Clara Raven

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Clara Raven
 Clara Raven racconto Angelica Elisa Moranelli Clara Raven di Angelica Elisa Moranelli L’annuncio dice che il signor Stanley Hyde cerca una babysitter per sua nipote nel quartiere di Goldenlamp. Io ho bisogno di un lavoro. O meglio. Ho bisogno di questo lavoro. Jack mi ha accompagnato, per così dire, al colloquio. In realtà mi ha incrociato sotto casa e ha insistito per venire con me, dato che, a suo dire, la zona di Goldenlamp non è il massimo della sicurezza. Al momento sembra se la stia facendo addosso, anche perché Jack è consapevole di che genere siano solitamente i miei lavori. «Non so se è più strano che in questo quartiere abiti un bambino, o che qualcuno voglia affidarlo a te» dice rabbrividendo. Non rispondo, mi piace lasciarlo parlare, la sua voce è riposante, anche quando si lamenta. Mi dirigo verso un portone sfondato. «La porta è aperta» dico, scavalcando un cumulo di cartoni fradici di pioggia e qualche altra cosa che non sto lì ad esaminare. «La porta è crollata, -­‐ precisa Jack, senza riuscire a nascondere l’ansia – non credo che ci viva qualcuno qui…» L’ombra che ci avvolge è lugubre e puzza di morte. «Sì, forse hai ragione» dico, incamminandomi su per le scale che scricchiolano ad ogni passo, minacciando di crollare da un momento all’altro. Jack mi guarda come se fossi pazza, ma dopo un po’ mi segue, come fa ogni volta, del resto. Posso quasi sentire il battito accelerato del suo cuore, il che mi ricorda perché adoro averlo attorno. Il suo cuore è sempre così vivo. Ci fermiamo di nuovo. Sento qualcosa. Jack mi fissa stralunato, senza osare interrompere il flusso dei miei pensieri: dalle scale giunge chiaro il rumore di passi trascinati e lenti. I passi si fermano ed in cima alle scale compare un uomo sulla sessantina: non è un bello spettacolo. E' coperto di stracci e sporco e anche a due metri di distanza emana un insopportabile fetore. Sento Jack deglutire, accanto a me e il suo cuore che fa una capriola. «Chi sei?» dice l’uomo, guardandomi come se avesse il potere di uccidermi con lo sguardo. A giudicare dalla maniera in cui trascina la voce, non è affatto sobrio. «Salve, signor Hyde». L’uomo mi fissa stranito. Poi scuote la testa e ci supera, aprendo la porta di casa, alle nostre spalle. Si ferma sulla soglia e torna a guardare verso di noi: «vattene». «Mi chiamo Clara Raven. So che ha bisogno di una babysitter per Tara». L’uomo si irrigidisce. «Clara…» tenta Jack. «Mi prendo io cura di lei» replica seccamente il vecchio. Ma rimane in piedi, immobile contro lo stipite della porta, in attesa di qualcosa. Gli occhi del vecchio si spostano da me a Jack, poi tornano su di me. «Vattene». «Dov’è sua nipote, ora?» chiedo. L’uomo mi fissa spalancando i piccoli occhi arrossati e contornati da rughe. Jack è semplicemente sconcertato e mi fa cenno di piantarla. Stanley Hyde agita un istante il pugno davanti al viso, poi il braccio si affloscia lentamente, con rassegnazione. Si volta e fa un passo dentro casa. «Entra» sibila. Clara Raven di Angelica Elisa Moranelli Appoggiato al lavandino, Stanley stappa una bottiglia di bourbon e ne tracanna un bel po’ prima di parlare. Jack se ne sta in piedi accanto al tavolo, con l’aria di chi sarebbe fuggito da un istante all’altro, io sono accanto a lui e fisso il tavolo lercio ingombro di bicchieri sporchi e bottiglie vuote. «Dove sono i genitori di Tara?». Stanley si passa un braccio sulla bocca, con una smorfia di dolore. «Morti. Overdose, tutti e due. Tara aveva due mesi quando è morto suo padre, tre mesi dopo è toccato alla madre, mia figlia. L’ho cresciuta io. L’ho tirata su io. Cosa diavolo vuoi da me?». «Aiutarla» dico. «Beh, non ho bisogno di aiuto! – grida il vecchio scaraventando la bottiglia nel lavandino – Vattene di qui!». «Parlo di Tara. Sono qui per lei» dico. «Cocciuta mocciosa» mi apostrofa Stanley voltandomi le spalle. Dopo un po' mi fa cenno di sedermi, ma io resto in piedi, ad osservarlo. Sì, non mi sono sbagliata. «Che vuoi che ti dica? – inizia con voce lamentosa – è una bambina vivace… non fa che nascondersi…». I suoi occhi vagano spaventati da un capo all’altro della cucina. «A volte, Dio mi perdoni, mi fa perfino paura…». «Bisogna trovarla al più presto, lo sa?» dico. Stanley reagisce scattando in piedi e mandando la bottiglia in frantumi. «Vuoi dire che non sono in grado di prendermi cura di Tara? E’ questo che vuoi dire?». «Dovrebbe stare attento, -­‐ mi chino a raccogliere i vetri sotto il suo sguardo sbalordito – Potrebbe tagliarsi». Stanley ripiomba pesantemente sulla sedia, prendendosi il volto fra le mani. «Sì… sì, lo so…» singhiozza. Getto i pezzi di vetro nel lavandino e torno a guardare l’uomo. Accanto a me Jack non capisce bene quello che sta accadendo. «Stanley, mi lascerebbe cercare Tara?». L’uomo annuisce, finalmente, senza replicare. Gironzolo per casa muovendovi lentamente, cercando una pista, ma è difficile perché ovunque si sente la presenza della bambina, perfino le pareti dell’appartamento ne sono impregnate. Mi fermo davanti ad una porta socchiusa. Allungo la mano verso la maniglia e spalanco la porta: la puzza di chiuso mi investe con una potenza inaudita, devo mettere una mano davanti alla bocca per non vomitare. I miei occhi si districano con difficoltà nel buio pesto e quando finalmente mi abituo all'oscurità quello che vedo mi gela il sangue nelle vene. Ci sono bambole dappertutto, alcune nude, altre vestite, altre senza braccia. Alcune ammucchiate contro le pareti, altre disposte in ordine sulle mensole. Centinaia di occhi vuoti mi fissano sbalorditi e confusi. Sento Stanley singhiozzare alle mie spalle. «Le… le faccio io… è il mio passatempo» dice. Jack è scioccato quanto me, ma il più scioccato sembra proprio il vecchio. Avanzo nella stanza, in direzione della finestra e la spalanco. Fiotti di luce bianca penetrano dentro, assieme all’aria fresca e pulita. Riprendo a respirare, appoggiandomi con la schiena al davanzale. «Lei… era sempre… sola… la lasciavo sempre sola…». «Non è stata colpa tua» dico, rivolgendomi a lui in tono informale. Sul volto di Stanley si dipinge il terrore. «Colpa… mia?». «Non è stata colpa tua» ripeto. Clara Raven di Angelica Elisa Moranelli Stanley vacilla e deve sedersi sul pavimento. Respiro intensamente ora: il dolore è molto più sopportabile. Tara è stata lì, da qualche parte, ma ora non c’è più e Stanley inizia a comprendere, finalmente. L’avevo capito fin da quando avevo letto per caso l’annuncio, era un vecchio ritaglio di giornale, un quotidiano di tre anni prima che avevo visto per caso al parco. Al nome di Stanley e Tara Hyde, il respiro mi si era mozzato: ero stata chiamata, ancora una volta. Un urlo soffocato esce dalle labbra del vecchio. Si accascia sul pavimento, le mani fra i capelli. Mi avvicino cautamente, inginocchiandomi accanto a lui. «Stanley… ricordi tutto ora, non è vero?». Annuisce, affondando nel suo stesso dolore. Un’ora dopo siamo seduti al tavolo: mi sono preoccupata di buttare i bicchieri incrostati e le bottiglie vuote, di pulire il pavimento, mentre Stanley, sfiancato dai ricordi, è crollato in un sonno straziante, nella sua stanza. Ora la cucina somiglia ad un posto abitabile. «E’ accaduto un anno fa. Ero fuori per lavoro, costruisco giocattoli, -­‐ dice con occhi aridi – dovevo stare tutto il giorno alla fiera e le avevo detto di fare la brava e restare a casa. Tara era così buona. Faceva sempre tutto quello che le dicevo. Non le piacevano le babysitter, preferiva starsene per conto suo. Era una bambina molto timida. Ma mi voleva un gran bene». «Sono certa che ti amava molto». Un moto di angoscia riempie gli occhi di Stanley. «Era la mia luce. Quando è successo, sono come impazzito. Caduta dalle scale mentre giocava. Mi sembrava non potesse essere vero. Capisci? Era capitato solo una volta che la lasciassi sola, soltanto una volta…». «E Tara sicuramente lo ricorda…» dico titubante, preoccupata di non sconvolgere la mente già provata del vecchio con le mie rivelazioni. Ma so che per permettergli di andare avanti, deve conoscere la verità. I singhiozzi dell’uomo tornano a riempire la stanza. «Forza, Stanley. Forza. Non capisci cosa ti sto dicendo?». I suoi occhi mi guardano sconvolti. «Tara sta bene. Era preoccupata per te. Per la tua ossessione. Temeva che stessi impazzendo: sono certa che è stata lei. Mi ha mandato per questo. Per farti sapere che non è colpa tua. Il suo dolore è ancora impregnato in queste pareti, è stata qui da poco, lo sento». Stanley si prende ancora il volto fra le mani. «Queste… cose… non sono possibili…» farfuglia. «Devi… -­‐ chiudo gli occhi e respiro profondamente – vuole che tu vada a parlare con lei…». «Dove?» chiede lui tremante. «Dove riposa, Stanley. – spalanco nuovamente gli occhi -­‐ E’ lì che lei ti aspetta. Ti vuole bene, ha fatto tutto questo per te. E’ tornata per te, ha affrontato la pioggia e di nuovo il mondo solo per te, per darti la pace». «Non è arrabbiata». «No, -­‐ scuoto la testa, guardandomi attorno alla ricerca di una conferma – no, non c’è rabbia, c’è solo dolore e confusione, capita così quando non si sa dove andare, ma presto lo saprà anche lei, Stanley». Stanley si asciuga gli occhi. «E ora, dov’è? Puoi vederla?» chiede. Scuoto la testa. «Non lasciare che si perda nella pioggia, -­‐ implora l’uomo tristemente – Tara amava il sole». Clara Raven di Angelica Elisa Moranelli «Non la lascerò vagare nella pioggia, stai tranquillo». Il cimitero è silenzioso, come sempre. Amo trascorrere il mio tempo lì, fra i morti che dormono tranquilli: quelli che incontro in genere sono morti alla ricerca della pace e la trovano soltanto quando trovano me. Stanley mi segue come un bambino, cammina accanto a Jack che è pallido e tremante e si guarda attorno spaesato, come se da un istante all'altro qualcuno dovesse attaccarlo alle spalle. Mi fermo all'improvviso e Stanley e Jack fanno lo stesso. «Credo che sia laggiù, Stanley. Vedi?». Una bambina dai lunghi capelli biondi attende sulla soglia di una piccola cappella semisepolta dall'edera, stringendo fra le braccia una bambola. Ha un'espressione strana, come se gli occhi fossero troppo adulti per il suo volto infantile. «Tara...». L'uomo apre e chiude la bocca e le lacrime sgorgano dai suoi occhi contornati di rughe. La bambina mi sorride riconoscente, poi tende la mano. Stanley supera sia me che Jack e va verso di lei, Tara allora gli prende la mano, come se fosse lei l'adulta, e lo guida dentro, dove l'ombra li fagocita entrambi. Quando scompaiono è come se si rimettesse in moto un ingranaggio inceppato: gli uccelli cinguettano, il vento muove l'erba, l'odore dolciastro di fiori marci e candele bruciate si mescola al profumo della primavera. «Che diavolo...». Jack sembra confuso. Gli sorrido riconoscente: ancora una volta mi è rimasto accanto, nonostante tutto. «Ne hai riportato un altro indietro, non è vero?» chiede qualcuno. Mi volto: davanti a me c'è padre David con l’enorme, biancastra cicatrice che gli devasta la metà sinistra del viso: tre lunghe linee parallele che partono dallo zigomo e arrivano fino al mento, lascito di una delle sue tante lotte contro il Maligno. «Due, in realtà.» Sorrido. «Povero vecchio» commenta il prete, lanciando un lungo sguardo verso la cappello. Lì, nella fredda penombra, Stanley Hyde giace accanto a sua nipote Tara. Dormono sogni tranquilli, posso sentirlo. Seduti in un bar, addento il mio tramezzino con passione. Non mangio nulla da ieri, è una mia vecchia abitudine quella di saltare i pasti, non lo faccio apposta: semplicemente li dimentico. Jack è ancora scosso. «Come accidenti fai ad avere ancora appetito?» dice accendendo l’ennesima sigaretta. Davanti a lui ci sono un pacchetto accartocciato e un altro mezzo vuoto. Gli tremano le mani. «Non sono mica un fantasma» dico soffocando un sorriso. «Ah-­‐ah. Molto spiritosa. Non hai idea di cosa significhi vederti parlare con il vuoto mentre le bottiglie si spaccano da sole, le porte si spalancano e le assi del pavimento cigolano». «Mi hai voluto accompagnare» dico addentando con gusto il tramezzino. «Sì, ma mi hai fatto credere che fosse davvero un annuncio di lavoro! Invece eri a caccia di spettri, come al solito». «Mi conosci, no?». Jack mi fissa sbalordito. Clara Raven di Angelica Elisa Moranelli Rido. Sono felice. Perché anche questa volta sono riuscita a far tornare a casa qualcuno. Non ho un gran successo con i vivi, ma i morti hanno molta fiducia in me. Del resto i vivi non mi piacciono granché, fatta eccezione per Jack. Jack è meraviglioso. Mi alzo, pago anche per lui. Glielo devo. E quando arriviamo sotto casa lo bacio con passione. Gli devo anche questo. Jack sorride, il primo sorriso della giornata. Ora respira regolarmente. Si abituerà prima o poi ad avere una ragazza che parla con i morti.