Confimi Apindustria Bergamo
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CONFIMI Rassegna Stampa del 01/04/2015 La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio. INDICE CONFIMI Il capitolo non contiene articoli CONFIMI WEB Il capitolo non contiene articoli SCENARIO ECONOMIA Il capitolo non contiene articoli SCENARIO PMI 01/04/2015 Il Sole 24 Ore CsC, a marzo la produzione sale dello 0,2% 4 01/04/2015 Il Sole 24 Ore Huawei, gigante tlc cinese che guarda l'Italia 5 31/03/2015 La Repubblica - Firenze Industria, 2014 chiusura in rosso "Ancora non si vede la luce" 6 31/03/2015 Business People Il LUSSO di ESSERE ITALIANI 7 31/03/2015 Business People ADESSO CI COMPRANO LORO 12 31/03/2015 Business People RIPARTIAMO DALLE START UP 17 SCENARIO PMI 6 articoli 01/04/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 2 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Le stime di Confindustria. A febbraio la crescita era stata valutata dello 0,5% - Ordini su dell'1,1 per cento CsC, a marzo la produzione sale dello 0,2% SEGNALI DI SPERANZA Sono in netta crescita gli indicatori sulla fiducia nel manifatturiero. Buone prospettive anche nel comparto delle costruzioni L.Or. Avanti adagio. Le prime indicazioni sui risultati dell'industria nel mese di marzo, in arrivo dal Centro studi di Confindustria, mettono in evidenza un progresso ancora limitato per la nostra manifattura, in crescita su base mensile dello 0,2%, di appena tre decimali se il confronto è con lo stesso mese del 2014. Nella velocità "di breve" marzo è dunque meno brillante rispetto a febbraio (per cui ancora mancano le valutazioni Istat), mese in cui il CsC aveva stimato un progresso mensile di mezzo punto percentuale. Qualche segnale più confortante arriva invece dagli ordini, in crescita per il centro studi di viale dell'Astronomia dell'1,1% sul mese precedente e di quasi tre punti se il confronto è con lo stesso mese del 2014. Con il dato di marzo è così possibile tracciare un bilancio del primo trimestre, che vede per la produzione industriale un aumento dello 0,1% rispetto al periodo precedente. Il secondo trimestre - stima il Csc - eredita in termini statistici una variazione congiunturale dello 0,3%. Più brillante della ripresa stessa pare in effetti la "speranza" che questa si manifesti, come confermano gli indicatori Istat sulla fiducia nel manifatturiero. A marzo - ricorda il CsC - si segnala un netto miglioramento delle condizioni nel settore, con l'indice generale salito di 3,2 punti a quota 103,7, valore più alto da maggio 2011. Il saldo dei giudizi sui livelli di produzione ha registrato un incremento di 4 punti (a -11); quello sugli ordini totali di 6 (a -11) raggiungendo il livello massimo da 7 anni, grazie al contributo sia della domanda interna sia di quella estera; sono più positive anche le attese di ordini e produzione. Un quadro in miglioramento per la manifattura ma anche per le costruzioni, per anni vero buco nero della domanda internae ora in grado di beneficiare di una ripresa dei mutui e delle compravendite immobiliari. A marzo le attese sugli ordini del comparto vedono infatti un quasi perfetto equilibrio tra ottimisti e pessimisti. Novità da non sottovalutare, perché per trovare un segno più in questo indicatore occorre tornare all'ormai remoto agosto del 2007 mentre appena qualche mese fa, alla fine del 2014, i pessimisti prevalevano sugli ottimisti di ben 25 punti. Speranze, per ora, tradotte solo in parte in produzione aggiuntiva, che intanto non pare in alcun modo lasciar presagire una possibile ripresa dell'inflazione. Se infatti i valori al consumo restano sostanzialmente fermi (si veda altro articolo), per i prezzi alla produzione febbraio mostra l'ennesimo calo, il 24esimo consecutivo, con una riduzione media che su base annua vale il 2,6%. La lieve inversione di tendenza dell'energia (così come accade peri prezzi al consumo) spinge verso l'alto i prezzi se il confronto è con il mese precedente (+0,5%) ma anche in questo caso la media è fortemente influenzata dal greggio. Al netto dell'energia, su base mensile si registra un calo limitato (-0,1%) per i beni venduti sul mercato interno e solo un lieve aumento (+0,2%) per ciò che viene venduto nell'area extra-Ue. IL CONFRONTO +0,1% Nel trimestre I primi tre mesi del 2015, secondo il Centro studi Confindustria, vedono per la produzione industriale un incremento complessivo dello 0,1% +0,3% Rispetto al 2014 La produzioneè avanzata in marzo dello 0,3% rispettoa marzo del 2014; in febbraio si era avuto un calo dello 0,3% sullo stesso mese dell'anno scorso SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015 4 01/04/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 24 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Ict. Il responsabile per il mercato italiano, Edward Chan: «Vogliamo aiutare i vostri operatori a raggiungere gli obiettivi dell'Agenda digitale» Huawei, gigante tlc cinese che guarda l'Italia Rita Fatiguso PECHINO. Dal nostro corrispondente Huawei, la multinazionale delle telecomunicazioni di Shenzhen, continua a marciare dritto per la sua strada, con velocità a doppia cifra: + 20,6% il fatturato del 2014 pari a 46,5 miliardi di dollari mentre gli utili hanno registrato + 32,7 con profitti netti pari a 4,5 miliardi, stando alle cifre diffuse ieri dall'Annual report di Kpmg. La Cina che arranca e punta a una modesta crescita del 7% appena sembra lontanissima dalle performance di Huawei. Secondo Cathy Meng, Cfo Huawei, il profitto generato dalle principali attività dovrebbe aggirarsi intorno ai 5,4 - 5,5 miliardi di dollari, con un margine del 12%, in linea con i risultati del 2013. Nel 2014 le Business Unit Carrier, Enterprise e Consumer di Huawei hanno registrato ottime performance. Ma anche la Business Unit Consumer ha registrato un incremento del fatturato di circa il 32% anno su anno, grazie alla vendita di smartphone. Huawei ha poi investito in Ricercae Sviluppo, trai 6,3ei 6,5 miliardi di dollari, con un incremento del 28% rispetto al 2013. Negli ultimi dieci anni l'impegno è stato di 30,3 miliardi di dollari. L'Italia è stata la destinataria di questi investimenti specie nel centro mondiale di competenza delle tecnologie microwave. Edward Chan, responsabile del mercato italiano, conferma il buon andamento dell'Italia, dove Huawei è arrivata nell'ormai lontano 2005. «La crisi non ha creato problemi di sorta - dice Chan al Sole 24 Ore - perché proprio in questi frangenti le aziende sanno che devono razionalizzarei costi. Per quanto riguarda i carrier stiamo fornendo le più innovative soluzioni sul mercato per incrementare le prestazioni dei collegamenti su rame e per portare la fibra sempre più veloceea sempre più persone, vogliamo aiutare gli operatori italiani a raggiungere gli obiettivi dell'Agenda Digitale». Per quanto riguarda il futuro, Huawei haa cuore il tema dell'Industry 4.0, la cosiddetta quarta rivoluzione industriale, in cui l'ICT integra sistemi virtuali e fisici con l'obiettivo di creare fabbriche "intelligenti", con oggetti fisici interconnessi e macchine collegate a una rete intelligente totalmente unificata. Dice Edward Chan: «La tecnologia dovrebbe garantire processi di produzione automatizzati per ottimizzare l'efficienza produttiva e la redditività. Nell'ottobre 2014 la Germania ha già stipulato degli accordi strategici con la Cina per sviluppare una collaborazione in quest'ambito. L'Italia, secondo paese manifatturiero in Europa, deve muoversi in questo senso. Huawei, come grande player ICT, sta già sviluppando delle soluzioni che renderanno possibile la realizzazione delle cosiddette fabbriche intelligenti, anche se siamo ancora al livello delle tessere di un puzzle». SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015 5 31/03/2015 La Repubblica - ed. Firenze Pag. 8 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato UNIONCAMERE Industria, 2014 chiusura in rosso "Ancora non si vede la luce" Si alza la speranza ma non ancora il risultato. Per il 2015 gli imprenditori toscani sperano nei possibili miglioramenti economici (parità del cambio euro-dollaro,interventi della Bce, l'abbassamento del prezzo del petrolio e dunque il minor costo dell'energia). Se fosse però per il consuntivo 2014 non starebbero allegri. L'osservatorio congiunturale di Unioncamere e Confindustria denuncia nell'ultimo trimestre dell'anno un'ulteriore caduta di produzione dell'1,1%. Nell'anno, la flessione è dello 0,7%: meno che nel 2013 (-1,8%) e nel 2012. Ma il quarto trimestre dell'anno continua a essere in perdita. Calano il fatturato (-1,3%), compreso quello estero (-1,8%) nonostante sull'anno l'export cresca dell'1,3%, la produzione nelle piccole imprese (3,3%), ma nell'ultimo quadrimestre dell'anno anche nelle grandi. Migliorano (+2,8%) solo le le medie. Nei singoli settori, i dati più positivi interessano farmaceutica (+8%), elettronica (+3%), meccanica (+1,2%). Peggiorano, invece, pelli e cuoio (-5,1), alimentare (-6,2%), mezzi di trasporto (-7,5%). «Serve una scossa», dichiara il presidente di Confindustria Toscana, Pierfrancesco Pacini. «Ci sono le condizioni per uscire dalla crisi ma la ripresa sembra ancora non vedere la luce», dice a sua volta Andrea Sereni, presidente di Unioncamere Toscana. (i.c.) SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015 6 31/03/2015 Business People - ed. N.3 - marzo 2015 Pag. 15 (tiratura:60000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Cover story Cover story DARIO RINERO Il LUSSO di ESSERE ITALIANI ESISTE UN MODO TUTTO NOSTRO DI FARE LE COSE, DI PENSARLE E PROPORLE AL MONDO. C'È UN MODO DI CONCEPIRE IL BELLO CHE È FIGLIO TIPICAMENTE DEL NOSTRO PAESE E DI NESSUN ALTRO. DI QUESTO DOVREMMO IMPARARE A FARE TESORO PER USCIRE DALL'IMPASSE IN CUI VERSANO L'ECONOMIA E MOLTE AZIENDE.PAROLA DEL CEO DEL GRUPPO POLTRONA FRAU LINDA PARRINELLO - FOTO DI MATTIA MOGNETTI L'ITALIA DOVREBBE DIVENTARE CIÒ CHE È. Si potrebbe riassumere in questo concetto di nietzschiana memoria la visione che Dario Rinero, Ceo del Gruppo Poltrona Frau, ha del Paese e della consapevolezza che dovrebbe ispirare i suoi abitanti. E cos'è il Belpaese secondo il manager cresciuto in Barilla e Coca-Cola e dal 2009 approdato a una società che oltre all'omonimo brand, creato a Torino nel 1912, comprende altri due marchi top del design made in Italy del calibro di Cassina e Cappellini? È la terra dell'eccellenza di vivere, lui la definisce The Italian way of living , un modo d'essere tutto nostro, di cui dovremmo fare tesoro al punto da trasformarlo in una strategica Risorsa Paese. «Abbiamo il nostro petrolio sotto gli occhi e sembriamo non accorgercene», sostiene il dirigente anche lui d'origine torinese, che racconta quanto la storia del suo gruppo - che ha fatto dell'"intelligenza delle mani" (ovvero della capacità tutta tricolore di saper creare e pensare oggetti di rara bellezza) la sua ragion d'essere - sia emblematica per far comprendere alle aziende come, quando vuole, anche l'Italia può trasformarsi in una protagonista incontrastata dei mercati internazionali (vedi l'investimento di mezzo miliardo di dollari fatto dagli americani di Haworth nel febbraio 2013 per aggiudicarsene il controllo). Ecco, l'Italia è tutto questo e molto altro, basterebbe convincersene e agire di conseguenza... Cominciamo col dire com'è andato per il Gruppo Poltrona Frau il 2014? È stato un anno in crescita rispetto al già ottimo 2013, in buona progressione e in continuità rispetto alla serie iniziata negli ultimi anni, fatta da una sostanziale tenuta dei mercati più consolidati in Europa, unita a un costante incremento sui mercati internazionali. Soprattutto asiatici e, più recentemente, nordamericani. La crescita americana è più imputabile alla ripresa dell'economia Usa o al vostro ingresso nel Gruppo Haworth? L'attribuirei maggiormente alla crescita del mercato americano. Per darle un'idea, in quell'area nei precedenti 10 anni si erano persi grosso modo trequarti dell'export italiano del mobile. Siamo quindi nel pieno di una vera fase di recupero. Un discorso a parte merita invece il mercato domestico, dove nello stesso periodo il consumo di prodotti d'arredo era sceso di oltre il 50%. Ebbene, su questo fronte il nostro gruppo è in controtendenza, perché nel 2014 ha nuovamente registrato un piccolo incremento, confermato anche dal trend dei primi mesi del nuovo anno. A cosa è dovuta questa differenza di marcia? Penso che attenga alla capacità delle marche nel nostro portafoglio di offrire prodotti percepiti più come beni di investimento che di semplice consumo. Durante le crisi si assiste quasi sempre a un distintivo processo di polarizzazione: da una parte clienti che non solo confermano ma a volte incrementano l'acquisto di beni di alta gamma (trade-up); mentre dall'altra parte clienti che abbassano le loro aspettative e vanno alla ricerca di prodotti più economici (tradedown). In questo sommovimento la parte che viene più compressa è quasi sempre la fascia di aziende che sta a metà di questo guado, che non ha né un posizionamento high end, né uno value for money. In più, se si osservano tutte le maggiori crisi che hanno ciclicamente afflitto l'economia mondiale, colpisce come le grandi marche ne siano sempre uscite rafforzate. Secondo me, grazie alla loro straordinaria capacità di trasmettere sicurezza anche nei periodi difficili. In più, quando il ciclo economico riprende, sono normalmente le prime a ripartire traendone i maggiori benefici. In questi anni avete fatto qualcosa per sostenere questa attitudine della marca o vi siete limitati ad "assecondarla"? Il nostro è un percorso ininterrotto che dura da oltre 100 anni per Poltrona Frau, quasi 90 per Cassina, ormai 70 per Cappellini, tutte aziende che sono state fondate da imprenditori visionari che le hanno gestite a lungo, e che già negli anni '60 hanno intravisto le grandi opportunità offerte dall'export, attraverso l'apertura di uffici e punti vendita diretti all'estero. Si è trattato di una vera e propria strategia di internazionalizzazione delle marche, non di una semplice attività di esportazione, che fa sì che oggi il 75% del nostro fatturato si sviluppi all'estero, il 30% del quale Oltreoceano. SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015 7 31/03/2015 Business People - ed. N.3 - marzo 2015 Pag. 15 (tiratura:60000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Ciò mi fa dire che la nostra attitudine si mantiene forte grazie all'ispirazione che continuiamo a trarre dai padri fondatori dei nostri grandi marchi. Anche se un passaggio molto importante è stato, nel 2003, l'approdo al Fondo Charme. È un'altra esperienza che racconto con piacere perché, malgrado alcune volte si associ sbrigativamente ai fondi un'immagine negativa, nel nostro caso si è rivelata un vero successo. Grazie a un fondo atipico per composizione, creato anche in questo caso da imprenditori visionari (da Montezemolo a Della Valle), con un'ampia visione internazionale, e che aveva colto le opportunità in vista per i gruppi più strutturati nella domanda di beni di lusso a livello globale. Che, infatti, negli ultimi anni ha puntualmente continuato a crescere. E lo farà ulteriormente... È vero, perché come un fiume carsico si inabissa da una parte per sgorgare altrove. Ciò significa che le grandi aziende globali sono quelle strutturalmente più in grado di catturare la domanda in una nuova geografia per fronteggiare il rallentamento dei consumi in un'altra. Ecco perché il fondo ha deciso di creare un bouquet che federa tre brand dell'eccellenza italiana, così come i francesi hanno fatto nella moda, creando di fatto un gruppo che rispetta il Dna delle singole entità dando a ognuna la forza necessaria a presidiare i mercati. Tutte prospettive che hanno poi motivato una grande major Usa come Haworth ad acquisire il nostro gruppo, a dimostrazione del fatto che quando un'impresa italiana riesce a costruire una progetto chiaro, ben distintivo e a vocazione globale riesce ad attrarre gli investimenti internazionali più qualificati. Tuttavia, in seguito al vostro passaggio a Haworth si è fatto un gran parlare del fatto che venisse ceduto un altro pezzo importante del made in Italy. Mi consenta di ribadire che, al netto delle chiacchiere, per me ciò che definisce veramente la nazionalità di un'azienda sono due cose: dove si prendono le decisioni e dove si produce. Il resto è puramente secondario. Perché, se un'azienda è posseduta al 100% da un italiano e delocalizza completamente l'attività in Polonia, per me non è italiana, mentre lo è se di proprietà di un americano che produce e decide in Italia. Haworth ha acquisito il Gruppo Poltrona Frau senza alcun progetto di integrazione, visto che loro sono attivi nel settore dei mobili per ufficio (dove sono tra i leader) che ha logiche diverse dalle nostre. Per quanto ci riguarda siamo rimasti indipendenti come prima. Il management è lo stesso, così come lo è il prodotto, la cui produzione rimane ovviamente in Italia. Mi sembra, quindi, che l'unico rischio che corriamo sia solo quello di poter diventare più forti, di ampliarci e di poter offrire ancora più opportunità di lavoro. Così com'è successo nella moda alle aziende italiane che sono entrate nell'orbita di Kering e di Lvmh. Prima ha accennato all'importanza della dimensione sovranazionale delle imprese. Lei ha spesso stigmatizzato il fatto che il 95% delle aziende siano troppo piccole e spesso non competitive. Il che, in verità, non è un problema solo del vostro settore. Si possono obbligare le imprese a crescere? In effetti, nonostante sia un vanto del made in Italy, il settore dell'arredo denuncia ancora forti limiti: il valore della produzione nel 2014 è rimasto invariato rispetto al 2013 a 12,5 miliardi, oltre il 60% è esportato in 50 Paesi con un evidente apporto alla bilancia commerciale. Ma il tessuto industriale è composto da 27 mila aziende, con un fatturato medio di 600 mila euro e una media di addetti pari a 6,3. Con queste dimensioni, poche sono in grado di esportare. Eppure, gli studi econometrici indicano chiaramente la positiva correlazione tra produttività e capacità esportativa. È ovvio che chi è più grande e più efficiente esporti più facilmente, ma è vero anche l'inverso: cioè che attraverso l'aumento dell'export si diventa più efficienti in casa. Esiste poi anche un tema legato alla managerialità: la totalità di queste aziende è a gestione familiare. E, pur essendo un estimatore del capitalismo familiare, avendo lavorato 15 anni in un'azienda come Barilla, colpisce come nell'arredo, a differenza della moda e dell'alimentare, un vero processo di managerializzazione non si sia ancora innescato. L'intero settore, quindi, si trova di fronte a un grave ritardo evolutivo. Cosa si può fare? Il nostro può essere un modello: abbiamo creato una piattaforma che non ha certo ancora terminato la sua capacità catalizzatrice. Altre opportunità sono rappresentate da fondi piuttosto che da gruppi capaci di aggregare più aziende. E poi si deve attivare un'azione di governo che, a mio avviso, è sempre mancata. Personalmente non credo negli incentivi, in un governo che ti costa tanto salvo poi ritornarti una parte in sgravi e bonus. Meglio sarebbe un governo snello, che assolva al suo compito e nello stesso tempo lasci libera l'impresa di svolgere adeguatamente il suo mestiere. Non che la munga e poi la sussidi... Mi piacerebbe un governo ispiratore dello sviluppo che dica: «Se tu che fai 100 e lui che fa 50 vi mettete SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015 8 31/03/2015 Business People - ed. N.3 - marzo 2015 Pag. 15 (tiratura:60000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato insieme, il surplus di 150 lo tratto con una tassazione agevolata». Solo così si dà alle aziende l'opportunità di crescere e creare occupazione. Le stesse associazioni di settore non sono state capaci di ispirare e trasmettere quanto fosse diventato vitale il cambiamento. Mi piacerebbe, inoltre, un Paese in cui si facesse di più per tutelare la proprietà intellettuale: è incredibile come nella patria di Leonardo e della creatività, ci sia un livello di salvaguardia inferiore a quello vigente in Svizzera o in Belgio. È l'eterna questione della tutela del made in Italy. Certamente, ma non si può continuare a consentire a chiunque di copiare i nostri prodotti e di poterli vendere tranquillamente in Italia e nel mondo. Eppure, si tratterebbe di un'azione di governo a costo zero, che oltre a tutelare le nostre aziende contrasterebbe il sommerso. In più oggi il Paese è nelle condizioni di fare una politica a favore dell'industria più incisiva che nel passato, riconoscendone la fortissima vocazione manifatturiera e concentrandosi sui suoi plus, che coincidono con l'indubbia capacità di emozionare e attrarre un turismo medioalto di gamma. Perché il ruolo principale di uno Stato è proprio quello di identificare i propri punti forti e di investire le proprie risorse là dove esse verranno ottimizzate e moltiplicate. Infine, una parola sugli imprenditori del mio settore, ai quali mi permetto di dire che la svolta decisiva avverrà solo nel momento in cui un grande numero di loro capirà che lo scenario è cambiato e che oggi bisogna saper fare un passo indietro per poterne fare due avanti domani. Percepisce che ci sono quanto meno i presupposti di questa consapevolezza? Credo che, alla luce delle trasformazioni avvenute negli ultimi dieci anni - delle quali noi siamo stati in qualche misura anche un po' precursori -, sia diventata evidente la necessità di cambiare. Se lei mi chiede se ciò sia successo per un'evoluzione culturale o per gli effetti della crisi, tendo a dire più per quest'ultima. Però, alla fine l'importante è non disperdere le straordinarie capacità di questi brand, qualche volta anche molto piccoli, che sono il frutto di molti decenni di grande creazione intellettuale e manuale. Personalmente mi sento più povero quando leggo che un'azienda chiude, perché penso a ciò che come Paese, industrialmente e culturalmente, perdiamo. Proprio in quest'ottica due anni fa abbiamo fatto una piccola acquisizione, la Simon, un gioiello dell'eccellenza tricolore che portava in dote prodotti straordinari come i capolavori di Carlo Scarpa, per me i più bei tavoli architettonici mai creati nella storia del design. Capitali simili non possono andare dispersi, sono un patrimonio del nostro Paese e possono diventare splendide opportunità di sviluppo. Come gruppo sentiamo anche la responsabilità di tutelare questo patrimonio, e quando possiamo siamo sempre disposti a interventi di salvaguardia. Diversi imprenditori del lusso lamentano proprio una sottovalutazione delle opportunità di sviluppo offerte dal settore, e non solo da parte delle istituzioni, nonché un pregiudizio che - per esempio - i francesi non hanno. È vero, ma ancor prima del lusso, il pregiudizio riguarda la ricchezza. Si tratta di un atteggiamento tutto italiano, dovuto certamente ad aspetti culturali, e che probabilmente si ricollega anche al fatto che qualche volta nel nostro Paese la ricchezza sia stata generata in maniera non corretta. Tuttavia, costituisce una grossa semplificazione vedere un piccolo artigiano che con impegno fa prosperare la sua azienda e può permettersi una grande casa e una bella macchina, e sospettarlo quasi automaticamente di evasione fiscale. Di rado c'è lo sforzo di andare più in là, per comprendere che dietro il suo successo c'è tanto lavoro, passione per quello che fa, weekend passati a lavorare, rischio finanziario, notti insonni... In più, questo generico atteggiamento anti-ricchezza spesso sfocia in una declinazione anti-industriale, perché - nel solito esercizio semplificatorio - l'industria viene vista un po' come lo strumento generatore della ricchezza, quindi del lusso. Invece - anche se qualche segnale positivo si comincia a intravedere - è ora che nell'agenda programmatica del nostro Paese si torni a parlare di industria, e soprattutto di industria alto di gamma, visto che non avrebbe senso pensare di poter competere sul terreno della produzione a basso costo di manodopera. Con la nostra capacità di saper creare prodotti straordinari come nella moda, nell'alimentare, nelle auto, nel design di lusso, oggetti capaci di emozionare a livello globale, basterebbe fare dell'Italia una volta per tutte la patria della bellezza. Ebbene, io credo profondamente che sia questo il nostro petrolio, una fonte inesauribile di energie che vivificherebbe non solo il manifatturiero e il turismo ma molti altri settori economici. A proposito del nostro "petrolio", ci saranno due eventi in cui potrà mettersi prestissimo in mostra. Il prossimo Salone del mobile, ad aprile, e - esattamente due settimane dopo - l'inaugurazione dell'Expo di Milano. Personalmente sono un po' emozionato per l'Expo: SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015 9 31/03/2015 Business People - ed. N.3 - marzo 2015 Pag. 15 (tiratura:60000) SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015 10 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato avendo due figlie di 11 e 13 anni, sono molto incuriosite e mi fanno un sacco di domande. Per quanto mi riguarda cerco di spiegare loro che l'unico precedente per l'Italia è stato nel 1906, un'edizione straordinaria che contò ben cinque milioni di visitatori (un'enormità considerati i tempi), 35 mila espositori, 40 Paesi partecipanti. Era un'epoca entusiasmante: Milano era una prestigiosa capitale tecnologica e vantava la prima centrale termoelettrica costruita in Europa nel 1883, che accese in quell'anno le luci della Scala, mentre proprio nel 1906 fu inaugurata la galleria del Sempione. Fu una straordinaria avventura, spero proprio che sia di buon auspicio per l'intero Paese, a me piace pensarla così, anche se avrei preferito un tema altrettanto universale, che puntasse però sul concetto di creatività e di bellezza. Ma, come si dice, primum vivere deinde philosophari , quindi nutrire il pianeta ha la sua giusta precedenza... Il Salone del mobile sarà, invece, una sorta di aperitivo dell'Esposizione universale: i 300 mila visitatori internazionali previsti saranno un assaggio di quanto ci aspetta tra maggio e ottobre. Ha la sensazione che le aziende riusciranno a cogliere questa opportunità? Se c'è una cosa che contraddistingue le aziende italiane è certamente la reattività, in quanto a velocità e capacità adattativa siamo imbattibili. Quindi, sono certo che alla fine ognuna riuscirà a fare il suo meglio. Così come Poltrona Frau Group: siamo pronti a ricevere le migliaia di clienti che ci verranno a trovare da tutte le parti del mondo durante il Salone, mentre in occasione di Expo attiveremo tutta una serie di iniziative ed eventi a rotazione all'interno dei nostri showroom. Per noi il 2015 è un anno particolare, perché si celebra il cinquantenario della produzione Cassina dei mobili di Le Corbusier, Jeanneret, Perriand. È previsto un fitto programma di manifestazioni con mostre e attività culturali all'interno di diversi musei. Proprio Cassina di recente ha annunciato la creazione di un nuovo tessuto morbido, che assomiglia alla pelle, ma creato da una combinazione tra poliestere e poliuretano, il waterborn. Tutte le vostre aziende sono caratterizzate da una forte spinta creativa verso l'innovazione. Come si fa a sposare tale vocazione con la componente tradizionale che comunque contraddistingue marchi storici come i vostri? È una combinazione molto naturale, comune a molte aziende, che nasce dallo svegliarsi tutte le mattine col pensiero di creare qualcosa di nuovo, considerando un patrimonio ormai acquisito quanto realizzato fino al giorno prima. Provo a spiegarlo più chiaramente al netto della "filosofia"... Per esempio, se prendiamo Poltrona Frau, tra i primi 10 prodotti per vendite ce ne sono alcuni in produzione da 100 anni - come Chester - o Vanity Fair che è del '30, mentre un buon 50% della lista è stato lanciato solo negli ultimi 5-7 anni, vedi Archibald del 2009. Lo stesso dicasi per Cassina con i mobili di Le Corbusier, Jeanneret, Perriand. Nello stile come nei materiali, c'è una capacità di nutrire i "fiori nella serra" senza con questo rinunciare a uscire fuori per andare a cercarne di nuovi. Non esiste alcun altro portafoglio di prodotti d'arredo che abbia la stessa valenza, è come dire Hermès e le sue Kelly. Ebbene, noi vogliamo ispirarci proprio da queste grandi aziende che sanno nel tempo reinterpretare la tradizione. Pensi che in Poltrona Frau utilizziamo lo stesso tipo di pelle che usavamo un secolo fa, questo però non ci ha impedito di creare la Soul, un tipo di pelle naturale e non trattata, piuttosto che la Heritage o la Century, una pelle nuova ma screpolata in modo da sembrare usata come se avesse 50 anni. Da noi non esiste un unico grande genio che pensa per Poltrona Frau, ma i nostri prodotti sono il frutto dell'impegno di centinaia di persone che, in fabbrica e nei laboratori come sui mercati, ogni giorno vedono cose nuove traendone ispirazione che traducono in prodotti. Proprio in questa sapienza e capacità innovativa diffusa risiede la forza dell'eccellenza italiana. Scorrendo il vostro codice etico, si leggono indicazioni precise su materiali e processo produttivo. Il che è un dato importante visto che di recente si è polemizzato molto sui prodotti di lusso. Cosa fate per non incorrere, per esempio, nelle critiche mosse a Moncler? Da almeno cinque anni, realizziamo un rapporto di sostenibilità del nostro gruppo, dove dichiariamo con grande trasparenza le nostre policy, tra cui il controllo e la certificazione dei fornitori. Li visitiamo spesso, così come i nostri clienti visitano noi: nel caso dell'automotive, per esempio, lavoriamo con Ferrari, Maserati, Porsche, Jaguar, Audi, che sono anch'esse aziende molto attente al tema. Una semplice cosa abbiamo imparato sul campo: che una buona materia prima ha una soglia di prezzo sotto il quale non si può scendere senza che ciò comporti processi critici. Bisogna continuamente vigilare e valutare, è un'etica comportamentale che coinvolge le persone ancor prima delle aziende. Mi spiega in cosa consiste il concetto di The Italian way of 31/03/2015 Business People - ed. N.3 - marzo 2015 Pag. 15 (tiratura:60000) SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015 11 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato living da lei teorizzato? Quando negli anni '70 e '80 l'Italia ha cominciato a esportare, l'accezione made in Italy si riferiva essenzialmente alla realizzazione produttiva nel nostro Paese. Verso la fine degli anni '90, c'è stata invece un'evoluzione in cui si è passati all'Italian lifestyle, nella quale il focus si spostava dal prodotto al produttore, cioè fatto da un italiano con tutte le implicazioni di gusto che ciò comportava. Adesso siamo entrati in una terza dimensione esperienziale, con The Italian way of living o, come cita lo slogan di una famosa marca di acqua minerale, Live in Italian . Cioè si è passati a un significato ancora più ampio, perché comprende in un solo colpo le colline, le piazze, i campanili, i musei, le montagne, il sole, attiene al nostro modo di stare insieme, si tratta di un'esperienza molto più immersiva, perché è uno stile di vita, che va ben oltre - lo dico con molto rispetto - al made in Germany... Made in Italy adesso vuol dire che quel prodotto è figlio di un mondo di eccellenze culturali e manifatturiere, che ti coccolano, facendoti gustare ottimi sapori e indossare bellissimi abiti, invitandoti a vivere così come farebbe un italiano. Non c'è nessun altro Paese al mondo che possa dire e fare altrettanto. Colpisce che, alla fine di tutte le maggiori crisi mondiali, LE GRANDI MARCHE NE SIANO SEMPRE uscite rafforzate Esiste un indiscusso pregiudizio tutto italiano riguardo alla RICCHEZZA E AL LUSSO, DOVUTO SENZ'ALTRO ad aspetti culturali COSA FA NEL TEMPO LIBERO? COME SI RILASSA QUANDO NON LAVORA? Essendo diventato papà a 40 anni, ho due figlie di 11 e 13 anni, quindi quando non sono in azienda molto del mio tempo libero lo passo in famiglia a fare tutto quello che si fa in una tipica famiglia italiana. Dopo di che la mia passione più grande è senz'altro la cucina, è un esercizio che mi rilassa e ai fornelli non penso ad altro. C'È QUALCHE PIATTO CHE LE RIESCE MEGLIO DI ALTRI? Faccio di tutto, Di recente mi è venuta bene una tartare di tonno e coriandolo con maionese al basilico, accompagnata da gelato alla mandorla; un'interessante commistione di acido, salato e dolce. SONO RICETTE INVENTATE DA LEI? Sono piuttosto uno che studia le ricette altrui e le mette in pratica. Non mi reputo un innovatore, quanto uno che se assaggia un piatto al ristorante, riesce a replicarlo con discreto successo. Più che un avanguardista sono un "replicazionista"... Dai miei genitori ho imparato che la cucina è love sharing , per mia madre la cucina è sempre stata un modo per mostrare amore per la propria famiglia, per gli amici e per se stessi. È una consapevolezza che condividiamo con mia moglie e che stiamo cercando di trasferire alle nostre figlie, insegnando loro l'amore per gli odori e i sapori, il piacere di andare al mercato per scegliere le materie prime più buone, nonché la passione nel preparare un piatto trasformandolo ogni volta in qualcosa di unico. LA CUCINA COME ESPERIENZA EMOTIVA, QUINDI. Certo, perché è un'esperienza che va sperimentata e condivisa. Sono un goloso, quindi per gustare qualcosa di speciale sono disposto ad affrontare anche trasferte di qualche centinaio di chilometri. Per me la cucina è l'unica forma d'arte in grado di coinvolgere tutti i sensi, che ha la stessa dignità della grande pittura e della scultura nonché della stessa musica. LEI CUCINA ITALIANO VERO? Certamente, è la cultura in cui sono cresciuto, ma non disdegno le cucine internazionali, asiatiche in particolare. Amo la cucina indiana e quella giapponese, distinguo la cinese dalla tailandese e dalla vietnamita. SOTTO QUESTO PROFILO, SARÀ ENTUSIASTA DEL TEMA DELL'EXPO? Certamente, siamo fortunati perché chi vive a Milano potrà "gustarselo" a lungo e confrontare un'altra grandissima eccellenza del made in Italy, come il cibo, con il meglio di quanto il pianeta sia in grado di offrire. Se c'è una cosa che distingue le aziende italiane è la reattività: IN QUANTO A CAPACITÀ ADATTIVA siamo imbattibili Foto: DAL LARGO CONSUMO ALL'ALTO DI GAMMA Dopo gli studi in Architettura al Politecnico di Torino, Dario Rinero inizia nel 1984 in Chiari&Forti, ma si forma professionalmente in Barilla, dove ricopre anche incarichi internazionali. Nel 2000 passa in Coca-Cola Hbc Italia, per approdare nel 2009 al vertice del Gruppo Poltrona Frau 31/03/2015 Business People - ed. N.3 - marzo 2015 Pag. 19 (tiratura:60000) ADESSO CI COMPRANO LORO DOPO AVER SUBITO PER ANNI LO STRAPOTERE DEI GRANDI GRUPPI OCCIDENTALI, SONO ORA SEMPRE DI PIÙ LE MULTINAZIONALI DI PAESI EMERGENTI PARTITE ALL'ARREMBAGGIO DELLE IMPRESE ITALIANE ED EUROPEE. I RISCHI NON MANCANO, MA NON TUTTI GLI INVESTIMENTI VENGONO PER NUOCERE... ANDREA TELARA APiombino, nelle storiche acciaierie della Lucchini dove le ciminiere sono spente dall'aprile del 2014, hanno festeggiato più di 1.800 lavoratori. «Ben venga lo straniero», era il leit motiv delle dichiarazioni rilasciate dagli operai e dai delegati sindacali, non appena è arrivata l'offerta di un nuovo compratore estero, in grado di rimettere in piedi l'intero impianto siderurgico ormai prossimo alla chiusura definitiva. Lo straniero disposto a salvare la fabbrica toscana, però, non arriva né dalla Germania né dal resto d'Europa e neppure dagli Stati Uniti. Il salvatore delle acciaierie ha, infatti, un nome e un cognome arabo: si chiama Issad Rebrab ed è il patron del gruppo algerino Cevital, un impero industriale che ha 12 mila dipendenti e 25 filiali in tutto il mondo e che, alla fine del novembre scorso, ha promesso di investire a Piombino almeno un miliardo di euro entro il 2020, per tornare a produrre 2 milioni di tonnellate di acciaio all'anno. E così, di fronte a questa offerta assai difficile da rifiutare, un pezzo importante dell'industria italiana come l'impianto della Lucchini è finito nelle mani di una multinazionale di un Paese arabo. Una sorte analoga è toccata ad Alitalia che, dall'agosto dell'anno scorso, gravita nell'orbita di Etihad, il vettore di Abu Dhabi che ha comprato una partecipazione del 49% nella compagnia di bandiera tricolore, con l'obiettivo di rimetterla in sesto in tempi brevi. COLONIALISMO AL CONTRARIO Le due acquisizioni appena descritte, però, sono soltanto la punta di diamante di un fenomeno che viene da lontano e che è iniziato (seppur lentamente) almeno un decennio fa. Si tratta dell'arrembaggio alle aziende italiane ed europee portato avanti dalle multinazionali dei Paesi emergenti. C'è chi parla già di un nuovo colonialismo al contrario, che ha come protagonisti i nuovi ricchi del pianeta, dagli emiri mediorientali sino ai miliardari cinesi e indiani. Dopo aver subito per decenni lo strapotere dei grandi gruppi occidentali, ora questi nuovi tycoon sembrano intenzionati a far rotta con decisione verso un'Europa ancora acciaccata dalla crisi economica, per mangiarsi in un boccone le migliori aziende del Vecchio Continente. Ma stanno davvero così le cose? A leggere le cronache finanziarie degli ultimi mesi e anni, sembrerebbe proprio di sì. A parte i casi dell'Alitalia e delle acciaierie di Piombino, finite entrambe in mani arabe, tantissimi altri pezzi dell'industria italiana oggi appartengono a grandi investitori delle nuove "potenze". A fare la parte del leone non sono però gli arabi bensì i cinesi, che hanno acquisito quote di maggioranza o di minoranza di importanti gruppi del Belpaese. Sullo scacchiere dell'alta finanza, per esempio, si è mossa la People's China Bank, la banca centrale di Pechino che, tra marzo e luglio del 2014, ha fatto shopping sul listino di Piazza Affari comprandosi una partecipazione di circa il 2% nel capitale di Eni, di Enel, di Telecom Italia, di Fca (Fiat Chrysler Automobiles) e di Prysmian, leader mondiale nella produzione di cavi per il settore energetico e per le telecomunicazioni. AZIONISTI CON GLI OCCHI A MANDORLA Aqueste operazioni dal carattere eminentemente finanziario, che valgono nel complesso quasi 3 miliardi di euro, si aggiungono poi parecchie acquisizioni che hanno obiettivi per lo più industriali. Un esempio è quanto accaduto a Cdp Reti, la holding della Cassa Depositi e Prestiti che controlla quasi un terzo di Snam e di Terna e che, dall'estate scorsa, è partecipata al 40% da State Grid Corporation, il gestore della rete elettrica della Repubblica Popolare. Nel 2014, è finito ai cinesi anche il 40% del capitale di Ansaldo Energia, acquistato da Shanghai Electric Corporation (Sec), leader mondiale nella produzione di macchinari. Senza dimenticare, poi, i nomi del lusso made in Italy, oggi controllati interamente da azionisti con gli occhi a mandorla. È il caso della maison di moda Krizia, acquistata lo scorso anno da Shenzhen Marisfrolg Fashion, azienda leader nel mercato asiatico del pret-à-porter, fondata più di vent'anni or sono dall'imprenditrice Zhu ChongYun. Risale a quasi tre anni fa, invece, la cessione al gruppo meccanico cinese Shig-Weichai del noto produttore di yacht Ferretti, altro celebre nome del made in Italy, famoso in tutto il mondo ma zavorrato fino al 2012 da un debito di 600 milioni SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015 12 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Sviluppo 31/03/2015 Business People - ed. N.3 - marzo 2015 Pag. 19 (tiratura:60000) SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015 13 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato di euro. Di acquisizioni simili, che hanno avuto come protagonisti gli imprenditori della Repubblica Popolare, però, se ne trovano a decine, se si guarda all'universo delle piccole e medie aziende italiane attive nei settori tessili o della meccanica, insediate per lo più in Lombardia e nel resto del Settentrione. IN ARRIVO DALL'INDIA Anche le multinazionali indiane, nonostante i tesi rapporti diplomatici tra Roma e Nuova Delhi dovuti alla nota vicenda dei due marò, non sono certo rimaste alla finestra negli ultimi anni e hanno acquisito diverse aziende del made in Italy, spesso attive in settori di nicchia. Un esempio è la Klopman di Frosinone, maggiore produttore europeo di tessuti ignifughi, finita nell'orbita di Mw Corp, colosso industriale di Mumbai, attivo sia nel comparto tessile sia nel settore energetico. La stessa sorte è capitata alla Leggiuno spa, storica azienda della provincia di Varese specializzata nella produzione di tessuti per la camiceria di alta qualità, che dal 2008 è sotto il controllo del gruppo indiano S. Kumars Nationwide. Un altro esempio è quello di Piaggio Aero, nome celebre dell'industria aeronautica italiana che, nel 2009, è stata comprata da Tata group, conglomerata di Mumbai presente in diversi settori, da quello automobilistico alla meccanica, dalla chimica all'energia. Lo scorso anno, però, lo stesso gruppo Tata è uscito dall'azionariato di Piaggio Aero, cedendo la propria quota a un altro grande investitore dei Paesi emergenti: Mubadala, il fondo sovrano di Abu Dhabi che oggi detiene il 98% circa del capitale dell'azienda. IL RISCHIO DEL MORDI E FUGGI Proprio quest'ultima operazione, che ha visto gli indiani entrare e uscire da un'azienda italiana nel giro di pochi anni, pone alcuni interrogativi tutt'altro che trascurabili, riguardo al ruolo delle multinazionali asiatiche nel tessuto industriale del nostro Paese e dell'Europa intera. Conviene o non conviene consegnare le nostre migliori imprese ai nuovi ricchi dell'Asia? Senza i loro soldi, molte fabbriche come la Lucchini di Piombino avrebbero chiuso i battenti, è vero. Tuttavia, non va sottovalutato il rischio che parecchie multinazionali in arrivo dal lontano Oriente abbiano anche un atteggiamento predatorio: vengano cioè in Europa seguendo la logica del mordi e fuggi, per impossessarsi del marchio o della tecnologia di qualche azienda importante, per poi tornarsene a casa non appena hanno inglobato tutto il valore che c'era da inglobare. Non va dimenticato, infatti, che non sempre gli investimenti in Italia delle multinazionali emergenti si sono conclusi con il lieto fine. Lo sa bene chi ha seguito le vicende della Guru, azienda tessile di Parma fondata nel 1999 e poi finita in mano agli indiani di Bombay Rayon Fashion, dopo le turbolente vicende che hanno visto il fondatore della società, Matteo Cambi, sotto accusa per bancarotta. La presenza dei nuovi proprietari asiatici, che avevano l'ambizione di rilanciare il marchio Guru, non ha impedito all'azienda emiliana di finire sull'orlo del fallimento, avviando un concordato preventivo con i creditori, iniziato lo scorso anno. L'arrivo dei soci cinesi non è stato una passeggiata neppure per i lavoratori della Ferretti che, nel febbraio del 2014, hanno rischiato di assistere alla chiusura di uno dei tanti stabilimenti della società, quello di Forlì, poi salvato in extremis da una lunga trattativa sindacale. Le multinazionali dei Paesi emergenti, insomma, hanno tanti soldi a disposizione ma non hanno certo il cuore tenero. Investono dove conviene investire, comprano quel che c'è da comprare quando i prezzi delle aziende sono a buon mercato, ma non sono molto legate al territorio in cui si insediano e sembrano anche pronte a lasciare sul campo migliaia di posti di lavoro, non appena il loro business comincia a traballare. SE LA FABBRICA È NUOVA DI ZECCA Nonostante l'opportunismo dei nuovi ricchi del lontano Oriente, però, rinunciare ai loro soldi sembra oggi assai difficile. Anche perché, quando si parla di multinazionali dei Paesi emergenti, è bene non fare di ogni erba un fascio. Un'indagine effettuata dalle economiste Elisa Giuliani e Roberta Rabellotti, collaboratrici del sito Lavoce.info , rivela, infatti, che esiste anche un gruppo non trascurabile di aziende in arrivo dai Paesi in via di sviluppo che hanno instaurato un rapporto virtuoso con i territori in cui si sono insediate, collaborando con le piccole e medie imprese locali, con le università e i centri di ricerca. Un'altra analisi, sempre pubblicata sul sito de Lavoce.info dai ricercatori Alessia Amighini e Claudio Cozza e dalla stessa Rabellotti, dimostra invece come la presenza in Europa delle multinazionali asiatiche non sia dovuta soltanto ad acquisizioni di imprese già esistenti, ma si concretizzi per lo più in investimenti greenfield, cioè con la costituzione ex-novo di impianti prima inesistenti. Su 840 operazioni effettuate nel Vecchio Continente da aziende cinesi tra il 2003 e il 2012, per esempio, più di 670 sono avvenute con investimenti greenfield, mentre appena 131 si sono concluse tramite un M&A (merger and acquisition), cioè 31/03/2015 Business People - ed. N.3 - marzo 2015 Pag. 19 (tiratura:60000) SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015 14 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato con fusioni e acquisizioni. Anche per gli investimenti diretti indiani nell'Unione Europea, si è assistito più o meno allo stesso fenomeno e le operazioni greenfield, dal 2003 in poi, sono state la maggioranza: 520 su un totale di 949. L'arrivo di una multinazionale emergente, insomma, spesso coincide anche con l'apertura di fabbriche e uffici nuovi di zecca che portano posti di lavoro. Secondo la banca dati Reprint sull'internazionalizzazione, creata dall'Ice e dal Politecnico di Milano, oggi ben 18 mila italiani lavorano per le multinazionali cinesi e di Hong Kong presenti del nostro Paese. Tra queste, ci sono nomi conosciutissimi a livello mondiale come Huawei Technologies, produttore di smartphone e reti di telecomunicazione, che dispone di diverse sedi e centri di ricerca (in particolare sulle tecnologie a microonde) tra Milano, Roma e Torino, i quali collaborano proficuamente con gli atenei universitari. Senza dimenticare, infine, le aziende presenti in Italia da ben tre lustri come il gruppo di Hong Kong Hutchison Whampoa (H3g), proprietario della compagnia di telecomunicazioni Tre. Nella Penisola, H3g fattura 1,75 miliardi di euro all'anno e ha oltre 2.700 dipendenti. In un'Italia come quella di oggi, dove la disoccupazione è ai massimi storici, è difficile chiudere le porte a chi, pur venendo da una nazione emergente, dà lavoro a così tante persone. BANDIERA ADDIO Dopo una lunga crisi e l'insuccesso della new company creata da una cordata di imprenditori italiani, nell'agosto 2014 Alitalia è passata nelle mani di Etihad, compagnia di bandiera di Abu Dhabi tra i vettori in maggiore espansione nel mondo. La società degli Emirati Arabi ha messo in piedi un piano di rilancio e sarà partner di Expo (qui sotto l'aereo con la livrea dedicata all'evento, presentato nell'ottobre scorso) I SOLDI ASIATICI SONO FONDAMENTALI PER LE AZIENDE IN CRISI, MA SPESSO I NUOVI PADRONI HANNO UN ATTEGGIAMENTO PREDATORIO: COMPRANO, ACQUISISCONO TECNOLOGIA E TORNANO A CASA LORO GLI INVESTIMENTI IN EUROPA TRA IL 2003 E IL 2012 2.849 IMPRESE CINESI IMPRESE INDIANE 304 144 391 193 53 74 47 47 51 65 219 841 949 232 2.717 GERMANIA REGNO UNITO FRANCIA PAESI BASSI ITALIA ALTRI PAESI UE TOTALE UE TOTALE MONDO GERMANIA REGNO UNITO FRANCIA PAESI BASSI ITALIA ALTRI PAESI UE TOTALE UE TOTALE MONDO Fonte: Lavoce.info su dati Emendata - (valori espressi in unità) NON BISOGNA AVERE PREGIUDIZI Alcuni grandi gruppi hanno indubbiamente un atteggiamento predatorio nei confronti della nostra economia. Nello stesso tempo, però, ci sono anche molte aziende che possono portare benefici al tessuto produttivo nazionale. È l'opinione di Roberta Rabellotti riguardo agli investimenti effettuati in Italia dalle multinazionali dei Paesi emergenti. Dunque, ben vengano gli stranieri, anche se arrivano da lontano... Diciamo che non dobbiamo temerli se il loro obiettivo è mettere in atto investimenti che prevedano una stretta collaborazione con il territorio in cui s'insediano, per esempio con i centri di ricerca, con le università o con le pmi locali, che hanno così l'opportunità di dar vita a una rete di subforniture per la multinazionale che arriva dai Paesi emergenti. Senza dimenticare, infine, un altro aspetto importante: per le aziende italiane, avere rapporti con un grande gruppo cinese o indiano può essere l'occasione per fare un salto di qualità. In che senso? Il contatto con una multinazionale di questi Paesi può essere sfruttata come opportunità per penetrare in 31/03/2015 Business People - ed. N.3 - marzo 2015 Pag. 19 (tiratura:60000) SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015 15 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato mercati molto lontani dall'Italia, difficilmente accessibili per una media impresa del nostro Paese senza un valido supporto esterno. Come possiamo impedire, invece, che alcune multinazionali emergenti abbiano un atteggiamento predatorio? Creare in Italia un ambiente favorevole agli investimenti più virtuosi, agevolando la collaborazione e lo scambio di conoscenze tra le imprese che arrivano dall'estero e i territori in cui si insediano. Qualche esempio? Di solito, i grandi gruppi dei Paesi emergenti hanno interesse a insediarsi in un determinato contesto produttivo quando trovano le competenze e la tecnologia giuste per avviare un nuovo business. È il caso delle aziende cinesi che investono nel distretto automobilistico di Torino o nell'industria eolica della Danimarca. Tuttavia, se nello stesso territorio le multinazionali si scontrano con una burocrazia che non funziona e obbliga un dipendente straniero ad aspettare mesi soltanto per avere un visto per i propri familiari, le stesse aziende sono spinte a tornarsene a casa dopo qualche anno, portando con sé la tecnologia e il know how acquisiti. L'atteggiamento predatorio degli investitori esteri, insomma, spesso può essere causato anche da errori dei Paesi di destinazione. Intervista a Roberta Rabellotti, docente di Economia dello sviluppo e di Economia internazionale all'Università di Pavia LE MULTINAZIONALI DEI PAESI EMERGENTI NON FANNO SOLO ACQUISTI, SPESSO REALIZZANO NUOVI STABILIMENTI PERCHÉ ABBIAMO BISOGNO DEGLI ASIATICI «Guardiamo a ciò che è successo con l'acquisizione di Alitalia da parte di Etihad: abbiamo speso molti soldi per difendere l'italianità della nostra compagnia di bandiera e poi, dopo qualche anno, siamo stati costretti a venderla a un vettore di Abu Dhabi, con una scelta tardiva che si è rivelata inevitabile». Parola di Andrea Giuricin, che considera un atteggiamento miope e anacronistico il timore delle multinazionali in arrivo dai Paesi emergenti. Dovremmo accoglierle a braccia aperte, anche se si comprano pezzi importanti del nostro Paese? Sicuramente non possiamo chiudere loro le porte, in nome di una difesa della proprietà nazionale delle aziende che finora ha fatto solo danni. In un mondo globalizzato, rinunciare ai capitali che arrivano dall'Asia o dall'America Latina non ha senso. Se non trovano spazio da noi, sicuramente si indirizzeranno altrove. Avere l'industria nazionale in mani straniere non è negativo? Prendiamo il caso della Spagna, che oggi è uno dei maggiori produttori di auto in Europa, con 2,4 milioni di vetture costruite ogni anno. Questo primato è stato raggiunto grazie alla massiccia dose di investimenti stranieri nella Penisola Iberica, dove hanno scelto di insediarsi i maggiori gruppi automobilistici del mondo, da Ford a Nissan. L'unica azienda nazionale di questo settore, cioè Seat, ha un ruolo ormai marginale sul mercato. E allora, viene da chiedersi, perché un altro Paese non dovrebbe seguire l'esempio spagnolo? C'è chi teme però che queste multinazionali vengano da noi per prendersi la tecnologia o il marchio di qualche impresa importante, per poi tornarsene a casa. Non vede questo rischio? C'è sempre, qualunque sia la provenienza di una multinazionale, quando il nostro Paese non è in grado di creare un ambiente favorevole agli investimenti. Se l'Italia riesce a essere attrattiva, poco importa se i capitali arrivano da Asia, Europa o dagli stessi italiani. Quando le nostre aziende vanno nei Paesi emergenti, però, spesso non trovano le porte aperte... È vero. Piuttosto che trincerarsi dietro a un miope atteggiamento di ostilità verso lo straniero, i Paesi europei devono battersi nei negoziati del Wto, l'organizzazione mondiale del commercio, per stimolare la reciprocità. Se le aziende cinesi o indiane possono venire a investire da noi facilmente, anche le imprese italiane e del Vecchio Continente devono trovare le stesse condizioni in Asia. Intervista ad Andrea Giuricin, economista dell'Istituto Bruno Leoni e docente di Mobility management all'Università di Milano Bicocca NEL BENE E NEL MALE Alcuni esempi positivi e negativi di acquisizioni da parte di multinazionali di Paesi emergenti. In senso orario, il presidente del Parlamento Ue Martin Schulz in visita all'acciaieria di Piombino, appena comprata dagli algerini; un veivolo della Piaggio Aero, rilevata ma già rivenduta dagli indiani di Tata; il marchio Guru che, dopo le vicissitudini del fondatore Matteo Cambi, è finita sull'orlo del fallimento nonostante l'arrivo di una proprietà orientale, e Krizia, brand di moda finito nelle mani di un gruppo cinese DOVE PUNTANO LE AZIENDE 31/03/2015 Business People - ed. N.3 - marzo 2015 Pag. 19 (tiratura:60000) SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015 16 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Numero di operazioni per settore CINESI 128 105 97 62 841 118 95 460 197 79 ALTRI SETTORI ELETTRONICA ALTRI SETTORI INDIANE SERVIZI FINANZIARI MECCANICCA E MOTORI AUTOMOTIVE SOFTWARE SERVIZI ALLE IMPRESE COMUNICAZIONI BIOTECH E FARMACEUTICA 31/03/2015 Business People - ed. N.3 - marzo 2015 Pag. 23 (tiratura:60000) RIPARTIAMO DALLE START UP L'ITALIA ORA PUNTA SULL'INNOVAZIONE, MA RISPETTO A GERMANIA, FRANCIA, REGNO UNITO E SPAGNA RESTA INDIETRO DI ALMENO DIECI ANNI. PER RECUPERARE IL GAP SERVONO MOLTE PIÙ RISORSE MATTEO T. MOMBELLI La buona notizia è che il treno è partito. Quella meno buona è che viaggia con almeno dieci anni di ritardo. Si può riassumere così l'attuale ecosistema italiano delle start up, che nell'ultimo anno ha sì visto crescere esponenzialmente il numero di imprese innovative nel nostro Paese, così come i fondi a esse destinati, ma che deve fare ancora tanta strada. Oggi il termine start up è diventato sinomino di ripresa, innovazione. Ma perché seguire il sogno di fondare un'impresa di successo quando si potrebbe, invece, investire su quelle esistenti? Perché studi internazionali, come quello di Kauffman Foundation, preso in considerazione anche dallo stesso ministero dello Sviluppo economico, parlano chiaro: le imprese innovative hanno un maggiore impatto sui livelli di produttività e occupazione rispetto a quelle tradizionali. Un esempio? Il 40% del pil degli Stati Uniti viene realizzato da imprese che non esistevano 20 anni fa; di questo 40% circa la metà è prodotto da aziende digitali come Google, Apple e Facebook. Non solo. Mentre Oltreoceano le aziende mature cancellano un milione di posti di lavoro, le start up ne creano 3 milioni l'anno. In un'economia avanzata come la nostra c'è poco da fare: crescita del pil e occupazione si creano con le nuove imprese. «Ben vengano l'apertura di un bar o di un'azienda manifatturiera», sottolinea Andrea Rangone, responsabile degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, ateneo che ha realizzato il primo osservatorio italiano dedicato alle start up. Il valore aggiunto, però, sono le nuove imprese hi tech. «Sono quelle che reinventano le regole del gioco, quel motore di novità e produttività di cui il nostro Paese ha bisogno». Un punto di vista condiviso anche dalla politica, che già dal 2012, attraverso il decreto Crescita 2.0 (poi rinconvertito nella legge n. 221/2012), ha istituito un regime agevolato per quelle imprese che si occupano di sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico. In altre parole, start up innovative. ECOSISTEMA TRICOLORE Negli ultimi tre anni attorno a questo termine si è creato terreno fertile per lo sviluppo di tali imprese. Solo nel 2014 l'osservatorio start up della School of management del Politecnico ha registrato un aumento del 120% di start up innovative, che oggi sono più di 3.200, si trovano per il 60% al Nord (il 21% al Centro e il 22% al Sud) e danno lavoro a circa 13 mila persone, tra soci e dipendenti. A crescere sono state anche le start up finanziate (+74%), gli investitori istituzionali (+16%) e gli incubatori (cento in Italia); in aumento di circa il 60% le competizioni dedicate e quasi raddoppiati gli spazi di coworking (62). «Il ciclo è partito», commenta Rangone. «Cresce l'interesse da parte della politica, della stampa e della finanza, che si avvicina a piccoli passi. C'è più attenzione anche da parte delle università, che fino a ieri avevano presentato ai giovani altri modelli di successo: meglio manager o consulenti piuttosto che imprenditori». Di questo è convinto anche Andrea Di Camillo, ex imprenditore e oggi fondatore della società di venture capital P101; nel corso della sua carriera ha investito in più di 40 aziende (tra cui Yoox, Venere, Viamente) e co-fondato Vitaminic e Banzai, quest'ultima appena quotatasi a Piazza Affari. «L'ecosistema sta migliorando e non è solo una questione di numeri. Più se ne parla e sempre più persone valutano l'avvio di una start up come un'opportunità: posso decidere se mandare un cv a un'azienda o fare la mia azienda», spiega Di Camillo. «Così il mercato si migliora a livello qualitativo e culturale, arrivano più soldi e si innesta un circolo virtuoso. Rispetto a tre anni fa, quando c'era il Medioevo, le cose sono cambiate». UN BUSINESS SOSTENIBILE? Agli aspiranti Zuckerberg va ricordato che non è tutto rose e fiori. «Le start up sono società appena nate il cui percorso di crescita dipende dalle capacità degli imprenditori e dei manager che le gestiscono», ricorda Di Camillo; e durante questo percorso di crescita «alcune diventano belle aziende, altre limitano le loro ambizioni, altre ancora non vedranno mai la luce. È un fatto normale». Tassi di mortalità superiori all'80, se non al 90%, un dato che vale sia per gli Stati Uniti che per l'Italia. Per molti il successo è SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015 17 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Mercato 31/03/2015 Business People - ed. N.3 - marzo 2015 Pag. 23 (tiratura:60000) SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015 18 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato una chimera, anche se bisogna distinguere due livelli. È raro assistere a società che arrivano a quotarsi con grandi Ipo come Yoox o Volagratis, per queste si parla di percentuali decisamente inferiori all'1%. Ma avviare una nuova impresa non significa per forza realizzare una nuova Paypal o Uber, soprattutto in un Paese che fa della piccola e media impresa il suo cavallo di battaglia. E se il successo viene visto semplicemente come la nascita di un business sostenibile, allora le percentuali cambiano e raggiungono anche il 20%. «È molto importante parlare ai ragazzi anche di questo livello», spiega Rangone. «Start up non significa solo provare a creare "Facebook 2 la vendetta", start up è poter fare un lavoro che si ama, anche se si arriverà a soli dieci20 dipendenti, senza quotazione o venture capitalist alle spalle, ma divertendosi e contribuendo all'innovazione del sistema». Ma se almeno il 70% delle imprese che ricevono i finanziamenti non vedrà mai la luce, il business è conveniente per gli investitori? «Ovvio! Se non lo fosse, non farei questo lavoro», sorride Di Camillo, che aggiunge: «Una domanda del genere negli Stati Uniti non verrebbe neanche fatta. In un mercato normale questa è una fase naturale di investimento, che serve a ricambiare il tessuto economico di un Paese». A.A.A. RISORSE CERCANSI Nel 2013 i finanziamenti complessivi in start up hi tech - provenienti sia da investitori istituzionali che da business angel e venture capitalist - hanno raggiunto i 129 milioni di euro (+15% sul 2012); nel 2014 gli ultimi dati disponibili parlano di un bilancio in calo a 110 milioni di euro, dovuto in buona misura alla chiusura dei fondi con target di investimento sul Sud Italia. Il lato positivo è che si è comunque registrato un netto incremento del ruolo svolto dagli investitori non istituzionali (business angel, acceleratori e incubatori), che a oggi pesa per il 50% delle risorse. Numeri che rimangono ben lontani rispetto a quelli di Germania, Francia, Regno Unito e Spagna: Roma investe in start up un ottavo rispetto a Parigi e Berlino, un quinto rispetto a Londra e meno della metà rispetto a Madrid. Il problema, spiega il ricercatore del Politecnico, è che «per almeno un decennio ci siamo completamente dimenticati delle start up hi tech. Dopo la bolla di Internet negli anni 2000, non le abbiamo più considerate, pensando fosse tutta una fregatura; non abbiamo considerato che un pezzo del nostro futuro potesse essere legato a esse». In altri Paesi questo non è avvenuto e ora possono contare su un ecosistema collaudato, con alle spalle almeno 15 anni di esperienza sul campo. «È come se fossimo un ragazzino alle elementari, mentre Paesi come Francia, Germania e Svezia sono studenti universitari». C'è quindi un gap temporale enorme da recuperare. Ma il "ragazzino" ha iniziato il suo ciclo di apprendimento e stuLE SKILL NECESSARIE LA DIFFERENZA LA FANNO LE PERSONE Non tutti nascono imprenditori: la stessa idea gestita da diversi individui può trasformarsi in fallimento o successo. TESTARE IL MERCATO Inutile perdere troppo tempo a lavorare sulla carta. Meglio arrivare rapidamente a un prototipo e testarlo sul mercato per ricevere un feedback dai clienti e creare un prodotto di valore. Soprattutto nel mondo delle start up digitali, la velocità è un valore aggiunto. COMPORRE IL TEAM DETERMINAZIONE, FORZA DI VOLONTÀ Bisogna saper condividere con un possibile investitore le proprie ambizioni. Chi finanzia cerca qualcuno che possa dire: «So che è un rischio, ma posso puntare a fare qualcosa di grande». A volte, sulla base delle proprie caratteristiche personali e della start up, è utile farsi affiancare da un co-founder, da un tecnico o da un responsabile commerciale. SE SI ESCLUDE LA DEFINIZIONE GIURIDICA DI "START UP INNOVATIVA" (STARTUP.REGISTROIMPRESE.IT), ATTORNO A QUESTO SEMPLICE TERMINE SI È CREATA UN PO' DI CONFUSIONE. C'È CHI LO INTENDE COME L'AVVIO DI UN'ATTIVITÀ IMPRENDITORIALE, MENTRE PER ALTRI È SINONIMO DI IMPRESE TECNOLOGICAMENTE AVANZATE. PIÙ CHIARO, INVECE, QUALI SONO LE BASI PER IL SUCCESSO DI QUESTO TIPO DI AZIENDE: IN UN'ECONOMIA AVANZATA COME LA NOSTRA C'È POCO DA FARE: CRESCITA DEL PIL E OCCUPAZIONE SI CREANO CON LE NUOVE IMPRESESARDEX DECISYON EMPATICA TALENT GARDEN MUSIXMATCH Fonte: Le prime start up segnalate da La top 100 del 2015 di StartupItalia www.decisyon.com Partita come start up, ormai Decisyon è molto di più: un'azienda ben avviata, una piccola multinazionale italiana del software. Fondata a Latina nel 2005 da Franco Petrucci, Decisyon ha fatto il salto di qualità nel 2009, grazie all'incontro nella Silicon Valley con un altro italiano, 31/03/2015 Business People - ed. N.3 - marzo 2015 Pag. 23 (tiratura:60000) SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015 19 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Cosimo Palmisano, fondatore della start up Ecce/Customer, poi fusa a quella italiana di cui è divenuto vicepresidente. Il sodalizio ha portato a una società in grado di creare il servizio che, attraverso un'approfondita analisi dei dati, anche non strutturati, permette di prendere decisioni migliori all'interno dell'azienda. Ha ricevuto il più grosso investimento dell'anno fatto in start up innovative in Italia: 22 milioni di dollari dal fondo Cataliyst. Città Latina Team 115 persone Finanziamenti 37 milioni di dollari www.empatica.com Nata a Milano nel 2011, ha già più di 150 clienti nel mondo, tra cui la Nasa. Fondata da tre ingegneri del Politecnico di Milano (Matteo Lai, Simone Tognetti e Maurizio Garbarino), Empatica punta a migliorare la vita delle persone attraverso l'analisi sofisticata dei dati raccolti da dispositivi wearable. Dopo i primi device la fusione con uno spinoff del Mit Media Lab di Boston e l'ingresso in società di Rosalind Picard porta alla nascita di Embrace, primo bracciale che previene gli attacchi epilettici. Il progetto, lanciato sul portale di crowdfunding Indiegogo, è un successo: raccolti oltre 500 mila dollari, 100 mila dei quali in un solo giorno. Città Milano e Boston Team 15 persone Finanziamento 2 milioni di dollari www.musixmatch.com Soddisfare la grande richiesta mondiale di testi delle canzoni con una semplice app. Da questa intuizione nasce MusiXmatch, realtà bolognese fondata nel 2010 da un team di ex dipendenti Dada, storica Internet company nata nel 1995. Oggi, grazie a una partnership con Spotify, MusiXmatch sincronizza i testi delle canzoni con l'album musicale di 30 milioni di utenti nel mondo. La start up ha ottenuto uno dei più grossi round di investimento nel 2014 e, sempre lo scorso anno, ha superato il milione di euro di fatturato. Città Bologna Team 30 persone Fatturato 1,5 milioni di euro www.sardex.net Si potrebbe definire il baratto del terzo millennio quello ideato da Carlo Mancosu e dai fratelli Gabriele e Giuseppe Littera. Sardex ha creato una moneta di scambio complementare per la fornitura di beni e servizi tra aziende e pmi. Grazie a un circuito di vendita di prodotti e servizi pari a 36 milioni di beni da 2.500 aziende destinati a rimanere invenduti, la start up è riuscita a muovere l'economia della Sardegna e creare valore. E oggi il circuito di credito commerciale realizzato su Sardex.net viene utilizzato in otto regioni italiane. Per iscriversi le aziende devono dare una quota annuale in relazione al proprio fatturato. Città Serramanna (Vs) Team 46 persone Fatturato 1,2 milioni di euro talentgarden.org Arriva da Brescia il primo network europeo di coworking digitale, nato con l'obiettivo di creare un luogo fisico dove riunire tutte le persone di talento che si occupano di innovazione. Lanciato a fine 2011 nella città lombarda, oggi Talent Garden può vantare una rete di 500 membri residenti e migliaia di persone che transitano negli spazi allestiti in otto città italiane (Talent Garden è presente anche a Barcellona e nella lituana Kaunas) durante gli oltre 300 eventi organizzati ogni anno. Città Brescia Team 30 persone Fatturato 2 milioni di euro START UP INNOVATIVE IN ITALIA VALORE DI PRODUZIONE MEDIO VALORE MEDIO DELL'ATTIVO DA NORD A SUD: CHI SONO GLI IMPRENDITORI QUANTE SONO REGIONE PER REGIONE 2,51% 55 20 83 26,54% 196 382 11,98% 3.348 131.451 € 243.850 € 92 31/03/2015 Business People - ed. N.3 - marzo 2015 Pag. 23 (tiratura:60000) SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015 20 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato 322 56 740 11 141 15 29 243 139 100 131 216 665 119 35 10 46 32 253 DISTRIBUZIONE PER SETTORE ECONOMICO 473 90 1.932 Donne TURISMO Stranieri Under 35 COSTRUZIONI COMMERCIO ALTRI SETTORI NON CLASSIFICATE Aggiornato a Febbraio 2015 Aggiornato a Febbraio 2015 Aggiornato a Settembre 2014 TRASPORTI E SPEDIZIONI SERVIZI ALLE IMPRESE ABRUZZO BASILICATA CALABRIA CAMPANIA EMILIA ROMAGNA FRIULI VENEZIA GIULIA LAZIO LIGURIA LOMBARDIA MARCHE MOLISE PIEMONTE PUGLIA SARDEGNA SICILIA TOSCANA TRENTINO ALTO ADIGE UMBRIA VALLE D'AOSTA VENETO Fonte: Camere di Commercio d'Italia Aggiornato a Febbraio 2015 ASSICURAZIONI E CREDITO AGRICOLTURA E ATTIVITÀ CONNESSE ATTIVITÀ MANIFATTURIERE, ENERGIA, MINERARIE È RARO VEDERE SOCIETÀ CHE ARRIVANO A QUOTARSI CON GRANDI IPO, MA È GIÀ UNA VITTORIA LA NASCITA DI UNA PMI IN GRADO DI SOPRAVVIVERE