Il piacere di donarsi pensieri e conoscenze

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Il piacere di donarsi pensieri e conoscenze
Paolo Cascavilla
Il piacere di donarsi pensieri e conoscenze
di Paolo Cascavilla
1. Una definizione della parola cultura?
Alcuni anni fa era facile e semplice individuare i parametri essenziali di ciò
che rientrasse o meno all’interno della casa o del tempio della cultura.
Forse erano le ideologie che rendevano tutto più definibile.
Un tempo era delimitato chiaramente il campo e le linee bianche che segnavano il rettangolo di gioco, e poi c’erano arbitri e guardialinee.
Oggi non ci sono più guardiani a delimitare confini e settori.
Negli ultimi tempi l’antropologia ha spezzato le certezze, per cui non pare
che vi sia più un centro, e le periferie nascondono verità e percorsi originali.
La scuola trasmetteva un’idea della cultura, anche se chiusa e asfittica.
Se oggi, invece, esaminiamo i progetti che si svolgono nelle scuole notiamo
che spesso dentro c’è di tutto; e tutto sotto l’ombrello della modernità.
Scrive Franco Cassano: “Irritante non è la modernizzazione, che è un fenomeno grandioso e complesso, ma il semplicismo mitologico con cui essa viene invocata quale soluzione di ogni problema”.
Dobbiamo abbandonare l’idea di definire la cultura?
Per chi non abbia rinunciato allo studio del passato e all’esame del complesso
e contraddittorio sviluppo della società, alla formazione dello spirito critico… una
definizione c’è.
Pensiamo a quella che Kant dà dell’Illuminismo.
“L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità, che egli deve
imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la
guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non
dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di
far uso del proprio intelletto senza essere guidato da un altro. Sapere aude! Abbi il
coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto
dell’Illuminismo”.
Oggi l’illuminismo sembra morto. Eppure esso ha fondato principi che tutti
riconosciamo validi: libertà di pensiero, inviolabilità dell’individuo, uguaglianza
tra gli uomini, solidarietà, tolleranza, cultura del dialogo, non uccidere, dire la verità…
Di fronte all’inflazione dell’uso antropologico della parola cultura (cultura
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mafiosa, cultura giovanile…), dovrebbe essere chiaro che là dove il senso dell’umano
si affievolisce, non può esserci cultura. Cultura è processo, crescita, “coltivazione” e
rinvia a esperienze umane ricche e qualificate, nelle quali l’uomo diventa più uomo.
Di fronte a chi dice che la ragione è superata, si dovrebbe rispondere che
abbiamo bisogno di supplemento di ragione, nel senso della curiositas indagatrice.
Superata è la ragione che è solo calcolo utilitaristico, incapace di governare le forze
oscure che agitano l’uomo.
Non solo quindi la ragione scientifica con cui l’uomo crea migliori condizioni di vita, ma quella più vasta conoscenza esistenziale, con la quale gli uomini comprendono meglio se stessi, elevandosi verso ciò che dà valore, dà speranza, stimola
al dono di sé, sviluppa il senso di gratuità.
Scrive Mario Luzi: “Trovo un depotenziamento intellettuale della società italiana. Non si medita, non si riflette. Non possiamo farci forti solo delle passioni,
meglio ragionare con l’intelligenza della mente e del cuore”.
Oggi, poi, occorre fare i conti con la cultura del presente, la crisi del tempo
noetico, del tempo percepito cioè nella sua evoluzione dal passato al futuro.
Il tempo è spezzato, la realtà della comunicazione rende tutto simultaneo, le
attese e le distanze sono cancellate dall’industria della globalizzazione, il senso della morte è perduto.
I giovani non conoscono la storia della propria famiglia, non hanno memoria, l’esoterismo è in agguato, si tende ad eliminare il tempo sociale.
Definire la cultura significa anche individuare le caratteristiche dell’intellettuale.
Il vero intellettuale, scrive Edward Said, deve essere sempre un outsider, un
esiliato.
“Niente mi sembra più riprovevole – sostiene – dell’abito mentale che induce
l’intellettuale a voltare la faccia dall’altra parte, tipico modo di evitare una posizione difficile, che sappiamo essere giusta nei principi, ma che decidiamo di non fare
nostra. Perché non vogliamo mostrarci troppo schierati politicamente, abbiamo
paura di apparire polemici, ci serve il plauso del capo o di un’altra figura di potere,
vogliamo conservare il nostro buon nome di persona equilibrata, oggettiva, moderata; speriamo di essere riconfermati, consultati, chiamati a far parte di qualche
direttivo o prestigioso comitato…”.
Eppure compito dell’intellettuale può essere semplicemente quello di dire la
verità, non ingannare, stabilire un patto di sincerità. La passione per la verità è la
base per risvegliare speranze, utopie, progetti. E poi riscoprire la passione per il
sapere, per la discussione.
“Nella nuova scuola – scrive il matematico Lucio Russo – si rischia di perdere l’argomentazione e la persuasione razionale, tutto barattato con un apprendimento superficiale dell’informatica… La mia convinzione è che si debba prendere
esempio dai monaci del Medio Evo e accontentarsi di trasmettere il sapere a circoli
ristretti. Augurandosi che prima o poi qualcuno si renda conto di che cosa stiamo
perdendo”.
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2. Quali sono gli aspetti di una azione culturale oggi nel Sud?
La riscoperta dell’identità meridionale e mediterranea. Non solo i facili saperi
dell’esperienza immediata, i costumi, le tradizioni…
“È giunto il momento - scrive Goffredo Fofi - di studiare seriamente la società e la cultura meridionale. Troppo spesso si esprimono giudizi e si intraprendono iniziative senza conoscerlo, il Sud, affidandosi a vecchi schemi stancamente ricalcati. Il vero malessere delle regioni meridionali risiede in una ormai consolidata
disorganizzazione culturale”.
La conoscenza del passato, ma con il gusto di sconfinare.
Riscoprire le radici, senza atrofizzare le ali.
La storia locale va bene, se ad ampio respiro.
E le ali, con che cosa costruirle?
Le scienze, le filosofie della vita, la bioetica, le culture degli altri… E qui
siamo nel drammatico presente. Un cambiamento che è in atto, che va governato
senza proclami, ma con una partecipazione dal basso.
Si può prendere ad esempio la via che sta tentando di percorrere la Chiesa
cattolica con il Progetto culturale, con il quale si invitano credenti e non credenti a
elaborare proposte adeguate alle emergenze su cui si misura una visione dell’uomo
e della società. E intende operare attraverso la formazione del laicato, le comunicazioni sociali, la valorizzazione dei beni culturali, dello sport e del tempo libero. Fin
qui nulla di nuovo. L’aspetto interessante è che il Progetto culturale non presenta
raffinate e concluse analisi dall’alto. È una sorta di pagina bianca o anche di scatola
vuota e sono le periferie a scriverla o riempirla, progettando iniziative nelle quali la
comunità si incontra, dialoga, si confronta: cinecircoli, teatro, tempo libero, convegni…
È certamente difficile. Forse può apparire utopica la progettazione dal basso
in un mondo globalizzato. Ma l’intuizione è giusta: mettere a disposizione delle
comunità locali strumenti per parlare e crescere insieme. Non ci sono alternative.
Solo dall’incontro di persone che riscoprono (come in altri periodi del passato) il
piacere di incontrarsi e discutere, potrà nascere una cultura critica, non elitaria e
salottiera, ma luogo dove gli uomini si esercitano nello studio del passato, nell’esame del presente, nella contemplazione del futuro. Sperimentando il dialogo e la
gratuità nel donarsi pensieri e conoscenze; favorendo il dispiegarsi della ragione,
perché solo da essa si può ripartire per sconfiggere perbenismo, intolleranza,
conformismo, indifferenza.
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