da 60
a 55m e perni di biella più stretti ma dal diametro maggiorato.
Aumenta così la rigidità e calano le dimensioni globali nonché
il disassamento fra i cilindri
tipico della vista superiore del
propulsore boxer. Le vibrazioni
diminuiscono a loro volta, ma in
BMW hanno comunque preferito mantenere il contralbero di
equilibratura che, grazie ad una
struttura cava, ospita al suo
interno l’alberino della frizione
contenendo così le dimensioni
generali. Grande novità anche
in zona trasmissione: per la prima volta una BMW boxer adotta una frizione in bagno d’olio
(minor rumorosità e maggior
regolarità d’impiego) al posto
della precedente monodisco a
secco. Inoltre l’unità impiegata svolge funzione antisaltellamento – contributo fondamentale, considerando la rigidità
della trasmissione cardanica e
la grande cilindrata unitaria del
boxer BMW. La finale, integrata nel sistema Paralever EVO
di terza generazione, è stata
spostata sul lato sinistro (ora
il cerchio posteriore è perfettamente visibile quando la moto è
ferma sul cavalletto laterale) ed
ovviamente ridisegnata per gestire al meglio le nuove caratteristiche di coppia del motore.
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Ducati Monster
buon compleanno!
di Edoardo Licciardello | Intermot segna
il ventesimo compleanno per la Ducati che
ha reinventato il segmento delle naked in
Italia. Ripercorriamone la storia, modello
per modello
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Diavel, attinge al dialetto felsineo dai primi commenti di chi aveva
visto quella moto tanto strana ed anticonformista. Eccolo lì il Monster – perché il nome attecchì subito al maschile – con la ciclistica
da Superbike prelevata di peso dalla 851/888, il motore della SS,
una spolverata di carbonio, la strumentazione minimalista fatta
da tachimetro e spie (il cupolino arrivò dopo, il contagiri ancora
più avanti) e un serbatoio la cui linea a schiena di bisonte, opera
immortale di Miguel Galluzzi, da allora identifica uno ed un solo
modello di moto in tutto il panorama mondiale. Ci vogliono dodici milioni e mezzo delle vecchie lire per portarsela a casa, quasi
quanto una maxi sportiva, ma i concessionari non riescono a soddisfare gli ordini che gli piovono addosso.
Le sorelline minori e l’affinamento
della prima generazione
Nel 1994 nasce la 600, che rinuncia ad un po’ di cavalleria, un
disco anteriore, e “taglia qualche curva” nella componentistica.
E
’
entrata a far parte della pop culture con tale pervasività che ormai non si può più parlare di una semplice moto,
ma di una vera e propria icona. Il suo successo è stato tale
da risultare trasversale tanto rispetto alle razze motociclistiche
quanto al pubblico in senso lato. Ha fatto innamorare smanettoni e customisti, dandy attenti all’immagine e coatti della peggior
specie, e ha fatto le fortune di innumerevoli preparatori e customizzatori nostrani. Stiamo parlando della Ducati Monster, e se
credete che stiamo esagerando significa che quando è nata non
c’eravate. O non seguivate il mondo delle moto. Bisogna essere
non più giovanissimi per ricordarsi davvero com’era il mondo delle
moto prima che nascesse la Monster, svelatasi al pubblico per la
prima volta esattamente vent’anni fa all’Intermot di Colonia. Prima di lei, associare l’aggettivo “sportivo” ad un modello privo di
carenatura avrebbe suscitato risate sguaiate in chiunque avesse
una certa dimestichezza con il panorama motociclistico mondiale. Poi è arrivato il Monster – il cui nome, come tanti anni dopo il
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Il fenomeno Special
Però costa quasi quattro milioni meno della 900, il cui prezzo
nel frattempo è cresciuto fino
a sfiorare i 15, e va via come
il pane. Tanto che a Bologna
due anni dopo pensano bene
di fare la 750 – identica tranne
per il motore, come sulla famiglia SS – e di rivedere un po’ la
900, che perde il carbonio a favore della 900S, dotata anche
di cupolino, impianto frenante con dischi in ghisa e tubi in
treccia, asta di reazione sulla
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sospensione posteriore, sella in splendido cuoio Connolly – lo
stesso che storicamente adorna gli interni delle Jaguar. Nel 1997,
un po’ per adeguarsi alla sparizione della benzina “rossa” e un po’
perché alla fine tanti il Mostro lo usano anche in città e preferiscono un’erogazione più fluida in basso a qualche cavallo in alto,
la 900 perde qualche millimetro di diametro delle valvole e riceve
gli assi a camme meno spinti già in dotazione alla 750. E visto che
alla fine piace tanto così, il cupolino arriva per tutte le 900 assieme
alla fortunata versione Dark, con sovrastrutture in nero opaco che
fanno risparmiare qualche soldo soprattutto se si vuole destinare
il proprio Monster alle cure dell’aerografo, come spesso succede
all’epoca. Nel 1999 arriva la 900ie con iniezione elettronica, con
cui possiamo considerare concluso il ciclo della prima generazione di Monster.
Se il successo di vendite sembra non avere mai fine – il Monster
piace a tutti, ed è sempre più facile vederlo protagonista di film,
produzioni televisive e servizi pubblicitari – si scatena un fenomeno parallelo, quello della preparazione. Che da sempre è stato
caratteristico dei modelli Ducati, ma che complice la crescente
popolarità del marchio bolognese e la derivazione diretta di motore e ciclistica da modelli sportivi, sul Monster assume proporzioni
che all’epoca risultano stupefacenti. C’è chi trasforma il Mostro
in una Supertwin a manubrio largo, prendendo a prestito pezzi di
ciclistica dalle 916 SP e parti di motore dalle SS pronte pista, chi
al contrario spoglia una vecchia 888 e le cambia il serbatoio per
trasformarla in Monster, chi la declina secondo i canoni delle café
racer montando semimanubri, selle monoposto e specchietti barend, e chi infine le porta ai concorsi riservati alle custom a sfidare
le realizzazioni su base Harley. Nessun preparatore degno di tale
nome può permettersi di non cimentarsi sulla naked bolognese,
tanto che in breve per dire qualcosa di nuovo bisogna sforare
nell’eccesso.
Il restyling e il debutto del Desmoquattro
Nel 2000 il Monster viene sottoposto al primo “lifting”. La strumentazione ormai antiquata viene sostituita con un’unità a doppio
quadrante ben più adeguata ai tempi, e vengono ridisegnati lampeggiatori e tegolino posteriore (che qualcuno in Ducati chiama
un po’ sarcasticamente “il portasapone”). Nasce la Cromo, con il
serbatoio appunto oggetto di cromatura, e la Special che dall’apparenza (sella in cuoio, eccetera) passa alla sostanza – monoammortizzatore Ohlins, particolari in carbonio ed asta di reazione
sulla sospensione posteriore. Il 2001 è il turno del primo mostro
a quattro valvole: l’S4R, dotato del propulsore della 916 rivisto
nella distribuzione per ridurre gli ingombri verticali della testata
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già visto sulla sport-touring ST4 e che verrà confidenzialmente
chiamato “camma bassa”. In realtà la S4 ha molto più in comune
con la ST4 che con gli altri Monster della gamma, comparto ciclistico compreso – è da questa che inizia il processo di eliminazione
della sospensione posteriore ad archetto adottando il più moderno puntone che le Superbike di Borgo Panigale avevano montato
dalla 916 in poi. Nel 2002 nasce la 620, prima vera revisione del
Monsterino che per ammodernarsi e rispettare la normativa Euro2 adotta l’iniezione elettronica. Si prova a vendere anche in Europa
la 400 nata inizialmente per il mercato giapponese ma le vendite
non vanno oltre qualche decina di esemplari. L’esperimento viene
rapidamente cancellato. Al contrario, a fine anno arrivano i modelli
2003 che crescono di cilindrata: la 750 diventa 800 e la 900 passa
a mille.
Le S4R e l’arrivo del Testastretta
Nell’estate del 2003 si inizia a vedere un modello 2004: la S4RS,
che snellisce, svecchia ed incattivisce profondamente la S4. Il motore diventa il 996 (addolcito ma non troppo) montato sulla ST4S,
gli scarichi si sovrappongono sul lato destro, e la livrea con striscia
bianca longitudinale asimmetrica richiama da vicino le muscle car
statunitensi come la Dodge Viper. In questo periodo, tra l’altro, fioriscono una miriade di versioni speciali ricercate dai collezionisti
ma che ben poco aggiungono alla sostanza del Monster. La 800
viene sostituita dalla S2R – che mantiene la base tecnica della precedente due valvole ma con le sovrastrutture e le livree della S4R
– ma bisogna poi attendere il 2006 per vedere altre novità sotto
forma della S4RS, che sostituisce il Desmoquattro con il Testastretta e porta la potenza massima a 130cv, oltre ad aggiungere
sospensioni Ohlins (ammortizzatore di sterzo compreso), pinze
radiali monoblocco e pompa anch’essa radiale. Il Monster più piccolo passa a 695cc, mentre l’anno successivo anche la S4R adotta il motore Testastretta mantenendo però con la ciclistica meno
pregiata della versione originaria.
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2008: il passaggio all’alluminio e l’urbanizzazione
Nel 2008 ha luogo il più profondo restyling mai subito dalla Monster. Ad EICMA, quasi in sordina, arriva la 696. La ciclistica diventa
a soluzione mista: per la prima volta una Ducati associa al traliccio
in acciaio un pressofuso in alluminio nella zona posteriore, alleggerendo sostanziosamente il modello (che sfiora i 160kg a secco)
e modernizzandone la guida. Il serbatoio mantiene ovviamente la
foggia originaria ma vanta due cattivissime prese d’aria frontali,
il faro diventa una complessa unità multicomponente. A breve
arrivano anche le 1100 e 1100S, identiche nell’estetica ma dotate
ovviamente del propulsore Dual Spark già visto sulla Multistrada;
tutti i Monster della gamma precedente, soprattutto i quattro valvole, vengono immediatamente pensionati con l’arrivo della Streetfighter. Nel 2010 arriva anche la 796, in occasione della quale
viene leggermente rivista la posizione di guida rendendola più comoda nell’uso in città: con il passaggio del testimone sportivo alla
Streetfighter la Monster diventa un po’ più “urban” e meno cattiva. Le vendite del Monster non sono più quelle dei tempi d’oro, ma
“il mostro” resta un’icona le cui doti di carisma, riconoscibilità e
piacere di guida non si discutono. Fra pochi giorni, all’apertura del
Salone di Colonia, compirà esattamente vent’anni. Chissà che in
Ducati non abbiano in mente un regalo per chi ama ancora tanto
la moto che ha reinventato il segmento delle naked e contribuito in
tale misura a portare il marchio bolognese nell’olimpo dei costruttori del nuovo millennio?
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Ducati Monster 20° anniversario
Per il ventesimo anniversario della storica naked Ducati arriva ad
Intermot 2012 una versione speciale del Monster. Sapore retrò e
tecnologia moderna
I
l Monster compie 20 anni
proprio qui a Colonia - era
il 1992 quando il Mostro
debuttò all’Intermot - e Ducati
non se ne è certo dimenticata,
dedicando alla sua naked una
versione speciale con diversi
aggiornamenti tanto per l’estetica quanto per la sostanza.
L’edizione 20th Anniversary,
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che verrà “implementata” su tutta la gamma (696, 796 e 1100EVO
) è caratterizzata da una livrea speciale - con forti richiami all’estetica del primo Monster, compresi i font dell’epoca (“Ducati 1986”)
nelle scritte sul serbatoio - e dalle colorazioni allora patrimonio
della M900, con il rosso Ducati abbinato al telaio color bronzo di
alcuni componenti come telaio, pompe freno e frizione. In dettaglio, la parte centrale del serbatoio è riverniciata in Rosso Ducati,
il telaio è naturalmente bronzo, le pinze freno e flange dischi freno oro (dello stesso colore, sulla 1100EVO, anche pompe freno
e frizione); i foderi forcella sono color champagne, il forcellone
posteriore, piastre e piedini
della forcella anteriore e coperchi motore sono di color
grigio. Il supporto faro è cromato, mentre gli specchietti
retrovisori sono stati rivisitati
in chiave 90, e la sella ricorda
da vicino quella del primo Monster nel coprisella passeggero.
Vi presentiamo anche il video
che Ducati ha dedicato alla ricorrenza! Debutta in società
anche la Monster Diesel, già
presentata a New York qualche
mese fa: la versione speciale,
realizzata in co-branding con il
marchio di abbigliamento creato da Renzo Rosso, arriverà
nelle nel 2013.
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Ducati, nuove livree per Diavel,
Panigale e Streetfighter
Per il 2013 le best-seller Ducati si rinnovano nelle livree, con nuove
colorazioni per Diavel, la superbike Panigale e le due Streetfighter
S
quadra che vince non
si cambia tranne che
nei colori, dev’essere stata la filosofia Ducati, che
dopo aver lanciato la nuova
Multistrada 2013 con la presentazione dinamica già qualche settimana fa, qui festeggia
i vent’anni del Monster con
un’edizione speciale ed aggiorna solamente nelle livree tre
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delle best-seller della propria gamma, rimandando ad EICMA altre
eventuali novità. Iniziamo da Diavel, su cui la casa di Borgo Panigale rispolvera quella colorazione Dark nata a fine anni 90 sulla Monster che si rivela, prevedibilmente, di grande impatto anche qui.
Oltre alla sofisticata livrea nera opaca, Diavel per il 2013 vanta steli
forcella neri con trattamento antiattrito DLC (Diamond Like Carbon), prese d’aria anodizzate nere, e diversi altri particolari come
silenziatori, pedalini cambio e freno, manubrio, specchietti retrovisori e supporto proiettore verniciati neri. Alla Dark fanno da contrasto due nuove colorazioni che - anche qui, forse non a caso - richiamano livree già viste sul Monster, in questo caso il primo S4R:
blu metallizzato e rosso Ducati entrambi “tagliati” da una banda
longitudinale bianca sul serbatoio stile Dodge Viper, con cerchi
ruota bianchi e telaio che riprende lo stesso colore del serbatoio. A
questo si aggiungono prese d’aria in alluminio ed estrattori aria dei
radiatori in fibra di carbonio. Tutte le tre nuove colorazioni sono
dotate di una sella in stile “vintage” caratterizzata da una trama
realizzata a cannettatura orizzontale. Panigale si propone invece
in bianco - arctic white, riprendendo una denominazione Audi - oltre al tradizionale Rosso Ducati sia sulla versione base che sulla
“S”. Livrea ovviamente obbligata, per ovvi motivi, sulla Tricolore.
Nuove colorazioni, infine, anche per la gamma Streetfighter. La
848 è disponibile in rosso con telaio rosso, nel più classico stile
Ducati in aggiunta alle “solite” Fighter Yellow e Dark Stealth con
telaio nero racing. Lo Streetfighter S 2013 invece è disponibile nel
classico rosso Ducati e in più nell’aggressivo “Race Titanium Matte”, entrambi con telaio rosso e cerchi neri.
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INTERVISTA
Diego Sgorbati: “Il Monster resterà
la porta di accesso all’esperienza Ducati”
di Andrea Perfetti | Il direttore marketing della Casa italiana
traccia un bilancio dei primi venti anni della nuda bolognese.
Una moto che ha inventato un nuovo genere e ancora oggi
fa sognare i ducatisti di tutto il mondo
D
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iego Sgorbati, direttore marketing della Ducati, ci parla dei primi
venti anni della nuda bolognese. Un moto che ha inventato
un nuovo genere e ancora oggi
fa sognare i ducatisti di tutto il
mondo. Soprattutto la Monster
rappresenta ancora oggi, per
molti appassionati, la prima
moto che fa entrare nell’esclusivo mondo Ducati.
Monster all’interno della gamma Ducati oggi?
«E’ sempre un best seller della
nostra azienda, capace ogni
anno di rinnovarsi con colori,
versioni e modelli (pensiamo
per esempio anche al Monster
Diesel) che ne esaltano il carattere di icona senza temo, e
soprattutto continua ad essere
la porta di accesso per molti
clienti all’esperienza Ducati».
Panigale e Multistrada negli
ultimi due anni hanno catalizzato l’interesse dei ducatisti.
Non possiamo però dimenticarci della mitica Monster,
che nel 2013 compirà 20 anni.
Qual è il peso della famiglia
696, 796 e 1100 EVO. Qual è
il modello più amato dai monsteristi in Italia?
«In Italia il 796 è oggi la versione
più venduta in quanto propone
un package di stile, prestazioni
e prezzo molto interessante,
anche se è doveroso sottolineare che le vendite in Italia sono
oggi più che mai caratterizzate
dal contesto economico che
penalizza forse di più il 696 –
vera entry della gamma rivolto
ai più giovani e ai neomotociclisti– e il 1100EVO che per alcuni
è diventato irraggiungibile».
Come vanno le vendite delle
Monster in Europa e negli Stati Uniti d’America?
«Bene, molto bene. Vale quanto detto sopra sulla capacità di
mantenere sempre alto l’interesse intorno a questo modello
senza al contempo snaturarlo
o cambiarne i canoni di ispoirazione».
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La Monster di oggi appare meno ruvida rispetto alla prima versione 900 del 1993. Oggi è un prodotto ben rifinito e maturo,
ma ha perso parte della ruvidità maschia della mitica M900.
Forse Hypermotard e, ancora di più, Diavel le hanno tolto lo
scettro di nuda bestiale a Borgo Panigale?
«E pensare che il Monster 796 di oggi è più potente del 900 di allora. Però è vero che delle 2 anime del Monster, quella Performance
e quella Lifestyle, l’attuale generazione di mostri celebra di più la
seconda, pur senza rinunciare – mi riferisco al 1100EVO - al motore Desmodue più potente e “coppioso” di sempre».
20 anni sono un traguardo invidiabile, che pochi modelli possono vantare. Cosa dobbiamo aspettarci dalla Monster che verrà?
«Questa è facile: design inconfondibile, prestazioni di alto livello,
e una versatilità che anche in futuro renderà quest’icona su due
ruote attraente per motivi diversi a gruppi di clientela spesso apparentemente eterogenei. E aggiungo che tu nomini il Monster
sempre al femminile, forse perché sei milanese, ma qui a Borgo
Panigale il Monster è e resterà IL Monster».
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»»» Colonia
Ducati Panigale Superbike
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Allo stand Ducati, fra le novità della produzione di serie, è spuntata
la Panigale in configurazione Superbike che debutterà in gara nel
mondiale 2013
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bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb
bbbbbbbbbbbbbbb
A
llo stand Ducati, fra
un Monster 20° anniversario e la Desmosedici GP12 del motomondiale,
è spuntata quasi in sordina una
Panigale in allestimento Superbike - la moto che l’anno prossimo Carlos Checa porterà in
gara nel Mondiale Superbike. Al
momento attuale sono comunque diversi i team che dovrebbero correre con la nuova Ducati che, ricordiamo, non verrà
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penalizzata con la zavorra imposta quest’anno alla 1198 portandone il peso ben oltre quello delle quattro cilindri. Tenuta a battesimo
da Claudio Domenicali, Direttore Generale Ducati, la Panigale Superbike lascia... quasi tutto all’immaginazione, coprendosi dietro
la carenatura e lasciando alla vista una vera e propria distesa di
fibra di carbonio e la forcella Ohlins TRSP25 con impianto frenante
Brembo monoblocco. Fa effetto vedere i cerchi di serie della Panigale S calzanti le coperture slick, ma al netto del materiale dovremo fare l’occhio alle proporzioni visto che, a partire dal 2013,
tutte le Superbike nel Mondiale torneranno alle 17”. Attendiamo
di rivederla da vicino nei test di fine stagione successivi all’ultima
gara di Magny Cours, occasione in cui con ogni probabilità sapremo qualcosa di più in merito alla competitività della Panigale.
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KTM Adventure 1190
KTM presenta ufficialmente, al Salone di Colonia, la nuova Adventure
1190. Tante le novità, a partire dal motore da 150 cv e dalle sospensioni
elettroniche. Presente anche la R con cerchio da 21”
N
uova KTM Adventure 1190
Vi avevamo mostrato di recente le foto della nuova maxi
stradale catturata durante gli ultimi collaudi. Vi mostriamo ora, dal Salone di Colonia, le foto dell’attesissima Adventure
1190. Tantissime le novità, a partire dal motore da 150 cavalli. La
nuova bicilindrica austriaca si presenta come una rivale decisamente agguerrita nel segmento delle maxi enduro (manteniamo
questo nome per convenzione), nel suo mirino c’è innanzitutto la
Ducati Multistrada di recente rinnovata nello stile e nelle sospensioni. Lo diciamo a ragione veduta: i dati tecnici che trapelano
dalla foto che vi mostriamo testimoniano una dotazione di serie
eccellente. A Colonia vedremo dal vivo la versione standard e l’aggressiva R, dotata di telaio arancione e di importanti modifiche, a
partire dalla ciclistica.
Motore da corsa e tanta elettronica per la sicurezza
Il nuovo motore bicilindrico deriva da quello della Superbike RC8,
ma è stato addolcito per erogare 150 cavalli (proprio come succede per la moto bolognese). Ha la doppia accensione ed è dotato
di frizione antisaltellamento. La gestione elettronica del motore
è evoluta, il comando del gas ha il ride by wire e sono disponibili
quattro mappe, una è dedicata alla guida in fuoristrada. L’ABS è
di tipo disinseribile e non manca il traction control. I cerchi sono
da 19” davanti e 17” dietro, più stradali quindi rispetto all’attuale
Adventure 990 (che ha l’anteriore da 21”). Sono stati mantenuti
i raggi. La posizione in sella è regolabile su due posizioni e anche
il parabrezza è aggiustabile nella sua altezza. Il peso in ordine di
marcia è competitivo: 235 kg (la R) col pieno sono uno tra i migliori risultati nella categoria. La 1190 Adventure ha le sospensioni
elettroniche WP (EDS). Sviluppa come anticipato 150 cavalli e una
coppia massima di 125 Nm. Sappiamo sin d’ora che gli intervalli
sono programmati ogni 15.000 km. Gli pneumatici sono tubeless
nelle misure 120/70-19 davanti e 170/60-17 dietro. La 1190 Adventure R si differenzia innanzitutto per un peso di poco superiore
(235 kg contro 230 col pieno di benzina e olio) e nella misura dei
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cerchi: 90/90-21 e 150/60-18
rispettivamente all’avantreno
e al retrotreno. Le sospensioni
WP sono interamente regolabili. La vedremo a Colonia (3-7
ottobre) per l’Intermot, dove
avverrà il debutto; in quella
occasione potremo avere una
prima definizione del prezzo.
Naturalmente poco più di un
mese dopo potremo osservarla
da vicino all’EICMA di Milano,
per poi aspettarla dai concessionari entro il primo trimestre
del 2013.
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Nuovi colori per
Honda CBR1000RR Fireblade,
CB1000R e Hornet
Questione di stile: per il 2013 si cambia l’abito! CBR1000RR Fireblade,
CB1000R e Hornet per l’anno prossimo si vestiranno di nuovi colori:
‘Tricolour’ e ‘Repsol Honda MotoGP replica’ per la Fireblade e
‘Mat White’ per CB1000R e Hornet
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Q
uestione di stile: per il 2013 si cambia l’abito! CBR1000RR
Fireblade, CB1000R e Hornet per l’anno prossimo si vestiranno di nuovi colori: ‘Tricolour’ e ‘Repsol Honda MotoGP replica’ per la Fireblade e ‘Mat White’ per CB1000R e Horne.
La CBR1000RR Fireblade si presenta al salone di Colonia con due
nuovissime colorazioni, la ‘Tricolour’ con l’abbinamento classico
bianco-rosso-blu e la ‘Repsol Honda MotoGP replica’ che riprende la veste grafica della Honda RC213V. La CB1000R per il 2013 si
proporrà con la colorazione Matt White abbinata alla colorazione
oro dei cerchi, che le donano ancor di più un carattere sportivo.
La Hornet invece eredita le colorazioni Matt White della CB1000R
con l’aggiunta della colorazione oro per i cerchi.
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La nuova Honda CB1100
Honda propone la CB1100, una moto vintage
che combina la linea fuori dal tempo con la tecnologia
di oggi. Ha 90 cv e una coppia di 93 Nm, ABS e
frenata combinata di serie
M
otore
La Honda CB1100 è
spinta da un motore bialbero con un rapporto di
compressione di 9,5:1 raffreddato ad aria e olio che sviluppa
90 cv con una coppia massima
di 93 Nm a 5.000 giri. L’iniezione elettronica sfrutta un solo
corpo farfallato con diametro di
36mm. Alesaggio e corsa sono
di 73,5mm per 67,2. Frizione a
secco e cambio a 5 marce.
Telaio
Il telaio è un classico doppia
culla che sorregge il quattro
cilindri Honda grazie a quattro
supporti rigidi e due in gomma.
La forcella da 41 mm è regolabile nel precarico così come
gli ammortizzatori posteriori
Showa. Le ruote da 18 pollici in
alluminio pressofuso (con verniciatura silver) a cinque razze
calzano pneumatici 110/8018 e 140/70-18. La frenata è
garantita da un freno a doppio disco flottante (296mm)
all’anteriore con pinze Nissin a
tre pistoncini, mentre al posteriore il disco singolo (256mm)
è lavorato da una pinza a un
solo pistoncino. A vegliare sulla
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tranquillità e la sicurezza delle
frenate anche nelle situazioni
più “scivolose” c’è l’ABS combinato di serie. Il passo è di
1.490 millimetri e l’altezza della
sella - soli 795 mm - diventa abbordabile anche da chi non è un
gigante o, perché no?, anche
da qualche signorina.
Il peso è di 248 kg in ordine di
marcia con un serbatoio che
contiene 14,6 litri con una riserva di 3,5.
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Honda svela
la CRF450 Rally
per la Dakar 2013
Ecco l’arma con cui Honda si presenta
alla Dakar 2012: strettamente legata alla
CRF enduro di serie, sarà il banco di prova
per le future tecnologie della casa di Tokyo
A
rriva all’Intermot 2012 la CRF450 Rally con cui Honda
parteciperà - con ambizioni di vittoria - alla prossima
Dakar, che prenderà il via il primo gennaio 2013 in sud
America. L’obiettivo, dichiarato senza mezzi termini, è quello di
rinverdire i fasti delle NXR ufficiali con cui la casa di Tokyo ha vinto
cinque edizioni, di cui quattro consecutive, con piloti come Neveu
(che firmò la prima vittoria nel 1982), Orioli, Lalay. La CRF450 Rally - che Honda vede come un laboratorio su cui sperimentare le
nuove tecnologie da riversare sulla produzione di serie - si basa
sulla CRF450X enduro, dotata però di iniezione elettronica Honda
PGM-FI per ridurre i consumi. Una moto laboratorio, insomma, ma
anche una derivata di serie - anche se forse non nello spirito delle
vecchie Silhouette, per restare in tema “vecchia Dakar” che vuole
sfidare i prototipi ufficiali. Allo squadrone già annunciato (Helder
Rodrigues, Felipe Zanol, Sam Sunderland e Javier Pizzolito) si è
aggiunto lo statunitense Johnny Campbell, leggenda della Baja
1000 (vinta 11 volte) che darà un fondamentale contributo allo sviluppo del mezzo. Finora la CRF Rally ha girato solo in Giappone; il
debutto internazionale è previsto per il Rally del Marocco il prossimo 14 ottobre, con l’obiettivo di testare la moto in reali condizioni
di gara e proseguire nel percorso di sviluppo.
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Il nuovo Honda NSC50R
Vestito con la sempre allettante livrea del team ufficiale MotoGP, ecco
il nuovo “cinquantino” a 4 tempi dalla sigla importante – NSC50R – che
Honda presenta all’Intermot tedesco
C
ome lo stesso tunnel
centrale decisamente
rialzato e le pedane
posteriori con supporti in alluminio lasciano arguire, si tratta
di un mezzo a ruote medio-alte
da città, dedicato presumibilmente ad utenti – giovanissimi
o adulti che siano – dall’animo
sportivo. Certamente tutt’altro
che inedito a livello di stile, ma
tecnicamente accattivante, il
nuovo Hondino è nato per essere facile ed agile da guidare
(e ci mancherebbe che un cinquantino non lo fosse…), ma
anche pratico a livello di capacità di carico: infatti è dotato
48
di un sottosella in grado di contenere anche un casco integrale,
e di due vani più piccoli – presumibilmente nel retro scudo – ove
depositare bibite ed altro. Il telaio a culla in tubi d’acciaio ha un
interasse di 1.256 mm, con cannotto inclinato di 26,5° e avancorsa
di 83 mm, e davanti monta una forcella dotata di un freno a disco
idraulico da 220 mm, che lavora in sinergia col tamburo posteriore
(da 130 mm) grazie al noto sistema di frenata combinata CBS. Le
ruote in lega sono da 14pollici, con pneumatici da80/90 e 90/90
davanti e dietro. Il piccolo monocilindrico a 4 tempi da 49 cc - raffreddato ad aria e con distribuzione monoalbero in testa (SOHC)
con due valvole - eroga 3,6 cv a 8.250 giri con 3,5 Nm di coppia a
7.000, ed è alimentato tramite il sistema di iniezione elettronica
PGM-FI (abbinata ad un catalizzatore a 3 vie), che consente un
consumo medio di 50 km/l nel classico ciclo WMT/C, e di 65 km/l
viaggiando costantemente a 30 km/h.
Il serbatoio è da 5,5 litri, quindi l’autonomia è decisamente soddisfacente. L’NSC50R ha il piano sella a 760 mm da terra, e pesa
102,5 kg col pieno.
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Ecco la Kawasaki Z800
Finalmente svelata l’erede della Z750. Linea più affilata e
maggior vigore prestazionale per la “Zeta” del quarantennale
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S
ono passati esattamente 40 anni dalla
prima, storica, Kawasaki Z1000 (o Z1, come veniva chiamata negli Stati Uniti)
- ricorrenza in cui la casa di
Akashi ha deciso di svecchiare
la sua best-seller Z750 nella
maniera più semplice ed efficace che si possa concepire:
aumentandone la cilindrata.
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La Z “piccola” pareggia i conti
con la Yamaha FZ8 portando
la cilindrata a 800: per la precisione, attraverso l’aumento
dell’alesaggio da 68,4 a 71mm
la Zetina passa da 748 a 806cc,
migliorando la coppia ai bassi
e medi regimi e guadagnando
qualche cavallo anche in alto.
E’ stata comunque prestata
particolare cura a mantenere
grande dolcezza d’erogazione:
chi cerca brutalità, dopotutto,
con ogni probabilità punterà
comunque alla 1000. Cambia
a questo scopo la centralina,
più potente rispetto alla 750,
e i condotti d’aspirazione diventano a lunghezza differenziata. Sul lato alimentazione i
corpi farfallati aumentano di
diametro (da 32 a 34mm) e
montano flauti ad atomizzazione ultrafine; i pistoni, pur più
larghi, perdono il 10% di peso
grazie ad un mantello più corto
e a passaggi olio più ampi che
migliorano la lubrificazione.
Per aumentare ulteriormente
la brillantezza della risposta la
trasmissione finale viene accorciata (2 denti in più sulla corona), e lo scarico cambia con
collettori più lunghi e un nuovo
schema per i compensatori e
il silenziatore che sfruttano diversamente la contropressione
dei gas combusti. Il telaio resta
il collaudato monotrave con
culla inferiore chiusa, rivisto
però nelle rigidità e con nuove
sospensioni - una forcella rovesciata da 41mm regolabile in
precarico ed estensione ed un
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monoammortizzatore con serbatoietto olio separato piggy-back
riposizionato sul lato sinistro (a 20mm dalla linea mediana) per
fare da contraltare allo scarico e migliorare l’equilibrio generale del
mezzo. Il forcellone in acciaio viene allungato di 12mm per compensare gli effetti dell’accorciamento della rapportatura sulla stabilità in accelerazione. Migliorie anche all’impianto frenante, con
due pinze a quattro pistoncini che lavorano dischi a margherita
dal maggior diametro (310mm) per migliorare feeling, potenza e
resistenza allo sforzo. L’ABS è naturalmente disponibile come optional. Nuova anche la posizione di guida, con una sella rivista che
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offre un maggior comfort, pedane integrate pilota/passeggero in
alluminio pressofuso (prive di gomma per il pilota al fine di migliorare il feeling e il carisma sportivo) e in generale una diversa correlazione manubrio/pedane/sella anche grazie ad un serbatoio più
sottile nella zona posteriore. Completamente rinnovata anche la
strumentazione a triplo quadrante LCD dotata di contagiri a barre,
tachimetro e indicatore di livello carburante, autonomia residua,
Economy Riding. Anche l’estetica viene rivista, con tutta la moto
che vuole prendere vita e trasformarsi in una belva feroce. Ecco
allora un nuovo cupolino dalle linee aggressive che incorpora uno
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spigoloso faro multi-sfaccettato, il puntale che abbraccia il
motore come le fauci di un predatore e il faro posteriore a LED
con profilo dei corpi illuminanti
a “Z”. La Z800 sarà disponibile nelle colorazioni Candy Flat
Blazed Green/Metallic Spark
Black, Pearl Stardust White/
Metallic Spark Black e Flat Ebony/Metallic Spark Black. La prima colorazione verrà sostituita
dalla Pearl Blazing Orange /
Metallic Spark Black per il modello depotenziato a 70kW nei
paesi dove entrerà in vigore la
nuova regolamentazione per
le patenti. Al salone di Colonia
sono state esposte in bella mostra anche la Kawasaki Ninja
300 e la Ninja ZX-6R.
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A
Aprilia RSV4 Factory ABS
A due anni di distanza dall’APRC arriva un’ulteriore, profonda
evoluzione per la Superbike di Noale. V4 più potente ed elettronica
ancora più raffinata
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rriva un po’ inattesa l’evoluzione dell’Aprilia RSV4 Factory 2013, denominata eloquentemente Factory ABS.
In testa al mondiale nella sua versione da gara con Max
Biaggi, la Superbike stradale Aprilia si evolve ulteriormente con
un passo avanti del pacchetto elettronico APRC ma anche, per la
prima volta dalla sua introduzione, con un sensibile incremento
della potenza massima e un piccolo ritocco estetico che coinvolge il gruppo ottico anteriore e il fondello del silenziatore, oltre al
serbatoio (la cui capienza passa da 17 a 18,5 litri) e ai fianchetti
che migliorano la sistemaziokne delle gambe del pilota. Partiamo
dall’elettronica: il nuovo APRC - che sulla Factory è disponibile di
serie, viene evoluto in tutti i suoi aspetti. Il controllo di trazione
ATC, ancora su otto livelli attraverso un joystick sul blocchetto sinistro, è stato reso più performante e raffinato nell’intervento. Allo
stesso modo, il controllo anti-impennata AWC è stato rivisto nelle
modalità di funzionamento, mentre non sono state apportate variazioni di rilievo ai sistemi di Launch control (ALC) e Quickshifter
(AQS). La star dello spettacolo è ovviamente il nuovo ABS, implementato attraverso il sistema Bosch 9MP, capace di lavorare in
maniera ottimale tanto su strada quanto in pista integrandosi con
le altre funzioni del sistema elettronico e penalizzando di soli 2kg
il peso dell’ipersportiva Aprilia. Il sistema interviene su tre livelli;
il primo (Track) è dedicato all’uso in pista, agisce su entrambe le
ruote e massimizza la decelerazione possibile a qualunque velocità. Al secondo livello (Sport), l’intervento è progressivo sulla base
della velocità, e comprende un sistema anti-ribaltamento. Il terzo
livello (Rain) è ovviamente dedicato alla guida su fondi di scarsa
aderenza, con un intervento
molto prudenziale. Le tre mappature possono essere utilizzate con tutte e tre le logiche di gestione di acceleratore e motore
(Track, Sport, Road) secondo
necessità e preferenza del pilota, che sulla RSV 2013 può
contare su pinze monoblocco radiali Brembo M430 con
pompa a manubrio anch’essa
radiale. Anche la diversa ripartizione dei pesi - la sella è
stata abbassata, e il motore
posizionato diversamente - dovrebbero migliorare la stabilità
in frenata, una delle pochissime debolezze delle precedenti
versioni di RSV4. Il propulsore,
infine, resta ovviamente un V4
di 65°, ma la potenza massima
passa da 180 a 184cv sempre a
12.500 giri/minuto, e la coppia
da 115 a 117Nm a 10.500 grazie
ad un nuovo impianto di scarico e a migliorie nella gestione
elettronica.
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Yamaha FJR 1300 2013
Profondo rinnovamento per la maxi Sport-Tourer di Iwata, con tante
novità tanto estetiche quanto di sostanza. Prima assoluta Yamaha
per le sospensioni elettroniche
L
a sport-tourer di Iwata cambia tanto nella
faccia quanto nel... fisico per la prossima stagione.
Il restyling si concentra sulla
carenatura, completamente riprogettata per offrire una maggior protettività ma anche una
linea più filante e moderna - la
versione attualmente in vendita risale ormai al 2006 - per
ringiovanire un po’ il modello.
Il poderoso quattro cilindri raffreddato a liquido viene toccato
solo marginalmente nelle sue
componenti interne; i cilindri
ora sono privi di camicia e con
un riporto ceramico diretto sulle pareti, come R1 ed R6, e sono
stati rivisti condotti d’aspirazione ed impianto di scarico. Al
contrario, grazie all’esperienza
maturata nelle competizioni
e trasportata sulla produzione di serie della gamma YZFR arrivano diverse, gustose,
novità elettroniche, a partire
dall’acceleratore ride-by-wire
YCC-T nato su YZF-R1 ed R6.
La grande coppia erogata dal
motore viene tenuta a bada dal
controllo di trazione (escludibile ma non regolabile nel livello
d’intervento) TCS. Anche la
mappatura del motore ora è
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e controllo dell’idraulica separato sui due steli) e monoammortizzatore vengono modificati nell’idraulica e nella componente elastica, sulla AS le unità cambiano completamente, demandando
in toto all’elettronica la gestione della funzione ammortizzante.
Il pilota può scegliere fra quattro impostazioni di carico (che evidentemente vanno ad agire sul precarico molla) per guida a solo,
con bagagli, con passeggero o con passeggero e bagagli. Ma non è
finita, perché è anche possibile regolare la frenatura idraulica nelle
tre posizioni soft, standard e hard sulla base dello stile di guida
desiderato. Al momento non abbiamo dettagli relativi al prezzo in
Italia o alla disponibilità; vi sapremo dire comunque di più quando
la proveremo a fine mese in Spagna!
selezionabile fra due possibilità, Sport e Touring, attraverso
il tasto che controlla il D-Mode
sul blocchetto destro. Per le
lunghe tratte autostradali arriva anche il cruise control, il cui
lavoro viene gestito elettronicamente con due pulsanti posizionati sul blocchetto sinistro.
Parabrezza e cupolino sono
stati completamente ridisegnati per migliorare l’efficienza
aerodinamica, e il plexi ora è
caratterizzato da una regolazione elettrica a velocità doppia rispetto all’unità precedente, con memorizzazione della
posizione che viene mantenuta
60
anche in caso di spegnimento della moto. Inedito anche il doppio
faro, più aggressivo e moderno, con luci di posizione a LED. Stessa
tecnologia anche per gli indicatori di direzione, e ovviamente sono
tutti nuovi anche strumentazione e comandi. La versione AS, che
aveva fatto debuttare nella gamma Yamaha la cambiata servoassistita (è stata la prima moto di serie moderna priva di leva della
frizione sul blocchetto sinistro) si spinge oltre. Lo stesso cambio
YCC-S è stato evoluto arrivando alla seconda generazione: grazie
all’acceleratore ride-by-wire il controllo sul regime motore è più
preciso e rapido, e di conseguenza il cambio può diventare più rapido e progressivo nella sua azione. Ora è possibile cambiare indifferentemente con il comando a pedale o con quello a manubrio
(due tasti sul blocchetto sinistro). Inoltre arriva anche sulla FJR il
sistema “stop mode”, che in caso di fermata della moto scala automaticamente le marce fino ad arrivare alla prima. Ma soprattutto debuttano - per la prima volta su una Yamaha, e più in generale
su una moto giapponese - le sospensioni a controllo elettronico.
Se sulla versione base forcella rovesciata (ora con steli da 48mm
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Yamaha, le altre novità
FZ8, XJ6, nuovo motore tre
cilindri, concept e scooter
Oltre alla rinnovata FJR1300 arrivano novità anche
per XJ6, FZ8 ed Aerox, la concept “Moto Cage-Six”
e un inedito motore tricilindrico con fasatura a croce
oltre ad un inedito scooter “Entry Level 125”
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A
fianco della star della giornata, la FJR1300, a Colonia si rifanno il trucco anche XJ6 ed FZ8 presentate in livrea “Race
blu” (già vista sulle YZR-M1 di Jorge Lorenzo e Ben Spies
nelle gare di Misano e Aragon, e in quelle occasioni sui modelli di
serie YZF-R1, R6 ed YZR125) ma con interessanti novità non solo
estetiche. FZ8 unisce alla nuova livrea - che, per inciso, sarà una
presenza costante nella gamma Yamaha dei prossimi anni - una
profonda revisione al comparto sospensioni: tanto la forcella
che il monoammortizzatore ora diventano regolabili. A questo si
aggiunge un nuovo design dello scarico, più cattivo nel sound e
nella linea, e dettagli come le lenti bianche per i lampeggiatori. Le
novità su XJ6, come già anticipato qualche tempo fa, riguardano
modifiche estetiche di fianchetti, zona faro, maniglioni passeggero
ed aggiornamenti a sella, strumentazione e grafiche. Yamaha approfitta dell’occasione per svelarci un po’ del suo futuro, con due
“spaccati” su quello che ci si deve attendere dal futuro. Iniziamo
dalla concept bike “Moto Cage-Six”, un modello ispirato agli sport
estremi - con particolare riferimento al freestyle - che vuole riavvicinare i giovani alla moto attraverso il richiamo allo spettacolo
messo in scena dagli atleti che praticano cross, downhill, kite surfing e via discorrendo. Il motore è avvolto da robusti tubi metallici
che uniscono la funzione protettiva ad un look ispirato al freestyle;
le grafiche sono evidentemente dedicate ai più giovani.
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Il nuovo tre cilindri
Ancora più interessante il nuovo propulsore, che coniuga la
principale innovazione tecnologia portata da Yamaha - l’albero con fasatura a croce, nato
per la prima volta sulla YZF-R1
del 2009, capace di annullare
le fluttuazioni derivanti dalla
coppia inerziale - al frazionamento a tre cilindri. Si tratta
in realtà di un “ritorno” della
Casa dei tre diapason a questa
interessante
configurazione
motoristica: un ritorno ad oltre
trent’anni dalla presentazione
della XS750 (si parla del 1976)
cui seguì, nell’82, la XS850,
66
entrambe appunto tricilindriche, con trasmissione finale ad albero.
Il nuovo tricilindrico frontemarcia, leggero e compatto, nasce ovviamente per combinare con successo le caratteristiche positive dei
motori a 2 e a 4 cilindri. Il nuovo progetto Yamaha ha il potenziale
per trasferire alla strada prestazioni finora viste solo in pista - non
sappiamo ancora in che declinazioni lo vedremo né precisamente
la cilindrata del prototipo esposto, ma a giudicare dalle realizzazioni delle rivali non è ipotesi peregrina immaginarsi una proposta di
media cilindrata, magari con ambizioni supersportive... Nel mondo
scooter arrivano importanti novità. Il segmento 50cc si arricchisce
di Aerox R - sempre spinto da un vivace propulsore a due tempi - e
della versione speciale Aerox R Naked, nonché di un nuovo 125 a
pedana piatta - il nome è ancora in via di definizione - che vedrà la
luce nel 2013.
La famiglia Aerox ha visto una profonda rivisitazione delle proprie
linee, con una minimalistica carenatura sportiva tutta nuova ed un
cupolino a doppio faro migliorato nella funzionalità. Diversa anche
la nuova sella e la luce posteriore ispirata al gruppo ottico della R1.
Migliorie al comparto freni, con dischi che crescono nel diametro
fino ad arrivare a 190mm. Di grande impatto la versione Naked:
disponibile nella colorazione nero opaca, è contraddistinto da manubrio senza carenatura, strumentazione ridotta all’osso e monoammortizzatore con serbatoio separato dal look molto sportivo.
La nuova proposta nel segmento 125cc vuole invece accattivarsi
le grazie di chi cerca un mezzo economico nella gestione e pratico
nell’impiego urbano: peso inferiore ai 99 kg, altezza sella ridotta
per la massima maneggevolezza, vano sottosella con capienza per
due caschi jet, vano porta oggetti nel retro scudo. Un entry level,
appunto, spinto da un 125 a quattro tempi sviluppato a partire da
una piattaforma - passateci il termine automobilistico - pensata
per il mercato asiatico, dove appunto affidabilità e parsimonia nei
consumi sono aspetti fondamentali. Il nuovo modello - il cui nome
ufficiale è ancora in via di definizione - è caratterizzato da un design gradevole, prestazioni affidabili in ogni condizione, comfort ed
ovviamente tutta la qualità Yamaha. Arriverà a partire dall’estate
2013.
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Yamaha P3: ritorno al tre cilindri
di Edoardo Licciardello | La casa di Iwata ha proposto ad Intermot un
sofisticatissimo tre cilindri in linea con fasatura a croce. Architettura già
proposta dal marchio dei tre diapason sulla XS di fine anni 70
Q
uando Yamaha ha
svelato il suo nuovissimo tre cilindri P3 in
linea al salone di Colonia, inutile
negarlo, il pensiero di tutti è andato a Triumph, che da ormai
vent’anni ha fatto del tricilindrico una vera e propria bandiera.
Magari forse anche ad MV Agusta, che a parte le splendide F3
e B3 delle ultime stagioni, nel
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motomondiale ha corso e vinto sia in 350 che in 500 con le tre
cilindri in linea. Bisogna essere più esperti, e soprattutto un po’
meno giovani, per ricordarsi che anche Yamaha ha avuto in gamma per diversi anni un propulsore a tre cilindri, addirittura in due
cilindrate diverse, fra la fine degli anni 70 e i primi 80. Era il 1976
quando Yamaha introdusse la XS750C, spinta appunto da un tricilindrico in linea, raffreddato ad aria - ovviamente a due valvole per
cilindro, la capillare diffusione delle distribuzioni plurivalvole era
un fenomeno ancora di là da venire - alimentato da tre carburatori Mikuni e dotato di scarico tre-in-uno e trasmissione cardanica.
Dall’anno successivo la XS, inizialmente diffusa solo sul mercato
interno, cambia leggermente nella forma ed acquisisce accensione elettronica, scarico tre-in-due, nuovi carburatori più performanti ed una maggior compressione. Di fatto si tratta della versione definitiva, con 74 cavalli e zona rossa a 9000 giri. Nel 1979 la XS
diventa 850 (per la precisione 826cc), la potenza massima sale
ad 80 cavalli e la velocità arriva a sfiorare i 200km/h. Il resto delle
caratteristiche restano pressoché invariate, e il modello resterà in
produzione fino al 1981. Tornando al presente, il nuovo propulsore
appare altrettanto rivoluzionario di quel quadricilindrico in linea
che nel 2009 ha debuttato sulla YZF-R1: la fasatura a croce dell’albero motore di un quadricilindrico non è certo affare banale, ma
ammettiamo una grandissima curiosità in merito a... come abbiano fatto, ad Iwata, a replicare lo schema crossplane con un cilindro
in meno. Senza che il motore si disintegri per le vibrazioni, s’intende. Al momento gli uomini di Iwata mantengono il più assoluto
riserbo - proviamo a fare qualche ipotesi anche noi. La cilindrata
potrebbe essere appena inferiore agli 800cc, corrispondente ad
un propulsore R1 “senza un cilindro” e - guarda caso - coincidente a quella della stessa Yamaha FZ8 e Kawasaki Z800. L’impiego
d’elezione sarebbe in questo caso quello di una naked
sportiva. Ricollegandoci però
al discorso iniziale, e sparandola stavolta davvero grossa,
perché non un 675 per fare si
che la nuova R6 sia un mezzo
capace di sparigliare davvero
le carte in un segmento ormai
letargico?
Teniamo duro. L’ultima ipotesi
che facciamo è che, quale che
sia la destinazione d’uso (o
magari la prima destinazione
d’uso, perché no?) di questo
gioiello, non dovremo attendere più di un anno per vederlo.
Magari proprio ad Intermot, nel
2013.
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Le novità Suzuki
Un Burgman tutto nuovo, la Intruder 1500 in declinazione Touring,
un interessante concept per la prossima V-Strom e una GSX-R da un
milione di esemplari
E
’ il nuovo Burgman
650 la star dello stand
Suzuki. Il maxiscooter
che per primo introdusse la trasmissione semiautomatica su
uno scooter - ovvero la possibilità di utilizzare a piacimento
l’automatico o il manuale - si
evolve. Le novità sono tanto
sopra che sottopelle, con una
linea più moderna e caratterizzata dai fari anteriore e posteriore multi-reflector con posizione a LED e lampeggiatori
integrati negli specchietti. Il bicilindrico da 650cc raffreddato
a liquido ora è dotato di iniezione d’aria secondaria (sistema
Suzuki PAIR) e naturalmente
catalizzatore; la trasmissione
ottimizzata riduce i consumi
di circa il 15% continuando
ovviamente ad offrire il sistema elettronico a trasmissione
continua SECVT, che permette
di scegliere fra due modalità di
cambiata automatica (Drive e
Power) ed una completamente
manuale. Nuovi anche lo scarico, con silenziatore a sezione
triangolare e il telaio tubolare
in acciaio con forcellone in alluminio. La strumentazione ora è
più completa, e oltre alle solite
indicazioni propone anche un
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indicatore “Eco drive” nonché
per i drive mode, power mode
e rapporto selezionato quando
si guida utilizzando il cambio
manuale.
VN1500T Intruder
Rinnovato anche il cruiser di
casa Suzuki, declinato in versione Touring (con valige rigide
integrate) e spinto da un poderoso bicilindrico a V da 1462cc
a corsa lunga che può vantare
il record di potenza della categoria (che comprende i cruiser fra 1000 e 1600cc) pur
72
mantenendo un’erogazione dolce e controllabile grazie all’iniezione elettronica con corpi farfallati a doppia valvola SDTV che alimenta le sportive della serie GSX-R. Il propulsore è dotato di un’atipica - per il segmento - distribuzione plurivalvole bialbero, con
spazio nelle teste per la doppia accensione, raffreddamento a liquido e tre airbox separati per ottimizzare l’alimentazione del motore senza sacrificare capienza del serbatoio. La trasmissione può
contare su - udite, udite - una frizione antisaltellamento. Un motore che quindi va contro diverse convenzioni del settore custom/
cruiser, nettamente più moderno della media e - ipotizziamo - ben
più raffinato nella guida. La ciclistica è allo stesso modo più moderna della media, con largo pneumatico posteriore in sezione
200, cerchi in alluminio e triangolazione sella-manubrio-pedane
pensata per il controllo del mezzo oltre che per… la postura rilassata. Completano il quadro il monoammortizzatore e una forcella
anche in questo caso tarate per migliorare la guida del mezzo.
V-STROM 1000 Concept
Presente allo stand anche un concept che, prendendo spunto
dall’attuale 650, dovrebbe gettare le basi per quella che sarà in
un prossimo futuro la declinazione 1000 della maxienduro/tourer
Suzuki. Il propulsore dovrebbe essere completamente nuovo, pur
restando fedele allo schema bicilindrico a V che spingeva il precedente modello e che affondava le basi in quel TL1000 di fine
anni 90. La ciclistica conterà su un doppio trave in alluminio, con
sospensioni moderne e impianto frenante allo stato dell’arte (con
ABS), controllo di trazione ed un sistema integrato per il fissaggio
dei bagagli. Molto interessante il fatto che invece che dalla precedente V-Strom l’ispirazione estetica per questo concept sia stata
presa dalla DR-Big, o DR750S che dir si voglia, che a fine anni 80
poteva vantare il record di cilindrata per un monocilindrico. Ed introdusse, per inciso, la moda del “becco” poi seguita da Gilera e
BMW.
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GSX-R1000
Niente di sostanziale invece per
la Superbike di Hamamatsu: la
GSX-R1000 si limita a proporre una nuova livrea celebrativa
per il milionesimo esemplare
prodotto della serie, che da
oltre 25 anni (la prima 750 debuttò nel 1985, preceduta dalla
400 per il solo mercato giapponese) tiene alta la bandiera
Suzuki nel mondo.
GSX1300R Hayabusa
Il modello 2013 viene migliorato
con un occhio di riguardo per la
sicurezza: l’Hayabusa riceve infatti pinze Brembo monoblocco all’avantreno (come le altre
GSX-R) e l’apporto dell’ABS
che aiuterà a tenere sotto controllo le mostruose prestazioni
della Hyperbike Suzuki.
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milione di esemplari prodotti, mentre la zona sospensioni propone
un inedito contrasto rosso/oro. Le pinze monoblocco nere del freno anteriore hanno la scritta Brembo in rosso, colore richiamato
dal profilo adesivo sui cerchi. Pochi dettagli, che però valorizzano
ulteriormente una moto di indubbio fascino ed efficacia ancora
adesso. Solo due anni fa, lo ricordiamo, Suzuki ha festeggiato il
quarto di secolo della GSX-R750. In quella occasione avevamo dedicato alla sette-e-mezzo un bellissimo video in cui il nostro Nico
Cereghini vi ha raccontato la storia della “Gixxer”.
Era il 1985…
Suzuki: un milione di GSX-R. La sua storia
di Edoardo Licciardello | La 1000 limited edition celebra l’incredibile
traguardo raggiunto dalla serie ipersportiva della casa di Hamamatsu.
Ne approfittiamo per ripercorrerne la storia
S
ettembre 2012: viene
venduta la milionesima Suzuki GSX-R.
Una cifra che non molti possono vantare – anzi, diciamolo:
quasi nessuno. Una cifra che
vale la pena di festeggiare, offrendo ai clienti un’edizione
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limitata della top di gamma con una livrea speciale e qualche dettaglio di particolare cura. La “1 Million” non abbandona la tradizionale colorazione bianco/blu Suzuki, rivisitando però un po’ la linea
aumentandone la grinta ed inserendo tocchi di rosso che ripropongono le tabelle portanumero dei primissimi anni di Superbike,
del resto presenti anche sui vecchi, raffinatissimi, modelli GSXRR prodotti in serie limitatissima per l’omologazione della fiche
agonistica. Sulla piastra forcella è presente il logo celebrativo del
Sono passati quindi 27 anni da quando la prima GSX-R cambiò
profondamente il mondo delle moto sportive. Allora la cilindrata
da avere era 750: sotto le sportive vivevano ancora la crisi d’identità fra 500, 550 e 600 senza decidersi a fare sul serio, sopra c’erano le 900 e 1000 – transatlantici già molto veloci in rettilineo, ma
quando si voleva andare a curvare c’era da gettare l’ancora. Ma
anche fra le 750 le rivali scarseggiavano: qualcuna forse era più potente, ma nessuna più leggera. Nessuna, sicuramente, altrettanto
corsaiola. La GSX-R, con il suo telaio in alluminio e il doppio faro
da endurance (che però in Italia arrivò solo nel 1987 per problemi di omologazione – prima ci siamo dovuti accontentare dell’inguardabile faro quadrato incastrato nella mascherina ellittica del
“doppio”) non alzava le pulsazioni leggendo la scheda tecnica, ma
quando si metteva mano al cronometro per le altre erano dolori.
Anche se la stabilità era relativa, in tutte le gare riservate a derivate di serie fece una vera e propria strage, facendo nascere una
generazione di piloti – Jeremy
McWilliams e Kevin Schwantz
sono solo due fra quelli che si
sono fatti un nome sulla GSX-R
750. La 1100 del 1986 replica il
successo e diventa un riferimento che nessuno riuscirà a
toccare per anni. Nel 1988 arriva il primo vero restyling. La
nuova GSX-R 750 è bellissima;
nel frattempo è uscita la Honda
RC30 che ha cambiato diverse
regole del gioco, ma la Suzuki
su strada va meglio e costa la
metà anche se i chili sono diventati 195.
E per chi vuole andare a fare a
pugni in pista c’è la GSX-RR,
che costa quanto un mini in
centro a Milano ma tira come
una furia – i cavalli passano
da 112 della versione di serie a
quasi 130, la ciclistica si incattivisce e soprattutto sui due travi
superiori si appoggia quel serbatoio Yoshimura “Tornado”
che farà sbavare generazioni di
fan. Nel 1990 la versione base
eredita il propulsore a corsa
lunga della RR (bisogna aver
vissuto quell’epoca per capire
cosa fossero allora le “homologation special” giapponesi) con
tanto di carburatori a valvola
piatta Mikuni “Slingshot”, pur
con soli 2 cavalli in più.
Però arrivano la forcella a steli
rovesciati, il mono a serbatoietto separato e la gomma posteriore da 170 – all’epoca una
mostruosità. Nel 1991 arriva il
nuovo cupolino con faro separato e purtroppo qualche altro
chilo.
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pensa l’ammortizzatore di sterzo. Due anni dopo il peso scende
ancora ad un quasi incredibile valore di 166kg, e il modello resta
invariato fino al 2004.
Arriva la mille
Le raffreddate a liquido
Nel 1992, a sorpresa, debutta
sulla 750 il raffreddamento a
liquido: il sistema SACS ad aria
ed olio non tiene più il passo. La
cavalleria cresce un altro poi;
purtroppo sale anche il peso,
e soprattutto arrivano le grafiche sbavate fluorescenti che
terranno banco per qualche
anno. La 1100 è ormai abbandonata, e mutua le modifiche
della 750 con puntualità svizzera a distanza di un anno. Nel
1995 arriva un altro piccolo aggiornamento, anche stavolta
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rapinando pezzi alla versione in serie limitata necessaria ad omologare la SBK, che nel frattempo assume il nome di SPR. Purtroppo il peso ormai è al limite dei 220kg a secco, ma la rivoluzione è
dietro l’angolo. La GSX-R750WT – o “SRAD” come la conoscono
molti per sineddoche, visto che la sigla si limitava ad identificare il
“ram air” Suzuki – cambia le carte in tavola. Il peso torna a 179kg,
la potenza sale a 122 cavalli, roba da maxi dell’epoca. Ma soprattutto, le misure del telaio, per la prima volta a doppio trave, sono
le stesse a quella della RGV 500 del 1993 con cui Kevin Schwantz
vinse il mondiale. Come la prima 750, è una moto impegnativa,
agile e nervosa, che richiede un pilota per tirarne fuori il meglio.
L’anno successivo debutta la 600, la prima GSX-R classe Supersport per il mercato europeo (negli USA, ad inizio 90, era stata
proposta una 750 sottoalesata, troppo pesante e poco potente, di
scarso successo) che sbanca il mercato. Nel 1998 arriva sulla 750
l’iniezione elettronica che ne addolcisce il motore; alla ciclistica ci
Perché nel frattempo, nel 2001, nasce quella GSX-R1000 che taglia tutti i ponti con la vecchia 1100. Potentissima, velocissima,
replica il successo della 750 nei campionati in cui corre e mette in
riga le concorrenti sul mercato spostando non di poco i riferimenti
di categoria. Nel 2003 viene aggiornata con la solita iniezione di
cavalli e iniziano i tentativi volti a risolvere l’unico, vero, problema
di cui soffrirà la GSX-R1000 negli anni: la relativa debolezza dei
freni, che in pista mostrano presto la corda nel tentativo di tenere a bada la grinta del suo quattro cilindri. Nel 2003 la Superbike “apre” alle 1000, e la Suzuki è la prima a recepire l’invito visto
che le altre case giapponesi nel frattempo erano uscite sbattendo
la porta, per poi rientrare dalla finestra due anni dopo. Curiosità,
all’epoca erano proprio le plurifrazionate a dover subire l’imposizione degli air restrictor poi applicati alle bicilindriche quando il
limite di cilindrata per queste ultime passò a 1200cc. Nel 2004 nasce la 750 K4 – da inizio millennio gli identificativi del model year
passano dalle lettere dell’alfabeto al noto K+anno – prendendosi il telaio della 600 ed adottandone anche il motore. Di fatto da
qui parte il nuovo ciclo Suzuki, che prevede 600 e 750 pressoché
identiche a parte la cilindrata e qualche dettaglio ciclistico nonché
l’aggiornamento dei modelli ad anni alterni alla 1000.
Il successo in Superbike
L’anno successivo nasce la GSX-R1000K5, completamente nuova, che riparametra ancora una volta la classe 1000 – ormai la più
importante sul mercato, anche per l’identità sportiva con la SBK.
Suzuki è rimasta l’unica a produrre la 750, che con il suo meraviglioso equilibrio (e gli aggiornamenti che anno dopo anno riceverà
dalla 1000 dell’anno precedente) resta un’arma totale ma si ridimensiona nel successo commerciale, schiacciata fra Supersport
e Superbike. La K5 è velocissima, e tanto avanzata da spopolare anche nel Mondiale Superbike, dove Troy Corser conquista
il suo secondo titolo iridato regalando il primo alla Suzuki con il
team Alstare di Francois Batta.
Nel 2006 arrivano 600 e 750
dotate di soluzioni tecniche
della maxi. Da allora possiamo
dire che le varie versioni delle
GSX-R600, 750 e 1000 sono
oggetto di evoluzione, ma di
fatto non sono usciti modelli
radicalmente nuovi. Nel 2007,
unitamente all’adeguamento
alle normative Euro-3, nasce
la GSX-R1000K7 che propone
il sistema S-DMS per variare in
tempo reale la mappatura del
motore. Da lì in poi, complice la
crisi economica che ha colpito
il mondo, i modelli nuovi vengono sviluppati con maggior lentezza. La cosa non ha impedito
a Suzuki di continuare a rendere più efficaci e raffinati tutti e
tre i modelli con evoluzioni di
sostanza come l’adozione delle
pinze Brembo che, finalmente,
risolvono una volta per tutte
i già citati problemi di frenata
nell’uso estremo.
Non sappiamo quali siano i
piani di Suzuki per il futuro
della GSX-R, ma ci sentiamo
abbastanza sicuri nel dire che
la serie di supersportive di Hamamatsu non si fermerà al traguardo del milione. I trent’anni
sono dietro l’angolo: entro il
2015 vogliamo pronosticare
una GSX-R con dotazione elettronica da riferimento?
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Le nuove Triumph Street Triple
e Street Triple R
Più leggere e con un telaio rivisto per migliorare
agilià e dinamica. La parola d’ordine sembra
essere stata: centralizzazione delle masse.
Nelle concessionarie da novembre.
Nuova colorazione per la Speed Triple
S
TREET TRIPLE
Il cambiamento principale riguarda il telaio, totalmente
rivisto: ad una parte anteriore a doppio trave in alluminio
ora è fissato un nuovo telaietto pressofuso in due parti. Il nuovo
telaio è più leggero, grazie a un minor numero di componenti e
saldature; la sensazione di leggerezza è sottolineata dal nuovo
scarico basso in acciaio, che “pulisce” la linea e riposiziona il baricentro ridistribuendo il peso dello scarico stesso. La sostanziale
variazione nella distribuzione dei pesi ha dato l’opportunità agli ingegneri Triumph di ritoccare l’assetto, riducendo l’inclinazione del
cannotto a 24.1° e aumentando l’avancorsa di 0.5mm, a 99.6m. Il
risultato è un peso in ordine di marcia di soli 183kg, con un risparmio di ben 6kg rispetto al modello uscente. Variazioni anche per il
comparto sospensioni, con l’avantreno caratterizzato da una forcella Kayaba da 41mm a steli rovesciati. La frenata è affidata ad un
doppio disco flottante da 310mm, con pinze flottanti Nissin a due
pistoncini. Per una maggiore sicurezza è disponibile la versione
con ABS disinseribile. Il cuore pulsante della Street Triple è sempre il motore tre cilindri da 675cc, 12 valvole, raffreddato a liquido.
In sinergia con il cambio a 6 marce con innesti ravvicinati, l’unità di
potenza di 106Cv a 11,850 giri con una coppia massima di 68Nm.
La strumentazione digitale LCD include cronometro sul giro, indicatore di cambiata programmabile, livello carburante, orologio e
indicatore di marcia, contagiri analogico e tachimetro digitale. Il
display mostra anche il livello di pressione dei pneumatici anteriore e posteriore, dove il sistema di monitoraggio pressione pneumatici è montato come optional. Tre le colorazioni disponibili per
la Street Triple 2013: Phantom Black, Crystal White e Caribbean
Blue.
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ACCESSORI
La gamma di accessori originali Triumph offre un’ampia scelta
per personalizzare la propria moto: cupolino, puntale e guscio
coprisella in tinta; Arrow Special Parts ha sviluppato uno scarico
slip-on molto leggero, per migliorare le performance e contenere
il peso. Altri accessori interessanti sono gli specchietti da montare
alle estremità del manubrio, leve di freno e frizione lavorate con
macchina a controllo numerico e un cambio elettronico “plug and
play” che può essere installato sulla Street Triple in pochi minuti.
I prezzi saranno confermati a fine Ottobre 2012 e le prime moto
saranno disponibili presso i concessionari per test ride da Novembre 2012.
Nuova colorazione per la Triumph Speed Triple
A Colonia abbiamo visto un’inedita colorazione verde-oro per la
Triumph Speed Triple, che richiama la livrea delle prime Speed.
STREET TRIPLE R
Anche nel 2013 Street Triple è disponibile in versione R con forcella Kayaba da 41mm a steli rovesciati completamente regolabile
così come il monoammortizzatore. L’ABS disinseribile optional
permette di sfruttare al meglio il doppio disco flottante anteriore da 310mm, lavorato qui da pinze radiali Nissin a 4 pistoncini.
L’assetto viene rivisto con 23.4° per il cannotto di sterzo e 95mm
per l’avancorsa. Il modello R sfoggia un telaietto posteriore rosso,
come rossi sono anche le filettature dei cerchi e il copri radiatore,
dove campeggia il logo “R”. La nuova Street Triple R è disponibile
in tre colorazioni per il 2013: Phantom Black, Crystal White e Matt
Graphite.
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della ruota posteriore. Il sistema è ovviamente disattivabile
per la guida in circuito. Ricordiamo come la Nuda sia stata la
moto che ha segnato il rientro
di Husqvarna nella produzione
di modelli stradali, dopo che
negli anni 20 e 30 la casa svedese si era impegnata anche
nelle competizioni su asfalto
per poi dedicarsi completamente al fuoristrada. Le Nuda
hanno vinto il Red Dot Award
(premio molto prestigioso nel
contesto del design) nel 2012,
ottenendo un buon successo di
vendita soprattutto fra la clientela più sportiva.
Husqvarna Nuda 900 e 900R 2013
Le due naked Husqvarna non cambiano nella sostanza
ma guadagnano l’importante miglioria dell’ABS
P
oche modifiche per
le Husqvarna Nuda in
edizione 2013 tanto
per la versione 900 che per la
900R. Invariata di fatto la sostanza motoristica e telaistica
- e non c’era il minimo motivo
per andarla a toccare, visto l’equilibrio e il divertimento che le
due naked/motardone stradali
HSQ garantiscono. A differenza
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delle cugine BMW, per le quali la politica “Safety 360°” prevede
l’ABS di serie a partire dall’anno prossimo, le due Nuda ricevono
il sistema antibloccaggio come optional già nei modelli che usciranno dalla fabbrica questo autunno. Il sistema utilizzato, il nuovo
Bosch 9MP, è allo stato dell’arte per leggerezza e compattezza circa un chilogrammo la massa totale. Il nuovo ABS è equipaggiato
con valvole a regolazione lineare che assicurano la maggiore rapidità di risposta; i sensori alla ruota di ultima generazione – abbinati a una ruota fonica da 48 denti - monitorano automaticamente
la distanza tra il sensore e la ruota, nonché la pressione sulla ruota anteriore, in modo da individuare un eventuale sollevamento
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Peugeot Metropolis 400
Peugeot ha presentato, il nuovo scooter urbano a 3 ruote, Metropolis.
Un nuovo modo di vivere lo scooter con la comodità tipica di un’auto.
Spinto dalla nuova motorizzazione della 400i LFE, sviluppa una
potenza di 35 Cv
U
na nuova dimensione
Peugeot ha presentato al Salone di Colonia 2012 Metropolis, il nome del nuovo scooter urbano a 3 ruote. Frutto della
collaborazione attiva dei team Auto Peugeot e di Peugeot Scooters, Peugeot Metropolis concentra tutto il kwon¬how della Casa
unendo i vantaggi dell’automobile a quelli delle due ruote.
L’estetica
Peugeot Metropolis adotta la calandra “galleggiante” tipica delle
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nuove auto del marchio. Già avviato con la presenza di due ruote
anteriori, l’avvicinamento al mondo dell’automobile è sempre più
evidente. Inserita sotto i fari, la calandra alleggerisce l’anteriore
celando la parte superiore dell’avantreno. Peugeot propone due
potenti lampadine alogene 2x55W e prevede l’inserimento di led
in ciascuno dei 2 fari, come altresì nelle frecce sfalsate. Sul posteriore, i due fari con taglio a boomerang sembrano fondersi con la
carrozzeria.
Caratteristiche tecniche
L’avantreno Dual Tilting Wheels (DTW) è costituito da un parallelepipedo deformabile a doppia triangolazione la cui architettura consente di abbassare il baricentro e di centrare meglio le
masse. Associato a due camme dinamiche e a una sospensione
mono¬ammortizzatore idraulica, l’avantreno è dotato di ruote autonome e inclinabili, che possono essere bloccate elettronicamente a bassa velocità. L’ideazione dei componenti di sospensione
in alluminio iniettato a pressione offre un doppio vantaggio : una
maggiore rigidità da un lato e
una riduzione delle masse non
sospese che alleggeriscono
lo sterzo agevolando la presa.
La sua architettura compatta
è compatibile con un pianale
interamente piatto. Peugeot Metropolis rimane tuttavia
uno scooter dalle dimensioni
compatte che presenta una
lunghezza, larghezza e un interasse paragonabili a quelli del
Satelis, che grazie a scelte tecniche innovative gli conferiscono agilità nel traffico. Metropolis prevede 3 dischi (2x200 mm
ANT/1x240 mm POST) e un sistema di frenata integrale SBC
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(Synchro Braking System)
comandato, per una maggiore
efficacia e nel rispetto della filosofia di frenata Peugeot, dalla leva sinistra. Caratteristiche
di questo scooter a 3 ruote : il
pedale a piede, imposto dalla
legislazione in materia di tricicli
a motore, comanda anch’esso
la frenata integrale. Gli specchietti retrovisori sono asferici
nei quali la superficie convessa
dello specchio elimina l’angolo
morto e consente di muoversi
più tranquillamente in città.
Nessuna chiave
Elemento notevole a livello visivo, la totale assenza di blocco
chiave e serratura sul veicolo:
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smesso l’impiego della chiave tradizionale, Peugeot Metropolis è
dotato di una chiave elettronica Smart Key riconosciuta quando il
conducente entra in un raggio di 150 cm. Per l’avvio è sufficiente
sbloccare lo sterzo, disinibire elettronicamente il veicolo girando il
pulsante che sostituisce il blocco della chiave e avviare il motore
premendo contemporaneamente il pulsante START e la leva del
freno. Preso in prestito dalle auto premium della Casa, Metropolis
adotta un freno a mano elettrico. Situato al centro del manubrio, è
facilmente accessibile e attivabile esercitando una semplice pressione col dito. Sotto gli occhi del conducente. Il display digitale,
incorniciato da tachimetro e contagiri, prevede una funzione di
controllo della pressione di ciascun pneumatico, oltre alle indicazioni relative al consumo medio, minimo e all’autonomia restante.
Inoltre, il pannello di bordo è predisposto per alloggiare facilmente
un supporto GPS.
Ampio e sagomato, il parabrezza termoformato adotta un sistema
di regolazione multi¬posizione inedito (su 130 mm) per offrire una
protezione ottimale. Grazie a una semplice pressione manuale, al
conducente sono sufficienti meno di 5 secondi per abbassare o
sollevare il parabrezza. Semplicissimo !
Il motore
Per una maggiore comodità è possibile accedere allo spazio di carico sotto la sella mediante una semplice pressione del pulsante
situato nello scudo anteriore. L’apertura dello sportello posteriore è ottenuta mediante un pulsante situato nella parte posteriore
sinistra del veicolo. Il propulsore prevede la nuovissima motorizzazione della Casa 400i LFE a basso attrito che sviluppa 35 Cv e
offre una coppia di 38 Nm. Nonostante le dimensioni, il veicolo è
in grado di raggiungere i 150 km/h di velocità massima. L’ altezza
della sella è di soli 780 mm. Oltre al parabrezza regolabile il conducente ha a sua disposizione uno schienale regolabile su 40 mm per
un adeguato sostegno lombare. Al semaforo rosso, il sistema di
bloccaggio d’inclinazione dell’avantreno DTW concept, attivabile
già a velocità molto ridotta, permette di autostabilizzare lo scooter, evitando al conducente di poggiare i piedi a terra. Il passeggero beneficia di uno schienale integrato, maniglie profilate nonché
poggiapiedi ergonomici richiudibili. Ampio il vano sottosella con
sportello illuminato in grado di alloggiare, a scelta, 1 casco integrale o 1 casco jet con visiera, una valigetta PC o addirittura una
racchetta da tennis.
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Girls: le più belle di Colonia
Vi mostriamo gli scatti delle ragazze più belle incontrate durante
Intermot, al salone di Colonia 2012. Rivedi insieme a noi i sorrisi più
belli e molto altro...
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