Contenuti antropologici Molte sono le immagini familiari e di gruppi
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Contenuti antropologici Molte sono le immagini familiari e di gruppi
Contenuti antropologici Molte sono le immagini familiari e di gruppi appartenenti a classi sociali diverse, fissate dal fotografo Paolo Raffaelli, appartenente ad illustre casato della borghesia cittadina, che immortala la propria famiglia secondo le direttive culturali ed ideologiche nazionali ed europee in voga tra il XVIII e il XIX secolo, che vedono la famiglia borghese cardine dell’ordine sociale e metafora di esso. Anche la comunità rurale bagnonese non sfugge al fascino dell’obiettivo fotografico che dalla metà dell’Ottocento diventa un sistema “sicuro” per alimentare il ricordo di quanti nella famiglia contadina per lavoro sono andati lontani. La tecnica fotografica, appannaggio di pochi, produce una testimonianza di esistenza giocata sull’ambivalenza di fondo tra immagine documentale e immagine rappresentata (vale a dire tra la rappresentazione di come è la realtà e di come la si vuole far apparire). Il “foglio di famiglia“ istituito nel 1861 dal governo del Regno d’Italia sulla base del primo censimento, evidenzia le relazioni di parentela con il capofamiglia. Questo vale per il modello di famiglia borghese, molto meno per quella contadina dove il sovrapporsi generazionale determina una varia articolazione di potere entro una rete complessa di relazioni non sempre distinte nei ruoli produttivi e riproduttivi, maschili e femminili propri della famiglia borghese. Per l’Italia post unitaria il modello borghese di famiglia è di difficile collocazione sociale, anche se molti strati della popolazione cercano di uniformarsi ai suoi nitidi contorni teorici, come appaiono nelle pose fotografiche stereotipate. La casa parimenti diventa elemento di identificazione, ambito di giurisdizione del capofamiglia su moglie e figli, interno ideale, luogo elettivo della comunione di affetti. La famiglia fotografata (sia essa borghese o rurale) ha l’esigenza di riconoscersi nel proprio ritratto e di trovare in esso la misura tra realtà e ideale. La fotografia è dunque rappresentativa della socialità come momento pubblico della vita privata e la casa è il luogo che identifica il nucleo familiare. La famiglia borghese ha un salotto di rappresentanza ma per farsi fotografare si riunisce sulle scale di casa, davanti ai giardini e l’occhio fotografico immortala l’immagine che i borghesi proiettano sui propri mezzadri. L’inchiesta agraria promossa dalla commissione Jacini tra il 1877 e il 1881 mostra l’incoerenza del paese reale rispetto ai miti borghesi. La casa rurale non aveva spazi di rappresentanza, raccoglieva nelle veglie invernali, all’interno della stalla o intorno alla stufa il nucleo composito dei suoi abitanti e quelli delle case vicine: un rito comunitario che accoglieva tra i parenti anche lavoratori e viandanti. Nell’economia dell’azienda familiare agricola la casa ha sempre rappresentato un luogo fondamentale di lavoro e gestione delle risorse per lo più affidate a figure femminili, che avevano il compito dell’”autoproduzione” di gran parte del cibo; solo le scarse eccedenze servivano a coprire le spese monetarie, limitate all’indispensabile. La piccola stalla contigua all’abitazione, sotto il fienile per la comodità di rifornimento della greppia, era al centro non solo dell’economia dell’azienda familiare, ma anche della vita quotidiana dei contadini. Lo smercio delle eccedenze avveniva al mercato del lunedì o nel corso delle fiere stagionali (Santa Caterina a novembre, Pasquetta in primavera) ma spesso l’eccedenza era oggetto di scambi solidaristici all’interno delle reti familiari o vicinali della comunità contadina. La comunità allargata da questa rete solidale traeva sicuro vantaggio in termini di aiuto reciproco e rafforzamento dei legami a livello simbolico durante le stagioni della semina e raccolta del grano, la vendemmia o la raccolta delle olive. La comunità rurale, scarsamente specializzata, viveva anche di attività integrative e/o stagionali, che si alternavano ai lavori nei campi. Il contadino era dunque pastore, boscaiolo, muratore, maniscalco, mediatore di bestiame, carbonaio. Particolare attenzione era riservata alla cura degli animali da tiro e da trasporto: prima della diffusione dei trattori, buoi e cavalli rappresentavano uno degli investimenti più cospicui ed impegnativi per l’impresa familiare contadina. Attività tradizionali Tradizionale era la coltura della canapa, che trovava largo impiego nella filatoria a telaio domestica che, a livello di produzione intensiva subì una caduta durante la depressione economica tra il 1929 e il 1934, per essere poi ripresa nel periodo di autarchia durante il fascismo, al fine di contrastare l’importazione del cotone, per tramontare definitivamente nel secondo dopoguerra in seguito all’introduzione delle fibre sintetiche. Il mais subiva una coltivazione integrata a quella del grano, entro la tipica coltivazione erbaceo-arborea, tipica della piccola proprietà locale. La sua raccolta rappresentava un momento di grande socialità della comunità che, riunita nelle aie, cantava e ballava e chiacchierava mentre liberava le pannocchie dalle foglie secche, che andavano ad alimentare il fuoco serale. Come il grano il mais veniva sgranato con il correggiato , doppio bastone unito da una stringa di cuoio che rendeva più agevole ed efficace la battitura. Dall’aratura alla trebbiatura il grano era un punto di forza della produzione locale che garantiva sussistenza e con le eccedenze vendute un reddito integrativo. La vite, elemento fondamentale nell’economia rurale, subì notevoli danni a metà Ottocento a causa della diffusione dell’oidio e della filossera, che richiedeva un ulteriore procedimento di aspersione di solfato di rame e zolfo, ripetuta più volte per l’intervento delle piogge. La coltivazione della vite era un processo di lunga durata, articolato in diverse fasi (potatura, asportazione dei tralci vecchi e legatura, asportazione dei polloni, eliminazione delle foglie in eccesso) che coinvolgeva dalla primavera all’autunno l’intera comunità contadina, che traeva dalla vendita del vino l’incremento di reddito necessario, unitamente ai proventi derivati dalla raccolta delle olive e dalla vendita dell’eccedenza di olio prodotto nei locali torchi a pietra. Contenuti ambientali e paesaggistici Nella storia resa attraverso le immagini del territorio bagnonese, la descrizione di montagna e campagna fa riferimento a spazi che hanno la peculiarità di rappresentare una relativa inerzia delle trasformazioni. Le fotografie dei primi anni del Novecento di Paolo Raffaelli poco si discostano da quelle attuali del Parco Naturale del nostro Appennino. Alcuni aspetti dell’ambiente formato molti secoli fa hanno resistito bene alle trasformazioni degli ultimi anni; questo è il risultato della relativa inerzia per lunghi periodi degli spazi agrari, dove i processi biologici, ragione fondante dell’attività agricola, sono il prodotto dell’attività umana. Nella casa rurale il passaggio del tempo è più trasparente allo sguardo perché il volto del vivere e dell’abitare nel mondo contadino in seguito all’abbandono dei poderi ha subito, in anni vicini a noi, sostanziali modifiche che hanno comportato un radicale mutamento nel paesaggio rurale. Caratteristico del territorio appenninico è l’intercalarsi degli spazi adibiti a coltura a quelli per il legname. Come in tutta l’area appenninica settentrionale la commistione di seminativo ed erborato è una peculiare caratteristica dell’appoderamento e dell’uso agrario del territorio, diviso tra intenti padronali e mezzadrili, attuato tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, con sistemazioni molto elaborate di ciglioni erbosi mescolati a muretti a secco, sui quali imperversa la vite maritata ai salici. Il regresso della pastorizia a partire dalla metà dell’Ottocento ha comportato un orientamento alla coltivazione a cereali delle aree montane, mentre la coltura intensiva del castagno ha una motivazione profonda centrata sulle abitudini di vita delle popolazioni tanto per l’uso del legname a livello di utensileria ed edilizia rurale, quanto per l’impiego gastronomico del prodotto, ridotto a farina, utilizzata per la preparazione dei piatti base della cucina contadina. L’isolamento e la fissità del modello di vita rurale del locale sistema montano-collinare vengono spezzati alla fine dell’Ottocento dalla costruzione della prima linea ferroviaria nel fondovalle, intervento che cambia anche i ruoli produttivi all’interno della famiglia contadina; c’è chi lavora alla costruzione della stessa, garantendo un reddito integrativo, c’è chi utilizza i migliori collegamenti per emigrare stagionalmente in barsana (nord Italia) o all’estero per cercare di supportare con introiti più cospicui la magra economia della famiglia contadina di appartenenza. L’atavica fissità dell’immagine del territorio è modificata solo dagli eventi naturali: • i terremoti (di notevole entità fu il sisma che si verificò negli anni Venti del Novecento); • il fiume Bagnone, le cui acque alimentano i mulini ma le cui esondazioni (fiumane) impongono la necessità di ricostruire ponti e argini, canali di deflusso (le “travate”) per contenerne il corso torrentizio; • la naturale franosità del terreno, aggravata dalle opere viarie dell’uomo, che tendono a modificare la fisionomia del territorio (in ordine di tempo l’ultima ferita della montagna è stata la costruzione, interrotta, della strada per i Tornini, negli anni settanta del Novecento).