Alcuni effetti terapeutici atipici degli SSRI

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Alcuni effetti terapeutici atipici degli SSRI
Rassegna
Alcuni effetti terapeutici atipici degli SSRI
Some atypical therapeutic effects of SSRI
VALERIA TRINCIA, MASSIMO BIONDI
III Clinica Psichiatrica, Servizio Speciale di Medicina Psicosomatica
e Psicofarmacologia Clinica
Università di Roma, La Sapienza
RIASSUNTO. Numerosi studi pubblicati negli ultimi anni suggeriscono che gli SSRI possono trovare un impiego nel trattamento di patologie diverse dai disturbi psichiatrici. Diversi lavori, nella maggior parte dei casi condotti secondo un disegno
controllato e randomizzato in doppio cieco, sembrano evidenziare un margine di impiego per numerosi SSRI (paroxetina,
fluoxetina, fluvoxamina, sertralina) in un’ampia gamma di disturbi quali ad esempio cefalea tensiva, profilassi dell’emicrania,
terapia del dolore, sindrome premestruale, eiaculazione precoce. Alcune osservazioni suggeriscono inoltre un possibile impiego di paroxetina nel prurito e di fluoxetina nel trattamento dell’obesità in soggetti diabetici e non. Infine, recenti studi evidenziano che gli SSRI potrebbero avere un ruolo neuroprotettivo sulle cellule dell’ippocampo, contribuendo a bloccare od
invertire l’atrofia e la perdita neuronale indotte da stress. Scopo della rassegna è quello offrire al lettore una rapida panoramica sulle conoscenze relative alle modalità più efficaci e sicure per utilizzare questa categorie di farmaci nelle patologie e
nei disturbi sopraindicati.
PAROLE CHIAVE: cefalea, dolore, prurito, eiaculazione precoce, sindrome premestruale, obesità, neurogenesi.
SUMMARY. Several studies published in the recent years, propose that SSRI could be useful in pathologies different from
psychiatric disorders. Various studies, in which the majority of the cases have been conducted in a controlled manner with
random double-blind selection, put emphasis on the advantage of using several SSRI (paroxetine, fluoxetine, fluvoxamine,
sertraline) in a wide range of disorders like headache due to stress and tension, migraine prevention, treatment of pain,
premenstrual syndrome and premature ejaculation. Moreover, some observations suggested one possible use of paroxetine in itchiness pathology and fluoxetine in the treatment of obese patients, diabetic and not diabetic. Finally, recent studies highlight the neuroprotective role that SSRI could have on hippocampus, cells contributing by blocking or reversing
the atrophy and the neuronal loss induced by stress. The purpose of the survey is to offer to the reader a quick overview
of the relative knowledge concerning the most efficient and secure ways of using this category of drugs in the pathologies
mentioned above.
KEY WORDS: headache, pain, ITCH, premature ejaculation, premenstrual syndrome, obesity, neurogenesis.
CEFALEA
Sulla base di recenti segnalazioni, gli SSRI sembrano destinati ad assumere un ampio profilo di impiego
terapeutico, che si estende oltre la pratica clinica psichiatrica. Di seguito viene riportata una rassegna degli
articoli relativi agli effetti terapeutici degli SSRI in alcune patologie, non di natura psichiatrica, come la cefalea, il dolore, il prurito l’eiaculazione precoce, la sindrome premestruale e l’obesità (Tabella 1).
Con il termine cefalea si definisce il dolore, di qualsiasi genere, localizzato al capo. La prevalenza annuale
di cefalea non occasionale è stimata, in Europa, attorno al 50% della popolazione generale. La cefalea viene
classificata in forme primitive e forme secondarie. Le
cefalee primitive non riconoscono alcuna causa organi-
E-mail: [email protected]
Rivista di psichiatria, 2003, 38, 2
59
Trincia V, Biondi M
Tabella 1
Patologie
Cefalea
Dolore
Autore
Disegno
N° Pz
Disturbo
Farmaco
Efficacia
Commenti
Foster, 1994
In aperto
58
Cefalea cronica
Parox: 10-50 mg/die,
3-9 mesi
Miglioramento
significativo (p ≤ 0.5)
nel 92% dei soggetti
Dimostrata efficacia del
farmaco e riduzione del
n° degli attacchi
Saper, 1994
Controllato, in
doppio cieco,
randomizzato
64
Cefalea cronica
Fluox: 20-40 mg/die,
3 mesi
Placebo
Miglioramento
significativo della
frequenza (p = .001)
Fluoxetina efficace e
ben tollerata
Manna, 1994
Controllato,
randomizzato
40
Cefalea cronica
Fluvox: 50-100 mg/die,
2 mesi
Mianse: 30-60 mg/die,
2 mesi
Miglioramenti sia sulla
frequenza sia sul
dolore (p = .001)
Fluvoxamina più efficace della mianserina nei
non depressi
Bank, 1994
Controllato, in
doppio cieco
64
Emicrania
Steiner, 1998 Controllato, in
doppio cieco,
randomizzato
53
Cefalea cronica S-Fluox: 40 mg/die, 3 mesi
Placebo
Fluvoxamina mostra
migliore tollerabilità
Riduzione significativa
della frequenza (p = .041)
Buona efficacia e tollerabilità
Schereiber,
1996
In vivo
-
Dolore
Fluvoxamina
Induzione di effetti
antinocicettivi (p ≤ .005)
In associazione con oppioidi potenziamento
dell’analgesia
Luger, 1999
In vivo
-
Dolore
Fluvoxamina
Oppioide
Potenziamento
dell’analgesia
Marcata perdita di peso
corporeo
Significativa riduzione del
dolore (p = .003) rispetto
al placebo
Entrambi i farmaci risultano efficaci e tollerati
Miglioramento
significativo in entrambi
i trattamenti
Si è raggiunto un paragonabile livello di analgesia tra i 2 farmaci
Atkinson, 1999 Controllato, in
doppio cieco,
randomizzato
Ciaramella,
2000
Prurito
Fluvox: 50 mg/die, 3 mesi Miglioramento n° attacchi
Amitrip: 25 mg/die, 3 mesi
103 Dolore lombare Parox: 30 mg/die, 2 mesi
Maprot: 150mg/die, 2 mesi
Placebo
In aperto,
randomizzato
40
Sindrop, 1990 Controllato, in
doppio cieco,
randomizzato
19
Neuropatia
diabetica
Parox: 40 mg/die, 4 sett.
Placebo
Imipramina: 25 mg/die,
4 sett.
Miglioramento
significativo in entrambi
i trattamenti
Paroxetina risulta efficace e ben tollerata
Sindrop, 1991
In aperto, in
singolo cieco
19
Neuropatia
diabetica
Parox: 30-70 mg/die, 4 sett.
Miglioramenti
significativi già nella
prima settimana di
trattamento
Evidente efficacia della
paroxetina
Biondi
Single case
1
Prurito
Parox: 20 mg/die, 9 mesi
Miglioramento
significativo già dopo 3
settimane di trattamento
Efficacia e tollerabilità
della paroxetina
Zylicz, 1998
Single cases
5
Prurito
Parox: 5-30 mg/die,
1-20 sett.
Miglioramento rapido
della sintomatologia
L’effetto antiprurito è
durato diversi mesi
Zylicz, 1999
Single cases
3
Prurito
Parox: 30 mg/die
Miglioramento rapido
della sintomatologia
L’effetto antiprurito è
stato rapido
Controllato,
multicentrico,
randomizzato
320
PMS
Fluox: 20 mg/die, 3 cicli
mestruali
Fluox: 60 mg/die, 3 cicli
mestruali
Placebo
Miglioramento
significativo della PMS
Efficacia della fluoxetina sui sintomi fisici e
comportamentali
Controllato
65
PMS
Parox: 10-30 mg/die,
3 cicli mestruali
Maprotilina: 25-50 mg/die,
3 cicli mestruali
Placebo
Miglioramento della
sintomatologia in
entrambi i
trattamenti
Paroxetina risulta più
efficace della maprotilina
Sindrome
Steiner, 1995
premestruale
Erikson, 1995
Dolore cronico Fluox: 20 mg/die, 2 mesi
Fluvox: 100 mg/die, 2 mesi
segue
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Alcuni effetti terapeutici atipici degli SSRI
Segue tabella 1
Patologie
Autore
Disegno
Sindrome Ozeren, 1996 Controllato, in
premestruale
doppio cieco
Eiaculazione
precoce
Obesità
N° Pz
Disturbo
Farmaco
Efficacia
Commenti
35
PMS
Fluox, 20 mg/die, 3 cicli
mestruali
Placebo
Miglioramento
significativo della
PMS
Fluoxetina efficace e
ben tollerata
Fluoxetina efficace e
ben tollerata
Tung.Ping Su,
1997
Controllato,in
doppio cieco
19
PMS
Fluox, 20 mg/die, 3 cicli
mestruali
Placebo
Miglioramento
significativo della
PMS
Kara,1996
Doppio cieco,
randomizzato
17
Eiaculazione
precoce
Fluox:20 mg/die,1 sett.
40 mg/die,1 sett.
Placebo
Miglioramento (p ≤ .05)
della ELT
Fluoxetina efficace e
ben tollerata in entrambi i gruppi.
Murat Bayar,
In aperto
1999
Randomizzato
57
Eiaculazione
precoce
Fluox:20-40 mg/die,2 sett.
Sertra:50 mg/die,4 sett.
Miglioramento
significativo nel 70% dei
soggetti in entrambi
i gruppi
Tollerabilità sovrapponibile nei due farmaci.
McMahon,1999
In aperto
94
Eiaculazione
precoce
Parox:20 mg/die,4 sett.
20 mg a richiesta,4 sett.
Incremento significativo
(p ≤ .001) ELT
Efficacia dimostrata sia
nel trattamento cronico
sia come terapia a
richiesta.
Soo Woong,
1999
In aperto
24
Eiaculazione
precoce
Sertra:50-100 mg/die,2 sett
50-100 mg a richiesta,4 sett.
Incremento significativo
ELT in entrambi
i gruppi
Efficacia dimostrata sia
del trattamento cronico
che di quello al bisogno
Goodnick,2001
Review
-
Obesità
Fluox:60 mg/die,6-8-12
settimane
Placebo
Evidente calo ponderale
durante il trattamento
con fluoxetina
Fluoxetina si dimostra
efficace e ben tollerata
in pz diabetici e non
Gray,1992
Controllato,in
doppio cieco
randomizzato
48
Obesità e diabete
Fluox:60 mg/die,24 sett.
Placebo
Evidente calo ponderale
e riduzione dei livelli di
Hb glicosilata
Fluoxetina risulta efficace nel ridurre il peso
corporeo in pz con diabete tipo II
Kutnoswki,
1992
Controllato,in
doppio cieco
97
Obesità e diabete
Fluvox:60 mg/die
Placebo
Evidente calo ponderale
e buon controllo
glicemico
Fluoxetina risulta efficace nel ridurre il peso
corporeo in pz con diabete tipo II
Ljung,2001
Controllato,in
doppio cieco
16
Obesità
Citalopram:20-40 mg/die,
6 mesi
Effetti sul sistema
neuroendocrino
Azione a livello delle
disfunzioni neuro endocrine
(emotivi, fisici, psichici e chimici) che, in soggetti predisposti, altererebbero il funzionamento dei neuroni
noradrenergici e serotoninergici del locus coeruleus e
dei nuclei del rafe nel troncoencefalo. A ciò seguirebbe l’aumentata liberazione di noradrenalina e serotonina da parte delle fibre nervose dirette ai grossi vasi
arteriosi cranici, vasocostrizione e quindi un processo
infiammatorio della parete vasale. La liberazione di sostanze infiammatorie provocherebbe vasodilatazione
accompagnata da intenso dolore pulsante (1).
Cefalea tensiva: dovuta a contrazione muscolare
prolungata dei muscoli del rachide cervicale in reazione a fattori esterni collegati spesso ad affaticamento fisico o psichico.
ca o funzionale dannosa o potenzialmente tale, mentre
le cefalee secondarie sono dovute ad una causa specifica. Le cefalee primitive di più frequente riscontro sono: l’emicrania con o senza aurea, la cefalea tensiva e
la cefalea a grappolo (1).
Eziopatogenesi
Emicrania: il dolore emicranico sarebbe dovuto ad
un processo di infiammazione sterile, di tipo neurogeno, delle pareti dei vasi innervati dal sistema trigeminale. Secondo tale ipotesi perché l’attacco emicranico
inizi si debbono presentare alcuni fattori scatenanti
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Trincia V, Biondi M
do tuttavia sonnolenza in molti pazienti, determinando
un elevato tasso di drop-out (7/29 nelle prime due settimane di trattamento). La fluvoxamina, oltre a modificare favorevolmente il numero di attacchi, è stata associata ad un migliore profilo di tollerabilità, con un
tasso di drop-out decisamente più favorevole (2/32
nelle prime due settimane di terapia).
Lo studio randomizzato in doppio cieco controllato
con placebo, condotto da Steiner (6), ha evidenziato, su
un totale di 53 pazienti affetti da cefalea, di cui 27 trattati per tre mesi con 40 mg/die di s-fluoxetina (enantiomero della fluoxetina a lunga durata d’azione), una
riduzione significativa della frequenza mensile degli
episodi di cefalea, al secondo (p = .033) e all’inizio del
quarto mese di trattamento (p = 0.041).
In conclusione, sulla base dei dati presentati da questi lavori più recenti, si evidenzia che diversi farmaci
SSRI (paroxetina, fluoxetina, fluvoxamina) possono
essere impiegati efficacemente, oltre che ben tollerati,
nel trattamento della cefalea tensiva e della profilassi
dell’emicrania. Tali osservazioni, provenienti da studi
controllati in doppio cieco, consentono di ipotizzare
che il sistema serotoninergico sia coinvolto nella fisiopatologia di questi disturbi e che il meccanismo d’azione di tali sostanze non sia necessariamente associato all’effetto antidepressivo. In particolare, è possibile
che gli SSRI possano indurre o potenziare l’analgesia
attraverso un’azione diretta sul sistema nervoso centrale, probabilmente bloccando la ricaptazione della
serotonina, in particolare agendo sui recettori 5-HT2
(5), e aumentandone l’attività a livello delle terminazioni centrali del sistema intrinseco dell’analgesia, mediato dal sistema degli oppioidi (4). In alternativa, gli
SSRI potrebbero essere coinvolti nella modulazione di
una via ascendente serotoninergica del dolore che va
dal nucleo dorsale del rafe al nucleo parafascicolare
del talamo (7). In questa prospettiva l’azione selettiva
di alcuni farmaci nella trasmissione centrale serotoninergica potrebbe primariamente incidere sul dolore,
con miglioramento clinico della cefalea indipendentemente dalla presenza o meno di sintomi depressivi. Alcune considerazioni critiche in merito ai dati presentati possono eventualmente riguardare la brevità del periodo di osservazione generalmente impiegato (massimo 3-9 mesi), l’assenza di informazioni adeguate circa
il tasso di ricadute successive alla sospensione del trattamento e, più in generale, la mancanza di studi di follow-up che permettano di valutare gli effetti a medio o
lungo termine del trattamento impiegato. È possibile
infatti ipotizzare che la remissione della sintomatologia sia associata al periodo di assunzione del trattamento, mentre appare assai probabile la comparsa di
ricadute in assenza di trattamento con SSRI.
SSRI e trattamento della cefalea e dell’emicrania
Numerosi studi controllati e non controllati sembrano suggerire una possibile efficacia degli SSRI nel trattamento della cefalea tensiva e dell’emicrania.
Nello studio di Foster (2), 58 pazienti con cefalea
cronica, che non avevano risposto a diverse combinazioni di trattamento farmacologico, sono stati trattati
in aperto con paroxetina a dosaggi compresi tra 10 e 50
mg per un periodo di tempo da 3 a 9 mesi. Il 92% dei
pazienti ha mostrato un miglioramento significativo (p
≤ .05), con una riduzione del numero di episodi cefalalgici mensili. Gli effetti indesiderati osservati sono
stati insonnia, astenia e disturbi urinari, ben tollerati
dai pazienti trattati.
Nello studio in doppio cieco controllato con placebo condotto da Saper (3) su 64 pazienti con cefalea
cronica e 58 con emicrania, i pazienti sono stati randomizzati in 2 gruppi: un gruppo placebo e un gruppo
trattato con fluoxetina 20-40 mg/die per tre mesi. I soggetti trattati con fluoxetina hanno mostrato un significativo miglioramento dell’umore (p = .019), misurato
mediante somministrazione del Beck Depression Inventory (BDI) e della frequenza giornaliera degli episodi cefalalgici (p = .001), anche se non della gravità
del dolore. I miglioramenti dell’umore osservati, hanno preceduto quelli della cefalea, raggiungendo la significatività alla fine del secondo mese con fluoxetina,
mentre i miglioramenti della cefalea sono emersi con
una latenza maggiore, nel corso del terzo mese di trattamento.
Lo studio di Manna (4), controllato e randomizzato,
è stato condotto su 40 pazienti ambulatoriali suddivisi
in due gruppi, entrambi preventivamente trattati per
un mese con placebo: un gruppo ha assunto mianserina (30-60 mg/die) e l’altro fluvoxamina (50-100
mg/die) per un periodo di 8 settimane. Sono state valutate la frequenza degli episodi, la gravità del dolore
ed il consumo di analgesici. Entrambi i trattamenti
hanno indotto miglioramenti statisticamente significativi nella frequenza e nella gravità del dolore (p = 0.01)
ed una riduzione del consumo di analgesici. La fluvoxamina è stata più efficace della mianserina in pazienti non depressi, un dato che suggerirebbe come
l’attività anticefalalgica non sia correlata direttamente
con l’attività antidepressiva.
Lo studio di Bank (5), controllato in doppio cieco su
un totale di 64 pazienti affetti da emicrania, ha confrontato in termini di efficacia e tollerabilità due diversi trattamenti: fluvoxamina (50 mg/die) e amitriptilina (25 mg/die), somministrati per un periodo di 12
settimane. L’amitriptilina ha mostrato di ridurre significativamente il numero di attacchi di cefalea, causan-
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Alcuni effetti terapeutici atipici degli SSRI
DOLORE
Ciaramella et al. (14) hanno confrontato l’efficacia
di due diversi trattamenti del dolore cronico. Gli autori hanno condotto uno studio in aperto su 40 pazienti,
randomizzati in due gruppi: uno trattato con fluoxetina 20 mg/die e l’altro con fluvoxamina 100 mg/die, della durata di 2 mesi. I risultati hanno mostrato che alla
fine del trattamento si è raggiunto un paragonabile livello di analgesia fra i due farmaci.
In uno studio controllato, randomizzato, in doppio
cieco e della durata di 4 settimane, su 19 soggetti, l’efficacia della paroxetina (40 mg/die) nel trattamento
della neuropatia diabetica, è stata confrontata con
quella dell’imipramina (25 mg/die) e del placebo (15).
In termini di efficacia, valutata con strumenti auto- ed
eterosomministrati, l’imipramina si è dimostrata lievemente superiore alla paroxetina, mentre la paroxetina
è risultata meglio tollerata.
In un altro studio di Sindrup et al. (16), condotto in
aperto in singolo cieco su 19 pazienti con diagnosi di
neuropatia diabetica, la somministrazione di paroxetina (30-70 mg/die) per 4 settimane ha mostrato significativi miglioramenti dei sintomi nel 79% dei soggetti
già durante la prima settimana di trattamento.
Giordano et al. (17) hanno valutato l’efficacia e la
tollerabilità della paroxetina in pazienti con diagnosi
di fibromialgia. Lo studio controllato, randomizzato,
in singolo cieco, è stato condotto su di un totale di 40
pazienti, di cui 20 hanno assunto paroxetina 20
mg/die e rimanenti 20 il placebo, per tre mesi. Rispetto al placebo, la paroxetina ha mostrato un significativo miglioramento dei sintomi della fibromialgia, come la rigidità e la stanchezza muscolari (p ≤ 0.05) e
una significativa riduzione del dolore (p ≤ .05). Inoltre, la tollerabilità della paroxetina è stata molto buona nell’82% dei casi.
Sulla base dei dati riportati da questa breve rassegna, è possibile evidenziare un effetto analgesico degli
SSRI nelle patologie descritte. In particolare paroxetina, fluvoxamina e fluoxetina, sembrano indurre un significativo effetto analgesico sia a livello centrale che
periferico. Da notare tuttavia che anche altre classi di
antidepressivi e in particolare i triciclici (imipramina e
maprotilina) sono dotati di effetti analgesici anche superiori a quelli evidenziati dagli SSRI. Tuttavia, il miglior profilo di tollerabilità e la sicurezza d’impiego degli SSRI rispetto ai triciclici conferisce agli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina una maggiore maneggevolezza e facilità d’impiego in patologie organiche di varia natura. Certamente tali osservazioni
circa l’impiego degli SSRI nella terapia del dolore dovrebbero essere confermate da studi controllati e randomizzati su casistiche più ampie.
Cenni sulla fisiopatologia del dolore
Studi recenti sul dolore cronico e persistente, che
hanno utilizzato modelli infiammatori e di danno neuronale, hanno dimostrato una consistente attività analgesica degli antidepressivi, in particolare gli SSRI. Tali
sostanze sono state impiegate in diversi studi in vivo su
animale, allo scopo di valutarne gli eventuali effetti
analgesici centrali e periferici (8).
Schreiber et al. (9) in uno studio su topi maschi, hanno evidenziato che la fluvoxamina ha indotto degli effetti antinocicettivi. Inoltre, se associata agli oppioidi,
ha mostrato di potenziare significativamente (p ≤ .005)
l’effetto analgesico a livello dei recettori degli oppioidi , e .
Anche Luger et al. (10) hanno condotto uno studio in
vivo su topi adulti, per valutare l’efficacia antinocicettiva e la tollerabilità della fluvoxamina, somministrata insieme ad un oppioide. I risultati hanno mostrato che
l’associazione di un oppioide con un SSRI ha determinato un incremento dell’analgesia e un abbassamento
della soglia di sviluppo di tollerabilità al dolore, durante i test nocicettivi. Il principale effetto collaterale osservato è stata la marcata perdita di peso corporeo.
D’altro canto, una ulteriore conferma indiretta del
ruolo svolto dai SSRI nella modulazione del dolore è
rappresentata dall’osservazione secondo cui la somministrazione di antagonisti dei recettori 5-HT3 inibirebbe l’effetto analgesico mediato dalla serotonina (11).
Inoltre, l’importanza del ruolo svolto dai recettori 5HT3 nella nocicezione, è sostenuta da dati neuroanatomici che avrebbero evidenziato un’alta concentrazione
di recettori 5-HT3 nelle corna posteriori del midollo
spinale. La serotonina, stimolando il rilascio di GABA
attraverso il legame con i recettori 5-HT3, indurrebbe
l’analgesia a livello spinale (12).
Sulla base di questi presupposti patogenetici, diversi autori hanno valutato l’azione analgesica dei SSRI
in diverse patologie nell’uomo.
Atkinson et al. (13), al fine di valutare l’efficacia di
antidepressivi serotoninergici e noradrenergici nel
trattamento del dolore cronico del rachide lombare,
hanno condotto uno studio controllato in doppio cieco
su 103 pazienti, randomizzati in tre gruppi: il primo
trattato con paroxetina (30 mg/die), il secondo con maprotilina (150 mg/die) e il terzo con placebo, per un periodo di 2 mesi. La riduzione dell’intensità del dolore è
stata significativamente più elevata con la maprotilina
e la paroxetina, rispetto al placebo (p = .003). La maprotilina ha indotto una riduzione del dolore nel 45%
dei casi e la paroxetina nel 26%.
Rivista di psichiatria, 2003, 38, 2
63
Trincia V, Biondi M
PRURITO
mento i farmaci convenzionali anti-prurito non avevano avuto effetto, in seguito trattata con successo con
paroxetina (20 mg/die), per un prurito persistente localizzato al volto, al petto e agli arti superiori della durata di 4 mesi. Il risultato è stata la risoluzione del prurito in 3 settimane, con mantenimento dei risultati a 9
mesi di follow-up. In questo caso gli autori ipotizzano
che l’effetto anti-prurito sia stato mediato da un’azione del farmaco a livello centrale, esplicata attraverso
un effetto di tipo anticompulsivo.
Zylicz et al. (20) hanno descritto 5 pazienti oncologici che soffrivano di prurito di differente eziologia, i
quali hanno risposto rapidamente alla somministrazione di paroxetina in modo dose-dipendente (da 5 fino a
30 mg/ (die), per un periodo di trattamento variabile
da 1 a 20 settimane. In generale l’effetto antiprurito è
stato rapido ed è durato per un periodo di qualche mese. Due dei pazienti hanno riportato nausea grave, ma
transitoria, e vomito per 1-2 giorni.
Ancora Zylicz et al. (21) hanno riportato i casi di 3
pazienti, due donne con cancro alla mammella ed un
uomo con carcinoma bronchiale, affetti da grave prurito, alleviato sensibilmente dalla somministrazione di
paroxetina (20 mg/die).
In conclusione, sulla base delle segnalazioni disponibili, è possibile ipotizzare che la paroxetina possa rivelarsi utile nel trattamento del prurito di diversa eziologia e patogenesi. È da notare che la paroxetina sarebbe dotata di scarsi effetti antistaminici e che, sebbene l‘esatto meccanismo non è stato ancora chiarito, alcuni autori suggeriscono che l’azione antiprurito potrebbe essere spiegata attraverso una rapida down-regulation dei recettori 5-HT3, i quali hanno un ruolo importante nella genesi sia del prurito che del dolore.
Queste osservazioni, sebbene del tutto preliminari,
suggeriscono l’opportunità di condurre studi controllati di valutazione dell’efficacia e tollerabilità della paroxetina e di altri SSRI nel trattamento del prurito primario e secondario.
Il prurito viene definito come una sensazione anomala e fastidiosa transitoriamente attenuata dal grattamento. È un sintomo esclusivo della cute, che determina spesso escoriazioni, le quali possono avere complicanze microbiologiche o determinare focolai di esasperata e ripetuta aggressione. Viene definito essenziale quando non coesista una evidente patologia cutanea
oppure può essere parte integrante della semeiotica di
un quadro dermatologico (18).
Fisiologia del prurito
Non sono stati ancora individuati tutti i mediatori
che innescano la reazione del prurito. Qualunque sia la
causa, il prurito è dovuto ad una stimolazione – irritazione delle terminazioni nervose libere localizzate a livello della giunzione dermo-epidermica, principalmente dovuta all’istamina rilasciata dai mastociti ed al
fattore attivante le piastrine (PAF). Prostaglandine e
neuropeptidi possono funzionare sia da modulatori
che da induttori del prurito. Le zone più sensibili al
prurito sono ricche di fibre amieliniche C e A-, come
quelle che conducono gli stimoli dolorifici. Tali fibre
conducono gli impulsi al talamo e alla corteccia encefalica (20).
Trattamento del prurito
Il trattamento del prurito attualmente si può articolare sulla scelta di varie terapie di cui è documentata
l’efficacia. Per quanto concerne la terapia farmacologica, accanto agli antistaminici, ai corticosteroidei ed ai
FANS, i quali determinano un’azione locale e sistemica sui mediatori dell’infiammazione, vengono sempre
più utilizzati diversi psicofarmaci nella cura del prurito, come ad esempio gli antidepressivi triciclici, le benzodiazepine ed i neurolettici. Inoltre, diversi lavori sottolineano il ruolo svolto dagli SSRI nel trattamento
del prurito di diversa eziologia, la cui efficacia sarebbe
dovuta alla loro azione antidepressiva ed anticompulsiva.
Nonostante il ruolo della serotonina nel prurito sia
scarsamente conosciuto, alcune osservazioni, derivanti
per lo più da casi singoli o piccole casistiche di soggetti, suggerirebbero un possibile ruolo della paroxetina
nel ridurre il prurito primario o quello secondario a
patologie oncologiche.
In particolare, Biondi (19) ha riportato il caso clinico di una donna di 66 anni, sulla quale in un primo mo-
SINDROME PREMESTRUALE
La sindrome premestruale (PMS) viene definita
dalla presenza di sintomi psichici e fisici, che compaiono ciclicamente nella fase luteale del ciclo mestruale. I
sintomi che fanno parte della PMS sono, oltre che numerosi, eterogenei ed aspecifici. Essi comprendono
tensione nervosa, instabilità dell’umore, irritabilità, disturbi del sonno, ansia, tensione mammaria, distensione addominale, incremento ponderale, tachicardia e
cefalea. La PMS può insorgere a qualunque età della
vita riproduttiva, ma soprattutto tra i 30 e i 40 anni e la
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64
Alcuni effetti terapeutici atipici degli SSRI
sua incidenza nella popolazione generale varia dal
2.5% al 10%(22).
mg/die), un terzo gruppo (n=22) ha assunto il placebo.
Il periodo di trattamento è stato di 3 cicli mestruali. La
riduzione dei sintomi ottenuta con la paroxetina è risultata significativamente superiore rispetto a quella
con il placebo. Inoltre, per quanto riguarda l’irritabilità,
l’aumento dell’appetito e dell’assunzione di carboidrati, il gonfiore ed il dolore al seno, la paroxetina è risultata significativamente più efficace della maprotilina.
Nello studio condotto da Ozeren et al. (26), controllato, in doppio cieco, su 35 pazienti con diagnosi di
PMS, della durata di 3 cicli mestruali, è stato evidenziato che la fluoxetina, alle dosi di 20 mg/die, è stata significativamente più efficace rispetto al placebo nell’alleviare sia i sintomi di tipo affettivo e comportamentale che quelli di tipo somatico.
Tung-Ping Su (27), in uno studio controllato, in doppio cieco, su 19 pazienti e della durata di 3 cicli mestruali, ha evidenziato una maggiore efficacia di fluoxetina (20
mg/die) rispetto a placebo, in relazione al miglioramento
di sintomi affettivi, comportamentali e somatici.
Riassumendo, diverse osservazioni cliniche paiono
suggerire che gli SSRI, in particolare fluoxetina e paroxetina, possano rappresentare farmaci molto utili
nella terapia della PMS. Sulla base dei dati riportati in
letteratura gli SSRI risulterebbero efficaci sia sui sintomi fisici che su quelli comportamentali. È da notare che
l’effetto sui sintomi fisici si manifesta nel giro di 1-2
giorni, contrariamente a quanto si osserva per l’effetto
propriamente antidepressivo per il quale sono necessarie almeno due settimane di terapia (28), con evidenti
vantaggi in relazione alla ciclicità del disturbo. Gli SSRI
nel loro insieme non mostrano differenze in termini di
tollerabilità e sicurezza d’impiego. Gli effetti collaterali più frequenti sono insonnia, disturbi gastrointestinali,
astenia, sedazione, xerostomia e sudorazione. Tali effetti collaterali sono nella maggior parte dei casi di lieve
entità e transitori (29). In media gli studi considerati
hanno utilizzato un periodo di trattamento corrispondente a 3 cicli mestruali. Al momento non risultano disponibili dati relativi al follow-up successivo all’interruzione del trattamento con SSRI nella PMS.
Eziopatogenesi
Non si conosce ancora l’esatta eziologia di questo disturbo, il quale mostra caratteristiche di multifattorialità, dal momento che risultano coinvolti diversi agenti
come stress, personalità, steroidi ovarici, fattori dietetici,
nutrizionali e neurochimici. Le fluttuazioni dell’estrogeno e del progesterone sono stati associati a cambiamenti in diversi sistemi neurotrasmettoriali. Tra questi, quello della serotonina sembra essere quello maggiormente
coinvolto nella patogenesi della PMS. Il coinvolgimento
della serotonina viene suggerito dalla presenza di sintomi riconducibili ad alterata funzionalità serotoninergica
quali instabilità emotiva, disturbi del sonno, irritabilità e
aumentata assunzione di carboidrati. Inoltre, alcune osservazioni sperimentali come lo studio dei livelli di serotonina ematica, dell’uptake piastrinico serotoninergico e del metabolita urinario della serotonina, l’acido
idrossindolacetico, evidenziano una complessiva riduzione dell’attività serotoninergica durante la fase luteale del ciclo mestruale. Un ulteriore elemento di supporto della teoria serotoninergica della PMS deriva dell’osservazione secondo cui l’agonista parziale del recettore
5-HT1A, il buspirone, l’agonista non selettivo del recettore 5-HT, la meta–clorofenilpiperazina (MCPP), l’agente rilasciante la 5-HT, la fenfluramina ed infine il
precursore della 5-HT, il triptofano sono tutti agenti che
hanno effetti clinicamente positivi nel trattamento della
PMS (23). Inoltre, è stato spesso segnalato anche un
ruolo di stress, ansia e depressione tra i fattori predisponenti o scatenanti. Sulla base dei dati di prevalenza nella popolazione generale e di tali osservazioni che chiamano in causa un possibile ruolo della serotonina, vengono riportati i lavori più recenti relativi all’impiego terapeutico degli SSRI.
Steiner et al. (24) hanno condotto uno studio controllato e multicentrico su un totale di 320 pazienti,
randomizzato in tre gruppi: uno trattato con fluoxetina
20 mg/die, un altro con fluoxetina 60 mg/die e l’ultimo
con placebo (per un periodo di 3 cicli mestruali). I risultati hanno mostrato un miglioramento dei disturbi
dell’umore per entrambi i gruppi con fluoxetina, senza
differenze statistiche tra l’uno e l’altro. Inoltre il trattamento con fluoxetina, rispetto al placebo, ha migliorato i disturbi fisici e i sintomi psicosociali.
Eriksson et al. (25) hanno valutato l’efficacia di diversi trattamenti in soggetti con PMS. Un primo gruppo di 22 soggetti è stato trattato con paroxetina (10-30
mg/die), un altro (n=21) con maprotilina (25-150
EIACULAZIONE PRECOCE
L’eiaculazione precoce viene definita come una eiaculazione involontaria durante i preliminari di un rapporto sessuale oppure entro un minuto dalla penetrazione, in almeno il 50% delle volte in cui si intraprende un rapporto sessuale. Tale disfunzione deve protrarsi per almeno 6 mesi.
Le cause possono coinvolgere fattori sia somatici
che psicologici. Studi clinici e su animali evidenziano il
Rivista di psichiatria, 2003, 38, 2
65
Trincia V, Biondi M
coinvolgimento di diversi neurotrasmettitori, tra cui i
sistemi dopaminergico, serotoninergico ed -adrenergico. Tra questi, la serotonina è considerata uno dei
mediatori principali attraverso cui l’eiaculazione viene
controllata e modificata.
L’eiaculazione precoce è considerata una delle più comuni disfunzioni sessuali maschili, che interessa più del
30% degli uomini, indipendentemente dall’età. Il trattamento è tradizionalmente affidato a tecniche comportamentali e di controllo delle emozioni, in particolare l’ansia da prestazione. Sebbene questi approcci terapeutici
determinino successo nel 60-90% dei casi, i risultati a
medio o lungo termine sono controversi, dal momento
che la remissione dei sintomi viene mantenuta solo nel
25% dei casi dopo 3 anni dal trattamento (30).
Lo studio di Lee (33) non controllato su un gruppo
di 11 pazienti, trattati con fluoxetina 20-60 mg/die per
un periodo di 8 settimane, ha evidenziato significativi
miglioramenti sul desiderio sessuale e sull’ansia da
prestazione.
Nello studio randomizzato in aperto condotto da
Murat Bayar (34) 57 pazienti sono stati suddivisi in
due gruppi, trattati rispettivamente con fluoxetina 2040 mg/die o sertralina 50 mg/die per un periodo di 4
settimane. In entrambi i gruppi è stato osservato un
miglioramento netto in circa il 70% dei soggetti trattati e un profilo di tollerabilità sostanzialmente sovrapponibile per i due farmaci (cefalea, nausea e insonnia
nel 30% circa dei soggetti).
McMahon (35) in uno studio in aperto su 94 uomini
ha valutato l’efficacia della somministrazione cronica
o “a richiesta” di paroxetina nel trattamento della eiaculazione precoce: 64 pazienti (gruppo A) sono stati
inizialmente trattati con 20 mg/die. Quelli con risposta
positiva al trattamento entro le 4 settimane sono stati
poi trattati con paroxetina 20 mg “a richiesta”: somministrata 3-4 ore prima di un rapporto prestabilito. Altri
33 pazienti (gruppo B) sono stati fin dall’inizio trattati
per 4.5 settimane con una dose “a richiesta” di paroxetina 20 mg somministrata 3-4 ore prima di un rapporto
prestabilito. I risultati ottenuti hanno evidenziato che
la paroxetina è stata efficace nell’indurre un incremento significativo (p ≤ .001) della durata del tempo di
eiaculazione, sia come trattamento cronico sia come
terapia “a richiesta”.
Nello studio in aperto di Soo Woong (30) è stata
confrontata l’efficacia della sertralina assunta al bisogno rispetto a quella della terapia assunta in modo
continuato. Sono stati arruolati 24 pazienti, trattati con
sertralina 50 mg/die nelle prime 2 settimane e con una
dose fino a 100 mg, da assumere al bisogno 4-5 ore
prima del rapporto, nelle successive 4 settimane di trattamento. I risultati hanno mostrato che il tempo di latenza dell’eiaculazione (ELT di 23 ± 19 secondi prima
del trattamento) è aumentato sia nelle 2 settimane di
trattamento giornaliero con dose di 50 mg (ELT di 5.9
± 4.2 minuti), sia nelle 4 settimane di trattamento al bisogno con dose di 50-100 mg (ELT di 4.5 ± 2.7 minuti).
In conclusione, questa breve rassegna sui dati disponibili circa l’efficacia degli SSRI nel trattamento farmacologico della eiaculazione precoce, sembrerebbe
confermare che l’impiego di queste sostanze e in particolare paroxetina, sertralina e fluoxetina, possano essere efficaci nell’aumentare il tempo di latenza eiaculatoria, sia a seguito di somministrazione continua sia
come trattamento assunto al bisogno 4-5 ore prima del
rapporto. È da notare che il parametro di valutazione
di efficacia maggiormente utilizzato, la ELT, mostra in
SSRI e disfunzioni sessuali
Molti farmaci utilizzati nella pratica clinica psichiatrica, e tra questi gli SSRI, possono provocare disturbi
della sfera sessuale come diminuzione della libido, impotenza, ritardo nell’eiaculazione ed anorgasmia. Per
quanto riguarda gli SSRI, il meccanismo d’azione sarebbe dovuto alla stimolazione dei recettori 5HT2, che
determinerebbe una inibizione del sistema mesolimbico-dopaminergico, coinvolto nel controllo del piacere
e del soddisfacimento. L’importanza del ruolo dei recettori 5-HT2 nelle modificazioni delle funzioni sessuali, è inoltre confermata dall’osservazione che gli antagonisti dei recettori 5-HT2 possono occasionalmente
eliminare le disfunzioni sessuali causate dagli SSRI,
mentre altri autori evidenziano che il buspirone, antagonista parziale del recettore 5-HT1A, è in grado di rimuovere le disfunzioni sessuali provocate dagli SSRI
(31). Sulla base di questo meccanismo d’azione, responsabile degli effetti indesiderati menzionati in precedenza, gli SSRI hanno trovato un impiego sempre
più esteso nel trattamento dell’eiaculazione precoce.
L’efficacia di tale impiego è documentata di diversi
studi clinici controllati e non.
Efficacia degli SSRI nel trattamento della eiaculazione
precoce
Lo studio in doppio cieco di Kara (32) è stato condotto su un gruppo di 17 pazienti randomizzati in due
gruppi, uno con placebo e l’altro con fluoxetina 20-40
mg/die per un periodo di almeno due settimane. Nel
gruppo trattato con fluoxetina il tempo di latenza eiaculatoria (ELT) è risultato significativamente più allungato rispetto a quello con placebo.
Rivista di psichiatria, 2003, 38, 2
66
Alcuni effetti terapeutici atipici degli SSRI
media modificazioni che passano dall’ordine dei secondi (in assenza di trattamento), all’ordine di qualche
minuto (con trattamento). Questa differenza, oltre che
statisticamente significativa, si traduce in pratica nella
possibilità di consumare un rapporto sessuale da parte
di soggetti per i quali tale esperienza è in genere preclusa. La tollerabilità sembra essere nell’insieme buona, dal momento che gli effetti indesiderati osservati
hanno riguardato una percentuale modesta dei pazienti trattati e si sono dimostrati di modesta entità, per lo
più rappresentati da cefalea, nausea e insonnia.
HT postsinaptici, in particolare i 5-HT2C (39). L’importanza del ruolo svolto dai 5-HT2C nell’obesità emerge
da alcune osservazioni cliniche secondo cui la metaclorofenilpiperazina riduce l’assunzione di cibo ed
inoltre il knockout dei 5-HT2C nei topi, li rende dopo
breve tempo obesi (40).
Secondo alcuni autori (41) l’aumento dell’attività
serotoninergica dovuto ad un aumento dei precursori,
ad un aumento del rilascio o ad un blocco del reuptake
della serotonina, è associato ad un incremento della
sensibilità all’insulina e una riduzione della concentrazione di glucosio plasmatico. Nella rassegna di Goodnick et al., (41), che ha valutato l’impiego di antidepressivi in soggetti diabetici con problemi di obesità e
disturbi depressivi, è stato evidenziato che la fluoxetina (a dosaggi medi di 60 mg/die, per 6-8 settimane), è
stata associata a consistenti riduzioni del peso corporeo nei soggetti trattati. Il calo ponderale medio osservato nei diversi lavori (controllati e in doppio cieco) è
pari a 0.5 kg/settimana. Altri studi in aperto con
fluoxetina, 60 mg/die per 12 mesi, hanno mostrato che
questa terapia è efficace nei pazienti diabetici, ottenendo una riduzione del peso corporeo fino a 9.3 kg.
Kutnowski (42), in uno studio clinico controllato in
doppio cieco, ha suddiviso 97 soggetti obesi diabetici
con intolleranza al glucosio in due gruppi: uno trattato
con 60 mg/die di fluoxetina e l’altro con placebo. A tutti i pazienti è stata prescritta una dieta ipocalorica ed
ipolipidica. La perdita di peso è risultata significativamente più elevata nei soggetti trattati con fluoxetina,
nei quali è migliorato anche il controllo glicemico.
Gray et al. (43) hanno condotto uno studio controllato in doppio cieco randomizzato in 48 soggetti con
diabete di tipo II suddivisi in due gruppi, uno trattato
con fluoxetina 60 mg/die, e l’altro con placebo per un
periodo di 24 settimane. Ad entrambi i gruppi è stata
prescritta una dieta ipocalorica. Alla fine del trattamento, i soggetti che hanno assunto la fluoxetina non
solo hanno perso in media 8 kg in più rispetto al gruppo placebo ma hanno mostrato anche dei livelli di
emoglobina glicosilata significativamente più bassi
(9.72 vs. 10.76 (%), p<0.05). Inoltre, i soggetti trattati
con fluoxetina hanno riportato una significativa riduzione della dose giornaliera di insulina rispetto al placebo (44.5 vs. 20.1 (%), p<0.05).
Infine, Ljung (44), al fine di valutare gli effetti degli
SSRI sulla disfunzione del sistema neuroendocrino e
del sistema nervoso autonomo nell’obesità, ha condotto uno studio controllato in doppio cieco, della durata
di 6 mesi, su 16 soggetti, divisi in due gruppi: uno con
placebo e l’altro con citalopram 20-40 mg/die. I risultati hanno mostrato un miglioramento nella regolazione
dei sistemi neuroendocrino e nervoso autonomo, con-
OBESITÀ
L’obesità è una condizione di eccesso di massa grassa rispetto ai limiti ritenuti normali per età, sesso e statura. La massa grassa nell’adulto normale oscilla tra il
12 e il 17% nel maschio e tra il 20 e il 25% nella donna. La prevalenza dell’obesità varia notevolmente a seconda dei criteri di classificazione adottati e delle popolazioni indagate. Adottando come criterio di valutazione l’indice di massa corporea (IMC), in Italia, la
prevalenza dell’obesità è lievemente superiore nelle
donne (14%) rispetto agli uomini (12%) (36).
Etiopatogenesi
L’obesità può ricondursi a numerosi fattori etiopatogenetici che si identificano in due principali categorie: fattori genetici che predeterminano il numero di
adipociti e inducono alterazioni del comportamento
alimentare e/o del dispendio energetico; fattori ambientali che si possono ricondurre a cause psicosociali,
che possono determinare anch’essi alterazioni del
comportamento alimentare e/o della spesa energetica.
Frequenti fenomeni di interazione tra questi due fattori permettono di affermare che l’obesità rappresenta
una complessa alterazione del metabolismo radicata
nei sistemi biologici e nella vita di relazione.
SSRI e Obesità
Diverse evidenze cliniche sostengono l’ipotesi secondo cui l’aumento del tono serotoninergico sarebbe
una modalità per ridurre l’appetito (37, 38). Difatti per
diversi anni la fenfluramina, un agente serotoninergico, è stata largamente utilizzata come soppressore dell’appetito prima di essere ritirata dal mercato per i suoi
gravi effetti cardiotossici. Probabilmente la sua azione
era dovuta ad una indiretta attivazione dei recettori 5-
Rivista di psichiatria, 2003, 38, 2
67
Trincia V, Biondi M
seguito dell’iperstimolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (50, 51, 54); la soppressione della proliferazione neuronale nell’ippocampo sarebbe mediata dalla stimolazione, ad opera dei corticosteroidi, dei recettori NMDA (55); f) condizioni associate con la riduzione della proliferazione cellulare nel giro dentato,
come la malnutrizione, l’elevato corticosterone, lo
stress, la stimolazione dei recettori NMDA, sono anche
associate alla ridotta densità delle fibre 5-HT, dei recettori 5-HT1A e/o a un ridotto rilascio di 5-HT. Inoltre,
azioni di tipo farmacologico, che elevano i livelli di serotonina nell’ippocampo (fenfluramina) o stimolano i
recettori 5HT1A (8-OH-DPAT), aumentano nel topo la
proliferazione dei precursori delle cellule neuronali
(52, 56).
Sulla base di queste osservazioni relative all’azione
neurogenetica della serotonina, diversi autori hanno
indagato i possibili effetti dei farmaci antidepressivi
SSRI sulla neurogenesi delle cellule dell’ippocampo
(57-59).
Malberg et al. (60), in uno studio in vivo su topi
adulti, utilizzando la BRDU (bromodeossiuridina,
analogo della timidina) come marker della divisione
cellulare, hanno evidenziato che il trattamento cronico
con antidepressivi (SSRI e IMAO) ha aumentato significativamente il numero di cellule BRDU-marcate
nel giro dentato dell’ippocampo. Lo stimolo proliferativo sulle cellule BRDU-marcate è stato osservato dopo 2-4 settimane di trattamento, periodo di tempo
compatibile con quello necessario per l’azione terapeutica degli antidepressivi. Secondo gli autori, questi
risultati hanno suggerito che l’incremento della proliferazione cellulare e del numero di neuroni maturi
possa costituire un possibile meccanismo attraverso
cui il trattamento antidepressivo contrasta l’atrofia e la
perdita di neuroni ippocampali indotte dallo stress.
Secondo Duman et al. (56), in un altro studio condotto su topi adulti, il trattamento a lungo termine con
antidepressivi (inibitori selettivi di 5-HT e NA e
IMAO) ha determinato una attivazione della cascata
del circuito cAMP-CREB (cAMPC-) (response element binding protein) e dell’espressione del BDNF
(brain derived neurotrophic factor) nell’ippocampo.
Tale attivazione ha avuto un ruolo importante sia sulla plasticità sinaptica che sulla sopravvivenza neuronale (61,62). Inoltre, è stato osservato che le cellule riprodotte nel corso del trattamento antidepressivo sono rimaste vitali per settimane dopo trattamento antidepressivo e che approssimativamente circa il 75% di
queste cellule ha espresso i marker tipici delle cellule
neuronali mature (60). Studi preliminari degli stessi
autori hanno valutato gli effetti di un trattamento con
fluoxetina nel modificare la down-regulation neurona-
sistenti in una normalizzazione dei valori di cortisolo
al mattino, una riduzione dei lipidi sierici, una riduzione dell’escrezione urinaria di metossicatecolamine ed
una riduzione della glicemia dopo il test orale di tolleranza al glucosio.
In conclusione, sebbene il meccanismo di azione
non sia ancora noto, la fluoxetina appare efficace, ben
tollerata e sicura nel trattamento dell’obesità in soggetti diabetici e non. Questo farmaco non solo determinerebbe una significativa perdita di peso, come dimostrato dalla breve rassegna dei precedenti lavori,
ma, nei soggetti obesi e diabetici, incrementerebbe l’azione dell’insulina sia a livello epatico che periferico e
ridurrebbe i livelli ematici del glucosio, determinando
un complessivo miglioramento della patologia diabetica (45). Gli effetti collaterali più frequenti durante il
trattamento con fluoxetina, riportati in questi lavori,
sono cefalea, astenia, nausea diarrea, sonnolenza, insonnia, irrequietezza e tremori. Non si può infine
escludere che parte dell’effetto sul calo ponderale osservato in soggetti trattati con fluoxetina sia mediato
dall’azione antidepressiva specifica svolta da questo
farmaco e in particolare dal miglioramento del tono
dell’umore e dalla riduzione dell’iperfagia, frequentemente osservata in soggetti depressi.
AZIONE NEUROPROTETTIVA E ANTISTRESS
DEGLI SSRI
Studi recenti hanno esplorato la possibilità che la
serotonina possa svolgere un ruolo significativo di tipo
neurogenetico sia in età di sviluppo sia in età adulta
(46-49). I dati a sostegno di questa ipotesi provengono
da studi condotti in vitro e in vivo su animali, in particolare roditori e primati, e nell’uomo. Il possibile ruolo neurogenetico della serotonina può essere riassunto
come segue: a) molte specie di mammiferi, tra cui l’uomo, hanno mostrato di produrre un sostanziale numero di nuove cellule neuronali nell’ippocampo anche
durante l’età adulta (50, 51); b) recenti studi basati sull’utilizzazione della bromodeossiuridina per marcare
le cellule proliferanti hanno rilevato che migliaia di
cellule vengono prodotte ogni giorno nel giro dentato
di mammiferi adulti (46,50,51); c) la maggior parte di
queste cellule si differenziano in neuroni maturi; d) Jacobs et al. (52) e Azmitia et al. (53) hanno rilevato che
la neurogenesi nel giro dentato di mammiferi adulti è
aumentata dalla stimolazione dei recettori serotoninergici 5-HT1A; e) lo stress indotto in condizioni sperimentali ha determinato nell’animale una riduzione
della produzione di cellule nervose, presumibilmente
attraverso un incremento dei livelli di corticosteroidi a
Rivista di psichiatria, 2003, 38, 2
68
Alcuni effetti terapeutici atipici degli SSRI
le secondaria a stress. I primi risultati su animali trattati avrebbero confermato una inversione della riduzione neuronale stress-indotta.
Manev et al. (63) hanno ipotizzato che la serotonina
e i farmaci antidepressivi come la fluoxetina possano
regolare la concentrazione nel SNC della proteina
S100, agente neurotropico coinvolto nella regolazione della neurogenesi nell’adulto. È stata infatti osservata una riduzione della immunoreattività della S100
contemporaneamente alla diminuzione della sintesi di
serotonina (64). In questo lavoro, eseguito in vivo su
topi adulti, gli autori hanno valutato gli effetti di un
trattamento di 3 settimane con fluoxetina (5 mg/kg)
sul contenuto di S100 nell’ippocampo. I risultati hanno mostrato un incremento della concentrazione di
S100. Gli autori hanno suggerito che tale proteina
possa rappresentare un mediatore dell’azione stimolatoria della fluoxetina sulla proliferazione cellulare dell’ippocampo. Inoltre, attraverso la S100, la fluoxetina
potrebbe indurre un’azione neuroprotettiva/antiapoptotica sui neuroni del SNC e quindi contribuire
alla neurogenesi riducendo la probabilità di apoptosi
(morte programmata) delle cellule immature (65).
In conclusione, sulla base di questa breve rassegna
di osservazioni preliminari, gli SSRI potrebbero avere
un ruolo nel bloccare od invertire l’atrofia e la perdita
neuronale indotte da stress ed avere quindi un ruolo
neuroprotettivo sulle cellule dell’ippocampo. Tale
azione sarebbe mediata dalla complessa attivazione di
mediatori intra- ed extracellulari coinvolti nei meccanismi di neurogenesi e neuromodulazione.
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