Gianluca fa cose sbagliate ma non è colpa sua

Transcript

Gianluca fa cose sbagliate ma non è colpa sua
La scelta di Gianluca
1
Alla fine il ronzio della zanzara ebbe la meglio e Gianluca aprì un occhio e allungò la
mano per recuperare il lenzuolo, scivolato in fondo al letto. Se lo tirò fin sopra la testa
anche per smorzare i raggi del sole, già alto, che filtravano dalla persiana della camera.
Provò e riprovò a riaddormentarsi ma ormai il sonno, quello buono, quello che torna
subito e ti fa piombare di nuovo tra i sogni interrotti, era andato. Alla fine rinunciò,
sconfitto.
Guardò la sveglia e notò confusamente che, nonostante fosse quasi mezzogiorno, in casa
non si udiva nessun rumore. Andò pigramente fino alla cucina, aprì il frigorifero e lo
richiuse dopo una rapida ispezione. Decise per la biscottiera che portò con sé
sistemandosi sul divano della sala, armato di telecomando. Di sua madre nessuna traccia.
Meglio così. Non aveva alcun bisogno delle sue prediche. Dopo un’oretta era ormai al
terzo zapping completo sui canali analogici e digitali e si tirò su dalla posizione
accartocciata che aveva a poco a poco assunto, lasciando la biscottiera vuota e rovesciata
sul divano e una costellazione di briciole sui cuscini e sul pavimento. Era il momento di
andare in bagno. Aveva provato a trattenere lo stimolo ma ormai la vescica pareva
scoppiare. Magari sarebbe scoppiata davvero, come gli diceva sempre sua madre. Già,
sua madre. Neanche la domenica riusciva a stare a casa.
Uscendo dal bagno notò un post it giallo attaccato alla porta della cucina, che gli era
sfuggito quando si era alzato, forse ancora troppo assonnato. “Siamo andati a vedere una
casa. Sistemati la camera e studia. Ci vediamo a pranzo”. Ancora in cerca di una casa in
montagna. Come se non bastasse quella, troppo grande, dove erano andati a vivere e
quella in campagna, dove lei e Bruno andavano ogni volta che erano liberi dal lavoro. Era
diventato un lavoro anche quello. Avevano cercato di coinvolgerlo, ma in campagna c’era
sempre da tagliare l’erba, aggiustare la staccionata che cadeva a pezzi, imbiancare le
pareti e pulire dappertutto. Ce lo portavano per farlo lavorare a una casa di cui non gli
importava niente e dove non sarebbe mai andato a vivere. Dopo le prime due volte lui si
era rifiutato di accompagnarli.
Grattandosi distrattamente da sopra i pantaloncini del pigiama si diresse verso la camera
che sua madre condivideva con Bruno. Trovò le sigarette in meno di cinque minuti.
Senza fantasia le avevano nascoste nel cassetto della biancheria, sotto le mutande di lui.
Ne prese una e già che c’era prese anche 50 euro da una mazzetta di banconote nascosta
dentro i calzini neri e tenuta ferma da un elastico. Appena in camera sua si dette da fare e
mescolò il tabacco della Marlboro di Bruno con l’erba che gli aveva passato a scuola
Johnny. Johnny era il suo migliore amico e anche di più. Il suo vero nome era Furio, ma
tutti lo conoscevano come Johnny e per lui era un fratello, l’unico con il quale si poteva
confidare. Naturalmente non gli diceva proprio tutto. Anzi, certe cose che erano successe
era bene che non le venisse a sapere. Evitava di pensarci anche lui. Se fosse riuscito a
dimenticarsene sarebbe stato come se non fossero mai successe. Stava diventando bravo
anche lui a preparare gli spinelli.
Accese e si diresse verso il giardino, dove si mise a passeggiare nervosamente sul
marciapiede posteriore, lontano da qualunque sguardo indiscreto dei vicini, fumando
metodicamente fino a che non gli rimase un piccolo mozzicone che gli fece bruciare le
dita. Lo buttò nel prato e si sentì girare la testa. Si distese nell’erba e si lasciò invadere
dalla sensazione di inebriante beatitudine. La vista del cielo azzurro e i raggi del sole,
anticipazione di un’estate che doveva ancora venire, lo cullarono e si addormentò. Sognò
di Irene, l’amica di sua madre, la protagonista del suo immaginario erotico. Non gli era
mai capitato di sognarla così vividamente. Gianluca, pur consapevole che stava solo
sognando, si rendeva conto anche della eccezionalità della cosa e se ne beava. Si vedeva
sdraiato sulla spiaggia di Straccoligno, all’Isola d’Elba, dove avevano passato qualche
giorno di noiosa vacanza l’estate precedente. Nel sogno il sole lo riscaldava inondandolo
di piacere. Sentiva un’erezione imperiosa sotto il costume e capiva, anche se era a occhi
chiusi e non aveva il coraggio di aprirli, che il fatto era ben visibile a tutti ma la cosa non
lo imbarazzava. Anzi, rafforzava il piacere che la situazione gli dava. Irene parlava con
sua madre, che era seduta sotto l’ombrellone. Ma Irene non la guardava perchè il suo
sguardo era puntato proprio su di lui. Bruno invece fissava lei. Non era strano,
probabilmente tutti gli uomini presenti su quella spiaggia la stavano osservando.
Irene era abbronzata e in forma come sempre, perfetta nel suo costume bianco con le
piccole paillettes. E finalmente lo guardava come si guarda un uomo. Finalmente aveva
capito quanto lo turbasse e quanto la pensasse. Nel sogno, inaspettatamente, Irene
lasciava che sua madre continuasse a parlare, senza più ascoltarla, e si stendeva al suo
fianco. Lui era ancora a occhi chiusi, ma vedeva la scena, come se fosse stato una terza
persona. Vedeva se stesso sdraiato e Irene che si stendeva accanto a lui, come se fosse
stato uno spettatore seduto proprio sotto lo schermo di un cinema. Finalmente però
riusciva ad aprire gli occhi, tornava in prima persona e la vedeva sorridergli, sentiva
addirittura il suo profumo di gelsomino, e toccargli il membro rigido come una bacchetta
da sopra il costume mentre lui faceva appena in tempo a dirle (oddio era così facile,
perché non lo aveva fatto prima ?) “Ti amo!” mentre una polluzione esplosiva lo faceva
contorcere sull’erba del prato risvegliandolo stordito.
Ci mise un po’ a riprendersi dalla delusione mista al piacere dell’esperienza onirica. Si
rialzò barcollando e andò a pulirsi nel bagno con la carta igienica. Di farsi una doccia
neanche a parlarne.
Il traffico domenicale di rientro dalla montagna era imponente. L’autostrada era ancora
bloccata e le auto procedevano a passo d’uomo per pochi metri per poi fermarsi sulle tre
corsie e ripartire dopo qualche secondo. Il casello di Melegnano si avvicinava, ma con
una lentezza snervante. Silvana era preoccupata e Bruno non sembrava dare peso alle sue
ansie.
“Non ti guastare il sangue, è grande ormai, lascialo un po’ in pace. Vedrai, maturerà, devi
smetterla di stargli addosso così”
“Guarda che sei nella corsia più lenta. Ma lo fai apposta? Non lo vedi come ti passano
tutti nella corsia di destra e noi continuiamo a star fermi?”
“Siamo vicini al casello ormai, stai tranquilla”.
Nonostante il tono apparentemente calmo Bruno mise la freccia scattando nella corsia di
destra e provocando vari colpi di clacson da parte dell’autista di una grossa Volvo che
aveva avuto un attimo di ritardo nel ripartire.
“Te l’ho detto, Gianluca si sa organizzare, anche se abbiamo fatto tardi avrà mangiato e si
sarà messo a studiare. Ha quindici anni ormai”
“Come se tu non lo conoscessi. Starà combinando qualche guaio, e poi darà la colpa a
me, che non ci sono mai, come se fossi sempre a divertirmi”.
Nel frattempo la corsia di sinistra era ripartita e la destra, dove ormai erano incolonnati,
era decisamente bloccata. Nessuno dei due commentò, ma il nervosismo aumentò. Bruno
stette ben attento a non fiatare, quando era di quell’umore meglio lasciarla sfogare.
“Mi faccio in quattro per lui. Ogni giorno ne combina qualcuna. Non basta che l’anno
scorso si sia fatto bocciare. C’è stata la prodezza del furto al supermercato, la rissa alla
festa di compleanno e poi si è fatto anche sospendere da scuola un’altra volta. Come
faccio a stare tranquilla?”
“Siamo stati tutti adolescenti …”
“Tu non capisci”.
Nel frattempo anche la colonna dove erano accodati si era mossa e alla fine la corsia
Telepass apparve davanti a loro come un miraggio.
Gianluca intanto aveva sfruttato la scia erotica del sogno e si era rimesso a letto dove si
era masturbato e si era riaddormentato. Al risveglio era andato di nuovo in cucina e, colto
dalla fame aveva vuotato una vaschetta di gelato. Erano le tre e decise di uscire. Sua
madre lo ignorava, lui avrebbe fatto come gli pareva. Sorvolando su un leggero doloretto
ai genitali si vestì e prese il motorino violando l’accordo che aveva con la madre e
dirigendosi verso il centro senza una meta precisa.
A Mediaworld la sala ascolto era uno spettacolo. Un comodo divanetto, un mega schermo
e tutti gli effetti audio del sistema Dolby. A volte i film proposti erano uno strazio, ma
aveva visto Mission Impossible III e l’Era glaciale II e poi quando il film non gli piaceva
o l’aveva già visto era sempre possibile andare a sparare un po’ ai videogames o
girottolare pigramente in attesa del momento giusto per sottrarre un CD musicale alla
videosorveglianza. Ma doveva stare molto attento perché quello era il suo rifugio, quasi
una seconda casa e non voleva dare nell’occhio. Gli era già successo all’Esselunga, dove
con Johnny andavano spesso a fare merenda prendendo dagli scaffali pacchetti di biscotti,
merendine e succhi di frutta, consumandoli in parte e abbandonando discretamente le
scatole semivuote prima della cassa. Era stata l’ingordigia di Johnny a far intervenire
prima un inserviente e poi la sicurezza e a causare la telefonata del direttore a sua madre.
All’Esselunga non avrebbe più messo piede di sicuro.
Bruno guidava silenziosamente nel traffico mattutino. Si era offerto di accompagnare
Gianluca quella mattina nonostante sapesse che la deviazione per la scuola gli avrebbe
procurato almeno venti minuti di ritardo in ufficio. La sera prima c’era stata la solita
scena. Silvana e Gianluca avevano litigato. Al loro rientro Gianluca non c’era, ma le sue
tracce non mancavano. Camera in confusione, il letto da rifare, tracce di biscotti in
salotto, le luci del bagno e del corridoio accese. Aveva debolmente cercato di mediare tra
i due, ma questo suo cercare di difendere la posizione del ragazzo, aveva creato tensione
con la compagna e, si rendeva conto, aveva indebolito la sua posizione nei confronti di
Gianluca, che adesso lo ignorava, come al solito, sul sedile accanto.
Bruno era molto soddisfatto della scelta che aveva fatto quando aveva acquistato la
BMW touring 530 grigio perla. Sapeva che anche a Gianluca piaceva stare sui sedili in
pelle e scivolare silenziosamente nel traffico milanese ascoltando la musica dal potente
impianto audio. Ovviamente questo non lo avrebbe mai ammesso, però non aveva detto
di no quando gli aveva proposto il passaggio.
“Allora, come la prevedi la mattinata?”.
Gianluca uscì dal torpore in cui era piombato appena salito in macchina e si mise a
trafficare con la radio ignorando il tentativo di Bruno di conversare.
“Ehm, … a scuola hai impegni particolari? Interrogazioni? Compiti in classe?”.
Il ragazzo cercava con insistenza un canale che trasmettesse musica, mentre a quell’ora
del mattino tutte le stazioni trasmettevano i notiziari o programmi di intrattenimento. Il
viaggio fino alla scuola fu tutto un passare da una stazione all’altra. Anche quelle poche
emittenti dove riusciva a trovare musica non andavano bene e l’unico commento che uscì
dalla sua bocca, prima di spegnere la radio con una manata e di uscire dall’auto, fu un
consolante “… fanculo… La radio di Johnny come l’accendi si sentono i Blink o i Linkin
Park e che cazz …”
Bruno rimase avvilito e frustrato a contemplare la schiena di Gianluca che si dirigeva
vero il portone della scuola con lo schiocco dello sportello sbattuto a rispondere al suo
impacciato “… allora ciao eh. Mi raccomando …”.
Il clacson di un’altra macchina che aspettava di lasciare a sua volta il prezioso carico a
scuola, lo riscosse dall’assopimento e si rimise in marcia. Subito squillò il cellulare e la
vista del nome di Silvana sul display gli strappò un gemito di disappunto.
“Allora ci hai parlato ?”
“Beh, si, ho provato ma…”
“E che ti ha detto?”
“In effetti non ci siamo detti niente”
“Ma come, mezz’ora insieme da soli e non sei stato capace di cavargli fuori niente?
Avevi detto che ci avresti parlato te, l’ho convinto a farsi accompagnare e a lasciare stare
il motorino...”
“Beh…”
“Che occasione sprecata!”
“Già. Sì ma non è facile, è un muro impenetrabile, non vuole comunicare. Guarda che ci
ho provato”
“Dobbiamo trovare un sistema, tanto dal Marchi non ci torna”
“Dallo psichiatra non ci torna no, mettiti nei suoi panni, e poi, dai, non è proprio un caso
da psichiatra”
“A te sembra di no, ma lo psichiatria, come si chiama ... il Marchi, gli ha diagnosticato un
disturbo da deficit di attenzione con iperattività …”
“Ai dottori piace riempirsi la bocca con questi paroloni. Ma se ci ha parlato solo una
volta, non gli ha fatto un esame, un test, come fa a dire che soffre di una malattia?”
Silvana sospirò.
“Mi raccomando, quando lo vai a riprendere parlaci”
“D’accordo, non essere ansiosa, ti faccio sapere”.
Bruno continuò pensieroso fino all’ufficio chiedendosi perché si dovesse sobbarcare
anche i guai del figlio di Silvana, lui che si era separato per non essere riuscito ad
affrontare i problemi dei suoi figli. Il suo ufficio lo accolse come un rifugio. Era già in
fermento, segretarie indaffarate, il brusio delle stampati in piena attività, i suoi
collaboratori che lo aspettavano ansiosi.
Bruno dirigeva l’ufficio solo da pochi mesi e ogni volta che vi metteva piede si sentiva
finalmente a casa sua. La sua scrivania era ingombra, ma la cosa non lo spaventava.
Conosceva perfettamente ogni dettaglio di ogni pratica e sapeva bene come gestire le
varie situazioni. Tutt’altra cosa che in famiglia, pensò con amarezza.
Essere direttore generale dell’Ispettorato del Lavoro di Milano era un lavoro impegnativo
e ben presto le attività del mattino lo assorbirono e dimenticò la faccenda di Gianluca
fino alla pausa pranzo, quando si ricordò della promessa fatta a Silvana e si precipitò
verso la scuola, dove del ragazzo non c’erano più tracce.
La Corsa verde di Johnny, parcheggiata vicino alla fermata del bus urbano, vibrava per la
musica sparata a tutto volume dalle casse. Il gruppetto di ragazze che parlottavano tra
loro in attesa dell’autobus non poteva non notarli.
“Allora ti vedi con Lory oggi?” Johnny doveva urlare per farsi sentire da Gianluca.
“Ehm, non lo so ancora … ci dobbiamo sentire più tardi”
“Ueh mi raccomando, non farmi fare figuracce stavolta”.
Gianluca rimase in silenzio. Il senso delle parole dell’amico era sufficientemente chiaro,
ma se avesse voluto continuare a negare avrebbe dovuto lo stesso tirare fuori il coraggio
di chiedere a cosa si riferisse. Non proferì parola, non mosse neanche un muscolo.
“Dammi retta testina! Fatti una canna, funziona daddio!” continuò Johnny
“Non ne ho bisogno …” riuscì a sembrare indifferente pur dovendo gridare.
Johnny riuscì a contenere l’ilarità solo per poco, poi non si trattenne oltre e scoppiò in
una rumorosa risata.
“Già… ah ah, non ne hai bisogno… Sì, ah ah, lo dice anche Lory ah ah ah, è tutta da
ridere... ah ah ah”.
Gianluca rimase in un silenzio glaciale per un po’, grato alla musica che continuava ad
essere pompata su dalle casse e che copriva il galoppo del suo cuore che gli rimbombava
nelle orecchie. Nessuno era abbastanza vicino da origliare e la musica l’avrebbe protetto
ma comunque alla fine sbottò: “Accendi sta macchina e andiamo dai”.
Johnny non se lo fece ripetere partì lasciando qualche etto di gomma sull’asfalto.
“Che volevi dire prima ?” fece dopo un po’ Gianluca.
Johnny fingeva un silenzio imbarazzato.
“Ha raccontato tutto la zoccola ?” la voce gli divenne stridula, ebbe paura di mettersi a
piangere.
Johnny taceva riuscendo a stento a trattenere le risa.
“Chi altro lo sa?!” Il tono di Gianluca era salito ancora di un’ottava.
“Lo sai come sono le ragazze… ma stai tranquillo, per ora lo sa solo… mezza scuola…
ah ah ah!” Johnny non riusciva a trattenersi e la risata per Gianluca fu peggio di uno
schiaffo.
“Ehi, ferma. Ferma ho detto. E ferma sta cazzo di macchina!”.
Johnny rallentò “Perché dove vuoi andare ?”
“Voglio andare a casa. Non voglio andare in centro. Non voglio andare all’appuntamento.
Figurati se ci vado. Se ci vado l’ammazzo!”
“Calmati. Se ti fai vedere agitato fai l’ulteriore cazzata. Invece devi fare finta di niente, ci
devi andare e devi fare un figurone. Così tutto torna a posto”
“Non ci penso neanche. E poi come faccio? E se mi risuccede?”
“Ma ci sono qua io no?”
“Cioè?”
“Tira giù un paio di queste!” come per magia nel palmo della mano di Johnny apparvero
due compresse grigiastre.
“Che roba è?”
“Che ti importa. Funzionano è roba buona. Guarda che me le devi pagare eh! Mi costano
dieci euro l’una. Le tiri giù con un Bacardi-breeze che funziona meglio”.
Gianluca rimase pensieroso fissando le due compresse che erano nel frattempo passate
nella sua mano.
2
L’anticamera del preside era affollata. Due segretarie rispondevano al telefono, una delle
due ogni tanto si alzava e entrava frettolosamente nella stanza del preside per uscirne
dopo pochi minuti con nuovi appunti. Diversi ragazzi aspettavano come Gianluca, chi
seduto e chi, come lui, non avendo trovato sedie libere, se ne stava appoggiato alla parete
o faceva finta di leggere le costole dei numerosi libri della libreria. L’atmosfera era tesa,
il polverone innescato dal fatto era ancora fitto e diversi ragazzi ostentavano tranquillità
parlottando sottovoce a piccoli gruppi.
Gianluca si era messo le cuffie dell’Mp3. Gli Iron Maiden lo isolavano da tutto il resto.
Non solo acusticamente. I suoi occhi vedevano la scena come se fosse quella di un film
ma lui non era coinvolto. Persone e oggetti gli erano noti, ma lui era solo uno spettatore
estraneo alla scena. Era lontano. Vedeva le segretarie, il preside che si affacciava alla
porta della sua stanza intimando probabilmente ai ragazzi di fare silenzio. Vedeva le
bocche aprirsi senza percepirne alcun suono, aveva quasi la sensazione di essere
diventato invisibile. La musica diffondeva dalle cuffie e il tutto gli dava brividi di
piacere. Nessuno si curava di lui, poteva rimanere lì anche tutta la mattina, intanto le
lezioni in classe andavano avanti. Forse era diventato davvero invisibile. E quindi non
perseguibile. Chiuse gli occhi beatamente e quando li riaprì si trovò il viso scuro di sua
madre a pochi centimetri dal suo a smentire il suo teorema. Richiuse subito le palpebre,
ma un istante dopo i suoi occhi sbarrati fissavano ancora sua madre che gli stava
sicuramente dicendo qualcosa di spiacevole. Con sofferenza costrinse la sua mano a
raggiungere il lettore Mp3 in tasca e a spegnerlo. Il silenzio improvviso gli lasciò una
specie di fischio nelle orecchie, che non gli impedì di sentire la domanda che sua madre
gli stava ancora rivolgendo. La madre riusciva bene, considerò Gianluca, a gridare
bisbigliando.
“E allora, mi dici cosa succede? Ero al lavoro. Ho dovuto lasciare tutto e venire qua di
corsa”
“Ehi, non ti ho mica chiamata io!”.
La segretaria interruppe il silenzio che fece seguito alla sgarbata risposta.
“Venite pure, il preside vi aspetta”.
Il dirigente scolastico fece accomodare madre e figlio e, saltando ogni preambolo, spiegò
il motivo della convocazione.
“Stamani la professoressa Sandri ha visto un gruppetto di ragazzi che fumavano nei
bagni, durante la seconda ora di lezione. Tra questi c’era suo figlio”.
Silvana si rilassò un po’, rendendosi conto di aver temuto di peggio.
“Lei signora sa bene che la legge proibisce di fumare nei locali pubblici, negli ambienti
chiusi eccetera eccetera. Ma il punto non è questo. La professoressa li ha rimandati in
classe ma ha riconosciuto l’odore del fumo rimasto nell’aria e ha dato un’occhiata nei
bagni trovando due mozziconi nel gabinetto. E non erano mozziconi di normali
sigarette”.
Il preside non aggiunse l’ovvia conclusione ma rimase in silenzio.
Silvana, evitando di guardare il figlio, non potette fare a meno di rompere il silenzio
chiedendo “… e dunque ?”
“Dunque signora, è evidente che nessuno può fare accuse a nessuno in mancanza di prove
concrete, ma i fatti sono talmente gravi da richiedere la massima fermezza. In questa
scuola il fumo viene scoraggiato, ma alla fine tollerato se si tratta di una sigaretta in
cortile o in giardino prima che comincino le lezioni. Ma la droga no.”
“Droga ? Come fa a dire che si tratta di droga ? Guardi che mio figlio è lontano anni luce
dalla droga. Si, ha problemi di rendimento scolastico, è un’età difficile questa, ma la
droga …”.
I puntini rimasero sospesi nell’aria per qualche istante.
“Vede signora, come le dicevo non abbiamo né foto né impronte, nè abbiamo intenzione
di fare ulteriori indagini o denunce. La cosa rimarrà qua dentro. Non voglio carabinieri e
meno ancora giornalisti, Dio ce ne scampi. Ma ci corre l’obbligo di informare dei fatti le
famiglie dei ragazzi coinvolti. Per questa volta Gianluca se la cava con un avviso. Ma
non voglio che ve ne sia una seconda e questo è tutto. Buongiorno signora”.
Silvana e Bruno amavano il tango. Forse quello era il motivo più importante del successo
della loro unione. Si erano conosciuti a scuola di tango argentino, tutti e due single, tutti e
due reduci da relazioni interrotte dolorosamente e in cerca di un partner per il ballo e solo
per il ballo, come ci tennero a precisare l’uno all’altra non appena entrarono in
confidenza.
Il tango è un ballo istintivo e passionale, nonostante abbia regole rigorose. Tutti e due lo
vivevano lasciandosi andare all’istinto e alla passione e, insieme, in un anno di scuola,
avevano fatto progressi che avevano stupito gli stessi maestri Calo ed Anna della scuola
Amore e Musica di Piazza San Macario. Tanto che proposero loro lezioni private per
prepararli alle competizioni. Per Silvana il tango era un bel passatempo, ma a poco a
poco si accorse che stava diventando una vera passione. Per Bruno la scuola era stata solo
un pretesto per fare nuove esperienze, dopo il fallimento del suo matrimonio. Dopo la
prima vittoria nel campionato amatoriale, l’invisibile barriera che avevano posto tra loro
cadde e poco tempo dopo decisero di andare a vivere insieme.
Il martedì sera c’era un allenamento più impegnativo e normalmente rientravano tardi.
Quel martedì, sfortunatamente per loro, Bruno aveva fatto tardi in ufficio ed era passato
in ritardo a prendere Silvana, che, in preda all’ansia, lo aspettava davanti al cancello con
la sacca delle scarpe da ballo di tutti e due. Gianluca era placidamente davanti alla TV,
alle prese con il reality di turno. Per strada Bruno aveva cercato di rimediare guidando
veloce nel traffico, ma dovette desistere quando vide i lampeggianti di una pattuglia di
vigili nello specchietto retrovisore. Il vigile fu poco gentile e gli contestò un incrocio
passato con il giallo e un eccesso di velocità nel traffico urbano. Gli volle fare anche la
prova dell’etilometro, che risultò negativo con sua delusione. Il tutto gli costò 149 euro di
contravvenzione che conciliò subito ma, soprattutto, gli costò un ulteriore ritardo di 20
minuti. Fu Silvana a ammettere la sconfitta e i due rientrarono mestamente a casa due ore
prima del previsto.
Le luci erano spente e di Gianluca non c’erano tracce.
“Sarà già a letto” disse poco convinto Bruno.
Silvana rimase in silenzio e percorse i pochi passi che la separavano dalla camera del
figlio con il cuore in gola. Le pulsazioni le arrivavano nitidamente scandite e schioccanti
fino alle orecchie. Dopo la ramanzina del preside, Gianluca dal lunedì al venerdi aveva la
proibizione assoluta di uscire la sera. Solo l’uscita del sabato era subordinata
all’andamento scolastico. La mano si soffermò un attimo sulla maniglia nella speranza di
sentire la musica dello stereo in sottofondo o di vedere la luce filtrare in basso. La porta si
aprì su una stanza buia e vuota, dove regnava il solito disordine. Nessuno neanche in
bagno e al piano di sopra. Gianluca era evidentemente fuori.
“Io l’ammazzo! Come posso fidarmi di lui se appena giro le spalle mi pugnala in questo
modo?”.
Il cervello di Bruno girava vorticosamente nel tentativo di scovare una motivazione
logica e accettabile all’assenza di Gianluca, ma dopo pochi secondi dovette rinunciare.
“Accidenti. Con tutta la buona volontà è indifendibile”
“Dove lo trovo ora?”
“Aspettiamo. Se è subdolo fino in fondo rientrerà prima delle undici e mezzo. Si sente
sicuro. In fondo non è mai capitato che abbiamo saltato una lezione di ballo”
“Aspettiamo”.
Alle undici e quindici la porta di casa si aprì per lasciare entrare un adolescente
evidentemente sotto l’effetto di alcolici, almeno questa fu l’impressione che ebbero
Silvana e Bruno, seduti nel buio della sala in paziente attesa. Gianluca canticchiava tra sé
lasciandosi andare ogni tanto a qualche acuto stonato, seguito da una risatina non
controllata. Chiuse la porta con un calcio e contemporaneamente ruttò spensieratamente.
Accese la luce e rimase imbambolato e confuso a guardare i due adulti seduti sul divano
che lo fissavano con occhi sbarrati.
Apparentemente non turbato, riprese a canticchiare con disinvoltura e si avviò verso la
sua camera quando sembrò ripensarci e tornò indietro con un rapido dietrofront senza
capire perché, rendendosi conto con considerevole ritardo che era stato il suo nome
gridato dalla madre a fargli istintivamente invertire la direzione.
“Che c’è ma’?”.
Avevano preferito non rivelare la loro presenza in casa. Bruno era perfino uscito di nuovo
per mettere la macchina in garage, cosa che non faceva mai, per non dare modo a
Gianluca di scoprire il loro rientro anticipato e di preparare scuse.
“Lo sai che non dovevi uscire. Dove sei stato e che hai fatto? Sei ubriaco?” la voce le
venne in falsetto per la rabbia repressa.
“Ubriaco? No. Che dici. Sto bene” nonostante il tono quasi normale Gianluca non
riusciva a stare fermo, aveva un’agitazione innaturale e lo sguardo vacuo, i pomelli
leggermente arrossati. Una gomma in bocca, che masticava incessantemente.
“Che hai fatto? E, insomma, si può sapere dov’eri?” il falsetto si accentuò ulteriormente
fino quasi a bloccarle la parola.
“Sono andato a fare un giro in giardino ma’. Guarda che non sono uscito. Avevi detto non
uscire da casa ma io intendevo da tutta la casa… insomma il giardino fa parte della casa.
Non ho disobbedito. Ehi, non puoi dire che ho disobbedito!”
“Sei stato due ore in giardino? E a fare che?”
“Non due ore ma’. Ci sono andato alle dieci, alla tele non c’era niente. Lo sai che mi
piace stare in giardino”.
“Hai bevuto?” Chiese con un tono di voce più controllato Silvana. Forse era andata
davvero così. Loro erano rientrati poco dopo le dieci.
“No. Ma che ho bevuto ma’! Controlla. Controlla i liquori. Bruno tu lo sai che a me i
liquori mi fanno schifo. Dai vacci a guardare. Cantavo, cantavo e basta. Non si può essere
contenti?”.
Silvana rimase in silenzio, dubbiosa.
“Ah sì? E di cosa eri contento? Mi sembra che ci siano poche cose di cui essere contenti.
Guarda la vita che fai! E guarda un po’ come vai a scuola”.
Bruno si era inserito nella querelle d’istinto, senza volerlo, dopo che aveva deciso di
rimanere in disparte. Gianluca lo guardò con disprezzo, ci pensò qualche secondo come
indeciso se meritasse una risposta oppure no, finché sbottò: “Contento! Contento sì.
Contento perché vi eravate levati dalle balle tutti e due!”.
Bruno e anche Silvana, rimasero senza parole.
“Oh. Insomma ora posso andare a letto ?”.
Silvana non disse niente e Bruno fece un cenno rassegnato con la testa che liberò
Gianluca che si rintanò in camera per uscirne un istante dopo.
“Ehi, ma voi che ci fate qui così presto?”
“Abbiamo fatto tardi alla lezione e siamo tornati a casa” disse Bruno alzandosi con
decisione e andando verso il ragazzo.
“Ah. Bene. Buonanotte” Gianluca fece per richiudere e Bruno gli bloccò la porta con la
scarpa avvicinandosi alla sua faccia e respirandone l’alito acre di tabacco e di
qualcos’altro e dolciastro della gomma che stava masticando senza sosta.
“E smettila di fottermi le sigarette” gli sibilò sottovoce. Gianluca lo guardò allarmato.
“E anche i soldi!” Il ragazzo rimase finalmente senza parole e Bruno gli chiuse la porta
sbattendola.
3
Sormani era in affanno. Non riusciva a concentrarsi. Aveva stampato dal sito Le grand
gourmet la ricetta del “Vitello imperiale farcito” e aveva passato più di un’ora al
supermercato a cercare tutti gli ingredienti richiesti. Andrea, che aveva solo otto anni ma
voleva essere coinvolto nelle attività di famiglia, l’aveva accompagnato, ma non si erano
goduti il momento di complicità perché era tardi e si erano divisi frettolosamente la lista
della spesa. Sormani aveva trovato perfino lo spinacino o punta di vitello che si era quasi
rassegnato a sostituire con il magro, più facile da trovare. Andrea aveva vagato per i
corridoi del supermercato senza trovare quasi niente della sua lista spesa e il padre aveva
finito per prendere solo le cose indispensabili. La ricetta richiedeva oltre che gli
ingredienti giusti, coordinazione tra le varie cotture. Quattro fornelli sembravano tanti,
ma era riuscito a occuparli tutti. Si girò verso Bruno che stava colando nello stampo la
miscela della torta, che avrebbe poi infilato nel forno già a temperatura.
“Sei sicuro di non aver più bisogno del fornello?”
“Usali pure tutti. Io ho praticamente fatto”
“Facile la vita. Hai un piatto da principianti”
“Non è colpa mia se mi è toccato il dolce”
“E che Dio ce la mandi buona”
“E che sarà mai se non vinciamo. Ce ne faremo una ragione. I veri problemi nella vita
sono altri”. Bruno non riuscì a dare un un tono scherzoso sufficientemente convincente
alla frase, che finì col sembrare proprio quello che era, cioè la constatazione di un uomo
afflitto.
La gara di cucina era stata una loro invenzione ideata pochi mesi prima, dopo un
disastroso doppio a tennis che aveva visto perdenti i due amici contro Silvana e Irene. Per
la verità Bruno aveva fior di giustificazioni. La notte insonne per aver lavorato fino alle
cinque del mattino, la tendinite achillea che non gli dava tregua, la sua racchetta nuova
che aveva le corde troppo tirate: avrebbe continuato ancora per un po’ a elencarle, se
Sormani non gli avesse fatto notare il rischio di peggiorare la situazione.
Presi ognuno dai propri impegni, le due coppie riuscivano a incontrarsi solo una sera per
settimana e, qualche giorno dopo la sconfitta, mentre Irene e Silvana sistemavano in
cucina, Bruno propose di trovare un nuovo terreno di confronto.
“Senti Lorenzo, guardiamo le cose come sono. Irene è una belva, si avventa su quella
pallina con una veemenza che mi spaventa. E il tuo servizio non è più quello di una
volta”
“Grazie per avermelo fatto notare. Guarda che anche le tue volè ormai fanno un po’ pena.
Silvana è migliorata e non dimenticare che loro si allenano insieme almeno una volta per
settimana, cosa che ormai tu ed io non facciamo più da almeno un paio di anni”
“Beh noi dobbiamo lavorare”
“Insomma non ci sono prospettive di recupero”
“Rassegniamoci e facciamo una croce sul tennis. Dobbiamo sfidarle in altri campi”
“Giusto. Che ne dici dell’uncinetto ?”
“Guarda che potresti non essere tanto lontano. L’idea è proprio quella di sfidarle sul loro
campo di battaglia”
“Cioè?”
“Gara di alta cucina”.
E così fu. Silvana e Irene accettarono la nuova sfida e insieme concordarono i particolari
e le regole che avrebbero dovuto rispettare.
“Insomma, riassumiamo” disse Sormani dando una rimestata alla pentola del ripieno a
base di patata, carota, fagiolini, piselli, prezzemolo e carne tritata che avrebbe poi inserito
all’interno di una tasca ricavata con un coltello ben affilato nella carne che aveva già
preparato .
“Gianluca, … a proposito: io avrei insistito per farlo venire con voi stasera, l’avrei visto
volentieri e oltretutto l’avresti tenuto d’occhio…” Bruno accennò un gesto di difesa ma
poi rinunciò.
“… da un po’ di tempo è strano” proseguì l’andrologo, “va male a scuola, ti tratta come
se tu fossi l’ultimo cretino della terra, ruba in casa, beve e forse si droga”.
Fece una pausa per dare un’annusata al mestolo del brodo arricchito che stava cuocendo
in casseruola “… Ma insomma, per il resto tutto bene no?” cercò di scherzare.
“Non sei spiritoso. Mi avevi consigliato il Marchi, ma dopo il primo colloquio lui si è
rifiutato di tornarci e ci ha mandato me e Silvana da soli a farci dire che forse soffre da
anni di un disturbo da deficit di attenzione. Gli ha prescritto il Ritalin. Anfetamine. Ho
controllato. Ma ti pare?”
“Marchi ci capisce. Ma nessuno può obbligare Gianluca ad andare dallo psichiatra”
“Silvana è a pezzi”
“Me lo ha detto Irene. Non parlano d’altro quando si vedono”.
In quella entrò Andrea con un enorme cappello da chef. Bruno represse un’espressione
infastidita per l’interruzione e Andrea fece il suo rapido comunicato.
“La mamma e Silvana vogliono sapere a che punto siete”.
Sormani rispose rapidamente a suo figlio “Vai a dire che siamo un po’ indietro,
intrattienile, racconta loro delle barzellette, di’ che tra venti minuti cominciamo con gli
antipasti” e lo mise garbatamente alla porta.
“E poi abbiamo deciso di farlo uscire stasera perché non possiamo segregarlo anche il
sabato. Stasera aveva una specie di festa in parrocchia e ha il permesso fino alle 23”
“Ok. Gianluca ha 16 anni no?”
“Tra poco. E allora ?”
“Mandamelo. A 16 anni la visita andrologica la dovrebbero fare tutti i ragazzi. La
pubertà, lo sviluppo genitale, il varicocele... queste cose insomma, una visita di controllo
e di prevenzione. Non dovrebbe essere difficile convincerlo”
“Ci parleresti?”.
Sormani passò alle guarnizioni dei crostini al tartufo nero che avrebbe servito come
antipasti e lasciò in sospeso l’amico per qualche secondo.
“Ci posso provare. Non investirci troppo. Spesso però i maschietti dopo aver superato
l’imbarazzo di mostrarsi nudi diventano loquaci, trovano complicità e fanno confidenze
che ad altri medici magari non fanno. Meno che mai ai genitori. Comunque non farti
troppe illusioni”
“Hai messo le mani avanti due volte in un’unica frase. Beh… A che punto sei con il
vitello ?”.
Sormani concetrò di nuovo tutta la sua attenzione al vitello farcito che sfrigolava nella
teglia.
In sala Irene e Silvana aspettavano con altre due coppie di amici.
4
Che serata! Finalmente una pausa nella clausura impostagli dalla madre negli ultimi mesi.
Se l’era giocata proprio bene stavolta. Si era complimentato con se stesso più volte per
aver orchestrato e coordinato la settimanale uscita dei suoi con una festa di compleanno
in parrocchia. Aveva anche assicurato a Don Mauro che sarebbe stato presente per avere
una copertura autorevole in caso di controllo. Il parroco gli aveva creduto e poi anche se
non l’avesse visto alla festa poco male, con tutta quella gente che notasse la sua assenza
era improbabile. Per di più aveva fatto anche un gran vociare appena sua madre lo aveva
lasciato davanti alla chiesa di San Cristoforo, per farsi notare dai presenti prima di sparire
pochi minuti dopo, passando dal portoncino laterale dove Johnny lo aspettava con
impazienza insieme ad altri due amici.
Avevano fatto tutte le tappe che si era immaginato nei suoi pomeriggi di recluso.
L’happy hour alla Stella Polare dove con cinque euro avevano tirato giù un aperitivo a
base di rum e vodka accompagnato da vari tipi di snack. Poi avevano fatto rotta verso il
centro iniziando il loro Binge Drinking, rito imperdibile che consisteva nel bere passando
da un locale all’altro fino a garantirsi la sbronza. L’aspetto più divertente era che, anche
se Johnny era maggiorenne, lasciava che fosse lui a ordinare, dai semplici alcol pops,
bevande alcoliche gassate, ai superalcolici, senza che nessuno si sognasse di chiedergli i
documenti. Al Penny avevano iniziato una serie di cicchetti a base di rum con, a seguire,
un bicchierino con due dita di succo di pera, a un euro l’uno. La sorpresa venne dal
barista: ogni due bicchierini il terzo era in omaggio.
Alle dieci si era fatta l’ora di cenare e anche di prendersi una pausa. Gianluca stesso si era
stupito della sua capacità di reggere l’alcol. Nonostante non avessero per niente fame,
anche Johnny e gli altri concordavano sulla necessità di fermare un po’ lo stomaco. I
tempi erano stretti. Aveva promesso a Silvana un rientro a mezzanotte (o aveva detto le
undici? Il ricordo era un po’ confuso). Un piatto di pasta fumante all’osteria Il Porco
Rosso e poi avevano programmato di fare una puntata al Picchio, in discoteca, dove
sperava di rivedere Lory e gli altri amici.
Ricordava bene di questo programma ma non riusciva a capire che ci facesse aggrappato
a una colonna del porticato di via Mazzini. E Johnny perchè continuava a prenderlo a
schiaffi? Era il suo migliore amico, perché lo picchiava? E ancora dov’era Lory? L’aveva
vista? E come era andata con lei? La testa gli scoppiava “Johnny smettila, la testa mi sta
scoppiando”
Si lasciò scivolare lungo la colonna fino a sedersi, sfinito, sul marciapiede. Si prese la
testa tra le mani e cercò di farla fermare. Sembrava sulle montagne russe. Riaprì li occhi
che gli si posarono sulla chiazza nauseante della sua pastasciutta vomitata sul
marciapiede.
“Che è successo?” chiese a Johnny il quale era troppo impegnato a preparare uno spinello
per rispondere. Se lo accese e lo mise tra le labbra del suo amico.
“Che roba è?”
“È roba buona. Ti fa passare la botta”.
Gianluca inspirò automaticamente e subito tossì e un conato di vomito rischiò di
soffocarlo. Ma lo stomaco era vuoto e ne uscì solo un filo di bava acida che gli colò sui
pantaloni. Provò un secondo tiro e le cose andarono meglio. Dopo il terzo la testa smise
di ruotare e provò a rimettersi in piedi. La via era deserta e anche nella vicina via
Magenta, normalmente trafficata, passavano poche auto.
“Ma che ore sono?” chiese sentendosi montare dallo stomaco un senso di panico e di
catastrofe imminente che gli provocò un altro conato di vomito che gli contrasse uno
stomaco ormai del tutto vuoto e incapace di emettere alcunché.
“Quasi l’una. Te lo avevo detto di andarci piano, non sei abituato. Sarà meglio che ti
riporti a casa”
“Ma che è successo? Dove sono Alberto e James ?”
“Sei stato una lagna. Noioso e lamentoso come una vecchia. Se la sono filata al Picchio”.
Gianluca si sentì morire “Ho fatto delle confidenze ?” chiese esitante.
“A me? Ah ah, ma allora non ti ricordi proprio niente ?”
“Che vuoi dire? Johnny non ti far pregare mi vuoi dire che cazzo ho fatto stasera? Non
ricordo niente da dopo il Porco Rosso. Lory … ci siamo andati …?”
“Ma no. Dopo il Porco…accidenti, allora non ti ricordi niente! Siamo andati alla Cantina
di Billy e dopo una birretta ti sei messo a raccontare a Fulvio e Roberta …”
“Fulvio e Roberta ? e che ci facevano lì?”
“Erano lì per una bevuta prima della discoteca”
“E ho raccontato …”
“E anche a James e Alberto naturalmente. Gli hai raccontato tutti i tuoi guai e…”
“… e ?”
“E di tua madre che ti fracassa le balle e della scuola che non hai più il belino di andarci e
… e di Lory”
“Di Lory? E che ho detto ?”.
“Ma dai ormai lo sanno tutti ...”
“Che cosa? Cos’è che sanno tutti?” Gianluca si sentiva agghiacciato e sapeva già che la
risposta sarebbe stata la sua condanna definitiva.
“… che non sei buono a fare...”
“Basta! Andiamo a casa”. Gianluca si tirò di nuovo faticosamente in piedi e si avviò.
Johnny lo lasciò andare e dopo un po’ lo raggiunse trotterellando.
“Ma guarda che sei stato tu a spifferare tutto. Coglione. Volevi comprensione? E le risate
che vi facevate, ma non ti ricordi proprio niente? E guarda che la macchina è dall’altra
parte. E mi devi venticinque euro tra bevute e benzina”.
Gianluca non disse più niente e anche una volta saliti in auto non fiatò finché una
pattuglia della polizia non si affiancò in viale Colombo facendo cenno di accostare.
“Oh merda!” Furono le uniche parole che riuscì a dire.
Bruno non aveva bevuto e certamente la situazione era tutto fuorché comica. Eppure
sentiva che ogni tanto un’insopprimibile ilarità gli saliva fino alle labbra. Non se lo
sarebbe perdonato se si fosse fatto scappare una risata, oltraggiando in questo modo una
impietrita Silvana, seduta accanto a lui. La sua compagna era passata dall’angosciosa
attesa del rientro del figlio, che aveva il cellulare staccato e si era ben guardato
dall’avvertire del ritardo, imperdonabile, di due ore sul rientro concordato, all’esplosione
di rabbia che si era man mano affievolita nel percorso da casa fino al commissariato di
polizia. Arrivati lì avevano constatato come il ragazzo fosse apparentemente in buona
salute. ma il sollievo fu subito dissipato dal sovrintendente di polizia che fu molto cortese
e raccontò del fermo di Johnny per guida senza patente, in stato di ubriachezza, e per il
possesso di quasi due etti tra haschish e marjhuana, più un imprecisato numero di
pasticche grige, probabilmente di ecstasy.
Gianluca non aveva capi di imputazione, ma era privo di documenti e, con l’arrivo dei
suoi, era stato rilasciato. La situazione dunque si era ricomposta e ora Gianluca dormiva
beatamente sul sedile posteriore, addirittura russando. A Bruno dispiaceva essersi lasciato
sfuggire quella frase dopo la telefonata della polizia. Aveva sbottato: “Non c’è più niente
da fare. Tuo figlio è un’irrimediabile testa di cazzo”.
Adesso si sentiva in obbligo morale di rimediare e decise tra sé di insistere con Lorenzo
perché parlasse con il ragazzo. Non avrebbe accettato rifiuti.
Gianluca ci stava provando. Non poteva onestamente dire che ce la stava mettendo tutta,
no non poteva onestamente dirlo, ma ci stava provando. Era seduto da mezz’ora alla
scrivania con il libro aperto davanti a lui. Giulio Cesare e i Galli. In fondo erano solo sei
pagine, le poteva imparare in pochi minuti. E inoltre ormai si era impegnato con sua
madre. Si sarebbe fatto interrogare volontario a storia il giorno dopo. Se l’era cavata con
poco. Sei pagine, in fondo voleva dire un’oretta al massimo di studio. Un sei bastava. Si
concentrò di nuovo sul titolo, gli occhi scorrevano sulle parole, ma era come se il suo
cervello si rifiutasse di avviarsi.
Si alzò, sbadigliò, si strusciò gli occhi. Ora basta, intimò a se stesso, si sedette e riallineò
il libro con il margine della scrivania, impugnò il lapis, guardò il capitolo e decise per una
breve pausa. Tirò fuori dal cassetto il suo vecchio Gameboy e iniziò SuperMario al
picnic, che durava poco. Se avesse fatto il punteggio record avrebbe guadagnato un
prolungamento della pausa, se avesse perso, si impegnò con se stesso, niente lo avrebbe
distolto dallo studio. Perse di poco la sfida, ma proprio perché di poco si concesse una
seconda partita. Anche in quella si comportò bene e arrivò a un soffio dal punteggio
record e la rabbia lo costrinse a iniziarne una terza, ormai era una sfida tra lui e il
videogame. A metà partita stava andando senza discussioni verso un punteggio mai
raggiunto ma fu colto da ispirazione, spense il gioco e sfruttò l’adrenalina che gli era
salita per la sfida e iniziò a leggere storia stupendosi di comprendere le parole che
scorrevano rapide nel suo campo visivo e di trovare addirittura interessante quanto
leggeva. Durò poco, naturalmente, e alla seconda pagina, rassicurato dal fatto che se
voleva poteva studiare speditamente, decise per un’altra piccola pausa. Niente di meglio
di “Il caporale”, per qualche minuto da passare piacevolmente.
Da quando Bruno aveva cambiato la password al computer mettendo fine alle sue
scorribande sui siti porno, aveva riscoperto la vecchia fumettistica erotica. La storiella la
conosceva già ma non mancava mai di fargli effetto. Stavolta però non era come al solito,
nonostante cercasse di concentrarsi sulle immagini. Niente da fare. Forse era che gli
occhi finivano per alternare la vista del fumetto con l’orologio sveglia sulla mensola che
indicava lo scorrere inesorabile del tempo a esaurire le due ore concesse dalla madre.
Finalmente dove non arrivavano le immagini arrivò la fantasia e un lampo gli consentì di
completare il proposito.
Rimase stordito per qualche minuto finchè non decise di andarsi a dare una pulita in
bagno. “Chi se ne frega” si concesse, “studierò stasera a letto”.
5
Quando alla fine Sormani si trovò di fronte Gianluca si rese conto della difficoltà della
situazione. Silvana e Bruno non sapevano più a che santo votarsi e avevano praticamente
obbligato il ragazzo ad andare dall’andrologo. Il fatto che lo specialista fosse anche
amico di famiglia in fondo complicava le cose anziché facilitarle. Lorenzo temeva di aver
creato troppe aspettative, nonostante avesse messo le mani avanti più volte.
Gianluca era entrato in ambulatorio con Silvana che, dopo pochi preliminari, era uscita
lasciandoli soli e lanciando uno sguardo supplichevole a Lorenzo. Non aveva aperto
bocca, neanche per salutare. Una volta uscita Silvana i due rimasero in un silenzio
pensoso per qualche secondo. Dopodichè Sormani decise di prendere tempo.
“Allora Gianluca, quanti anni hai esattamente ?”.
Il ragazzo ci pensò un po’ a labbra serrate, poi decise che a quella domanda si poteva
anche rispondere.
“Sedici”
“Che scuola fai?”.
Gianluca sospirò e rispose ad altre sette-otto domande che giudicò innocue.
“Allora raccontami un po’. Perchè ti trovi qui?”.
Quello scemo lo stava prendendo in giro? Avrebbe voluto essere a mille chilometri da
quel posto, ma non si era potuto rifiutare dopo l’ennesima lettera del preside. Aveva
marinato la scuola per 3 giorni consecutivi. Era impreparato e aveva evitato
un’interrogazione sicura a storia. La firma di sua madre sulla giustificazione, per quanto
ben fatta, non aveva retto all’esame del professore di religione, potesse morire, ed era
finito dal preside. Aveva deciso di non rispondere, ma non riuscì a trattenere la sua bocca
mentre questa si apriva per commentare: “Mi hanno costretto. Io sto benissimo. Non ho
bisogno di niente”.
Si morse il labbro ma ormai era fatta. Gli aveva dato soddisfazione.
“Stai benissimo? Meglio. Vuol dire che ce la caveremo in fretta. Adesso facciamo la
visita. Mettiti sul lettino e poi sei libero”.
Non aveva nessuna intenzione di mettersi su quel cazzo di lettino. Che si facesse visitare
Bruno, tanto lo sapeva che era stato lui a architettare quella scemata. Che voleva da lui
Lorenzo, con quell’insopportabile aria da professore, il camice e tutto il resto?
“Non ti vergognerai mica?”
“Io non mi vergogno di niente”.
Sormani si sporse verso Gianluca sorridendogli “E allora? Vediamo di fare in fretta così
ci liberiamo tutti e due. A 16 anni lo sviluppo nel maschio si è quasi completato e con
una semplice visita si possono trovare problemi banali che, se non si trovano ora, poi
possono dare un sacco di guai quando sarai adulto”.
“Che guai ?”
Lo disse per prendere tempo più che per reale interesse, ma quella domanda consentì a
Sormani di aprire una piccola breccia nella ostinata ostilità del ragazzo.
“Niente di grave, ma molti problemi riproduttivi, cioè difficoltà a fare figli e, soprattutto,
molti problemi sessuali, sono la conseguenza di piccoli difetti già individuabili alla tua
età”.
Gianluca non disse niente, ma Sormani scorse ne suoi occhi un lampo di interesse.
“Fino a qualche anno fa c’era la visita di leva che aiutava a trovare questi problemini”
continuò l’andrologo mentre l’occhio di Gianluca tornava vacuo “Ora nessun medico se
ne occupa finchè magari il problema diventa serio e i rimedi sono più complicati”.
Sormani si alzò invitando Gianluca verso il lettino con un cenno del capo. Il ragazzo però
non si mosse e il medico stava per riprendere il discorso quando si rese conto che dalla
bocca quasi immobile del giovane era uscito qualcosa.
“Hai detto scusa?”
“Io i problemi ce li ho già” ripeté in modo un po’ più intellegibile, ma sempre quasi
sibilando il ragazzo.
Gianluca non credeva alle sue orecchie. Sono diventato cretino? Perchè l’ho detto?
Anche Sormani non credeva alle sue orecchie. Per prudenza si rimise seduto evitando
ogni premura, ma cercando al tempo stesso di non perdere l’attimo favorevole.
“Avanti ...” lo incoraggiò.
Gianluca si era ammutolito e, solo dopo qualche minuto, mentre Sormani si rimetteva in
piedi con un sospiro, continuò, con evidente sofferenza.
“Non funziono”
“Non funzioni sessualmente?”
“E che altro ?”
“Hai problemi di erezione?”
“Di erezione?”
“Si, voglio dire, non ti viene su abbastanza?”
“Ma no, che hai capito, ci potrei spaccare le noci ... non riesco ... non dura niente!”
La vergogna lo sopraffece e si nascose il viso tra le mani articolando un impressionante
lamento di sofferenza.
Sormani gli dette qualche secondo e poi lo incoraggiò a continuare “ E insomma…
quando fai sesso con la tua ragazza… hai una ragazza vero?”.
Ma Gianluca non aveva nessuna intenzione di umiliarsi oltre e si richiuse nel suo
mutismo.
“Allora te lo dico io cosa facciamo. Prima di tutto ti dai una calmata, che questo non è
mica un dramma. Se conti dieci dei tuoi amici coetanei ne trovi almeno altri due o tre che
hanno problemi come il tuo se non peggio. Magari non lo vengono a raccontare a te, ma
ti assicuro che è così. E poi l’eiaculazione precoce si risolve. Non è mica una condanna.
Ora si fa la visita per escludere quei piccoli problemi anatomici che possono esserne la
causa e poi magari parliamo della cura. Ci sono dei farmaci… beh, vedrai che si risolve”
“Ma che visita e che cura. Lo so già cosa funziona e cosa non funziona”.
“A sì? E cioè? Cosa sai esattamente?”
“Un paio di Bacardi e una sniffata e puoi durare anche tutta la notte!” disse con
spavalderia.
“Hai già provato ?”
“Beh, no… Stavo per provarlo ma poi…”
“Fammi capire, ti hanno raccontato che se bevi o se ti fai di coca risolvi il problema?”
“Lo sanno tutti. I miei amici sniffano o si fanno cannoni di mariuhana e non hanno
problemi. Il mio amico Johnny non ci pensa neanche a andare con la sua ragazza se prima
non si è stordito un bel po’. Lo sanno tutti che se vuoi stare bene devi farti”.
Sormani era al corrente, come tutti gli andrologi d’altronde, dell’impressionante
diffusione dell’uso di bevande alcoliche e di droghe negli adolescenti e sapeva bene come
una larga fetta di ragazzi avevano iniziato il percorso della tossicodipendenza da droghe
pesanti proprio a causa di piccole disfunzioni sessuali come l’eiaculazione precoce. Non
aveva immaginato però che il problema di Gianluca potesse essere proprio questo. Non si
era illuso neanche per un momento che il colloquio di quel pomeriggio avrebbe avuto una
sua utilità e avrebbe potuto dare una svolta alla vita del ragazzo.
Stava a lui ora fare in modo che la svolta ci fosse e che fosse quella giusta.
“È così facile a sedici anni trovare la roba?”
“È l’ultimo dei problemi”.
La barriera comunicazionale stava cadendo, ora era Gianluca che poteva dire qualcosa
che il medico non sapeva e questi ruoli invertiti lo incoraggiarono a continuare.
“Ma la cosa che funziona meglio è sniffare l’eroina. Anche questo lo sanno tutti”
“Sniffare l’eroina?”
A Sormani si rizzarono i capelli. Suo figlio Andrea aveva quasi nove anni ma cresceva in
fretta e il momento di affrontare questi problemi sarebbe arrivato in un lampo. Si sporse
sulla scrivania verso il ragazzo cercando di guardalo negli occhi.
“Senti. Hai 16 anni e hai tutto il tempo per imparare a gestire bene un rapporto. Non fare
l’idiozia di credere che quello che fanno gli altri sia fatto bene. Primo, sono soluzioni che
funzionano solo lì per lì. Pensi che sia una buona soluzione quella di farti per tutta la vita
prima di fare sesso? Non arrivi a quarant’anni. Secondo, le droghe uccidono e fanno
danni neurologici permanenti…”
“Ancora questi discorsi! Fa peggio una Marlboro di una canna lo sanno tutti”
“Ricordati quello che ti dico. Non esistono droghe leggere. Tutte le droghe danno
dipendenza e tutte le droghe fanno danni neurologici. Negli anni Settanta forse era come
dici tu. Oggi l’haschish e la marihuana, i derivati della canapa coltivati in Afganistan e in
Colombia, contengono una quantità di tetraidrocannabinolo, che è il principio attivo, oltre
10 volte superiore a trent’anni fa. E sai perchè hanno modificato geneticamente le piante?
Perchè più THC c’è in uno spinello e maggiore è il meccanismo di dipendenza che questo
induce. Si fanno la clientela insomma. E sai che danni fa anche un solo spinello? –
incalzò Sormani mentre Gianluca assumeva un’aria scettica – Brucia i neuroni. Ora non
te ne accorgi perchè ne hai tanti e ti sembra che non succeda niente. Ma a quarant’anni i
consumatori abituali hanno un quoziente intellettivo un po’ più basso e perdono alcune
abilità. In modo impercettibile ma succede”
“Sono i soliti discorsi…”
“Invece di usare internet per guardare stupidaggini e scaricare musica, documentati.
Digita THC su Google e vedi un po’ cosa compare”
“Ma io sono pulito”.
Sormani si rilassò un po’.
“Guarda che non volevo insinuare, solo metterti in guardia. Quindi non hai niente in
contrario se insieme agli esami del sangue e urine mettiamo anche la ricerca dei derivati
della cannabis ...”
“E a che serve, te l’ho detto, io sono pulito”
“Appunto. Pensa un po’. Bruno e tua madre sono convinti che tu beva come una spugna e
che ti faccia canne come un cretino. E invece ti fai l’esame e dimostreremo a tutti e due
che sei pulito. Diventerà un’arma a tuo favore”
“E se rifiuto?”
“Dovrai giustificare il perchè”.
“Ma, se avessi fatto solo qualche tiro ..”
“Beh, se si tratta di poca roba gli esami saranno a posto stai tranquillo”
Sormani si sentiva un po’ disonesto, ma non stava ingannando il ragazzo, cercava solo di
portare Gianluca allo scoperto, facendogli ammettere il problema.
“E, se nonostante abbia fatto solo pochi tiri venisse fuori comunque qualcosa? Che gli
racconto a mia madre?”
“Gianluca, non sottovalutare i tuoi. Non devi giustificarti. Se c’è un problema li devi
considerare dalla tua parte. Silvana è una donna intelligente, anche se è una madre
apprensiva. Ammetterai che le hai dato qualche motivo. Che faresti al suo posto? Ci hai
mai pensato?”.
No, Gianluca non aveva mai considerato la situazione dalla prospettiva materna. Né
intendeva cominciare allora.
“Mi puoi obbligare?”
“La legge prevede che l’esame si possa fare solo se sei daccordo, anche se sei
minorenne”
“Allora non si fa”
“È un’ammissione”
“Non me ne frega niente”.
Gianluca cominciava ad averne abbastanza.
“Senti mi sono rotto. Voglio andarmene” Gianluca si alzò e Sormani non lo trattenne.
“Gianluca, ti dico solo una cosa, se mi dai altri venti secondi”.
Il ragazzo si fermò con la mano sulla maniglia della porta.
“Sappiamo tutti e due che esiste un problema e che lo stai affrontando nel modo
sbagliato. Rimarrà tra noi ma se hai voglia di affrontarlo da adulto, questo è il mio
numero personale”.
Lorenzo si avvicinò al ragazzo con il suo biglietto in mano, ma Gianluca era già nel
corridoio e se ne andò in fretta verso le scale, senza nemmeno salutare e senza accettare il
salvagente.
Il Ghilli era la pasticceria preferita di Sormani. Il personale indossava lo smoking mattino
e sera e i divanetti di velluto rosso e l’atmosfera elegante del locale ne facevano un posto
gradevole. Il contorno però era secondario rispetto alla bontà delle sfoglie al rum e degli
strudel croccanti che venivano serviti con il caffè. L’umore di Sormani si elevava sempre
di qualche punto dopo essere entrato là dentro.
“Insomma mi stai dicendo che non ne è venuto fuori un granchè dalla vostra
chiacchierata ?”
“Senti Bruno, io te lo avevo detto di non farti grosse illusioni. Comunque qualcosa è
venuto fuori. Gianluca ha qualche problema con la sua ragazza…”.
Lorenzo rimase qualche secondo in silenzio, in attesa della reazione di Bruno, che non
pareva godersi l’eleganza del locale e il sapore del semplice cornetto glassato che stava
sbocconcellando distrattamente. Il locale era più o meno a metà strada tra l’ufficio di
Bruno e l’Ospedale S. Giacomo dove lavorava Sormani che aveva proposto di incontrarsi
lì.
“La sua ragazza? Ma dai, figurati. Noi non sapevamo neanche che avesse una ragazza. E
che problema avrebbe? E soprattutto che c’entra con il suo comportamento?”.
“Senti non posso dirti un granchè, tradirei la sua fiducia e violerei il segreto
professionale. Ma forse, se riesco a parlarci di nuovo… ho come dire messo un
semino…”
“Un semino? Ma che dici?”
“Dico che spero di avergli dato argomenti di riflessione e che ora spero ci rifletta e chieda
di parlare ancora con me”
“E nel frattempo? Che gli dico a Silvana?”
“Nel frattempo aspettiamo”
“Bisogna che ne parliamo anche con Silvana. Venite stasera?”
“Stasera? Beh, devo sentire Irene…”
Lorenzo in realtà con Irene ne aveva già parlato la sera prima, al rientro dall’ospedale e
sapeva che sarebbe stata d’accordo. “Okay. A cena da voi? Ci sarà anche Gianluca?”
“Perfetto. Sì ci sarà anche Gianluca. Ha il divieto di uscire la sera”.
Bruno pareva sollevato alla prospettiva di avere la coppia di amici a cena, per
condividere con loro il problema e le ansie di Silvana.
Lorenzo, leccando le ultime briciole della fedora che aveva aggiunto al suo carico di
dolcetti si alzò con un sospiro e i due amici si salutarono, ognuno con la mente già
orientata verso gli impegni di lavoro che li aspettavano.
La sera prima, dopo che Andrea si era addormentato, aveva parlato della cosa con Irene
che aveva assunto uno sguardo di rimprovero.
“Insomma, mi vuoi dire cos’ha Gianluca ?”
“Lo sai, il segreto professionale…”
“Ma dai, se lo dici a me è come se non lo sapesse nessuno. Con me non hai mai avuto
segreti”.
Lorenzo sospirò e fece una breve sintesi del problema. Con Irene non si era mai sentito di
violare il segreto professionale, quando raccontava a lei di un caso particolare, persone
comunque a lei del tutto sconosciute, ne traeva un doppio vantaggio. Da un lato
riassumere la storia gli consentiva di rimetterla in ordine anche nella sua testa e dall’altro
il parere non medico di Irene spesso gli dava un punto di vista utile alla gestione del caso.
Stavolta si trattava del figlio della sua migliore amica e Lorenzo riteneva di poter avere,
dal punto di vista di Irene, un vantaggio ulteriore, per cui riassunse il problema e quanto
appreso da Gianluca.
“È una situazione da cui non riesco a trovare una via d’uscita”
“Che faresti se non si trattasse del figlio di un tuo amico?”
“La stessa cosa che ho fatto con Gianluca. Gli parlerei chiaro, poi lo direi ai genitori. Da
un lato il problema della inadeguatezza sessuale e dall’altro quello dell’abuso di sostanze.
Consiglierei una consulenza presso il servizio di neuropsichiatria infantile”
“E poi che succede ?”
“Succede che in genere il ragazzo non ci va. Nessuno lo può obbligare. Lui rifiuta lo
psicologo e io mi fermo lì perchè ho fatto la mia parte. Ho scaricato il problema sui
genitori, ma questo non mi fa sentire in colpa perchè non può essere diversamente. Io
faccio il medico. Stavolta però ... Silvana si aspetta che la questione la risolva io. Io però
non ho grandi idee...”
“Magari se ne parliamo tutti insieme. Se ci vediamo stasera forse un’idea viene fuori”.
Lorenzo era un po’ deluso. Irene l’aveva abituato a spunti brillanti che gli consentivano
di capire la strada giusta da seguire, ma stavolta anche lei sembrava nel buio.
La casa di Bruno e Silvana era un posto dove Lorenzo e Irene andavano sempre
volentieri. Era piacevole e ben arredata. Aveva l’aria condizionata, la piscina disposta in
un giardino ben curato e un magnifico impianto stereo. La cena era stata sobria e gustosa,
ma nessuno a tavola sembrava aver goduto particolarmente dall’ambiente e del cibo.
Finito il dolce, Silvana e Irene erano sparite in cucina, Bruno e Lorenzo in sala a
chiacchierare e Gianluca, che a cena non aveva detto una parola, si era rintanato in
camera.
Gianluca spense il computer e si mise comodo sistemandosi le cuffie del lettore MP3. Su
internet si trova di tutto. Colto da impulso aveva digitato THC sulla barra di ricerca di
Google e in meno di un secondo erano apparse oltre sette milioni di voci. Aveva aperto
qualche sito a caso ma non erano né incoraggianti né particolarmente comprensibili. Poi
aveva aperto un sito che gli sembrava più leggibile e apprese in poche righe come la
cannabis renda difficile studiare e portare a termine la scuola. La sostanza attiva (appunto
il THC), da quanto era riportato nel sito, agisce su quella parte del cervello che presiede
ai meccanismi di ragionamento e alla capacità di giudizio e decisione, determinando
spesso atteggiamenti provocatori o devianti. Agisce poi sui meccanismi del linguaggio,
dell’udito e della vista e anche sul controllo delle emozioni, provocando indifferenza. In
realtà lui controllava bene emozioni e comportamenti, dopotutto non era un gran
consumatore, ma una parte della pagina lo preoccupò e lo indusse a spegnere rapidamente
il computer.
Accese l’MP3 e mise a tutto volume i Warriors Eleven, sprofondandosi tra i cuscini del
suo letto. Doveva pensare a qualcosa che lo distraesse e gli levasse dalla testa la
preoccupazione che gli si stava insinuando. Meglio pensare a Irene. Non voleva pensare
ad altro. Come era bella. No non era solo bella. Era intelligente e aveva qualcosa… era
sensuale, con quella pelle che doveva essere morbida come velluto. E poi l’aveva
guardato con insistenza durante tutta la cena, non era stata solo una sua impressione,
distogliendo lo sguardo non appena i loro occhi si incrociavano. D’accordo, non era
scemo, non si stava facendo illusioni. La moglie del dottore non poteva guardare un
sedicenne insignificante come lui. Eppure… perchè lo guardava? E perchè era quasi
imbarazzata quando i loro occhi si incrociavano? I suoi occhi erano scuri come i capelli e
la carnagione.
Gianluca avrebbe voluto eccitarsi un po’ di più, ma per quanto si sforzasse di
concentrarsi gli tornava in mente che sul sito diceva chiaramente che l’uso dei
cannabinoidi non produce solo effetti che durano per qualche ora. L’azione neurotossica,
soprattutto quando subita prima dei 15 anni, e con l’uso regolare, determina un definitivo
danneggiamento del cervello che si sconta poi per tutta l’esistenza, sulla capacità di
memorizzare e di agire. Allora Lorenzo non glielo aveva detto per spaventarlo. Fece una
rapido conto di tutti gli spinelli che aveva fumato dai tredici anni in poi. Non riusciva a
ricordarli tutti, naturalmente, ma non dovevano essere tanti. In fondo era solo nell’ultimo
anno che avevano iniziato a fumare nei bagni della scuola quasi tutti i giorni.
Distolse il pensiero e cercò di concentrarsi di nuovo sull’oggetto del suo desiderio erotico
che era di là a pochi metri, così a portata di mano e così irraggiungibile… Beh chi se ne
frega, a portata di mano… Sfruttò l’effetto della trance erotica e si masturbò sforzandosi
di immaginare una situazione realistica, in cui lei non avrebbe potuto negarglisi (loro due
soli in un’isola deserta? Lui che la salvava da molestatori e lei che per gratitudine gli si
concedeva? Lei erotomane che ci stava per il solo fatto che le piacevano gli adolescenti?)
e nonostante la ricerca della situazione adatta rischiasse di distoglierlo dal piacere, la cosa
si concluse rapidamente e in modo incontrollabile e il pensiero che lei sarebbe rimasta
delusa dalla sua eiaculazione precoce lo prostrò in modo inconsolabile.
Dopo un po’ si diresse mestamente verso il giardino, con lo spinello che si era preparato
già nel pomeriggio, accuratamente nascosto nel palmo della mano.
Lorenzo aveva deciso di dire e non dire e l’effetto fu che né Silvana né Bruno erano
riusciti a capire esattamente quale fosse il problema di Gianluca.
“Insomma si droga o no?”
“Non si può dire che si droghi ma è sicuramente a rischio. Lo farà perchè è convinto che
sia il solo modo per risolvere i suoi problemi sessuali”
“Ma è una stupidaggine vero ?”
“Lo è e gliel’ho spiegato. Ma tra i ragazzi circola la voce che funzioni bene e in parte è
anche vero e tu sai come funzioni meglio la comunicazione tra pari che quella verticale
da adulto a ragazzo”
“Cosa consigli di fare?”. Bruno lasciava che fosse Silvana a interrogare Lorenzo,
occupandosi dei caffè e dei liquori.
“A cose normali consiglio la consulenza psicologica…”
“Non ci va” gli ricordò Bruno affaccendato con i bicchieri e le tazzine “Il Marchi è
riuscito a vederlo solo una volta, non possiamo costringerlo, ci abbiamo già provato ”
“È vero, abbiamo provato con lo psichiatra ma lo psicologo è un’altra cosa, anche se
riconosco che non sarà facile. Non vuole essere aiutato. Spesso in questi casi si nega il
problema o si preferisce risolverlo a modo proprio. È necessario che la richiesta di aiuto
venga da lui. Diamogli una decina di giorni per pensarci e poi lo vorrei rivedere. C’è da
affrontare il problema della difficoltà sessuale. Che a questa età è frequente ed è
espressione solo di ansie e insicurezze. È necessario che ne parli con un adulto informato
e competente. Qualcuno di cui abbia stima e fiducia”.
Bruno guardò Silvana, rimasta al momento senza commenti, e approfittò per fare una
considerazione che aveva dentro da tempo.
“In effetti, non è che tu ci parli un granchè con tuo figlio. Lo rimproveri, lo interroghi, gli
fai il terzo grado, sempre, ma non mi sembra che tu abbia provato a instaurare un
dialogo”
“Grazie per la comprensione. Parli proprio tu che da quando hai divorziato ti sei
dimenticato di avere dei figli. Ci parli mai con loro? Conosci i loro problemi per caso?”
“Loro sono ancora piccoli, e poi è di Gianluca che stiamo parlando. Io faccio del mio
meglio ma non è mio figlio…”.
Il tono della discussione era salito e Irene, che si era tenuta un po’ in disparte e non era
intervenuta, aveva visto con la coda dell’occhio, attraverso la grande vetrata della sala,
Gianluca che scivolava furtivamente in giardino. Lo aveva lungamente osservato durante
la cena, senza darlo a vedere, e aveva cercato di mettersi emotivamente dalla sua parte. Il
ragazzo era scontroso e chiuso, non aveva parlato quasi per niente durante la cena e se
interpellato aveva sempre risposto sgarbatamente. Era anche un po’ trasandato nel vestire
e non dava l’impressione di essersi lavato di recente. Certo non faceva niente per creare
simpatia attorno a lui. Colta da impulso Irene uscì a sua volta, lasciando il marito a
dirimere il nervosismo e raggiunse il ragazzo sul retro della casa.
Gianluca stava fumando seduto sui gradini della veranda e non la notò finchè lei gli fu
accanto. Quando la vide rimase immobile e non cercò neanche di far sparire lo spinello.
Irene ebbe qualche istante per notare l’espressione trasognata e rilassata di Gianluca, ben
diversa da quella che aveva notato a tavola, quando il ragazzo aveva mantenuto per tutta
la cena un atteggiamento ostile verso tutti.
“Vuoi?” Irene capì che si riferiva allo spinello dal minimo spostamento della mano che lo
reggeva e gli venne un po’ da sorridere per l’offerta.
“Grazie ma non fumo, lo sai. Posso sedermi?”.
Gianluca le fece spazio, apparentemente indifferente.
“Te ne fai molti?”
“Un po’. Quando ne ho voglia”
“Faresti una cosa per me ?”.
Finalmente Irene vide un cenno di reazione nel ragazzo, che si raddrizzò dalla sua
posizione rannicchiata e deglutì nervosamente.
“Co… cosa?”
“Lo spegneresti ?”
Gianluca spense docilmente lo spinello sotto il tacco della scarpa.
“Qualunque problema tu abbia non lo risolverai così”
“No? E come pensi che dovrei fare? Non sai neanche che problemi ho...” fu colto da
sospetto “O Lorenzo te l’ha detto?”
“So che vi siete visti, ma Lorenzo non mi dice mai le cose di lavoro” mentì Irene “Io però
le capisco queste cose. Hai problemi con la tua ragazza ?”
“Co… come lo sai ?”
“Non lo so. Ho tirato a indovinare. È la cosa più frequente, e anche una delle più gravi,
che può capitare a un ragazzo della tua età. Questo sì, me l’ha detto Lorenzo, ma
riferendosi ai ragazzi in generale”.
Gianluca rimase in silenzio, pensieroso. Anche Irene non aggiunse altro. I due rimasero a
contemplare la luce delle stelle, visibili a milioni nel cielo senza luna. Stranamente
nessuno dei due era imbarazzato dal silenzio, come se si stessero davvero godendo
quell’attimo di complicità.
“Senti Gianluca, la faresti un’altra cosa per me ?”
Gianluca era confuso. Pensava che tanto volevano fregarlo e Irene era stata inviata per
farlo confessare. Anche se diffidava di lei, avere accanto la donna del suo immaginario
erotico lo faceva sentire indifeso e disposto a qualunque cosa lei gli avesse chiesto.
“Sono tutto tuo” cercò di scherzare.
“Senti Gianluca. Parliamo seriamente. Lo sai bene che le cose non possono andare avanti
così. Come fai a vivere con tutta questa tensione in casa? “
“Ma a te che ti importa ?”
“Guarda che mi importa di te, ti conosco da quando eri un bambino, ora sei quasi un
adulto, mi importa di Silvana che è la mia migliore amica e che vive con enormi sensi di
colpa. Mi importa vedere come non riusciate a parlarvi. Io non lo so che hai, ma le cose
nella vita vanno affrontate. Nel modo giusto.”
Gianluca rimaneva in silenzio, lo sguardo basso e le spalle piegate.
“Non ti rassegnare. Non lo so se Lorenzo ti risolverà i problemi. Ma da qualche parte
devi pur partire. Il mondo è pieno di ragazzi che hanno insicurezze. Si affrontano come
tutti gli altri problemi. Anzi. Meglio della maggior parte degli altri problemi. Anche se
ora a te sembra tutto così difficile e insormontabile”.
Gianluca continuava a fissare la punta delle sue scarpette sudice e scucite. Non si
decideva a dire qualcosa e Irene dopo qualche minuto pensò che non fosse il caso di
insistere e si alzò in piedi per rientrare.
“Irene” fu quasi un sussurro.
“Dimmi”
“Faccio quello che vuoi tu”
“Non è quello che voglio io. È quello di cui hai bisogno tu”
“È lo stesso. Dimmi che devo fare”.
Irene gli si avvicinò e gli prese una mano “Intanto ti devi togliere quest’aria da cane
bastonato. Questa può essere la serata della svolta. Devi affrontare le cose. Puoi farlo.
Come un ragazzo maturo e intelligente come sei. Poi vieni con me e dici a Lorenzo che
vuoi affrontare, anzi che vuoi risolvere i tuoi problemi”.
Iniziò a guidarlo verso casa “poi non farti illusioni. Non si tratta di prendere delle
medicine. Lorenzo ti farà parlare con una psicologa che si occupa di queste cose. Dovrai
seguirla per un po’ e per un po’ dovrai lasciar perdere le cattive compagnie. Guarda dove
ti hanno portato. Crescerai… vedrai che crescerai”.
L’aria abbattuta al ragazzo non passava affatto, anzi, pareva che l’idea del percorso da
fare lo schiacciasse come si trattasse di un peso insostenibile. Irene lo guardò negli occhi
e Gianluca sentì che lo gambe gli si afflosciavano.
“Non solo crescerai ma ti piacerai. Arriverai a piacerti e a sentirti sicuro di te. Vedrai”
“E la mamma?” disse incerto il ragazzo “Vorrà sapere e io non voglio parlarci” C’era un
che di disperato nel suo tono.
“A tua madre non devi dire niente che tu non voglia farle sapere. Se ora vuoi che questa
cosa sia solo tua non sei obbligato a raccontare niente”.
Poi Irene parve ripensarci.
“Naturalmente devi pensare a lei come una risorsa, non come un ostacolo. Non la
sottovalutare. Ti aiuterà”.
Avvicinandosi alla casa Irene si rese conto di come nel frattempo in sala il tono della
discussione tra Silvana e Bruno fosse salito. Le voci dei due erano a tratti alte, quasi
urlate e si sovrapponevano senza che si potesse seguire il dialogo. Silvana e Bruno si
azzittirono improvvisamente all’ingresso di Irene che teneva per mano Gianluca. Anche
Sormani si girò verso i due, sorpreso di vederli, quasi si fosse dimenticato della loro
presenza.
“Gianluca voleva parlarti” C’era un tono di rimprovero nella sua voce? Irene non fece
nessuno sforzo per mascherare il senso di soddisfazione nel pronunciare quelle tre parole
e Sormani capì, con stupore, ma anche con ammirazione, che era riuscita dove tutti loro
avevano fallito, prima ancora che il ragazzo aprisse bocca.