Antonio Fabiani (1840-1915) Antonio Fabiani, figlio di Giovanni ed

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Antonio Fabiani (1840-1915) Antonio Fabiani, figlio di Giovanni ed
Antonio Fabiani
(1840-1915)
Antonio Fabiani, figlio di Giovanni ed Elena Morocutti, nacque a Dierico nel 1840. Grazie
ai contatti commerciali che il padre Giovanni (nota) aveva con la sig.ra Apollonia Moro
ved. Linussio, ebbe modo di conoscere la nipote di quest’ultima, Lucia Scala, che viveva
con lei e che sposò nel 1864 (anno in cui giunsero i Garibaldini a Dierico) (nota). Da lei
ebbe 9 figli tra cui Giovanni a cui lasciò in seguito il più volte nominato Palazzo. Come la
Zia acquisita Apollonia, condusse pure lui per molti anni l’osteria ed il negozio apportando
alcune migliorie, facendo inoltre dipingere lo stemma della famiglia Fabiani nel grande
salone posto al secondo piano dove si tenevano i pranzi di nozze. Eletto Sindaco di
Paularo nel 1871, ricoprì tale carica sino al 1873. In occasione della costruzione del nuovo
ponte di pietra sul fiume Chiarsò, nel 1871(nota), fu incaricato, considerato pure il fatto che
dalla sua abitazione si poteva osservare nel modo migliore i lavori in corso, di fare il
sorvegliante per un compenso di 400 lire, lui però si dichiarò immeritevole di tale somma
e ne accettò solo 200. Nel 1880, avendo intuito che si poteva sfruttare in altro modo le
sorgenti solforose e pudia ( come già aveva il comune di Arta), fece analizzare, tramite il
prof. Wolf di Udine (nota), le acque delle sorgenti in oggetto. I risultati delle analisi della
stazione sperimentale agraria di Udine purtroppo non furono positivi e pertanto Antonio ,
seppur a malincuore, dovette rinunciare al suo ambizioso progetto (nota). Nella lettera di
risposta il prof Wolf invitava pure il sig. Fabiani a fare una visita ad Udine per ottenere
fondi per ultimare i lavori della strada Paularo –Cedarchis (parte della vecchia provinciale)
che erano stati interrotti più volte per le gravose spese a cui il comune di Paularo era
andato incontro. Nel 1885 fu protagonista di un avvenimento singolare. Nell’agosto di
quell’anno ,infatti, il poeta Giosuè Carducci (nota) , dopo essere partito da Arta Terme
dove si trovava in villeggiatura ed aver attraversato Paluzza, Treppo e Ligosullo, giunse,
via Duron, stanchissimo a Paularo. Qui sostò per alcune ore proprio nella locanda di
Antonio, il quale avendo notato il poeta fradicio di sudore, gli prestò una sua camicia per
cambiarsi. Per anni, Antonio mostrò agli amici quella camicia come un prezioso cimelio
storico (nota). Nel 1894, suo malgrado, assistette ad un altro fatto che tuttora gli anziani di
Paularo amano raccontare ai loro nipoti come pure loro avevano sentito descrivere tale
fatto dai loro nonni. Il 21 Luglio di quell’anno, mentre era in corso il collaudo (Antonio era
sicuramente presente) del nuovo ponte di ferro, sito all’inizio del paese, opera molto
costosa che andava ad ultimare finalmente i lavori (iniziati ancora nel 1856) per la
costruzione della sopraccitata nuova strada Paularo-Cedarchis (nota), il ponte
improvvisamente crollò nell’alveo sottostante del fiume Chiarsò. Subito dopo il crollo si
contarono 4 feriti leggeri ed uno gravissimo. Quest’ultimo, l’ing. Francesco Venier, oriundo
di Cavasso Nuovo, direttore dei lavori, fu subito trasportato nell’abitazione di Antonio dove
si spense verso le 14,15 dello stesso giorno all’età di 49 anni e dove furono pure
organizzati i suoi funerali (nota). Come si può notare quindi il Palazzo anche verso la fine
del secolo XIX era sempre considerato un luogo dove si consumavano i fatti più importanti
del paese. Il sig. Antonio, soprannominato Scior Toni dal Palac, si spense all’età di 75
anni, nel 1915 ( la moglie Lucia era scomparsa 5 anni prima nel 1910).
Fratelli Fabiani all’esterno de Palazzo Fabiani nel 1891
Da sinistra prima fila in piedi:
1) Fabiani Antonio (Scior Toni dal Palaz – Dierico 1840-Paularo 1915), 2) Pietro Fabiani
(Dierico 1843-Paularo 1913), 3) Fabiani Giovanni (Dierico 1849-Dierico 1912)
2) Sempre da sinistra seconda fila:
1) Fabiani Giovanni (figlio di Antonio) (Paularo 1876-Paularo 1946),2) Luigi Fabiani
(Dierico 1858-Paularo 1891)
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Lettera di Carducci alla moglie da Piano d’Arta del 7 Agosto 1885
Cara Elvira, non dirai che io non faccia movimento. Ieri feci un viaggio di 30 miglia, tutto a
piedi; per quali vie! Partimmo da Piano alle 5 di mattina, per la strada provinciale , fino a
Paluzza; dove facemmo colazione, salame, pane, (in questi paesi il pane è ottimo da per
tutto , mettono del burro nella pasta) e vino bianco. Proseguimmo per Treppo: dopo
Treppo cominciammo a montare il Durone verso le nove; circa le 11 eravamo in cima, ma
che salita! Io soffiavo come un Mantice, e grondavo dal capo sudore e goccie grosse
come pioggia di questi tempi. Di quando in quando ci fermavamo: credevo di non andare
avanti. E pure feci la discesa, più travagliosa della salita giù per balzi, che erano poi
torrenti secchi; tra sassi, sotto il sole. Arrivammo a Paularo verso mezzogiorno. Risolvei e
affermai di non voler andare più avanti; di rimanere la notte lì. Cominciai a bere acqua con
vino bianco; e poco alla volta mi rinfrancai; poi mi spogliai, cambiai la maglia e la camicia
con altre che mi dette un professore tedesco ( nota) , e andai a letto, prendendo un caffè
freddo, stetti a letto due ore. Mi rialzai, che ero più fresco di prima: mangiammo. Pareva
che non ci dovesse essere nulla. Avete galletti? No, bisogna andare a Tolmezzo. Avete
carne di nessuna bestia? C’è da ammazzare un montone. Ma ci vuol tre ore. Ma insomma
non avete nulla ? Non c’è altro che ova, prosciutto e formaggio: Intanto il tedesco, che è
pratico di questi luoghi, era andato dal curato; tornò con due galletti. Di questi due galletti.
Che non potevano servire a tanta gente, fu cucinato da un professore del Liceo di Udine,
mentre io era a letto un risotto ottimo; e poi una frittata. Mentre mangiavano , da tutte le
parti si sentiva cantare i galletti. I galletti del paese, sicuri di non aver più tirato il collo, ci
insultavano. Ma in questa osteria, dove non c’era nulla da mangiare, trovammo da bere,
barolo ottimo. Con quel barolo in corpo, fui il primo a dire di ripigliare il viaggio. Per un
pezzo strada bellissima, regione incantevole, fiumi, torrenti, boschi di abeti e di larici, rupi,
cascate, villaggi sparsi qua e là. Ma, col buio, cominciò il brutto. Bisognava far via sur un
sentiero, che orlava , per dir così, un precipizio verde e orridamente bello, ma
pericolassimo, a pendio sul Chiersì, fiume che rumoreggiava in fondo. Ed era buio. E il
sentiero andava a zig-zag, e c’erano gradinate selvagge di macigni che erano una
bellezza. Io andavo avanti a tentoni, reggendomi a una pertica che due giovani, uno
innanzi uno dietro di me, tenevano per mano. E durò un’ora. Un altro fece lume bruciando
dei giornali . Così alla fine arrivammo alla via buona. E fummo all’albergo alle 11. Ma non
c’è più carta. Addio. Ti abbraccio e la Lauretta. Oggi sto benissimo e rivedo stampe. Anzi
no. Suona la campananella, e vo a pranzo. Fa leggere questa lettera a Brilli, e che mi
scriva.
Tuo……….