1887 Il giubileo sacerdotale del Santo Padre Leone XIII

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1887 Il giubileo sacerdotale del Santo Padre Leone XIII
PIETRO GIOCONDO SALVAJ
Per grazia di Dio e della Santa Sede
Vescovo di Alessandria
e Conte
Abbate dei SS. Pietro e Dalmazzo
Lettera Pastorale per la Quaresima
1887
Il Giubileo sacerdotale
del Santo Padre
Leone XIII
Al Venerabile clero e dilettissimo popolo della Città e Diocesi
Salute e Benedizione nel Signore
Venerabili Fratelli e Carissimi Figli
C
orreva il febbraio dell’anno 1878, ed il mondo cattolico, dopo aver pagato un
doveroso tributo di universale compianto al grande Pontefice Pio IX, morto il
giorno sette dello stesso mese, affrettava con trepida aspettazione ed
universali vivissime preghiere il momento in cui sarebbe piaciuto al
Signore di dare alla travagliata sua Chiesa un novello Pontefice, che la
compensasse della dolorosa perdita toccatale di quel grande, amorosissimo,
e veramente Pio Reggitore e Padre. Le preghiere ed i voti comuni venivano
ben presto appagati: e il giorno venti pure dello stesso mese, per mezzo
della celerità dell’elettrico, si annunziava al mondo tutto l’elezione del
Cardinale Gioachino Pecci in Sommo Pontefice della Chiesa universale col
nome di Leone XIII. Il modo, con cui, non ostante la nequizia dei tempi, si
è potuto tenere il conclave; la celerità dell’elezione, l’esultanza di tutti i
buoni pel dono impareggiabile di quel Pastore novello; il contegno stesso
dei meno favorevoli al Cattolicesimo ed al Romano Pontificato di fronte
alle rare doti di mente e di cuore che tutti erano ammirati di dover
riconoscere nell’Eletto; tutto concorse a far toccare con mano con quanta
sapienza Iddio provvegga al bene della sua Chiesa, a cui ha promesso
indefettibile assistenza fino alla consumazione dei secoli.
Dell’avvenimento di S. S. Leone XIII al Trono Pontificale io mi affrettava di
dare l’avventurata contezza a voi, VV. FF. e DD. FF., con mia lettera circolare dello
stesso giorno 20 febbraio, e, fattavi conoscere, il meglio che mi fu consentito,
l’ampiezza del benefizio da Dio concesso alla grande famiglia dei fedeli suoi figli
nella scelta da Lui fatta del Personaggio, che Egli costituiva per suo Vicario e nostro
Padre e Pastore; giovandomi poi della auspicatissima opportunità, che me ne
presentava il dovere di indirizzarvi la mia lettera Pastorale per la quaresima di
quell’anni, io vi intratteneva sul Primato del Romano Pontefice, dimostrandovi di
esso la natura, l’origine, l’autorità, le prerogative al tutto divine: derivando dalla
trattazione di tutto ciò i grandi doveri, che noi abbiamo verso Colui, che ne è
rivestito, se pur vogliamo essere in effetto, come fortunatamente ci proclamiamo a
parole, cristiani cattolici: ed esortandovi, come a riconoscere di quel Primato rivestito
il novello Pontefice, così ancora a compiere verso di Lui quei medesimi doveri.
Sono trascorsi ormai nove anni, miei VV. FF. e DD. FF. dacché il grande
Leone XIII, seduto sulla Sedia Pontificale, esercita in vantaggio della Chiesa l’arduo
suo Primato: e questi nove anni sono una luminosa dimostrazione che le speranze del
mondo Cattolico erano in Lui felicissimamente riposte, tante sono state
compiutamente appagate. La sapienza con cui governa la Chiesa, la costanza con cui
ne propugna la causa; la fermezza con cui ne tutela i diritti; la vigilanza, con cui ne
discopre i nemici; lo zelo con cui richiama gli erranti; la carità con cui accoglie i
ravveduti; la paterna sollecitudine con cui provvede al bene dei figli suoi, e addita
loro i mezzi più poderosi da conseguire l’eterna salute, a cui sono destinati; tutto ci
svela la gran mente ed il gran cuore di Leone XIII e deve alimentare in noi ognor più
vivi i sentimenti della massima riconoscenza al misericordiosissimo Iddio che ce lo
ha dato, e farci continuare nelle più fervorose preghiere per impetrare la
conservazione del preziosissimo dono.
A compire questi importantissimi doveri ci porge opportunità sovra ogni altra
auspicatissima l’anno, che ora ora abbiamo incominciato, e che chiuderemo, a Dio
piacendo, colla celebrazione del Giubileo Sacerdotale del S. Padre. È tale
avvenimento questo, che appena fu segnalato all’attenzione del mondo Cattolico,
elettrizzò di santa letizia i Cattolici sparsi su tutta quanta la faccia della terra, e li
accese di nobile gara di festeggiarlo con ogni maniera di ossequii al S. Padre, che ne
è l’oggetto, e con moltiplicare le preghiere a Dio per attirare sull’augusto e venerando
suo Capo ognor maggiore abbondanza delle più elette benedizioni.
Di questo avvenimento intendo di intrattenermi con Voi, VV. FF. e DD. FF.,
nell’indirizzarvi la consueta mia Lettera Pastorale per l’imminente Quaresima; e farò
di mettervi sott’occhio alcuni de’ principali motivi, che abbiamo di solennemente
celebrarlo, nella dolce fiducia che tutti ne trarrete vigoroso conforto a raddoppiare di
fervore e zelo nell’associarvi alla universalità della famiglia Cattolica nell’onorare
Colui, che fu posto da Dio a governarla.
La sola nostra qualità di Cattolici dovrebbe bastare tutto da sé a provarci che,
trattandosi d’onorare il Papa, vi ci dobbiamo prestare con tutto l’assenso della nostra
mente, con tutto l’ardore di cui è capace il nostro cuore. Infatti chi è il Papa? Per
darvi un’adeguata risposta a questa domanda mi giova richiamarvi a mente per
sommi capi quanto vi ho diffusamente e di proposito trattato in occasione, come già
ho accennato fin dal principio di questa mia lettera, all’elezione del S. P. Leone XIII,
riguardo al primato del Romano Pontefice.
Chi è dunque il Papa? Egli è il Vicario di Gesù Cristo, e quindi è Colui, al
quale fu dato, nella persona di S. Pietro, di cui è legittimo successore, tutta l’autorità
di pascere, reggere, governare la S. Chiesa di Dio.
Egli è il Maestro universale dei credenti, a cui da ogni parte del mondo
Cattolico si ricorre per avere gli insegnamenti di eterna vita: Petre, doce nos. Ed in
questa sua qualità di Maestro universale, egli è dotato della prerogativa
dell’infallibilità per tutto ciò che spetta ad dogma ed alla morale cattolica; e quindi
per tutto ciò che dobbiamo credere ed operare.
Egli è la pietra fondamentale, su cui è innalzato il meraviglioso edifizio della
Chiesa di Dio, e contro la quale possono cozzare bensì, e cozzano in effetto ai dì
nostri con rabbia furibonda più accanitamente, che forse mai nei tempi passati, le
potenze dell’inferno, senza che mai però possano giungere a demolirla.
Egli è il nocchiero, a cui è affidato il timone della mistica nave di Pietro,
perché tra l’urto delle onde, suscitate dall’empia bufera, possano arrivare sicuri in
porto i fortunati, che si accolgono dentro di essa.
Egli è il Pastore della greggia di Cristo, al quale Cristo stesso di sua bocca,
sempre nella persona del Beato Pietro, diede la podestà e l’incarico di pascere le
pecore e gli agnelli, vale a dire le madri ed i figli, i fedeli cioè, e gli altri pastori,
Vescovi e Sacerdoti, che per suo mandato, ed in nome suo attendono alla custodia
delle tante porzioni della greggia universale, che viene così a formare un solo ovile
sotto un solo Pastore.
Ed è il Padre della famiglia cattolica, che appunto Padre lo chiama, e
Santissimo Padre, e Beatissimo Padre, per ricordar a tutti i suoi membri che a Lui
devono essere e mantenersi stretti con quei medesimi vincoli, che tengono stretta al
padre una famiglia di rispettosi, ubbidienti, affezionati figliuoli.
Ecco chi è il Papa. E noi, che pel battesimo siamo stati fatti, a nostra
segnalatissima ventura, figli di questa Chiesa, membri di questa famiglia, e quindi
posti da Dio sotto la disciplina di questo infallibile Maestro, accolti nella mistica sua
navicella, aggregati al fortunato suo Ovile, come non potremo e non dovremo sentire
i forti vincoli, che ci stringono al Papa per questa sovrana ragione, che siamo, che
vogliamo, che ci gloriamo di essere Cattolici? Come non potremo, non dovremo
afferrare ogni opportunità da addimostrare quanto siamo di mente e di cuore uniti con
Lui? Come non potremo, non dovremo afferrare la sommamente propizia del
Giubileo Sacerdotale di Leone XIII per onorare nella sua Persona le qualità, le
prerogative del Papa, ed attestargli l’ossequiosa riconoscenza dei devoti nostri cuori
per gli inestimabili benefizi, che ne risultano a nostro bene?
E lo dobbiamo eziandio come italiani, ossia come figli di questa Patria, della
quale, vogliasi o non si voglia, il Papa è la prima e la più fulgida gloria. Il bollore
delle politiche passioni, le turbolenze suscitate da sette avverse al cattolicismo, e
quindi intese con tutta la rabbia di un odio satanico a distruggere, se mai tornasse loro
possibile, l’Opera di Dio, può bensì, massime ai dì nostri, annebbiare, come pur
troppo avviene, certi intelletti, che vedono, o dicono di vedere, nel Papa un nemico
della Società, un ostacolo alla grandezza e prosperità della Patria: ma come all’esame
spassionato della storia del secoli passati non si può non riconoscere che la grandezza
e la prosperità dell’Italia andò sempre di pari passo con la grandezza e prosperità del
Papato, così, e si riconosce già di presente, e si proclamerà, tardi o tosto, anche in
avvenire, che le ostilità col Papato non possono giovare, e non giovano in effetto al
bene sociale d’Italia.. Da buoni italiani dobbiamo volere la salvezza della patria
nostra, che va precipitosamente incontro ad un burrascoso e forse, che Dio non
voglia, rovinoso avvenire: il Papa è sempre stato la salvezza della civile società: il
Papa, anche ai dì nostri, ha mostrato ad evidenza quanto sia feconda di bene sociale la
sua divina missione: l’Italia, se vuole salvezza, deve gettarsi tra le braccia del Papa,
protestare di voler essere, e dimostrarsi in effetto, la figlia primogenita del Papa. Oh
quanto cade propizia l’occasione del Giubileo Sacerdotale del S. P. Leone XIII,
perché l’Italia possa presentare al mondo questo nobile, questo grande, questo
sospiratissimo spettacolo di sua filiale pienissima unione col Papa!
Ma noi, che oltre all’essere cattolici ed italiani, siamo ancora Alessandrini,
abbiamo un’altra ragione di esultare e di celebrare la festa del Papa. La Città nostra,
collo stesso suo nome, ricorda un’epoca memoranda, riconosciuta per la più gloriosa
nella storia d’Italia in grazia appunto della sua unione col Papa. La Città nostra, col
solo suo nome, basta a smentire la calunniosa asserzione, che religione e patria non
possano andare di conserva: che non si possa amar l’una, senza rendersi nemico
dell’altra: e la Lega Lombarda, iniziatasi sotto gli auspici di Alessandro III, da lui
benedetta, da lui confortata, da lui incoraggiata, a combattere il superbo Barbarossa,
che orgoglioso della sua potenza dovette però cadere a Legnano, cedere, venire a patti
coi vincitori, forti della benedizione del Pontefice in nome di Dio; questa Lega
Lombarda, di cui è monumento la Città nostra, sta a provare come la religione non
contrasta per nulla il nobile sentimento di patrio affetto, e quanto questo nobile
sentimento sia capace disperare di generoso, di grande, di magnanimo quando dalla
religione è diretto e santificato.
Noi, adunque, nell’onorare il Papa, nel mantenerci a Lui stretti ed obbedienti
non facciamo altro che secondare le tradizioni della nostra illustre Città, rimontare
alle gloriose sue origini, e adoperarci a far rivivere in noi, e vigoreggiare sempre più
lo spirito dei nostri Maggiori. In Leone XIII veneriamo il successore del III
Alessandro: veneriamolo concordi; e il Giubileo Sacerdotale dell’ammirando ed
ammirato Pontefice ci presti i mezzi da addimostrare la nostra riconoscenza al Papa
dei benefici compartiti alla nostra Città.
Che se noi abbiamo, come ben dovete riconoscere, VV. FF. e DD. FF., così
poderose ragioni di celebrare il faustissimo avvenimento perché appunto si tratta del
Papa; oh come queste ragioni medesime diventano anche più poderose ed incalzanti
al riflesso, che questo Papa è Leone XIII! L’Uomo della Provvidenza in questi
difficilissimi tempi di tanta guerra alla Chiesa, di tanto scompiglio per la civile
società. Oh quante obbligazioni abbiamo verso di Lui per quanto fa, e più ancora per
quanto soffre in nostro vantaggio!
Quanto sa e quanto può, tutto Egli consacra per bene della Chiesa, e quindi per
bene nostro. L’elevatezza della sua mente, la profondità della sua dottrina, l’energia
della suo spirito, la vigoria delle fisiche sue forze, Egli adopera a questo fine. A
questo fine si sottopose, già avanzato negli anni, al peso del Pontificato: sacrificò le
abitudini della sua vita, e fin anco la sua libertà personale: pur di potere corrispondere
all’altezza ed all’arduità del mandato avuto da Dio, quando Egli pose sopra di Lui la
sua mano, e lo costituì suo Vicario e rappresentante sopra la terra.
Diamo, o VV. FF. e DD. FF., un rapido sguardo ai nove anni del Pontificato di
Leone XIII, e non tarderemo a riconoscerli pieni di precarissime operazioni, e tali da
doverci far riconoscere fin d’ora, ed annoverare questo Pontificato fra i più gloriosi,
che vanti la Chiesa.
Leone XIII, appena assunto al trono Pontificale, volse lo sguardo attorno a
contemplare lo sconvolgimento religioso, morale e civile del mondo; e come se il
Signore gli dicesse: Ecce dedi verba mea in ore tuo: Ecce ego constitui te hodie
super gentes et super regna, ut evellas, et destruas, et disperdas, et dissipes, et
aedifices, et plantes (Ger 1, 9): Egli pose mano a compiere la sua divina Missione: e
Neemia novello, mentre con una mano lavora con ammirabile costanza alla
riedificazione della casa del Signore, coll’altra maneggia la spada alla difesa
dell’opera santa, a cui si consacra.
Le ammirabili sue encicliche provano con quanta avvedutezza e sapienza egli
proceda nell’opera sua di demolizione e di riedificazione; di demolizione dell’opera
di Satana, di riedificazione della casa del Signore.
Fin dalla prima volta, che Egli indirizzò la sua sovrana ed inspirata parola al
mondo tuttavia ammirato e giubilante per l’elezione di Lui, Egli, dopo di avere
accennato ai mali onde gli toccava di vedere travagliata non meno la Chiesa che la
stessa civile società, ne additò come rimedio il ritorno tra le braccia di questa Madre,
che nulla ha più a cuore che di procurare il bene dei figli suoi. – Poi, procedendo di
passo in passo, dettò le norme su cui deve reggersi la civile società perché possa
compiere la sua missione di ben governare e rendere felici i popoli. – Bandì la divina
origine della sovranità dei principi, ne segnò i limiti, ne tracciò i doveri: e disse ai
popoli la parola del rispetto, dell’obbedienza, della sudditanza verso dei governanti. –
Proclamò la Santità del matrimoniale connubio, rivendicandolo a Cristo ed alla sua
Chiesa, e condannando coloro che lo vorrebbero sconsacrare, e, scalzatolo nella sua
base di indissolubile unione, vorrebbero ridurlo ad un semplice contratto umano,
soggetto a tutte le conseguenze della umana volubilità. – Mirò l’opera demolitrice di
ogni ordine religioso e sociale, a cui attende, con ardore e zelo degno di migliore
causa, la setta massonica, e ne svelò le mene, gli inganni, le perfide arti della
corruzione e di pervertimento intellettuale e morale per rendersi più agevole la via
all’abbattimento del trono dei Re e della Croce del Salvatore: e dopo d’aver rinnovato
contro la sette le condanne statele inflitte in ogni tempo dai Romani Pontefici, protese
le braccia per accogliere i traviati, che svincolatisi dal disonesto e malaugurato
amplesso di essa, avessero fatto ritorno ai principii del buono e dell’onesto secondo i
dettati della Santa Religione di Cristo. – A dissipare le tenebre degli errori, che le
scuole moderne senza Dio ed una scienza fatua, perché atea e superba, hanno
addensate ad ottenebrare il mondo intellettuale, Egli fece risplendere il bel sole
Aquinate; indicando nelle meravigliose e sovrumane opere di S. Tommaso i fonti
della vera sapienza, e proclamando l’angelico Dottore patrono delle cattoliche scuole.
– A ripurgare i costumi depravati e corrotti per la superbia della vita, per la cupidità
degli averi, per il lezzo delle animalesche passioni, egli propose il poverello d’Assisi,
umile, mortificato, penitente, al cospetto del popolo cristiano, e lo invitò ad
abbracciare il sacro Terz’Ordine Francescano, che fu già fin dalle sue origini
miracoloso strumento nelle mani di Dio per la riforma dei popoli, e produrrà, lo
speriamo, anche ai dì nostri mirabili effetti. – A ravvivare in tutti lo spirito della fede
e della pietà, pose in mano ai fedeli il Rosario della Vergine Benedetta, affidando alla
recita quotidiana di esso la salvezza della Chiesa e della Società tutta quanta.
A rendere più agevole la conversione dei peccatori e muovere più largamente
in loro favore la misericordia di Dio dischiuse replicate volte i tesori della Chiesa
accordando Giubilei universali, dei quali l’ultimo abbiamo celebrato con tanto ardore,
e, giova sperarlo, con ubertosissimi e durevoli frutti nell’anno terminato testè. – A
confortarci nell’arduità del cammino che dobbiamo percorrere per conseguire l’eterna
salute Egli ci additò l’esempio dei Santi, a molti dei quali decretò i primi onori della
beatificazione, ad altri decretò gli atti supremi di culto, coi quali la Chiesa li suole
glorificare.
Procurò la dilatazione del regno di Dio raccomandando in modo speciale alla
carità dei fedeli le opere, che intendono a questo nobilissimo fine, cioè la
Propagazione della fede, la Santa Infanzia, e le Scuole Cattoliche in Oriente. Ristabilì
la Gerarchia Cattolica presso nazioni, nelle quali era scomparsa; eresse nuovi Sedi
Vescovili, moltiplicò i Vicariati Apostolici. Studiò ogni modo da rendere come
rispettata la sua autorità, così tutelata la libertà dei Cattolici sin presso le nazioni
infedeli: e, come abbiamo veduto due Potenze nemiche, in procinto ormai di scendere
tra loro ad un fatale conflitto, venire invece a patti, ed arrendersi alle condizioni della
mediazione di Lui a grande loro ventura da esse medesime invocata: così abbiamo
veduto prestarsi omaggio a Leone XIII dagli Imperatori medesimi della Cina, del
Giappone, e di questi giorni ancora dal Sultano di Costantinopoli: il che non può non
tornare come a vantaggio della Religione e dei fedeli, che la professano in quelle
nazioni, così ancora a gloria di Leone XIII, che ha il merito e il vanto di aver potuto
ottenere tutto ciò.
Qual meraviglia pertanto se un Papa così sapiente, così vigilante, così operoso,
così provvido, così benemerito, riscuota il plauso, la venerazione, l’amore del mondo
cattolico, il quale si appresta di dare al grande Pontefice le prove più luminose di
questi sentimenti e di questi affetti colla celebrazione il più che possa venir fatto
solenne del suo Giubileo Sacerdotale? Qual meraviglia, che all’appello emessosi per
questo festeggiamento dall’Italia nostra si risponda da ogni contrada d’Europa, dalle
regioni infuocate dell’Africa, dalle spiagge più remote dell’Asia, dai lidi più lontani
delle due Americhe, e delle Isole disperse dell’Oceania? Qual meraviglia che
ovunque vi abbia un pugno di cattolici ivi si gareggi in ardore per onorare il S. Padre,
ferva il lavoro per preparargli dei doni, onde testimoniargli colla vivezza della fede i
sentimenti più affettuosi dei cuori? Meraviglia sarebbe, e disdoro per noi, se in questo
universale concerto di lodi avesse a mancare la nostra voce: se ci rimanessimo freddi
spettatori dello zelo altrui; semplici ammiratori di quanto altri, più di noi fervorosi,
riuscissero a compiere colla parola e coll’opera in onore del S. Padre.
Che se le addotte ragioni sono già di per se stesse così forti e gagliarde a darci
ansa, a stimolarci, a spingerci ad onorare in ogni possibile guisa il S. Padre, altre ne
abbiamo esse pure tutte capaci di farci vedere e toccar con mano quanto sia doveroso
per noi di abbondare di dimostrazioni d’affetto e di riverenza verso Leone XIII, a
titolo cioè di riparazione della calunnie, colle quali si cerca di porlo in diffidenza
presso dei popoli, degli oltraggi, coi quali si insulta la sua dignità, delle bestemmie,
che si vomitano contro la sua Persona, della prigionia, morale sì, ma non per questo
meno penosa, alla quale è costretto di soggiacere per tutelare, in questo modo
almeno, l’indipendenza delle pontificie sue disposizioni.
Quell’anima generosa e grande non può a meno di sentire profondamente nel
suo cuore un dolore acutissimo di tutto ciò, non tanto pel calice amarissimo, che gli
tocca di bere a sorso a sorso fino alla feccia, quanto pel danno morale, che non può
non derivare a troppi suoi figli, pel pervertimento, che si desta nelle loro idee, per la
corruzione, che infetta i loro costumi, per la depravazione delle coscienze, per ci si
scambiano troppo spesso i termini contrarii affatto tra loro di bene e di male, di virtù
e di vizio, di vero e di falso. Sarà quindi di singolare conforto per Lui vedere che,
assai più dei corrotti od illusi, siano tuttavia numerosi i veri Cattolici e fedeli suoi
figli, che generosamente si dimostrano tali, e lo acclamano, lo festeggiano, lo
benedicono al compirsi il cinquantesimo anniversario del dì, in cui fu consacrato
Sacerdote, e ringraziano il Signore di aver posto così in capo all’Augusto Pontefice il
diadema di una veneranda vecchiaia.
Prepariamoci adunque noi pure, VV. FF. e DD. FF. alla solennità di tal giorno,
sospiriamo che esso arrivi, affrettiamolo coi voti più ardenti del nostro cuore.
È ben vero, che il vento, che spira, minaccia al mondo civile qualche fiera
burrasca. Ma noi preghiamo il Signore, a cui i venti ed il mare sono sempre
ubbidienti, a comandare che si faccia tranquillità grande e perfetta, affinché il
giubileo del S. Padre si possa celebrare tra la pace, la gioia, l’esultanza del mondo
tutto: e quando arriverà il 31 dicembre apportatore del faustissimo avvenimento, nel
celebrarlo che faremo con tutto lo slancio dei cattolici nostri cuori, ringrazieremo
Iddio di questo nuovo favore, di aver cioè coronate le nostre speranze per l’anno
presente con una serie infinita di grazie spirituali e temporali, quante le moltiplicate
preghiere pel S. Padre, unite a quelle che il S. Padre innalza continuamente, avranno
attirato a conforto e salvezza della religiosa e civile società.
Affido pertanto allo zelo e alla pietà de’ miei carissimi Cooperatori di studiare
ogni modo da realizzare le proposte, che io stesso con mia lettera circolare del 26
agosto del passato anno ho loro fatte, e di secondare gli inviti già fattisi e che si
faranno tuttavia dai Comitati Diocesani costituitisi a questo fine; e raccomando a
tutto il mio Venerabile Clero di precedere, di aiutare, di compiere l’opera dei laici,
che volenterosi si prestano per ottenere, che anche la Diocesi nostra concorra
degnamente alla pubblica e solenne manifestazione di fede, di venerazione, di amore
da tributarsi al Vicario di Gesù Cristo, al capo Augusto della Religione, che
professiamo, al sapientissimo, provvidissimo, benemeritissimo S. P. Leone XIII.
Come non dubito punto, che il mio Venerabile Clero, in specie i carissimi
Parrochi, ed i Membri dei varii Comitati gareggeranno nobilmente tra loro in
promuovere questa dimostrazione di Cattolica Fede, e procurare che essa abbia a
riuscire non meno splendida che universale; così confido, che non solo le persone più
o meno facoltose saranno sollecite di concorrervi con generose oblazioni; ma
eziandio i più poveri, pensando che in ciò si bada, non tanto alla larghezza della
mano, quanto all’affetto del cuore.
Siccome sarà difficile che possano condursi a raccogliere le offerte di tutte le
famiglie meno agiate e disperse in vaste campagne Collettori e Collettrici dei
Comitati; e per altra è necessario che tutti, anche i più poveri, abbiano ogni
agevolezza di deporre il proprio obolo, fosse pur solamente di pochi centesimi, pel
Santo Padre; invito perciò i signori Parrochi e fare in quest’anno una volta al mese,
previa analoga raccomandazione, una colletta in Chiesa a questo fine.
Ma ciò che soprattutto mi sta a cuore, e che è in mano di ciascheduno di poter
fare, si è che ci uniamo in una santa Lega di preghiere per l’amatissimo Gerarca,
perché Iddio ce lo conservi lunghi anni ancora al bene della Chiesa e della società.
Oh sì, VV. FF. e DD. FF., moltiplichiamo a questo santissimo fine le nostre più
fervorose preghiere: e tutti, di un cuor solo e di un’anima sola, supplichiamo Iddio
che moltiplichino sul venerando capo del Santo Padre ogni aumento di grazia, e gli
adorni le tempia di sempre più illustri corone. Rinnovelli, siccome di aquila, la
giovinezza di Lui: pari all’energia del volere, all’operosità dello spirito, siano ognora
le forze del corpo suo estenuato da tante fatiche. Vengano a consolare il magnanimo
suo Cuore i frutti preziosi del suo travagliatissimo apostolato. Possa la mistica sua
nave approdare a nuove spiagge; vegga gettarsi in essa, a cercare scampo fra le
tempeste, nuove genti guadagnate alla Croce del Salvatore.
Popoli e principi incurvino dinanzi a lui le loro fronti: gridino, fra lo
scompiglio generale del mondo, il Domine, salva nos, perimus: sentano la sua voce,
abbraccino i suoi insegnamenti, e si comportino giusta i dettami della divina legge, di
cui ègli è maestro.
Insomma vegga il nostro S. Padre rispettato, riverito, assecondato il suo
magistero divino; e per esso dilatato, fiorente il regno di Dio sopra la terra a gran
ventura degli individui, delle famiglie, della società tutta quanta.
Concorriamo però, ciascuno nella nostra sfera e secondo le nostre forze, al
conseguimento di sì gran fine, che tocca, come ognun vede, i più sacri interessi di
tutti. E questi saranno sempre i più tutelati, benedetti, prosperati da Dio, a giusto
compenso di quanto avremo fatto in suo onore nella persona del suo Vicario.
È corsa già per la Città, e si va diffondendo pur nella Diocesi, la notizia, che
oltre al Giubileo del S. Padre ricorre altresì in quest’anno, e quasi nei medesimi
giorni, il Giubileo Sacerdotale del Vostro Vescovo; ed ho non senza commozione
inteso essere nato in Voi, Venerabili Confratelli e Dilettissimi Figli, il desiderio ed il
proposito di celebrare altresì questo avvenimento. Per quanto mi rincresca di dovervi
intrattenere di cosa, che personalmente mi riguarda, non posso però contenermi
dall’esprimervi i sentimenti della massima riconoscenza suscitatisi in me pel tratto di
bontà, che vi anima verso del vostro Vescovo, il quale tutti vi ama, tutti vi porta nel
cuore, di tutti desidera ogni vero bene, e tutti vi raccomanda quotidianamente al
Signore nelle sue preghiere.
Certo, se vi ha cosa, che grandemente mi consoli, si è il vedere che si intenda
di unire in un solo pensiero il Vescovo ed il Papa: di onorare il Papa nella persona del
Vescovo, che lo rappresenta in mezzo a voi, ed attende in suo nome ed in vostro bene
al vostro spirituale governo. La Santa Lega di preghiere pel S. Padre e pel vostro
Vescovo, che vi è stata proposta, e si è appunto di questi giorni iniziata appiè della
taumaturga Effigie della nostra principale Patrona Maria SS. della Salve, è stata da
me di gran cuore, ve lo confesso, approvata e benedetta: e come io mi reco a sacro e
graditissimo dovere di unirmi con voi a supplicare Iddio, interponendo l’intercessione
di Maria SS., di S. Giuseppe, dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo e di tutti i Santi, per la
conservazione, l’incolumità, la prosperità del S. Padre a nostro conforto e pel bene di
tutta la Chiesa, così io ripongo ogni maggiore fiducia nelle preghiere, che farete
altresì per me, perché Iddio mi conceda di spendere quanto di vita sarà ancora, nella
sua misericordia, per accordarmi, a gloria sua ed a vostro spirituale vantaggio. – Mi
ha poi sopra tutto allietato, e non può non tornarmi sommamente gradito il genere di
dimostrazione, che si intende di darmi per celebrare la ricorrenza del mio Giubileo
Sacerdotale; il proposito cioè che si è concepito, e lo zelo, col quale già si attende a
procurare, che si inizii quest’anno e si istituisca in questa Città e Diocesi la santa e
benefica Opera della Santificazione delle feste. Questo è sempre stato uno de’ più
ardenti miei desiderii. Già ho tentato parecchie vie per riuscire in questo
sospiratissimo intento: e sarò felice, e mi protesterò riconoscentissimo a Dio e a’ miei
carissimi Diocesani, se vedrò segnato l’anno del mio Giubileo Sacerdotale con questa
grande consolantissima grazia, che sarà pei miei Diocesani tutti quanti feconda
d’immensi beni. Un Comitato di egregie Gentildonne della Città, dietro invito dei
benemeriti loro Parroci rispettivi, mi si è offerto animato dalle migliori disposizioni
di presentarsi a raccogliere le adesioni alla benefica opera presso ogni genere di
Cittadini. L’esempio sarà, spero, volenterosamente seguito a conforto altresì e sotto la
direzione di ciascun Parroco nella intiera Diocesi, e segnatamente nei centri più
popolosi di essa: ed io prego di gran cuore Iddio di coronare di felice successo i miei
desideri, e gli sforzi delle anime pie e generose, che si prestano a procurarmene il
compimento. Non meno del vostro Vescovo esulterà di santa letizia il cuore del S.
Padre, se nella ricorrenza del comune Giubileo Sacerdotale e nell’umiliare, che farò,
a’ suoi beatissimi Piedi, le vostre offerte e di vostri doni, potrò pure riferirgli essersi
abbracciata tra noi l’istituzione della Opera del riposo festivo. Deh sì, VV. FF. e DD.
FF., adoperatevi al conseguimento di questo santissimo fine ciascuno nella sfera
d’azione, che vi riguarda, e in tutti i migliori modi, che vi saranno consentiti. Questa
sarà la più bella, la più splendida, la più cara dimostrazione, che potrete darmi del
vostro preziosissimo affetto, e colla quale mi renderete veramente memorando
l’avvenimento, che vi proponete di celebrare.
Mi dispenso, nel por termine a questa mia, di aggiungere altre parole per
raccomandarvi di pregare per la Santità di N. S. e per me,essendo già, di per se stessa,
questa mia lettera una continua esortazione a pregare per l’uno e per l’altro.
Supplicate Iddio per l’esaltazione della Santa Chiesa Cattolica, di cui siete figli, per
tutta l’ecclesiastica Gerarchia, che unitamente al S. Padre, la regge e governa .
Pregate per la Maestà del Re, per l’augusta Regina, per la Famiglia Reale, e pei
Poteri tutti dello Stato: invocando su tutti la pienezza dei doni dello Spirito Santo pel
saggio, prudente, e giusto governo del loro popolo.
Abbiatevi in fine, in pegno della paterna continua mia benevolenza, la
pastorale benedizione, che con pienezza di affetto vi impartisco nel santo nome del
Padre, del Figliuolo, e dello Spirito Santo.
Alessandria, 7 febbraio 1887
+ Pietro Giocondo, Vescovo
Can. Prev. Carlo Vergogno, Segretario