qui - Roberto Benasciutti

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qui - Roberto Benasciutti
ROBERTO BENASCIUTTI
COPYRIGHT ROBERTO BENASCIUTTI 2013
IL DISEGNO DELLA COPERTINA E’ STATO ESEGUITO DA BARBARA BIASION.
Cell:3480959211
PREFAZIONE
Ho scritto questa raccolta basandomi sul modello delle favole di Esopo: ogni favola propone un messaggio
contenuto nella nota finale, da sottoporre al giudizio dei lettori.
Ho diviso il testo in due sezioni: la prima per bambini, la seconda per adulti. Tuttavia anche i bambini, guidati da persone mature, possono leggere le favole per adulti. Per comprendere più a fondo il significato di
alcune favole, ho corredato il testo di note esplicative di carattere letterario, storico o di altro genere.
RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare vivamente coloro che hanno contribuito alla realizzazione del libro: Arriane Pimentel
per i disegni, Barbara Biasion per la copertina, Giselda Benasciutti per la revisione delle favole e Ivan Speziale per la composizione del testo.
Dedicato a CHARLES, CURL & NICOLE
PARTE I : FAVOLE PER BAMBINI
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IL LEONE, I MOSCERINI E LA REPUBBLICA DELLE GAZZELLE
IL LUPO, I TRE CAPRETTI NERI E LA PROCLAMAZIONE DEL ‘RE DEI FOSSI’
IL GATTO RANDAGIO, I CRICETI E GLI ADESIVI A SFERA
IL GATTO MARRONE, IL GIOVANE TOPO E LA VECCHIA SEDIA DI LEGNO
LA MOSCA, IL TOPO, IL GATTO PAFFUTO E IL CIBO DELLA DISPENSA
LO SCARAFAGGIO MARRONE, IL DIAMANTE GREZZO E I DUE MOZZICONI DI SIGARETTA
IL PICCIONE, IL QUADRO AD OLIO E IL BECCO DELL’AIRONE
IL VECCHIO GALLO E LE PRETESE DINASTICHE DELLA GIOVANE FARAONA
IL NUMERO ZERO E IL VANTO DELL’ELASTICO SFILACCIATO
LA CROCE DI FERRO, LA NEVE E IL VENTO DELL’ALTA MONTAGNA
LA GENEROSITA’ DELL’OCA E LA PIANTA DALLE FOGLIE LARGHE
L’ACACIA, IL FUNGO VELENOSO, LA PIETRA QUADRANGOLARE E IL CONFINE DEL BANANETO
IL CANE RANDAGIO, I GUANTI DI NAPPA E IL PIATTO DI MAPPANZA
IL GATTO TIGRATO, IL CAGNOLINO E LA PELLE DI PESCE
LE FORMICHE, IL PADRONE DI CASA E IL BARATTOLO DI ZUCCHERO
L’ACACIA, I SASSI, I MATTONI DI SCARTO, IL CAMALEONTE E LA STAGIONE DELLE PIOGGE
LA MOSCA E LA LETTURA DEL GIORNALE SU INTERNET
LA FORMICA SCHIFILTOSA, LA FARFALLA BIANCOVIOLACEA, LO SCARAFAGGIO MARRONE E LE
SPIRE DEL SERPENTE
LE NOBILTA’ DI SPADA E DI TOGA E IL VANTO DEL PESCESPADA
I DUE SCARAFAGGI E IL COMPLEANNO DEL GATTO GRIGIO
IL CAGNOLINO, IL GATTINO NERO E L’ASTUZIA DELLA VOLPE
IL GATTO DAL PELO RADO E LA PUNTURA DELLA FORMICA
LE GALLINE, IL GATTO ZOPPO E LA CAPRA ORGOGLIOSA
IL GATTO NERO, LA GALLINA DAL COLLO LUNGO E IL CIBO PER LE GENERAZIONI FUTURE
IL COPERCHIO DI PLASTICA E LE FORMICHE TROPICALI
LA NEVE, IL SALE E LA POTENZA DEL SOLE
IL GATTO BIANCONERO, IL CANTO DEL GRILLO E LA LUNA PIENA
IL CACCIAVITE A STELLA, LO SCATOLONE DI LAMPADINE E L’AZIONE DELLA LUNA
LE DUE GOMME, L’AGRICOLTORE E LA CASUPOLA AI PIEDI DELLA PALMA INCLINATA
IL FLORICOLTORE, IL PICCOLO CACTUS E L’UOVO TROPICALE
IL GATTO E IL PESCE RACCHIUSO NEL NYLON
LA STATUA DI ALESSANDRO IL GRANDE, L’OMBRA E LA POZZANGHERA
L’AGRICOLTORE E I DIRITTI DEL VECCHIO MANGO
IL CALABRONE, L’EMIGRAZIONE DELLE API E LA LUNA DI MIELE
PARTE II : FAVOLE PER ADULTI
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IL LEONE E IL COLPO DI ZAMPA DELLA VOLPE
IL CAVALLO, L’ASINO E LE SOFFERENZE DEL MILLEPIEDI
LA VOLPE ROSSA, LA SCIMMIA E L’INCORONAZIONE DEL GIOVANE LEONE
IL LUPO INNAMORATO, LA LUPA GRIGIA, LA VOLPE E IL TAGLIO DEL BOSCO
L’AVVOLTOIO, L’UCCELLATORE E IL VOLO DELLA TARTARUGA
LE VESPE, L’APIARIO E L’ATTESA DELLE API MURATRICI
IL TOPO DI CAMPAGNA E LO ‘ZIO’ DEL TOPO DI CITTA’
LA MOSCA DALLA TESTA GROSSA E L’ASSEMBLEA ANNUALE DELLE VOLPI
LE FORMICHE TROPICALI E IL TAVOLO DELLA SALA DA PRANZO
IL VERME, LA FARFALLA ROSSASTRA E L’ESCA DEL PESCATORE
LA FARFALLA NOTTURNA, LA LAMPADINA A BASSO CONSUMO, IL LAMPIONE NERO E IL TRAMONTO DEL SOLE
IL DOLLARO D’ORO AMERICANO, L’ACCENDINO D’ARGENTO E LA CONFERENZA INTERNAZIONALE DELLE MONETE
IL SALE, IL PEPE, I FIAMMIFERI E LE DIFFERENZE DI COLORE
L’AZOTO, L’OSSIGENO, LE POLVERI SOTTILI, LA CANNABIS, LA COCAINA E LA FINE DEL 2012
IL LEONE E IL TRATTATO DI AMICIZIA E DI NON-AGGRESSIONE COL CAMMELLO
L’ASINELLO, LA VOLPE, IL CORVO E I DIVI DI CELLULOIDE
LA SCIMMIA DALLA TESTA TRIANGOLARE, L’ISOLA DI CRETA E IL MARE DEI CORVI
GLI ANIMALI DEL BOSCO E L’INVITO AL CERVO VOLANTE
IL SERPENTE, IL BRUTTO ROSPO E LA SEGALA CORNUTA
L’OCA DALLE GRANDI UOVA, LA VOLPE E LA CAVA DI CALCE VIVA
LA VOLPE, L’USIGNOLO, IL CONCERTO DEL CORVO E LA LIRA
IL PESCESPADA, IL TONNO E I PERICOLI DEL MARE DI SICILIA
LA LAMPADINA A BASSO CONSUMO, L’ACCENDINO E IL MOTO APPARENTE DEL SOLE
LA CETRA, IL PLETTRO, IL MUSICISTA E L’ACQUISTO DELLA CHITARRA ELETTRONICA
LA PENNA D’OCA, IL CALAMAIO, LE PENNE ‘BIC’ E IL QUADRO DI VENEZIA
IL PEZZO DI CUOIO NERO, LE STOFFE DI LINO, LO STRACCIO DI COTONE E L’APPARIZIONE DELLA
LORICA
IL LEONE, L’ELEFANTE, L’ORSO DELLE NEVI E LO SPARGIMENTO DI SALE
L’ELEFANTE E LE ZAMPE DELLA TARTARUGA
LA MORTE DEL LUPO, LA RABBIA DELLE PECORE E L’ASTUZIA DELLA VOLPE
LE GALLINE, L’UOVO DI COLOMBO, LA LAMPADINA A BASSO CONSUMO E IL RECUPERO DEI RIFIUTI ORGANICI
LA FARAONA DAL MANTO SCREZIATO, LA GALLINA SPELACCHIATA E IL GIOCO DEL FARAONE
LE TRE OCHE DEL LITORALE TOSCANO E LE INSIDIE DELLA VOLPE
LA COLOMBA, LE UOVA DELL’AQUILA E LE ASPIRAZIONI DEL FALCO
IL PICCIONE DI CITTA’ E LE PAURE DEL PICCIONE DI CAMPAGNA
I DUE FUCHI, IL PLATANO, L’EDERA E L’AMORE
LA VESPA ROSSA, L’APE REGINA E LA RISCOPERTA DEL VESPASIANO
IL TOPO CIECO E L’OSPITALITA’ DEL FIENILE
IL PASSERO, L’AMICIZIA CON I FILI DELLA CORRENTE ELETTRICA E L’APPARIZIONE DELLA FARFALLA MULTICOLORE
LE DUE ROSE, IL CONCORSO DI BELLEZZA E IL CONTENITORE D’ARIA LIQUIDA
IL LAMPIONE, I LAMPIONCINI A FUNGO E LA ROTAZIONE DELLA LUNA
IL CANCELLO GRIGIO, LA SIEPE E L’INSTALLAZIONE DEL CANCELLO AUTOMATIZZATO
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IL FIUME GIALLO, IL GATTO MESSAGGERO, IL PICCIONE VIAGGIATORE E LA NOTIZIA DEL SECOLO
IL LEONE, IL DELFINO, LA VOLPE E LA SUCCESSIONE AL TRONO DELLA SAVANA
LA VOLPE MACULATA E IL DEPOSITO DI CARBONELLA
IL CARIBU’ FILIPPINO, LA MOSCA E LA POTENZA DEL SOLE
IL GALLO, IL PAVONE E LA FUGA DEL TACCHINO
IL CORVO, I TIZZONI DI FUOCO E L’INCENDIO DEL BOSCO
L’AGRICOLTORE, IL GALLO ROSSO, IL GALLO MULTICOLORE E GLI SCONFINAMENTI DELLE GALLINE
83. IL SIGNOR ROSSI, IL COMPUTER, IL PALLOTTOLIERE E LA MOSTRA DELLE COMUNICAZIONI
84. IL CASSONETTO DELL’IMMONDIZIA, LA VETTURA INQUINANTE E LO SCONTRO FRA ‘I ROSSI’ E ‘I
NERI’
85. IL LEONE, LA MORTE DEL DROMEDARIO E L’ASCESA AL TRONO DEL REGNO DEL DESERTO
86. L’ACCORDO FRA IL LUPO E LA VOLPE E L’INTERVENTO DELLA SCIMMIA
87. LA DELUSIONE D’AMORE DEL CERVO, IL RISVEGLIO DEL GHIRO E IL ‘PUGNO DI MOSCHE’
88. LA VOLPE, IL CAPRONE, L’APE E IL FUCILE DEL GUARDIANO
89. GLI AIRONI CINERINI, LE PREDE DEL TORRENTE SESSERA E IL NIDO SULL’ABETE ROSSO
90. LE FARAONE, LA VOLPE, L’ESERCITO DELLE CAVALLETTE E LA SICCITA’ DELL’ANNO 2006
91. I TOPI DELLA BIBLIOTECA E LE PIANTE DI RABARBARO
92. LA PISTOLA, IL PAIO DI SCARPE DI CUOIO, LA VOLPE E LA FUGA DELLE LEPRI
93. LA PARTE DEL LEONE, LA PARTE DEL SOLE E LA SICCITA’ DELLA SAVANA
94. IL CORVO, LA TANICA DI BENZINA E IL GUARDIANO DEL POLLAIO
95. IL GUARDIANO DEL DEPOSITO DI VINO, IL GATTO BIANCONERO, IL TOPO PAFFUTO E LA CARTOLINA SBIADITA
96. IL RAGNO E LE COLLINE DI S. REMO
97. L’ORGOGLIO DELLA FARFALLA NEROVIOLACEA, I MOSCERINI E LA DOLCEZZA DEL ‘SANTOL’
98. LA GUERRA FRA GLI UOMINI E LE RAGIONI DEL FALCHETTO
99. IL RAGAZZO DAI CAPELLI BIONDI, IL SOLE E IL ROMANZO DI ERNEST HEMINGWAY
100. IL PROGETTO FARAONICO DEL GALLETTO ROSSO, LE FARAONE E LA REPUBBLICA DEL BOSCO
FAVOLA N. 1
IL LEONE, I MOSCERINI E LA REPUBBLICA DELLE GAZZELLE
Il leone, re della savana, riceveva abitualmente nella sua tana l’uccello segretario o serpentario per programmare i suoi impegni. Quest’ultimo, avendo fatto amicizia con uno sciame di moscerini, si era proposto
di chiedere per loro un’udienza al monarca.
Un giorno, approfittando del buon umore del sovrano, il serpentario disse: “ Maestà, i moscerini della savana chiedono umilmente udienza”. Il leone rispose sorridendo: “ I moscerini sono una parte infinitesimale
del mio regno… Adesso, per favore, sfoglia l’agenda e ricordami gli appuntamenti giornalieri”. Poco dopo si
congedò battendo amichevolmente una zampa sul collo del suo collaboratore.
Marciando lungo il sentiero principale della savana, si disse: “ I moscerini sono un niente: perché dovrei dedicar loro il mio tempo?”. Giunto davanti ad un’euforbia un minuscolo insetto entrò nell’occhio destro del
grande felino che esclamò irritato: “ I moscerini non si vedono, ma si sentono!”.
Durante la notte fece uno strano sogno: dopo un accanito combattimento un elefante l’aveva ridotto in fin
di vita. Un branco di gazzelle accorreva ai suoi piedi ed una di loro disse: “ Il re sta per tirare le cuoia: ora
che è una nullità possiamo proclamare la repubblica delle gazzelle!”. Al risveglio il leone s’interrogò sul significato del suo sogno, che pareva ridimensionare la sua autorità.
Ma l’arrivo dell’uccello segretario interruppe le sue riflessioni: “ Eccellenza, i moscerini rinnovano umilmente la loro istanza d’udienza”. “ I moscerini sono una parte infinitesimale del mio regno…” ripeté il sovrano
con un ampio sorriso sulle labbra, precisando tuttavia: “ Devo ammettere che questi minuscoli insetti si ritagliano il loro spazio nell’aria senza disturbare nessuno. Ora, visto che tu appoggi la loro richiesta, puoi fissare un’udienza compatibile con gli altri miei impegni settimanali”. Detto questo, salutò cordialmente ed
imboccò il sentiero fiancheggiato da cespugli disuguali.
Soddisfatto, l’uccello segretario seguì con lo sguardo il leone mentre si allontanava fino a scomparire. Infine
s’interrogò: “ Ieri il re quasi non voleva sentir parlare dei moscerini, oggi accetta di riceverli: ma chi lo capisce?”.
NOTA: è auspicabile che le relazioni fra potenti e umili siano basate sullo spirito di collaborazione e di solidarietà.
FAVOLA N. 2
IL LUPO, I TRE CAPRETTI NERI E LA PROCLAMAZIONE DEL ‘ RE DEI FOSSI’
Un lupo percorreva il sentiero principale del bosco in cerca di prede, ma girando lo sguardo a destra e a
manca vedeva solo una fitta macchia d’alberi e cespugli. Improvvisamente un rospo balzò sul sentiero e il
predatore si disse: “ Sono talmente affamato che mi conviene mangiarlo!”. Aprì la bocca ed ingoiò il malcapitato che si mise a fare capriole nel suo stomaco. Il lupo soffriva, ma pensava che presto l’anfibio si sarebbe calmato.
Giunto alla radura, non credette ai suoi occhi: tre capretti neri stavano brucando l’erba bassa. Per sorprenderli, piegò le zampe ed avanzò a passi lenti. Il rospo pensò: “ Se il lupo ha rallentato il passo, deve trovarsi
vicino a una preda”. Allora per aiutare chi era in pericolo si mise a fare il verso della raganella e a muoversi
da ogni parte nello stomaco del suo nemico.
Sentendo ripetuti “gre-gre” diffondersi debolmente nell’aria, i tre capretti si guardarono attorno e, vedendo il lupo che si contorceva roteando nervosamente gli occhi, si domandavano che cosa succedeva. Il predatore si fermò, si adagiò sull’erba, fece uno sforzo su se stesso ed espulse il rospo con lo sterco.
Allora il capretto smilzo si rivolse ai suoi amici: “ Se fuggiamo il lupo ci rincorre. Fate come dico io: ridete a
crepapelle dopo ogni mia frase”; ed esclamò: “ Il re del bosco fa la popò in presenza dei suoi sudditi!”. A
queste parole i suoi amici scoppiarono in una fragorosa risata e nell’atmosfera piena d’allegrezza continuò:
“ Ecco! Il sovrano ha partorito un rospo!”.
Il lupo lanciò uno sguardo obliquo ai tre capretti e disse: “ Preferisco il disprezzo alla derisione!”; fece dietro-front e scomparve.
Il capretto smilzo sottolineò con aria soddisfatta: “ La mia ironia è stata utile!”. Poi i tre amici si rivolsero ad
una sola voce al rospo che stava lasciando la radura: “ Dove vai? Ti dobbiamo la vita!”. “Accetto il vostro
ringraziamento; sono sporco e corro al fosso per lavarmi”.
Ma i capretti belarono tre volte facendo sbucare dal verde gli scarabei, loro amici, che subito tolsero i
frammenti di sterco dalla pelle viscida dell’anfibio. Quando il loro salvatore fu ripulito a fondo, i tre capretti
intonarono una filastrocca:
Chi fa gre-gre può bere una tazza di thè
Chi beve una tazza di thè ne ha salvati tre
Chi ne ha salvati tre è degno di diventare re
Conclusa la tiritera, l’anfibio chiese incuriosito: “ In quale terra eserciterò il mio potere reale?”. “ Nei fossi:
ti proclameremo ‘ re dei fossi’!” esclamarono i tre amici. Ma il rospo respinse cortesemente l’offerta della
corona con queste parole: “ Vista la mia bruttezza, nessuno riconoscerà la mia autorità regale!”.
NOTA: a volte si può fare del bene anche in una situazione difficile.
FAVOLA N. 3
IL GATTO RANDAGIO, I CRICETI E GLI ADESIVI ROSSI A SFERA
Un gatto randagio che viveva in campagna decise di recarsi in città. Strada facendo si chiedeva: “Come fanno i gatti a procurarsi il cibo quotidiano nei centri abitati?”. Arrivato alla meta imboccò un viale alberato
fiancheggiato sulla destra da una fila di case disuguali e di negozi e sulla sinistra da edifici bassi adibiti a magazzini. Percorrendo il marciapiede di destra vide un negozio dove erano esposti animali in cassette di legno. Si avvicinò e si fermò stupito: una coppia di criceti si muoveva nello stretto spazio di una cassetta.
Affamato il piccolo felino li assalì ma batté il muso contro la vetrina rompendosi il naso. Per il dolore e la
rabbia lanciò un’imprecazione contro la vetrina trasparente e contro i criceti che finsero di non vederlo. Poi
si allontanò con passo lento e con il naso sanguinante, guardando con la coda dell’occhio il negoziante col
camice bianco in piedi dietro il banco di vendita che uscì dal negozio per soccorrere il ferito.
Ma il gatto randagio preferì darsela a gambe e prendendo la strada per la campagna pensò: “ Prima il negoziante cura la mia ferita, poi mi mette in vendita per recuperare le spese mediche. Così rischio di trovarmi
chiuso in una gabbia di ferro esposto in vetrina accanto ai criceti!”. Ritornato in campagna si disinfettò alla
meglio il naso con l’acqua fresca del ruscello, rallegrandosi in cuor suo d’essere di nuovo a casa.
Avendo riflettuto sull’accaduto, il proprietario del negozio di animali decise d’acquistare del materiale antinfortunistico. Il giorno dopo passò dalle parole ai fatti e contrassegnò la vetrina con adesivi rossi a forma
di sfera.
NOTA: la legge fa obbligo di porre degli adesivi colorati sulle superfici trasparenti.
FAVOLA N. 4
IL GATTO MARRONE, IL GIOVANE TOPO E LA VECCHIA SEDIA DI LEGNO
Un gatto marrone viveva in una casetta di un villaggio tropicale. Ogni giorno il padrone di casa gli dava da
mangiare i resti del pranzo e della cena: riso in bianco, lische di pesce e ossa di carne. Consumati i suoi pasti
nel fazzoletto di terra davanti alla porta d’ingresso della casetta, il piccolo felino si atteggiava a cacciatore
fiutando a destra e a manca lungo le strade. Poi ritornava a casa e si adagiava sull’erba.
Un giorno, mosso dalla curiosità, si avvicinò alla porta aperta della casetta di fronte alla sua. Con passo felpato entrò nella sala da pranzo e si guardò intorno: un ampio tavolo era collocato al centro e la parete opposta alla porta d’ingresso era occupata dalla credenza e dal frigorifero. Avvertito un lieve rumore il gatto
puntò gli occhi a destra del tavolo: un giovane topo stava rodendo una delle quattro gambe di una consunta sedia di legno. Rivolgendosi mentalmente al roditore gli disse: “Potrei mangiarti, ma ho appena fatto colazione. Perché dovrei dunque assalirti? Per dimostrare a me stesso che sono un cacciatore?”.
Il giovane topo, non avendo ancora scorto il suo naturale nemico, continuava a riempirsi la pancia. Il gatto
proseguì: “ Mangi il legno: ciò vuol dire che non hai trovato altro; infatti il cibo è chiuso nel frigorifero e nella credenza. Fai bene a soddisfare il tuo appetito: la sedia, malridotta, non servirà più al suo uso. Il padrone
di casa la darà ai poveri che l’utilizzeranno per fare fuoco e ne comprerà una nuova. Così l’industria delle
sedie lavorerà a pieno ritmo e l’economia fiorirà a vantaggio di tutti”.
Ritornato nel suo lembo di terra si coricò in un ciuffo d’erba e concluse il suo monologo: “ Oggi ho avuto un
buon pensiero riguardo al giovane topo e alla vecchia sedia! Ora è bene che mi lavi il muso con le zampe e
che mi riposi!”.
NOTA: le comodità tendono a favorire la pigrizia?
FAVOLA N. 5
LA MOSCA, IL TOPO, IL GATTO PAFFUTO E IL CIBO DELLA DISPENSA
In una casa di città una mosca e un topo avevano stretto amicizia. Un giorno i due amici chiacchieravano
tranquillamente nel salotto quando un gatto paffuto passò, li guardò distrattamente e proseguì il cammino.
La mosca disse al piccolo roditore: “ Da quando il padrone di casa ha assegnato al gatto paffuto l’incarico di
sorvegliare la dispensa, sei dimagrito paurosamente!”.
Il topo annuì e spiegò: “ Il mio nemico si accoccola sul lato destro della porta d’ingresso, che è sempre aperta; ma come posso entrare senza essere visto?”. La mosca replicò: “ Anzitutto basta guardare il gatto paffuto in faccia per capire che è buono, e tutti sanno che fin dalla nascita si nutre di crocchette. Tu dovresti farti
vedere spesso davanti alla porta della dispensa in modo che il tuo presunto nemico, rendendosi conto che
hai fame, chiuderà un occhio quando vi entrerai”.
Una sera il topo seguì il consiglio della mosca, ma il gatto, da buon sorvegliante, lo assalì e lo ridusse a pezzi.
Infine, gustando per la prima volta in vita sua la carne di topo, esclamò soddisfatto:
“Ero proprio stanco di nutrirmi di crocchette!”.
NOTA: è bene evitare di seguire consigli pericolosi.
FAVOLA N. 6
LO SCARAFAGGIO MARRONE, IL DIAMANTE GREZZO E I DUE MOZZICONI DI SIGARETTA
Uno scarafaggio marrone viveva in un giardino fiancheggiante un albergo di una città tropicale. Un giorno,
mosso dalla curiosità, salì le scale, giunse al primo piano dell’ampia costruzione e si trovò nel corridoio sul
quale si affacciavano le camere dell’albergo. Imbucatosi in una fessura di una porta sgangherata, vide che
l'interno della camera era dipinto di bianco. Si arrampicò sul letto e notò sul lenzuolo un diamante grezzo di
forma rettangolare. Lo salutò e disse: “ Come sei splendente!”. “ La natura mi ha creato così!” rispose freddamente la pietra preziosa; ed aggiunse: “ Se cerchi cibo ci sono due mozziconi di sigaretta sul portacenere
a fianco del letto”.
Il coleottero marrone pensò: “Se ingoio il diamante non lo digerisco di certo. Però lo posso espellere successivamente tramite l’addome per scambiarlo con una grande quantità di cibo”. La pietra preziosa lanciandogli un’occhiata aveva capito le sue cattive intenzioni; e tentò di dirgli: “Sono splendente ma…”. Senza
farle terminare la frase, lo scarafaggio la fagocitò in un istante. Rientrato nel corridoio sentì che non riusciva
a reggersi sulle zampe. Muovendosi nello stomaco il diamante gli consumava la corazza. Poi girando su se
stesso gliela forò lateralmente con gli spigoli e lo fece a pezzi esclamando: “ Sono splendente ma tagliente!”.
Poco dopo il ragazzo addetto alla pulizia delle camere urtò con un piede i pezzi della carcassa. Si fermò, raccolse il diamante e se lo mise in tasca per restituirlo al proprietario. Infine con una piccola scopa e una paletta riunì i resti della carcassa e li posò nel contenitore dei rifiuti. Così i due mozziconi di sigaretta rimasero
intatti nel portacenere della camera d’albergo.
NOTA: la prudenza c’invita ad evitare comportamenti e azioni rischiose.
FAVOLA N. 7
IL PICCIONE, IL QUADRO AD OLIO E IL BECCO DELL’AIRONE
In una calda giornata d’estate un piccione volava basso sui prati alla ricerca di una vena d’acqua. Fermatosi
davanti ad una splendida villa circondata da un ampio giardino, vide che le finestre del piano terreno erano
aperte.
Entrò e si trovò in un salone arredato da molti mobili ed abbellito da un quadro ad olio raffigurante un bicchiere d’acqua. Prendendolo per vero aderì col corpo al dipinto; cercò di bere ma si spezzò il becco contro
la tela.
Ancora stordito dal gran caldo uscì dalla finestra e si disse: “Perché la natura non mi ha dotato di un becco
lungo quanto quello dell’airone? Infatti, con un lungo becco avrei soddisfatto la mia sete”. Poi riprese il volo
senza rendersi conto che l’aria afosa gli aveva impedito di distinguere un bicchiere vero da uno dipinto.
NOTA: il caldo eccessivo può alterare la percezione della realtà?
FAVOLA N. 8
IL VECCHIO GALLO E LE PRETESE DINASTICHE DELLA GIOVANE FARAONA
Una giovane faraona viveva col marito in aperta campagna. Un giorno d’estate, stanca di razzolare sotto il
sole cocente, disse al marito: “ Hai presente il pollaio che si trova fra la grande stalla e il letamaio?”. Alla sua
risposta affermativa, continuò: “ Il gallo, re del pollaio, è anziano e quando morirà si aprirà la successione al
trono. Discendendo dai Faraoni, che furono sovrani dell’Antico Egitto, intendo aspirare a succedere al vecchio monarca”.
Il marito osservò: “Un anno fa presentasti la tua candidatura come aspirante regina in un altro pollaio. Le
galline ti fecero fare la prova del sangue, che risultò negativa. Infatti il tuo non era blu e pertanto non ti fu
riconosciuta la dignità di sovrana”. All’obiezione del marito, la faraona replicò sottolineando di voler giocare
bene le sue carte per farsi incoronare regina del pollaio. Detto questo, s’incamminò verso l’ambito reame.
Il marito la seguì a distanza fino ai piedi delle due querce che, piegandosi, incorniciavano in lontananza
l’edificio del pollaio e si adagiò all’ombra dei due alberi per osservare ciò che sarebbe successo.
Il re corse incontro alla visitatrice e le chiese sorridendo: “ Quale buon vento ti porta?”. L’aspirante regina
s’impettì rispondendo con tono sicuro: “Maestà, non il vento ma le mie aspirazioni dinastiche mi conducono qui”; ed iniziò a raccontare la storia della sua presunta discendenza dai Faraoni dell’Antico Egitto.
Ascoltato il suo discorso con la dovuta attenzione, il monarca le manifestò simpatia e confidò a malincuore:
“In effetti non si è trovato un giovane gallo disponibile a succedermi”. “Sire, posso chiedere perché?”.
“Come vedi il pollaio si trova vicino al letamaio; e i giovani d’oggi sono schifiltosi”.
Quindi accompagnò la giovane faraona all’assemblea delle galline che si teneva nell’aia del pollaio. Prendendo la parola, disse: “ So che dopo la mia morte si vuole trasformare il regno in una repubblica. Ma oggi
una coraggiosa faraona di sangue blu gradirebbe farvi una proposta interessante”.
Senza dilungarsi oltre, il re cedette la parola all’aspirante regina che pensò con trepidazione: “ Spero che
l’assemblea non mi chieda la prova del sangue!”. E ripeté alle convenute il discorso incentrato sui Faraoni
dell’Antico Egitto. Terminata la sua orazione, una gallina dal manto rosso domandò incuriosita: “ Sei tu
dunque una principessa?”.
Al suo cenno affermativo, proseguì: “ E’ noto che le principesse portano in dote oro e diamanti. Ritorna fra
tre mesi con monili dorati e pietre preziose. Allora l’assemblea valuterà la tua dote che certamente vorrai
condividere con noi. Molto probabilmente, in quel momento ci sarà la maggioranza necessaria alla tua elezione di sovrana del nostro reame”. L’assemblea mise ai voti ed approvò festosa la proposta della gallina
rossa.
In silenzio la giovane faraona si congedò dall’assemblea e, raggiunto il marito, gli spiegò tutto. Con tono pacato, egli commentò: “ Rimani quello che sei! Dopo tutto, è meglio così”. “ Perché?” chiese l’aspirante regina. “ Osserva l’ampiezza del letamaio ed annusa la puzza proveniente dai blocchi di paglia marcia mescolati
allo sterco di vacca”. Lei guardò ed annusò; poi emise un profondo respiro per espellere il cattivo odore dai
polmoni.
Infine, da ottimista, il marito concluse: “ Pur senza ricoprire alcun incarico, in aperta campagna troviamo
sempre qualcosa da mangiare. Ogni giorno respiriamo l’aria fresca allietandoci al canto degli uccelli: che cosa vogliamo di più dalla vita?”.
NOTA: è bene affidare incarichi di responsabilità alle persone capaci e meritevoli.
FAVOLA N. 9
IL NUMERO ZERO E IL VANTO DELL’ELASTICO SFILACCIATO
In un giorno pieno di luce, nel ripostiglio di un ampio appartamento cittadino il padrone di casa collocò un
elastico sfilacciato a fianco di una sagoma metallica raffigurante il numero zero. Guardandosi attorno il
nuovo arrivato vide che scope, mastelli, pentole ed altri arnesi malridotti occupavano alla rinfusa lo spazio
ristretto del locale.
L’elastico consumato, salutato freddamente la sagoma del numero zero, disse: “ Osservo con piacere di
trovarmi in compagnia di oggetti che, a giudicare dalle apparenze, sono stati utilizzati a lungo per fare qualcosa!”. Il numero zero rispose pacatamente: “ E’ bene che sia così!”.
Il nuovo arrivato continuò: “ Il padrone di casa mi ha impiegato a lungo per tenere unite cartelle dattiloscritte ed altri fogli di diverse dimensioni”. Piegandosi improvvisamente in due per rendere più pungenti le
sue parole, domandò: “ Ma tu, essendo uno zero, cioè una nullità, a che cosa puoi essere servito?”.
Dopo qualche istante di riflessione, l’interrogato replicò: “ Da solo non servo a nulla, ma unito ad altre cifre
divento molto potente. Pensa, ad esempio, al numero 1 e ai suoi multipli: 10, 100, 1000 e così via…”. Sorpreso per l’acuta risposta, l’elastico sfilacciato smise di contorcersi e non proferì parola; anzi, in quel momento, di fronte al suo interlocutore si sentì un verme.
NOTA: bisogna guardarsi dall’esprimere giudizi affrettati e privi di fondamento.
FAVOLA N. 10
LA CROCE DI FERRO, LA NEVE E IL VENTO DELL’ALTA MONTAGNA
In una splendida giornata di fine inverno una croce di ferro, posta all’ingresso di una pista per sciatori, si
sentiva molto triste. Il vento dell’alta montagna, dopo aver soffiato a lungo dai monti alla valle, la salutò e
disse: “ Mi sembri giù di morale!”. La croce annuì e sottolineò: “ Gli sciatori, essendo abituati alla mia presenza, non mi guardano più”. Il vento replicò: “ Se è per questo, domani non avrai più motivo di lamentarti”. Detto ciò, cambiò direzione e scomparve.
Durante la notte nevicò abbondantemente e il vento modellò la neve sulle varie parti della croce come fosse uno scultore. Infine il gelo rese solida la bianca coltre e la croce assunse la forma di una grande colomba
con le ali distese.
Il giorno dopo gli sciatori si fermarono rapiti e commossi davanti alla bianca scultura che, agitata dal vento,
sembrava una creatura vivente e, pensando alla festa di Pasqua, gridarono al miracolo.
NOTA: a volte natura e arte si fondono in modo sublime.
FAVOLA N. 11
LA GENEROSITA’ DELL’OCA E LA PIANTA DALLE FOGLIE LARGHE
Nel pollaio di una fattoria tropicale un’oca bianca dal collo grigio viveva pacificamente con le galline. Un
giorno, non volendo razzolare nell’area verde accanto al pollaio, si avvicinò ad una pianta dalle foglie larghe
che cresceva all’ombra di una palma. Il bianco volatile disse alla pianta: “ Il tuo fusto, pur essendo sottile,
porta delle foglie così grandi da stuzzicarmi l’appetito!”.
La pianta, avendo compreso le cattive intenzioni dell’animale, rispose spaventata: “Perché non ti nutri
d’erba, come fanno le galline?”. Ma l’oca, invece di ascoltare le sue parole, allungò il collo e strappò una foglia col becco. La divorò ed esclamò: “ Mangio le tue foglie non per colpa mia, ma per la loro bontà!”.
Riempitasi la pancia, osservò l’ultima foglia che pendeva dalla cima del fusto. Sollevatasi sulle zampe, la
sfiorò col becco, ma si rese conto di non poterla raggiungere. Il bianco volatile, per mostrarsi generoso, disse alla foglia: “ Essendo l’ultima rimasta, ti faccio salva la vita!”. “Ti ringrazio di cuore per il tuo altruismo!”
esclamò la superstite con un filo di voce. L’oca se ne andò e la foglia disse con sollievo alla pianta: “ Mi avevi
sempre assicurato che l’esser nata in cima mi avrebbe portato fortuna; ed ora mi rendo conto che avevi ragione!”.
NOTA: a volte chi compie gesti di generosità lo fa per nascondere l’incapacità di realizzare i propri fini.
FAVOLA N. 12
L’ACACIA, IL FUNGO VELENOSO, LA PIETRA QUADRANGOLARE E IL CONFINE DEL BANANETO
Uno stretto sentiero separava un bosco tropicale da un bananeto e una maestosa acacia spiccava tra gli alberi del bosco affacciandosi sul sentiero; un fungo velenoso ad ombrello cresceva tra le radici dell’albero e
una pietra quadrangolare abbandonata da tempo sul sentiero.
Un giorno il parassita disse alla sua dirimpettaia: “L’acacia, ormai vecchia, non fiorisce più. Ma quand’era
giovane le api che si nutrivano del nettare dei suoi fiori producevano un ottimo miele”. La pietra rispose:
“So bene che il miele d’acacia è un alimento prezioso”.
Il fungo continuò: “L’acacia ha svolto un compito molto importante nella sua vita e spesso mi chiedo qual è
il tuo”. La pietra spiegò: “Sono un oggetto scartato e qui mi sento inutile. Essendo troppo larga, il costruttore non ha potuto impiegarmi nella sua opera e, volendo lasciarmi intatta, mi ha lasciato sul sentiero”.
Il fungo esclamò sprezzante: “Tu non servi a niente!”. “E’ vero. Ma essendo una pietra non ho bisogno di
cibo. Tu, invece, sei un parassita. Ti nutri succhiando le radici dell’acacia e sei velenoso!”. Il fungo si difese:
“Non posso cambiare la mia natura!”. La pietra sottolineò: “ D’accordo. Tuttavia il fatto di essere dannoso
dovrebbe indurti alla prudenza nell’esprimere giudizi”.
In quel momento il proprietario del bananeto percorreva il sentiero e, udendo delle voci, si fermò ad ascoltare. Ma i due interlocutori interruppero la conversazione e l’uomo pensò: “Credevo che qualcuno parlasse,
ma forse era solo lo stormire delle foglie”.
Osservata la pietra quadrangolare, si disse: “Cercavo qualcosa che limitasse il mio bananeto; infatti a volte
le piogge torrenziali trasformano il bosco, il sentiero e il bananeto in un’unica distesa fangosa”. Detto questo, alzò l’oggetto inutilizzato e lo fissò verticalmente sul confine del bananeto che dava sul sentiero; e da
quel momento la pietra, visibilmente soddisfatta, marcò il confine della sua proprietà.
NOTA: presto o tardi ogni oggetto ancora utile trova la sua collocazione.
FAVOLA N. 13
IL CANE RANDAGIO, I GUANTI DI NAPPA E IL PIATTO DI MAPPANZA
In un paese di campagna un gatto randagio, di nome Fido, percorreva un viale in cerca di cibo. Girando lo
sguardo, vedeva a destra casette a schiera con giardino, e a sinistra una lunga fila di pioppi. All’altezza del
cancello d’ingresso di ogni giardino era sistemato il bidone rettangolare della pattumiera.
Fido osservò un paio di guanti di nappa che sporgeva dal coperchio di un bidone. Si fermò, si sollevò verticalmente e li afferrò con le zampe per masticarli. Muovendo le mandibole, pensò: “ La pelle di nappa è così
dura che non riesco a mandarla giù”.
Era ora di cena e dalla casetta vicina si sentiva un suono confuso di voci. Una donna esclamò: “ Quand’ero
bambina mangiavo di tutto, ma oggigiorno i giovani sono schifiltosi!”. Improvvisamente un ragazzo aprì la
porta ed il cane si nascose dietro la pattumiera.
Il giovane gettò davanti al bidone un contenitore di cibo e disse: “ Nemmeno un cane randagio si nutrirebbe
di questa mappanza!”. Poco dopo Fido si avvicinò cautamente al contenitore, lo scoperchiò e trovò delle
lasagne bruciate ancora calde. Gustando la pietanza, si disse soddisfatto: “Per chi ha fame, un piatto di
mappanza vale ben mille paia di guanti di nappa!”.
NOTA: si possono lasciare gli avanzi di cibo agli animali in condizioni igienico-sanitarie adeguate.
FAVOLA N. 14
IL GATTO TIGRATO, IL CAGNOLINO E LA PELLE DI PESCE
Un gatto tigrato viveva nel giardino di una casa di campagna. Pur essendo attivo, cacciava topi con grande
difficoltà e con scarsi risultati, restando a volte a bocca asciutta. Il ragazzo che abitava la casa provava un
senso di pena per il piccolo felino che dimagriva di giorno in giorno. Così, d’accordo con i suoi genitori, decise di preparargli dei pasti regolari con gli avanzi di pesce. Il gatto si abituò al nuovo regime alimentare e
aumentò di peso.
Un giorno un cagnolino, suo grande amico, gli disse: “Nonostante il tuo manto tigrato, come cacciatore non
vali niente. Infatti ti nutri di resti di pesce!”. Il piccolo felino, per giustificarsi, ribatté: “Se ho cambiato dieta,
ho le mie buone ragioni!”. “Quali?”. “Quand’ero giovane, sono stato colpito dalla polmonite. Ebbene, io sono sicuro di questo: nutrendomi della pelle di pesce, che è squamosa, rinforzerò a tal punto la mia da evitare ogni tipo di malattia polmonare!”.
Sorpreso, il cagnolino non proferì parola e se ne andò scodinzolando per la perplessità: in effetti non sapeva se credere o meno alle parole dell’amico.
NOTA: c’è chi giustifica al meglio le proprie abitudini di carattere personale o di altro genere.
FAVOLA N. 15
LE FORMICHE, IL PADRONE DI CASA E IL BARATTOLO DI ZUCCHERO
In una casa di campagna circondata da un giardino le formiche, scoperto un buco nel muro, avevano raggiunto il pavimento della cucina. Ogni giorno raccoglievano le briciole gettate a terra e, attraverso
l’apertura nel muro, le portavano nel formicaio procurando cibo per tutti.
Ma un manipolo di formiche ribelli, stanche di nutrirsi del solito alimento, decise di cambiare la propria dieta. Salendo il muro della cucina, le ribelli si fermarono sul tavolo in cui si trovava un barattolo di vetro trasparente quasi pieno di zucchero, chiuso da un coperchio con un ampio bordo circolare.
I piccoli insetti s’infilarono nella stretta fessura tra il bordo e il vetro ed entrati nel vaso caddero nella massa
di zucchero. Assaggiatolo golosamente, esclamarono in coro: “Che dolcezza!”. Il giorno dopo il padrone di
casa, aperto il barattolo, versò alcuni cucchiaini di zucchero nella sua tazza di caffèlatte. Osservando con disappunto che qualche formica si muoveva tra i bianchi granelli, si disse con tono severo: “Finora ho tollerato che le formiche si nutrissero di briciole; ma non le voglio vedere nello zucchero!”.
Girando lo sguardo nella cucina, constatò sorpreso che i piccoli insetti erano più numerosi di quel che immaginava e decise di far piazza pulita. Preso uno straccio, lo bagnò e lo passò sul pavimento; poi pulì il tavolo con delle spugnette imbevute d’alcol. Osservando il triste spettacolo dei piccoli insetti ridotti a puntini
marrone, esclamò: “Molti hanno pagato per l’errore di pochi!” Infine, aperto il recipiente, si rese conto che
le formiche ribelli si erano soffocate inavvertitamente nei granelli di zucchero.
NOTA: quando si applicano delle punizioni collettive, molti scontano ingiustamente le colpe di pochi o di
uno solo.
FAVOLA N. 16
L’ACACIA, I SASSI, I MATTONI DI SCARTO, IL CAMALEONTE E LA STAGIONE DELLE PIOGGE
In un bosco tropicale un’acacia si stagliava sui cespugli e sul tappeto erboso cosparso di sassi e di mattoni di
scarto, che erano stati gettati qua e là dai muratori del villaggio. I sassi e i mattoni si ripetevano sovente: “Il
bosco sta diventando una discarica a cielo aperto, ma ciò non dipende da noi. Nel verde stiamo bene perché respiriamo l’aria fresca, però non siamo al nostro posto. Infatti come materiale da recupero potremmo
far parte di una massicciata a protezione di una strada collinare”.
Pochi giorni dopo il vento e la pioggia sferzarono il bosco, ma l’acacia, pur essendo percossa dalla chioma
alle radici, resistette alla furia degli elementi. Cessato il maltempo, il sole riapparve nel cielo azzurro e la
terra assorbì l’acqua piovana.
Le guardie forestali ispezionarono l’area verde e fecero la stima dei danni. Una guardia di nome Luigi, osservando l’acacia ancora bagnata, ebbe un’idea. Ne parlò con i compagni e poco dopo tutti insieme cinsero
l’acacia di sassi e mattoni raccolti nell’erba. Presto fra l’albero e i suoi vicini nacque l’amicizia.
Un giorno l’acacia espresse la sua gratitudine ai sassi e ai mattoni in questi termini: “ Devo ringraziare le
guardie forestali e voi tutti, amici cari. In effetti la corona che formate mi proteggerà dagli elementi naturali
più che un diadema di diamanti e di perle!”.
Un camaleonte che osservava la scena da lontano, sentendo confusamente parlare di oggetti preziosi, si
disse: “Si tirano in ballo diamanti e perle, ma la stagione delle piogge ha già fatto i suoi primi danni:
quell’acacia crede dunque di vivere nella bambagia?”.
NOTA: ridurre il bosco ad una discarica è un grave errore.
FAVOLA N. 17
LA MOSCA E LA LETTURA DEL GIORNALE SU INTERNET
Una mosca volò dai suoi amici per informarli di un fatto importante. Visitò una zanzara, un topo, una vespa,
un passero e una lucciola. Disposti in cerchio ai piedi di una quercia secolare, i nuovi arrivati erano ansiosi di
ascoltare la notizia. Emozionata, la mosca esclamò: “ Corre l’anno 2012 ed è possibile leggere gratuitamente la maggior parte dei quotidiani su Internet!”.
La zanzara iniziò: “Questo fatto evidenzia il progresso della civiltà, però trovo eccessivo il tuo entusiasmo”.
La mosca rispose: “Dopo aver ascoltato le vostre opinioni sull’evento, spiegherò le ragioni della mia gioia”.
La zanzara riprese: “Non si può fermare il progresso; tuttavia rimpiango i giornali di carta nelle pieghe dei
quali mi nascondevo dopo aver fatto qualche puntura”. Il topo disse: “Spesso per non morire di fame mi
sono adattato a rosicchiare fogli, giornali e riviste delle biblioteche. Dovrò ora addentare il computer?”.
Dopo una risata generale la vespa sottolineò: “I giornali destano la mia attenzione solo quando pubblicano
articoli e fotografie del veicolo a due ruote che porta il mio nome!”. Il passero disse: “ Io utilizzavo frammenti di giornale per completare il mio nido e d’ora in poi mi servirò di schegge d’altro materiale”.
Infine la lucciola prese la parola: “A volte il contadino brucia della legna nella radura del bosco per ottenere
della carbonella. Con un fiammifero accende un giornale e quando arde lo getta fra i pezzi di legna che
prendono subito fuoco. Alla fine dello spettacolo mi ripeto spesso che vorrei diventare fuoco e fiamme come lui!”.
Spettò alla mosca chiudere la conversazione: “La lettura del giornale su Internet comporta un notevole risparmio di carta nel mondo intero, e ciò è un bene. Ma io sono contenta anche per un motivo di carattere
personale. Il padrone della casa in cui consumo i miei pasti mi dava spesso dei colpi per uccidermi usando il
suo quotidiano preferito come fosse una paletta scacciamosche. Adesso non lo compra più perché lo legge
gratuitamente su Internet; per questo vivo una vita relativamente tranquilla”.
NOTA: il risparmio di carta allunga la vita delle foreste.
FAVOLA N. 18
LA FORMICA SCHIFILTOSA, LA FARFALLA BIANCOVIOLACEA, LO SCARAFAGGIO MARRONE E LE SPIRE DEL SERPENTE
Una formica schifiltosa strinse amicizia con una farfalla biancoviolacea e un giorno, adagiate ai piedi di
un’alta palma, le due amiche iniziarono a parlare degli animali tropicali. “Quanto disprezzo lo scarafaggio
marrone!” esclamò la formica; ed aggiunse: “Si nutre di tutto e si muove così goffamente con la sua corazza!”.
La farfalla biancoviolacea rispose: “ Si possono immaginare i tropici senza gli scarafaggi marrone?”. Il piccolo insetto precisò: “ Assolutamente no, ma se potessi volare come te, li eviterei!”. La farfalla biancoviolacea
concluse: “ Io volteggio nell’aria, ma devo pure fermarmi da qualche parte e spesso mi capita d’incontrarli”.
Poco dopo le due amiche si salutarono e la formica s’incamminò verso il formicaio. Strada facendo
s’imbatté nella carcassa di uno scarafaggio, le lanciò uno sguardo obliquo e, pur affamata, disse: “Il mio disprezzo per te è superiore alla mia fame!”.
Costeggiando un fiume, vide un serpente che esibiva sulla riva le sue spire al sole e pensò: “Se lo scarafaggio è l’oggetto del mio disprezzo, il serpente mi suscita un profondo ribrezzo!”. Accelerando il suo passo di
marcia diretta alla meta, pronunciò il solito lamento: “ Perché sono nata ai tropici?”.
NOTA: la natura ai tropici è più ricca e varia che altrove?
FAVOLA N. 19
LE NOBILTA’ DI SPADA E DI TOGA E IL VANTO DEL PESCESPADA
Un pescespada viveva nel mare di Sicilia e, parlando coi pesci di piccole dimensioni, ripeteva spesso: “Io sono di nobile origine!”. Un giorno un pesciolino gli chiese: “Che cosa te lo fa credere?”. Il pescespada
s’impettì: “Se la mia testa termina con una spada, una ragione c’è! Infatti nella società umana d’altri tempi
esistevano la nobiltà di spada e la nobiltà di toga ed io nel mondo dei pesci rappresento la prima. E’ noto
che la nobiltà di spada godeva di un prestigio superiore a quello della nobiltà di toga. Nel terzo millennio i
nobili sono dei sopravvissuti, ma il sangue blu scorre pur sempre nelle loro vene!”.
In una giornata col mare piatto come una tavola, il pescespada, catturato dai pescatori, fu congelato per essere trasportato nella cucina di un ristorante di lusso. Prima di morire, si disse con orgoglio: “Pur diventando una pietanza squisita, il sangue blu rimarrà nelle mie vene fino al momento in cui qualcuno mi mangerà.
Dopo morto continuerò a rappresentare la nobiltà di spada e a tutt’oggi non mi risulta che esista un pesce
che si chiami ‘pesce toga’ che rappresenti la nobiltà di toga!”.
NOTA: c’è chi in punto di morte valorizza la propria condizione sociale.
FAVOLA N. 20
I DUE SCARAFAGGI E IL COMPLEANNO DEL GATTO GRIGIO
Un gatto grigio si preparava a festeggiare il suo compleanno. Mentre si puliva il pelo con una zampa, pensava: “Se invito i miei amici, devo offrire loro il cibo”. Ma non volendo andare a caccia, studiò uno stratagemma per festeggiare quel giorno particolare in modo diverso senza invitare nessuno a pranzo.
Inoltratosi nel bosco, incontrò due scarafaggi, uno marrone e l’altro nero e disse: “Per voi ho sempre avuto
una grande ammirazione; infatti siete provvisti di una corazza che vi protegge dagli attacchi nemici. Mi piacerebbe che si formasse un picchetto d’onore di cento corazzieri per festeggiare il mio compleanno ed ho il
piacere d’invitarvi per primi; tuttavia ho bisogno di altri novantotto corazzieri per la cerimonia. Questo è il
mio programma: il giorno della festa il picchetto di cento corazzieri diviso in due reparti di cinquanta unità
si schiererà ai margini opposti della grande radura del bosco. Io sfilerò da solo al centro della radura e saluterò militarmente i due reparti avvicinando la zampa destra al mio capo e girando lo sguardo. A conclusione
della parata, scioglierò il picchetto d’onore e raggiungerò la mia tana per festeggiare il mio compleanno da
solo nel silenzio del bosco”.
Lo scarafaggio marrone replicò: “Noi siamo occupati a procurarci il cibo quotidiano e a volte andiamo a
dormire a pancia vuota: pertanto rifiutiamo l’invito. Tuttavia possiamo parlare ai nostri compagni della tua
proposta”. I due scarafaggi diffusero la voce nel bosco, ma anche i loro amici declinarono l’invito con motivazioni diverse.
Venuto a conoscenza che non si sarebbe costituito nessun picchetto d’onore, il gatto, ferito nell’orgoglio, si
disse: “La mia presenza avrebbe gratificato i cento corazzieri, che non meritavano affatto la mia riconoscenza!”.
NOTA: chi vive di sacrifici e di stenti può impiegare il suo tempo libero per feste e cerimonie?
FAVOLA N. 21
IL CAGNOLINO, IL GATTINO NERO E L’ASTUZIA DELLA VOLPE
Una volpe aveva l’abitudine di riposarsi all’ombra di una grande quercia che svettava sulla vegetazione del
bosco. Un giorno un rumore disturbò la sua siesta; si svegliò, si sgranchì le zampe e s’incamminò verso la
radura.
Giunta ai piedi di un faggio, vide un cagnolino e un gattino nero rincorrersi allegramente. Ritornato nella
sua tana, l’infido animale pensò: “L’inimicizia tra cani e gatti è nota a tutti. Di solito cagnolini e gattini convivono pacificamente, ma oggi voglio mettere discordia tra quei due amici che si vogliono bene”.
Il gattino se ne andò e poco dopo la volpe incontrò il cagnolino. Fingendosi imbarazzata, iniziò: “Mi dispiace
raccontarti che…”. Il cagnolino l’interruppe ansiosamente: “Che cosa è successo?”. La volpe mentì malvagiamente: “Il tuo amico, voglio dire il gattino nero, pur avendo un’aria così timida, va in giro dicendo peste
e corna di te!”. Il cagnolino si meravigliò: “Non ne avrebbe motivo!”. La volpe osservò: “Lo sai bene che ha il
manto nero!”. “Che cosa vuoi dire?” chiese incuriosito il cucciolo. “ I gatti neri portano sfortuna!” concluse
il subdolo animale, che se ne andò fingendosi infastidito.
Nascostosi dietro il faggio, s’interrogò: “Che cosa capiterà quando i due amici si rivedranno?”. Poco dopo il
gattino nero riapparve e incominciò a girare festosamente intorno al cagnolino che, preso dall’ira, gli ringhiò addosso e si mise ad abbaiare.
Il gattino nero, credendo che il suo amico scherzasse, per stare al gioco iniziò a miagolare. Ma si sentì mordere in più parti ed infine avvertì che il corpo del suo avversario lo schiacciava. Spaventato, si raggomitolò a
terra. Il cagnolino, lasciata la presa, si mise a correre per la radura, ma in seguito ritornò alla carica. Abbaiò
e guardò a muso duro il suo presunto nemico che, preparandosi al peggio, si piegò in due sul tappeto erboso.
Il cagnolino si mosse a pietà e girando confusamente lo sguardo vide il muso triangolare della volpe parzialmente nascosto dal tronco del faggio. Resosi conto di essere stato ingannato, corse verso la sua vittima
con le lacrime agli occhi, l’abbracciò e le chiese perdono. Osservando la scena a lieto fine, l’astuto animale
si chiese: “ Prima i morsi, poi gli abbracci: chi capirà mai i rapporti tra cani e gatti?”.
NOTA: a volte voci false e prive di fondamento possono creare motivi di discordia.
FAVOLA N. 22
IL GATTO DAL PELO RADO E LA PUNTURA DELLA FORMICA
Un gatto biancogrigio era molto orgoglioso della sua pelliccia. Passata la giovinezza, una malattia della pelle
diradò il suo folto pelo. Rifiutando di accettare gli effetti devastanti della malattia, il piccolo felino evitava di
specchiarsi nelle limpide acque che lambivano la sua zona di caccia.
Un giorno, mentre si riposava all’ombra di un’acacia, sentì un lieve prurito al fianco sinistro; grattandosi con
una zampa, avvertì qualcosa che si muoveva. Una formica gli disse: “Sono caduta involontariamente
dall’albero: perciò, ti prego, non farmi del male”. “ Tu menti: vuoi solo rilassarti percorrendo indisturbata la
mia folta pelliccia!”. “ Ma se ti sono rimasti quattro peli!”.
A queste parole il gatto scattò come una molla e con una zampata gettò la malcapitata in aria. Questa, dopo aver roteato per qualche istante, piombò sul fianco destro del suo avversario e, con rabbia, lo punse qua
e là. Il piccolo felino reagì con un altro colpo di zampa e il minuscolo insetto finì sul tronco dell’acacia.
Calmatosi, il gatto ammise di aver usato la maniera forte: “So bene che la mia pelliccia conta pochi peli. In
ogni caso, io m’immagino col manto della mia giovinezza, quando tutti m’invidiavano: per questo
l’affermazione della formica ha ferito il mio orgoglio. Ora, è giusto che io le chieda mentalmente perdono”.
La formica, che ancora dolorante vagava sulla corteccia dell’albero, pensò: “Quel gatto è rozzo, ma riconosco di aver usato parole che hanno urtato la sua sensibilità. Per questo gli chiedo perdono”.
Ripresa la caccia, il piccolo felino rifletté: “Non sapevo che la puntura di un piccolo insetto fosse così irritante!”. Da quel giorno ebbe un grande timore per le formiche e quando le incontrava per strada le salutava
cordialmente, tenendosi però a debita distanza.
NOTA: chi ha bisogno di difendersi usa i mezzi e gli strumenti a sua disposizione.
FAVOLA N. 23
LE GALLINE, IL GATTO ZOPPO E LA CAPRA ORGOGLIOSA
Nell’orto di una fattoria tropicale il padrone aveva sistemato una tettoia di ferro per gli animali che vivevano all’aperto: alcune galline, un gatto zoppo e una capra; gli animali si cibavano d’erba e di verdura. Per la
sua agilità la capra raggiungeva in alto le larghe foglie dei banani, che erano il suo cibo preferito. Ma per saziare la sua voracità metteva sotto i denti tutto ciò che era commestibile, compromettendo seriamente il
sostentamento delle galline.
Un giorno il gatto zoppo disse alla capra: “Un’ amicizia profonda mi lega alle galline. Per questo, a nome loro, ti chiedo il favore di nutrirti solo di foglie di banane, lasciando il resto del cibo alle mie amiche e a me”.
La capra replicò infastidita: “Occupati della caccia ai topi, invece di pensare ai fatti miei!”.
Il fattore, osservata la scena, intervenne immediatamente per aiutare i volatili. Presa una corda pesante,
allacciò una delle estremità ad un’asta di ferro fissata verticalmente nel terreno, ed unì l’altra estremità ad
una delle zampe posteriori della capra per limitare i suoi movimenti.
L’ energico provvedimento del padrone rincuorò le galline, che ripresero a razzolare allegramente. Il gatto
zoppo, che si nutriva pure d’erba e di verdure, non stava più nella pelle dalla contentezza.
Una mattina una delle galline si staccò dalle amiche e, avvicinatasi alla capra, esclamò: “Ora non sei più
l’asso pigliatutto di prima!”. Il borioso animale ammise di essere stato ridimensionato, ma dopo una pausa
chiese alla sua interlocutrice: “Lo sai perché il fattore mi tiene nella fattoria?”. Al diniego della gallina, continuò: “Il fatto è che il latte di capra è il migliore di tutti; evidentemente, a colazione, non poteva fare a meno del mio prezioso alimento!”.
NOTA: comportamenti basati sull’orgoglio e la superbia possono ostacolare il buon andamento delle relazioni umane.
FAVOLA N. 24
IL GATTO NERO, LA GALLINA DAL COLLO LUNGO E IL CIBO PER LE GENERAZIONI FUTURE
Un gatto nero viveva in un prato confinante col pollaio di una fattoria tropicale. Un lungo tubo di scarico
dell’acqua piovana, correndo orizzontalmente a terra, segnava il confine tra il pollaio e il verde.
Un giorno, dopo aver girato a vuoto tra i ciuffi d’erba, vide un ratto infilarsi nell’apertura circolare della
conduttura di scarico. Si avvicinò all’imboccatura, ed attese invano che la preda riapparisse. Il giorno seguente si imbatté ancora nel suo nemico, che si infilò nel tubo per la seconda volta. Appostatosi all’orlo,
pregustò il pranzo; ma il ratto sembrava scomparso nel nulla.
Girando lo sguardo, vide il fattore rovesciare sull’aia un contenitore pieno di riso. In poco tempo le galline
consumarono una parte del cibo, lasciando consistenti avanzi per terra. Osservata la scena, il piccolo felino
ebbe un’idea brillante: superò il confine, incontrò il gallo rosso, re del pollaio, e fece amicizia con lui.
Dialogando sul tema della campagna, il visitatore prospettò al sovrano la possibilità che i ratti del tubo di
scarico invadessero all’improvviso il suo regno, offrendosi poi come guardiano del pollaio. Il monarca accettò l’offerta e i due sottoscrissero l’accordo secondo il quale, al termine del pasto delle galline, il gatto nero
si sarebbe cibato degli avanzi di riso.
Un giorno una gallina dal collo lungo, osservando il nuovo arrivato che consumava il suo pranzo dilatando la
bocca, esclamò: “Come cacciatore forse sei uno zero, ma come commensale meriti certamente dieci con
lode!”.
Il gatto nero rispose calmo: “Apprezzo i piaceri della buona tavola. Ma tu… sei già diventata madre?”. Lei
annuì e il piccolo felino continuò: “Allora puoi capirmi! Io sono un padre di famiglia e se mi nutrissi spesso
di topi, metterei a rischio la riproduzione di questa specie. Se i topi si estinguessero, che cosa rimarrebbe
un giorno ai miei figli?... Oggi mi nutro di cereali affinché domani i miei eredi abbiano carne di topo da mettere sotto i denti; e tieni presente che il mio cibo quotidiano è la ricompensa per il mio servizio di vigilanza!”.
La sua interlocutrice ammise: “Ti difendi molto bene! Sii il benvenuto tra noi!”. Ma ipotizzando che il gatto
nero si fosse preparato una giustificazione di comodo, se ne andò dandogli una stoccata: “ Con un guardiano del tuo peso d’ora in avanti nel pollaio non si sprecherà più nemmeno un chicco di riso!”.
NOTA: è lodevole compiere dei sacrifici per le generazioni future.
FAVOLA N. 25
IL COPERCHIO DI PLASTICA E LE FORMICHE TROPICALI
In una casa di campagna un ragazzo di solito mangiava pane e marmellata a colazione. Un giorno prese il
barattolo di vetro vuoto e, tolto il coperchio, lo gettò nel bidone del vetro. Poi andò nell’orto e lasciò cadere il bianco coperchio di plastica ancora cosparso di frammenti di marmellata sulla striscia di terra rossa che
limitava le colture, con la parte interna rivolta verso l’alto.
Guardando il piccolo oggetto risplendere al sole, si disse: “Col passare degli anni, le fertili zolle lo assorbiranno”. Rimasto solo, il coperchio di plastica osservò: “Se il ragazzo mi avesse posato fra le colture, avrei
potuto parlare con loro. Invece mi trovo nella nuda terra, in cui non posso scambiare una parola nemmeno
con un filo d’erba!”.
Una mattina un gruppo di formiche affamate, percorrendo l’orto, lo vide. Una di loro iniziò: “ Che cosa fai lì
tutto solo?”. “ Non potendo muovermi, mi guardo intorno”. “ Vuoi che ti facciamo compagnia?”. “ Volentieri!” esclamò il coperchio.
I piccoli insetti salirono sulla sua superficie e, mentre chiacchieravano, si nutrivano dei pezzettini di marmellata. Consumato il pasto, una formica minuscola quanto avida disse a nome di tutte: “E’ stato un piacere
conoscerti, ma è giunto il momento di lasciarti: infatti dobbiamo ritornare al formicaio”.
Rimasto nuovamente solo, il coperchio constatò con amarezza: “Quei piccoli insetti più che la mia amicizia
volevano i frammenti di marmellata che erano rimasti sulla mia superficie. Ora che se ne sono andati, rammenterò con piacere i principali avvenimenti della mia vita”.
Mentre ripercorreva fatti ed aneddoti interessanti sotto il sole infuocato, un pensiero gli attraversò la mente: “Senza i pezzettini di marmellata che incrostavano la mia parte interna, mi sento veramente pulito!”.
NOTA: è consigliabile gettare la plastica negli appositi contenitori.
FAVOLA N. 26
LA NEVE, IL SALE E LA POTENZA DEL SOLE
Un camion per il trasporto del sale percorreva una strada rettilinea circondata dalle montagne. D’un tratto
il guidatore del veicolo vide un masso sull’asfalto, frenò, rallentò, e gli passò di fianco. Nella brusca manovra un pacchetto di sale uscì dal lato destro del camion, batté sul bordo della recinzione di ferro della strada
e rotolò sulla striscia di prato che la fiancheggiava.
Rotto in più parti, il pacchetto di sale si trovò sul prato imbiancato dalla neve che gli disse: “Quale visita
inattesa! Tu sei un mio nemico perché l’uomo t’impiega per sciogliermi, ma compresso nel contenitore non
mi arrechi alcun danno”. “ Sono contento perché non ti faccio del male” rispose il malcapitato. “ Oltre alla
parola ‘sale’ con quali altri termini sei definito?”. L’interrogato replicò: “ Si usa solo questa parola per nominarmi”.
Gonfiandosi d’orgoglio, la neve esclamò: “Gli esquimesi usano cinquanta termini per indicarmi! Ciò vuol dire che sono cinquanta volte più forte di te”. “ Mi auguro che sia così”, concluse il sale.
Ma nei giorni successivi il sole brillò nel cielo azzurro, la temperatura aumentò e lentamente il manto nevoso si trasformò in acqua. Dalla scatola i grani di sale, osservando lo spettacolo della decomposizione, si dissero: “ Dov’è finita la forza della neve?”.
NOTA: quando si esprime una propria autovalutazione, è opportuno essere prudenti.
FAVOLA N. 27
IL GATTO BIANCONERO, IL CANTO DEL GRILLO E LA LUNA PIENA
In un bosco tropicale separato dalla strada da un filare di rovi, un gatto bianconero iniziava la sua caccia serale al frinire dei grilli. Spesso si ripeteva: “Come per un incantesimo, dopo il tramonto questi piccoli insetti
iniziano a cantare in coro creando un’atmosfera armoniosa”.
Una sera, mentre la luna piena appariva nel cielo, udì le note intense di un grillo seminascosto dalla superficie di un rovo; approfittando di una pausa, gli rivolse la parola: “Ascolto sovente il tuo canto melodioso e mi
piacerebbe conoscerti per frequentarti”. “Non posso diventare tuo amico!” esclamò il grillo rimanendo al
suo posto.
Il piccolo felino chiese il perché e il grillo rispose: “Mi sono ripromesso di dedicarmi alla musica, che è la
grande passione della mia vita”. Il gatto era perplesso: “Non trovi mai un po’ di tempo per fare quattro
chiacchiere con gli amici?”.
Il piccolo insetto spiegò: “Se stringo delle amicizie, il mio tempo per la musica si riduce. Al contrario, se non
le coltivo, arricchisco continuamente il mio repertorio di nuovi motivi per gli ascoltatori. Ma ora che
l’intervallo è finito, dovendo raggiungere i miei compagni per proseguire il concerto, ti saluto cordialmente”. Deluso, il gatto s’avviò verso la sua tana a piccoli passi domandandosi: “Non avrò mai un grillo per amico?”.
NOTA: alcuni non si fanno degli amici per dedicarsi completamente all’arte.
FAVOLA N. 28
IL CACCIAVITE A STELLA, LO SCATOLONE DI LAMPADINE E L’AZIONE DELLA LUNA
Un giovane aveva ereditato dal padre un appartamento in un condominio e, dopo averlo pulito, decise di
mettere ordine nel ripostiglio. Si procurò una cassetta di legno e vi mise dentro vecchie pentole arrugginite,
un ferro da stiro rotto, un cacciavite a stella e altro materiale di scarto.
Caricata la cassetta nell’ascensore, la portò in cantina, distribuì i vari oggetti negli scaffali e collocò il cacciavite a stella sopra uno scatolone di lampadine fulminate, parzialmente aperto.
Su un foglio bianco incollato sul cartone si leggeva: “Lampadine bruciate: in futuro s’inventerà un sistema
per ripararle?”. Incuriosito dalla scritta, il piccolo arnese chiese alle lampadine: “ Chi vi ha messo qui?”. Una
lampadina chiara rispose: “Il padre del giovane proprietario ci ha raccolte una ad una e ci ha sistemate in
questo scatolone prima di morire”.
Il cacciavite a stella continuò: “Per quale ragione, visto che siete tutte fulminate?”. Una lampadina a pera
replicò: “ Il buon uomo sapeva che eravamo bruciate, tuttavia sperava di usarci ancora”. Una lampadina dal
vetro annerito obiettò: “Ciò che è bruciato non può essere riutilizzato. Forse il nostro ex-padrone, essendo
parsimonioso, sperava che alcune di noi non fossero ancora fulminate”. Una lampadina a sfera gigante prese la parola: “Il buon uomo immaginava che un giorno uno scienziato avrebbe inventato un sistema per ripararci. Personalmente penso che la luna possa farci funzionare nuovamente”.
Poco dopo il giovane padrone ritornò in cantina, aprì la porta, riprese il piccolo arnese che aveva portato
giù per errore e lo usò nell’appartamento; poi lo sistemò nello scaffale del ripostiglio. Il cacciavite a stella
guardò l’orologio a muro: erano le nove di sera.
Pensando alle argomentazioni delle lampadine, si chiese: “La luna può ripararle veramente? Per far questo,
come una madre affettuosa, dovrebbe mettersi le lampadine sulle ginocchia ad una ad una, svitare il bulbo
e sostituire il filo di tungsteno; sarebbe un lavoro lungo e paziente!”.
Prima di addormentarsi, si disse: “Il compito della luna non è di far da madre alle lampadine; nel cielo le sono assegnate altre funzioni. A quest’ora, che cosa farà? Forse le stelle la culleranno?”.
NOTA: non tutte le illusioni si avverano
FAVOLA N. 29
LE DUE GOMME, L’AGRICOLTORE E LA CASUPOLA AI PIEDI DELLA PALMA INCLINATA
In una splendida giornata di marzo ai tropici una jeep percorreva una strada rettilinea che fiancheggiava il
mare. Raggiunta un’area di sosta, il guidatore fermò il veicolo, scese, sostituì due gomme consumate con
due nuove e ripartì. I due oggetti usati si trovarono in un prato di felci.
La gomma bucata in più parti disse ironicamente all’amica: “Come ricompensa per il nostro lungo periodo
di lavoro siamo state gettate nel verde!”. L’amica, profondamente amareggiata, non aveva neanche la forza
di rispondere.
Un agricoltore che camminava sul prato vide le due gomme, le caricò nel suo carretto e le portò a casa. Il
giorno dopo le posò sul tetto di lamiera di una casupola di legno adibita a magazzino ai piedi di una palma
inclinata. Infatti voleva impiegarle per proteggere il tetto dall’azione degli elementi naturali.
La gomma bucata si confidò con l’amica: “Se fossimo finite in un deposito di materiale da recupero, saremmo state rigenerate e successivamente rimesse in servizio per un lungo periodo di tempo!”. L’amica
esclamò soddisfatta: “Tutto sommato, ci è andata bene! Fissate sul tetto assicuriamo stabilità alla baracca e
nello stesso tempo possiamo rilassarci chiacchierando. Così avremo l’occasione di rammentare fatti ed
aneddoti del nostro ininterrotto periodo di lavoro!”.
NOTA: prima di gettare via un oggetto ritenuto inservibile, vale la pena di chiedersi se lo si può utilizzare
per un uso diverso da quello abituale.
FAVOLA N. 30
IL FLORICOLTORE, IL PICCOLO CACTUS E L’UOVO TROPICALE
Un floricoltore ai tropici era proprietario di un esteso giardino in cui si trovavano alberi e piante di varie
specie. Nell’androne in terra battuta del deposito delle sementi, fra gli arnesi si scorgeva un vaso di terracotta con un piccolo cactus.
Un giorno il floricoltore prese un grande uovo dal pollaio confinante col giardino, lo portò nel deposito, lo
ruppe nella parte superiore e versò il contenuto nella terra del vaso con la pianticina. Infine, conficcò pazientemente il guscio in una zolla che toccava l’orlo del vaso. Versato nel recipiente, il contenuto si divise in
tuorlo e chiaro d’uovo.
Il tuorlo disse con orgoglio al guscio: “Io fecondo la terra del vaso: quindi, contribuisco alla crescita del cactus”. Girando lo sguardo verso il guscio, il bianco dell’uovo rincarò la dose: “La mia opera, unita a quella del
tuorlo, farà sviluppare il cactus. Al contrario, tu non cambierai certamente la sua vita!”. Il guscio ribatté
sorpreso: “No, non migliorerò la vita di questa piccola pianta; ma tieni presente che ho contenuto e protetto te e il tuorlo fino a poco tempo fa!”.
Il giorno dopo la terra del vaso aveva già assorbito sia il tuorlo sia il chiaro. Guardando il guscio, il cactus iniziò: “Anzitutto devo ringraziare il tuorlo e il chiaro d’uovo perché la loro azione benefica favorisce la mia
crescita. I gusci d’uovo sono sterili, ma vivono a lungo! Ora, possiamo diventare amici e farci compagnia”.
Il guscio accettò la sua amicizia ed aggiunse: “Io sono lucente come una perla e il verde intenso della tua
corteccia fa pensare alla malachite. Tu sei diritto come un fuso, io mi allargo al centro e mi restringo alle
estremità: forse il piacevole contrasto fra le nostre forme e i nostri colori attirerà l’attenzione dei visitatori
del giardino”.
NOTA: è deplorevole far pesare l’inutilità a chi non può più essere utile.
FAVOLA N. 31
IL GATTO E IL PESCE RACCHIUSO NEL NYLON
In una casa di campagna un gatto viveva cacciando topi. Un giorno si trovava in cucina e, fiutando a destra e
a manca, sentì odore di pesce. Pregustando un pranzo diverso dal solito, si arrampicò sulla tavola e con un
salto raggiunse il lavello. Avvicinatosi all’ambita preda, constatò con amarezza che alcune strisce di nylon
l’avvolgevano completamente.
Il piccolo felino pensò: “Deve essere una grande trota. Ma questa confezione di pesce è per il padrone di
casa e ciò mi costringe a rimanere digiuno. Tuttavia, se potessi, strapperei l’involucro protettivo e divorerei
la trota senza fiatare”.
Pur constatando che il pesce era surgelato, gli rivolse uno sguardo pieno di rabbia e disse: “Ringrazia le
spesse strisce di nylon che ti salvano dai miei denti! Infatti, anche se appartieni al padrone di casa, se guizzavi nel lavello, saresti diventato la mia cena!”. Poi il gatto, deluso e infastidito, lasciò la cucina.
Nel giardino riprese a fiutare a destra e a manca, credendo di sentire odore di pesce. Infine, per sbollire la
rabbia e respirando a fatica, si chiese: “Perché il pesce ha un odore così forte?”.
NOTA: spesso si disprezza ciò che non si può avere.
FAVOLA N. 32
LA STATUA DI ALESSANDRO IL GRANDE (1), L’OMBRA E LA POZZANGHERA
Gli abitanti di Skopje, capitale della Macedonia, erano orgogliosi della memoria di Alessandro il Grande, uno
dei più famosi conquistatori di tutti i tempi. Un giorno il sindaco, per soddisfare le richieste della popolazione, decise di far erigere un monumento alla memoria dell’Imperatore.
Riunita la folla, il primo cittadino disse: “Alessandro il Grande è passato alla storia non solo per le sue imprese militari, ma anche per i suoi meriti in campo culturale…”. Concluso il discorso, si aprì il cantiere di lavoro.
Dopo qualche tempo la statua del valoroso condottiero, a cavallo di un destriero che alzava la criniera,
campeggiava nella piazza: Alessandro il Grande, pronto alla battaglia, brandiva fieramente la spada. Il sindaco, davanti al piedistallo circolare che reggeva la scultura, immaginò di parlare all’Imperatore: “Nessuno
poteva fermarti! Per questo è giusto che nessun altro monumento od obelisco ti faccia ombra in questo
luogo”.
Ma nel novembre del 2012 un forte temporale si abbatté su Skopje allagando la piazza principale. Col ritorno del bel tempo l’immagine del valoroso condottiero si specchiava in una pozzanghera. Così nessuna ombra osò mai affrontare la statua di Alessandro il Grande, che tuttavia dovette riflettersi nell’acqua di una
pozzanghera!
NOTA: alcuni eventi possono offuscare il ricordo di grandi uomini?
1.
Alessandro il Grande: l’Imperatore Alessandro il Grande o Alessandro Magno (356-323 a.C.) è considerato uno dei più celebri conquistatori e strateghi della storia.
FAVOLA N. 33
L’AGRICOLTORE E I DIRITTI DEL VECCHIO MANGO
In un’isola tropicale un agricoltore era proprietario di una fattoria che si affacciava su una strada sassosa e
sconnessa. Il retro della costruzione era occupato da un esteso frutteto in cui crescevano alberi di varie
specie: palme, banani, avocado, ed un vecchio mango dalla folta chioma che, dopo aver dato frutti per cinque anni, si era isterilito.
Un giorno nuvoloso l’agricoltore, a malincuore, decise di tagliare l’albero sterile e, munitosi di un’accetta, si
diresse con passo incerto verso il frutteto. Si avvicinò al mango e, dopo averlo guardato col viso dispiaciuto,
lo colpì con l’accetta alla base del tronco.
Il poveretto emise un acuto grido di dolore e si lamentò con voce spezzata: “Vuoi uccidermi?”. L’agricoltore
rispose: “Tu non fruttifichi più; la tua ombra giustificherebbe forse la tua sopravvivenza?”. Il mango assentì
e sottolineò: “Hai mai pensato agli uccellini che nidificano e si riparano sui miei rami quando c’è il maltempo? Per non parlare del mio tronco robusto che indebolisce la furia degli elementi naturali. In pratica, proteggo il resto del frutteto”.
L’agricoltore gli chiese: “Accetteresti di essere circondato da piccole piante pur di aver salva la vita?”. “ Certamente! Io amo la compagnia”. “ Mi hai convinto!” esclamò il suo interlocutore. Rimessa l’accetta nella custodia, ritornò alla fattoria pensando: “Il mango si è difeso molto bene!”.
NOTA: il rispetto per gli anziani e per i deboli deve essere un valore fondamentale in ogni tipo di società
umana.
FAVOLA N. 34
IL CALABRONE, L’EMIGRAZIONE DELLE API E LA LUNA DI MIELE
Un calabrone ronzava spesso attorno all’alveare che si trovava ai margini del bosco. Sovente si diceva:
“Come invidio le api: ognuna vive la sua vita serena nella propria celletta osservando i suoi obblighi quotidiani e consumando i suoi pasti regolari. Al contrario, per procurarmi il cibo, io devo volare sopra orti, giardini e boschi”.
Col passare del tempo, l’invidia del calabrone si trasformò nell’intenzione di studiare un piano per danneggiare le api. Una sera, la presenza della luna bassa che pendeva dal cielo senza stelle, gli diede una cattiva
idea.
Il giorno dopo il calabrone, eludendo la sorveglianza del guardiano, entrò nell’alveare e si fermò in un angolo della tavola di legno in cui l’assemblea delle api ascoltava il discorso dell’ape regina. Conclusa l’orazione,
la sovrana ritornò alla sua residenza. Le api erano amareggiate: infatti la regina si era lamentata per la diminuzione della produzione di miele.
Il calabrone avanzò fino a metà della tavola ed esclamò con enfasi: “ Sono arrivato al momento giusto!”.
Un’ape chiese: “Che cosa vuoi dire?”. L’intruso continuò: “Vengo dalla luna…”. Le api ripeterono incredule:
“Dalla luna?”. Il calabrone annuì e riprese: “Sono il latore di un suo messaggio per voi”. Un’ape minuscola
lo interruppe incuriosita: “Hai fatto un viaggio così lungo senza fermarti?”. L’intruso si finse sorpreso ed irritato: “Non sapete che ci sono le stazioni lunari?”.
Ma, continuando a recitare, assunse un atteggiamento benevolo: “Scusate il mio tono. Siete ignoranti, ma
non è colpa vostra. Sapete solo che la luna è il satellite della terra, ma ciò non basta! Il fatto è che vivete in
uno stato di schiavitù, alle dipendenze di una regina che è un monarca assoluto. Lavorate in continuazione
e non avete la più pallida idea di come si vive e di che cosa succede al di fuori dell’alveare. Forse non siete
nemmeno al corrente che la luna è di miele”. “ Di miele?” ripeterono le api in coro. “ Proprio così. Il satellite
della terra è un astro autosufficiente: in effetti si alimenta del miele prodotto dalla sua superficie”. “ In che
modo?” domandarono alcune.
Il calabrone finse di contenere la sua irritazione: “Non chiedetelo a me. Il mio compito è di trasmettervi il
suo messaggio che recita: -Care amiche, osservate le istruzioni che ho impartito al mio messaggero e raggiungetemi presto: da me vi nutrirete di miele per il resto della vostra vita-”.
Le presenti guardarono stupefatte il nuovo arrivato e si misero immediatamente ai suoi ordini, che erano
semplici: la sera un centinaio di api, guidate da lui stesso, sarebbe partito per l’ambita meta. Detto questo,
l’intruso salutò promettendo di ritornare all’ora stabilita.
Rimaste sole, le api si riunirono in assemblea straordinaria ed approvarono il progetto di emigrare, a gruppi
di cento, sul satellite della terra. Una delle convenute disse entusiasta: “Qui lavoriamo per produrre il miele
per l’umanità, ma sulla luna ci nutriremo del prezioso alimento e non faremo nulla!”.
Concluso il dibattito, si decise che, su cento emigranti, una decina sarebbe ritornata all’alveare per informare l’assemblea sulle reali condizioni di vita nella nuova patria.
All’imbrunire il calabrone riapparve cantando una canzoncina: era il segnale della partenza; si mise in testa
al gruppo e guidò il volo. Ma , percorso un centinaio di metri, scomparve improvvisamente nell’oscurità e
ritornò al suo rifugio a terra.
Nell’alveare si attese invano il ritorno di qualcuna delle emigranti. Fuori di sé, la regina non sapeva spiegarsi
l’accaduto e le api rimaste al loro posto si guardavano in silenzio, formulando mentalmente delle ipotesi.
Alcune immaginavano che la luna fosse una sorta di paradiso dal quale nessuno sarebbe ritornato. Altre
ipotizzavano che le loro compagne fossero finite nei becchi degli uccelli notturni. Altre ancora ritenevano
che le emigranti si fossero fermate nei boschi vicini per vivere in libertà.
Il calabrone si tenne alla larga dall’alveare e le api rimaste a casa ricordarono a lungo la sua canzoncina che
fu il segnale di partenza per le compagne:
amo la notte ascoltar
il grido della sentinella
amo la luna al suo passar
quando illumina la mia cella
Pensando che un’ape fosse la protagonista della breve canzone, si chiedevano perplesse: “ Chi era la sentinella?”.
NOTA: a volte l’invidia produce effetti devastanti.
PARTE II
FAVOLE PER ADULTI
FAVOLA N. 35
IL LEONE E IL COLPO DI ZAMPA DELLA VOLPE
Una volpe invidiava l’autorità e la potenza del leone e si diceva spesso: “ E’ il re della savana e i suoi sudditi
gli obbediscono ciecamente. Devo escogitare un trucco per prendere il suo posto e per diventare la regina
della savana”.
Dopo aver riflettuto a lungo, ebbe un colloquio con uno sciacallo e con l’uccello segretario. Il giorno dopo i
tre animali chiesero udienza al sovrano, che la concesse senza entusiasmo. Durante il colloquio la volpe osservò che non tutti i sudditi erano consapevoli della sua autorità e potenza.
Irritato il leone replicò: “ Che cosa vuoi dire?”. L’interrogata si spiegò con un esempio: “ Il verme che striscia
sulla terra non può vederti, quindi non riconosce il tuo potere. Lo stesso si può dire per la rana che vive negli stagni; per questo è opportuno che una cerimonia consacri formalmente la tua regalità”.
Il monarca s’incuriosì: “ Che cosa avverrà durante il rito?”. L’astuto animale spiegò: “Anzitutto bisogna convocare l’assemblea dei sudditi nella grande radura; poi inizierà la cerimonia. L’uccello segretario consegnerà
a Sua Maestà una piastrina d’oro che La identificherà davanti ai suoi sudditi. Dopo di che io leggerò ad alta
voce quel numero ed infine lo sciacallo pronuncerà le cifre di quel numero una ad una. Da quel momento
quel numero diventerà sacro per i sudditi perché simboleggerà la Sua autorità nel regno della savana”.
Il re disse lusingato: “ Avete carta bianca: procedete dunque. Ma… qual è il numero che mi identificherà?”.
Con tono umile la volpe rispose: “ Sire, è un numero di tre cifre. Per ora lo conosciamo soltanto io, lo sciacallo e l’uccello segretario; e i numeri sacri si pronunciano solo durante le cerimonie”.
Terminato il colloquio, l’uccello segretario si ritirò nella sua tana per incidere il numero sacro sulla piastrina
d’oro. La volpe condusse lo sciacallo nel suo rifugio scavato in una roccia a pochi metri dal baobab. Fidandosi di lui, espresse apertamente le sue cattive intenzioni: “ Intendo spodestare il re!”. “ In che modo?”. Il
subdolo animale svelò il suo piano: “ Il numero assegnato al sovrano è 610. Tu lo pronuncerai cifra per cifra
davanti a lui; quindi 610 diventerà ‘sei-uno-zero’”. “ Sei-uno-zero” ripetè meccanicamente lo sciacallo. La
volpe riprese: “ A quel punto mi rivolgerò al monarca e gli dirò: -Ti dichiaro decaduto!- e con un colpo di
zampa gli strapperò la corona”.
In preda all’emozione lo sciacallo domandò: “ Quale sarà la mia ricompensa?”. “ Come regina ti concederò
di ritornare in India, terra dei tuoi padri”. Così facendo la volpe intendeva sbarazzarsi di lui, unico collaboratore nel suo piano di cospirazione. Scontento per la mancanza di un vero e proprio premio, lo sciacallo si
congedò dalla volpe con poche parole. S’incamminò verso la tana del leone, mentre un uccello notturno da
un ramo del baobab lo guardava allontanarsi. Arrivato a destinazione spiegò al leone lo stratagemma studiato dalla volpe. Fuori di sé, il re sbottò: “ Questa è una cospirazione!”; ed ordinò immediatamente al traditore di condurlo da chi l’aveva ordita. Giunto nelle vicinanze del baobab, mentre il sole si abbassava lentamente sulla distesa dei cespugli, il leone s’avventò sulla volpe e la sbranò; e come premio diede al traditore i resti della pelliccia dell’animale ridotto a pezzi. Mentre lo sciacallo portava nella sua tana il bottino
insanguinato, da un ramo del baobab l’uccello notturno gli gridò: “Questa notte dormirai tranquillo?”. “ No
di certo!” esclamò il traditore.
Riprendendo il suo percorso, si disse freddamente: “ Da quando ero piccolo mi nutrivo di carogne, più facili
da trovare durante la notte, quando la maggior parte degli animali dorme. Dunque, quando mai ho dormito
sonni tranquilli?”.
NOTA: i progetti di frode possono ritorcersi contro chi li ha concepiti.
FAVOLA N. 36
IL CAVALLO, L’ASINO E LE SOFFERENZE DEL MILLEPIEDI
Amici da molto tempo, un cavallo e un asino percorrevano ogni giorno la strada maestra del bosco al tramonto del sole. Una sera, mentre il cielo si tingeva di porpora, l’asino disse al cavallo: “ Ti piacciono i millepiedi?”. Sorpreso, questi esclamò: “ Assolutamente no! Al contrario, il millepiedi è un insetto che mi fa ribrezzo”.
L’asino riprese: “ Se tu avessi mille piedi, voglio dire mille zampe, saresti più forte di un leone”. L’amico ribatté: ” Non ho bisogno di altre zampe, ma di due mani con le quali difenderei il mio manto da mosche e
zanzare”. “ Se tu fossi provvisto di mani, saresti brutto”. “ Hai ragione” ammise il cavallo.
Poco dopo i due amici si salutarono e il cavallo si mise a pascolare fra l’erba alta e rada alle ultime luci del
giorno. Involontariamente col suo zoccolo destro schiacciò qualcosa di viscido. Si fermò e constatò di aver
colpito a morte un millepiedi che si dibatteva affannosamente.
Ma il quadrupede non mostrò alcun interesse per la sorte del povero insetto; anzi, riprendendo a brucare
nel verde, si chiese freddamente: ” Perché la natura ha creato il millepiedi?”.
NOTA: ciò che fa ribrezzo suscita un limitato interesse?
FAVOLA N. 37
LA VOLPE ROSSA, LA SCIMMIA E L’INCORONAZIONE DEL GIOVANE LEONE
Un giovane leone era destinato a succedere al trono alla morte del padre. Per accontentare il re, il principe
ereditario frequentava gli animali della savana per conoscerli a fondo. Si fece una buona opinione di tutti i
sudditi, eccettuata la volpe rossa. Spesso diceva ai suoi amici con un’aria tra il serio e il faceto: ” Non è vero
che la volpe rossa sia astuta; io sono sicuramente più astuto di lei”.
Un giorno della stagione secca il vecchio re morì e suo figlio si preparò a succedergli. Era tradizione che passassero tre giorni dall’ora della scomparsa del monarca a quella dell’incoronazione del nuovo sovrano. Concluse le onoranze funebri, il terzo giorno il giovane leone raggiunse la tana paterna e ritirò la corona reale,
che era conservata in un cofano d’oro. Sempre nel rispetto della consuetudine, il principe ereditario doveva
dormire ai piedi del baobab per un paio d’ore prima della cerimonia dell’incoronazione.
Uscito dalla tana, l’aspirante al trono era molto nervoso. Percorrendo il sentiero che conduceva al grande
albero, disse freddamente agli animali che lo guardavano incuriositi: “ Dormirò ai piedi del baobab, ma sappiate che sbranerò all’istante chi mi sveglierà!”.
Giunto alle radici del grande albero, pensò: “ In realtà non intendo fare a pezzi nessuno; ma è bene che
d’ora in poi il mio comportamento sia severo e distaccato con tutti: se fino a ieri gli animali della savana
erano miei amici, fra poco saranno miei sudditi”.
I convenuti, presi dalla paura, lasciarono la radura del baobab, tranne la volpe rossa ed una scimmia, sua
amica. L’astuto animale le confidò: “ Ho bisogno del tuo aiuto per fare uno scherzo al leone”. Ottenuto il
suo consenso, parlò con un canarino. Infine i tre si diressero al baobab, ai piedi del quale il felino dormiva
profondamente, con la corona al suo fianco. La scimmia la prese in un baleno e la nascose in una cavità
dell’albero all’altezza della sua testa. Poi lei e la volpe se ne andarono in silenzio e il canarino si posò su un
ramo nodoso.
Svegliatosi, il giovane leone vide che il sole brillava nel cielo azzurro; cercò meccanicamente di afferrare la
corona, ma la sua zampa si riempì di fili d’erba. L’aspirante al trono sbottò incredulo: “ Qualcuno me l’ha
rubata!”.
Mentre girava incollerito attorno al baobab, il canarino cantò:
il leone è fuori di sé
ma ciò non s’addice a un re
fuori è il re
dentro è la corona
il leone a vuoto girerà
ma se in alto guarderà
di certo la troverà
Credendosi preso in giro, il giovane leone ordinò all’uccellino di posarsi sulla sua zampa; questi obbedì
prontamente, ma fu schiacciato dalla sua zampa pesante. Infine l’aspirante al trono s’incamminò verso il
sentiero della savana chiedendosi: “ Che figura farò con i miei sudditi?”. Imboccato il sentiero, incontrò la
scimmia e la volpe.
Quest’ultima iniziò: “Sire, La vedo molto preoccupata”. Il principe ereditario, ridotto alle strette, esclamò:
“Solo tu puoi aiutarmi!”. Ascoltate pazientemente le sue parole concitate, l’astuto animale disse: “Ti faccio
ritrovare la corona se t’impegni a riconoscere che io sono più astuta di te”.
Il giovane leone accettò la proposta e i tre ritornarono al baobab. Ai piedi dell’albero la volpe cantò la canzoncina del canarino ripetendo le battute finali:
ma se in alto guarderà
di certo la troverà
Nello stesso tempo la scimmia tirava fuori il prezioso oggetto da un’apertura circolare del baobab.
L’aspirante al trono non si dava per vinto: “ Mi avete sottratto la corona violando il divieto di camminare su
uno spazio riservato al re!”. L’astuto animale ribatté: “Nessun sovrano ha mai vietato di camminare nella
zona del baobab”. Il principe ereditario si corresse: “Hai ragione, ma visto che mi riposavo ai piedi
dell’albero, il divieto era sottinteso”. La scimmia intervenne: “Sire, è bene che la legge eviti i sottintesi”.
L’erede al trono tagliò corto: “Oggi ho imparato da voi la prima lezione dell’arte di governo”.
Allora la volpe supplicò a testa bassa: “Maestà, avrei una sola istanza”. “Quale?”. “Constatata la morte
prematura del canarino, chiederei che gli unici uccelli ammessi al rito dell’incoronazione fossero i canarini”.
“ Istanza concessa!” concluse il principe ereditario che, fattasi ben sistemare la corona in testa dalla scimmia, marciò con passo formale e solenne verso il luogo dell’investitura. Guardandolo allontanarsi, la volpe
disse compiaciuta alla scimmia: “ Oggi abbiamo vinto”.
NOTA: per evitare sottintesi ed equivoci, la legge deve essere chiara ed esplicita.
FAVOLA N. 38
IL LUPO INNAMORATO, LA LUPA GRIGIA, LA VOLPE E IL TAGLIO DEL BOSCO
Un lupo nero era folle d’amore per una lupa dal pelo grigio. Una sera, al lento declinare del sole nel bosco
che si popolava d’ombre, le disse: “ Sai bene che cosa provo per te: ora puoi domandarmi ciò che vuoi”. La
corteggiata replicò freddamente: “ Guarda il bosco che s’innalza davanti a noi: se lo raderai al suolo ti sposerò”. “Ma è il luogo in cui viviamo”. La lupa grigia riprese: “ Io non mi ripeto; e le promesse si mantengono!”. Detto questo, se ne andò.
Il giorno seguente il lupo incontrò la volpe nella radura del bosco e, dopo i saluti, l’astuto animale iniziò: “ Il
tuo sguardo è così inquieto: che cosa è successo?”. Il lupo fece il resoconto fedele del suo dialogo con la lupa; dopo qualche istante di riflessione, la volpe sbottò: “ Ti sei comportato come uno sciocco: non si deve
mai promettere ciò che non si può mantenere. Ma, visto che siamo cugini, voglio darti una mano”.
I due cominciarono a percorrere i sentieri del bosco in lungo e in largo. Imbattutisi nel leone buttafuoco,
l’astuto animale gli chiese se poteva incendiare il bosco. Il grande felino rispose: “ Quando ero in fuga dal
circo, la mia lingua lanciava fuoco e fiamme. Ma da quando mi nutro di selvaggina dalla mia lingua non esce
nemmeno una scintilla”. All’imbrunire i due cugini incrociarono uno sciame di lucciole che si rifiutò di dar
fuoco alla vegetazione.
Il giorno dopo la volpe fece il punto della situazione col lupo nella radura: “ Prevedevo le risposte negative
delle lucciole e del leone, che come me e te amano il bosco e i suoi abitatori. Io posso toglierti d’impaccio
se abbandoni questa terra che ti ha visto nascere. Se rimani senza mantenere la tua promessa, la voce si
spargerà e tutti rideranno di te. Ma se emigri, ti rifarai una vita nella nuova patria”. “ Devo partire subito?”.
“ No. Vedi la falce stesa sui ciuffi d’erba?”. All’annuire del lupo, la volpe spiegò: “ Per un’antica usanza, prima del taglio del bosco il boscaiolo la espone al sole autunnale per tre giorni. Tu ti sfregherai una zampa
sulla sua superficie per lasciare qualche traccia di sangue. Poi scomparirai per sempre ed al resto ci penserò
io”. Feritosi leggermente la zampa, il lupo baciò la volpe, diede un ultimo sguardo alla folta vegetazione e
partì per una terra lontana.
Al tramonto, quando il silenzio avvolgeva il bosco, la volpe raggiunse l’orto che fiancheggiava la radura, si
avvicinò alla coltura delle cipolle ed inspirò profondamente; allora i suoi occhi iniziarono a lacrimare. Il mattino dopo si mise a saltare nella radura come una forsennata, piangendo e gridando: “ Hanno ammazzato il
lupo!”. Gli animali l’attorniarono incuriositi e stupiti. Il tasso interrogava lo scoiattolo con lo sguardo, i cani
e i gatti selvatici fissavano inquieti l’astuto animale, che pareva fuori di sé. Infine apparve la lupa grigia.
Fingendo di calmarsi, la volpe raccontò: “ Due giorni fa mio cugino mi confidò che voleva radere al suolo il
bosco per mantenere la sua promessa d’amore”. A queste parole la lupa grigia abbassò lo sguardo e si sentì
a disagio. La volpe continuò: “ Ieri mio cugino vide la falce splendere sull’erba e si avvicinò per maneggiarla
con le zampe. In quel momento arrivò il boscaiolo che prese l’arnese e gli tagliò la testa. Poi infilò la testa
insanguinata ed il resto del corpo nel sacco che conteneva le foglie secche raccolte per terra. Io osservavo
la scena con gli occhi sporgenti e stralunati. Infine, disinfettata la falce con uno straccio bagnato d’alcol, il
boscaiolo mi fissò col suo sguardo di ghiaccio ed esclamò: -Chi toccherà la falce farà la fine del lupo!-. Io
scoppiai a piangere ed ora non ho più lacrime”.
I presenti la guardarono smarriti e se ne andarono senza proferire parola. Solo la lupa grigia rimase nella
radura con gli occhi rigati di lacrime. La volpe le si avvicinò cautamente e disse: “ Mio cugino mi ha parlato
del suo grande amore per te”. La lupa sussultò, poi s’irrigidì.
L’astuto animale la rimproverò: “ Non chiedere a nessuno di compiere imprese impossibili!”. Poi, ad arte,
mitigò il rimprovero: “A ben riflettere, il boscaiolo è il solo colpevole dell’accaduto. Poteva colpire anche
me, però non l’ha fatto: forse il destino mi ha protetta”. La lupa smise di piangere e s’acquietò. La volpe
concluse: “ Una cosa è certa: il lupo è passato a miglior vita”.
NOTA: mai promettere ciò che non si può mantenere!
FAVOLA N. 39
L’AVVOLTOIO, L’UCCELLATORE E IL VOLO DELLA TARTARUGA
Un avvoltoio viveva in cima ad una scogliera che scendeva a picco sul mare. Spesso si calava sulla spiaggia
per nutrirsi di carogne e per farsi degli amici. Un giorno incontrò una tartaruga che prendeva il sole e presto
fra i due nacque l’amicizia.
Quest’ultima si abituò ad ospitare il predatore nel suo rifugio tra gli anfratti delle rocce e più i due si frequentavano, più aumentavano le confidenze; così la tartaruga espresse all’avvoltoio il suo desiderio di volare.
Dopo aver riflettuto, il predatore disse all’amica di recarsi nel bosco accanto alla spiaggia: lì avrebbe trovato
il deposito di pania dell’uccellatore, si sarebbe cosparsa il corpo di questa sostanza vischiosa e sarebbe ritornata al riparo. La tartaruga seguì le istruzioni e qualche ora più tardi riapparve con il corpo unto di pania.
L’avvoltoio si caricò l’amica sul dorso e i due partirono. Mentre volavano verso il nido del predatore, la pania perse la sua presa per il caldo, la tartaruga si staccò dal piumaggio del grande uccello e precipitò in mare.
Raggiunto il nido da solo, l’avvoltoio in preda all’ira se la prese mentalmente con l’uccellatore: “ Perché
quell’uomo, agli inizi del terzo millennio, si serve ancora della pania per catturare gli uccelli? Se nel suo deposito ci fosse stato l’attaccatutto, la tartaruga si sarebbe cosparsa di questa sostanza e forse le cose sarebbero andate diversamente”.
Il grande uccello continuò a lungo il suo monologo senza chiedersi se l’amica fosse riuscita a salvarsi. Infine,
per evitare qualsiasi tentativo di ricerca, si disse: “ Con le tartarughe ho chiuso definitivamente: quindi, non
avrò più grattacapi!”.
NOTA: prima di partire è buona regola verificare le condizioni di sicurezza del volo.
FAVOLA N. 40
LE VESPE, L’APIARIO E L’ATTESA DELLE API MURATRICI
In una giornata di primavera uno sciame di vespe arrivò in un paese della pianura padana. Dopo averlo girato in lungo e in largo, le visitatrici si fermarono sulla chioma di un albero che fronteggiava la casa comunale.
Si consultarono e presero la decisione di sistemarsi sulla parte superiore della fiancata destra dell’edificio,
tutto in mattoni e con un ampio cornicione di cemento. Le operaie si misero al lavoro e costruirono fra i
mattoni e la sporgenza ad angolo del cornicione un nido circolare con una pasta fatta di saliva e di schegge
di legno. La mattina le vespe piene d’entusiasmo volavano in campagna per nutrirsi del nettare dei fiori e la
sera ritornavano a casa soddisfatte e sazie.
Il caldo dell’estate favorì la vita della colonia. Sotto il cornicione l’andirivieni era continuo: le vespe creavano nuovi nidi uno di fianco all’altro, si riproducevano e vivevano serenamente. L’autunno portò giornate di
maltempo: la furia degli elementi sferzò i nidi che, bagnati dalla pioggia e scossi dal forte vento, si frantumarono e caddero al suolo.
Addolorata, la vecchia regina delle vespe si preparava a morire in una crepa del muro mentre le giovani regine erano fuggite in campagna per svernare sotterra o nelle cavità degli alberi.
Cessato il cattivo tempo, aderendo col corpo ai mattoni dell’edificio, le operaie si dissero: “ I nostri nidi sono distrutti: perché non cerchiamo rifugio nell’apiario posto al confine tra il paese e la campagna?”. Così si
raccolsero in gruppi e raggiunsero la meta. Ma il guardiano, un uomo robusto dall’occhio vigile, identificate
le vespe come insetti non-residenti nell’apiario, le respinse spruzzando getti d’acqua fredda.
Bagnate fradice le avventuriere ritornarono alla casa comunale e posatesi sui mattoni screpolati
s’interrogarono sul da farsi: come potevano infatti ricostruire i nidi col materiale danneggiato dal maltempo?
Improvvisamente si sparse la voce che sarebbero arrivati dall’Africa sciami di api muratrici, che sono in grado di costruire col fango nidi anche sui muri. S’ipotizzò addirittura che le nuove arrivate avrebbero preparato dei nidi per coloro che dimoravano nella casa comunale. Se qualche vespa esprimeva dei dubbi
sull’autenticità della notizia, qualche altra replicava: “ In estate dal continente nero sono emigrate le zanzare-tigri; perché in autunno non potrebbero arrivare le api muratrici?”.
Così alcune restarono sul muro dell’edificio aspettando le api muratrici; altre, più aggressive, iniziarono a
gironzolare attorno ai chioschi dei bar per succhiare bevande zuccherate. Queste ultime, respinte a colpi di
scopa dai camerieri, ritornarono alla casa comunale, dove constatarono con dispiacere che le loro amiche,
in attesa delle api muratrici di cui non c’era traccia, erano morte di fame.
NOTA: ha senso dare credito a notizie frutto d’illusioni e di fantasie?
FAVOLA N. 41
IL TOPO DI CAMPAGNA E LO ‘ZIO’ DEL TOPO DI CITTA’
Un topo di città aveva scelto come sua dimora la dispensa di un palazzo d’epoca. Era un ampio locale al
piano terreno con finestre rettangolari, un lampadario a forma di campana e un orologio appeso alla parete.
Al centro era collocato un tavolo con scatole contenenti pacchi di dolci e di biscotti. Una credenza metallica
composta da un lungo banco sormontato da ripiani era fissata ad una parete con viti e bulloni.
Il topo di città si trovava a suo agio nella dispensa e ogni giorno saliva sul tavolo per mangiare dolci e biscotti ma, per non essere scoperto, rosicchiava il cibo da diverse confezioni. Il locale era illuminato tutta la notte; alle nove di sera il gatto montava regolarmente di guardia e smontava alle nove del mattino.
Il piccolo felino voleva acchiappare il roditore con l’inganno: fingendosi affettuoso spesso lo chiamava ‘nipote’. Ma il topo manteneva le distanze ed aveva scavato due buchi nel muro nel fianco destro della credenza, uno in basso e uno in alto. Di sera percorreva il muro dal foro in basso a quello in alto e sbucava sulla cima del mobile metallico. Gli piaceva dormire quasi a contatto col soffitto, steso all’estremità destra o
sinistra della cima: infatti da lassù aveva l’impressione di dominare la dispensa.
Incapace di arrampicarsi sulla superficie liscia della credenza, il gatto si adagiava sul pavimento, aspettava
che il topo si addormentasse, poi sussurrava: “Caro ‘nipote’, sono ‘tuo zio’: scendi per incontrarmi”. Il dormiente bisbigliava: “No ‘zio’, sarà per un’altra volta”. Così, scherzosamente, il roditore si abituò a considerare il gatto ‘suo zio’.
Un giorno il topo, stanco della sua solitudine, decise di concedersi una vacanza in campagna. Dopo aver fatto visita ai suoi parenti, passeggiando nel bosco incontrò un suo amico d’infanzia e, scambiate quattro
chiacchiere, lo invitò a casa sua.
Strada facendo, il topo descrisse all’amico la città, poi si soffermò sulla sua vita nella dispensa. Sorridendo,
precisò: “ Io ricevo regolarmente le visite di mio ‘zio’”, immaginando che il suo ospite capisse l’accenno al
gatto. Istintivamente l’amico contraccambiò il sorriso, ma pensando che si parlasse di un vero e proprio topo, gli confidò: “ A me in tenera età sono mancati i genitori e mio zio non si è preso cura di me”.
Alle otto di sera i due roditori entrarono nella dispensa dalla finestra. Il gatto li osservava incuriosito, nascosto da una pila di tappeti: in effetti era montato di guardia un’ora prima perché da due notti non vedeva
quello che chiamava ‘suo nipote’.
Il topo di città mostrò all’ospite il locale, lo invitò sul tavolo a mangiare dei dolci e infine disse: “ Ora, stanchi per il viaggio, raggiungiamo la cima della credenza per dormire e domani ti racconterò le abitudini di
‘mio zio’ nei particolari”. Il piccolo felino li seguì con lo sguardo e s’impresse nella mente la posizione dei
suoi nemici: il topo di città all’estremità destra e quello di campagna all’estremità sinistra del mobile.
A notte fonda il gatto raggiunse la parte sinistra della credenza e sussurrò all’ospite: “ Caro ‘nipote’, sono
‘tuo zio’: scendi per incontrarmi”. Nel sonno il topo di campagna credette veramente di udire la voce di suo
zio. Aprì gli occhi, si mosse e cadde a terra: il gatto gli fu sopra, spalancò la bocca e lo divorò in un attimo.
La mattina dopo il topo di città, sceso dal mobile, vide i brandelli del corpo dell’amico: rimase incredulo per
qualche istante, poi il dolore misto allo sgomento invase il suo animo. Infine, ipotizzando quali parole il gatto avesse bisbigliato per farlo cadere, disse ai miseri resti della vittima: “ Nell’infanzia, morti i genitori, avevi
bisogno dell’affetto di tuo zio; nell’età adulta la voce di un falso zio ti è stata fatale”.
NOTA: fraintendere una parola o un’espressione può portare a conseguenze negative.
FAVOLA N. 42
LA MOSCA DALLA TESTA GROSSA E L’ASSEMBLEA ANNUALE DELLE VOLPI
Una mosca dalla testa grossa viveva in un grande bosco ed aveva una forte simpatia per le volpi, che si riunivano annualmente ai piedi della quercia maestosa per la loro assemblea. Un giorno incontrò una volpe
dalla pelliccia fulva e disse: “ Mi piacerebbe essere invitata come ospite alla vostra adunata, che si terrà tra
breve”. “ Perché?”. L’insetto nero spiegò: “ Se ascoltassi i vostri discorsi, imparerei molti trucchi che cambierebbero la mia vita”. “ Parlerò con le mie amiche e farò il possibile per esaudire il tuo desiderio”.
Una settimana dopo l’astuto animale rivide la mosca all’ombra di un pino ed iniziò: “ Le mie compagne ed
io abbiamo deciso di invitarti alla nostra assemblea, ad una condizione”. “ Quale?”. “ Dovresti farti tagliare
le antenne!”. Il nero insetto ribatté stupito: “ Senza di loro non coglierei nessun rumore e di conseguenza
diventerei una facile preda dei miei nemici!”. La volpe precisò: “ Ci sono molti modi per difendersi”. “ Quali?”. “ Ad esempio, ci si può nascondere nel verde”.
La mosca si irritò: “Devo pure uscire allo scoperto per cercare del cibo! Ma perché non avete rifiutato apertamente la mia richiesta?”. L’astuto animale si finse dispiaciuto: “Credimi, la nostra decisione è stata sofferta, ma abbiamo pensato al tuo bene”. “Che cosa intendi dire?”. La volpe rivelò il suo piano diabolico: “Se
qualcuno ti recidesse le antenne, il tuo senso dell’udito si sposterebbe nel cervello, che diventerebbe più
intelligente. Partecipando ai nostri incontri con un’intelligenza più acuta, capiresti meglio i nostri stratagemmi”.
La mosca rifletté ad alta voce: “ Hai elaborato con le tue amiche un’ipotesi inquietante e rischiosa: perciò la
rifiuto e mi tengo care le antenne!”. Detto questo, salutò la sua interlocutrice e raggiunse a volo la quercia
maestosa; posatasi sulla cima di un ramo, si mise ad ascoltare i rumori minimi del bosco: mai come in quel
momento aveva apprezzato così intensamente il suo senso dell’udito.
NOTA: rifiutare le proposte pericolose giova alla nostra salute fisica e mentale.
FAVOLA N. 43
LE FORMICHE TROPICALI E IL TAVOLO DELLA SALA DA PRANZO
Un ragazzo abitava una casa nella campagna tropicale ed ogni giorno faceva colazione nella sala da pranzo
fornita di un tavolo aderente al muro all’altezza di un’ampia finestra. Un giorno le formiche, uscite dal formicaio, videro alcune fessure nel muro della finestra; s’imbucarono e raggiunsero il tavolo imbandito di
dolci e di frutta.
Il ragazzo beveva il caffelatte ed, accortosi delle formiche che assaggiavano le banane, distese la mano e le
schiacciò. Alcune morirono all’istante, altre fuggirono all’impazzata verso la finestra ed, arrivate all’aria
aperta, raccontarono il fatto di sangue alle amiche.
Il capo del formicaio, informato dell’accaduto, convocò un’assemblea straordinaria nel cortile in terra battuta che fiancheggiava la sala da pranzo. Girando lo sguardo, disse: “ E’ bene formare una pattuglia
d’avanguardia che, avvicinatasi al tavolo, constati la presenza del ragazzo: in tal caso farà dietro-front e avviserà le compagne del pericolo”. Una minuscola formica obiettò: “ Se il ragazzo scorgerà le avanguardiste,
le colpirà all’istante!”. Il responsabile del formicaio ammise la fondatezza dell’ipotesi ed aggiunse: “ Chi vuol
far parte del manipolo d’avanguardiste, deve armarsi di coraggio. Ora, si facciano avanti le volontarie!”.
Le formiche si guardarono in silenzio e nessuna rispose all’appello. L’oratore ne trasse le conseguenze: “Verificata l’impossibilità di costituire la pattuglia d’avanguardia, sconsiglio vivamente di cercare il cibo nel tavolo in questione, precisando che chi lo farà si assumerà le proprie responsabilità”. Nonostante il monito
del capo, le formiche continuarono ad avventurarsi a piccoli gruppi sul tavolo ricco di cibo; le vittime non si
contavano e i racconti delle superstiti non persuadevano le amiche a rimanere dov’erano.
Un giorno il responsabile del formicaio, visto che le sue esortazioni rimanevano inascoltate, decise di emettere dei bollettini di guerra: in tal modo tutti si sarebbero resi conto della ragionevolezza del suo suggerimento di stare alla larga dal tavolo. Il testo era sempre lo stesso e recitava: “Oggi, nel tentativo di raggiungere il tavolo del nemico, si sono registrate almeno un centinaio di vittime!”.
NOTA: chi ha incarichi di responsabilità deve sconsigliare imprese rischiose ed incongrue.
FAVOLA N. 44
IL VERME, LA FARFALLA ROSSASTRA E L’ESCA DEL PESCATORE
Un verme viveva ai margini di una piantagione di canna di zucchero ed era diventato famoso nella campagna per il successo di un suo ritornello che recitava:
se tutti i girasoli della terra raggiungeranno il sole
nessuno si sentirà più solo
Udendo il ritornello da una compagna, una farfalla rossastra volò da lui per conoscerlo personalmente.
Esauriti i convenevoli, il verme chiese: “ Come posso imparare a volare? Mettendomi due alette ai fianchi?”.
La farfalla rispose sorridendo: “ E’ la natura che ci ha creati diversi uno dall’altro. Io volo in alto e tu strisci
sulla terra: per questo devi conoscerla bene!”. “ Soprattutto quando sprofondo nel fango per la pioggia”
esclamò sarcastico l’animale senza zampe. La farfalla osservò: “ Siamo utili entrambi: io rallegro la vista di
tutti volteggiando nel cielo; tu strisci e…”. “ Faccio il solletico alla terra” ironizzò il verme. La farfalla concluse: “ Il disegno della creazione ti mette certamente al servizio di qualcuno. Ora ti saluto”.
Poco dopo un fatto confermò l’opinione della visitatrice. Un contadino attraversò il campo della piantagione, raccolse il verme e lo mise in una scatola di ferro. Nello stesso giorno il poveretto finì nelle mani di un
pescatore che lo fissò all’amo del filo della sua canna da pesca. Lanciato nelle acque di un canale, l’amo si
avvicinò ad un pesce che non abboccò. Allora il pescatore alzò la canna per controllare se il verme era ancora agganciato all’amo.
“ Finalmente ho provato l’emozione del volo!” esclamò l’animale senza zampe, che diede subito
all’avvenimento una colorazione ironica: “ Ma avrei preferito sperimentarla in un’altra occasione”. Mentre
il pescatore rilanciava il filo della canna da pesca in acqua, il verme si disse: “ Dopo l’emozione del volo, ecco quella dell’abboccamento. Mi auguro che il pesce mi mangi in un boccone. Questa sì che è vita! Vale la
pena viverla due volte?”.
NOTA: c’è chi davanti alla morte trova la forza e il coraggio d’ironizzare sulla propria sorte.
FAVOLA N. 45
LA FARFALLA NOTTURNA, LA LAMPADINA A BASSO CONSUMO, IL LAMPIONE NERO E IL TRAMONTO DEL
SOLE
Al cadere del giorno in un villaggio tropicale una giovane farfalla notturna biancomarrone iniziava a volteggiare sopra i tetti delle case. Col passare del tempo strinse amicizia con una sua coetanea di colore rossastro.
Una sera quest’ultima, dopo aver chiacchierato con lei, volò verso un lampione nero che illuminava la strada e scomparve. La sera successiva la farfalla biancomarrone chiese notizie della sua amica ad un rospo che
rispose: “ Le lucertole sanno bene che voi farfalle notturne siete attratte dalla luce e la tua amica ha ruotato attorno al lampione nero. Ora puoi immaginare che cosa le è successo”.
Rattristata per la morte dell’amica, la farfalla biancomarrone riprese il volo e raggiunse il cancello di una casetta a due piani. Una finestra aperta al primo piano spandeva una flebile luce. La visitatrice entrò in una
stanza illuminata e vide che una lampadina a forma di una doppia u pendeva dal portalampade.
Quest’ultima iniziò: “ Sono una lampadina a basso consumo energetico e diffondo la luce in questa camera
adibita a ripostiglio”. Presto la farfalla e la lampadina divennero amiche e una sera la visitatrice raccontò
alla piccola fonte luminosa la triste storia della sua amica di colore rossastro.
La lampadina replicò: “ Il tuo racconto non mi stupisce: le lucertole appartengono al mondo della natura,
che ha le sue leggi spietate. Tu sei giovane e non le conosci ancora. Io non sono il prodotto della natura, ma
della tecnica; dunque, se sei attratta dalla luce, vieni a trovarmi dopo il tramonto: da me non correrai alcun
pericolo”.
NOTA: ogni mondo ha le sue leggi.
FAVOLA N. 46
IL DOLLARO D’ORO AMERICANO, L’ACCENDINO D’ARGENTO, IL ‘FARAONE’ E LA CONFERENZA INTERNAZIONALE DELLE MONETE
In una villa di campagna circondata da alti pioppi il padrone decise di mettere in ordine le collezioni che abbellivano la sala da pranzo. Collocò provvisoriamente tre oggetti molto diversi fra loro sullo stesso tavolino:
un dollaro d’oro americano sul lato sinistro, un accendino al centro, e un mazzo di carte da gioco a destra.
Rimasti soli, i tre articoli si presentarono. “Io sono un dollaro americano e so bene d’essere molto famoso”.
“ Io sono un accendino d’argento che ha fatto il suo tempo”. “ Io mi chiamo ‘il faraone’ e formo un mazzo di
carte utilizzato nei secoli scorsi per un gioco d’azzardo”.
Il dollaro d’oro chiese ai suoi interlocutori se si sentivano a loro agio come oggetti da collezione o se preferivano trovarsi altrove. L’accendino rispose: “ Sono completamente d’argento e la mia forma rettangolare è
molto elegante. Però mi rendo conto che al giorno d’oggi il fumatore preferisce acquistare l’accendino di
plastica a forma di tubicino, più pratico e meno costoso di me; per questo accetto volentieri di far parte degli articoli da collezione”. Il ‘faraone’ disse: “ Io ero un gioco d’azzardo molto in voga nell’alta società francese dell’Ottocento. Poi altri giochi della stessa natura mi hanno superato e ora sono ben contento di essere diventato un oggetto per collezionisti”.
Contrariamente ai suoi interlocutori, il dollaro d’oro si lamentò della sua condizione attuale: “ Io ero la moneta principe del sistema monetario internazionale dei secoli scorsi, e ora mi trovo fra voi!”. L’accendino
ribatté: “ Lentamente, le monete cartacee hanno avuto il sopravvento sul nobile metallo. Infatti, pesano
meno e sono più maneggevoli; ed offrono altri vantaggi…”.
Ma il dollaro d’oro l’interruppe: “ Ancora oggi, agli inizi del terzo millennio, mi propongo come moneta internazionale al di sopra delle monete di carta, che litigano spesso tra di loro. Quando il padrone di casa ritornerà, gli chiederò il permesso di recarmi alla conferenza internazionale delle monete, ed in quella sede
avanzerò la mia proposta”.
Ma il ‘faraone’ obiettò: “ Tu, moneta principe, sostieni di poter funzionare meglio delle monete cartacee.
Ma quando le miniere d’oro si esauriranno, con che cosa si batterà moneta?”.
NOTA: si può affrontare il presente proponendo soluzioni sperimentate ed esaurite nel passato?
FAVOLA N. 47
IL SALE, IL PEPE, I FIAMMIFERI E LE DIFFERENZE DI COLORE
Una scatola di sale si trovava a fianco di un barattolo di pepe sul banco della cucina di una mensa aziendale;
una scatola di fiammiferi li guardava tranquillamente dal bordo della cucina.
Un giorno, assumendo un’aria sprezzante, il sale disse al pepe: “ Stai lontano da me: sei così nero!”. Il pepe
si mostrò sorpreso: “ Il mio colore ti dà fastidio?”. “ Sì, io sono razzista!” esclamò il sale diventando rosso
per la vergogna. Scomparso il rossore, continuò: “ Fra l’altro ho una gloriosa storia alle spalle che mi allontana da te. In un’epoca passata si combatté la guerra del sale (1); e non mi risulta che la storia registri la
guerra del pepe”.
Quest’ultimo ribatté: “ Se tu leggessi con attenzione i manuali scolatici sapresti che nell’epoca coloniale
molte navi partivano dai porti europei per raggiungere le terre d’oriente, in cui si coltivavano le spezie. Io
ero la più ricercata dai navigatori, che ritornavano in occidente con i bastimenti carichi di spezie”.
Il sale lo interruppe gonfiandosi: “Vuoi paragonarti a me? Senza di me non si può cucinare, ma senza di te,
sì”. “Intendi dire che non servo in cucina?” si difese il pepe. Irritato il sale non rispose alla domanda e cambiò argomento: “Siamo nel terzo millennio, epoca in cui si afferma l’uguaglianza dei colori. Tuttavia io sono
un suprematista”. “Che cosa vuoi dire?”. Il sale fu conciso e lapidario: “Il bianco prima di tutti gli altri colori”.
Il pepe espresse la sua opinione: “ Pensa alla neve e al carbone: sono diversi come colore e come composizione chimica; ma, pur nella diversità, convivono serenamente nel mondo”. L’orologio a muro della cucina
batté l’una; il cuoco si avvicinò al banco, prese la scatola di sale e il barattolo di pepe per condire l’insalata.
I fiammiferi contenuti nella scatola semiaperta avevano osservato la scena con aria divertita e si dissero:
“Una cosa è sicura: il sale e il pepe, con l’olio e l’aceto, danno un nuovo sapore all’insalata”. Infine si guardarono attorno soddisfatti: in effetti erano contenti della buona sorte che li aveva posti al servizio di una
cucina ad accensione elettronica, in cui venivano utilizzati solo in casi eccezionali.
NOTA: tutti gli uomini hanno pari dignità.
1.
Guerra del sale (1680-1699): le insurrezioni popolari in Piemonte e in particolare nei territori delle
valli di Mondovì contro l’imposizione della tassa del sale voluta da Vittorio Amedeo II, Duca di Savoia.
FAVOLA N. 48
L’AZOTO, L’OSSIGENO, LE POLVERI SOTTILI, LA CANNABIS, LA COCAINA E LA FINE DEL 2012
Il 31 dicembre del 2012 una massa d’aria fredda avvolgeva la città di Torino. Per rispettare un’antica tradizione di fine anno i maggiori componenti dell’aria, cioè l’azoto e l’ossigeno, convocarono a rapporto davanti
alla Mole Antonelliana gli altri elementi che, sia pure in misura minima, facevano parte dell’atmosfera.
Col consenso dell’ossigeno, l’azoto prese la parola: “Cominciamo con l’appello: Argon!”. “Presente!”.
“Polveri sottili!”. “Siamo qui!”. “Nicotina!”. “Sono al mio posto!”. “Caffeina!”. “Presente!”. “Cannabis!”.
“Eccomi!”. “Cocaina!”. “Pronta a lasciarvi stupefatti!”.
Al sottinteso gioco di parole ‘stupefatti-stupefacenti’ , l’azoto e l’ossigeno si guardarono divertiti. Ma le polveri sottili non stettero allo scherzo ed assalirono la cocaina, alla quale la cannabis diede subito manforte.
“ Fermatevi!” ordinarono all’unisono l’azoto e l’ossigeno. “ Oppure, soffiando, vi disperderemo nelle acque
del fiume Po” continuarono i due gonfiandosi minacciosamente.
L’aggressione cessò, ma le polveri sottili gridarono: “ Cocaina, residuo delle sniffate di coca, tu ammorbi
l’aria”. La cocaina replicò sprezzante: “ Che dire di voi, rifiuti gassosi dei veicoli?”.
Ristabilita la calma, l’azoto disse: “ La riunione è finita ed è ora che ciascuno di voi riprenda a circolare nel
cielo”. Rimasti soli, l’azoto e l’ossigeno respirarono a pieni polmoni.
L’azoto confidò all’amico: “ Osservando i contendenti, mi sono reso conto che le quantità di cocaina e di
cannabis nell’aria sono aumentate”. L’ossigeno annuì ed aggiunse: “ Nella città sotto la Mole la maggiore
presenza nell’aria di cocaina e di cannabis è una conseguenza dell’aumento del consumo di coca e di altre
droghe fra gli abitanti. Ora io mi domando: -Una banda di birboni ha forse costruito una raffineria di cocaina attiva giorno e notte?-”.
NOTA: è buona cosa che gli enti pubblici preposti dalla legge al monitoraggio e alla sicurezza del territorio
tengano sempre alta la guardia.
FAVOLA N. 49
IL LEONE E IL TRATTATO DI AMICIZIA E DI NON- AGGRESSIONE COL CAMMELLO
Il leone, re della savana, fece una visita di cortesia al cammello, re del deserto. Durante la lunga conversazione il visitatore propose al suo ospite di stipulare un trattato di amicizia e di non-aggressione.
Il cammello sottolineò: “ E’ noto a tutti che siamo vecchi amici; e, visti i nostri buoni rapporti, come possiamo aggredirci l’un l’altro?”.
Il grande felino spiegò: “ Il mio regno confina a nord con il tuo; quindi, i miei confini settentrionali sono sicuri. Ma a sud il confine della savana è segnato dalla fitta muraglia d’alberi da cui inizia il regno della foresta
tropicale. Vengo al punto: che cosa succede se i serpenti escono dalla foresta per attaccarmi?”.
Il cammello espresse i suoi dubbi sul reale pericolo dei serpenti, ma per far piacere al suo amico accettò di
sottoscrivere l’accordo. Chiamato l’uccello segretario, gli dettò il testo che recitava: “ Il cammello e il leone
stipulano un trattato di amicizia e di non-aggressione contro i loro nemici. Pertanto in caso di aggressione il
cammello darà manforte al leone e viceversa”.
Qualche mese dopo un incidente turbò il quieto vivere del regno della savana. Furioso, il leone aveva graffiato la zampa di una giraffa che, a suo parere, marciava col muso troppo alto facendogli ombra.
Questa, decisa a vendicarsi, si recò nei recessi della savana, riunì una trentina di gazzelle impaurite e disse:
“ So che non vi muovete più per cercare cibo perché temete d’incontrare il leone nei pascoli ricchi d’erba.
Per questo avete molta fame. Se digiunerete ancora qualche giorno la vostra vista si annebbierà. Tuttavia la
fame vi renderà coraggiose e disposte a tutto. Allora sotto la mia guida assalterete e divorerete il vostro sovrano”.
Le gazzelle approvarono all’unanimità la proposta della giraffa, che diffuse la voce dell’attacco imminente
per creare un’atmosfera di tensione. Messo in allarme, il leone inviò un piccione viaggiatore dal cammello,
per informarlo del pericolo incombente.
Giunto a destinazione nel tardo pomeriggio del giorno successivo, il messaggero incontrò il re del deserto
sdraiato tranquillamente sulle dune sabbiose.
Il monarca lesse il dispaccio e si chiese ad alta voce: “ Si possono considerare le gazzelle animali nemici del
leone? Sottoscrivendo l’accordo io mi riferivo ad assalti provenienti dall’esterno dei nostri regni, per esempio dal territorio della foresta tropicale. In questo caso si tratterebbe di una vera e autentica aggressione”.
Ciò detto, consegnò all’inviato del re della savana un messaggio laconico: “ Le gazzelle non sono animali
nemici; perciò non intervengo nella disputa”.
Rimasto solo il cammello si mise ad osservare il tramonto: il sole si abbassava all’orizzonte nel cielo rosso
fuoco che lentamente si cospargeva di numerose nuvolette violacee. Ammirando l’incantevole spettacolo
del disco solare che perdeva forza e colore fece un paragone che dimostrò la sua incredibile freddezza:
“Forse a quest’ora il leone sanguina ferito a morte dalle gazzelle. Ma che dire ora del sole che si scolora
senza battere ciglio, colpito in ogni sua parte da lunghe ali di fuoco?”.
NOTA: gli articoli che compongono un accordo o trattato devono prevedere fattispecie concrete, chiare, determinate e precise.
FAVOLA N. 50
L’ASINELLO, LA VOLPE, IL CORVO E I DIVI DI CELLULOIDE
In una ventosa giornata di primavera un corvo incontrò un asinello e una volpe che chiacchieravano nel prato. Quest’ultima iniziò: “ Non ti vedevo da molto tempo”. Il nero uccello rispose: “ Il fatto è che ho girato un
film dal titolo ‘Uccellacci e uccellini’ (1), che ha come protagonisti uomini e donne. Si chiedeva la partecipazione straordinaria di un corvo e si è pensato a me”.
L’asinello disse: “ Ne ho sentito parlare dai miei amici. Fra l’altro dicevano che diverse volte hai tentato di
beccare l’attore principale e il regista”.
Il corvo si giustificò: “ E’ vero: ho voluto punire gli uomini per il male che arrecano agli animali. Comunque,
recitando con attori famosi, sono diventato un divo di celluloide”. “ Di cellulosa?” chiese l’asinello fraintendendo la parola. Il corvo lo corresse sorridendo: “ Di celluloide. La celluloide è una materia plastica che è
alla base della pellicola cinematografica. Ora sono un attore consumato!”. Ma il tuo piumaggio è intero!”
esclamò l’asinello.
Il nero uccello proseguì con un tono fra il serio e il faceto: “ Voglio dire che sono un attore esperto. Tuttavia, nulla è cambiato fra noi, e la nostra amicizia continua”.
Ma la volpe ebbe l’impressione che il corvo si desse delle arie e lo interrogò incuriosita: “ Dopo il successo
del film, ti nutri di carogne o ti celluloide?”.
NOTA: il successo può modificare il comportamento verso i nostri amici?
1.
‘Uccellacci e uccellini’: film diretto da Pier Paolo Pasolini (Italia, 1966).
FAVOLA N. 51
LA SCIMMIA DALLA TESTA TRIANGOLARE, L’ISOLA DI CRETA (1) E IL MARE DEI CORVI (2)
Una scimmia dalla testa triangolare in fuga dallo zoo aveva trovato rifugio in un bosco ricco di vegetazione
confinante con una cava di pietra abbandonata. Presto strinse amicizia con molti animali che la invitarono a
rimanere con loro. Per contraccambiare l’ospitalità decise di fare degli spettacoli serali nella radura del bosco; così si mise ad imitare goffamente versi e movimenti di uccelli di ogni specie senza fare successo.
“ Dovresti andare a scuola di recitazione” esclamò una sera il tasso che aveva rischiato di addormentarsi
durante l’esibizione. “ Con le gambe insù e la testa triangolare ingiù forse attireresti l’attenzione del pubblico!” commentava spesso la volpe con aria divertita. Nonostante l’insuccesso degli spettacoli, gli abitanti del
bosco amavano molto la scimmia per la sua cordialità e spontaneità.
Ad un anno dal suo arrivo, la scimmia cominciò a sentirsi male. Il picchio, che fungeva da medico del bosco,
la visitò e urtò col becco contro la pancia dell’ammalata che si era ingrossata a pallone. Guardandola disse
tristemente: “ Hai una malattia inguaribile: ti restano soltanto trenta giorni di vita!”. La notizia si diffuse tra
gli animali del bosco, che rimasero amaramente stupiti.
Il giorno dopo la scimmia si recò alla cava di pietra e, affondate le mani in una pozzanghera di creta, si tinse
i capelli di rosso assumendo un aspetto buffo. Presentatasi al consueto appuntamento serale con un’aria
smarrita, si trovò davanti ad un pubblico numerosissimo ed iniziò a cantare una filastrocca da lei composta:
se l’isola di Creta non vedrò
nella cava di pietra morirò
cra-cra-cra
cri-cri-cricro-cro-cro
salutando silenziosa all’altro mondo
la scimmia se ne andò
cra-cra-cra
cri-cri-cri
cro-cro-cro
Terminata la canzone, il pubblico entusiasta la ripeté più volte. Ogni sera lo spettacolo si rinnovava con la
partecipazione unanime e corale degli spettatori, che osservavano attentamente i gesti misurati e studiati
della cantante.
Appresa la notizia, il corvo corse incontro all’ammalata e disse: “ La tua malattia letale mi rende insonne, e
quando cantando ripeti il mio verso mi strappi il cuore: ora non ho più lacrime per piangere! Dopo la tua
scomparsa io e i miei amici vorremmo affidare le tue ossa alle acque del mare dei corvi”.
Ma alla presenza della volpe e di altri testimoni la scimmia espresse al corvo il desiderio di essere sepolta
nella cava di pietra. Trascorso un mese dalla diagnosi del picchio, la poveretta esalò l’ultimo respiro davanti
all’ingresso della cava di pietra. La notte stessa i corvi divorarono la sua carcassa, lasciando solo pezzetti di
carne, di ossa, e molti peli.
Il giorno seguente il corteo degli amici della scimmia, sotto la guida della volpe, si recò alla cava di pietra
per rendere l’ultimo saluto. Alla vista dei miseri resti, l’astuto animale disse: “ Nella notte qualcuno si è nutrito della carogna della cara estinta; dunque, non è possibile seppellirla nella cava. Ma ciò che importa è
che, durante il periodo della sua malattia, la scimmia sia diventata l’animale più famoso del bosco e che, di
conseguenza, sia stata felice!”.
NOTA: c’è chi riesce a fare della propria morte annunciata uno spettacolo.
1.
2.
L’isola di Creta si trova nel Mediterraneo Orientale. Politicamente fa parte della Grecia.
‘Il mare dei corvi’ (‘La mer des corbeaux’): film diretto da Jean Epstein (Francia, 1930).
FAVOLA N. 52
GLI ANIMALI DEL BOSCO E L’INVITO AL CERVO VOLANTE
Ogni domenica gli animali del bosco di una zona collinare si riunivano attorno ad una sequoia gigante per
raccontarsi le loro avventure. Per il giorno di Pasqua era tradizione invitare un animale delle alte montagne,
che veniva ospitato ai piedi del grande albero e trattato con ogni riguardo.
Nel 2011 gli animali invitarono un cervo, che arrivò il giorno stabilito con passo grave e solenne, accompagnato da un piccione viaggiatore che gli faceva da guida. Cani, gatti e cinghiali si avvicinarono all’ospite e
guardarono ammirati il suo corpo snello e la sua testa dalle lunghe corna ramificate. La volpe, accoccolata
ad un abete, osservava la scena con distacco.
Un cane domandò al cervo: “ E’ vero che i lupi sono ritornati nelle montagne?”. Egli annuì e precisò: “ Ma il
più grande pericolo per cervi, stambecchi e caprioli è rappresentato dai bracconieri”. “ Chi sono?” chiese un
gatto. L’ospite spiegò: “ Sono uomini che cacciano la selvaggina usando armi da fuoco, o di altro genere,
violando la legge”. A conferma delle sue parole, raccontò ciò che gli era successo dopo essersi imbattuto in
un bracconiere. I presenti ascoltarono appassionatamente il resoconto della sua avventura a lieto fine e
l’ospitarono nel bosco per una settimana, procurandogli erbe fresche e acqua sorgiva.
Congedato il cervo, gli animali si consultarono per scegliere l’ospite dell’anno successivo. Molti presero la
parola e la volpe, ascoltati attentamente i vari interventi, pensò: “ Voglio fare uno scherzo ai miei amici”.
Quando fu il suo turno, disse: “ Io credo che, dopo il successo ottenuto dal cervo, il prossimo ospite possa
essere soltanto il cervo volante”.
Gli astanti, non conoscendolo, fecero delle supposizioni sulla sua fisionomia. Un cinghiale ipotizzò: “ Il cervo
volante deve avere delle corna superbe!”. Uno scoiattolo rincarò la dose: “ Ma il suo problema è di equilibrare durante il volo il peso delle corna con quello del resto del corpo”. La volpe li interruppe bonariamente: “ Non viaggiate con la fantasia. Accontentiamoci d’invitare il cervo volante per la festa di Pasqua del
2012. Aspettate e vedrete!”.
Approvata la proposta dell’astuto animale, l’assemblea diede l’incarico al piccione viaggiatore di darne notizia al cervo volante. Il messaggero raggiunse il futuro ospite, che dimorava anche lui nelle colline, ma si
stupì di trovarsi di fronte ad un insetto lungo quasi otto centimetri.
Il giorno di Pasqua, seguendo le istruzioni ricevute dall’assemblea, il piccione viaggiatore accompagnò il
cervo volante alla sequoia. Alla vista dell’insetto, che si posò in cima ad una siepe, cani, gatti e cinghiali si
guardarono delusi mentre la volpe, allontanatasi dal gruppo, sorrideva divertita.
Un cinghiale domandò con aria incredula: “ Sei tu dunque il cervo volante?”. Sorpreso, l’ospite replicò: “ Chi
altri dovrei essere?”. Un gatto gli disse: “ Per quanto tempo rimarrai con noi?”. L’insetto sbottò infastidito:
“ Ma se sono appena arrivato!”. Uno scoiattolo l’osservò incuriosito e rifletté: “ Forse si chiama cervo volante perché ha le mandibole che richiamano alla mente le corna dei cervi”.
Resosi conto di non essere un ospite gradito, l’insetto interruppe il silenzio che si era creato all’improvviso:
“ E’ stato un piacere conoscervi, ma ho l’abitudine di trascorrere la festa di Pasqua in famiglia”.
Detto questo, spiccò il volo. Alzati gli occhi al cielo gli animali lo seguirono con lo sguardo per qualche minuto, mentre la volpe se ne andava via in sordina.
NOTA: a volte persone, fatti, situazioni e ambienti conosciuti solo superficialmente o non conosciuti affatto,
stimolano la nostra immaginazione. Ma quando confrontiamo le nostre fantasie con la realtà, è possibile
che queste si spengano come fuochi di paglia.
FAVOLA N. 53
IL SERPENTE, IL BRUTTO ROSPO E LA SEGALA CORNUTA
Dopo aver strisciato a lungo nella campagna assolata, un serpente arrivò ad uno stagno. Fermatosi sulla riva, udì il gracidio delle rane da un isolotto che emergeva al centro dello specchio d’acqua. In pochi istanti
raggiunse a nuoto le poverette che fuggirono spaventate; così si trovò davanti ad un rospo dalla testa grossa che lo guardava con un’aria tranquilla.
Il rettile esclamò: “ Sei veramente brutto!”. L’anfibio gli rispose: “ Lo so bene, ma fin dall’infanzia ho accettato la mia bruttezza”. Dopo una pausa, il rospo chiese all’intruso: “ Che cosa pensi delle tue fattezze?”. “ La
natura mi ha creato così come sono” si difese il serpente.
Il rospo riprese: “ Io sono brutto, ma tu sei orribile! Mi richiami alla mente la segala cornuta e, se non ci
credi, specchiati”.
Il rettile strisciò sino all’orlo dell’isolotto e si piegò sull’acqua trasparente. Il caso volle che in quel punto del
fondo sabbioso spuntassero dei lunghi fili d’erba che incorniciarono la sua testa riflessa nell’acqua. Il serpente, immaginando di avere dei tentacoli sul capo, esclamò disperato: “ Ho sempre odiato gli animali cornuti!”. Gli mancò il respiro per il dolore, s’accasciò a terra e morì.
Il rospo emise un grido di vittoria; le rane uscirono dall’acqua e si rallegrarono per la fine del nemico. Si
consultarono e decisero di proclamare il loro salvatore ‘re dello stagno’. Dopo qualche esitazione il rospo
rifiutò l’investitura reale precisando: “ Senza l’aiuto del sole non avrei potuto salvarvi; infatti, se fosse mancata la luce dei suoi raggi, il serpente non avrebbe potuto specchiarsi nell’acqua”.
Accettati i ringraziamenti delle rane, il rospo lasciò l’isolotto e raggiunse la campagna a nuoto. Adagiatosi
tra i fili d’erba di un fosso, si disse: “ Io amo la libertà più della dignità regale; e se avessi ottenuto la corona,
mi sarei sentito in imbarazzo. In effetti ho utilizzato un espediente indegno di un re perché ho sentito parlare della segala cornuta, ma non l’ho mai vista”.
NOTA: c’è chi preferisce la propria libertà agli incarichi di prestigio.
FAVOLA N. 54
L’OCA DALLE GRANDI UOVA, LA VOLPE E LA CAVA DI CALCE VIVA
Un’oca nera viveva in un bosco compreso tra una fattoria e una cava di calce viva. Ogni giorno razzolava e
scambiava quattro chiacchiere con le galline che incontrava nel verde. Covando delle uova vistose, fu denominata ‘l’oca dalle grandi uova’ e presto la sua fama si diffuse nella campagna.
La volpe, appresa la notizia da un merlo, suo amico, studiò un trucco per impossessarsi delle uova. Si mise
d’accordo con lui ed il piano scattò quando il merlo, volando a bassa quota sull’erba, lanciò i suoi escrementi sull’oca colpendola in pieno.
La volpe si fermò ed esclamò dispiaciuta: “ Che maniere! Al giorno d’oggi non c’è più rispetto per nessuno”.
All’annuire del volatile, proseguì: “ Sei bella e hai un collo sinuoso”. “ Grazie del complimento!”. “ Ma se tu
fossi bianca, saresti ancora più bella”. “ Nella vita non si può avere tutto” osservò l’oca. “ Sì, invece!”.
L’astuto animale si spiegò: “ Hai presente la cava di calce viva oltre il bosco?”. “ Certamente”. “ Di fronte
alla porta d’ingresso c’è il capanno del guardiano. Lo sai che i serpenti cambiano pelle ogni anno?”.
All’assenso dell’oca, la volpe raccontò una fandonia: “ I serpenti si recano alla cava per rinnovare la loro
epidermide perché sono amici del guardiano, che li lascia entrare”.
Non sapendo dove volesse arrivare il ragionamento della volpe, il volatile l’ascoltava con un’aria fra il confuso e lo stordito. L’astuto animale riprese: “ Un filare d’alberi fiancheggia la cava ed ogni sera alla solita
ora, nascosti nelle chiome, i grilli iniziano a frinire. Com’ è il loro suono?”. “ Liquido”. “ Esatto” confermò la
volpe che, mentendo, aggiunse: “ Col suono liquido i grilli mantengono molle la calce viva”. Poi venne al
dunque: “ Di notte il guardiano dorme nel capanno e l’ingresso della cava è aperto: io ti accompagno, tu entri, t’immergi nella calce viva fino al collo e vi rimani sino al mattino. Alle prime luci dell’alba uscirai di là
bianca come un giglio!”. “ Che cosa vuoi in cambio?”. “ Le tue uova: dove sono?”. “ Nella cavità della quercia maestosa” concluse il volatile.
L’astuto animale accompagnò l’oca alla cava, dandole altre istruzioni. La poveretta entrò; andando tastoni
s’immerse nella calce fino al collo ma, presa dal sonno, affondò nella sostanza molle e morì senza accorgersene.
Arrivata al rifugio della vittima, la volpe dormì e allo spuntare del giorno si deliziò delle grandi uova. A stomaco pieno si disse: “ Se l’oca si è addormentata nella notte, a quest’ora è già morta; se invece è rimasta
sveglia, adesso è talmente inzuppata di calce da non riuscire a muoversi”.
In quel momento i suoi occhi assunsero un’espressione crudele che strideva fortemente con la sua voce
malferma turbata dal rimorso. Una frase sconcertante concluse il suo monologo: “ Viva o morta, per l’oca le
cose vanno male; ma devo rispondere a qualcuno della sua ingenuità?”. Infine, per cercare di soffocare la
voce del rimorso, lasciò il bosco ripromettendosi di non tornarvi mai più.
NOTA: a volte il malvagio rifiuta consapevolmente di rendersi conto delle conseguenze del danno arrecato
al prossimo.
FAVOLA N. 55
LA VOLPE, L’USIGNOLO, IL CONCERTO DEL CORVO E LA LIRA
Una volpe compiva dieci anni e per festeggiare il suo compleanno invitò l’usignolo a tenere un concerto in
cima alla chioma della quercia secolare. Pensando a quel giorno particolare, l’astuto animale immaginava di
stendersi ai piedi del maestoso albero per ascoltare il gorghéggio dell’usignolo, con i suoi familiari e la sua
migliore amica, una scimmia dal manto scuro.
Una settimana prima della festa l’usignolo, accompagnato da un corvo, incontrò la volpe e la scimmia per
presentare loro il programma di canzoni. Conclusa la riunione, la volpe disse all’usignolo: “ Ricompenserò la
tua esibizione canora con una lira”. Il cantante ringraziò e prese il volo col compagno.
La scimmia, ricevuto dalla volpe l’incarico di cercare il dono promesso all’usignolo, ritornò dal suo padrone,
presso il quale lavorava come cameriera. Quest’ultimo era un collezionista di strumenti musicali e di monete metalliche. Spiegò tutto e il suo padrone le diede lo strumento a corda richiesto.
Il giorno del concerto l’usignolo disse al corvo: “ Voglio fare uno scherzo alla volpe, che detesto per la sua
astuzia. Questa sera andrai da lei, dirai che sono ammalato e le chiederai di sostituirmi. La festeggiata, per
riguardo verso gli invitati, ti farà cantare; infine ti consegnerà la lira”.
Il corvo si recò alla quercia secolare e la volpe accettò a denti stretti di ascoltare i suoi lugubri lamenti. Terminato il concerto, la scimmia si preparava a consegnare al cantante lo strumento a corda, ma l’astuto animale la prese in disparte e le sussurrò qualche parola. Infine la festeggiata disse al cantante: “ Per ricevere il
dono promesso, ritorna domani”.
Il giorno dopo il corvo si ripresentò e la volpe pregò la scimmia di consegnargli la ricompensa stabilita. Il nero uccello vide un cofanetto di vetro trasparente che conteneva una lira italiana fior di conio. In un attimo
la scimmia mise il cofanetto nel becco del corvo e la volpe lo congedò con un’espressione ironica: “ Ti ho
pagato con una lira!”.
NOTA: attenzione alle parole che hanno più significati!
FAVOLA N. 56
IL PESCESPADA, IL TONNO E I PERICOLI DEL MARE DI SICILIA (1)
Un pescespada e un tonno vivevano nel mare di Sicilia ed incontrandosi spesso diventarono amici. Un giorno, mentre lambivano la superficie delle onde, il pescespada disse al tonno: “ Stiamo attraversando un tratto di mare di un azzurro così intenso da far pensare allo zaffiro”.
L’amico annuì e rispose: “ Tuttavia il pericolo d’imbattersi in una tonnara è reale”. Il pescespada chiese:
“Che cos’è la tonnara?”. “ E’ un gruppo di barche specializzate nella caccia al tonno” replicò l’amico. Il pescespada continuò: “ Dunque, i pescatori sono i tuoi principali nemici; ma tieni presente che, per un motivo
o per un altro, bisogna lasciare questo mondo”. “ E’ vero, ma io preferirei morire di morte naturale” concluse il tonno.
In quel momento una flottiglia di barche apparve all’orizzonte; i pescatori calarono in acqua una solida rete
e catturarono entrambi i pesci. Mentre il tonno si contorceva affannosamente, il pescespada forò una maglia della rete e riprese il suo percorso senza occuparsi della sorte dell’amico.
Raggiunto uno scoglio, affiorò in superficie e, scorgendo la flottiglia in lontananza, esclamò: “ Oggi ho imparato che cos’è la tonnara e ho visto i pescatori in azione!”.
NOTA: c’è chi davanti alla morte del prossimo dimostra una grande indifferenza.
1.
Mar di Sicilia: è quella parte del mar Mediterraneo compresa fra la Sicilia meridionale e l’Africa.
FAVOLA N. 57
LA LAMPADINA A BASSO CONSUMO, L’ACCENDINO E IL MOTO APPARENTE DEL SOLE
In uno scaffale di un grande supermercato una lampadina a basso consumo e un accendino erano stati posti l’una di fianco all’altro. Dopo essersi presentati, i due scambiarono quattro chiacchiere. “ Non avevo mai
visto una lampadina a forma di doppia u!” esclamò con stupore l’accendino. “ Io ho la forma tipica delle
lampadine a basso consumo energetico, mentre quelle tradizionali sono a sfera”.
L’accendino si confidò: “ Mi piacerebbe essere come te. Io sono solo un tubetto rosso che fa fuoco, mentre
la forma curva della tua estremità posteriore è veramente elegante”. La lampadina sottolineò: “ Abbiamo
forme diverse perché siamo destinati ad usi diversi; ma ci unisce il fatto di essere due fonti luminose”.
L’accendino riprese: “ A proposito di sorgenti luminose: ho sentito per caso una conversazione interessante. Gli operai che mi hanno sistemato sullo scaffale affermavano che non è il sole che gira intorno alla terra;
è la terra che ruota intorno al sole. Quest’ultimo è sempre al suo posto e la terra ruotandogli attorno, prima è sotto la sua luce, poi è ricoperta dall’oscurità; di qui il giorno e la notte”.
La lampadina obiettò: “ Ciò che dici è ben strano”. L’accendino spiegò: “ Gli operai sostenevano che numerose prove sono a favore di questa teoria…”. La lampadina l’interruppe: “ Per me le cose stanno così: il sole
e la terra sono fissi al loro posto. Al tramonto Dio, re dell’universo, spegne il sole con un suo interruttore
speciale e all’alba lo accende. Insomma, il sole è come me: anch’io quando sarò appesa al lampadario dipenderò da un interruttore per la mia accensione e per il mio spegnimento”.
Poco dopo sia l’accendino sia la lampadina furono venduti. Messa a far luce in una casa di campagna,
quest’ultima non mise mai in discussione con i suoi visitatori la sua opinione sul sole e, nella stanza che illuminava, si sentiva dipendente da un interruttore, come riteneva lui fosse.
NOTA: quando si approfondisce un argomento con letture, scambi di idee e dibattiti, si capiscono molte cose.
FAVOLA N. 58
LA CETRA, IL PLETTRO, IL MUSICISTA E L’ACQUISTO DELLA CHITARRA ELETTRONICA
Dopo aver suonato per anni la cetra, un musicista decise di frequentare un corso di chitarra. Finite le lezioni, acquistò una chitarra elettronica e l’installò nel salotto della sua abitazione. Guardò tristemente la cetra
ed il plettro ai piedi del tavolo e disse loro: “ Con voi ho trascorso i più bei giorni della mia vita, ma ora so
suonare la chitarra elettronica e vi dico addio”.
Nel silenzio interrotto solo dal ticchettio dell’orologio a muro, prese la cetra ed il plettro e li collocò in uno
scaffale del ripostiglio.
Il plettro disse alla cetra: “ Perché il padrone di casa non ci ha lasciati in un angolo del salotto? Là non
avremmo dato fastidio a nessuno”.
La cetra replicò: “ Ha voluto chiudere definitivamente con noi. Io preferisco la mia nuova sistemazione a
scaffale: infatti , non intendo coabitare con la chitarra elettronica e con i suoi cavi. Nei tempi antichi i cantori usavano celebrare le gesta di Ulisse e degli altri eroi omerici con la cetra. Nel terzo millennio non si può
pretendere che chi canta la figura di Ulisse usi ancora gli strumenti a corda”.
NOTA: si può avere successo proponendo al pubblico opere con personaggi, eroi e miti del passato?
FAVOLA N. 59
LA PENNA D’OCA, IL CALAMAIO, “LE PENNE BIC” (1) E IL QUADRO DI VENEZIA
Un pittore teneva sulla scrivania del suo studio una penna d’oca, un calamaio con l’inchiostro ed alcune
penne bic. Quando scriveva delle lettere completandole con dei disegni, usava la penna d’oca, ma nella corrispondenza ordinaria si serviva delle bic. Col tempo fra la penna d’oca e le bic era nata l’amicizia.
Un giorno il pittore prese la penna d’oca, la richiuse nella sua custodia e la mise nella valigia con i suoi oggetti personali. Partì per Venezia, dove soggiornò per un mese. Ritornato a casa, rimise la penna d’oca al
suo posto sulla scrivania, a fianco del calamaio.
Dopo i saluti, le bic le chiesero dov’era stata e lei rispose con distacco: “ Ho pernottato in un albergo a cinque stelle a Venezia col nostro padrone. Una mattina di buon’ora lui mi ha portata sul Canal Grande e in
quello splendido scenario sono diventata il soggetto di un quadro: io al centro della tela e il paesaggio lagunare sullo sfondo”.
“ Siamo contente” dissero le sue amiche in coro. “ Ora mi rendo conto della differenza fra me e voi!”
esclamò la viaggiatrice. “ Che cosa intendi dire?”. Piena di boria, la penna d’oca spiegò: “ Essendo una bella
piuma, il pittore mi ha ritenuto degna di essere dipinta. Voi non potevate suscitare il suo interesse: infatti
sembrate dei tubicini”.
Una bic osservò: “ Il viaggio a Venezia ti ha montato la testa. Comunque, tieni presente che come mezzo di
scrittura dipendi sempre dalla limitata quantità d’inchiostro del calamaio”. La penna d’oca ribatté: “ Il soggiorno nella città di S. Marco mi ha reso consapevole del mio valore artistico. Come strumento di scrittura
appartengo al passato, è vero, ma posso essere utilizzata anche ai nostri giorni”.
Un’altra bic, parlando a nome delle compagne, replicò: “ Certo, ancora oggi sei uno strumento di scrittura,
ma è bene tenere a mente che i percorsi sulla carta del nostro inchiostro impastato sono chilometrici. In
sintesi: noi semplifichiamo la quotidianità della scrittura: ti pare poco?”.
NOTA: le penne a sfera facilitano la vita dell’uomo.
1.
Marcel Bich (Torino, 1914-Parigi, 1984): produsse e diffuse nel mondo le penne a sfera che portano
il suo nome senza la ‘h’ finale.
FAVOLA N. 60
IL PEZZO DI CUOIO NERO, LE STOFFE DI LINO, LO STRACCIO DI COTONE E L’APPARIZIONE DELLA LORICA
Sul tavolo di un laboratorio artigianale un apprendista sistemò un pezzo di cuoio nero vicino ad alcune stoffe di lino. Dopo aver pulito la televisione con uno straccio di cotone, lo mise accanto alle stoffe. In attesa di
ricevere istruzioni dal padrone, in quel momento assente, il giovane accese il piccolo schermo e si sedette.
Si trasmetteva una gara a quiz. Il presentatore chiese al candidato: “ Che cos’era la lorica?”. “ Era la corazza
dei legionari dell’imperatore Cesare Augusto” (1). “ Esatto. Di che materiale era?”. “ Era in cuoio” rispose il
candidato. “ Risposta esatta” confermò il presentatore. Sullo schermo apparve l’immagine dei legionari romani con la lorica. L’apprendista spense la televisione ed uscì dal laboratorio per cercare il padrone.
Rivolgendosi ai suoi vicini, il pezzo di cuoio nero disse impettito: “ Se si usava il cuoio per fabbricare le loriche, ciò significa che io sono fatto di una pelle veramente forte!”. Ma lo straccio di cotone replicò: “ Un archeologo sostiene che la lorica consistesse di undici strati di lino sovrapposti ed uniti dalla cucitura”.
Il pezzo di cuoio ribatté caustico: “ Si parla di loriche, e tu, misero straccio di cotone, per il gioco di parole
‘loriche-lombrichi’, potresti ben essere usato come tana per questi ultimi!”. Offeso, lo straccio ammutolì.
Ma le stoffe di lino lo difesero: “ Che parole inopportune! Tu, cuoio, puoi ben vantarti della tua resistenza.
Anche noi sappiamo che si ipotizza che le loriche fossero di lino; in ogni caso, abbiamo appreso con soddisfazione che la corazza di Alessandro Magno, detta linotorax, era di lino”.
Infine girando serenamente lo sguardo nel locale, conclusero: “ Oggi è una bella giornata di primavera e
dalle finestre la luce del sole si diffonde nel laboratorio. Lasciamo dunque i lombrichi strisciare tranquillamente tra i fili d’erba del prato, senza coinvolgerli nella nostra conversazione”.
NOTA: è sicuramente un punto di forza accontentarsi dei propri successi, grandi o piccoli, senza invidiare
quelli degli altri.
1.
Cesare Augusto (63 a.C.- 14 d.C.): primo imperatore romano, governò dal 30 d.C. al 14 d.C. Fu soprannominato ‘Augusto’ per la sua grandezza.
FAVOLA N. 61
IL LEONE, L’ELEFANTE, L’ORSO DELLE NEVI E LO SPARGIMENTO DI SALE
In una luminosa giornata della stagione secca con un cielo di un azzurro intenso a striature violacee, un leone incontrò un elefante sul suo cammino e lo assalì. Presto l’agile felino ebbe la meglio sul pachiderma, che
in un batter d’occhio stramazzò al suolo colpito a morte. Il leone lo ridusse a brandelli, mentre fiotti di sangue schizzavano ovunque sull’arido terreno della savana.
L’assalitore se ne andò esclamando con orgoglio: “ Oggi c’è stato spargimento di sangue!”. E in cuor suo
pensava che da allora gli abitatori della savana lo avrebbero temuto di più.
Un’ora dopo, gazzelle, antilopi e struzzi accorsero sul luogo del misfatto. Anche un orso polare, in visita alla
savana, interruppe il suo percorso per rendere l’ultimo saluto ai poveri resti dell’elefante.
Rivolgendosi agli astanti che osservavano smarriti i brandelli di carne e le macchie di sangue sparse qua e là,
il visitatore iniziò: “ Al polo nord si dice che il sangue dei morti diventi neve…”. Mentre gli animali lo scrutavano perplessi, continuò: “ Nelle regioni artiche allo spargimento di sangue dei morti segue lo spargimento
di sale dei vivi!”.
Infine l’orso delle nevi se ne andò con passo grave; mentre la sua figura si rimpiccioliva all’orizzonte, i presenti s’interrogavano sul misterioso significato delle sue parole. Da quel giorno, senza che nessuno sapesse
spiegarsi il perché, il luogo del crimine venne denominato ‘il luogo dello spargimento del sale’.
NOTA: può una tragedia diventare una tregenda?
FAVOLA N. 62
L’ELEFANTE E LE ZAMPE DELLA TARTARUGA
In un’infuocata giornata della stagione secca con un cielo azzurro senza macchie, un elefante marciava nei
pascoli della savana alla ricerca di cibo. Ma il sole aveva seccato l’erba e il pachiderma si fermò deluso sulla
riva del lago per riposarsi.
Vista una tartaruga uscire dalle acque, si alzò e le si precipitò incontro. “Che cosa vuoi?” chiese l’anfibio tirandosi indietro impaurito. “Intendo mangiarti”. “Ma tu sei un erbivoro”. L’elefante si giustificò: “I pascoli
sono bruciati dal sole”. La poveretta sottolineò: “Se esplori la savana più a fondo, trovi senz’altro dei ciuffi
d’erba ancora verde”. Ma l’aggressore la minacciò: “Se non ti fai mangiare, ti schiaccio col piede!”. “Va bene, ma non farmi a pezzi: ingoiami”. “Perché?”. La malcapitata mentì: “Intera sono molto più gustosa”.
Il pachiderma la fagocitò e l’anfibio finì a testa ingiù nello stomaco. Quest’ultimo si fece forza e coraggio.
“Devo lottare per sopravvivere!”. Ciò detto, usando le sue zampe taglienti, fece a pezzi lo stomaco
dell’elefante, che si contorceva per il dolore come un pazzo. Bucato lo stomaco e raggiunta l’epidermide
dura e spessa del morente, la tartaruga osservò: “ Questa pelle è coriacea, ma le mie zampe sono al vetriolo!”.
Sforzandosi di dare alle sue zampe l’incisività della punta di un trapano, forò la pelle del pachiderma in più
punti. Infine uscì all’aria aperta e cadde al suolo sfinita.
Esalando l’ultimo respiro, l’elefante si pentì del misfatto ed esclamò: “Se mi fossi nutrito d’erba secca, sarei
vissuto a lungo!”.
NOTA: nella lotta per la sopravvivenza è necessario impiegare al meglio la propria intelligenza e la propria
forza.
FAVOLA N. 63
LA MORTE DEL LUPO, LA RABBIA DELLE PECORE E L’ASTUZIA DELLA VOLPE
Un vecchio lupo, re del bosco, sentiva ormai l’avvicinarsi della morte. Riuniti i suoi tre lupacchiotti, disse
con voce malferma: “ E’ venuta la mia ora. Vi ho sempre procurato il cibo, ma da oggi dovete esercitare il
duro mestiere della caccia. Spero che la mia salma riceva gli onori dovuti dai suoi sudditi”. Pronunciate queste parole, si stese all’ombra di una quercia e spirò.
I tre lupacchiotti si guardarono con gli occhi bagnati di lacrime ed il primogenito disse ai fratelli: “ Percorriamo il sentiero principale del bosco per annunciare la morte del re, affinché i suoi sudditi gli rendano
l’estremo saluto”.
Il terzogenito osservò: “ Diffondiamo la voce della scomparsa del sovrano con discrezione: teniamo presente che nostro padre era un temibile predatore”. Ma i fratelli non gli diedero retta e annunciarono ovunque
la triste notizia. Poi ritornarono alla quercia ad aspettare l’arrivo dei visitatori.
Le ore passavano, ma solo topi e ratti si avvicinavano al maestoso albero, spalancando gli occhi alla vista
della preda da rosicchiare. I lupacchiotti li ammonivano con lo sguardo ed il primogenito intimò loro: “ State
alla larga dal capezzale o farete una brutta fine!”.
Improvvisamente apparve un gregge di pecore; la più robusta si staccò dalle compagne ed affrontò i lupacchiotti apertamente: “ Vostro padre era un gran predatore e fra le sue vittime preferiva gli agnelli, cioè i nostri figli. Pertanto, se non fate sparire la salma, domani i capri, nostri amici, verranno qui e la lacereranno
con le loro corna taglienti”.
Il primogenito replicò: “ Nostro padre, re del bosco, può fregiarsi del diritto di essere onorato dai suoi sudditi”. La pecora ribatté irritata: “ Vostro padre re? Qualcuno forse lo ha visto portare la corona o marciare
con lo scettro?”. Gli interrogati non sapevano che cosa rispondere, ma l’imprevisto arrivo della volpe modificò la situazione.
“ Calma, per favore!” esclamò l’astuto animale mettendosi in mezzo ai contendenti. Girando lo sguardo,
proseguì: “ Si sa, i lupi non sono erbivori. E’ giusto rendere omaggio al proprio re, ma non si possono obbligare i sudditi a recarsi al capezzale del defunto. Fra l’altro, io vedo solo topi e ratti: il sovrano aspettava forse la loro visita?”.
Nessuno rise, ma la battuta smorzò l’atmosfera di tensione e la volpe fece il punto della situazione: “ La
contesa può avere un lieto fine. Chi lo desidera, può onorare le spoglie del monarca in giornata; al tramonto è opportuno provvedere alla sepoltura della salma con l’aiuto delle talpe; oppure la si coprirà con foglie
di quercia che l’avvolgeranno come fossero terra fresca. Siete tutti d’accordo?”.
Non udendo alcuna obiezione, l’astuto animale concluse: “ Un proverbio recita: -chi tace acconsente-. Il dibattito è finito ed è bene che ciascuno ritorni a casa propria”. Poi s’incamminò verso la sua tana, e le pecore
verso il loro rifugio. I lupacchiotti ripresero a fare la guardia alle spoglie del padre e topi e ratti continuarono a girare attorno alla quercia, sempre più affamati. Il tempo passava e non si vedeva anima viva fermarsi
davanti al capezzale.
All’imbrunire il terzogenito propose ai fratelli di chiedere l’aiuto delle talpe per seppellire il padre. I tre fratelli si misero alla ricerca dei mammiferi dai piccoli occhi ed il terzogenito con uno sguardo sprezzante verso
i roditori esclamò: “È meglio essere divorati dai vermi che rosicchiati da topi e ratti!”.
NOTA: la prudenza consiglia la massima discrezione nelle cerimonie di sepoltura di chi ha una pessima reputazione.
FAVOLA N. 64
LE GALLINE, L’UOVO DI COLOMBO, LA LAMPADINA A BASSO CONSUMO ED IL RECUPERO DEI RIFIUTI ORGANICI
Nell’autunno del 2012 un paese della campagna francese di un centinaio di famiglie era sommerso dai rifiuti, in gran parte organici. Infatti i contenitori erano strapieni ed emanavano un cattivo odore. Il sindaco era
preoccupato perché il comune non aveva più i soldi per pagare il netturbino addetto alla pulizia delle strade.
Un giorno si mise a guardare la lampadina a basso consumo che illuminava l’ufficio della casa comunale,
sperando di ricevere da lei un suggerimento per risolvere il problema. La piccola fonte luminosa non gli trasmise alcun messaggio, ma la sua doppia forma a ‘u’ proiettata verso il basso lo invitò ad uscire all’aria
aperta.
Il primo cittadino uscì e vide una gallina razzolare tra i rifiuti sul ciglio della strada. Si fermò ed esclamò: “Ho
trovato la soluzione!”. Ritornato in ufficio, preparò un manifesto per la cittadinanza in cui il municipio offriva gratuitamente una coppia di polli e un sacco di grano ad ogni famiglia. In cambio, quest’ultima
s’impegnava a nutrire le galline per almeno due anni e a fornire loro un riparo contro i predatori.
La proposta del sindaco ebbe successo: numerose famiglie sottoscrissero il contratto di adozione dei polli e
si misero a costruire dei ripari di legno a fianco delle loro casette.
Da quel giorno le galline razzolarono indisturbate tra le immondizie gettate qua e là e ritornarono regolarmente a casa per covare le uova. Nei giorni di maltempo le famiglie lasciavano manciate di chicchi di grano
nei ripari.
Passato un anno, il primo cittadino convocò il consiglio comunale per informarlo dei risultati della sua iniziativa. Disse fra l’altro: “ L’intera operazione-pollo ammonta a circa seicento euro, grano compreso; ma il
salario di un netturbino incide in misura maggiore sul bilancio comunale. Ogni pollo trasforma centocinquanta chili di rifiuti organici in circa duecento uova contribuendo, sia pure modestamente, a fronteggiare
la crisi economica in atto; ed io penso che i polli costituiscano un notevole modello di insegnamento per i
bambini e che favoriscano i rapporti di buon vicinato. In effetti, le galline vivono una vita semplice e sono
tranquille”.
Conclusa la seduta i consiglieri, soddisfatti, lasciarono l’aula. Il sindaco si affacciò alla finestra della casa comunale ed osservò una gallina marrone che raspava tranquillamente nel canaletto asciutto della strada. Si
disse gongolando: “ Non ho scoperto l’uovo di Colombo: voglio dire che non capirò mai se è nato prima
l’uovo o la gallina; ma è certo che l’operazione-pollo fa risparmiare una discreta somma di denaro alle casse
municipali, cioè il salario di un netturbino”.
NOTA: a volte, con la buona volontà e con la collaborazione di tutti, si possono effettuare operazioni economiche che hanno effetti positivi per l’ambiente.
FAVOLA N. 65
LA FARAONA DAL MANTO SCREZIATO, LA GALLINA SPELACCHIATA, LE PIRAMIDI E IL ‘GIOCO DEL FARAONE’
Stanca di razzolare per la campagna assolata, una faraona dal manto screziato aveva trovato ospitalità in un
pollaio ai margini del bosco. Era una tettoia metallica rettangolare retta da quattro pilastri di cemento e circondata da una palizzata di canne di bambù spezzata in più punti.
Le galline accolsero cordialmente la nuova arrivata e le fecero alcune domande sul suo manto variegato. La
faraona rispondeva sicura di sé, con una frase preparata da tempo: “ Il mio piumaggio è grigio perché sono
originaria dell’Africa, e le screziature che lo punteggiano evidenziano la mia bellezza”.
Una gallina dalla grossa cresta le chiese: “ Sei imparentata col pavone?”. L’interrogata esclamò con un tono
che non ammetteva repliche: “ Io sono una faraona!”. Il suo portamento orgoglioso e distaccato e le sue
parole misurate e precise denotavano la sua spocchia.
Alle prime luci dell’alba le galline e la faraona uscivano dal pollaio attraverso i buchi dello steccato di canne
per andare a razzolare nel bosco.
Un giorno d’estate un acquazzone si rovesciò all’improvviso sulla campagna sorprendendo le galline che raspavano nel verde. Finito il maltempo la faraona, che era rimasta sotto la tettoia, raggiunse le galline nel
bosco. Osservando una gallinella spelacchiata che si dibatteva affannosamente nel mezzo di una pozzanghera, scoppiò a ridere. La poveretta le domandò infastidita: “ Perché ridi?”. “ Mi diverto da matti se penso
che noi faraone eravamo civili quando voi galline sguazzavate nel fango. Infatti noi razzolavamo all’ombra
delle Piramidi”.
La gallinella ribatté: “ Perché non ritorni in Egitto? Le piramidi sono ancora al loro posto”. Sorpresa per
l’inattesa risposta, la faraona si giustificò: “ La mia storia è lunga e sofferta”. Poi ritornò al pollaio e da quel
giorno si sentì a disagio.
Un giorno la faraona s’imbatté nella gallina spelacchiata e volle prendersi la rivincita: “ Fra poco incontrerò
le mie amiche d’infanzia nel folto del bosco e all’ombra degli alberi giocheremo al ‘faraone’”. La gallinella
chiese incuriosita: “ Che cos’è?”. “ E’ un gioco a carte di società. Ma tu, essendo una gallina, non apprezzi di
certo questo genere di passatempi!”.
Con questa scusa la faraona se ne andò con l’intenzione di non mettere più piede nel pollaio: l’invito a visitare le Piramidi aveva inferto un duro colpo al suo comportamento altezzoso; e lei poteva rinunciare a tutto, ma non alla sua spocchia!
NOTA: per alcuni, la spocchia può essere motivo di vanto?
FAVOLA N. 66
LE TRE OCHE DEL LITORALE TOSCANO E LE INSIDIE DELLA VOLPE
Uno stormo d’oche viveva nel litorale toscano, ma si spostava spesso nella campagna retrostante per cercare cibo. Un giorno d’estate le oche arrivarono in un bosco di pini marittimi e lecci che circondava un villaggio. Dopo una sosta ripresero a marciare, ma tre di loro, affascinate dalla superbia del verde paesaggio immerso nel silenzio, rimasero nel bosco.
Erano tre sorelle dal piumaggio nero maculato di bianco. La primogenita disse: “ Sapete che la presenza della volpe nel verde è un pericolo per le nostre vite; per questo dobbiamo cercare un riparo sicuro”.
Scesa nel villaggio, trovò un fabbro col quale stipulò un contratto: lei avrebbe covato cento uova per lui ricevendone in cambio una gabbia di ferro. Il fabbro precisò: “ Avendo solo del ferro arrugginito, ti costruirò
una gabbia che non sembrerà nuova; ma ti assicuro che le sbarre saranno spesse e resistenti”.
Ritornata nel bosco, l’oca riferì la sua conversazione col fabbro alle sorelle, constatando sorpresa la loro indifferenza. In effetti, esse preferivano dormire all’aperto dove capitava, trascurando l’ipotesi d’imbattersi
nella volpe.
Arrivò l’inverno ed il fabbro sistemò la gabbia di ferro nella cavità di un pino marittimo. L’oca primogenita si
adattò al riparo, mentre le sue sorelle continuavano a dormire ora sotto una tettoia abbandonata ora su
ruvidi giacigli di pigne.
Una sera la volpe le inseguì nascosta dai cespugli; attese pazientemente che si accovacciassero sull’erba,
poi le assalì e le divorò entrambe. La sorella maggiore, non ricevendo più le loro visite, immaginò che cosa
era successo.
Un giorno l’astuto animale apparve davanti alla gabbia e bisbigliò all’oca superstite: “Mi sento in colpa perché sono stata ingiusta”. “ Che cosa ti affligge?”. La predatrice esclamò: “ Ho mangiato le tue sorelle, ma tu
sei ancora viva!”.
Guardandola, il volatile pensò: “Voglio rendere giustizia alle mie sorelle”. Poi disse: “Più che ingiusta, mi
sembri incoerente. Infatti il proverbio recita: -Non c’è due senza tre-”. “Esatto”. Fingendosi mortificata,
l’oca continuò: “Intendo aiutarti”. Alzando gli occhi al cielo, si confidò: “Mi piacerebbe raggiungere le mie
sorelle in paradiso, ma tu puoi divorarmi solo entrando nella gabbia”. L’astuto animale s’incuriosì: “Come
posso fare?”. “Devi diventare un fachiro”. “Chi sono i fachiri?”. Il volatile spiegò: “Sono uomini che ingoiano
ferro e vetro, e tu puoi ben imitarli!”.
La volpe aderì col corpo alla gabbia ed iniziò con foga a limare le sbarre. L’oca l’incoraggiò: “ Forza! I tuoi
denti sono forti come le zanne di un elefante, le sbarre sono arrugginite e io le vedo assottigliarsi sempre
più ad ogni istante”.
Ma in realtà le sbarre erano dure e presto l’assalitrice si spezzò i denti. Si fermò e guardò la sua preda con la
bocca insanguinata. Il volatile disse: “ Non preoccuparti per i tuoi denti rotti: tu sei come l’araba fenice, il
mitico uccello che rinasce dalle proprie ceneri”.
Ma la volpe, dolorante, constatò: “ Ho la bocca piena di sangue e di ruggine!”. Divertita, l’oca continuava a
canzonarla: “ Non sai che la ruggine è un potente rimedio contro il raffreddore?”.
Allora la predatrice, vedendosi costretta a sopportare il danno e la beffa, rinunciò alla preda e s’incamminò
verso la sua tana.
NOTA: è buona regola fare giustizia contro chi commette un crimine.
FAVOLA N. 67
LA COLOMBA, LE UOVA DELL’AQUILA E LE ASPIRAZIONI DEL FALCO
In una giornata piena di sole una colomba, giunta alle rive di un limpido stagno, si fermò e si guardò attorno. Il paesaggio era verde e l’armonioso giogo delle colline si profilava in lontananza.
Dopo aver bevuto un po’ d’acqua, s’accorse che un falco la stava osservando dalla cima di un albero. Questi
iniziò: “ Sei sempre tranquilla?”. “ Perché dovrei agitarmi? Io sono un uccello mite”.
Il predatore continuò: “ A me piace la caccia. Tempo fa ho assistito alla lotta fra un leone e un elefante: che
emozione!”. Poi, gonfiandosi, esclamò: “ Guerra, sola igiene del mondo!”. (1)
La colomba ribattè: “ Beati gli operatori di pace”. (2)
Il falco sottolineò: “ A proposito di pace, la tregua fra l’aquila e il serpente dura da troppo tempo. Voglio
spargere la voce che quest’ultimo intende raggiungere di nascosto il nido dell’aquila, quando lei è a caccia,
per rompere le sue uova; ti lascio immaginare che cosa succederà…”.
Detto questo, spiccò il volo. La colomba lo seguì con lo sguardo, scosse la testa e gli disse mentalmente:
“Quando metterai la testa a posto?”.
NOTA: a volte dispute e conflitti sono causati da notizie false e prive di fondamento.
1.
Dal ‘Manifesto del Futurismo’- 20 febbraio 1909- articolo 9: “ Noi vogliamo glorificare la guerra-sola
igiene del mondo-il militarismo…”.
2.
Dal ‘Vangelo secondo Matteo’, 5-9: “ Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di
Dio”.
FAVOLA N. 68
IL PICCIONE DI CITTA’ E LE PAURE DEL PICCIONE DI CAMPAGNA
Un piccione di campagna dal piumaggio biancogrigio si recò in città per rivedere un suo cugino dal manto
grigioscuro. Quest’ultimo dimorava nel balcone di un condominio a otto piani che dalla parte posteriore
dava sul cortile.
Appollaiati entrambi sulla ringhiera di ferro del balcone, il piccione biancogrigio chiese a suo cugino: “ Che
cos’è quell’ampio edificio che si trova oltre il cortile?”.
Il cugino rispose: “ E’ un garage dal tetto piatto rivestito di catrame su cui si può camminare tranquillamente. Da tempo è diventato la nostra mensa. Infatti molte casalinghe gettano dai loro balconi pezzi di pane ed
altri avanzi sul tetto. Dopo il lancio io e i miei amici ci posiamo sulla superficie di catrame e consumiamo i
nostri pasti”.
Il piccione biancogrigio constatò: “ In campagna procurarsi del cibo è più duro, soprattutto d’inverno; e il
pane è più saporito delle sementi”.
Passato un mese, il piccione di campagna emigrò in città e scelse come dimora il balcone di suo cugino. Presto si rese conto che, quando le casalinghe gettavano gli avanzi, i piccioni si precipitavano numerosi sul tetto e si azzuffavano per accaparrarsi i pezzi più consistenti; ed osservò che nei giorni festivi le casalinghe,
prese dai loro impegni, si dimenticavano di nutrirli, costringendoli a lunghi digiuni.
Un giorno il piccione biancogrigio domandò a suo cugino: “ Dove ti riproduci?”. Il cugino rispose apertamente: “ La riproduzione è un problema. Una parte degli abitanti della città non ci vuole perché sporchiamo
le strade e gli edifici. Un anno fa sui bordi del tetto del garage che vedi s’installarono delle cassette di legno
per la riproduzione e la cova delle uova. Noi eravamo molto contenti e le utilizzammo; ma qualcuno di notte fece sparire le nostre uova e non le ritrovammo mai più: forse esiste un progetto per limitare le nostre
nascite”.
Sorpreso il piccione biancogrigio replicò: “ In campagna non ho mai sentito parlare di piani di questo genere. Là forse la vita è più faticosa, ma nessuno minaccia la nostra riproduzione”.
Così decise di ritornare in campagna. Dopo aver ringraziato il cugino per l’ospitalità, lo salutò affettuosamente, diede un ultimo sguardo al multiforme paesaggio cittadino ed infine spiccò il volo.
NOTA: la vita cittadina può presentare degli inconvenienti per gli animali selvatici.
FAVOLA N. 69
I DUE FUCHI, IL PLATANO, L’EDERA E L’AMORE
In una serena giornata d’autunno un’ape regina riunì le operaie sulla grande tavola dell’alveare e disse: “ Le
nostre provviste sono sufficienti per affrontare l’inverno che è alle porte. D’ora in poi non deporrò più uova
e riposerò con voi”.
Senza aggiungere altro, la sovrana raggiunse la cella più spaziosa dell’alveare seguita dalle operaie che le si
strinsero attorno a forma di palla. A turno, le operaie uscivano dalla sfera e ruotavano attorno alla regina
per creare e mantenere una temperatura costante.
Un giorno i fuchi si avvicinarono alla palla ma le operaie, da buone guardiane, li dispersero scaraventandoli
fuori dall’alveare. Due di loro, uno magro e l’altro grasso, si trovarono improvvisamente sul prato. Il fuco
magro disse al grasso: “ Caro amico, restiamo uniti nella cattiva sorte”. “ Certamente!” esclamò il compagno di sventura.
Fermatisi ai piedi di un faggio, il fuco magro continuò: “A quest’ora la sovrana pronuncerà il solito discorso
di fine autunno”. Scimmiottando la regina, il fuco grasso iniziò a recitare: “D’inverno i fuchi sono solo bocche da sfamare ed in primavera saranno sostituiti dai più giovani: per questo era necessario spedirli altrove!”.
I due compagni, ripreso il volo, raggiunsero il viale dei platani che fiancheggiava il fiume. Sulla riva le foglie
ingiallite cadute sull’erba formavano soffici tappeti erbosi, mossi leggermente dal vento.
Il fuco magro disse all’amico: “Cerchiamo un platano col tronco avvolto dall’edera, che è il nostro cibo preferito”. L’amico replicò: “ Mi viene in mente una canzone, che recita: -L’amore è come l’edera: s’attacca dove vuole-“.
Il fuco magro chiese: “ Adesso, fra l’amore e l’edera, qual è la tua scelta?”. “ Quest’ultima!” esclamò
l’amico.
Senza aggiungere sillaba, i due si avvicinarono alle radici di un platano da cui l’edera si avvolgeva a spirale. Il
fuco magro, pregustando il cibo, disse all’amico: “ Riempiamoci la pancia; all’amore penseremo in un’altra
occasione”.
NOTA: stabilire delle priorità aiuta a vivere meglio.
FAVOLA N. 70
LA VESPA ROSSA, L’APE REGINA E LA RISCOPERTA DEL VESPASIANO
In una cittadina della pianura Padana uno sciame di vespe aveva nidificato sulla torre dell’orologio che fiancheggiava la chiesa. In una fessura tra il grande orologio e il muro sottostante si vedeva bene il nido fatto di
pagliuzze e di stoppa.
Allo spuntare del sole le vespe, guidate dalla vespa rossa, volavano in campagna per cibarsi del nettare dei
fiori; alle ultime luci del tramonto rientravano al nido per dormire.
Un bel giorno di primavera una squadra di muratori smontò l’orologio arrugginito della torre; ripulito il tratto di muro sottostante, distrussero il nido di vespe e collocarono un nuovo orologio a filo del muro.
La sera, ritornati in città, i poveri insetti si resero conto d’aver perso la loro dimora e per quella notte si
adattarono a dormire sulle tegole del tetto della chiesa.
Il giorno dopo le vespe raggiunsero la campagna e si riunirono in assemblea straordinaria ai piedi della
quercia secolare. Ascoltati numerosi e concitati interventi, la vespa rossa fece il punto della situazione: “Per
una ragione o per un’altra, nessuno vuole sistemarsi in campagna. Allora perché non nidifichiamo nel vespasiano che si trova quasi di fronte alla chiesa?”. “ Che cosa intendi con la parola ‘vespasiano’?” chiese una
vespa striminzita. La vespa rossa spiegò: “ Voglio indicare l’orinatoio a forma di torretta che è quasi opposto alla chiesa. Il vespasiano è diviso in due scomparti: uno dei due è fuori servizio perché non scorre più
l’acqua; ma è stato disinfettato a fondo e là in un angolo del soffitto ricostruiremo il nido al riparo dalla
pioggia e dagli altri elementi naturali”.
Una sensazione di ribrezzo pervase molte delle presenti; alcune abbandonarono la riunione seduta stante e
si stabilirono in campagna. Tuttavia la maggioranza, pur di rimanere in città, approvò la proposta della vespa rossa. Presto gli insetti senza dimora si misero all’opera e ricostruirono il nido.
In un giorno pieno di luce la vespa rossa ricevette la visita di cortesia di un’ape regina, sua grande amica
d’infanzia. Le due si posarono sul tetto dell’orinatoio, all’aria aperta.
L’ape regina iniziò: “ Perché vi siete trasferite in questo edificio?”. “ Noi siamo uno sciame di vespe abituate a vivere in città. Fra noi c’è chi si addormenta allo sferragliare dell’ultimo tram in lontananza e chi si sveglia regolarmente al rumore dei primi colpi di clacson delle macchine all’alba”.
L’ape regina non trattenne il suo stupore: “ Ma stabilire fissa dimora in un vespasiano!”. “ Noi vespe abbiamo un debole per la figura dell’imperatore Vespasiano (1)”. “ Perché?”. “ Per una somiglianza fonica:
‘vespa’ -‘Vespasiano’. Questo accoppiamento ci porta in alto”. “ Ma siete cadute in basso!”. “ Forse”, ammise la vespa rossa.
Non essendosi ancora accorta della distruzione del vecchio nido della torre, l’ape regina insistette: “ Con
tutti gli edifici che si vedono in città, perché la vostra scelta è caduta proprio sull’orinatoio?”.
La vespa rossa precisò: “ La vera ragione è questa: la chiesa e il vespasiano si trovano quasi l’una di fronte
all’altro. Dalla torre dell’orologio si respirava un’atmosfera chiesastica; qui nel vespasiano siamo immerse in
un’atmosfera imperiale; e come ben sai, la chiesa e l’impero erano due istituzioni fondamentali nell’Europa
del Medio Evo.
NOTA: c’è chi adduce molte ragioni per giustificare scelte e decisioni di modesta portata.
1.
Vespasiano: Tito Flavio Vespasiano fu un imperatore romano che governò fra il 69 e il 79 d.C. col
nome di Cesare Vespasiano Augusto.
FAVOLA N. 71
IL TOPO CIECO E L’OSPITALITA’ DEL FIENILE
Nella campagna Padana un gruppo di topi aveva trovato rifugio in un ampio fienile di una fattoria. Il piano
terra dell’edificio era adibito a deposito di attrezzi agricoli e al primo piano era ammucchiato il fieno. La sera il fattore chiudeva la porta di legno dell’ingresso, ma i topi avevano scavato sotto il bordo inferiore una
galleria che permetteva loro di entrare ed uscire liberamente.
Di notte nessun predatore si era avventurato nel fienile, ma i topi temevano ogni momento la visita improvvisa del gatto della fattoria.
Un giorno un grosso topo dai lunghi baffi e con tre stellette dipinte sul collo convocò l’assemblea sui soffici
monticelli di fieno del primo piano. Roteando lo sguardo intenso da una delle estremità dello stanzone, disse: “ Sapete bene che ho scoperto il rifugio e che mi considero il fondatore della comunità. Quindi, interpretando i vostri desideri e i miei, mi sono nominato colonnello comandante della comunità”; ed indicò con la
zampa destra le tre stellette gialle dipinte sul collo come segno del suo grado.
Gli astanti l’osservavano stupiti, ma nessuno ebbe il coraggio di contestare la sua autorità. Il capo continuò
con voce ferma: “ Il primo problema da affrontare è la sicurezza. Siamo una cinquantina e non vogliamo diventare né cibo per i gatti, né guardiani di noi stessi durante la notte. Per questo vi faccio una proposta: da
una parte accoglieremo nel nostro rifugio topi di qualsiasi nazionalità; dall’altra concederemo la nostra
ospitalità solo dopo aver esaminato a fondo i richiedenti asilo. Se li riterremo meritevoli di restare con noi,
li obbligheremo, uno alla volta, a fare la guardia alla porta d’ingresso per tre notti consecutive. Se il guardiano rimarrà incolume, dimorerà con noi; se non lo rivedremo più, lo dichiareremo ‘scomparso’”.
Si mise ai voti la proposta, che raccolse la maggioranza dei consensi. Nella campagna si sparse la voce che il
fienile accoglieva topi di tutte le razze e qualche giorno dopo un topo cieco, fiutando l’odore dei suoi simili,
raggiunse il rifugio.
Il colonnello comandante lo ricevette con entusiasmo e, presentandolo all’assemblea, gli chiese: “ Di che
nazionalità sei?”. “ Io sono cieco” si premurò di precisare l’ospite. Ma il capo capì ‘ceco’ per ‘cieco’ e, rivolgendosi ai presenti, disse: “Lui viene dalla Cecoslovacchia, io sono nato in Bielorussia, alcuni di voi sono originari di Biella, che si trova in Italia: bisogna dunque che v’impartisca una lezione di geografia”.
Nel rumore generale provocato dalle domande di geografia che gli astanti si ponevano l’un l’altro, il topo
cieco non riuscì più a prendere la parola. La sera stessa gli anziani del fienile gli diedero le istruzioni per il
servizio di guardia: lui doveva rimanere davanti alla porta d’ingresso e, se avvertiva dei rumori sospetti,
rientrava attraverso la galleria e squittiva tre volte. A quel punto, i topi sarebbero fuggiti dalle ampie aperture del primo piano.
Ricevute le istruzioni il topo poteva ben dire agli anziani di essere cieco, ma non lo fece perché l’incarico affidatogli destava il suo interesse. Così sul far della sera s’appostò davanti alla porta d’ingresso.
Nel cuore della notte il gatto della fattoria si avvicinò al rifugio e vide il topo davanti alla porta. Avanzò cauto ed il guardiano scambiò il suo passo felpato con lo stormire delle foglie. Il piccolo felino lo afferrò con un
movimento a tenaglia delle zampe e lo divorò; sentendosi sazio, non gli venne neanche in mente di entrare
nell’edificio.
La mattina seguente i topi constatarono l’assenza del topo di guardia. Il colonnello comandante fece il punto della situazione: “ Il topo ceco è sparito. Formulo due ipotesi: o il gatto l’ha mangiato, oppure è ritornato
in Cecoslovacchia. Io propendo per la seconda ipotesi e, comunque sia, lo proclamo ‘scomparso’”. Ciò detto, scese al piano inferiore con la testa alta e il passo deciso per esaminare altri tre piccoli roditori richiedenti asilo.
NOTA: ogni lavoro comporta degli specifici requisiti psico-fisici.
FAVOLA N. 72
IL PASSERO, L’AMICIZIA CON I FILI DELLA CORRENTE ELETTRICA E L’APPARIZIONE DELLA FARFALLA MULTICOLORE
Un passero viveva in un bosco ai margini di un villaggio tropicale e si nutriva dei semi che trovava tra i ciuffi
d’erba. Consumati i pasti, si appollaiava sul ramo di una palma e cinguettava allegramente.
Un giorno, mosso dalla curiosità, raggiunse la strada principale del villaggio e guardando verso l’alto vide un
fascio di fili della corrente elettrica che la percorreva da un lato. Una fila di pali di marmo, ognuno dei quali
terminava con un disco metallico, reggeva il fascio di fili incanalandoli nei fori dei dischi stessi.
L’uccellino si posò sulla cima di un palo, iniziò a parlare con i fili e presto nacque l’amicizia. Ogni giorno raccontava loro fatti ed aneddoti della vita del bosco; i suoi amici, invece, si dilettavano ad insegnargli le leggi
fondamentali dell’elettricità.
Una mattina, una farfalla multicolore volò tra il passero e i fili interrompendo involontariamente la loro
conversazione. Infastidito, l’uccellino la prese a beccate e l’uccise. La tragedia si consumò nel giro di qualche istante e i fili, non avendo il tempo di protestare, reagirono chiudendosi nel silenzio.
Il passero cercò di riprendere il dialogo, ma i fili lo guardarono freddi e sprezzanti. Resosi conto che l’aria
era cambiata, l’uccellino se ne andò esclamando: “ Voi non conoscete le leggi ferree della natura!”.
I fili non fecero una piega: dal tragico fatto di sangue avevano capito che il passero era un sopravvissuto
dell’età del ferro!(1)
NOTA: ogni mondo ha le sue leggi, che forse sono incomprensibili a chi le vede dall’esterno.
1.
Gli storici definiscono 'età del ferro' in Europa e in Asia il periodo dal XII all' VIII secolo a.C.
FAVOLA N. 73
LE DUE ROSE, IL CONCORSO DI BELLEZZA E IL CONTENITORE D’ARIA LIQUIDA
In un giardino botanico di una grande città crescevano rose rosse e bianche disposte in lunghe file. Al limite
della terra coltivata, una rosa bianca aveva stretto amicizia con la sua vicina di colore rosso. I due fiori erano accomunati dalla stessa altezza dei loro steli e da un’esile striscia nera che attraversava i loro petali.
Un giorno la rosa bianca disse all’amica: “ Durante il Medio Evo, in Gran Bretagna, due fiori come noi, uno
bianco e l’altro rosso, avevano dato il nome alla ‘guerra delle due rose’ (1), che durò trent’anni. Al contrario, fra di noi si è sviluppata un’amicizia breve ma intensa”.
La rosa rossa annuì ed aggiunse: “ Siamo unite dallo stesso destino”. “ Che cosa vuoi dire?”. La rosa rossa
spiegò: “ Siamo troppo belle per essere messe in vendita al mercato floreale: infatti, le rose orlate di nero
come noi sono rare!”.
La rosa bianca chiese incuriosita: “ Dove andremo a finire?”. “ Adorneremo il petto di due partecipanti al
concorso internazionale di bellezza che si tiene ogni anno a maggio”. La rosa bianca era perplessa: “ Che cosa te lo fa credere?”. “ La nostra bellezza”. La rosa bianca osservò: “ Siamo già ai primi di maggio: come
possiamo partecipare alla gara senza avere ricevuto alcun preavviso?”. “ Aspetta e vedrai!” esclamò la rosa
rossa.
Il giorno dopo il giardiniere colse le due rose e le mise in una caraffa con acqua fresca. La rosa rossa disse
compiaciuta all’amica: “ Inizia la nostra carriera”. I due fiori, caricati in un furgoncino, viaggiarono assieme a
scatole e ad ampolle di vetro per tutta la notte.
Il giorno successivo furono scaricati in aperta campagna davanti ad un basso fabbricato in muratura fiancheggiato da due alte costruzioni metalliche a forma di torre. Un uomo in grigio prese il materiale del furgoncino e lo consegnò ad un ricercatore dal camice bianco.
Quest’ultimo esaminò i fiori, che si guardarono spaventati. Infine alzò gli occhi verso un ampio contenitore
con la scritta: ‘ temperatura di liquefazione dell’aria: 190° sottozero= zero assoluto’.
Aperto un portello, gettò dentro le due rose; poco dopo, osservati da una finestrella di vetro i due fiori anneriti e privi di vita, esclamò: “ Le rose fresche immerse nell’aria liquida fanno uno strano effetto!”.
NOTA: ha senso sognare ad occhi aperti se le nostre illusioni non hanno alcun fondamento?
1.
‘Guerra delle due rose’: aspra e sanguinosa lotta dinastica combattuta in Inghilterra tra il 1455 e il
1485 tra due diversi rami della casa regnante dei ‘Plantageneti’: i Lancaster e gli York.
FAVOLA N. 74
IL LAMPIONE, I LAMPIONCINI A FUNGO E LA ROTAZIONE DELLA LUNA
Un lampione illuminava solitario una strada di campagna che conduceva ad un parco. Un giorno due operai
addetti alla manutenzione delle strade lo ispezionarono. Salirono con una scala fino alla cima e controllarono la tenuta della grande lampada. Discesi, diedero un’occhiata alla base che affondava nel terreno e se ne
andarono senza proferire parola.
Per tutta la giornata il lampione si sentì molto nervoso. Venne la sera e la luna piena iniziò a splendere nel
cielo stellato. Dopo averla salutata freddamente, esclamò: “ Tu sei sempre al tuo posto!”. “ Ti sbagli: io ruoto intorno alla terra e al sole!”. Il lampione osservò: “ In certi periodi dell’anno cambi forma e colore: sei
proprio una bella tipa!”.
Mantenendosi calmo, l’astro notturno spiegò: “ Tu mi vedi illuminata parzialmente o totalmente, ma ciò dipende dalla mia rotazione”. “ Perché a volte scompari?”. La luna lo corresse: “ Io ci sono sempre nel cielo,
anche quando tu non mi vedi”. Il lampione le lanciò una freccia: “ Le notti senza di te sono ideali per gli assassini!”. L’astro notturno si difese: “ Io non ho mai ammazzato nessuno”. “ Lo sai che fai paura quando assumi la forma di una falce?”. “ Durante la fase del quarto di luna, per dissipare le tue paure, puoi considerarmi come uno spicchio d’arancia”. In quell’istante una grande nube grigia oscurò il satellite della terra e
involontariamente interruppe la conversazione.
Il giorno dopo gli operai addetti alla manutenzione stradale fermarono il loro veicolo davanti al lampione e
scesero a terra. Scosso il tronco metallico, spicconarono il terreno ed il lampione cadde al suolo rumorosamente. Poi una squadra di operai si mise all’opera per installare due filari di lampioncini a fungo ai lati della
strada.
Pur essendo tramontata, la luna osservava la scena dal cielo. Rivolgendosi mentalmente al lampione, disse:
“ Ora mi rendo conto del tuo nervosismo e delle tue battute al vetriolo; ma io non ho niente a che fare col
tuo destino. Comunque, sei stato solo smontato; ti auguro dunque di essere reinstallato altrove”.
Dopo una pausa, con il volto da sfinge, concluse: “ Tu credevi che io fossi sempre al mio posto, ma io giro
continuamente e a volte mi chiedo: “Dove andrò a finire se il Padre Celeste ristrutturerà l’universo?-”.
NOTA: è ingiusto sfogare il proprio nervosismo sugli altri.
FAVOLA N. 75
IL CANCELLO GRIGIO, LA SIEPE E L’INSTALLAZIONE DEL CANCELLO AUTOMATIZZATO
Una villa di un paese di campagna era circondata da un giardino e protetta da un muro orlato sulla cima da
numerosi cocci di vetro. Un cancello grigio a sbarre composto da due ante e chiuso da una serratura rettangolare fungeva da porta d’ingresso. La casa dava sulla strada principale, fiancheggiata sul lato destro da una
siepe ben potata.
Il cancello, pur essendo contento di difendere la villa dai ladri, a volte usciva nottetempo dai cardini per fare una passeggiata lungo la strada. Vedendo e rivedendo la siepe illuminata dalle stelle, se ne innamorò follemente. In una notte senza luna una banda di ladri, approfittando della sua assenza, svaligiò la casa.
Il giorno seguente il padrone guardò il cancello con aria incerta: era intatto e, non immaginando che potesse camminare, si chiese da dove fossero entrati i malviventi.
Rimasto solo, il cancello si interrogò: “ Che cosa farà ora il proprietario? Ipotizzo che voglia sostituirmi: lui
stesso potrebbe fare la guardia di notte…o affidare la sorveglianza a una muta di cani; oppure acquistare un
nuovo cancello”.
Si concentrò e fece il punto della situazione: “ Scarto l’ipotesi che il padrone monti di guardia: in effetti la
vigilanza notturna è un duro lavoro. Relativamente ai cani, si sa che i ladri li addormentano con forti sonniferi. Infine, escludo la possibilità che s’installi un nuovo cancello: io sono alto e resistente come ben pochi.
In conclusione: sono insostituibile”.
Passata una settimana dal furto, in una notte di luna piena il cancello uscì dai cardini per incontrare la siepe, che gli confidò: “ Tu mi corteggi invano: infatti non sei il mio tipo”. Deluso, l’innamorato si diresse verso
il fiume e, giunto alla riva, intonò una breve canzone:
Luna, dolce luna
Luna, argentea luna
Perché spegni sempre
L’ardore dei sogni miei?
Occhi miei,
Occhi miei,
Perché soffrite
Ancora per lei?
Dopo aver camminato a lungo sui prati, all’alba il cancello ritornò a casa. Ma un’amara sorpresa lo attendeva: al suo posto il proprietario aveva installato un cancello automatizzato che gli disse: “ Caro amico, come
vedi il proprietario, constatata la tua assenza, ti ha sostituito. Mi compongo di una sola anta e sono automatizzato. Essendo un cancello a scomparsa, se si preme il telecomando mi incasso totalmente a destra…”.
Il cancello grigio si girò e, ripresa la via dei campi, pensò: “ Raggiungerò una cascina e mi fermerò davanti
alla porta di legno. Il contadino mi prenderà e mi sistemerà di fronte a uno degli ingressi. In campagna ho
ancora qualche carta da giocare: valgo più delle porte di legno e sono disponibile a coabitare con loro!”. Il
buon proposito risollevò il suo morale ed accelerò il suo passo mentre dall’alto il sole lo guardava con aria
divertita.
NOTA: sentirsi falliti e gettare la spugna è un grave errore.
FAVOLA N. 76
IL FIUME GIALLO (1), IL GATTO MESSAGGERO, IL PICCIONE VIAGGIATORE E LA NOTIZIA DEL SECOLO
Nell’esteso territorio cinese bagnato dal fiume Giallo, un gatto bianconero strinse amicizia con un piccione
viaggiatore. Incuriosito dal lavoro dell’amico, decise di imitarlo e si fece chiamare ‘gatto messaggero’; infatti con i suoi avvertimenti dava ai compagni la possibilità di procurarsi del cibo.
Un giorno di sole il piccolo felino raggiunse la sorgente del fiume Giallo ed iniziò a dialogare con lui: “ Perché porti questo nome?”. Il corso d’acqua rispose: “ Il fatto è che le mie acque sono fangose…”. Ma il guaito
di un cane disturbò il resto della conversazione. Il ‘gatto messaggero’ capì: “ Il sole mi ha sbancato” e chiese: “ I raggi solari sono così potenti? Io vedo i tuoi banchi come li ho sempre visti”. “ Qui sono così, ma la
potenza del sole si fa sentire lungo alcuni tratti del mio corso ed io temo per le mie rive”.
Stupito, il ‘gatto messaggero’ salutò il fiume e si diresse alla colombaia che ospitava il piccione viaggiatore.
In preda all’emozione gli disse: “ Ho la notizia del secolo: potresti informare i gatti che dimorano sulle rive
che il fiume Giallo è sbancato?”. “ Che cosa è successo?”. Il piccolo felino spiegò: “ La forza del sole ha annientato gli argini del fiume; ora le acque ricche di pesci invaderanno le campagne assicurando il cibo ai
miei compagni”.
Il piccione viaggiatore percorse il fiume trasmettendo il messaggio affidatogli. Numerosi gatti si appostarono lungo le rive per alcuni giorni, ma le acque non uscirono dal letto del corso d’acqua. Deluso, il piccione
viaggiatore ritornò alla fonte del fiume e fece il resoconto della situazione all’amico.
Sorpreso e confuso il ‘gatto messaggero’ visitò il fiume Giallo: “ Mi avevi detto che il sole ti aveva sbancato,
ma i miei compagni affermano che i tuoi argini sono sempre uguali”. Il corso d’acqua chiarì il malinteso: “Ho
detto che il sole mi aveva sbiancato, rendendo le mie rive quasi bianche; ora io sono giallo e non sono più
giallo!”.
Col morale a terra, il piccolo felino se ne andò esclamando: “ Io sono un messaggero e non sono un messaggero!”.
Resosi conto che la notizia del secolo si era rivelata infondata, cambiò lavoro. Si trasferì in una campagna
remota e si dedicò alla caccia di topi, rinunciando a diffondere notizie di qualsiasi natura.
NOTA: a volte circostanze e fatti negativi inducono a cambiare lavoro.
(1)
Il fiume Giallo è il principale fiume della Cina settentrionale.
FAVOLA N. 77
IL LEONE, IL DELFINO, LA VOLPE E LA SUCCESSIONE AL TRONO DELLA SAVANA
Fin dai tempi antichi una consuetudine del regno della savana prevedeva un evento particolare per la successione al trono. Era stabilito che all’imbiancarsi della criniera, il re leone avrebbe scelto un giovane leone
come suo successore, designato con l’appellativo di ‘delfino’ (1).
Correva l’anno 2000 quando il monarca in carica, un grosso leone dal pelo fulvo, vedeva la sua criniera incanutirsi ogni giorno.
Allora alcuni struzzi chiesero ed ottennero la convocazione dell’assemblea degli animali. Ma il sovrano, non
volendo abdicare, studiò un espediente per rimanere sul trono.
Il giorno dell’assemblea, l’ampia radura della savana era gremita di sudditi. In primo piano spiccavano alcuni giovani leoni, ognuno dei quali nutriva in cuor suo la speranza di diventare re. Dietro i giovani felini si
scorgevano giraffe, zebre, struzzi e gazzelle. L’uccello segretario aveva il compito di redigere il verbale dei
lavori.
Prendendo la parola, il monarca disse: “ Ho davanti a me la maggioranza dei sudditi, fra cui diversi giovani
leoni. Ma non vedo nemmeno un delfino: come posso dunque designare il mio successore?”.
L’uccello segretario rispose: “ Sire, Voi giocate con le parole. E’ noto che il sovrano uscente deve nominare
un giovane leone come suo successore, cioè come suo ‘delfino’; e si sa che i veri delfini si trovano nel mare”.
Tuttavia l’anziano re ribadì la sua opinione: “ Io interpreto la consuetudine alla lettera; pertanto, affiderò la
mia corona ad un delfino”. Mentre i presenti si guardavano stupiti, il monarca continuò: “ Cercate dunque
un delfino; per ora succederò a me stesso”. Detto questo, se ne andò senza aggiungere parola.
Dopo qualche minuto di smarrimento, i convenuti si riunirono in piccoli gruppi per discutere sul da farsi. Infine si aprirono i lavori dell’assemblea e si deliberò d’inviare una delegazione di volontari al mare per prendere contatti con un delfino.
Arrivati in una spiaggia bianca dell’Oceano Indiano, i membri della delegazione videro un delfino che saltellava sulla riva. Alla proposta dei delegati, il candidato alla corona sottolineò sorridendo: “ Sulla terraferma
sarei un pesce fuor d’acqua”. Ciò detto, salutò e riprese a giocare con le acque.
Ritornata nella savana, la delegazione fece una relazione all’assemblea sulla sua missione ed inviò una giraffa dal re per informarlo sull’esito negativo del colloquio col delfino. Il monarca formulò il suo punto di vista
con un’espressione proverbiale: “ Chi cerca trova”.
Percorrendo il sentiero principale della savana, la giraffa s’imbatté in una volpe; si fermò, le raccontò tutto
e chiese un consiglio. L’astuto animale replicò: “ E’ bene che la delegazione ritorni dal delfino per rinnovargli la proposta. Se questi rifiuterà nuovamente, io farò scattare una trappola che renderà la vita difficile al
re”.
Gli animali ascoltarono il suggerimento della volpe; il delfino insistette nel suo rifiuto e la delegazione le riferì l’esito del colloquio.
L’astuto animale disse: “ Informate l’assemblea del risultato negativo del vostro incarico. Aggiungete che il
delfino è molto arrabbiato per la piega assunta dagli avvenimenti: in effetti quest’ultimo considera il delfino
destinato a succedere al trono come un suo parente.
Pertanto, se il re leone non nominerà il suo successore, il delfino invierà i suoi migliori amici sulla terra, cioè
una muta di lupi del Delfinato (2), per divorarlo e per ristabilire l’ordine nel regno della savana”.
Aperti i lavori assembleari, la delegazione informò i presenti sullo sviluppo degli avvenimenti. Conclusa la
discussione, un’atmosfera di tensione permeò il regno: da un momento all’altro si temeva l’arrivo dei lupi
del Delfinato.
Venuto a conoscenza dei fatti, il monarca rifletté: “ Se le notizie che circolano sono vere, rischio la pelle; e
se sono false? Anche in questo caso le cose si mettono male: infatti la mia reputazione è messa fortemente
in discussione”.
Il re prese una decisione e, nel cuore della notte, fuggì nel deserto senza lasciare tracce. Il giorno dopo,
constatata la scomparsa del sovrano, l’assemblea si riunì, abrogò la consuetudine di chiamare ‘delfino’ il
suo successore, e scelse come re un giovane leone dotato di uno sguardo acuto e di un’agilità incredibile.
NOTA: nessuno può manipolare la legge a proprio uso e consumo.
1.
Delfino: era il principe ereditario della monarchia francese.
2.
Delfinato: antica provincia francese che fu appannaggio del primogenito del re, chiamato ‘delfino’,
dal 1364 al 1456.
FAVOLA N. 78
LA VOLPE MACULATA E IL DEPOSITO DI CARBONELLA
Una volpe dal pelo fulvo a puntini neri aveva delle amiche nel bosco e ogni domenica le incontrava per fare
quattro chiacchiere su vari argomenti. Un giorno, specchiatasi nello stagno del bosco, esclamò con orgoglio:
“ I puntini neri della mia pelliccia sono numerosi e le mie amiche hanno ben motivo di chiamarmi ‘volpe
maculata’”. Ma questo soprannome non soddisfaceva la sua vanità. Studiato un espediente per far parlare
di sé, si diresse verso il deposito di carbonella situato ai margini del verde.
Elusa la sorveglianza, entrò, si stese su un mucchio di carbonella e dormì rivoltandosi incessantemente fino
all’alba. Uscita furtivamente, si specchiò nello stagno e constatò soddisfatta che la sua pelliccia era completamente nera. Poi si adagiò sull’erba della radura affinché i raggi del sole rendessero lucente il suo manto e
nel pomeriggio si recò alla quercia secolare per incontrare le sue amiche.
Nel vederla, queste non credevano ai propri occhi. Lei spiegò: “ Questa notte ho dormito nel deposito di
carbonella e ho voluto presentarmi col manto scuro per farvi una sorpresa”. Ma le amiche, resesi conto del
suo esibizionismo, l’espulsero immediatamente dal gruppo.
Incamminandosi sulla strada maestra, la volpe maculata rifletté: “ Credevo di avere delle amiche, ma non
era così. Mi sono messa in mostra, lo ammetto, però non si reagisce in quel modo!”.
Poi, guardandosi la pelliccia, capì di avere una vera amica: la polvere di carbonella, che aderiva morbidamente al suo pelo senza chiedere niente in cambio. Da quel giorno, si documentò sul carbone con numerose letture e ricerche, e si stupì del notevole contributo che questa fonte di energia dava allo sviluppo del
mondo.
NOTA: un’amicizia autentica deve essere confermata non solo dalle parole ma anche dai fatti.
FAVOLA N. 79
IL CARIBU’ FILIPPINO (1), LA MOSCA E LA POTENZA DEL SOLE
In un’isola tropicale una fattoria si trovava ai piedi di una fertile collina. La costruzione in cemento era circondata da un ampio frutteto senza recinzione, che s’innalzava formando dei gradoni disuguali. Palme, banani ed alberi di diverse specie svettavano nell’azzurro, creando uno scenario rigoglioso. Ogni mattina alcuni cinghiali e un caribù della fattoria pascolavano nel verde.
Un giorno pieno di luce il nero bove raggiunse la sommità della collina e, mentre guardava ammirato il sole,
una mosca gli si posò sul collo. Giratosi, le ordinò di allontanarsi, ma si corresse subito: “ In via eccezionale,
ti concedo il permesso di ruotare attorno al mio collo, senza mai fermarti sulla mia pelle!”.
Il piccolo insetto replicò ironico: “ Da che cosa nasce la tua generosità?”. “ Il mio altruismo è di natura regale!”. La mosca s’incuriosì: “ Sei tu dunque una testa coronata?”. Il caribù, gonfiandosi d’orgoglio, le indicò il
sole: “ Lui è il re del sistema solare ed io regno nelle colline”.
Il piccolo insetto ribatté perplesso: “ Dammi una prova della tua regalità”. “ Il mio manto scuro respinge i
raggi del sole, che è un sovrano; per questo io mi considero pari a lui”.
La mosca ritornò molte volte nel frutteto e fra i due nacque l’amicizia, anche se il presunto monarca considerava il piccolo insetto come un suddito fedele. Di solito il nero bove parlava della potenza del sole, e la
mosca lo ascoltava con interesse.
Finita la stagione secca, il maltempo si abbatté sull’isola e la pioggia si rovesciò a torrenti sull’area della fattoria. Spaventato, il caribù riparò sotto l’ampia chioma di un albero, ma l’azione congiunta dell’acqua e del
vento lo piegarono in due. Ritornato il bel tempo, la carcassa del nero bove si profilava malconcia sulle propaggini ancora umide dell’albero.
La mosca riapparve nel frutteto e, immaginando che il caribù fosse ancora vivo, gli disse affettuosamente:
“Se tu, invece di usare tutto il tuo tempo libero a guardare il sole, avessi chiesto più volte al fattore la costruzione di una tettoia di metallo per gli animali, ora forse saresti qui!”.
Infine gli rese le onoranze funebri ruotandogli attorno per l’ultima volta, con le lacrime agli occhi.
NOTA: se si dà la priorità alle cose importanti, si vive serenamente.
1.
Il caribù filippino è un animale molto simile alla mucca.
FAVOLA N. 80
IL GALLO, IL PAVONE E LA FUGA DEL TACCHINO
In una casa di campagna una baracca di legno era adibita a pollaio. Nel suo regno il gallo aveva come sudditi
una cinquantina di galline e un vecchio tacchino. A fine mese, se la produzione delle uova era abbondante,
il fattore rovesciava un sacco di chicchi di granoturco sull’aia per ricompensare le galline delle loro fatiche.
Un giorno il fattore portò un pavone nel pollaio. Il suo collo e il suo petto erano verdi e nel resto del piumaggio il blu predominava sulle strisce azzurre e viola. Il nuovo suddito destò la curiosità delle galline.
Il gallo, osservato il dispiegarsi della sua coda davanti alla platea delle spettatrici, pensò: “ Invidio la bellezza
e la varietà di colori del piumaggio del pavone. D’ora in avanti le galline diranno spesso che il verde del suo
collo e del suo petto fanno pensare alla pietra color verde prato, la malachite. Insomma, si perderanno in
chiacchiere e la produzione delle uova diminuirà notevolmente. Così il fattore ci toglierà il sacco di granoturco assegnatoci mensilmente; ed io sono particolarmente ghiotto dei chicchi di questo cereale”.
Osservata la piccola cresta sull’alto collo del pavone, il gallo pensò di aver trovato il modo di dargli una lezione. Terminata l’esibizione, all’improvviso lo assalì beccandolo selvaggiamente in varie parti del corpo. Poi
si rivolse alle galline ed esclamò: “ Che nessuno alzi la cresta! ”e con passo deciso rientrò nel pollaio.
Mute per lo spavento e il dolore le galline si avvicinarono al malcapitato, che perdeva molto sangue. Il tacchino rifletté: “ Anch’io sono provvisto di una cresta; sono anziano, ma non voglio fare una brutta fine”. Così al crepuscolo senza far rumore imboccò la strada della campagna.
Il giorno dopo le galline constatarono la sua scomparsa e si chiesero il perché. Una rossa gallinella dallo
sguardo vivace disse: “ Forse il vecchio tacchino ha raggiunto la sua innamorata nel bosco”. La frase suscitò
l’ilarità delle compagne e stemperò l’atmosfera di tensione che si respirava nel pollaio.
Da parte sua il gallo rivolgeva uno sguardo distaccato e severo alle galline che avevano ripreso a razzolare
sul prato; infine si disse: “ Ho ristabilito l’ordine nel mio regno!”.
NOTA: si combatte una buona battaglia scacciando l’invidia dai nostri pensieri, dai nostri comportamenti e
dalle nostre azioni.
FAVOLA N. 81
IL CORVO, I TIZZONI DI FUOCO E L’INCENDIO DEL BOSCO.
Un corvo volava basso nel bosco alla ricerca di carogne e, vedendo un fuoco che stava per spegnersi, si
fermò ad osservare un tizzone a forma di uncino. Questi gli chiese incuriosito: “ Perché mi guardi dall’alto al
basso?”. Il corvo rispose: “ Il colore rosso della tua sagoma mi richiama alla mente, per contrasto, le tinte
vermiglie del tramonto”.
Il tizzone uncinato osservò: “ Ciò dovrebbe intenerirti il cuore; al contrario, l’espressione dei tuoi occhi è così sprezzante!”. Il nero uccello continuò in tono altezzoso: “ Le piccole cose, pur ispirandomi splendidi paragoni, per me sono insignificanti”.
Detto questo, raggiunse un albero che cresceva vicino al fuoco in estinzione e si nascose nella folta chioma.
Il tizzone ad uncino, non sapendo farsi un’idea dello strano visitatore, si girò perplesso verso un pezzetto di
legno percorso da una fiammella.
Quest’ultimo, avendo ascoltato la conversazione, disse: “ Se qualcuno gettasse della benzina su di noi, diventeremmo subito un gran fuoco che incendierebbe il bosco. Allora il corvo capirebbe che noi tizzoni siamo piccoli ma potenti”.
Il tizzone uncinato ribatté: “ Il bosco in fiamme sarebbe un grande spettacolo e, se ne fossimo gli artefici, i
suoi abitatori si stupirebbero di noi”. Il pezzetto di legno esclamò: “ E’ quello che voglio!”. Il tizzone uncinato chiarì il suo pensiero: “ L’incendio distruggerebbe il bosco e minaccerebbe la sopravvivenza di animali e
piante. Quindi, mettiamo da parte questa ipotesi catastrofica. Pensando al fuoco, noi possiamo considerarci
gli antenati degli strumenti termoelettrici della nostra epoca”.
“ A che cosa ti riferisci?”. Il tizzone uncinato spiegò: “ Cucine elettriche, forni a gas e motori a scoppio sono
strumenti che si basano sull’uso della scintilla e del fuoco, che devono essere impiegati per il progresso del
mondo e non per ridurlo ad una massa di rovine e di cenere…”.
Protetto dai rami dell’albero, il corvo ascoltava con interesse il dialogo fra i due tizzoni. Spentosi il fuoco,
rimasero solo dei frammenti scuri. Il silenzio regnava sovrano ed il nero uccello si disse: “ Se potessi incendiare il bosco con una tanica di benzina, lo farei immediatamente; ma le mie deboli zampe non reggerebbero il contenitore. Ridotta la vegetazione a terra bruciata, chissà quante carogne troverei!”.
Infine diede spazio alla sua macabra fantasia: “Perché in natura non esiste l’uccello incendiario?”.
NOTA: pensieri, immagini, fatti e situazioni positive aiutano a vivere bene.
FAVOLA N. 82
L’AGRICOLTORE, IL GALLO ROSSO, IL GALLO MULTICOLORE E GLI SCONFINAMENTI DELLE GALLINE
In un paese tropicale un agricoltore possedeva una grande fattoria recintata da alberi di varia altezza. Nel
retro della costruzione si trovavano, l’uno di fronte all’altro, due pollai separati dall’aia che, come una strada, correva in senso longitudinale fino al cancello.
Un giorno l’agricoltore, procuratosi dei larghi copertoni di camion inutilizzati, li tagliò e li unì per formare
una lunga striscia di gomma che, posta nel mezzo dell’aia, la divise in due parti uguali.
Guardando la sua opera, pensò: “ La striscia di gomma segna delle linee di confine chiare e definite fra i due
pollai”.
Il pollaio alla destra dell’aia rispetto al cancello era retto da un gallo rosso e contava una cinquantina di galline, fra cui due dal manto nero. Il pollaio di fronte era governato da un gallo multicolore ed annoverava
una trentina di galline. Le relazioni fra i due regni erano buone; ogni suddito ubbidiva al proprio re, osservava le leggi cui era sottoposto e viveva nel proprio territorio senza superarne il confine.
Un giorno una gallina spelacchiata, per provocare una lite, si recò dal suo sovrano, il gallo rosso, e disse: “Sire, corre voce che il monarca del regno di fronte si vanti spesso del suo verso che, secondo lui, è più acuto
del tuo”.
Indispettito, il gallo rosso s’incontrò col gallo multicolore e chiese spiegazioni in merito alle notizie udite.
Quest’ultimo ammise il fatto ed il gallo rosso esclamò rabbiosamente: “ Non vantarti mai più!”. Col passare
del tempo, sembrava che lo spiacevole episodio fosse dimenticato.
Un giorno di pioggia la gallina spelacchiata ritornò dal suo re e disse: “ Alcune galline del regno di fronte
hanno passato il confine e sono entrate nel tuo territorio per razzolare”. Fuori di sé, il gallo rosso fissò un
incontro col gallo multicolore. Interrogato sull’ipotesi di sconfinamento, quest’ultimo giustificò involontariamente i suoi sudditi: “ Visto che si può facilmente superare il confine, ciò è possibile”. Il gallo rosso
s’infuriò: “ Chiedo immediatamente le tue scuse!”. Il gallo multicolore si difese: “ Anzitutto, dovrei aprire
un’inchiesta fra le mie galline per accertare i fatti”. “ Non ti concedo il tempo per farlo!”. Detto questo, il
gallo rosso assalì il suo presunto avversario e lo beccò in più parti riducendolo in fin di vita. Poco dopo il
morente esalò l’ultimo respiro sotto un cielo pieno di nubi.
Informato dell’accaduto, l’agricoltore provvide a dare degna sepoltura al poveretto e, concluse le esequie,
assegnò il trono ad un temuto galletto screziato che viveva in solitudine nel bosco. Una volta incoronato, il
nuovo re pronunciò un breve discorso ai suoi sudditi con cui li richiamava all’obbedienza e al rispetto della
legge.
Il nuovo sovrano iniziò a sorvegliare il confine dichiarando che avrebbe espulso dal suo territorio chiunque
avesse superato la striscia di gomma. Al monarca del pollaio opposto concesse un solo colloquio, in cui auspicò che ciascuno dei due si sarebbe occupato degli affari del proprio stato.
Da allora la pace armata regnò sovrana fra i due pollai e non si registrò nessun incidente sulla striscia di
gomma.
NOTA: nell’affrontare le controversie territoriali o di altra natura fra stati diversi o all’interno di uno stesso
stato, è bene fare il possibile per evitare il ricorso alla violenza.
FAVOLA N. 83
IL SIG. ROSSI, IL COMPUTER, IL PALLOTTOLIERE E LA MOSTRA DELLE COMUNICAZIONI
Il sig. Rossi, proprietario di una catena di giornali, aveva allestito una mostra delle comunicazioni nella sua
città natale. Nella sala di un museo aveva riunito diligentemente le macchine e gli strumenti che avevano
fatto la storia delle comunicazioni dagli ultimi decenni del XIX secolo fino al 2012, e li aveva esposti in fila
indiana in ordine di data.
Il giorno precedente l’inaugurazione, l’organizzatore della mostra controllò con i suoi collaboratori il materiale esposto verificando se accanto ad ogni articolo si trovasse il suo pannello descrittivo.
Dall’inizio del percorso espositivo abbracciò con lo sguardo macchine e strumenti, dalla linotype (1) al computer ‘Hall 10.000’ ai telefonini multimediali e si soffermò qualche minuto sulla macchina da scrivere, sul
ciclostile (2), e sulla telescrivente (3).
Pur essendo soddisfatto della sistemazione del materiale, avvertì che mancava qualcosa. Osservato attentamente ‘Hall 10.000’, esclamò: “ Ho trovato!” e chiese ad un suo collaboratore di andare a prendere il pallottoliere che faceva da soprammobile sulla scrivania del suo ufficio. Poco dopo il sig. Rossi lo collocò a sinistra del computer, che era affiancato a destra dai telefonini multimediali.
Improvvisamente ‘Hall 10.000’ sbottò: “ Sei impazzito?”. L’organizzatore della mostra, dopo un attimo di
smarrimento, rispose: “ Ti domandi perché sei affiancato da un pallottoliere: ora ti spiego…”. “ Non c’è
niente da chiarire: porta subito via quel telaietto di legno con le palline bucherellate!”.
Il sig. Rossi sottolineò: “ Il contrasto fra te e lui attirerà l’attenzione del pubblico. Senza opposti,
l’esposizione rischia di essere una semplice fila di articoli ordinati cronologicamente”. Ma il computer insistette: “ Se non lo fai scomparire, sospendo immediatamente i miei calcoli sul pianeta Marte”.
Deluso, il sig. Rossi domandò: “ Chi vuoi al suo posto?”. ‘Hall 10.000’ precisò: “ Un microprocessore (4) degli
anni settanta del XX secolo. Fra l’altro, io contengo alcuni microprocessori più potenti di lui”.
L’organizzatore della mostra ordinò a malincuore che il pallottoliere fosse rimesso al suo posto in ufficio.
Quest’ultimo si mise a piangere ed esclamò: “ Gli uomini hanno imparato a contare dalle mie palline!”.
A sua volta il computer guardò alla sua sinistra i temuti telefonini multimediali e disse con voce malferma:
“Voi non mi fate paura”.
NOTA: a volte chi è dotato di una notevole intelligenza dimostra una scarsa sensibilità verso i deboli.
1.
Linotype: macchina per la composizione tipografica meccanica costituita da una tastiera simile a
quella della macchina da scrivere.
2.
Ciclostile: macchina per la riproduzione a stampa di un limitato numero di copie mediante una matrice di carta-seta paraffinata.
3.
Telescrivente: chiamata anche teletype o tty, è un dispositivo elettronico molto usato nel passato
per trasmettere messaggi di testo attraverso la rete telegrafica o telex. E’ molto simile ad una macchina da
scrivere.
4.
Microprocessore: è un dispositivo elettronico contraddistinto da uno o più circuiti integrati di dimensioni molto ridotte.
FAVOLA N. 84
IL CASSONETTO DELL’IMMONDIZIA, LA VETTURA INQUINANTE E LO SCONTRO FRA I ‘ROSSI’ E I ‘NERI’
In un giorno di primavera con un cielo a pecorelle, nell’ampia strada di una città italiana ricca di monumenti
e di palazzi d’epoca, un gruppo di giovani vestiti di rosso si scontrò con un manipolo di coetanei con abiti
neri.
Nella zuffa un cassonetto per l’immondizia frantumò il parabrezza di un’auto inquinante fuori uso parcheggiata nelle vicinanze di un giardino. Presto intervenne la polizia, che disperse i dimostranti facendo uso
d’idranti e ristabilendo l’ordine pubblico.
Dolorante, la vettura danneggiata disse: “ Mi hai dato un colpo! Per poco non mi schiacciavi”. Il cassonetto
rispose: “ Mi dispiace, ma sono stato scaraventato contro di te. Sei così malconcia da sembrare un fossile”.
L’auto inquinante ribatté, giocando con le parole: “ Veramente speravo di essere sepolta in un fosso di
campagna rallegrato dal gre-gre delle raganelle”. Il cassonetto domandò: “ Perché eri parcheggiata lì?”. Il
veicolo malridotto spiegò: “ Il mio padrone voleva sostituire il mio motore a benzina con uno a metano per
rimettermi in circolazione. Ora, compresso sulla parte frontale, mi rendo conto che il mio abitacolo è limitato; comunque, spero di essere gettato in mare per servire da riparo ai pesci”.
Il cassonetto riprese: “ Le mie pareti d’alluminio si sono parzialmente piegate, ma un buon fabbro mi rimetterà a posto. Corre l’anno 2012: perché i ‘rossi’ si azzuffano ancora con i ‘neri’?”.
La vettura inquinante sottolineò: “ I due gruppi professano idee completamente diverse; ed è un peccato
che ciò provochi violenti scontri”.
Il cassonetto osservò: “ Invece di prendersi a calci e a pugni, quei giovani avrebbero fatto meglio a leggere il
romanzo ‘Il rosso e il nero’ di Henri Beyle Stendhal (1)”.
Il veicolo malridotto annuì ed aggiunse: “ La lettura è un buon esercizio per la mente e fa capire molte cose”.
Infine tacque e si abbandonò all’immaginazione: infatti si vedeva collocato in uno splendido fondo marino
per ospitare i pesci pronti a riprodursi.
NOTA: prevenire qualsiasi forma di violenza è un dovere.
1.
‘Il rosso e il nero’ (‘Le rouge et le noir’) è un romanzo dello scrittore francese Henri Beyle Stendhal
pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1830.
FAVOLA N. 85
IL LEONE, LA MORTE DEL DROMEDARIO E L’ASCESA AL TRONO DEL REGNO DEL DESERTO
Il leone, re della savana, e il dromedario, re del deserto, erano amici d’infanzia e alla fine di ogni anno
s’incontravano regolarmente per lo scambio degli auguri.
Il 31 dicembre 2012 i due anziani monarchi si diedero appuntamento in un’oasi; rinfrescandosi all’ombra di
una palma, il grande felino disse: “ In nome della nostra amicizia, vorrei chiederti un favore”. “ Ti ascolto
con piacere!”. Il leone continuò: “ Tu non hai figli, ma è certo che alla tua morte qualcuno prenderà il tuo
posto”. Il dromedario rispose: “ Sarà l’assemblea dei sudditi del deserto a designare il mio successore”.
Il re della savana venne al punto: “ I pochi cammelli e dromedari della maestosa distesa di sabbia, vivendo
allo stato brado, non hanno sangue reale. Io, invece, ho tre figli di sangue blu e penso che il mio terzogenito
possa aspirare alla corona del tuo regno”.
Il dromedario s’impegnò a fare il possibile per esaudire il suo desiderio e, convocata l’assemblea dei sudditi,
manifestò la volontà di lasciare il trono al giovane leone.
I serpenti e gli scorpioni, constatata l’assenza di cammelli e dromedari, approvarono la proposta del sovrano; solo il fennec, detto anche volpe del deserto, espresse parere contrario. Pochi mesi dopo, il vecchio
dromedario morì e si aprirono i lavori dell’assemblea per affidare la corona al legittimo successore.
Ma né i serpenti, né gli scorpioni immaginavano che un leone potesse regnare in una terra arida e desolata.
Molti si chiedevano di che cosa si sarebbe nutrito e, non sapendo rispondere alla domanda, si rivolsero al
fennec. Quest’ultimo esaminò la situazione: “ Anzitutto dovete riconoscere che, approvando la proposta
del defunto re, avete commesso un errore; in effetti, solo un dromedario o un cammello può regnare nel
deserto”.
I presenti ammisero d’aver sbagliato e un minuscolo scorpione prese la parola: “ Adesso che cosa si può fare?”. Il fennec riprese: “ E’ bene mantenere gli impegni assunti, tuttavia io ho una soluzione alternativa”.
“Quale?” chiesero gli astanti in coro.
La volpe del deserto spiegò: “ Bisogna fare due considerazioni. La prima è che un grande felino si ciberebbe
di carne di cammello e di dromedario, alterando l’equilibrio biologico del nostro territorio. In secondo luogo un leone nel deserto attirerebbe l’interesse di quelli strani bipedi chiamati uomini, che lo catturerebbero
per trasportarlo nello zoo di una grande metropoli. Ora io vi chiedo: se lo teniamo lontano dal trono, lo facciamo per noi o per lui?”. “ Per lui!!!” esclamarono all’unisono i convenuti.
Il giorno seguente scattò il piano del fennec: si inviò un piccione viaggiatore nella savana con un messaggio
per il monarca. Una settimana dopo quest’ultimo accompagnò l’erede al trono fino al confine tra i due regni.
Ma un picchetto ordinato di serpenti e scorpioni attendeva i due ospiti sulla linea del confine. Il re della savana, osservati gli sguardi minacciosi dei membri del manipolo, capì che le cose si mettevano male.
Il padre rallentò il passo e sussurrò al figlio che marciava al suo fianco: “ Fermati. Quelli vogliono farti la pelle”. L’erede al trono si arrestò; il re della savana avanzò da solo verso i nemici ed esclamò: “ Mio figlio rinuncia al trono!”.
Ritornando a casa, il padre disse al figlio: “ Quei musi duri proprio non mi piacevano; ed è meglio vivere liberi nella savana che regnare in un territorio di sabbia e di roccia!”.
NOTA: una profonda riflessione dovrebbe precedere l’assunzione di impegni e di accordi.
FAVOLA N. 86
L’ACCORDO FRA IL LUPO E LA VOLPE E L’INTERVENTO DELLA SCIMMIA
Un lupo e una volpe, frequentandosi nel bosco, diventarono amici. Un giorno il lupo disse all’amica: “ Visto
che la caccia è un duro mestiere, possiamo fare un accordo: io divido le mie prede con te, e tu le tue con
me”.
La volpe accettò con entusiasmo e il lupo continuò: “ Nella mia capanna di legno possiamo consumare i pasti insieme; tuttavia vorrei aggiungere una clausola al nostro patto”. La volpe rispose: “ Di’ pure”. Il lupo
precisò: “ Ci spartiremo il bottino, salvo casi ‘di forza maggiore’”. L’astuto animale s’incuriosì: “ Che cosa intendi con questa espressione?”.
Il lupo si spiegò con un esempio: “ Se nell’esercizio della caccia mi ammalo, nel periodo di convalescenza
non divido la mia selvaggina con nessuno”. La volpe sottoscrisse il contratto con la clausola aggiunta, salutò
l’amico e se ne andò.
Il giorno dopo il lupo attaccò un gregge che attraversava il sentiero del bosco. Scannò tre pecore che erano
rimaste indietro, il pastore se ne accorse e si precipitò inutilmente verso le tre vittime ormai prive di vita.
Infuriato bastonò a sangue il predatore, gli caricò sulla schiena le tre pecore sgozzate ed esclamò caustico:
“Ora ritorna nella tana col bottino, se ce la fai!”.
Più morto che vivo, con le zampe quasi piegate in due per il peso, il lupo riuscì tuttavia a raggiungere la sua
capanna. Sdraiatosi sul pavimento di terra battuta, bisbigliò: “ Se sopravvivo, non divido le mie prede con
nessuno”.
Il giorno dopo la volpe, accompagnata da una scimmia, si recò alla capanna dell’amico e disse: “ Sei malridotto, ma hai tre pecore che fanno venire l’appetito ed ora noi siamo proprio in tre”.
Il lupo sottolineò: “ Hai presente che il nostro accordo prevede la clausola dei casi ‘di forza maggiore’?”. La
volpe assentì ed aggiunse: “ Il tuo caso si configura come un infortunio, e non come una malattia. In ogni
modo la scimmia, mia amica, è pronta ad assisterti”.
Ma il lupo, che non voleva né l’assistenza, né la condivisione, ripeté: “ Il mio è un caso ‘di forza maggiore’.
Ascolta: fra me ed il pastore, chi è il più forte?”. La volpe ammise: “ Il pastore”. Il lupo tagliò corto: “ La forza del pastore era ‘maggiore’ della mia: quindi la clausola scatta e pertanto non si procede alla spartizione
del bottino”.
Deluse, la volpe e la scimmia s’avviarono verso l’uscita. Il padrone di casa disse soddisfatto: “ Per favore,
l’ultimo ad uscire si tiri dietro la porta”.
L’astuto animale disse con voce ferma alla scimmia: “ Esci per ultima, scardina la porta e tiratela dietro”. La
scimmia obbedì, si caricò la porta sulla schiena e se la trascinò sino alla tana.
Così il lupo rimase col bottino intero, ma con la capanna senza porta e da quel giorno si ripromise di non fare più accordi con la volpe.
NOTA: la buona volontà e lo spirito di condivisione sono alla base di ogni tipo di accordo.
FAVOLA N. 87
LA DELUSIONE D’AMORE DEL CERVO, IL RISVEGLIO DEL GHIRO E IL ‘PUGNO DI MOSCHE’
In una valle verdeggiante circondata da alte montagne un cervo marciava con la testa bassa a passi lenti. Si
diceva: “ Dopo una relazione di due anni la mia fidanzata mi ha lasciato. Infatti ha incontrato il suo tipo, un
cervo con gli occhi chiari”.
Avvicinandosi ad una parete rocciosa, si fermò e vide un ghiro che scuoteva il muso per svegliarsi. Il cervo
continuò il suo monologo: “ A che cosa sono serviti i miei regali? “.
Il ghiro, con gli occhi ancora assonnati per il letargo, lo guardò e si chiese ad alta voce: “ Perché i cervi hanno le corna?”. Il cervo, infastidito, lo minacciò puntandogli le corna: “ Te lo faccio vedere io!”. Il poveretto si
scusò: “ Fermati! Non volevo offenderti!”. Il cervo si arrestò davanti al ghiro, ma volendo sfogarsi per la delusione d’amore, gli urlò di spostarsi, ed infine urtò le corna contro la parete rocciosa della montagna. Dolorante, ritornò sui suoi passi senza guardare il ghiro.
Riprendendo la marcia, il cervo constatò: “ Mi sono fatto male, però ho sfogato la mia rabbia solo sulla roccia”. Ritornando col pensiero alla sua storia d’amore, ne trasse le conseguenze: “ Dopo esserle stato fedele
per due anni, sono rimasto ‘con un pugno di mosche’, cioè con niente”.
Il ghiro, che lo seguiva con lo sguardo, intese chiaramente solo l’espressione ‘con un pugno di mosche’ ed
esclamò sorpreso: “ Ma se nell’aria limpida non si vede nemmeno l’ombra di un insetto!”.
NOTA: non si deve sfogare il proprio malumore o la propria collera contro chi non ne ha alcuna colpa.
FAVOLA N. 88
LA VOLPE, IL CAPRONE, L’APE E IL FUCILE DEL GUARDIANO
Un caprone marciava nel sentiero principale del bosco in cerca d’erba fresca e all’improvviso s’imbatté in
un lupo proveniente dal senso opposto. Si fermò, puntò le zampe ed i suoi occhi fiammeggiarono. Ma dopo
un attimo di esitazione cambiò idea e, invece che attaccare il nemico, si girò e se la diede a gambe.
Giunto nei recessi della macchia, il fuggitivo notò un giaciglio d’erbe secche su una striscia di terra protetta
da due cespugli che s’incrociavano in alto. Chiedendosi a chi appartenesse il rifugio, si stese sulla morbida
coltre e si addormentò stanco morto.
All’imbrunire la volpe raggiunse il giaciglio occupato dal caprone, che era la sua tana, ma nella penombra
vide i due occhi fiammeggianti dell’ospite inatteso, che si era appena svegliato. Spaventata, ritornò di corsa
nel sentiero principale del bosco per riflettere sul da farsi.
Calmatasi, pensò: “ E’ inutile che io chieda aiuto ai miei amici: infatti, chi vede quegli occhi di fuoco ritorna
sui suoi passi”. Mentre rifletteva, un’ape che ronzava intorno, si fermò in cima ad un arbusto e le disse: “ Ti
vedo molto preoccupata”. L’astuto animale raccontò tutto e la sua interlocutrice esclamò: “ Tranquillizzati:
domani passerò all’azione e libererò il tuo rifugio!”.
Alle prime luci dell’alba la volpe accompagnò l’ape alla sua tana. Quest’ultima roteò sopra l’intruso che
dormiva profondamente, si posò sulla sua fronte e strisciò il pungiglione sulla pelle fra le corna. Assonnato
ed impaurito il caprone si risvegliò bruscamente e schizzò via come una trottola.
La volpe ritornò padrona a casa propria ed offrì la sua amicizia all’ape, che l’accettò volentieri precisando:
“Vivo nell’alveare ai margini del bosco ed eccezionalmente il guardiano mi ha concesso una vacanza di due
giorni. Ho poco tempo da dedicare agli amici, ma puoi venirmi a trovare nella mia dimora”. Formulando
l’invito, non rammentava la severità del guardiano.
Qualche giorno dopo l’astuto animale s’incamminò verso l’alveare per far visita all’amica. Quando il guardiano l’avvistò, caricò il fucile e mirò con tutta calma al muso della visitatrice. La volpe si girò e fuggì atterrita alzando le zampe in aria, imitando involontariamente il caprone punto dall’ape nella sua tana.
Arrivata al suo giaciglio, riprese fiato, si riposò e a mente fredda si ripromise di stare alla larga dai luoghi pericolosi.
NOTA: la nascita e lo sviluppo di un’amicizia sono condizionati dagli ambienti che si frequentano.
FAVOLA N. 89
GLI AIRONI CINERINI, LE PREDE DEL TORRENTE SESSERA E IL NIDO SULL’ABETE ROSSO
Una coppia di aironi cinerini viveva nella campagna della Valle di Susa (1). Non trovando pesci nei canali e
nei fossi scarsi d’acque, si nutriva di topi che abbondavano nei prati e nei campi di grano.
Un giorno i due coniugi incontrarono un piccione viaggiatore che si riposava ai piedi di una quercia.
Quest’ultimo disse loro: “ Siete magri come stecchi: forse vi nutrite di topi”. I due predatori annuirono e
precisarono: “ A volte, consumando i pasti, proviamo un senso di ribrezzo, ma bisogna pur mangiare per vivere!”.
Il piccione continuò: “ Nel Biellese (2), nel torrente Sessera (3), si trovano pesci in gran copia”. Avendo
ascoltato la descrizione di quella terra ricca di colline verdi e di corsi d’acqua limpidi, i due aironi decisero di
seguire il piccione nel suo volo verso il torrente Sessera. Giunti alle sue rive prive di vegetazione,
quest’ultimo li salutò e se ne andò.
I due predatori, individuata una buca profonda ad una curva del torrente, s’immersero nelle acque chiare e
catturarono alcune trote mentre altre, ferite, fuggirono. Il giorno dopo i due coniugi, soddisfatti della pesca,
iniziarono a costruire il nido sui rami di un abete rosso distante una decina di metri dalle rive, che
s’innalzava sugli cespugli della collina. Ogni mattina la coppia catturava col becco alcune trote con poca fatica; poi ritornava al nido e si riposava godendosi la quiete del paesaggio.
Un giorno una squadra di operai del reparto ‘ecologia’ del comune di Biella raggiunse la riva del corso
d’acqua ed alcuni di loro, con canne da pesca elettriche, pescarono una ventina di trote, mentre i due aironi
osservavano la scena dal nido. L’airone maschio si chiedeva incuriosito che cosa succedesse, ma l’airone
femmina si girò dall’altra parte infastidita: infatti considerava i nuovi arrivati dei guastafeste.
Esaminati i campioni di pesce catturato, un operaio esclamò: “ Sono visibili i segni delle beccate di uccelli
ittiofagi!”. Un altro disse: “ Le trote popolano la curva del torrente perché l’acqua è profonda; più in alto, là
dove le acque coprono a malapena l’alveo, le trote scarseggiano”. Un terzo osservò: “ E’ indispensabile far
ricrescere gli arbusti sulle rive e collocare pietre aguzze sul letto del torrente: in tal modo ostacoleremo
l’attività dei predatori”. Concluso il breve esame, gli operai gettarono le trote nelle acque, con gran sollievo
dell’airone maschio.
Nei giorni successivi piovve a dirotto e i due coniugi ebbero paura di avventurarsi nel torrente in piena. Cessato il maltempo l’airone maschio, sceso da solo nel Sessera, catturò un vairone lungo circa 15 cm e lo portò sulla sponda. Il malcapitato lo supplicò: “ Risparmiami la vita; tu sei un predatore formidabile e puoi trovare tutto il cibo che vuoi. Io sono un vairone: se togli la ‘v’ iniziale dal mio nome, che cosa rimane?”. “ Airone”. Il poveretto si fece coraggio: “Mi hai già ferito e se mi mangi è come se ti nutrissi di un tuo compagno”. Il predatore tagliò corto: “ Basta così!” e lo lasciò libero.
Rientrato al nido, raccontò l’episodio alla moglie, che dimostrò una grande indifferenza per l’accaduto. Al
calar del sole l’airone maschio, camminando da solo lungo la riva del corso d’acqua, constatò deluso: “ Mia
moglie ha manifestato un disinteresse totale sia per l’ispezione della squadra ecologica sia per il mio strano
incontro col vairone: a lei importa soltanto che il cibo sia abbondante”.
Raggiunto il nido, le disse: “ In questo luogo si sta bene, ma per varie ragioni mi sento a disagio: prima la
squadra di operai, poi il vairone: per questo ho deciso di ritornare nella Valle di Susa; tu che cosa intendi
fare?”. La moglie rispose in un tono che non ammetteva repliche: “ Qui il pesce è abbondante ed io mi sono
già lasciata la Valle di Susa alle spalle!”.
L’airone maschio la salutò, si spostò sul ramo più alto dell’abete rosso e, dopo un ultimo sguardo al paesaggio crepuscolare, spiccò il volo.
NOTA: nella terra d’emigrazione, è bene fare il possibile per difendere l’unità della famiglia.
1.
2.
3.
Valle di Susa: si situa nella parte occidentale del Piemonte, ad ovest di Torino.
Biella: è una provincia del Piemonte; la città si trova ai piedi delle Alpi Biellesi.
Il Sessera è un torrente del Piemonte; è un affluente del fiume Sesia.
FAVOLA N. 90
LE FARAONE, LA VOLPE, L’ESERCITO DELLE CAVALLETTE E LA SICCITA’ DELL’ANNO 2006
Nell’estate del 2006 la siccità aveva colpito molte parti dell’Italia, in particolare la Valle Padana. Sciami di
cavallette, favorite dalla stagione secca ed attratte dai prati dell’Italia settentrionale, si preparavano ad invadere la penisola formando estese nuvole rosa, colore dovuto ai cangianti riflessi delle loro ali.
Avvisato dalle pubbliche autorità dell’imminente arrivo degli insetti verdi, un agricoltore della Valle del Po
studiò con la moglie e i figli i provvedimenti da adottare per difendere le sue coltivazioni dal pericolo
dell’invasione.
Concluso l’incontro, i membri della famiglia misero in pratica la decisione presa di comune accordo. Aperta
la porta del grande pollaio fecero uscire, a centinaia, le faraone; richiusero l’uscio e con le scope spinsero i
grigi pennuti verso i prati che circondavano la fattoria, protetti da una recinzione metallica.
Le faraone si riunirono in assemblea e dissero preoccupate: “ Non comprendiamo il comportamento del
padrone. Nel pollaio abbiamo sempre vissuto tranquille, covando regolarmente le uova e all’improvviso ci
troviamo nel verde…”.
Concluso il dibattito, l’assemblea si sciolse mentre i grigi pennuti iniziavano a razzolare ai margini dei prati
coltivati ad erba medica; presto si adattarono a dormire sulle vigne della fattoria. L’ampio edificio, pur essendo isolato dal resto della campagna da una recinzione a maglie di ferro, per i suoi insoliti rumori suscitò
la curiosità di una volpe.
In una notte buia, quando una grande nuvola copriva la falce di luna, l’astuto animale, avendo riconosciuto i
versi delle faraone, s’infilò in una maglia, raggiunse silenziosamente le vigne, acchiappò una faraona e fuggì.
Il giorno dopo i grigi pennuti, agitati ed impauriti, convocarono un’assemblea straordinaria. Mentre un coro
di proteste si levava contro lo strano comportamento dell’agricoltore, una nuvola rosa attraversò il cielo azzurro.
Dapprima le faraone si domandarono che cosa stesse succedendo, poi videro migliaia di cavallette scendere
a picco sui prati di erba medica. Allora i grigi pennuti si scagliarono contro i voraci insetti mangiandoli vivi
sotto gli occhi compiaciuti dell’agricoltore.
Consumatasi la strage dell’esercito invasore, egli riaprì soddisfatto la porta del pollaio ai vincitori della battaglia.
NOTA: nel mondo della natura ogni insetto ha un suo nemico particolare?
FAVOLA N. 91
I TOPI DELLA BIBLIOTECA E LE PIANTE DI RABARBARO
In una città ricca di storia un gruppo di topi aveva scelto come dimora la biblioteca comunale, che si trovava
nelle vicinanze del fiume. Nei muri pieni di crepe del vecchio edificio i piccoli roditori si erano fatti le tane
ed avevano eletto come loro capi il topo dalla buona memoria e il topo saccente. Di giorno se ne stavano
rintanati nei muri e di notte uscivano dalle fessure per rosicchiare giornali e libri.
Una sera il direttore della biblioteca fece un discorso concitato al personale raccoltosi nella grande sala. Il
topo dalla buona memoria, nascosto in cima ad un alto scaffale, memorizzò i concetti fondamentali
dell’orazione. Un’ora dopo li ripeté all’assemblea convocata, fra gli altri, dal gatto saccente: “ E’ primavera e
ogni giorno si danneggiano libri e altri documenti importanti: sono arrivati i nuovi barbari?...”.
Dopo una pausa il topo saccente prese la parola per spiegare le frasi pronunciate dal suo amico: “ Non conosco il termine ‘barbari’, ma forse il direttore voleva dire ‘rabarbari’; di qui il riferimento alla primavera,
stagione in cui le piante di rabarbaro sviluppano le loro foglie. Forse queste, racchiuse in vasi, presto orneranno gli scaffali della biblioteca. Io ho la nausea della carta e, se penso alle foglie di rabarbaro, mi viene
l’acquolina in bocca”.
Ma contrariamente alle previsioni dell’oratore, non si vide neppure l’ombra delle foglie di rabarbaro.
S’installò, invece, un sistema d’allarme elettronico per proteggere libri e giornali nelle ore notturne. Constatati i fatti, il topo saccente non volle tuttavia perdere la faccia. Riunita l’assemblea insieme al topo dalla
buona memoria, s’impettì, roteò lo sguardo e disse: “ Lungo le rive del fiume crescono le piante di rabarbaro. L’impianto d’allarme è in funzione: dobbiamo languire in questi locali aspettando che qualcuno lo disattivi? O non è meglio mettersi in marcia per raggiungere il fiume? Vivremo all’aperto fra i ciuffi d’erba e ci
nutriremo di foglie di rabarbaro”. L’assemblea approvò la proposta a larga maggioranza e al chiarore
dell’alba il topo saccente e il topo dalla buona memoria si misero alla guida del corteo diretto al fiume.
Era ora: uno dei pochi topi rimasti in biblioteca era diventato la prima vittima del sistema d’allarme.
NOTA: le nostre aspirazioni e i nostri sogni si realizzano da soli o dobbiamo fare il possibile per attuarli?
FAVOLA N. 92
LA PISTOLA, IL PAIO DI SCARPE DI CUOIO, LA VOLPE E LA FUGA DELLE LEPRI
Un armiere, mettendo in ordine la sua collezione d’armi, si rese conto che una vecchia pistola, modello P.
38, era malridotta. Dopo averla esaminata a lungo, esclamò a malincuore: “ E’ ora di rottamarla!”. Qualche
minuto più tardi collocò lo strumento di morte sul tavolo del ripostiglio accanto ad un paio di scarpe consumate.
La P. 38 disse alle scarpe: “ Sono un ferro vecchio e mi preparo alla rottamazione”. Il paio di scarpe rispose:
“ Mi aspetta la stessa sorte”. L’arma da fuoco continuò: “ Per molti anni sono stata in dotazione ad un poliziotto e dalla mia canna uscivano pallottole di piombo e fumo”. “ Sei stata fabbricata per sparare” constatò
il paio di scarpe.
La pistola osservò dispiaciuta: “ Forse i miei colpi hanno ucciso qualcuno”. “ In questo caso la responsabilità
non è tua, ma di chi ti ha usato”. La P. 38 annuì ed aggiunse: “ Se fossi nata giocattolo, avrei fatto divertire i
bambini senza danneggiare nessuno”.
Il paio di scarpe ribatté: “ Io, invece, desideravo nascere copertone della ruota di una bicicletta: avrei girato
il mondo guardando paesaggi, cose e persone dall’alto e dal basso. Ma il destino ha voluto fare di me un
paio di scarpe e, come tale, ho protetto a lungo i piedi di chi mi calzava. Ora le mie tomaie sono logore e lacere e sento che la fine si avvicina”.
La porta del ripostiglio si aprì ed apparve l’armiere che cercò nello scaffale una scatola per mettervi le scarpe. Queste dissero alla pistola: “ Fra poco il padrone ci depositerà in un contenitore per il recupero del
cuoio. Ritorna con la memoria indietro nel tempo: forse rammenterai un episodio della tua vita in cui hai
fatto del bene”.
Il giorno dopo la P. 38, rimasta sola, frugando nella memoria, ricordò un evento della sua giovinezza. Era in
dotazione alla sentinella di garitta in una caserma all’estremità di un villaggio. All’improvviso due lepri in
fuga entrarono nella garitta inseguite da una volpe. La sentinella mise la mano nel fodero, la prese per la
canna e col calcio colpì la volpe che se ne andò tramortita. Le lepri si ripresero dallo spavento, ringraziarono
la guardia abbassando la testa e ritornarono in campagna.
Ricordando il fatto, la pistola con un sospiro di soddisfazione pensò: “ Le scarpe avevano ragione! Ma chi ha
raccontato loro la storia? Oppure avevano i poteri di un’indovina?”.
Infine si concentrò: “ Nonostante la mia mente fatichi a ricostruire l’episodio, posso formulare l’ipotesi che
quel giorno la sentinella calzasse il paio di scarpe con cui ho parlato ieri”.
NOTA: le buone azioni lasciano un gradito ricordo.
FAVOLA N. 93
LA PARTE DEL LEONE, LA PARTE DEL SOLE E LA SICCITA’ DELLA SAVANA
Il re della savana sapeva che il motto ‘fare la parte del leone’ si era diffuso nel suo regno. Percorrendo sentieri poco battuti, si diceva compiaciuto: “ Chi fa la parte del leone non divide il cibo con nessuno. Mi rendo
conto che ciò non è giusto, ma non voglio cambiare la legge fondamentale del mio regno”.
Nello stesso anno in cui la nascita di un nipote rese felice l’anziano sovrano, la siccità colpì il regno della savana. Le sorgenti d’acqua si erano prosciugate e la vegetazione ingiallita si seccava gradualmente. Molti
animali affermavano: “ Quest’anno è il sole che fa la parte del leone”.
Questo detto conobbe presto una notevole fortuna, suscitando l’ira del monarca, che si sentiva psicologicamente detronizzato. Il re ebbe un’idea: “ Se il sole fa la parte del leone, io recito la parte del sole!”.
Da quel giorno il grande felino si recò sovente sulle alture della savana. Ai piedi di un albero, con lo sguardo
verso il disco solare, rifletteva: “ Se i miei occhi assorbiranno la sua luce, diventerò potente quanto lui; così,
guardando in faccia i miei nemici, li ipnotizzerò ed essi cadranno all’istante ai miei piedi”.
Ma la sua previsione si rivelò errata. Un giorno, avendo fissato a lungo la palla di fuoco, il leone sentì che la
sua vista si annebbiava. Scendendo la collina, s’imbatté in un elefante, ma i suoi occhi erano talmente debilitati da non poter distinguere chiaramente la mole del suo nemico.
Il pachiderma ebbe facile gioco sul grande felino: con le sue pesanti gambe anteriori lo colpì sulla testa e
lungo il corpo. Al leone, pestato e schiacciato in più parti e ridotto a una carcassa, restarono casualmente
integri solo gli occhi, che si dilatarono in un’espressione vitrea di morte.
NOTA: recitare una parte che non è congeniale può portare a conseguenze negative.
FAVOLA N. 94
IL CORVO, LA TANICA DI BENZINA E IL GUARDIANO DEL POLLAIO
Un corvo affamato era entrato in un pollaio. Il guardiano, udendo lo schiamazzo delle galline, dall’aia si precipitò verso l’intruso e lo cacciò a colpi di bastone.
Il giorno dopo il nero uccello, approfittando dell’assenza del guardiano, ritornò nel pollaio e si avventò contro una gallina, mentre le altre fuggivano disperatamente. Dopo averla divorata, si diresse verso la rimessa
di fronte al pollaio, che conteneva attrezzi di ogni genere ben disposti sugli scaffali.
Girando lo sguardo, il corvo vide sul pavimento di legno una tanica bianca con la scritta ‘benzina’ e pensò:
“Ho saziato il mio appetito; ma provando ancora dolore per le bastonate del guardiano, voglio fare un dispetto agli oggetti sotto la sua sorveglianza”.
Avvicinatosi alla tanica, ipotizzò che fosse benzina di scorta e si ripromise di fare il possibile per danneggiarla. “ Buon giorno, figlia del petrolio!” esclamò freddamente. La benzina ricambiò il saluto e il nero uccello
continuò: “ Con i prezzi dei combustibili alle stelle, i poveri non hanno il denaro sufficiente per comprarti”. Il
carburante si difese: “ Non è colpa mia se i paesi produttori di petrolio aumentano spesso il mio prezzo”.
Il corvo sbottò: “ Ormai costi come l’oro!”. La benzina spiegò: “ Ho ripetuto ai paesi produttori che il mio
prezzo non può lievitare continuamente, ma è stato inutile”. Il nero uccello tagliò corto: “ La tua giustificazione non mi convince; per questo, ti colpisco per rendere giustizia ai poveri”.
Dette queste parole, il corvo si mise a beccare il contenitore di plastica, che era molto resistente. Ma, temendo il ritorno del guardiano, rinunciò a proseguire la sua cattiva azione e se ne andò senza salutare.
Spiccò il volo verso il bosco ed, atterrato fra gli alberi, sfogò la sua collera beccando fili d’erba dove capitava.
NOTA: a volte chi è innocente paga per gli errori e i misfatti commessi da altri.
FAVOLA N. 95
IL GUARDIANO DEL DEPOSITO DI VINO, IL GATTO BIANCONERO, IL TOPO PAFFUTO E LA CARTOLINA SBIADITA
In una zona collinare ai piedi delle montagne il proprietario di un deposito di vino aveva assunto un uomo
di mezza età di nome Pietro come guardiano. Nell’interno del fabbricato gli disse: “ Come vedi, due lunghe
file di botti di rovere affiancano il corridoio che stiamo percorrendo. La costruzione è tutta legno e mattoni
e le finestre senza vetri sono protette da sbarre di ferro. Per tenere i topi lontani dalle botti puoi procurarti
un gatto”.
Il giorno dopo Pietro vide un piccolo felino in cerca di cibo e lo fece entrare nel deposito. In una settimana il
gatto bianconero si adattò all’ambiente; a volte s’imbatteva in prede di diverse dimensioni, ma si accontentava di catturare un topo per pasto.
Un giorno pensò: “ Il guardiano si sbaglia se si aspetta che io faccia tabula rasa dei topi: infatti, quando ho la
pancia piena sono a posto. Per me topi e ratti fanno parte del grande disegno della creazione divina; se i
roditori abbondano sulla terra una ragione c’è, e non spetta a me cambiare le cose”.
Una sera alcuni topi con forti denti forarono una botte ed il vino fuoriuscì disperdendosi nel pavimento in
terra battuta. Pietro, constatando che la collaborazione del gatto era limitata, studiò uno stratagemma per
evitare il ripetersi del danno. Uscito dal locale, ritornò qualche ora più tardi con una borsa piena di formaggio in tome e collocò una toma avvelenata a fianco di ogni botte. Accesa la radio del suo tavolino, il guardiano lasciò il deposito assieme al gatto per fare una passeggiata in collina.
I piccoli roditori sbucarono dalle fessure dei muri e del pavimento ed iniziarono a mangiare il formaggio. Un
topo paffuto si avvicinò alla botte vicina al tavolino e gustando il cibo ascoltò il quiz radiofonico. Il presentatore chiese al candidato: “ Come si chiamava l’uomo religioso americano che sosteneva la luna essere di
formaggio?”. Il candidato si concentrò per qualche istante: “ Era Joseph Smith (1), il fondatore della Chiesa
dei Mormoni”. “ Risposta esatta!”.
Consumato il pasto, il topo paffuto si avviò alla sua tana scavata in un mattone di scarto posto fra la botte e
il muro. Sul mattone si trovava una cartolina sbiadita che appoggiava il retro alla superficie del muro. Vedendo il topo piegarsi in due per i dolori, quest’ultima ipotizzò trattarsi di un caso di avvelenamento.
La misera fine del piccolo roditore, invece di suscitare un senso di pena, stimolò per contrasto una lunga riflessione sulla sua vita: “ Secondo un autorevole sondaggio pubblicato da un quotidiano, oggigiorno solo un
turista su venti manda a parenti e ad amici una cartolina dal luogo di vacanza. I turisti preferiscono inviare
sms o Email o foto o video, considerando cartoline e lettere mezzi di comunicazione del passato. In sostanza, dopo essere stata per più di centotrent’anni una protagonista della storia delle comunicazioni, nel 2013
io mi sento fortemente messa in discussione”.
Poi girò lo sguardo sul topo che, agonizzante per la sofferenza, sognava di trovarsi sulla ‘luna di formaggio’.
Infine, rivolgendosi alla povera vittima, esclamò: “ Tu muori per avvelenamento; io, lentamente, di morte
naturale: devo ammettere di essere più fortunata di te!”.
NOTA: l’età dell’atomo e del computer ridimensiona i mezzi tradizionali di comunicazione.
1.
Joseph Smith (1805-1844): capo religioso americano, fondò la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli
ultimi giorni, conosciuta anche come Chiesa Mormone.
FAVOLA N. 96
IL RAGNO E LE COLLINE DI S. REMO (1)
Un condominio a sei piani della periferia torinese conteneva al seminterrato il locale cantine: sei vani rettangolari con porte di ferro affiancavano da ambo i lati il corridoio che terminava con la porta
dell’ascensore. Nella cantina accanto a tale porta un ragno aveva filato la sua tela sulla parete di mattoni,
fra il banco e quattro ripiani metallici orizzontali fissati in alto con dei ganci di ferro. Dal lato opposto si trovava uno scaffale in legno a due piani per le bottiglie di vino.
Il ragno si chiedeva spesso: “ Perché vivo la mia vita tra un mobile arrugginito e uno scaffale in legno piegato e ingiallito?”. Dopo una pausa si dava la solita risposta: “ Il fatto è che sono nato qui. Ricordo mia madre
che mi consigliava di rimanere in questo luogo, tutto mattoni rossi col pavimento in terra battuta: in effetti,
dai buchi del soffitto e dei muri gli insetti cadono regolarmente nella tela obliqua e mi forniscono il cibo
quotidiano”.
Una volta alla settimana il proprietario entrava nella cantina per prendere qualche bottiglia di vino e per sistemare libri, riviste ed oggetti scartati sul banco e sui ripiani metallici. Guardava stupito la tela del ragno,
unico segno di vita del locale, chiudeva la porta a chiave e se ne andava.
Mentre faceva la guardia alla tela, spesso il ragno si abbandonava ai ricordi d’infanzia. Gli piaceva ricostruire i racconti di sua madre, in particolare la vicenda dei ragni delle colline di S. Remo, che lì avevano una dimora.
Lei narrava che, nell’erba dei sentieri più alti e scoscesi delle colline sanremesi, i ragni si costruivano le tane,
come gli altri insetti. Erano dei piccoli tunnel ch’essi provvedevano a tappezzare d’un cemento d’erba secca. Le tane avevano una piccola porta tonda; essa, pure composta d’erba secca, si apriva e si chiudeva come
una porta qualsiasi.
Un giorno, interrompendo la rievocazione, il ragno si domandò: “ Corre l’anno 2013: il processo di cementificazione delle colline di S. Remo avrà raggiunto anche i sentieri fuorimano dove i ragni dimoravano? In caso affermativo, quali saranno state le conseguenze per loro e per le loro tane?”.
NOTA: la natura suscita il nostro interesse e il nostro stupore in vari modi.
1.
S. Remo: località balneare della provincia di Imperia, nella costa ligure, dove ogni anno si svolge una
famosa gara canora internazionale (festival di S. Remo).
FAVOLA N. 97
L’ORGOGLIO DELLA FARFALLA NEROVIOLACEA, I MOSCERINI E LA DOLCEZZA DEL ‘SANTOL’
In una splendida giornata di marzo una farfalla neroviolacea volteggiava nella radura di un bosco tropicale.
Posatasi sulla cima di un cespuglio, guardò in alto ed esclamò: “ Oggi il cielo è azzurro come uno zaffiro!”.
Poi, gonfiandosi d’orgoglio, aggiunse: “ Durante la stagione delle piogge, ho osservato molte volte i colori
cangianti del cielo, però non ho mai notato una nuvola del mio stesso colore: forse non se n’è mai vista
una”.
Dopo aver girato attorno ad alcuni alberi, si fermò su una pietra ruvida fissata perpendicolarmente sul terreno. Davanti a lei s’innalzava il ‘santol’ (1), albero dall’ampia chioma, con i suoi piccoli frutti, alcuni dei
quali a terra.
Il piccolo lepidottero ne guardò uno e pensò: “ Il ‘santol’ ha un piacevole gusto agrodolce; ma, essendo la
sua buccia troppo spessa, non riesco a bucarla”.
Guardandosi intorno, vide un gruppo di moscerini sopra un frutto maturo. I minuscoli insetti, dopo aver
praticato un foro nella buccia, iniziarono a succhiare la polpa.
La farfalla si disse: “ Potrei unirmi a loro per soddisfare il mio appetito; tuttavia, la mia bellezza m’impedisce
di mescolarmi con degli insetti comuni: per me l’orgoglio conta più della fame”.
Detto questo, ritornò a volo nella radura, intonando una canzone per frenare l’appetito.
NOTA: c’è chi, per orgoglio o per vanità, fa il possibile per distinguersi da tutti in ogni occasione.
1.
‘Santol’: parola della lingua nazionale filippina, detta ‘tagalog’.
FAVOLA N. 98
LA GUERRA TRA GLI UOMINI E LE RAGIONI DEL FALCHETTO
In una regione d’alta montagna un manipolo di ribelli riorganizzava le sue file per affrontare il nemico.
Il comandante, raccolti i suoi uomini in una radura dominata da un casolare, disse: “ Come sapete, tre autocolonne dell’esercito invasore percorrono la strada in terra battuta per raggiungerci. Noi siamo in trenta.
Formeremo tre squadre di dieci uomini, ciascuna con compiti specifici e marceremo fino alla cresta dei
monti. Ci apposteremo lassù, scaricheremo le nostre armi contro i nemici e li annienteremo”.
Nessuno fece obiezioni e in silenzio ognuno preparò le proprie armi e il proprio vettovagliamento. Anche il
cuoco del gruppo, detto Geronimo, raccolse i suoi oggetti personali per partecipare all’impresa.
Fra i rivoltosi, all’entusiasmo per la battaglia dei giorni precedenti si era sostituita la tensione per la paura di
cadere prigionieri o di morire. Così, quando videro Geronimo arrivare col suo falchetto su una spalla, gridarono all’unisono: “ Lascia nel casolare quell’uccellaccio!”.
Il cuoco replicò: “ Il mio falchetto ha le ali tarpate e lo porto sempre con me: che fastidio vi dà?”. Ma uno
dei ribelli sbottò: “ Quando quell’uccellaccio del malaugurio canta, succede sempre una tragedia. Tiragli il
collo!”. Geronimo prese le parti del predatore: “ I lutti sono causati dalle battaglie: è lui che ha fatto scoppiare la guerra?”.
Un ribelle dalla barba incolta intervenne furioso: “ Ora non c’è il tempo di pensare ai volatili: o gli tiri il collo
o ci pensiamo noi!”. Ciò detto, cercò di acchiapparlo, ma il falchetto si difese beccando la mano
dell’aggressore. Poi drizzò le penne e gridò roteando gli occhi.
Senza parlare, un altro ribelle passò all’azione: prese l’uccello per il collo con le mani, lo rovesciò tenendolo
fra le ginocchia e gli strinse il collo. Infine lo gettò su un roveto.
Il falchetto, sospeso sulla superficie verde, aveva le ali tarpate che pendevano aperte e le penne diritte abbandonate al vento. Prima di morire, pensò: “ Un giorno qualcuno mi aveva tarpato le ali, adesso i ribelli mi
uccidono; perché, invece di farmi la pelle, non mi hanno restituito la libertà, causa per la quale combattono?”.
I rivoltosi si misero in marcia col pensiero rivolto all’invasore, mentre il falchetto languiva sul rovo. Prima di
esalare l’ultimo respiro, il poveretto esclamò ironico: “ Il bello è che, secondo la classificazione della zoologia, il predatore sarei io!”.
NOTA: a volte gli animali sono le prime vittime nei conflitti fra gli uomini.
FAVOLA N. 99
IL RAGAZZO DAI CAPELLI BIONDI, IL SOLE E IL ROMANZO DI ERNEST HEMINGWAY
Un ragazzo dai capelli biondi amava molto il sole. Il mattino frequentava la scuola e il pomeriggio faceva i
compiti a casa. Finito di studiare, prendeva un quadernetto ed annotava espressioni prese dai libri o frasi
ascoltate a scuola che si riferivano al sole.
Un giorno pieno di luce, consumato il pasto preparatogli dalla madre, si affacciò alla finestra, aprì il quadernetto e, guardando l’azzurro del cielo, lesse ad alta voce le seguenti espressioni:
un bimbo che è un raggio di sole
una ragazza bella come il sole
nulla di nuovo sotto il sole
Poi scrisse un paragone che lui stesso aveva proposto ai suoi compagni di classe: “ Fra il pallottoliere e il
computer c’è la stessa differenza che corre fra un accendino e il sole”.
Infine appuntò una frase da un vecchio film western (1): “ E’ sicuro come il sorgere del sole!”. Dalla sommità del cielo l’astro, immaginando di dialogare col ragazzo, gli disse perplesso: “ Se domani una nebbia fitta
ed estesa coprisse il cielo, chi vedrebbe la mia palla di fuoco levarsi a poco a poco dalla pianura verso
l’alto?”.
Sorridendo, distolse lo sguardo dal ragazzo e rifletté: “ Mi piace che gli uomini si occupino di me nelle conversazioni e nelle opere artistiche, letterarie e scientifiche. In particolare, mi ha colpito molto il titolo del
romanzo di Ernest Hemingway ‘Il sole sorgerà ancora’ (2), dove ‘ancora’ vuol dire ‘sempre’. Ora io mi chiedo: -Le cose stanno veramente così?-”.
Dopo un attimo di esitazione si disse sottovoce, per non farsi sentire dalle stelle: “ Per quello che so, di
eterno c’è solo Dio”.
NOTA: nell’universo c’è qualcosa di più bello del sole?
1.
Frase tratta dal film western “ Sentieri selvaggi” (“The searchers”), diretto da John Ford (U.S.A.,
1956).
2.
“ Fiesta- Il sole sorgerà ancora” (“The sun also rises”): è il primo romanzo dello scrittore statunitense Ernest Hemingway pubblicato per la prima volta a New York nel 1926 col titolo “Fiesta”.
FAVOLA N. 100
IL PROGETTO FARAONICO DEL GALLETTO ROSSO, LE FARAONE E LA REPUBBLICA DEL BOSCO
Nell’aia di una casa di campagna c’erano due pollai, uno di fianco all’altro. Un ambizioso galletto rosso regnava nel pollaio più grande, composto da una cinquantina di galline, mentre poche faraone dimoravano
nell’altro. Il galletto rosso aveva molte ammiratrici, fra cui una gallinella dalla cresta schiacciata, che dichiarò apertamente di essere disposta a fare qualsiasi cosa per lui.
Un giorno il sovrano la prese in disparte e disse: “ Vuoi darmi una prova del tuo amore?”. Al suo assenso le
confidò: “ La corona del regno non mi basta più”. “ A che cosa aspiri?”. Il galletto alzò la cresta: “ Il mio progetto è faraonico: voglio diventare il re del bosco che confina con questa casa”. La gallinella si stupì: “ Quella terra verde è una repubblica da tempo immemorabile ed i suoi abitanti non cambieranno certo forma di
governo!”. Tuttavia il monarca insistette: “ Se mi ami, annuncia agli abitanti del bosco la mia intenzione di
diventare il loro sovrano”. L’innamorata gli obbedì e, recatasi nella terra ambita, rese manifesto agli abitanti il disegno del suo re.
Appena ebbe lasciato il bosco, la volpe convocò l’assemblea degli animali: cani, gatti selvatici, uccelli grandi
e piccoli si riunirono nella radura ai piedi della grande quercia.
L’astuto animale, aperta la discussione, suggerì ai presenti uno stratagemma per ingannare il galletto: “ Alcune talpe scaveranno un canaletto lungo una decina di metri nel sentiero principale del bosco; poi gli uccelli lo copriranno di pagliuzze e di fiori. L’assemblea chiederà all’aspirante re di fare il suo ingresso trionfale
percorrendo il ‘sentiero fiorito’ e, quando cadrà nel canaletto, ci metteremo a ridere all’unisono; allora il
malcapitato abbasserà la cresta e ritornerà al pollaio”.
La vipera prese la parola: “ In alternativa, io ho una soluzione semplice ed efficacissima: se l’intruso entrerà
nel bosco io, sentendomi aggredita, lo affronterò a viso aperto, lo avvilupperò nelle mie spire e gli inietterò
il mio veleno!”.
I convenuti, approvata la proposta della vipera, inviarono un merlo alla fattoria per comunicare alla gallinella che la vipera intendeva iniettare il veleno all’aspirante re con il consenso dell’assemblea.
Ma il galletto, appresa la notizia, rinnovò il proposito di mantenere fede al suo impegno. La gallinella chiese
al monarca: “ Com’è il tuo progetto?”. “ Faraonico”. L’innamorata riprese: “ Ho trovato il modo di realizzarlo qui nella fattoria. Tu verrai con me nel pollaio di fianco, dove io ti proclamerò ‘re delle faraone’”.
Il sovrano si mostrò perplesso: “ Che c’entrano le faraone col mio disegno faraonico?”.
La sua interlocutrice spiegò: “ E’ vero che il termine ‘faraonico’ è da mettere in relazione con i Faraoni, re
dell’Antico Egitto; ma, forzando il suo significato, lo possiamo anche riferire alle faraone, che sono originarie dell’Africa; di conseguenza, diventando il loro re, realizzerai il tuo progetto e nello stesso tempo avrai
salva la vita”.
Il galletto, trovando ragionevole la proposta della sua innamorata, visitò con lei il pollaio delle faraone, che
s’inchinarono davanti a lui. Dopo una breve cerimonia la gallinella lo proclamò il loro re; infine i due visitatori lasciarono il pollaio.
All’aria aperta, l’innamorata gli confidò: “ Di ritorno dal bosco, ho incontrato le faraone e ho fatto fuoco e
fiamme per convincerle ad accettarti come il loro sovrano. Sai bene che questi volatili vivono per conto
proprio; quindi, fatti vedere raramente nella loro dimora. Quello che conta è che oggi tu hai acquisito una
nuova corona reale!”.
Il galletto, colmo di gioia, esclamò: “ Ti ringrazio di cuore per il tuo aiuto: ora mi sento un grande re!”.
NOTA: quando i progetti ambiziosi non si realizzano, è bene accontentarsi dei piccoli successi della vita quotidiana.