ANSELM GRÜN Tu sei una benedizione Introduzione L

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ANSELM GRÜN Tu sei una benedizione Introduzione L
ANSELM GRÜN
Tu sei una benedizione
Introduzione
L’Ökumenischer Kirchentag, la Giornata ecumenica delle chiese
cristiane, del 2003 era all’insegna del motto: «Siate una
benedizione». Ha riportato alla coscienza di molte persone il tema
della benedizione. Evidentemente la benedizione fa leva su un
anelito profondo dell’essere umano. Le persone anelano a essere
benedette. Ma il motto della Giornata ecumenica ha suscitato in
molti anche qualcos’altro: all’improvviso hanno scoperto che
possono benedire a propria volta e sono autorizzati a farlo. Alcuni
hanno timore di benedire gli altri. Pensano che sia un’azione
riservata ai sacerdoti. Durante la Giornata ecumenica, invece, per
molti ha costituito un’esperienza piena di gioia che, in liturgie di
benedizione, le persone si siano benedette a vicenda. Ogni cristiano
ha l’autorità di benedire. E ogni cristiano, in quanto benedetto da
Dio, è a sua volta una benedizione per gli altri.
Durante la Giornata ecumenica e in seguito anch’io ho vissuto varie
esperienze di benedizione. Alcune persone mi si sono avvicinate
perché volevano essere benedette. Così, in questo libro, vorrei
raccontare le mie esperienze di benedizione ed esaminare la
tradizione della Bibbia e della liturgia a proposito di questo tema.
Scrivo questo libro nella consapevolezza della mia qualità di
benedettino. Il nostro fondatore è il ‘Benedetto’ (benedictus). Noi
monaci portiamo con noi il tema della benedizione già nel nome. Ci
tocca già a partire dall’immagine che abbiamo di noi stessi.
Un’esperienza durante la Giornata ecumenica mi ha colpito
profondamente. Dopo una celebrazione liturgica mi si avvicinò una
coppia chiedendomi la benedizione. L’uomo disse che aveva
urgente bisogno di essere benedetto, perché aveva sempre
sperimentato la maledizione. Su di lui erano state pronunciate molte
parole che lo svalutavano e gli auguravano il fallimento della sua
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esistenza. Contro di esse desiderava ricevere parole di benedizione,
che penetrassero nella, sua anima scacciando quelle di maledizione.
Dalla Giornata ecumenica in poi mi succede con regolarità, anche
dopo le mie conferenze, che le persone non desiderino soltanto un
autografo sui libri, ma che mi chiedano anche la benedizione. Allora
impongo loro le mani e pronuncio una benedizione. Così facendo mi
lascio guidare dall’intuito per dire le parole adatte in questo
momento alla loro situazione concreta.
E c’è anche un’altra esperienza che mi incoraggia a scrivere un libro
sulla benedizione. Quando, durante i corsi nell’abbazia di
Münsterschwarzach, celebro l’eucaristia con un gruppo, capita che a
volte, dopo la messa, alcuni partecipanti mi portino un crocifisso, un
angelo o una candela con la preghiera di benedirli. Quando poi,
prima della benedizione solenne al termine della messa, annuncio
che benedirò l’oggetto che qualcuno mi ha portato, spesso si
aggiungono spontaneamente altre persone, portando la loro
catenina, la fede nuziale, la loro Bibbia o un altro oggetto che per
loro ha un’importanza particolare, affinché io benedica anche questi.
In un incontro con alcuni confratelli ci siamo chiesti perché
all’improvviso la gente senta un tale bisogno di benedizione. Ci
sono venuti in mente diversi motivi. Quando qualcuno chiede di
essere benedetto, desidera mettersi sotto la protezione di Dio.
Desidera sperimentare in concreto che Dio è anche vicino a lui. La
benedizione è qualcosa di indipendente dalle chiese ufficiali. Ogni
persona è in grado di benedire. Tuttavia la benedizione non si
chiede a chiunque, bensì soltanto a chi ha un determinato
retroscena, per esempio il padre, la madre, l’amico o l’amica, oppure
anche il sacerdote, che è consacrato. Devo aver fiducia in chi mi
benedice. Altrimenti questa persona potrebbe associare alla
benedizione delle cattive intenzioni oppure potrebbe legarla troppo
ai suoi bisogni personali. Con la sua benedizione potrebbe
monopolizzarmi. Nel Salmo 61 sta scritto: «Con la bocca benedicono,
nel loro cuore maledicono» (Sal 61,5). Evidentemente la chiesa era
consapevole del pericolo di abusare della benedizione e perciò ha
preteso come premessa necessaria per i sacerdoti, coloro che la
impartiscono ufficialmente, la purificazione interiore.
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Quando le persone vengono da me per farsi benedire, mi chiedo:
perché desiderano essere benedette da me in modo personale? E
soltanto il bisogno di essere toccati? O non c’è forse in loro un
anelito più profondo, l’anelito di venire toccati dalla mano di Dio e
di avere qualcuno al proprio fianco nella vita quotidiana? Quale
anelito risveglia in loro il desiderio di benedizione? Vi ho riflettuto
molto. Credo che sia l’anelito a che la vita non sia tanto all’insegna
dei desideri e delle maledizioni, delle aspettative e delle esigenze
delle persone, bensì della benedizione di Dio. Quando percorrono il
loro cammino con la benedizione di Dio, sperano che la loro vita
riesca e la loro strada porti a una meta buona. Naturalmente mi
chiedo anche se le persone non proiettino troppe cose su di me, se
non spostino su di me il loro desiderio profondo di guarigione, di
risultati positivi, dell’ esperienza della vicinanza di Dio.
Da bambino ho vissuto regolarmente l’esperienza di come mio
padre mi benedicesse quando ritornavo in collegio. E nella nostra
famiglia la madre benediceva il pane prima di iniziare a tagliarlo.
Mi chiedo che cosa associassi alla benedizione da bambino. Non so
descriverlo con esattezza. Ma evidentemente c’era l’intuizione che la
vita è qualcosa di più di un funzionare esteriore, che tutto ciò che
facciamo avviene sotto gli occhi benevoli di Dio, che tutto ciò che è
importante per la nostra vita è toccato dalla mano benedicente di
Dio e pieno del suo amore. Un confratello ha raccontato come lo
abbia sempre colpito profondamente che sua madre benedicesse il
pane. Ciò gli ha donato il senso del dono prezioso che costituisce il
pane. Ancora oggi gli fa male vedere quanto spesso il pane viene
tagliato e distribuito in maniera distratta. La benedizione conferisce
al pane una qualità diversa. Nel pane è Dio stesso a nutrirmi, colui
che dona ogni cosa buona.
Anche quando le persone portano a benedire i loro crocifissi, le
candele e le fedi nuziali, mi chiedo quale anelito profondo si celi
dietro questo gesto. È un fraintendimento magico? O non
desiderano piuttosto avere qualcosa nella loro vita quotidiana che
rammenti loro la benedizione di Dio, che faccia diventare tangibile
per loro la promessa della presenza risanatrice e amorevole di Dio?
Desiderano forse rammentarsi in maniera concreta della
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benedizione di Dio? Benedizione significa per loro vita divina, che
compenetra la loro esistenza spesso debole e fragile. Benedizione
significa vita riuscita, pienezza di vita. La benedizione conferisce
alla loro esistenza un buon sapore. In ogni cosa si sentono toccate e
avvolte dall’amore affettuoso di Dio.
In questo libro vorrei approfondire le domande che affiorano in me
quando bene4ico e vorrei sviluppare alcuni aspetti della
benedizione, così come ce li presentano la Bibbia e la tradizione
spirituale. Così facendo non è una trattazione sistematica a
interessarmi, bensì le esperienze che mi è stato concesso di fare con
la benedizione.
Dalle mie esperienze di benedizione
Quando le persone mi chiedono di benedirle
Che cosa desiderano le persone che, dopo una conferenza o un
dialogo, mi chiedono di benedirle? Se chiedessi loro perché
desiderano la benedizione, probabilmente non saprebbero dirlo con
esattezza nemmeno loro. Ci si potrebbe chiedere anche dal punto di
vista teologico quale effetto abbia la benedizione. Grazie alla
psicologia sappiamo che le parole hanno potere. La benedizione ha
un effetto positivo, tanto quanto nuoce il suo contrario. Le parole
cattive rimangono nel cuore di una persona. Le parole buone, le
parole di benedizione, aprono uno spazio di vita e d’amore. Le
parole benedicenti possono modificare una situazione. Perciò non
pronuncio mai la benedizione soltanto su una determinata persona,
bensì anche sempre sulla sua concreta situazione di vita. Le parole
di benedizione sono in grado di sbrogliare situazioni intricate e di
far tornare a scorrere qualcosa che si era bloccato.
Quando qualcuno mi chiede di benedirlo, cerco di immedesimarmi
in lui e nella sua situazione concreta. Molti di coloro che desiderano
la mia benedizione dopo una conferenza mi raccontano in breve il
loro problema. Una coppia di sposi ha raccontato che al momento
entrambi avevano grandi difficoltà l’uno con l’altra. Volevano essere
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benedetti, nella speranza che dopo il loro cammino avrebbe potuto
tornare a funzionare. Si potrebbe obiettare che sarebbe meglio se la
coppia provasse a esercitarsi in nuove forme di comunicazione. I
due coniugi, però, hanno già fatto molti tentativi l’uno con l’altra.
Nella terapia di coppia hanno lavorato a capirsi meglio a vicenda e a
comportarsi con maggiore sensibilità l’uno con l’altra. Dalla
benedizione sperano qualcos’altro. Vorrebbero essere benedetti da
Dio. Vorrebbero fare l’esperienza che la mano protettrice di Dio è
sopra di loro. Ciò li solleva dai loro sforzi. Dona a loro la speranza
che il loro impegno per un buon rapporto reciproco alla fine possa
riuscire.
Una donna mi racconta delle sue paure. Desidera che io la benedica.
È un fraintendimento magico? Vuole che la paura se ne vada e
basta?
Non sarebbe meglio dialogare con la paura e farsi condurre a Dio da
essa? Quando benedico questa donna non lo faccio nella
consapevolezza che ciò risolva tutti i suoi problemi. Le spiego per
prima cosa come potrebbe gestire la sua paura, come debba
concederle di esistere e iniziare a dialogare con essa. Tuttavia non le
nego la benedizione. Avverto infatti l’anelito che sulla sua paura si
posino mani protettrici e che l’amore benefico di Dio fluisca nella
sua paura. La benedizione non è una garanzia che la paura non
tornerà a tentare di afferrarla. Alcuni vengono con quest’idea
magica, come se la benedizione risolvesse tutti i problemi senza che
loro debbano fare qualcosa a questo scopo. La maggior parte delle
persone, però, richiede la benedizione perché sente che per loro è
troppo poco il semplice occuparsi delle paure dal punto di vista
psicologico. Desiderano sentire sopra di sé la benedizione di Dio.
Ciò non fa scomparire ogni loro paura, ma la ridimensiona. Quando
la paura torna ad aumentare, si immaginano le mani protettrici di
Dio che hanno percepito durante la benedizione.
Una donna incinta viene da me con suo marito. Racconta del
bambino che cresce dentro di lei. Chiede la benedizione per un parto
felice e perché entrambi accolgano il bambino con il cuore aperto e
siano per lui una buona madre e un buon padre. Un uomo mi
racconta della sua malattia. Una donna il giorno seguente deve
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andare in ospedale per sottoporsi a una difficile operazione. Un
altro si sente tagliato fuori dalla vita. Tutte queste persone
desiderano venire benedette. Talvolta c’è tutta una fila di persone in
coda che chiede la benedizione. Qualche anno fa succedeva solo
sporadicamente. E talvolta avevo degli scrupoli a osare, davanti ad
altre persone, un gesto tanto intimo come l’imposizione delle mani e
a pronunciare una preghiera personale. Nel frattempo, però, il
desiderio profondo delle persone sconfigge il mio timore di
amministrare la benedizione in un ambiente tanto rumoroso e in un
contesto tanto mondano come la sala delle conferenze.
Quando qualcuno mi chiede la benedizione gli impongo le mani. E
poi mi immedesimo nell’altra persona e mi affido alle parole che
escono da me. Non voglio limitarmi semplicemente a una formula
fissa, bensì, attraverso la benedizione, fare una promessa a quella
concreta persona. Certo, ci sono anche formule fisse che ritornano
con regolarità. Si tratta però della benedizione per questa persona
concreta. Per la donna tormentata dalle paure prego per esempio
così:
Dio buono e misericordioso, benedici questa mia sorella e tieni le tue mani
amorevoli sopra di lei per proteggerla. Pervadi la sua paura con il tuo Santo
Spirito e portala a contatto con la fiducia che è in serbo dentro di lei al
fondo del suo cuore. Sottrai alla sua paura la forza paralizzante e
distruttiva. Trasformala in un ricordo della tua vicinanza d’amore.
Rafforza la sua fede che anche nella sua paura è al sicuro nelle tue mani
buone. E mandale l’angelo della fiducia, che l’accompagni lungo il suo
cammino e la conduca attraverso di esso in una libertà e in una vastità
sempre maggiori. Ti benedica il Dio buono e misericordioso, il Padre e il
Figlio e lo Spirito Santo.
Nel caso di un uomo malato pregherei che Dio guarisca le sue ferite
e che il suo Spirito Santo e risanatore penetri sempre più a fondo in
lui.
Talvolta mi chiedo come stessero le cose per Gesù. Anche a lui si
avvicinavano persone che volevano essere benedette. Le madri gli
portavano i loro bambini perché egli imponesse loro le mani e li
benedicesse. I padri andavano da Gesù perché egli benedicesse le
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loro figlie malate o i loro figli difficili, toccandoli con le sue mani.
Evidentemente Gesù sprigionava qualcosa che attirava le persone e
le incoraggiava a chiedere la sua benedizione. Talvolta ho paura che
le persone mi invadano troppo. lo non sono Gesù e non ho il suo
carisma. Tuttavia confido nel fatto che ogni cristiano, nel nome di
Gesù e colmato dal suo Spirito, sia in grado di benedire. Per me,
quindi, quando benedico, è importante non sommergere le persone
con le mie emozioni, bensì essere permeabile allo Spirito di Gesù,
affinché egli possa riversarsi nelle persone attraverso le mie mani.
Quando benedico una candela
Durante i miei corsi torno sempre a fare l’esperienza di come le
persone mi preghino di benedire un oggetto. Hanno acquistato nella
nostra libreria un crocifisso, una corona del rosario o una candela e
desiderano che io li benedica. Si può pregare anche con una corona
del rosario non benedetta. Quando una persona la porta a benedire,
però, confida nel fatto che anche dalla sua preghiera scaturirà una
benedizione per la sua vita e per la sua famiglia. Il crocifisso si può
appendere in casa anche senza averlo benedetto. È magia farlo
benedire prima di appenderlo? C’è differenza tra il crocifisso
comprato e quello benedetto? Penso che tale differenza non si possa
dimostrare. Però dal punto di vista emotivo è una differenza
considerevole. Le persone desiderano associare una promessa al
crocifisso che appendono in casa o porta al collo..
Un confratello ha raccontato di un uomo dilaniato e non limpido
interiormente, che gli aveva regalato una pietra. Nella sua cella
percepì come questa pietra avesse un’influenza negativa su di lui.
Un suo amico peruviano, in visita proprio in quel periodo, si accorse
subito che in quella pietra c’era qualcosa che non andava e la gettò
lontano. Evidentemente ci sono oggetti carichi di energia negativa.
In Africa esistono feticci che guariscono e altri che nuocciono.
Evidentemente nel bisogno di benedizione spesso si cela anche il
desiderio profondo di venire protetti dalle negatività. I primi
monaci benedicevano gli oggetti che apparivano loro ambigui. E
non di rado questi si spezzavano, perché erano posseduti dai
demoni. Una volta san Benedetto pronunciò la benedizione sul
calice di vino che gli veniva porto. Il calice subito si spezzò. La
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benedizione protegge quindi dalle intenzioni negative che le
persone hanno posto in questi oggetti.
Quando pronuncio la benedizione sul crocifisso, diventa depositario
di tutte le parole che pongo in esso. Benedire significa che prima di
tutto glorifico Dio per creare uno spazio positivo e benefico. Poi vi
pongo la benedizione, la promessa di Dio che egli è con quella
persona. Anche sugli oggetti cerco di non recitare una formula fissa,
ma di donare alle persone parole conformi alla dimensione
simbolica dell’oggetto. Sul crocifisso recito più o meno la seguente
preghiera:
Dio buono e misericordioso, benedici questo crocifisso e questa mia sorella
(questo mio fratello) che lo appenderà a casa sua o lo porterà sul cuore. Fa’
che questo crocifisso sia per lei un segno dell’amore con cui, sulla croce, il
tuo Figlio Gesù Cristo l’ha amata fino alla fine. Il crocifisso sia per lei la
promessa che ogni parte di lei è amata, che in lei non c’ è nulla che non sia
circondato dal tuo amore di perdono. La protegga da ogni pericolo e le
mostri che tu proteggi la casa del suo cuore contro tutto ciò che potrebbe
nuocerle. Rammentale attraverso il crocifisso che tuo Figlio Gesù Cristo è
morto anche per lei, perché nei tuoi occhi lei è preziosa e di grande valore. Il
Dio buono e misericordioso, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, benedica
dunque questo crocifisso e in esso questa mia sorella. Amen.
Talvolta, durante le celebrazioni eucaristiche, i partecipanti posano
sull’altare degli oggetti che hanno per loro un’importanza
particolare. Alcuni posano la fede nuziale per farla benedire, altri
una candela che hanno comprato, altri ancora una cartolina
illustrata con una frase che li ha colpiti, un angelo che si può
prendere in mano, oppure l’effige di un santo che desiderano
donare a una persona che porta quel nome. Nella preghiera cerco di
esprimere la dimensione simbolica di questi oggetti:
Possa la fede nuziale circondare questa mia sorella con l’amore di Dio,
affinché questo amore tenga unito tutto ciò che tende a separarsi, dentro di
lei o tra lei e suo marito. Possa guarire la lacerazione interiore. E possa
rendere sempre più stretta l’unione tra lei e suo marito, affinché il vincolo
dell’amore divino li unisca in te. Rammenti loro la sorgente interiore
dell’amore, che zampilla dentro di lei e in loro e non si inaridisce mai,
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perché è divina. Smussa in lei ciò che è diventato angoloso e duro. Rinnova
in lei la fedeltà a ciò che ha promesso a suo marito davanti a Dio. E
mostrale che tu sei fedele e stai al suo fianco anche se viene colta dalla
debolezza e cade.
La fede nuziale, del resto, è già stata benedetta una volta durante la
celebrazione del matrimonio. La donna che la posa sull’altare prega
che quella benedizione torni a rivivere in lei, che torni a determinare
la sua vita. Nella candela le persone mettono davanti a Dio il loro
anelito che attraverso la fiamma la loro vita possa diventare più
luminosa e più completa, che Dio rischiari la loro oscurità, la loro
depressione e che porti calore e amore nel loro gelo. Nell’effige di
un santo desiderano che la salvezza operata da Dio in quella
persona mostri anche a loro che possono realizzare qualcosa della
specificità di quel santo anche nella propria esistenza. Desiderano
che il santo possa portarle a contatto con il santo che è in loro, a
partire dal quale tutto il resto può raggiungere la salvezza. Quando
le persone portano un angelo, desiderano che un angelo le
accompagni sempre e ovunque. Prendendo in mano l’immagine
dell’angelo desiderano sperimentare concretamente la promessa di
Dio: «Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e
per farti entrare nel luogo che ho preparato. Abbi rispetto della sua
presenza e ascolta la sua voce» (Es 23 ,20s.).
Quando un sacerdote dispensa la benedizione della messa novella
Un confratello racconta della messa novella, la sua prima messa
solenne dopo la consacrazione sacerdotale. L’esperienza che più lo
ha colpito è stato vedere quante persone gli si avvicinarono per
ricevere da lui la benedizione della messa novella. E si è chiesto che
cosa si ‘nasconda dietro questo bisogno. In passato era noto il detto
secondo cui per ricevere la benedizione della messa novella si
dovrebbe consumare anche un paio di scarpe. Ma oggi che
l’esaltazione dei sacerdoti è superata da tempo, che cosa spinge le
persone a ricevere la benedizione della messa novella? Già
l’aggettivo ‘novella’ esprime che qualcosa di nuovo, fresco, giovane,
si riversa nella vita di una persona. Coloro che ricevono la
benedizione della messa novella confidano nel fatto che il sacerdote
appena consacrato benedice con cura particolare. E intuiscono che,
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attraverso la consacrazione, nella vita di quel giovane è entrato
qualcosa a cui vorrebbero avere parte. È l’elemento sacro ciò che
associano al sacerdote appena consacrato. Il sacerdote partecipa del
sacro. È diventato il dispensatore del sacro. Soltanto il sacro è in
grado di risanare. Così le persone desiderano ardentemente che
scenda su di loro qualcosa di sacro in grado di guarirne le ferite,
qualcosa di sacro in cui si sentano protette nel bel mezzo di un
mondo imperfetto, in cui venire sottratte al tran tran della vita
quotidiana e toccare ciò a cui anelano nel più profondo del loro
cuore. Forse anche tu conosci in te l’anelito che la tua vita sia
benedetta, che sia protetta dalla mano benedicente di Dio, che
partecipi della sua pienezza, che prosperi grazie alla benedizione
del Signore.
Se ricordo la mia messa novella trentatrè anni fa, anch’io fui molto
toccato dal fatto di impartire la benedizione ai miei genitori e ai miei
parenti, ma anche a molte persone vecchie e giovani, quando
anch’io ero così giovane. Sentivo che le persone avevano fiducia di
quella benedizione. Mi vergognavo, perché sapevo che, con i miei
ventisei anni, non potevo dar nulla agli altri. Cercai però di
confidare nel fatto che un po’ della benedizione di Dio si riversa
sulle persone passando attraverso di me. Mi vidi come un canale,
attraverso il quale 1’amore di Dio fluiva verso la gente. E pensai: ciò
che la gente si aspetta dal neo-sacerdote in realtà vale per tutti. Tutti
possono diventare per gli altri un canale attraverso il quale scorre lo
Spirito di Dio, per colmare le persone della benedizione e dell’amore
divini.
Come interpretano la benedizione i racconti della Bibbia
Negli ultimi anni, soprattutto nella chiesa evangelica, si è destato un
nuovo interesse per il tema della benedizione. Due sono gli
argomenti su cui riflettono i teologi protestanti: da un lato la
benedizione come gesto. La benedizione è qualcosa di più che
pregare a parole, si esprime attraverso un gesto. La benedizione può
essere sperimentata dalle persone attraverso i sensi. Dall’altro lato,
si è riscoperto Dio come creatore. Ciò significa che Dio non è
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soltanto il redentore, bensì anche il creatore e come creatore ha
benedetto gli esseri umani, facendoli partecipare della ricchezza
della sua creazione.
Benedizione e fecondità
La benedizione è uno dei temi centrali della Bibbia. Già al momento
della creazione dell’essere umano Dio benedice Adamo ed Eva: «Dio
li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi”» (Gen 1,28). La
benedizione qui è collegata alla fecondità, con la moltiplicazione e
l’incremento della vita. L’intero creato è una benedizione di Dio da
cima a fondo. Dio copre di doni l’essere umano e fa sì che la sua
esistenza porti frutto. È in questo che consiste uno dei desideri
primordiali dell’essere umano, che la sua esistenza non resti inutile
e infeconda. Quando prospera, quando porta frutto nei figli o in
un’opera, l’essere umano vede un senso nella propria esistenza. La
benedizione è una promessa di Dio all’essere umano che la sua
esistenza è sotto la protezione del Signore e partecipa della sua
energia creativa, che si esprime e porta frutto nell’uomo.
Il grande cruccio dell’essere umano sta nel fatto che la sua vita gli
appaia priva di significato e che rimanga senza frutto. Le coppie di
sposi spesso soffrono per la mancanza di figli. Le persone non
sposate hanno talvolta l’impressione di non lasciare nulla in questo
mondo. Non possono presentare né figli, né una grande opera. È un
desiderio primordiale che la vita porti frutto. Per raggiungere
l’armonia con se stesso, l’essere umano ha bisogno della sensazione
di generare qualcosa, di creare qualcosa che resta. Non devono per
forza essere i figli o una grande opera visibile a tutti. Ognuno, però,
ha bisogno della certezza di portare frutto con la propria esistenza,
di lasciare in questo mondo un’impronta che può essere lasciata
soltanto da lui.
Di una donna incinta diciamo che è fertile. Ciò che vale per lei, è
anche una promessa a ciascuno di noi. Anche noi siamo fertili. Nel
nostro corpo si esprime la benedizione di Dio. E attraverso il nostro
corpo deve fluire benedizione in questo mondo, qualcosa che può
prosperare e diventare visibile nel mondo esclusivamente attraverso
di noi. Lo psicologo americano Erik Erikson la definisce
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generatività. È espressione di una persona matura. Parte integrante
della buona riuscita dell’esistenza umana è il fatto che io crei
qualcosa che mi sopravviva e vada oltre la mia persona. Quando
vado al lavoro o vivo gli incontri con gli altri con la consapevolezza
di essere fertile, lo farò confidando nel fatto che da me si sprigiona
benedizione, che il mio lavoro diventa una benedizione per gli altri
e che il dialogo o lo sguardo amorevole fa scaturire la vita nell’altra
persona. In quanto benedetto posso essere sorgente di benedizione.
Ciò conferisce alla mia esistenza un sapore nuovo, il sapore della
benedizione e non quello amaro di quanto è sterile e privo di valore.
Ti auguro, caro lettore, cara lettrice, che ti senta benedetto/ a da Dio fin
dalla nascita. Su di te c’è sin dall’inizio la benedizione di Dio, che ti dice:
«È bene che tu esista. Sei benvenuto/a su questa terra. Vivi la tua vita e sii
fecondo/a!». Ringrazia Dio per averti creato così come sei e per tutto ciò che
ti ha già donato in questa vita. La gratitudine ti donerà un nuovo sapore, il
sapore della vitalità e della gioia.
Abramo, il benedetto
Il patriarca di Israele e padre della fede è Abramo. Dio gli promette:
«Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e
diventerai una benedizione... In te si diranno benedette tutte le famiglie
della terra» (Gen 12,2s.). Qui la benedizione non consiste soltanto
nella fecondità, bensì anche nell’elezione. Abramo è una persona
speciale. Viene scelto da Dio come progenitore di un grande popolo.
La benedizione è sempre collegata all’elezione. Quando benedico
una persona, questa sa di essere stata eletta da Dio. Eleggere ha a
che fare con volere. La persona benedetta ed eletta sa di essere
voluta da Dio, sa di essere accettata e approvata
incondizionatamente. La Bibbia associa spesso la benedizione di Dio
a un nuovo nome. Anche ad Abramo viene dato un nome nuovo. La
benedizione istituisce una nuova identità. L’essere umano non si
sente più segnato da un’onta. Viene chiamato da Dio stesso con un
nome nuovo. È creato, plasmato, costituito, amato e accettato
interamente da Dio. Trova la sua identità in un’intensa relazione con
Dio. Sa di non poter vivere senza questa relazione di amicizia con
Dio, che accorda fecondità alla sua vita.
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Elezione significa anche che Dio ritiene l’essere umano capace di
compiere qualcosa. Dio pretende da Abramo che abbandoni la
propria terra, i parenti e la casa paterna. I monaci hanno visto questa
partenza come archetipo per ogni essere umano. Ogni essere umano
deve abbandonare ogni dipendenza, i sentimenti del passato e le
cose visibili con cui si identifica volentieri. Il rischio della partenza,
però, può essere corso soltanto da chi sa di essere sotto la
benedizione di Dio. Partendo lascia andare tutto ciò con cui finora si
è sentito benedetto: i suoi beni, i suoi genitori, i suoi amici, tutto ciò
che gli è consueto. Essere sotto la benedizione di Dio significa:
percorrere il proprio cammino sotto la sua mano che protegge,
confidando nel fatto che in noi Dio crea qualcosa di nuovo e volge a
buon fine la nostra esistenza. Abramo non è una persona priva di
difetti, esattamente come noi, pur essendo benedetti, continuiamo a
essere pieni di difetti e di debolezze. Non di rado soffriamo per i
nostri difetti. Ci sentiamo lacerati. La benedizione tiene unito ciò che
noi non riusciamo a comporre.
Ti auguro quindi che tu ti sappia benedetto ed eletto da Dio e che la
benedizione di Dio unisca dentro di te tutto ciò che talvolta minaccia di
lacerarti. Dio ti benedica, affinché tu, come Abramo, possa percorrere la tua
strada pieno di fiducia e ti sappia circondato sempre e ovunque dalla
vicinanza protettrice di Dio.
«Diventerai una benedizione», dice Dio ad Abramo. È la promessa più
bella che possa essere fatta a una persona: essere una benedizione
per gli altri, diventare sorgente di benedizione per gli altri. Talvolta
diciamo a proposito di una persona che è una benedizione per la
comunità, l’azienda, il paese. Di alcuni bambini si dice che sono una
benedizione per la famiglia. Intendiamo con questo che quel
bambino ha in sé qualcosa che fa bene agli altri. Forse ha un
carattere solare. Oppure effonde pace intorno a sé. Oppure c’è in lui
qualcosa di schietto e di puro di cui tutti gioiscono. Ogni comunità
ha bisogno di persone che siano una benedizione per essa. Alla
lunga, senza persone benedette una comunità non può sussistere.
Quando diciamo di un adulto che è una benedizione per la
comunità, pensiamo anche all’influenza positiva che si sprigiona da
lui. Da una persona del genere si effonde speranza per gli altri. La
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sua influenza riconcilia, non divide. E da questa persona partono
nuove idee. Della sua inventiva, della sua creatività vivono anche
un po’ gli altri. Senza di lei la comunità si spaccherebbe. Una
persona benedetta unisce le persone. Trasmette ad altri la
benedizione che ha ricevuto.
Gli innamorati fanno l’esperienza che il loro amico o la loro amica
diventa una benedizione per loro. Gli innamorati rifioriscono.
Vicino al partner imparano ad accettare se stessi. Cresce una nuova
fiducia in se stessi. Quanto è buio si rischiara, la disperazione
sparisce. Lo sconforto se ne va. All’improvviso la vita riacquista
fantasia e creatività. Si sviluppano nuove idee. Ciò che era
pietrificato diventa vivo.
Alcuni hanno l’impressione che il loro medico, la loro terapeuta o il
loro padre spirituale sia una benedizione per loro. Dalla loro guida
spirituale si sprigiona qualcosa che fa bene all’anima. Allora i dubbi
su se stessi si disperdono, la svalutazione e la condanna di sé
cessano. Da quella persona ricevono nuova speranza che la loro vita
vada a buon fine.
Anche tu, caro lettore, cara lettrice, sei una benedizione per altre persone.
Dio te ne ritiene capace. Non devi compiere imprese speciali per diventare
una benedizione per gli altri. Basta che tu sia interamente te stesso/a. Così
come sei, nella tua unicità, sei una benedizione per gli altri. Smetti di
svalutarti, e sii grato/ a del fatto che Dio ti ha eletto a sorgente di
benedizione per gli altri.
La benedizione notturna di Giacobbe
La Bibbia ci narra una storia singolare. È la storia della benedizione
notturna che Giacobbe riceve proprio dall’uomo che ha lottato con
lui tutta la notte. Da giovane Giacobbe aveva ottenuto con l’inganno
da suo padre Isacco la benedizione del primogenito, suscitando così
l’ira di suo fratello Esaù contro di sé. Questa benedizione appare qui
come qualcosa di tangibile, qualcosa che non si può dare due volte.
Giacobbe è in vantaggio rispetto a suo fratello Esaù. La benedizione
del primogenito consiste nel fatto che ora Giacobbe sarà signore dei
suoi fratelli.
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A Giacobbe sembra riuscire ogni cosa. Torna a casa con grandi
ricchezze, le sue due mogli e molti figli. Ma gli viene annunciato che
suo fratello Esaù gli sta venendo incontro. Ora si ritrova a fare i
conti con la paura. Esaù rappresenta l’ombra di Giacobbe. Giacobbe
deve affrontare la propria ombra affinché la sua vita diventi
davvero una benedizione. La Bibbia ce lo descrive nella lotta
notturna con un uomo oscuro che si fa riconoscere come angelo di
Dio. I due lottano nella notte, senza che uno dei due riporti la
vittoria. Quando sorge l’aurora, l’angelo prega Giacobbe di lasciarlo
andare. Giacobbe ribatte: «Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!»
(Gen 32,27). Giacobbe lotta per la benedizione. Ci tiene tanto a
essere benedetto da Dio da lottare come se fosse questione di vita o
di morte. Dio in persona benedice Giacobbe e gli dà un nuovo nome:
«Non ti chiamerai più Giacobbe [truffatore, ma Israele [colui che lotta con
Dio]» (Gen 32,29).
È un paradosso che proprio ciò che è pericoloso per me e mi
combatte debba benedirmi. In un primo momento a Giacobbe Dio
non appare affatto come colui che benedice, bensì come colui che lo
mette in discussione, che gli sbarra la strada. Da un punto di vista
psicologico, si tratta di un incontro con l’ombra. Prima che Giacobbe
possa riconciliarsi con suo fratello Esaù, deve incontrare l’ombra
dentro di sé, la parte che imbroglia, quella falsa, la propria
menzogna esistenziale. E proprio l’incontro con l’ombra si trasforma
per lui in benedizione. La sua vita acquista una qualità nuova. Non
soltanto riesce a riconciliarsi con il fratello, ma diventa uno dei
patriarchi di Israele.
Pensiamo di incontrare la benedizione di Dio nelle situazioni in cui
abbiamo successo, in cui tutto ci riesce. La storia di Giacobbe ci
dimostra che sperimentiamo la benedizione proprio dove abbiamo
toccato il fondo, dove incontriamo dolorosamente noi stessi, la
nostra falsità, il nostro rifiuto della vita, il nostro sconfinato
egoismo. Se diciamo di sì a noi stessi così come siamo, persino la
parte debole e falsa di noi può trasformarsi in sorgente di
benedizione. Dio non benedice ciò che è perfetto, ma ciò che è
imperfetto, non ciò che è intero: ma ciò che è spezzato. Attraverso la
benedizione il ramoscello tagliato torna a rifiorire. E la notte si
trasforma in giorno chiaro.
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Dio ti benedica anche dove ti senti fallito, dove soffri per le tue debolezze,
dove sei circondato dall’oscurità. Non darti per vinto, quando tutto sembra
privo di vie d’uscita e non sai come andare avanti, quando sei stanco della
lotta e preferiresti darti per vinto. Allora, come Giacobbe, grida
testardamente nella notte del buio e della tentazione: «Non ti lascerò, se
non mi avrai benedetto!».
Benedizione o maledizione
Nel Deuteronomio Dio pone davanti al popolo la benedizione o la
maledizione. Mette il popolo davanti all’alternativa di scegliere
l’una o l’altra:
«Vedete, io pongo oggi davanti a voi una benedizione e una maledizione: la
benedizione, se obbedite ai comandi del Signore vostro Dio, che oggi vi do;
la maledizione se non obbedite ai comandi del Signore vostro Dio e se vi
allontanate dalla via che oggi vi prescrivo, per seguire dèi stranieri, che voi
non avete conosciuto» (Dt 11,26-28).
Possiamo dunque essere noi a scegliere tra benedizione e
maledizione. Se ci atteniamo ai comandamenti, se viviamo in
conformità della nostra natura di esseri umani, siamo benedetti. Se
però agiamo contro la nostra natura e ci facciamo condizionare dalle
nostre brame e dalle nostre pulsioni, scegliamo la maledizione. Dio
afferma il Deuteronomio - ha legato il comportarsi secondo i
comandamenti alla benedizione e l’allontanarsi dalla retta via alla
maledizione. E sta in mano nostra scegliere l’una o l’altra. Se ci
atteniamo ai comandamenti, la nostra vita viene benedetta. Porterà
frutto e prospererà. Se invece voltiamo le spalle a Dio,
sperimentiamo la maledizione. Per l’Antico Testamento, la
maledizione è sempre un indebolirsi della vita. Il maledetto si sente
ripudiato da Dio e vive estraniato dal Signore e da se stesso.
Esiste però anche l’esperienza che una persona ne maledica un’altra.
Nel libro dei Numeri si narra di come il re Balak, nella sua paura del
popolo di Israele, mandi a chiamare l’indovino Balaam. Gli dà
l’incarico di maledire il popolo di Israele. Una volta che il popolo
sarà maledetto spera di sconfiggerlo. Ma Dio ordina all’indovino:
«Non maledirai quel popolo, perché esso è benedetto» (Nm 22,12). Chi è
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stato benedetto da Dio non può venire maledetto da un essere
umano. Molte persone si sentono maledette. La parola tedesca
fluchen, maledire, deriva da un gesto a cui si associava il
malaugurio. Ci si batteva il petto con il palmo della mano aperta,
per esprimere che si augurava il male all’altra persona.
Torno sempre a incontrare persone che hanno l’impressione di
essere maledette. Quando chiedo maggiori dettagli, mi raccontano
che il padre, in preda all’ira, ha gridato loro: «Non farai mai strada.
Non troverai mai un marito. Vedrai come finirai in malora». Altre sono
piene di paura, perché un parente ha augurato loro di avere un
bambino disabile o di rimanere sterili. Anche se con la ragione ci
rendiamo conto che questi auguri malvagi nascono dall’amarezza di
persone malate, ben difficilmente riusciamo a sottrarci alloro potere.
In noi permane la sensazione confusa che le parole non siano
soltanto parole, ma abbiano un certo effetto. Talvolta le persone
maledette si sentono rose interiormente. Anelano alla benedizione
che scioglierà la maledizione che pesa sulla loro anima. Non basta
dire loro che la maledizione non ha valore, perché essa dimora nella
loro anima. C’è bisogno di una potente benedizione. Impongo le
mani a queste persone e, in nome di Gesù Cristo, dico che protegga
la loro anima dall’influsso nocivo delle parole altrui e che faccia
penetrare sempre più a fondo nel loro cuore la sua parola di vita.
Una volta è venuta da me una donna che durante l’infanzia aveva
subito degli abusi sessuali da parte di un sacerdote. Questi l’aveva
maledetta. Se mai l’avesse raccontato a qualcuno, sarebbe morta.
Quella donna non osava più andare in chiesa. Desiderava
ardentemente partecipare alla messa. Ma non appena entrava in una
chiesa, quella maledizione scendeva su di lei e la paralizzava.
Un’amica la persuase a parlare con me. Quando le andai incontro
amichevolmente e le tesi la mano, si tirò indietro. Ebbe il coraggio di
parlarmi soltanto perché l’amica entrò con lei nel parlatorio. E ci
volle molto tempo, prima che il suo blocco si sciogliesse e trovasse la
fiducia di dire ciò che le pesava sull’anima. Le chiesi se potevo
impartirle la benedizione e imporle le mani. Lo volle.
Durante quella benedizione ho sentito che tutti i miei bisogni di
mostrare partecipazione o riuscire ad aiutare dovevano passare in
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seconda linea. Dev’essere una benedizione pura, in cui sono
permeabile soltanto allo Spirito di Dio. Ed ero consapevole del fatto
che la benedizione ha bisogno di autorità conferita dall’alto.
Benedico in nome di Dio. Benedico con la forza della croce, sulla
quale Gesù ha sconfitto il potere dei demoni. Affiorano in me
immagini archetipe, per esempio l’immagine che Cristo protegge la
donna con il suo potere, che con il segno della croce suggello la
fronte affinché non possa entrare niente di negativo. E in questa
situazione comprendo all’improvviso la frase di san Paolo, che
altrimenti mi risulta piuttosto estranea, cioè che sulla croce Gesù è
diventato maledizione per noi, per riscattarci dalla maledizione (cfr.
Gal 3 , 13s.).
Forse conosci anche tu parole di maledizione che sono rimaste nella tua
anima. Sovrapponi a queste parole oscure la Parola iniziale che ti è stata
affidata nel battesimo: «Tu sei il mio figlio diletto. . Tu sei la mia figlia
diletta. In te mi sono compiaciuto». Oppure pronuncia nel tuo cuore
l’augurio con cui Paolo benedice Timoteo, il destinatario delle sue lettere:
«Grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e Cristo Gesù Signore
nostro» (2 Tm 1,2).
Donne che si benedicono a vicenda
Quando Maria visitò sua cugina Elisabetta, quest’ultima fu piena di
Spirito Santo ed esclamò: «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto
del tuo grembo!» (Lc 1,42). La donna più anziana benedice la più
giovane. Entrambe le donne sono incinte. È un incontro prodigioso
quello che ci viene descritto da Luca nel suo vangelo. In quanto
greco, Luca ha una sensibilità particolare per la dignità della donna
e per la sua capacità di sentire che il nostro compito più importante
è benedirci a vicenda e diventare una benedizione per gli altri. Le
donne dicono di se stesse che sono fertili, quando sono incinte. Le
donne conoscono la grande benedizione della creazione. Ai giorni
nostri sono proprio le donne ad aver sviluppato nuove forme di
liturgia della benedizione. Amano benedirsi a vicenda.
Nell’incontro tra Maria ed Elisabetta vedo una dimensione
affettuosa nel rapporto reciproco. Lì non è questione di rivalità,
come sperimentano spesso gli uomini nelle loro relazioni
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interpersonali. Lì è questione di gioire per l’altra persona e della
capacità di vivere insieme la benedizione di Dio, che è destinata a
tutti, e di gioirne insieme agli altri. La benedizione pronunciata da
Elisabetta su Maria rende viva anche lei. Il bambino le sussulta nel
grembo. Il suo isolamento si trasforma in nuova vitalità. E Maria, la
benedetta, prorompe nel canto di lode del Magnificat. Trasmette ad
altri la benedizione di Dio. Benedire significa: lodare Dio per tutto
ciò che ha fatto per noi. Dio è la fonte di ogni benedizione. Per
questo fa parte della benedizione la lode di Dio come nostro
creatore, redentore e salvatore.
Con questo racconto l’evangelista ci invita a benedirci a vicenda.
Benedirsi a vicenda può avvenire attraverso un gesto, per esempio
tracciando una croce sulla fronte dell’altra persona. Ma può anche
semplicemente avvenire attraverso una parola. Elisabetta benedice
Maria dicendole qualcosa di buono. La parola greca per ‘benedire’,
euloghein, e la traduzione latina benedicere, significano: dire qualcosa
di buono, dire bene. Benedire consiste nel dire qualcosa di buono
dell’altro, su di lui e rivolto a lui. Elisabetta glorifica Maria come la
donna che è benedetta più di tutte le altre, che ha una dignità
inviolabile. Nella benedizione Elisabetta vede il mistero di questa
giovane donna e del bambino che porta in grembo. Ciò che
Elisabetta dice a proposito di Maria vale per ciascuno di noi.
Ognuno di noi è una donna benedetta, un uomo benedetto. Ogni
donna è sotto la benedizione di Dio. Ognuno è creato e amato da
Dio come persona speciale e unica.
Elisabetta non glorifica soltanto Maria, bensì anche il frutto del suo
seno. La benedizione che promette a sua cugina si riferisce al
bambino che le cresce in grembo. Essere benedetti significa che in
me fiorisce qualcosa di nuovo. Nei sogni il bambino rappresenta
sempre qualcosa di nuovo e genuino, che desidera aprirsi una
strada in me, attraverso tutto ciò che non è autentico e nasconde la
mia vera natura. Oggi molte persone soffrono del fatto che la loro
vita scorre in maniera monotona e basta, senza che accada nulla di
notevole. Si sentono logorate. Tutto segue il suo corso abituale.
Essere benedetti come Maria significa che Dio fa fiorire in me
qualcosa di nuovo, che mi porta a contatto con l’immagine genuina
e originale che egli si è fatto di me.
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A proposito del bambino che Maria metterà al mondo, l’angelo dice:
«Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35).
Il nostro nucleo più intimo, l’immagine intatta di Dio dentro di noi,
sono santi, sacri. In ognuno di noi c’è qualcosa di sacro, di cui gli
esseri umani non possono disporre. Il sacro, infatti, è proprio ciò che
è sottratto alla signoria del mondo. Per i Greci soltanto ciò che è
sacro può risanare. L’angelo promette anche a noi che dentro di noi
esiste qualcosa di santo, di sacro, che ha raggiunto salvezza e
perfezione, che è intatto e non infettato dalla colpa.
Se sei a contatto con quanto di santo è in te, potrai avere un’zione benefica
sugli altri. Allora - benedetto come Maria - anche tu diventerai una
benedizione per gli altri. Ti auguro che, come Maria, tu sappia dire di sì al
fatto che Dio ti ha benedetto e ti dona un figlio che sarà chiamato santo. È
un mistero quello che avviene in te quando il bambino divino nasce dentro
di te. Il mistero ha bisogno della tua parola di fede, come quella che ha
pronunciato Maria dandoti l’esempio: «Eccomi, sono la serva del Signore,
avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38).
La benedizione del vecchio Simeone
Luca ci narra un’altra splendida storia di benedizione. Quando
Maria e Giuseppe portano il loro bambino al tempio, vi incontrano il
vecchio Simeone. Simeone prende il bambino tra le braccia per
benedirlo. E lodando Dio, dice parole stupende sul neonato. In quel
bambino i suoi occhi hanno visto la salvezza, la luce che illumina le
genti e la gloria di Israele. È senz’ altro la cosa più bella che si possa
dire di una persona: «Quando ti vedo, vedo la salvezza che Dio ha
preparato agli uomini». Ogni persona ha una sua profondissima
vocazione a portare gli altri alla salvezza, a che gli altri raggiungano
attraverso di lei la salvezza e la perfezione.
Con Simeone vorrei dirti: «In te vedo la luce. Sei un raggio di speranza
in questo mondo. Rischiari i miei occhi. Sei gloria. In te risplende la
bellezza di Dio.
In te un po’ dell’amore di Dio riluce in questo mondo. Attraverso di te il
mondo diventa più luminoso e più caldo. Vicino a te mi si riscalda il
cuore». Forse pensi che questo, per quanto ti riguarda, non sia vero. Ma le
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parole benedicenti di Simeone valgono anche per te. Anche tu, infatti; sei
benedetto, come il bambino di Maria.
Quando il bambino benedetto da Simeone fu diventato uomo,
benedì altri bambini. Evidentemente la gente aveva l’impressione
che questo Gesù di Nazaret fosse una persona benedetta. Così gli
portavano i loro bambini, affinché imponesse loro le mani e li
benedicesse (Mc 10,1316). Volevano che i loro bambini
partecipassero della benedizione di quest’uomo Gesù. Sentivano che
la presenza di Gesù faceva bene a loro e ai loro bambini, che da
Gesù si sprigionavano benedizione, accoglienza, incoraggiamento,
vita e amore. Gesù prende i bambini tra le braccia, impone loro le
mani e li benedice. È un gesto affettuoso di benedizione.
Nell’abbraccio Gesù dimostra loro che sono abbracciati e amati da
Dio, che la presenza di guarigione e d’amore di Dio li circonda
sempre. Attraverso l’abbraccio, la benedizione si fa concreta. I
bambini si sentono amati, accettati. La benedizione ha in sé qualcosa
di affettuoso.
Gesù impone loro le mani. Nell’imposizione delle mani non faccio
soltanto l’esperienza dello Spirito Santo di Dio e della sua forza
risanatrice, che si riversa in me, bensì anche della sua protezione. In
tutto ciò che faccio so che Dio stesso tiene le sue mani protettrici sul
mio capo. L’imposizione delle mani è il gesto di, benedizione più
intenso. In esso l’amore di Dio può essere sperimentato fisicamente
come contatto affettuoso e come un flusso che mi pervade. A questo
intenso gesto di benedizione, l’imposizione delle mani, Gesù associa
una parola buona, una parola di incoraggiamento. La sua parola
crea relazione e comunione. Gesù offre ai bambini la sua amicizia
personale. Ma attraverso la benedizione comunica loro anche che
appartengono al regno di Dio, che si trovano alla presenza
risanatrice e protettiva di Dio.
Molti genitori, la sera, prima di andare a dormire, hanno l’abitudine
di benedire i loro figli. Quando un figlio è ancora piccolo, attraverso
la benedizione si sente al sicuro e protetto. Una madre, ogni sera,
posa in silenzio la mano sul capo del suo bambino che è già a letto e
prega per lui. Ciò trasmette al bambino l’esperienza che Dio tiene le
sue mani buone su di lui e che è bene detto e amato da Dio. Un
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padre, ogni volta che i figli stanno per andare via da casa per un
periodo piuttosto lungo, fa loro un segno della croce sulla fronte.
Una madre mi ha raccontato che i suoi figli le presentavano sempre
la fronte per ricevere da lei la benedizione. Evidentemente
anelavano al tenero affetto della benedizione. In essa facevano
l’esperienza della promessa: «Sei benedetto da Dio. Non sono
soltanto io a pensare a te, ma Dio tiene la sua mano affettuosa su di
te». Quando i figli crebbero, la madre ebbe degli scrupoli a
continuare a fare loro il segno della croce sulla fronte. Ma quando
tralasciò di farlo, i figli ormai adulti lo reclamano. Per loro costituiva
un bisogno sperimentare la benedizione della madre. A che cosa
anelavano quei giovani uomini? Dato che non li conosco, posso
soltanto fare delle supposizioni. Penso però che volessero
sperimentare fisicamente che sono benedetti, che non sono soli, che
non è soltanto la madre ad accompagnarli con il suo amore, bensì
anche Dio, che è loro vicino, anche se, lontano da casa, si sentono
soli. Desidero perciò incoraggiare padri e madri a benedire i loro
figli.
Nel segno della croce, nell’imposizione delle mani o nella parola di
benedizione metti il tuo amore, la tua benevolenza, le tue premure e la tua
fiducia che tuo figlio è benedetto da Dio. La benedizione che dai a tuo figlio
ti libera dalle preoccupazioni timorose per lui. Sai che è sotto la benedizione
di Dio, che percorre la sua strada da persona benedetta e che la benedizione
è come una mano protettrice che lo accompagna e circonda.
Se mi ricordo di come mio padre mi tracciava la croce sulla fronte
quando ritornavo in collegio a Miinsterschwarzach, in quel gesto
non c’era soltanto un senso di dedizione affettuosa. Con quel piccolo
gesto mio padre esprimeva dei sentimenti che altrimenti non
riusciva a mostrare con facilità. Era anche la certezza che la
benedizione mi accompagnava e che in essa mi accompagnava
anche l’affetto di mio padre, quando tornavo nell’atmosfera un po’
più dura del collegio.
Non dovrebbero essere soltanto padri e madri a benedire i loro figli.
Possiamo anche benedirci a vicenda. Il ragazzo può tracciare la
croce sulla fronte della sua ragazza e viceversa.
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Con questo gesto amorevole esprimiamo verso l’altra persona che:
«Vai bene così come sei. Ogni aspetto contrapposto in te è toccato
dall’amore di Dio. Appartieni a Dio. Non c’è un re o un imperatore sopra
di te. Sei libero. Percorri la tua strada sotto lo sguardo amorevole di Dio,
che ti dice: “Sei il benvenuto in questo mondo. Abbi fiducia nella vita. Io
vengo con te”».
Benedetti attraverso Gesù Cristo
La lettera agli Efesini vede l’operato di redenzione e riscatto di Dio in
Gesù Cristo come benedizione. Con l’immagine della benedizione
l’autore esprime ciò che Dio ha fatto per noi in Gesù Cristo. La
lettera inizia con un rendimento di lode:
«Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha
benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha
scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo
cospetto» (Ef 1,3s.).
La benedizione con cui Dio ci ha benedetti consiste nel fatto che ci
ha scelti in Gesù Cristo. In Gesù Dio ha diretto lo sguardo su
ciascuno di noi, ricolmandoci di tutto l’amore che ha donato a suo
figlio. In Gesù, però, ci ha anche chiamati a essere santi e immacolati
al suo cospetto. L’8 dicembre, nella solennità di Maria immacolata,
la liturgia riferisce questa frase a Maria, la Madre di Dio. Allo stesso
tempo, però, questa frase vale anche per noi. In Gesù Cristo siamo
già santi e immacolati. Là dove Gesù è in noi, c’è in noi qualcosa di
sincero e di puro. Lì il peccato non ha alcun potere su di noi. In
Cristo Dio ci ha benedetti, dicendoci:
«Tu sei buono. Ti ho creato buono. E ai miei occhi sei buono, santo e
immacolato. Il mondo non ha potere su di te. In te non c’è nessuna
macchia. Quando sei in comunione con il mio figlio è tutto buono in te».
Paolo sviluppa questa grande benedizione che abbiamo ricevuto in
Gesù Cristo. Consiste nel fatto che in Gesù ci è stata donata la
redenzione, «la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua
grazia» (Ef 1,7). Redenzione significa in realtà liberazione, riscatto. In
Gesù non siamo più in balia di forze demoniache che vorrebbero
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nuocerci. In Cristo persino il peccato non ha potere su di noi. Siamo
sottratti alla sua orbita. Non abbiamo più bisogno di condannarci. In
Gesù, infatti, Dio ei ha rimesso i peccati. Non ei gravano più
addosso per paralizzarci con i sensi di colpa. Là dove siamo
benedetti in Cristo il peccato non conta più. Non dobbiamo
scontarlo. Possiamo semplicemente lasciarlo andare. La benedizione
è più forte della maledizione che spesso ci infliggiamo da soli
quando ci dilaniamo con i sensi di colpa, indebolendo così la nostra
energia vitale.
Il terzo effetto che la lettera agli Efesini attribuisce alla grande
benedizione in Gesù Cristo è «l’iniziazione al mistero» (Heinrich
Schlier, 39 [trad. it. cit., 20s.]). Viene sviluppata in Ef 1,8-10:
«Egli l’ha [la grazia] abbondantemente riversata su di noi con ogni
sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero
[mysterion] della sua volontà, secondo quanto, nella sua benevolenza,
aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno,
cioè, di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della
terra».
In Gesù Dio ei ha resi partecipi della sua sapienza. Abbiamo
conquistato la gnosis, a cui le persone dell’epoca tanto anelavano.
Gnosis significa: conoscenza, illuminazione, vero sapere. In Gesù
siamo diventati sapienti. In lui comprendiamo i veri motivi delle
cose. In lui riconosciamo la nostra vera natura. E questa vera natura
consiste nel fatto che Cristo è in noi e unisce tutti quei nostri ambiti
che non di rado viviamo come separati: tutte le cose, quelle del cielo
come quelle della terra, la parte terrena e quella celeste, quella
oscura e quella luminosa, quella debole e quella forte, la nostra
caducità e l’immortalità di Dio. Il mistero della sua volontà è:
«Cristo in noi». Così è stato descritto dalla lettera ai Colossesi:
«Dio volle far conoscere [loro] la gloriosa ricchezza di questo mistero
[mysterium] in mezzo ai pagani, cioè Cristo in mezzo a voi, speranza della
gloria» (Col 1,27).
Si può tradurre anche come «Cristo in voi, speranza della gloria». In ciò
consiste la benedizione più profonda che Dio ei ha donato in Cristo.
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Cristo stesso è in noi. È in noi come colui che unisce dentro di noi
ciò che è separato e scisso. Ed è in noi come speranza della gloria. È
come la caparra che cresceremo nella forma (d6xa) che Dio ci ha
assegnato, che la gloria di Dio risplenda pura e chiara in noi.
Medita tra te e te l’inizio della lettera agli Efesini e lascia cadere nel
profondo del tuo cuore le parole: «Ci ha benedetti con ogni benedizione
spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del
mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto» (Ef 1,3s.). Durante la
meditazione non devi tanto riflettere sulle parole quanto accogliere le parole
nel tuo cuore) nella fede che «questa è la verità. Questa è la realtà
autentica. lo sono benedetto. Sono scelto da Dio, eletto, amato
incondizionatamente. Là, dove la benedizione di Dio si posa su me, sono
santo e immacolato».
Dal tesoro delle forme di benedizione
Nella tradizione cristiana abbiamo sviluppato varie forme di
benedizione. Benediciamo con la croce, con l’acqua santa o con le
parole. Ed esistono diversi gesti di benedizione delle mani:
l’allargare le braccia e l’imposizione delle mani.
La forza della croce è posta su di te
La parola tedesca segnen, benedire, deriva da due parole latine:
signare e secare. Signare significa: ‘contrassegnare’. Signum è il segno.
Con questo termine il linguaggio della chiesa indica sempre il segno
della croce. E secare significa: ‘incidere, tagliare’. I primi cristiani si
facevano il segno della croce già nel I secolo. E alcuni si tatuavano la
croce sulla fronte. Oggi alcuni giovani si tatuano immagini negative.
Non fanno bene alla loro anima. I primi cristiani vedevano nella
croce un segno di protezione da tutti i mali e un segno dell’amore di
Dio che tocca e trasforma ogni cosa dentro di loro. Per i primi
cristiani la croce non era tanto un simbolo della passione di Cristo.
Riprendevano piuttosto l’interpretazione del vangelo di Giovanni,
secondo cui la morte di Gesù sulla croce è il compimento
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dell’amore. La croce è un segno del fatto che Gesù ci ha amato fino
alla fine, che in noi ama tutto. La croce è un’immagine dei poli
opposti dentro di noi, di cui non di rado soffriamo. Quando mi
faccio il segno della croce, professo che ogni aspetto contrastante in
me è toccato dall’amore di Dio. Non c’è nulla che sia escluso da
questo amore. Attraverso il segno della croce mi accerto fisicamente
dell’amore di Dio.
Il grande segno della croce va dalla fronte al ventre e dalla spalla
sinistra a quella destra. Incido l’amore di Dio nella fronte, affinché la
mia mente non sia fredda e calcolatrice, bensì pervasa dall’amore. Il
ventre rappresenta la forza vitale e la sessualità. Anche in questo
ambito traccio il segno dell’amore di Dio. In me non esiste nulla che
non sia accettato dall’amore di Dio e colmo di esso. E in questo gesto
esprimo la speranza che l’amore di Dio trasformi e purifichi il mio
amore, spesso inquinato dal desiderio di possesso. La spalla sinistra
indica da un lato l’inconscio, dall’altro la parte femminile e per
finire anche il cuore, la sede dell’amore, il centro della persona. La
spalla destra è la metafora della parte conscia, di quella maschile e
dell’azione. Con il segno della croce benedico ogni ambito del mio
corpo e della mia anima. La benedizione di Dio, che si è manifestata
nella maniera più chiara sulla croce, pervade ogni parte di me, il
pensiero, la forza vitale e la sessualità, il conscio e l’inconscio, la
parte luminosa e quella oscura. Nel segno della croce torno sempre
a richiamare alla mente la consapevolezza che sono benedetto da
Dio. Mi è lecito benedire me stesso, perché Dio ha posto sotto la sua
benedizione ogni parte di me.
Ricollegandomi a una preghiera della chiesa siriana, associo
volentieri il segno della croce alle seguenti parole:
«Nel nome del Padre, che mi ha ideato e plasmato; e del Figlio, che è disceso
nella mia umanità; e dello Spirito Santo, che volge il male in bene».
Nel segno della croce sperimento la benedizione che mi viene
donata attraverso la creazione e attraverso l’incarnazione e la
redenzione in Gesù Cristo. E faccio l’esperienza che sono accolto
nella vita e nell’amore del Dio unitrino. Così come Dio è uno e trina,
anche in me esistono tre ambiti in cui Dio vorrebbe penetrare: la
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mente, l’anima e il corpo. Vedo Dio come Padre che mi ha creato e
mi ha dato una mente ricca di inventiva, affinché io sia creativo a
mia volta. Vedo il Figlio come colui che scende dal cielo e come ci
mostra Giovanni nella lavanda dei piedi - si china fin nella polvere
della terra per guarirmi proprio nella mia parte più vulnerabile. Il
segno della croce mi incoraggia a scendere insieme a Cristo nella
mia umanità, con le sue pulsioni e le sue brame. Soltanto così
l’elemento pulsionale può venire trasformato. E vedo lo Spirito
Santo come colui che unisce quanto è lacerato e diviso in me, che
mette in collegamento il cuore con l’azione, l’inconscio con il
conscio, il maschile con il femminile, il forte con il debole, la parte
che ha successo con quella che non ce l’ha. Lo Spirito Santo mi
incoraggia ad accettare ogni parte di me e a non scindere nulla.
Un’altra forma del segno della croce viene praticata nella liturgia
prima della lettura del vangelo. Con il pollice mi traccio una croce
sulla fronte, sulla bocca e sul petto. In tal modo esprimo che la
parola di Dio diventa una benedizione per il mio pensiero, che
caratterizza i miei discorsi e penetra nel profondo del mio cuore.
Quando le persone si benedicono a vicenda, lo fanno spesso
tracciandosi reciprocamente la croce sulla fronte. In molte case è
ancora consuetudine incidere una croce nel pane che si inizia a
tagliare. Nella chiesa delle origini si tracciava il segno della croce
sugli utensili e tutti gli oggetti che rivestivano una certa importanza
per qualcuno. Nella liturgia la maniera consueta di benedire è fare il
segno di croce. Quando il sacerdote, al termine della messa,
amministra la benedizione solenne, traccia con le mani una croce
sulla comunità.
L’acqua santa diventa una sorgente
Nelle solennità liturgiche il sacerdote spesso benedice aspergendo le
persone o gli oggetti con l’acqua santa. Durante la celebrazione del
matrimonio benedice gli anelli degli sposi prima con le parole, poi
con il segno della croce e infine aspergendoli d’acqua santa. Che si
tratti della benedizione del vino durante la festa di san Giovanni, di
quella delle candele alla Candelora, o dei cibi pasquali la domenica
di Pasqua, essa viene sempre impartita con l’acqua santa. L’acqua
ricorda la creazione a opera di Dio. In principio lo spirito di Dio
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aleggiava sulle acque (cfr. Gen l,l). Gli oggetti che vengono aspersi
d’acqua dovrebbero riacquistare il loro significato originario. Dio li
ha creati buoni. Dovrebbero servire all’essere umano. Dovrebbero
acquistare anche per l’uomo il significato che Dio ha posto in essi. E
dovrebbero essere al sicuro dall’abuso da parte di noi uomini, a cui
piacerebbe dare loro un altro significato.
Il vino deve allietare il cuore dell’uomo, senza ubriacarlo. Nei cibi
pasquali dovremmo godere la vita invece di rimpinzarci. La fede
nuziale non deve imprigionare, ma unire all’altro nella fedeltà e
tenere insieme ciò che tende a separarsi. E l’acqua è collegata alla
fecondità. Tutte le cose che vengono asperse con acqua devono
portarci frutto.
Nella notte di Pasqua il sacerdote benedice l’acqua e percorre poi la
chiesa aspergendo d’acqua santa tutti coloro che partecipano alla
funzione. In passato era consuetudine aspergere il popolo con
l’acqua santa prima di ogni celebrazione eucaristica. Così facendo si
cantava l’Asperges me: «Purificami con issopo, Signore, e sarò mondato;
lavami, e sarò più bianco della neve». Si associava dunque questo rito
all’idea della purificazione. L’acqua purifica. E prima della messa le
persone avevano la sensazione di doversi purificare dalla
contaminazione di cui avevano fatto esperienza durante la
settimana: la contaminazione emotiva attraverso i sentimenti
negativi che si riversano su di loro dall’esterno, la contaminazione
attraverso il peccato e la colpa e l’intorbidamento attraverso le
immagini e le aspettative imposte loro dagli altri. Allo stesso tempo
l’acqua deve portarci a contatto con la sorgente interiore che
zampilla in noi. Deve rendere feconda la nostra vita e preservarci
dal prosciugarci e irrigidirci interiormente.
All’ingresso di ogni chiesa si trova un’acquasantiera. Molti, non
appena entrano in chiesa, bagnano le dita nell’acqua santa e si fanno
il segno della croce con essa. Ciò rammenta loro il battesimo, in cui
l’acqua lustrale è stata versata su di loro. Quando, ogni mattina alle
5.00, entro nella nostra chiesa abbaziale, prendo consapevolmente
l’acqua santa e traccio con essa la croce in tutti gli ambiti del mio
corpo e della mia anima. Così facendo prego Dio che durante questa
giornata la mia vita porti frutto. E allo stesso tempo lo prego di
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lavare via tutte le immagini che alterano la mia natura. Conosco
dentro di me immagini false con cui offusco il mio vero lo. Sono
fantasie di grandezza, come se fossi qualcosa di speciale. Sono le
immagini della persona di successo, del tipo spirituale, del saggio.
Sento che devo sbarazzarmi di tutte queste immagini per poter
vivere in maniera autentica. Entro in chiesa così come sono, con le
mie debolezze e i miei punti di forza, con il bene e anche con le
tentazioni a cui sono esposto e a cui non di rado cedo. E l’acqua
santa mi rammenta che sono battezzato, che ho guadato le acque
della morte, che non mi definisco più in base al mondo, bensì in
base a Cristo, che, per così dire, ho indossato Cristo come una veste.
Quando Gesù uscì dall’acqua del Giordano, sentì le parole di Dio:
«Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Mc 1,11).
Segnandomi con l’acqua santa mi sincero che sono accettato e amato
incondizionatamente.
Molti cristiani hanno un’acquasantiera anche sulla porta di casa.
Quando escono e quando tornano a casa bagnano le dita nell’acqua
santa. È un buon rituale della soglia. Una volta le persone avevano
ancora una particolare consapevolezza delle soglie. Varcare una
soglia significa entrare in un altro ambito, un ambito spesso ignoto o
pericoloso, oppure nell’ambito del sacro. In molte culture, la soglia
del tempio viene considerata sacra. Non può essere varcata senza
sottoporsi a determinati rituali di purificazione. Questo sapere
antichissimo si protrae nell’uso di mettere un’acquasantiera sulla
soglia di casa. Bagnandomi le dita nell’acqua santa quando esco di
casa, esprimo la speranza che il mio lavoro porti frutto e che possa
attingere alla sorgente interiore dello Spirito Santo in tutto ciò che
faccio. Allora non arriverò a casa esaurito. La sorgente interiore,
infatti, è inesauribile, perché è divina. Quando, rientrando in casa,
mi segno con l’acqua santa, mi lascio alle spalle tutta la sporcizia che
si è attaccata alle mie emozioni durante il giorno. Mi purifico da
tutte le seccature e le delusioni, per poter entrare in casa mia libero
interiormente e riconciliato con me stesso e con la mia vita. La casa è
un riflesso del tempio. Non è soltanto casa mia, bensì anche la casa
del Signore, la casa in cui Dio abita insieme a me. In questa casa
desidero entrare incontaminato da ciò che durante il giorno mi ha
oppresso e macchiato.
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Il rituale dell’acqua santa illustra ciò che in fondo si intende in ogni
rituale: il rituale chiude una porta e ne apre un’altra. La porta del
lavoro viene chiusa, affinché a casa non mi opprima più. E viene
aperta la porta di casa mia, affinché mi ci senta davvero a casa e
possa essere me stesso, affinché trovi la pace e la mia vera casa.
La parola crea una realtà
Nella tradizione cristiana la benedizione viene sempre associata a
una parola. Il termine greco (euloghein) e quello latino (benedicere)
per ‘benedire’ significano: dire qualcosa di buono, parlare bene
dell’altro, promettere qualcosa di buono. Le parole che associamo a
una benedizione, perciò, vanno scelte bene. Esistono molte formule
fisse per benedire. Sono adatte alle occasioni a cui sono destinate. E
spesso celano in sé una grande forza. È bene impartire la
benedizione con queste parole già formulate. Talvolta, però, per
benedire c’è anche bisogno di parole proprie, personali. Ciò vale
soprattutto quando benedico una persona in una situazione ben
precisa. La parola crea una relazione con l’altro. Nelle parole di
benedizione dico a quella determinata persona ciò che Dio vorrebbe
donarle, come la vede Dio e che cosa significa per lui. Benedire è
qualcosa di più della preghiera di intercessione. Benedire equivale a
una promessa: «Sei amato da Dio. Dio ti stima. Al suo cospetto sei
prezioso e di grande valore». In Isaia, Dio promette a Israele (e queste
parole valgono anche per ogni persona che benediciamo): «Perché tu
sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo, do uomini al
tuo posto e nazioni in cambio della tua vita» (Is 43,4).
La parola di benedizione fa bene all’anima. Deve soppiantare tutte
le parole offensive che abbiamo sentito nel corso della nostra vita.
Quando le parole della benedizione vengono scelte con cura, alla
persona benedetta non viene in mente che la benedizione sia
qualcosa di magico. Sente che nella benedizione Dio stesso si china
benevolmente su di lei, che il Signore tiene la sua mano buona sul
capo e le parla con parole d’amore, d’incoraggiamento, di
rinvigorimento, di speranza. Attraverso le parole la benedizione di
Dio può penetrare nel cuore dell’essere umano. Talvolta assisto al
fatto che le persone iniziano a piangere, perché le parole che rivolgo
loro le toccano. So che non dipende dalla mia capacità di
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formulazione. Quando una parola colpisce l’altra persona, è sempre
un dono. Non è mai merito mio. È sempre una grazia. E in quei casi
anch’io sono grato, perché in quell’attimo ho potuto essere del tutto
permeabile alla grazia di Dio e non l’ho oscurata con i miei secondi
fini.
Anche le parole di benedizione che pronunciamo sugli oggetti
vanno scelte bene. Alla liturgia sono note parole di benedizione
bellissime, come per esempio la benedizione dell’acqua lustrale
nella notte di Pasqua, che esprime l’importanza dell’acqua per gli
esseri umani. In un esperimento si è studiato come le parole
modifichino la struttura dei cristalli nell’acqua. Le parole negative
possono creare confusione, le parole benedicenti, buone, benevole e
amorevoli, invece, creano strutture meravigliose. Le parole di
benedizione agiscono, anche se lo comprendiamo solo a fatica, come
parole che possono modificare la materia. L’acqua benedetta, gli
oggetti benedetti fanno bene all’anima. Non è magia, bensì
espressione della fede nel Verbo di Dio, portatore di salvezza.
Le parole con cui benediciamo una candela, un crocifisso, una fede
nuziale, un’auto, una casa, devono far risplendere il senso celato
nelle singole cose. Nelle parole di benedizione si esprime il fatto che
Dio ha creato il mondo buono e ci dona cose buone. Nelle cose ci
dimostra il suo affetto, ci fa sperimentare il suo amore tenero e
premuroso. In una candela ci fa sentire che egli porta luce nella
nostra oscurità e calore nel nostro gelo. Nella fede nuziale ci
rimanda alla fedeltà con cui si è legato a noi. Nella casa ci promette
che potremo essere a casa presso di lui. Nell’incarnazione in Gesù
Cristo, Dio ha conferito a tutte le cose una nuova dignità. Gesù
stesso esprime a parole la sua natura. Dice di se stesso di essere la
vera vite. Quando contempliamo la vite con gli occhi della fede,
riconosciamo in essa la natura della nostra esistenza, così come si è
trasformata grazie a Gesù Cristo. Tutte le cose diventano per noi
immagine della salvezza che Dio ha dimostrato su di noi in Gesù.
Attraverso la mano sei toccato da Dio
Alla tradizione cristiana sono noti due gesti fondamentali di
benedizione: il segno di croce e l’imposizione delle mani. Entrambi i
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gesti vengono eseguiti con le mani. Da sempre la mano riveste
grande importanza per l’uomo. Con la mano agiamo, formiamo e
plasmiamo. Prendiamo in mano le cose e i nostri compiti. Con le
mani ci tocchiamo reciprocamente. Esprimiamo il nostro amore
accarezzandoci con affetto a vicenda. La nostra mano, però, può
anche ferire, quando ci avvinghiamo a un’altra persona, la
inchiodiamo a una certa immagine o le neghiamo la stretta di mano.
Quando benediciamo con la mano, è importante che siamo
interamente presenti nelle mani, che tocchiamo l’altro con
attenzione e rispetto, con tenerezza e con amore.
Quando Gesù benediceva singole persone, imponeva loro le mani.
L’imposizione delle mani è un gesto molto significativo. Attraverso
di esso comunico all’altro che Dio stesso tiene la sua mano su di lui,
che è protetto e al sicuro. Gli poso le mani sul capo. Per gli indiani il
cakra – o zona del corpo con una valenza energetica - della testa apre
l’essere umano all’ambito del divino. Nella benedizione lo Spirito di
Dio si riversa nell’altro. Da sempre le mani sono l’organo attraverso
il quale si trasmettono la forza e 1’amore di Dio a un’altra persona.
Per quanto mi riguarda, vedo l’imposizione delle mani come un
gesto personalissimo e molto intimo. Sento il calore dell’altra
persona. E talvolta intuisco che in quel momento qualcosa di
benefico si sta riversando nell’altro. Posso imporre le mani in
silenzio o associare il gesto alle parole. Ma anche quando dico
qualcosa, per me è importante lasciare per qualche attimo le mani
sul capo dell’altra persona solo in silenzio. Ciò che avviene dentro di
lei in fondo non si può esprimere a parole. È un mistero. Ha bisogno
di silenzio, affinché il Dio inconcepibile e impronunciabile in
persona agisca sull’altro.
Quando impongo le mani, mi preparo interiormente. Cerco di essere
interamente nel gesto e di abbandonare, così facendo, tutti i miei
bisogni personali e i miei secondi fini, per essere permeabile allo
Spirito santo e risanatore di Dio. Allora vedo il gesto come qualcosa
di sacro anche per me. In questo gesto faccio l’esperienza di me
stesso come canale, attraverso cui l’amore di Dio desidera scorrere
puro verso l’altro, senza essere inquinato dalle mie emozioni.
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Luca ci descrive un ulteriore modo di benedire di Gesù. Conclude il
suo vangelo con le parole:
«Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre
li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed essi, dopo
averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia» (Lc 24,50-52).
Il sacerdote ripete questo gesto benedicente di Gesù nella
benedizione solenne al termine dell’eucaristia. Esistono due gesti
diversi. Alzo le mani e mi immagino come la benedizione fluisca
attraverso di esse sulle persone. Questo gesto è antichissimo. Le sue
prime raffigurazioni risalgono a diecimila anni fa. È anche il gesto
con cui al mattino invio la benedizione alle persone che mi sono
care. L’altro gesto è 1’allargare le mani sugli altri. È come
nell’imposizione delle mani. Ora, però, le impongo per così dire a
tutte le persone lì .riunite e invoco la benedizione di Dio su di loro.
Luca descrive l’effetto di questa benedizione sui discepoli. Adorano
Gesù e tornano a Gerusalemme con grande gioia. Sperimentano la
benedizione come qualcosa di sacro, davanti a cui si prosternano. In
molte comunità ancora oggi è consuetudine inginocchiarsi al
momento della benedizione. È un gesto di timore reverenziale di
fronte a ciò che Dio opera in loro. E i discepoli tornano alla loro
quotidianità con grande gioia. La benedizione suscita in loro gioia,
la certezza che la loro vita ha un esito positivo e porta frutto, e la
fiducia che sono nelle mani buone di Dio, protetti e sostenuti da
esse.
Come la benedizione può segnare la vita quotidiana
Benedizione della mensa - assaporare Dio durante i pasti
In molte famiglie cristiane c’è ancora la consuetudine di pronunciare
la preghiera prima dei pasti. Questa preghiera è in fondo una
preghiera di benedizione. I cibi vengono benedetti. Una volta si
associava alla benedizione del cibo l’idea che gli influssi diabolici
venivano tenuti lontani dagli alimenti. Anche oggi molti hanno
paura di mangiare ciò che nuoce loro alla salute. La benedizione
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vuole liberarli da questa paura. Un confratello ha raccontato di
come in Africa gli venne offerto da mangiare qualcosa di
indefinibile. Il suo stomaco si ribellò. Ma se avesse rifiutato il cibo,
avrebbe offeso profondamente il padrone di casa. Così vi tracciò
sopra la croce. E il cibo gli fece bene. La benedizione esprime il fatto
che riceviamo i doni di Dio, che non ci nuoceranno, ma ci
rinvigoriranno.
La benedizione della mensa, tuttavia, significa qualcosa di più:
vuole esprimere che è Dio stesso a donarci il cibo e che negli
alimenti esprime la sua bontà e il suo amore per gli esseri umani.
Desidera che godiamo dei cibi e gustiamo in essi un po’ del suo
amore. Gli antichi parlano della dulcedo Dei, della dolcezza di Dio,
del suo sapore gradevole. Dio si fa assaporare. Ciò costituisce per gli
antichi un’esperienza significativa. Nei cibi assaporo un po’
dell’amore di Dio. E quest’ amore ha un sapore gradevole.
Nella benedizione della mensa lodiamo Dio per tutto ciò che ci
dona. E lo preghiamo che gli alimenti si trasformino per noi in
benedizione, che irrobustiscano la nostra salute e ci rendano capaci
di portare a termine i compiti della vita quotidiana. E preghiamo
che il Signore benedica chi siede a mensa con noi, così che sentiamo
che Dio stesso è in mezzo a noi come colui che ci tiene uniti. Per gli
antichi il sedersi a tavola con gli altri era qualcosa di sacro.
Condividere il pasto con un’altra persona significava accettarla in
tutto e per tutto. Nel pasto in comune le persone facevano
l’esperienza di fondersi con gli altri. Oggi, in molte famiglie, si è
smarrita la cultura dei pasti in comune. E la benedizione della
mensa è diventata per molti un punto di dibattito. Invece di
rinunciarvi, sarebbe opportuno discutere di nuove forme di
preghiera prima dei pasti.
Conosco una famiglia in cui ognuno, a turno, è responsabile del
benedicite per una settimana. li padre e la madre si sono comperati
un libro con diverse benedizioni della mensa. li figlio diciottenne
non ama le parole. Quando è lui a stabilire la benedizione della
mensa, osservano tutti insieme qualche minuto di silenzio. E i figli
più piccoli pronunciano una preghiera spontanea, quando sono loro
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i responsabili della benedizione della mensa. Così nasce il rispetto
reciproco e il senso del fatto che non è ovvio godere insieme dei
doni buoni di Dio.
Benedizione della casa come lo spazio in cui abiti diventa una
vera dimora
Negli ultimi tempi io e i miei confratelli veniamo pregati con sempre
maggiore frequenza di benedire delle case. Una giovane famiglia ha
costruito una casa. Prima di trasferirvisi desidera che un sacerdote
la benedica. Evidentemente ha il bisogno di celebrare un rituale
personale prima di occupare l’abitazione. La richiesta della
benedizione per gli spazi abitativi nasce dall’esperienza
antichissima che alcuni spazi sono colmi di benedizione. Ci sono
chiese in cui si può percepire fisicamente che sono colme di
benedizione. Viceversa, esistono anche case in cui non ci si sente a
proprio agio. Una famiglia mi ha raccontato di come avesse la
sensazione che nella propria casa qualcosa non andasse, che fosse
maledetta. La famiglia non era superstiziosa, ma piuttosto razionale.
Evidentemente ci sono spazi in cui si preferisce non abitare. La
benedizione deve rendere la casa abitabile, così che ci si dimora
volentieri, perché Dio stesso vi prende dimora insieme a noi.
Dopo il concilio Vaticano II la Commissione liturgica ha pubblicato
un proprio benedizionale, in cui sono previste varie benedizioni e
consacrazioni: benedizione di una casa, di una fabbrica, di uno
studio medico, di un ufficio, di una scuola materna, di una caserma
dei vigili del fuoco ecc. Con il suo benedizionale, la chiesa va
incontro al bisogno degli esseri umani di benedire gli spazi in cui
lavorano, affinché diventino una benedizione per le persone che vi
svolgono la loro attività e per coloro che vi si recano per trovarvi
aiuto e assistenza. Il benedizionale prevede per tutte le benedizioni
particolari passi biblici, preghiere di benedizione e di intercessione.
Sono un valido aiuto e uno spunto per tutte le celebrazioni di
benedizione.
lo inizio la benedizione di una casa o con le parole di Gesù sulla casa
costruita sulla roccia (Mt 7,24-28) o con il racconto di Zaccheo (Le
19,1-10). Poi interpreto il testo biblico e dico qualcosa sul significato
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della casa. Non ha soltanto bisogno di fondamenta esteriori, ma
anche di fondamenta interiori. L’abitazione è sempre anche una
metafora dell’edificio della propria esistenza. Non cadrà se è
costruita sulla roccia che in fondo è Cristo stesso. La casa diventa
una casa della salvezza, una casa in cui otteniamo salute e salvezza,
quando Cristo stesso vi entra e ci copre dei suoi doni divini. Poi mi
faccio condurre nelle singole stanze e spiegare dai bambini a che
cosa serve ogni camera e che cosa desiderano per essa. Alcuni
bambini sanno raccontare in modo molto personale da che cosa
vorrebbero essere protetti e che cosa desiderano che Dio doni loro.
Dopodichè recito una preghiera personale, che esprime il significato
della rispettiva stanza e formula auguri, affinché quella stanza doni
ai suoi abitanti ciò che promette: tranquillità in soggiorno, fecondità
nello studio, ristoro in cucina, purificazione e depurazione nel
bagno, relax e sogni d’oro in camera da letto.
Non ho !’impressione che la gente associ concezioni magiche alla
benedizione della casa. Desidera piuttosto vivere con
consapevolezza in spazi benedetti, affinché anche la sua vita e la sua
convivenza con gli altri siano benedette. Sente che non basta
costruire una casa soltanto esteriormente, se non viene colmata della
benedizione divina.
Benedizione dei fenomeni atmosferici - sole e pioggia sono nelle
mani di Dio
Nella tradizione cattolica, dalla festa dell’Invenzione della croce, il 3
maggio, fino a quella dell’Esaltazione della croce, il 14 settembre, al
termine della messa si recita la benedizione dei fenomeni
atmosferici. Con essa non esprimiamo il fatto di poter influenzare
come ci fa comodo il tempo annunciato dalle previsioni
meteorologiche. Riconosciamo piuttosto di dipendere dalla
benedizione di Dio affinché i frutti della terra prosperino e il nostro
lavoro riesca. Gli agricoltori hanno ancora una spiccata sensibilità
per il fatto che tutto dipende dalla benedizione di Dio. Possono
lavorare quanto vogliono, se il tempo non collabora tutto è inutile. E
il tempo non si può influenzare con mezzi tecnici. In questo punto
l’essere umano sperimenta ancora la propria impotenza. Negli
ultimi anni le catastrofi climatiche - un anno la grande alluvione,
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quello dopo la siccità - hanno fatto riflettere molte persone. Sentono
che le forze della natura possono diventare minacciose e che, anche
in questo, dipendiamo dalla benedizione di Dio. Ciò non significa
che non possiamo prendere delle misure in grado di impedire tali
catastrofi. Ma alla fine non possiamo influenzare né le piogge
continue, né il perdurare dell’afa.
Nella benedizione dei fenomeni atmosferici il sapere dei contadini
viene espresso in parole anche per gli altri fedeli: il nostro lavoro
dipende dalla benedizione di Dio. Tutto ciò che facciamo può essere
annientato da qualche evento che non è in nostro potere. Perciò
presentiamo noi stessi e i nostri sforzi a Dio, affinché egli benedica
ogni cosa. E nella benedizione dei fenomeni atmosferici il nostro
sguardo sulla creazione e la sua bellezza viene affinato. Dobbiamo
essere grati per la natura che ci circonda. In essa sperimentiamo la
premura di Dio per noi. E la fecondità, che proprio in primavera
vediamo fiorire ovunque, è un’immagine del fatto che anche la
nostra vita porta frutto.
La benedizione per chi viaggia - che cosa ti deve accompagnare
quando sei in viaggio
Ogni volta che un confratello intraprende un viaggio in un paese
lontano, recitiamo su di lui la benedizione per chi viaggia. Dopo la
preghiera dell’ora media o dopo compieta, il confratello esce dalla
cerchia dei frati e si inginocchia. sull’ultimo gradino dell’altare. Poi
cantiamo su di lui o il canto latino In viam pacis o alcuni versi del Sal
120, con l’antifona: «Il Signore veglierà su di te, quando esci e quando
entri, da ora e per sempre». Cantiamo rivolti al viaggiatore: «Non
lascerà vacillare il tuo piede, non si addormenterà il tuo custode. Il Signore
è il tuo custode, il Signore è come ombra che ti copre, e sta alla tua destra. Il
Signore ti proteggerà da ogni male, egli proteggerà la tua vita». Poi l’abate
pronuncia la benedizione sul confratello in procinto di partire.
Nella benedizione per chi viaggia diventa chiaro che non è ovvio
che arriviamo sani e salvi alla meta e torniamo a casa incolumi. Non
è solo la protezione durante il viaggio a contare, ma anche che ciò
che ci siamo proposti abbia buon esito. Ogni viaggio, del resto, non
ha soltanto una meta esteriore. Avviene per un compito da portare a
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termine o per una visita. E anche per questo abbiamo bisogno della
benedizione di Dio. Per il nostro convento la benedizione per chi
viaggia non è un’abitudine fastidiosa. Anzi, in essa avvertiamo un
unione interiore reciproca. Chi parte per portare a termine un
compito in un luogo lontano lo fa in comunione con noi. Lo
accompagnano i nostri buoni auguri, ma soprattutto la nostra
preghiera e la benedizione di Dio. Gli ospiti che assistono in chiesa
alla benedizione per chi viaggia spesso sono molto toccati. Chiedono
al padre che si occupa di loro che preghiera abbiamo recitato.
Sentono che, nella benedizione per chi viaggia, tra di noi avviene
qualcosa. Il confratello non parte e basta, ma si allontana con la
nostra benedizione, rimanendo così in collegamento con noi.
La benedizione dei campi - essere in collegamento con la terra e
con i frutti
Nei giorni che precedono l’Ascensione, la liturgia prevede la
benedizione dei campi. Iniziamo la messa conventuale uscendo per
prima cosa dalla chiesa e percorrendo il giardino della foresteria.
Nel frattempo cantiamo le litanie dei santi. In molti luoghi soprattutto in campagna - durante queste giornate si va in
processione attraverso i campi. Nelle litanie preghiamo Dio che
benedica i campi e prepari un buon raccolto. La benedizione dei
campi ha una tradizione molto antica. Già ai Romani era nota la
processione attraverso i campi il 25 marzo. La chiesa ha ripreso
questa tradizione pagana celebrando il 25 marzo la festa
dell’Annunciazione a Maria. La vera primavera inizia quando Dio
invia il suo Figlio nel mondo. La chiesa ha così strutturato in
maniera cristiana persino le processioni attraverso i campi. In tal
modo ha ripreso un desiderio antichissimo, quello che la nostra vita
porti frutto.
La benedizione dei campi ha radici pagane, ma non è un’azione
magica. In essa esprimiamo piuttosto che i nostri campi hanno
bisogno della benedizione di Dio per portare frutto. Non sono
soltanto i fenomeni atmosferici a poter costituire una minaccia per i
raccolti, ma anche molti flagelli, come quello di parassiti, di insetti e
piante nocive ecc. Nella benedizione dei campi percepiamo
consapevolmente la natura. La benedizione diventa concreta.
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Attraversiamo i campi. Ci guardiamo intorno. Annusiamo il
profumo diffuso dai campi. La spiritualità si fa terrena. La
benedizione diventa visibile. Camminando e meditando abbiamo
l’intuizione che tutto ciò che facciamo dipende dalla benedizione di
Dio.
La benedizione del mattino - iniziare la giornata benedetti
Per me è un buon modo di iniziare la giornata quello di alzare le
mani per benedire e far fluire la benedizione verso coloro che mi
hanno raccontato o scritto delle loro preoccupazioni. Per molti
genitori al mattino sarebbe confortante non pronunciare la
benedizione soltanto sulla propria giornata, ma anche sui propri
figli e nipoti. Allora possono confidare nel fatto che questi non
vanno da soli per il loro cammino, ma sono sotto la benedizione di
Dio, che i genitori hanno invocato su di loro.
Un missionario mi ha raccontato che ogni mattina alle 5.00 andava
in chiesa per pregare il breviario e meditare. Non appena apriva,
arrivava anche un anziano catechista, che si sedeva in chiesa, in
silenzio, per un’ora intera. Una volta gli chiese che cosa facesse.
L’altro gli spiegò: «Percorro tutto il villaggio, capanna per capanna.
Mi raffiguro le persone che ci abitano, penso a come stanno, di che
cosa soffrono, di che cosa hanno bisogno e a che cosa anelano. E poi
le benedico. Per farlo ho bisogno di un’ora intera». Quell’anziano
aveva il senso di che cosa significa la benedizione. E ha reso feconda
la sua vecchiaia. Non poteva più fare molto. Ma benediceva la gente
del suo villaggio. Senz’ altro per tutto il villaggio era una
benedizione.
La benedizione della sera - vai a dormire sotto la benedizione di
Dio
Concludiamo sempre compieta con la benedizione della sera.
L’abate dice: «Il Signore ci conceda una notte serena e un riposo
tranquillo». Poi cantiamo un’antifona mariana, la Salve Regina o
quella prevista per quel momento dell’anno liturgico. Dopo un
breve attimo di silenzio, l’abate asperge il convento e i fedeli di
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acqua santa. Una volta un ospite ha detto che gli ricordava il
momento in cui la madre accarezza ancora una
volta il bambino che è già a letto. La benedizione della sera esprime
che abbiamo bisogno della protezione di Dio anche durante la notte.
I sogni possono spaventarci. Attraverso di essi, però, Dio può anche
rinvigorirci interiormente e darci indicazioni per la nostra vita. Così
lo preghiamo che la nostra notte sia benedetta, che possiamo
dormire bene e riposare in pace. Oggi questo per molti non è più
così ovvio. Un numero sempre crescente di persone ha problemi di
insonnia. Non riposano in pace, ma si rigirano irrequiete di qua e di
là e vengono tormentate dalle paure. Anche la notte ha bisogno
della benedizione per diventare come Dio l’ha creata per noi: un
tempo di riposo, di sogno e di distensione.
Nella benedizione della sera ripresentiamo a Dio la nostra giornata.
Pur con tutti i conflitti e le delusioni affidiamo la giornata a Dio,
confidando nel fatto che è stata una giornata benedetta, che si
risolverà in benedizione per noi e per gli altri. E nella benedizione
della sera ci lasciamo cadere nelle mani benevole e affettuose di Dio.
Allo stesso tempo ci rammentiamo che la notte è una metafora della
morte. Non è ovvio che ci risveglieremo. Così la notte ci ammonisce
di affidarci con tutto ciò che esiste alle mani misericordiose di Dio e
di trovare pace in lui.
Zone di confine - benedizione o consacrazione?
Talvolta le persone non distinguono esattamente tra benedizione e
consacrazione. Si parla dell’inaugurazione di una casa o del fatto
che una campana viene consacrata. La consacrazione (consecratio)
significa in realtà che un oggetto (consacrazione dell’altare), una
persona (consacrazione dell’abate) o uno spazio (consacrazione della
chiesa) vengono sottratti all’uso consueto e scelti per un servizio
speciale davanti a Dio o per l’uso durante le funzioni liturgiche. Una
casa, perciò, viene sempre benedetta e non consacrata. Infatti non è
sottratta all’uso consueto da parte di una famiglia. Una chiesa
invece viene consacrata. È riservata esclusivamente alle funzioni
liturgiche. Viene sottratta all’accesso del mondo, affinché sia uno
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spazio sacro in cui l’essere umano raggiunge la quiete e fa
l’esperienza del sacro o del santo.
Riti di benedizione durante le feste e le stagioni
Nel corso dell’anno liturgico esiste una grande varietà di
benedizioni. Negli ultimi tempi, in molte zone, si è tornato a
praticarle volentieri. La gente sente che vive l’anno liturgico in
modo diverso se celebra attraverso un rituale personalizzato le
benedizioni una volta consuete.
Benedire la corona dell’Avvento
Per molti la corona dell’Avvento è soltanto una decorazione con cui
si arreda la casa nel periodo dell’Avvento. Ma ha perso il suo
significato più profondo. La benedizione deve dare voce al
significato della corona dell’Avvento per tutta la famiglia. Nella
corona dell’Avvento esprimiamo la nostra speranza che la nostra
vita abbia un esito positivo, che ciò che durante l’anno si è spezzato
torni intatto e completo. E nelle quattro candele, che accendiamo
ogni domenica di Avvento, la luce dell’incarnazione deve
risplendere in ogni ambito della nostra esistenza. Quando la corona
dell’Avvento viene benedetta, non è una semplice decorazione della
casa. Torna piuttosto a ricordare sempre alla famiglia che Dio stesso
entra in questa casa e che unisce ciò che tende a separarsi,
nell’individuo e nei rapporti con gli altri. I rametti verdi della
corona dell’Avvento rimandano alla vita eterna che Dio ci dona
nell’incarnazione del suo Figlio. Quanto è secco ritorna verde e vivo.
E la luce della corona dell’Avvento rischiara l’oscurità che talvolta si
annida nella nostra anima, riscaldando i cuori che si sono
raffreddati.
Gustare nel vino l’amore di san Giovanni
Sono cresciuto in una comunità la cui chiesa era consacrata a san
Giovanni evangelista. Il giorno della festa di san Giovanni
celebravamo una funzione particolare, in cui veniva benedetto il
vino di san Giovanni. Durante questa funzione persino a noi
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bambini era permesso bere il vino. Il parroco ce lo porgeva con le
parole: «Bevi l’amore di san Giovanni». Ciò mi ha sempre colpito
profondamente. Nella nostra abbazia il vino di san Giovanni viene
benedetto al termine della messa conventuale. Lo beviamo poi
durante il pranzo.
La benedizione del vino di san Giovanni vuole sensibilizzarci per il
significato di ogni vino.
Quando beviamo del vino con consapevolezza e attenzione, ciò
costituisce sempre un’esperienza
d’amore. Il vino allieta il cuore dell’uomo. Il vino rafforza l’amore.
Nel vino in fondo beviamo quell’amore che viene da Dio e non si
esaurisce mai. Ne abbiamo bisogno per entrare in contatto con la
sorgente interiore dell’amore in noi. E nel buon sapore del vino
assaporiamo la dolcezza (dulcedo) di Dio, di cui hanno parlato i
mistici. Dio vuole entrare dentro di noi come un vino dolce,
riempiendo le nostre emozioni e il nostro corpo di un sapore
gradevole.
Benedire la casa all’Epifania
Da piccoli eravamo sempre entusiasti della benedizione della casa il
giorno dell’Epifania. Infatti potevamo riempire la casa d’incenso.
Così, profondamente affascinati, prendevamo in prestito in chiesa il
turibolo, mettendo ci dentro sempre abbastanza incenso, così che il
buon profumo si potesse sentire proprio dappertutto. All’Epifania
non è il sacerdote a benedire la casa, bensì il padre o la madre,
insieme ai bambini. Noi ci divertivamo sempre moltissimo a passare
di stanza in stanza con il turibolo e ad aspergere ogni oggetto in casa
nostra d’acqua santa.
La consuetudine della benedizione delle case il giorno dell’Epifania
risale forse a un uso pagano durante le ‘dodici notti’ tra Natale e
l’Epifania. Per paura dei demoni si disinfestavano con il fumo la
casa e la stalla e si apponeva un’iscrizione sulla porta di casa,
affinché la sventura fosse bandita dall’abitazione. I cristiani hanno
cambiato il significato di questa consuetudine.
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Poiché la gloria di Dio si è manifestata visibilmente in Gesù Cristo
(Epifania), deve risplendere ovunque, anche nelle nostre case. La
benedizione deve mostrare all’essere umano, a cui spesso sembra di
essere privo di riparo, che Dio stesso dimora nella sua casa. Là, dove
abita Dio, anche l’essere umano può sentirsi a casa.
Il giorno dell’Epifania, nei paesi di lingua tedesca, sull’architrave
della porta si scrivono le tre lettere C+M+B seguite dalle cifre del
nuovo anno. Il popolo ha pensato che fossero le iniziali dei tre re
magi: Gaspare (Caspar), Melchiorre e Baldassarre. In realtà si tratta
della sigla della formula latina: «Christus mansionem benedicat, Cristo
benedica questa casa». Il segno della croce è come un sigillo che si
disegna sulla porta. Quando la porta è suggellata in casa non può
penetrare alcuna forza nociva.
Spostare lo sguardo sul corpo insieme a san Biagio
In molte zone la benedizione di san Biagio va riacquistando nuova
popolarità. San Biagio era un medico, che guarì persino degli
animali. Divenne famoso soprattutto grazie alla guarigione di un
giovinetto, che aveva ingoiato una lisca di pesce che gli impediva di
respirare. Così il giorno della sua festa, il 3 febbraio, dopo la messa
viene impartita la benedizione di san Biagio. Il sacerdote tiene due
candele accese incrociate vicino alla gola del fedele. E prega che Dio,
per intercessione di san Biagio, preservi le persone da tutto ciò che
può minacciare la gola. La gola, infatti, è una parte molto sensibile
del corpo umano. Talvolta la paura ci chiude la gola e non riusciamo
a parlare correttamente. Talvolta abbiamo un groppo in gola, o un
groppo di dolore, che ci impedisce di vivere, oppure abbiamo
buttato giù bocconi amari, così che soffochiamo interiormente a
causa loro. E molti si ammalano alla gola. La gola è la parte del
corpo umano più bisognosa di attenzione. Proprio lì abbiamo
bisogno del tepore della candela e della dedizione amorevole di Dio.
Quando la benedizione di san Biagio viene spiegata nel modo giusto
e impartita in maniera adeguata, colpisce profondamente le persone.
Sentono che è dedizione molto concreta per i loro bisogni da parte
di Dio. Non è così ovvio che siamo in buona salute. Così la
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benedizione di san Biagio non vale soltanto per i nostri disturbi di
gola, ma per tutto il corpo. li giorno della festa di san Biagio
preghiamo che Dio ci doni salute del corpo e dell’animo.
Contemplare la natura umana nelle Ceneri
Il mercoledì delle Ceneri, dopo la lettura del vangelo, vengono
benedette le ceneri, che poi vengono sparse sul capo dei presenti in
forma di croce. La cenere è segno di conversione. Deve ricordarci
che siamo polvere e polvere ritorneremo, come dice l’antica formula
pronunciata al momento della distribuzione. In passato la cenere
serviva anche a pulire. La cenere ci invita dunque a vivere
consapevolmente la Quaresima come un tempo di purificazione
interiore. Abbiamo bisogno di depurare ciò che si è insinuato nel
nostro cuore durante l’anno e ci ha sporcato interiormente.
All’inizio della Quaresima tengo un corso quaresimale. E lo
introduco sempre con una celebrazione eucaristica in cui
distribuisco le Ceneri a tutti i partecipanti. Sento quanto sia
importante per le persone ricevere un segno materiale che rammenti
loro la loro natura umana, che è passeggera e tornerà polvere, e che
le inviti alla conversione. Quando chiedo alle persone che hanno
ricevuto le Ceneri che effetto abbia avuto su di loro, non riescono
quasi a esprimerlo. Dicono soltanto che le ha profondamente colpite.
È evidente che le Ceneri benedette penetrano nel loro anelito
inconscio di ricominciare da capo e bruciare dentro di loro tutto ciò
che impedisce a esse di vivere. E costituisce per loro un segno
materiale che vogliono abbandonare strade che non le portano da
nessuna parte e che desiderano cambiare modo di pensare,
desiderano vedere le cose come sono realmente.
Portare con sé l’acqua di vita della notte di Pasqua
Nella notte di Pasqua il sacerdote benedice l’acqua in un grande
recipiente. Nella preghiera di benedizione esprime il significato
dell’acqua:
«Degnati di benedire quest’acqua, che hai creato perché dia fertilità alla
terra, freschezza e sollievo ai nostri corpi.
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Di questo dono della creazione hai fatto un segno della tua bontà:
attraverso l’acqua del Mar Rosso hai liberato il tuo popolo dalla schiavitù;
nel deserto hai fatto scaturire una sorgente per sazia re la sua sete; con
l’immagine dell’acqua viva i profeti hanno preannunziato la nuova alleanza
che tu intendevi offrire agli uomini; infine nell’acqua del Giordano,
santificata dal Cristo, hai inaugurato il sacramento della rinascita, che
segna l’inizio dell’umanità nuova libera dalla corruzione del peccato».
In queste immagini diventa chiaro quale sia il vero significato
dell’acqua. L’acqua possa purificare anche noi, affinché la nostra
immagine genuina e immacolata, che Dio si è fatto di noi, torni a
risplendere.
Dopo la benedizione dell’acqua, il sacerdote asperge tutti i fedeli
d’acqua benedetta. Il nostro abate percorre la chiesa con una grande
acquasantiera e asperge i presenti, così che si bagnino davvero.
Devono sentire che l’acqua purifica e rinfresca anche loro, che sono
persone benedette. E l’acqua deve rammentare loro il loro
battesimo. L’abate invita tutti a portare a casa un po’ di acqua
pasquale. E, dopo la celebrazione della notte, molti riempiono
d’acqua lustrale le bottiglie che si sono portati dietro. Portano a casa
un po’ della benedizione di Pasqua. La versano nella loro
acquasantiera a casa, che hanno prima pulito. Anche a casa l’acqua
rammenta loro che sono risorti con Cristo dalla tomba della loro
paura e della loro oscurità, che anche in loro fiorisce nuova vita.
Celebrare la vittoria della vita nel pranzo di Pasqua
Già a partire dai primi secoli del cristianesimo, il giorno di Pasqua
vengono benedetti i cibi. La benedizione che si sprigiona dalla
Pasqua deve essere vissuta anche a casa, nel pranzo comune. Tenere
mensa pieni di gioia è la maniera appropriata di reagire alla festa
della risurrezione. Nella risurrezione Dio ci ha donato la vita nuova
ed eterna, che non può più essere annientata dalla morte.
Mangiando insieme agli altri viviamo la pienezza della vita, che è
iniziata per noi nella risurrezione di Gesù. E nel pranzo di Pasqua a
casa nostra ci ricordiamo che il Risorto sedeva sempre a tavola con i
suoi discepoli, portando così luce e speranza nella loro vita. La
benedizione dei cibi pasquali non li rende qualcosa di
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completamente diverso. Ci ricorda però che ogni pasto in fondo è
un assaporare i doni buoni concessici da Dio, affinché ne godiamo e
ci rallegriamo della nostra vita. Assaporando i doni di Dio intuiamo
che la vita è più forte della morte.
Contemplare la creazione di Dio il giorno dell’Assunta
Il 15 agosto la chiesa celebra l’Assunzione in cielo di Maria con
anima e corpo. Maria è un’immagine del nostro futuro. Anche noi
nella morte veniamo accolti in cielo con anima e corpo. Certo, il
nostro corpo prima si decomporrà. Ma la festa vuole direi che tutto
ciò che abbiamo sperimentato sul nostro corpo - il nostro amore, la
nostra gioia, il nostro struggimento, il nostro dolore - nella morte
viene trasformato e salvato in Dio. Non arriverà a Dio soltanto
l’essenza della nostra anima, bensì tutta la nostra persona concreta.
Nella morte non usciremo fuori dall’amore di Dio, ma verremo
trasformati nella vera gloria che già adesso risplende nel nostro
corpo.
In questa solennità, già a partire dal X secolo, vengono benedetti i
mazzolini di erbe aromatiche che i fedeli portano in chiesa. La
solennità ci rammenta che Dio ha creato buona ogni cosa. La
creazione è il suo primo dono. Maria, la Madre, rappresenta sempre
anche la Madre Terra, da cui Dio fa germogliare non soltanto dei bei
fiori, ma anche erbe medicamentose e rinvigorenti. È una bella
consuetudine che le famiglie si mettano insieme alla ricerca di erbe
officinali e bei fiori e compongano insieme mazzolini di erbe
aromatiche. Li portano in chiesa e li riportano a casa benedetti. Ne
decorano l’abitazione, per esprimere che l’energia benefica di Dio è
più forte di tutto ciò che indebolisce la vita. La solennità
dell’Assunzione in cielo di Maria è improntata alla gioia.
Celebriamo il futuro che attende anche noi. Celebriamo la vittoria
della vita sulla morte. E celebriamo il nostro Dio come il Creatore
che ci dona bellezza e salute. Le erbe officinali portano la
benedizione del creato nelle nostre case, rammentandoci che siamo
persone benedette e siamo sempre e ovunque sotto la benedizione
del Signore. E la bellezza dei fiori ci rammenta anche la bellezza che
Dio ha donato al nostro corpo e che, nonostante la caducità di
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questa vita, non è vittima della morte, ma viene tramutata da Dio in
bellezza eterna.
Parole di benedizione per te
Da sempre la benedizione viene espressa attraverso determinate
formule e preghiere. Nell’ebraismo era popolare la cosiddetta
benedizione aronitica. Nella chiesa evangelica viene pronunciata
spesso al termine della liturgia. Dice:
«Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto
su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda
pace» (Nm 6,24-26).
In questa formula di benedizione diventa chiaro qualcosa che vale
per ogni benedizione. N ella benedizione Dio ci mostra il suo volto
benevolo. È il Dio materno che si china amorevolmente proprio su
di me. L’esperienza della benedizione è collegata all’esperienza di
base del bambino, che guarda il viso benevolo e amorevole della
madre che si china sulla culla. La vita del bambino riesce soltanto se
fa regolarmente l’esperienza di questa dedizione amorevole della
madre. Possiamo dire la stessa cosa della benedizione. La nostra vita
riesce soltanto se possiamo regolarmente fare quest’esperienza: Dio
mi mostra il suo volto benevolo. Sono tenuto in considerazione.
Sono preso sul serio. Sono amato. Nella benedizione incontriamo il
Dio materno.
Quando recito una benedizione personale su qualcuno, essa
dovrebbe dar voce a questa dedizione materna, a quest’ atmosfera
affettuosa di amore materno.
La benedizione è sempre dedizione personale. Guardo l’altro. Mi
immedesimo in lui attraverso la meditazione, per sentire di che cosa
abbia bisogno questa persona in particolare, quale sia il suo anelito
più profondo. La benedizione non dev’ essere una frase pia
qualsiasi, staccata da quella persona in particolare, bensì una
promessa e una dedizione personale, una riposta all’anelito più
profondo e ai veri bisogni di quella persona.
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Negli ultimi anni sono diventate molto popolari le formule di
benedizione irlandesi. Riflettono qualcosa di questa atmosfera
materna e affettuosa, a cui, in realtà, dovrebbe essere improntata
ogni benedizione. Si distinguono attraverso la loro ricchezza di
immagini. Danno voce alle esperienze degli uomini, alle loro
esperienze del vento e della pioggia, del sole e di campi rigogliosi.
Puoi farti ispirare dalle benedizioni irlandesi per crearne di tue.
Sarebbe più importante, però, che, formulando la preghiera, ti
fidassi dei tuoi sentimenti e pronunciassi le parole che ti sgorgano
dal cuore. Quando benedici una persona, immedesimati in lei: quali
sono i motivi delle sue azioni? Di che cosa ha bisogno? A che cosa
anela? Che cosa voglio promettere in nome di Dio a questa persona
in particolare? Molte persone conoscono quasi esclusivamente
preghiere di supplica. Quando devono affrontare un colloquio
pregano Dio che esso abbia esito positivo. È lecito che sia così. In fin
dei conti, infatti, pregano che Dio benedica il colloquio. Invece della
preghiera di supplica, però, puoi pronunciare tu stesso parole di
benedizione su una situazione concreta. Quando c’è un conflitto in
famiglia, nella tua ditta, nel gruppo, sovrapponigli una benedizione.
Essa ti aiuterà a vedere la situazione con occhi nuovi. E vedrai che
l’atmosfera non sarà più segnata soltanto da equivoci e tensioni, ma
dalla benedizione di Dio, che trasforma il clima intorno a te. Al
mattino puoi benedire la giornata di oggi. Pronuncia la benedizione
su tutto ciò che ti attende. Nella benedizione esprimi la tua fede che
la giornata che stai per iniziare è avvolta dalla benedizione di Dio.
Gli uffici, l’officina, il grande magazzino, il posto di lavoro, sono
tutti avvolti dalla benedizione di Dio. Non vai in un posto segnato
da emozioni negative, bensì in un posto su cui sta la benedizione di
Dio. Ti muovi sotto la benedizione di Dio. Lavori sotto la
benedizione di Dio. Incontri persone che sono piene della
benedizione di Dio.
Alla sera, ripercorrendo la giornata e i tuoi incontri, puoi tornare a
benedire ciò che è stato. Attraverso la benedizione tutto assume un
volto nuovo. E ti sentirai diverso rispetto alla giornata trascorsa,
pieno di gratitudine e di pace. E poi benedici anche la notte, affinché
diventi una benedizione per te. Durante la notte, infatti, accadono
cose essenziali per la nostra anima. I sogni possono turbarla o
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donarle nuova speranza. Possono colmare di luce il nostro cuore e
mostrarci la strada per andare avanti. Prega Dio che anche la tua
notte sia sotto la sua benedizione, e non soltanto la tua notte, bensì
anche quella di tutti coloro che oggi non riescono a dormire, che
piangono perché sono tristi e non sanno più che pesci pigliare.
Nel formulare la benedizione, fidati del tuo cuore. Le preghiere di
benedizione che vorrei donarti devono soltanto ispirarti a trovare
parole tue. Talvolta, però, può essere anche d’aiuto pronunciare
formule già esistenti. Proprio quando il cuore è inaridito e le labbra
hanno perso le parole, le preghiere che seguono vogliono aiutarti a
mettere la tua vita sotto la benedizione di Dio, a saperti benedetto e
a confidare nel fatto che tu stesso sei una benedizione per gli altri.
Al mattino
Dio buono e misericordioso, benedici questa giornata. Me l’hai donata
affinché io la viva come un tempo santo, un tempo in cui tu stesso mi sei
sempre vicino. Benedici tutto ciò a cui oggi metterò mano. Fa’ che il mio
lavoro riesca. Benedici i dialoghi che avrò. Benedici gli incontri, affinché
veda risplendere il tuo volto in ogni persona. Benedici le persone che mi
stanno a cuore. Non lasciarle sole sul loro cammino. Accompagnale e invia
i tuoi santi angeli affinché le custodiscano in tutti i loro passi e le
proteggano. Benedici questo giorno, affinché lo viva nella consapevolezza
della tua presenza di guarigione e d’amore. E benedicimi oggi, affinché
anche a me sia concesso di diventare una sorgente di benedizione per le
persone che oggi mi incontreranno. Amen.
A tavola
Buon Dio, ti ringraziamo per questo pasto che ci hai donato. Hai
apparecchiato riccamente la tavola di doni buoni, in cui ci è concesso di
sperimentare la tua bontà e benevolenza. Lasciaci godere con gioia di questi
doni. Benedici la nostra mensa, affinché sentiamo che sei in mezzo a noi
come Dio d’amore. Benedici i nostri discorsi, affinché ci avvicinino gli uni
agli altri e facciano sì che ci comprendiamo a vicenda. Ristoraci attraverso
questo pasto e donaci un giorno di partecipare al banchetto eterno, in cui
potremo sempre gustarti come pienezza di vita. Ti preghiamo, per Cristo,
nostro Signore. Amen.
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Alla sera
Signore, benedici questa notte, che diventi per me un tempo santo, un
tempo in cui tu stesso mi parli nel sonno. Benedici il mio sonno, affinché
possa riposarmi e alzarmi domattina con energia rinnovata, per portare a
termine ciò a cui mi hai chiamato. Benedicimi in questa notte, affinché sia
al sicuro e sorretto nelle tue mani buone. Preservami dalla malattia e dalla
morte. Invia i tuoi santi angeli affinché mi custodiscano nella pace. E
benedici anche tutti coloro che questa notte piangono perché sono tristi.
Benedici coloro che non riescono a dormire. E mostra loro che tieni la tua
mano buona su di loro. Benedica me e tutti coloro che mi sono cari il Dio
buono e misericordioso, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. Amen.
Per una persona cara
Quando benedici una persona, affidati alle parole che si formano da sole nel
tuo cuore. Se però ti riesce difficile formulare parole tue, forse ti può
ispirare questa preghiera:
Dio buono e misericordioso, benedici mia sorella (mio fratello, mio figlio, il
mio ragazzo, la mia ragazza, mio marito, mia moglie). Tieni le tue mani
protettrici su di lei e falle sentire ovunque la tua presenza di guarigione e
d’amore. Pervadila del tuo Santo Spirito. Fa’ che il tuo Spirito santo e
santificatore penetri in tutti gli abissi della sua anima. Guariscine le ferite.
Ridona vita a ciò che si è pietrificato in lei. Feconda in lei ciò che è
inaridito. Portala a contatto con la sorgente della benedizione che zampilla
in lei. E rendila così com’ è una benedizione per le persone che incontra.
Donale la fiducia nel fatto che tu benedici le sue vie. Accompagnala lungo il
suo cammino, affinché esso la conduca in una vitalità, in una libertà e in
un amore sempre maggiori. Amen.
Per te
Per finire, caro lettore, cara lettrice, vorrei rivolgere proprio a te la
mia benedizione personale:
Il Dio buono e misericordioso ti benedica. Ti avvolga della sua presenza
d’amore e di guarigione. Ti sia vicino quando ti alzi e quando ti corichi. Ti
sia vicino quando esci e quando entri. Ti sia vicino quando lavori. Faccia
riuscire il tuo lavoro. Ti sia vicino in ogni incontro e ti apra gli occhi per il
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mistero che risplende verso di te in ogni volto umano. Ti custodisca in tutti
i tuoi passi. Ti sorregga quando sei debole. Ti consoli quando ti senti solo.
Ti rialzi quando sei caduto. Ti ricolmi del suo amore, della sua bontà e
dolcezza e ti doni libertà interiore. Te lo conceda il buon Dio, il Padre e il
Figlio e lo Spirito Santo. Amen.
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