BREVI RIFLESSIONI Sui requisiti oggettivi minimi per la

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BREVI RIFLESSIONI Sui requisiti oggettivi minimi per la
BREVI RIFLESSIONI
Sui requisiti oggettivi minimi
dell’amministratore di fatto.
per la
configurazione
E’ noto il conflitto che ha regnato fino al 1999 fra la
Giurisprudenza e la Dottrina in ordine ai presupposti per la
configurabilità dell’Amministratore di fatto ( di seguito ADF) .
Sino a tal periodo , la Giurisprudenza , in contrario avviso al
pensiero della Dottrina, aveva ritenuto non sussistere la figura
dell’Amministratore di fatto in ambito della responsabilità
civile ( contrattuale verso la società ed extracontrattuale verso
i terzi)
senza aver ricevuto da parte dell’assemblea alcuna
investitura , neppure irregolare o implicita.
Con Sentenza della Suprema Corte I sez. n. 1925/1999 la
Giurisprudenza civile ha operato un “ revirement” accogliendo il
principio secondo il quale
ai fini della
responsabilità del
cosiddetto “ Amministratore di fatto “ si deve avere riguardo
alle funzioni concretamente esercitate dal soggetto che si
intende chiamare a rispondere per la violazione degli obblighi
inerenti alla conservazione ed alla gestione del patrimonio
sociale , risultando del tutto irrilevante le fonti di investitura
benchè formalmente invalide od inefficaci.
Ad avviso di chi scrive , ben aveva operato la Giurisprudenza
civile nel resistere al dominante pensiero dottrinale sulla
estensibilità della figura dell’Amministratore di fatto in
assenza di investitura seppur irregolare, in quanto l’Ordinamento
non offriva all’epoca e non offre tuttora alcuna individuzione
degli elementi concreti minimi in base ai quali è ascrivibile ad
un soggetto la qualifica di amministratore di fatto demandando ,
pertanto, al Giudicante la individuzione dei presupposti
oggettivi e soggettivi ai fini della ricorrenza della
responsabilità civile e non solo, del soggetto chiamato a
rispondere personalmente per i fatti gestori ascrittigli .
In Dottrina ( DI SABATO , Manuale delle società ,Torino 1992 ,
nt 7) non nasconde l’imbarazzo dottrinale ed il dibattito che ne
è seguito all’indomani dell’ applicazione della responsabilità
(civile ) prevista per l’amministratore di diritto anche
all’amministratore di fatto, proprio per la difficoltà di
identificare il fondamento giuridico di questa estensione .
Ciò infatti ha comportato e comporta un allargamento a dismisura
dei soggetti imputabili con la conseguente eccessiva dilatazione
della discrezionalità
del Giudicante in contrasto con il
fondamentale divieto di applicazione analogica delle
disposizioni incriminatrici ( ex art. 14 preleggi) vìolando la
stessa esigenza di certezza del diritto che, al contrario e
specie in materia societaria, è essenziale in quanto condiziona
lo sviluppo dell’economia.
Ed in effetti , riconosciuta l’applicazione delle norme sulla
responsabilità penale dell’amministratore di diritto a quello di
fatto , sul piano civilistico permane il vuoto normativo .
In Dottrina (CAMPOBASSO , Diritto comm. 2, Torino 1992, COTTINO
, Le società , Dir. comm.Padova, 1999, 411) si è giunti alla
seguente definizione dell’ADF : “ soggetto privo della veste
formale di amministratore per la mancanza di nomina assembleare,
che in fatto si ingerisce nella nella direzione dell’impresa
sociale: impartisce istruzioni agli amministratori ufficiali, ne
condiziona le scelte operative , tratta direttamente con i
terzi.”
Successivamente ,con Sentenza del 14.09.1999 n. 9795 la Suprema
Corte ( I sez. civile) ha stabilito l’estensione agli
amministratori di fatto delle responsabilità addebitabili agli
amministratori di diritto tentando di individuare la figura dei
primi in base al fatto che essi abbiano svolto funzioni gestorie
con carattere sistematico e non eterogeneo e/o occasionale .
Nella fattispecie la S.C. ha confermato la decisione dei Giudici
di merito che avevano ritenuto la disciplina della
responsabilità degli amministratori della società di capitali a
carico di un soggetto il quale , pur privo di qualsiasi
qualificazione formale, si era ingerito in modo sistematico
nella gestione sociale , desumendo tale circostanza dai “
numerosissimi” bigliettini rinvenuti presso la sede sociale in
cui costui si era qualificato come direttore generale della
società , e dal fatto che lo stesso “ firmava per la società” .
E’ evidente che lo sforzo operato dai Supremi Giudici non
soddisfa l’esigenza di circoscrivere quel “quid minimum” che
oggettivamente giustifica l’estensione a chi , in via di fatto,
esercita il ruolo
dell’ ADF .
Non è mancato chi , in Dottrina , ha aggiunto “ l’esperienza
dimostra , che sono gli amministratori di fatto a manovrare e
servirsi di quelli di diritto così come il direttore generale di
fatto è colui che manovra questi ultimi , non essendo aderente
alla realtà economica che avvenga il contrario “ (CAMPOBASSO ,
Dir. commerciale, 2, Torino1992 ).
La Dottrina , poi, di recente ha superato la tripartizione
tradizionale dell’attività gestoria consistente : a)
nell’attuazione del contratto sociale ; nella realizzazione del
sistema di organizzazione previsto dal contratto sociale ; c)
nella gestione dell’azienda.
Il pensiero si è concentrato nella distinzione tra gli atti di
gestione e quelli di rappresentanza i quali nell’insieme
esteriorizzano la volontà sociale e per mezzo dei quali la
società acquista diritti, assume obblighi e sta in giudizio.
In tale prospettiva , sono stati isolati e configurati
autonomamente il potere di iniziativa , quello esecutivo, quello
decisionale e quello di rappresentanza .
Pertanto in tale sedes materiae va ricercata la figura gestoria
sia essa de jure che de facto.
Il primo consiste nel dovere di attivarsi in vista del
raggiungimento dello scopo sociale “ promuovendo la
realizzazione dell’attività deliberativo - gestionale
necessaria al conseguimento dell’oggetto sociale “.
Il secondo si identifica pacificamente nel potere- dovere di
dare esecuzione alle deliberazioni assembleari qualificato da un
quid pluris consistente in una autonomia decisionale operativa
sia in ordine alla scelta dei mezzi e delle modalità attuative .
Il terzo si estrinseca in una azione esterna che assegna
all’ufficio dell’amministratore un ruolo preminente nelle scelte
decisionali e negli orientamenti di indirizzo tesi alla
realizzazione ed attuazione dell’oggetto sociale comprensivo
degli atti di organizzazione strutturale dell’ente commerciale.
Il quarto è dato rinvenirlo nella esteriorizzazione della volontà
formatasi all’interno dell’impresa che viene comunemente definita
“ firma sociale” attraverso la quale coloro che incarnano
l’organo amministrativo agiscono in nome e per conto della
società , ed in tale veste, acquisiscono diritti , assumono
obblighi e promuovono o resistono alle azioni giudiziarie .
In sostanza, la rappresentanza sia nella forma attiva che passiva
altro non è che la esplicazione in chiave dinamica dei tre
esaminati poteri ( di iniziativa, esecutivo e decisionale) pur
sempre in vista della realizzazione del programma sociale
ovviamente con i limiti imposti dall’atto costitutivo.
Così precisati i tratti fondamentali dell’ufficio di
amministratore vediamo di configurare più concretamente la
sfera di significatività delle funzioni gestionali svolte in
via di mero fatto , tanto sotto il profilo dell’an che sotto
quello del quantum.
La Suprema Corte ( I sez. civ. n. 234/1984) aveva dettato in
sede civilistica , da cui non si può prescindere per
l’applicazione dell’istituto in materia fiscale, i parametri si
qui delineati per sancire la responsabilità dell’ADF definendo
tale soggetto come colui il quale “ aveva svolto le funzioni di
amministratore tanto sotto l’aspetto direttivo e organizzativo
quanto sotto l’aspetto rappresentativo , sostituendosi
all’amministratore formale anche nei rapporti esterni verso i
terzi ed i fornitori , nei cui confronti aveva assunto
obbligazioni per la società “ .
In sostanza, dunque, la citata Sentenza aveva avuto il modo di
affermare il principio secondo il quale il profilo dominante e
comunque necessario per configurare la responsabilità civilistica
, e quindi valevole anche ai fini fiscali, dell’ADF - privo quindi
di titoli giuridici - consisteva nella concomitanza
dell’esercizio delle prerogative di iniziativa, esecutive e
decisionali ( lato interno) che di quelle rappresentative ( lato
esterno) .
I poteri così delucidati costituiscono il gradino essenziale
per arrivare a ricondurre nell’alveo della responsabilità (
civilistica e fiscale) le manifestazioni di amministrazione
slegate da titoli giuridici.
Risulta quindi chiaro che colui il quale subentri al titolare
formale dell’ufficio gestorio “ nella totalità dei compiti ad
esso inerenti tanto nei rapporti interni , quanto in quelli
esterni di organizzazione e gestione dell’impresa sociale (
trattando in nome della società con i fornitori, con i clienti ,
i dipendenti , etc) provvedendo a dare , nell’interesse della
società tutte le direttive , generali e particolari , nessuna
esclusa od eccettuata , per la gestione dell’azienda sia nel
campo tecnico che organizzativo , amministrativo, finanziario ,
ecc) non può che essere individuato come il reale ed effettivo
conduttore dell’impresa , come tale chiamato a rispondere
civilmente e penalmente .
In tema poi di un procedimento per bancarotta fraudolenta ( Trib
Napoli IV sez. pen n. 13624/87 ) si è addivenuti ad una
ulteriore specificazione della tematica afferente il quid
minimum per ravvisare la gestione di fatto e precisamente :“ può
definirsi un vero e proprio amministratore di fatto della
società chi partecipa in prima persona ad operazioni molto
consistenti patrimonialmente e di grande respiro finanziario
per le quali si serve della società in unione con gli
amministraori della stessa” .
In tale contesto il Collegio giudicante sottolineava proprio che
“ la così viva partecipazione anche e soprattutto in prima
persona ad operazioni così consistenti patrimonialmente e di
così grande respiro finanziario costituisce il più importante
elemento per poterlo definire un vero e proprio amministratore
di fatto” atteso che dalle risultanze probatorie emergeva che il
medesimo incarnava il factotum dell’ente e che era dotato di
una tale autonomia da consentirgli di gestire in piena
indipendenza ed ad alto livello operazioni ingentisssime.
I principii attraverso i quali si può riconoscere in concreto la
figura dell’ADF “ posto che sono amministratori di fatto coloro
che, indipendentemente da ogni investitura , si ingeriscono
nell’amministrazione della società , esercitando di fatto i poteri
di gestione che competono agli amministratori regolarmente
investiti e di questi determinando le condotte, oppure che
hanno una nomina , ma non regolare” devono riconoscersi nella
necessaria specificazione dei seguenti elementi :
a) definizione del potere di gestione ;
b) verifica dei fatti concreti compiuti dal soggetto chiamato;
c) accertamento della qualità e della quantità degli atti posti
in essere .
La Suprema Corte ( sez. V pen. 12.11.1999) censurando
l’impostazione estensiva della figura dell’ADF ha posto una
dorsale a separazione dell’attività gestoria vera e propria dallo
sporadico ed isolato svolgimento di prerogative riservate
all’amministratore de jure che non si traduce
nell’estrinsecazione effettiva e sostanziale dei poteri legati
alla qualifica concretantisi in quelli di iniziativa, esecutivi e
decisionali ( lato interno) e rappresentativi ( lato esterno).
La Corte nella citata pronuncia così procede nell’analisi della
sussistenza dei requisiti minimi obiettivi : in primo luogo il
controllo della gestione della società sotto il profilo
contabile ed amministrativo , .... poi la stessa gestione con
riferimento sia all’organizzazione interna che all’attività
esterna costituente l’oggetto della società ; ed in particolare
, con riferimento ad entrambe , la formulazione dei programmi , la
selezione delle scelte e la emanazione delle necessarie direttive
anche in funzione di rappresentanza.
L’ingerenza nell’attività gestoria del presunto ADF deve quindi
palesarsi “ massiccia” e caratterizzata non solo da continuità ma
da coordinamento di azioni svolte per la società e rivolte sia
al lato interno che esterno non risolvendosi, quindi, in
un’attività “ gestionale marginale” .
In buona sostanza, il criterio affermato è che l’effettivo
svolgimento di compiti di natura gestionale , da parte di
soggetto privo di qualifica , per ciò solo non assurge a livello
di amministrazione de facto , laddove vi sia un amministratore
formale , in qualche modo operante, atteso che ben può
configurarsi , affianco all’ufficio istituzionalmente preposto ,
un’attività gestoria in relazione a singoli adempimenti “ la
presenza di funzioni gestionali di fatto, con riferimento a
singoli atti, non solo non risulta incompatibile con una
attività gestoria
“legale”
ma in alcun modo può comportare
una traslazione degli obblighi fiscali, legalmente imposti,
dall’amministratore di diritto a quello di fatto “ .
Di conseguenza, in simili fattispecie, colui che si intromette
fattivamente nella gestione di specifici e limitati rapporti
e/o aspetti non può essere considerato amministratore di fatto e
, soprattutto , non può vedersi addossata la titolarità
dell’obbligo tributario .
Sul punto ed in materia di omesso versamento di imposte sui
redditi ed IVA nonchè omessa dichiarazione , è stato
correttamente osservato che estendere la punibilità del gestore di
fatto di singole attività “ in relazione a fatti connessi allo
svolgimento o al mancato svolgimento di attività gestorie delle
quali egli non aveva l’obbligo di occuparsi, significherebbe
attribuirgli una inammissibile responsabilità “ non personale”.
Diversamente argomentando , il posterius ( responsabilità per
ingerenza nella gestione ) si fonderebbe su di un prius (
obbligo giuridico di inserirsi ) logicamente inconcepibile in
relazione ai poteri di gestione la cui ampiezza e determinazione
giuridica si configura unicamente in base all’effettività del
loro esercizio “ ( CASAROLI , Riv . trim. dir. pen . econ 1996).
Il tracciato excursus legittima alcune riflessioni di fondo
sulle manifestazioni sintomatiche dell’ADF tenuto conto
dell’inquadramento basato sulla quadripartizione dei poteri
gestori :di iniziativa, esecutivo , decisionale ( lato interno) e
rappresentativo ( lato esterno) da esercitarsi congiuntamente e
con piena autonomia ed indipendenza decisionale.
Secondo la Dottrina
(ABRIANI, Gli amministratori di fatto nelle
società di capitali ,Milano 1998 , p. 183 , CALANDRA BUONAURA)
vanno poi considerate più in dettaglio le categorie di atti ,
che in considerazione della natura , dello scopo e dell’incidenza
, possono avere sull’attività di impresa ai fini della
qualificazione dell’effettivo svolgimento di un ruolo gestorio in
termini di “ vero e prorpio rapporto amministrativo di fatto “ e
segnatamente :
i) nell’ottica qualitativa - conduzione dell’azienda sotto il
profilo tecnico, organizzativo, amministrativo , finanziario e
contabile ;la partecipazioni ad operazioni di grande rilievo
patrimoniale ; la formulazione di programmi e la selezione delle
scelte per l’attuazione dell’oggetto sociale ; i rapporti
privilegiati con i referenti qualificati dell’impresa ;
l’effettuazione di spese e/o apporti al capitale in prima persona
; la direzione esclusiva dell’azienda con autonimia decisionale
con potere di dettare
istruzioni agli amministratori di diritto
.
ii) nell’ottica quantitativa - continuità nell’esercizio delle
facoltà gestionali;consistenza dell’ingerenza nella conduzione
dell’attività ; quotidianità della presenza presso la sede
sociale ; diffusività dell’intervento ad ogni livello decisionale
; sistematicità delle intromissioni in ambito operativo e
programmatico.
Ed ancora in Dottrina ( ROSSI , L’estensione delle qualifiche
soggettive nel nuovo diritto penale delle società , in Diritto
penale e processo, 2003 pagg. 897 e segg. ) si affronta il
medesimo tema del quid minimum per configurare l’ADF e
precisamente : “ andranno dunque , nei confronti del singolo
potenziale soggetto - amministratore enucleati con precisione per
fare una “scaletta “, la tipologia dei comportamenti gestori in
effetti realizzati e la qualità degli stessi , il quantum dei
fatti di gestione tecnico - economica e gli orientamenti di
indirizzo volti alla realizzazione ed alla attuazione
dell’oggetto sociale in concreto realizzati , unitamente alla
correlativa ed essenziale presenza di un quid non certo esiguo di
autonomia decisionale , la libera conduzione di strategie
gestionali anche rischiose , la “ continuità “ gestionale ,
l’esteriorizzazione personale della volontà sociale , le
attività deliberative direttamente esplicate , l’eventuale
vigilanza e l’avvenuta esecuzione delle delibere assembleari,
l’organizzazione interna della società , nonchè, come ulteriore
prospettazione , l’affidamento riposto dagli “ altri” - organi
della società o terzi - nei comportamenti del soggetto in parola
e la consequenziale accettazione degli atti dallo stesso
perfezionati quali atti dell’Amministratore ...... bisognerà
comunque ben differenziare la semplice ingerenza generica o
anche esecutiva, ma gerarchicamente sottordinata e/o
settorialmente circoscritta , a carattere occasionale , dalla
effettiva dinamica riconosciuta e significativa esplicazione dei
poteri e delle facoltà che tipicamente contraddistinguono un
amministratore........ Gli atti realizzati , se permeati dalle
caratteristiche de quibus , diventano atti da vero amministratore,
effettive prove e non meri indizi .....”
In argomento è conforme l’orientamento della più recente
Giurisprudenza di legittimità e merito: Cass. I sez civ. n.
6719/2008, Cass.III sez.pen. n. 22539/02, Cass. civ. sez . lav. n.
12216/07, Cass. sez civ. lav. n. 5656/04 , Cass. V sez. civ.
14.04.2003, Cass. III sez. pen n. 12965/94, Cass. V sez. civ. ,
17.10.2005,App. Milano 26.09.2000, App. Milano 4.05.2001,Trib.
Torino 06.05.2005, Trib. Roma 27.01.2006, Trib. Milano
18.10.2007, Trib. Rossano 24.03.2005 Trib. Cuneo 18.12.2001 , in
Giur. it. 2002 p.317 , Trib. Torino 30.05.2000, Trib. Milano
11.09.2003, in Dir. e prat. soc. 2003, 23 p. 74 .