storia del diritto medievale e moderno ii

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storia del diritto medievale e moderno ii
INSEGNAMENTO DI
STORIA DEL DIRITTO MEDIEVALE E MODERNO II
LEZIONE V
“L’ETÀ D’ORO DEL DIRITTO COMUNE ”
PROF.SSA MARIA NATALE
Storia del Diritto Medievale e Moderno II
Lezione V
Indice
1 L’età dei Post-accursiani -------------------------------------------------------------------------------- 3 2 Dalla scuola di Orléans al Commento ---------------------------------------------------------------- 6 3 Il metodo dei Commentatori --------------------------------------------------------------------------- 8 4 Le auctoritates ------------------------------------------------------------------------------------------ 11 5 I Commentatori e la Donazione di Costantino---------------------------------------------------- 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 L’età dei Post-accursiani
La Magna Glossa di Accursio è certamente un’opera fondamentale: della glossa essa segnò
contemporaneamente l’acme, il punto di massima realizzazione, ma anche la crisi. Dopo la sua
compilazione, infatti, divenne consueto non fare più ricorso ai testi giustinianei, alla loro esegesi: la
lettura e l’interpretazione del testo giustinianeo furono sostituiti dalla lettura e dallo studio della
Glossa Magna, definita anche Glossa Ordinaria, ossia glossa per antonomasia. Nonostante, infatti,
le inevitabili lacune e le contraddizioni esistenti al suo interno, la Glossa diventa il «corredo
assolutamente indispensabile ed inseparabile della compilazione giustinianea». La glossa, insomma,
si presenta come «la voce stessa del testo, il quale nella prassi parla solo attraverso questo suo
indispensabile apparato interpretativo»1.
Il risultato della progressiva sostituzione della Glossa all’originario testo giustinianeo fu la
totale perdita di contatto con il testo stesso, ossia, l’allontanamento, progressivo ma inesorabile, dal
dettato normativo.
E’ allora opportuno chiedersi perché ciò avvenne. In primo luogo, la Glossa era capace di
rispondere con immediatezza ai problemi del presente. Pur rispettosi della straordinaria auctoritas
del Corpus Juris Civilis, i giuristi in questa fase cominciano ad essere attratti dalle infinite
possibilità di utilizzazione della Glossa.
Ecco per quale ragione, il cinquantennio che va dalla metà del 1200 sino al 1300 è
identificabile come età dei Post accursiani. E’ un età di mezzo, una fase di transizione che vede i
giuristi sempre più svincolati dal testo giustinianeo e sempre più attenti ai problemi della prassi, alle
necessità della vita quotidiana. La progressiva crescita delle attività commerciali e mercantili
impone nuovi schemi giuridici agili: nuove risposte per nuovi problemi. In questo quadro, è chiaro
che la semplice esegesi del testo giustinianeo non possa essere in alcun modo capace di offrire
risposte adeguate e valide. La scienza giuridica diventa, dunque, sempre più sensibile alle
sollecitazioni del presente.
I giuristi cominciano, così, progressivamente, ad accostarsi al diritto romano non più con la
convinzione di ritrovare in esso il canone immutabile ed eterno del giusto, del sempre valido,
dell’universale. I giuristi cominciano ad accostarsi al diritto romano con la consapevolezza di avere
Le affermazioni sono dello storico Cavanna ed evidenziano come la Glossa, accanto alle successive opere dei
Commentatori, sia divenutacardine del diritto comune ed oggetto di ricezione nei più diversi paesi europei
come vera e propria fonte di cognizione del diritto romano stesso.
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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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di fronte un grande sistema giuridico da cui poter trarre le premesse per una nuova ed evoluta
esperienza giuridica.
Ecco per quale ragione i giuristi post-accursiani per la prima volta offrono sistemazione
organica a taluni settori del diritto, dapprima del tutto trascurati, all’interno dei tractatus: opere
monografiche in cui è compendiata una materia giuridica ritenuta utile a scopi pratici, forensi.
Qualche esempio potrà essere di chiarimento.
E’ di questo periodo il tractatus de maleficiis di Alberto da Gandino: n’opera nata dalla
prassi e destinata alla prassi, provvista di dignità scientifica ma certamente destinata a scopi praticoforensi. Si tratta, infatti, del primo trattato organico in materia penale e criminale. Alberto da
Gandino è certamente il padre della criminalistica europea.
L’attenzione per il versante pratico del problema giuridico è testimoniato anche da un’altra
opera dello stesso autore: le Quaestiones Statutorum, ove il giurista seleziona le più scottanti ed
importanti quaestiones in materia di Statuti; una casistica importante e di straordinaria attualità
considerata l’importanza rivestita in quel periodo dal problema dei rapporti tra l’ordinamento
giuridico romano, recuperato attraverso la glossa, ed i diritti particolari che traggono fonte dagli
Statuti comunali e particolari.
Tuttavia, in questo stesso periodo, vedono la luce anche opere importanti in altri settori
ugualmente decisivi per la prassi. Importante è, per esempio, l’opera Speculum iudiciale, scritta da
Guglielmo Durante in materia processuale e l’elaborazione della Summa Artis Notarile redatta da
Rolandino de’Passeggieri.
La fase di passaggio dei Post-accursiani segna, dunque, una graduale ma significativa e
definitiva svolta ed evoluzione della glossa. L’urgenza della prassi induce i giuristi a ripensare la
loro funzione, il loro modo di porsi innanzi al Corpus juris. Si può certamente dire che, a cambiare è
lo stesso stato d’animo del giurista: da una vera e propria venerazione nei confronti del diritto
giustinianeo, via via si passa ad un approccio più freddo, più critico e razionale. Il giurista, pur
restando rispettoso del principio d’autorità, si rende conto delle straordinarie potenzialità del diritto
romano e della necessità di dover utilizzare quelle risorse per poter rispondere alle urgenze
dell’attualità. I giuristi si distaccano dal Corpus juris, per poter meglio scomporre, analizzare,
problematizzare e discutere il testo legislativo.
Se il glossatore, insomma, si era posto innanzi al Corpus juris con la convinzione che questo
potesse ‘reggere la vita’, i giuristi via via, e soprattutto a partire dal XIV secolo cominciano a porsi
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un nuovo interrogativo: fino a che punto la legge antica può essere utilizzata per regolare i rapporti
nati dalla nuova esperienza giuridica?
Si avvia con queste premesse l’attività di una nuova età di giuristi: i Commentatori.
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2 Dalla scuola di Orléans al Commento
Quanto si è appena detto deve servire ad allontanare l’idea che tra i glossatori ed i
commentatori sia esistita una cesura, una linea di demarcazione netta, una frontiera. Diversamente,
è da ritenere che la loro attività sia stata segnata da una marcata e naturale continuità: una graduale
evoluzione che matura durante l’ultimo cinquantennio del XIII secolo, la cd. età dei post accursiani
e che può dirsi pienamente realizzata agli inizi del XIV secolo.
Per quanto concerne le origini del nuovo tipo di approccio alla materia giuridica, i primi
segni si manifestarono in Francia, ad Orléans, dove – sin dalla metà del Duecento – iniziano ad
operare in modo innovativo due grandi giuristi: Jacques de Révigny e l’allievo Pierre de
Belleperche. Si tratta di veri e propri precursori del nuovo metodo.
A questo proposito, è importante riflettere su di un aspetto: in Italia, negli stessi anni, i
giuristi ancora si misurano con la Magna Glossa accursiania. In Francia, invece, si avvia in quegli
anni una nuova lettura dei testi giuridici che rispecchia e utilizza gli schemi e i metodi propri della
filosofia scolastica. Non a caso, Jacques de Révigny, oltre che giurista è anche filosofo e teologo: la
sua preparazione è, a dir poco, determinante per la nuova lettura ed interpretazione della materia
giuridica. Dal connubio delle diverse scienze nasce il nuovo metodo: gli strumenti della
speculazione filosofica ed il razionalismo della filosofia tomistica vengono utilizzati per
interpretare, in modo ragionato e critico, il diritto. E ciò avviene significativamente proprio nella
fase in cui la glossa, esaurita la sua fase di splendore, comincia a ristagnare.
Il contatto tra la scuola della glossa ed il nuovo filone interpretativo si realizza alla fine del
Duecento: un giurista italiano, Cino da Pistoia (1270-1336), si reca in Francia ed entra in contatto
con gli esponenti della scuola di Orléans. Il giureconsulto toscano si avvicina così alla nuova
metodologia e la assume quale proprio programma operativo. Rientrato dal suo viaggio Oltralpe,
Cino da Pistoia, entusiasta del nuovo metodo, trasmette ai suoi allievi quanto ha imparato. Il suo
insegnamento, dunque, non resta una voce isolata: al contrario di quanto avviene in Francia dove
l’interesse per la nuova metodologia si spense alla morte dei due insigni giuristi, in Italia il nuovo
‘modo di leggere’ le fonti romane desta grande interesse.
Ormai da tempo era, infatti, maturata nei giuristi la consapevolezza della limitatezza della
glossa. Era necessario, dunque, spingersi oltre i confini segnati dall’interpretazione esegetica del
testo legislativo. Indispensabile era un lavoro di critica e di analisi per ricercare la ratio legis,
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l’anima del diritto, la sua forza, il suo spirito. Se il giurista medievale fosse riuscito, attraverso
quest’analisi, a cogliere il principio ispiratore di fondo della norma giuridica, questa avrebbe potuto
‘reggere la vita’ ossia essere utilizzata per risolvere i problemi pratici. Solo così la norma avrebbe
potuto vivere in eterno.
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3 Il metodo dei Commentatori
La strada maestra per raggiungere il nuovo traguardo era certamente da rinvenire
nell’adozione di un nuovo metodo didattico ed interpretativo. Non a caso, la scuola dei
Commentatori è definita in tal modo per l’adozione di un nuovo genere letterario, il commento, che
sostituisce la glossa nell’attività di interpretazione e rielaborazione del diritto romano giustinianeo.
Nelle mani dei seguaci di Cino da Pistoia, il testo legislativo romano diventa oggetto di
un’analisi critica fortemente influenzata dal sillogismo e dalla dialettica aristotelica. Insomma, i
commentatori mettono a punto un metodo articolato e complesso, caratterizzato dalla ferrea e
meccanica successione logica ed obbligata dei suoi momenti essenziali.
Il metodo interpretativo dei commentatori è sintetizzabile in una formula che indica, passo
dopo passo, le diverse fasi del loro lavoro.
Praemitto, scindo, summo, casumque figuro,
perlego, do causas, connoto et obiicio.
Ecco qui riassunte in una sola formula tutte le operazioni compiute dal giurista. In primo
luogo il maestro deve premettere, una serie di considerazioni introduttive per realizzare
l’inquadramento sistematico del testo normativo indicando i rapporti tra la norma presa in esame e
la rubrica da cui essa era tratta, i suoi rapporti con le altre rubriche e con il libro in generale. In altri
termini il professore delimitava con la premessa l’ambito della sua trattazione. (Praemitto)
Successivamente il doctor divide il testo in tante parti strutturali ed autonome da analizzare
separatamente mettendo in luce tutte le implicazioni del passo analizzato. (scindo).
Questa fase è logicamente preliminare rispetto alla successiva fase di ricomposizione,
allorquando il testo - ricomposto nella sua unità organica al fine di mostrare la sua portata
complessiva – riesce finalmente a mostrare il suo significato complessivo. (summo).
A questo punto spetta al giurista esemplificare una o più fattispecie concrete, ossia figurare
il casus.
Si apre così una seconda fase che inizia con la rilettura del passo nella sua unità (perlego).
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Conclusa la rilettura, il giurista può, a questo punto, spiegare le ragioni e gli scopi della
legge facendo appello al tipico schema dialettico aristotelico delle ‘quattro cause’: materiale,
efficiente, formale e finale (do causas).
Solo a questo punto, l’analisi si può arricchire di ulteriori connotazioni ed obiezioni: il
giurista, sulla base dell’analisi sin qui condotta, dà luogo cioè alla figurazione e discussione di un
vero e proprio castello di eccezioni, di distinzioni e di questioni controverse. In questo modo
l’interpretazione è arricchita non solo dalle argomentazioni a favore di una determinata tesi, ma
anche dalle argomentazioni favorevoli alla tesi contraria, all’antitesi, alle eccezioni (connoto et
obiicio).
Come si intuisce, si tratta di un complesso procedimento interpretativo che tanto può
risolversi, nelle mani di un buon giurista, in uno straordinario marchingegno creativo, tanto però
può altresì risolversi, nelle mani di un giurista di modeste capacità, in un meccanismo macchinoso,
rigido, capace di bloccare l’interprete nelle sabbie mobili di un formalismo sterile2.
Il metodo interpretativo utilizzato dai seguaci di Cino da Pistoia parte, infatti, dall’analisi
del dato normativo, della lex romana, ma solo al limitato scopo di individuarne la ratio. Tutte le fasi
successive del metodo dei giuristi medievali sono rivolte ad allargare le maglie della norma per
accogliere la realtà. Nelle mani del giurista la norma diventa elastica, materia viva, capace di
abbracciare in sé una pluralità di casi e di figure. Chi rende possibile alla norma di allargarsi in
questo abbraccio è il giurista. Egli soltanto è capace di fare da mediatore tra il regno dei fatti e il
regno delle norme. Con grande libertà, l’esperto di diritto cerca nel patrimonio giuridico gli appigli
formali per legittimare una realtà in piena evoluzione.
Un esempio può aiutarci a capire lo sforzo e l’intenzione dei Commentatori. Secondo
l’ordinamento giuridico romano, il dominium rappresentava la categoria giuridica per eccellenza dei
diritti reali, ossia la situazione di signoria di diritto esplicata da un soggetto su di una res. Il
dominium, così concepito, appariva, però, lontano dalla realtà delle situazioni emergenti in epoca
medievale: queste contemplavano non una, bensì molte più possibilità nel rapporto tra res e
persona. Si pensi, per capire, a quante possibilità esistono oggi nel mondo giuridico per indicare il
rapporto tra l’uomo e la res: esiste il diritto di proprietà, ma esiste anche l’usufrutto, la locazione, la
Un rischio che è stato ben messo in luce da alcuni storici: la mancanza di spontaneità del metodo dei
commentatori, articolato secondo una ferrea e rigida successione di fasi, produceva un effetto tutt’altro che
trascurabile: era capace di «impastoiare il giurista e lo studente in quel fossilizzato stadio secondario della
cultura che è la pedantesca e retorica ripetizione accademica». L’inconveniente è indicato nelle parole,
appena citate, di Gotofredo Conratter, studente tedesco di giurisprudenza iscritto all’Università di Padova
alla fine del XVI secolo, che descrive con tono critico il metodo utilizzato dai docenti patavini.
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detenzione, il possesso etc. Ecco allora aprirsi il campo per la ricerca dei giuristi: era necessario, in
altri termini, trovare nello scrigno del diritto romano il modo per ampliare uno schema asfittico, per
riempire quello schema di nuovi contenuti. Come si poteva agire in tal senso? L’operazione
interpretativa partì dall’esame di un brano del giurista classico Paolo riguardante i fondi pubblici
locati ai privati, i cd. agri vectigales. Il testo prevedeva che anche al conduttore dovesse essere
concessa un’azione reale a tutela del proprio diritto. Ebbene, attraverso l’interpretazione sistematica
e certamente estensiva di questo testo giuridico, i commentatori indicarono che anche la posizione
del conduttore poteva essere senza dubbio fatta rientrare nel concetto astratto di dominium. Era un
dominium che atteneva alla res, distinto da quello del proprietario. Su una stessa res potevano
coesistere più dominia: il dominium facente capo al proprietario\concedente era un dominum
diretto; ma tenuto conto dell’utilizzazione economica e produttiva che di quel determinato bene
faceva il concessionario, dal dominium diretto poteva tenersi distinto un dominium utile.
Il diritto allargava le proprie maglie grazie all’attività di interpretazione compiuta da
giurista. Senza quest’ultima, il diritto romano sarebbe stato nient’altro che un vuoto contenitore e la
realtà incapace di trovare una adeguata regolamentazione.
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4 Le auctoritates
Il periodo sostanzialmente più creativo della scuola Commento è quello compreso tra
l’inizio del XIV secolo sino alla prima metà del XV secolo. E’ in questo periodo che la scienza
giuridica medievale italiana, dai contemporanei chiamata mos italicus, conosce una vera e propria
galleria di auctoritates. Tra le figure che meglio rappresentano la scuola del Commento e che più
contribuiscono all’emersione della nuova metodologia hanno importanza primaria i due geniali
giuristi Bartolo da Sassoferrato e Baldo degli Ubaldi: due nomi per indicare solo gli esponenti più
illustri, ma l’elenco potrebbe essere ben più lungo.
Bartolo da Sassoferrato era stato a Perugia allievo di Cino da Pistoia, e da questi aveva
appreso il metodo. Compiuti gli studi giuridici, aveva svolto l’attività di giudice a Pisa ed a Todi, e
quella di professore a Perugia. La sua fama era cresciuta grazie alla produzione di tantissime opere.
Non a caso, allievo di Bartolo da Sassoferrato era stato anche Baldo degli Ubaldi, ottimo e rinomato
civilista e canonista che, in questa veste, aveva insegnato per circa un cinquantennio nelle più
prestigiose Università.
Naturalmente sarebbe un errore pensare a questi grandi giuristi come ad uomini fuori dalla
storia, lontano da ogni passione, distanti e non curanti dei problemi della loro epoca. Tutti gli
uomini vivono inseriti in una determinata società, in una certa realtà geografica ed in un
determinato contesto storico e politico. Così come per l’identificazione del punto nel piano
cartesiano, si deve fare riferimento alla sua posizione rispetto all’asse delle ascisse e delle ordinate,
così per comprendere qualsiasi personaggio è necessario collocarlo nella sua realtà storica,
geografica e politica.
Ed allora chiediamoci: qual è la realtà in cui vivono Bartolo e Baldo, i principali esponenti
del mos italicus?
Essi sono italiani e vivono in una età caratterizzata da forti scontri politici: i Comuni,
l’Impero, la Chiesa pretendono di essere detentori di un potere assoluto, e ciò non può che essere
all’origine di scontri fortissimi e sanguinosi. La fama di Bartolo, non a caso, fu legata alla sua
capacità di esaminare le questioni giuridiche realisticamente dandone trattazioni diffuse, attente alla
molteplicità dei poteri politici e dei regimi giuridici concorrenti. Ogni problema tecnico giuridico
presentava, infatti, profili diversi a seconda che l’esame fosse compiuto dal punto di vista
dell’Impero o del Papato, della Chiesa, dei Comuni, del feudo. La Penisola e l’Europa offrivano
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campionari amplissimi, il cui studio imponeva l’esame di fenomeni articolati e la capacità di sapersi
destreggiare con abilità.
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5 I Commentatori e la Donazione di Costantino
Un tema si presta ottimamente a mettere in luce quanto abbiamo appena detto.
La Chiesa di Roma giustificava e legittimava la propria pretesa universalistica e di potere
sulle province italiane ed occidentali sulla scorta di un documento, la cui origine era fatta risalire ai
tempi dell’Imperatore Costantino, il quale – stando al documento di donazione – avrebbe donato al
papa Silvestro I le terre italiane ed occidentali.
La scienza giuridica francese già nel Medioevo aveva dimostrato la falsità della donazione
di Costantino ed aveva indicato in essa una falsificazione di epoca carolingia. Alla stessa
conclusione pervenne, per la verità, anche un letterato italiano, Lorenzo Valla, che concluse per la
falsità del documento sulla scorta di elementi filologici, ossia attraverso lo studio della lingua
utilizzata in quel documento. Dunque, nulla di quanto pretendeva la Chiesa era assistito da ragioni
storicamente fondate e valide.
Ma quale fu l’atteggiamento dei Commentatori italiani?
Ebbene, alla domanda se il
presunto atto di liberalità dell’Imperatore fosse valido, Bartolo adottò una posizione che ben ci fa
comprendere come le condizioni oggettive, segnate dal forte potere della Chiesa nel territorio della
penisola, potessero condizionare anche la più libera delle menti. Bartolo, infatti, si schierò a favore
della validità della donazione di Costantino non sulla scorta di un freddo e lucido esame razionale e
giuridico, ma sulla base di una più semplice considerazione: in terre amiche della Chiesa non poteva
dirsi il contrario. Giuridicamente Bartolo giungeva alla conclusione utilizzando il cd. argumentum
pro amico, ma ciò che più interessa è che la sua opinione era schierata pro amico, ossia a favore
della Chiesa, per un motivo di mero ordine pragmatico: in Italia non era possibile né utile schierarsi
contro le ragioni della Chiesa.
Ancor più contorta e rivelatrice di quei vincoli e condizionamenti che abbiamo detto essere
presenti nella mentalità dei commentatori, è la posizione a tal proposito espressa da Baldo degli
Ubaldi. Costantino era, secondo Baldo, un Imperatore, un Augustus, e perciò suo compito precipuo
era quello di augère, ossia di accrescere l’Impero, non di amputarne le parti.
L’impero, diceva l’illustre Commentatore era simile ad un corpo umano, e, dunque, il taglio
di una delle sue parti avrebbe dato luogo ad un risultato mostruoso. Dunque, se Costantino avesse
voluto compiere quella donazione dissipatrice in base al diritto imperiale, non gli sarebbe stato
possibile: un elementare rispetto della logica glielo avrebbe impedito.
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Ma, è a questo punto che il Commentatore, con la sua capacità creativa, trova la soluzione
per porre rimedio al contrasto e giustificare la posizione della Chiesa. Costantino, argomentava
Baldo, non aveva usato, nel donare, criteri giuridici ma criteri tratti a fide cattolica. Essa, dice
Baldo, oggi si impone perché l’Impero è in crisi e sarebbe follia opporsi al dominio della Chiesa, da
cui dipende tutto l’Universo ed il mondo. Una ‘follia’ che i Commentatori si guardarono bene dal
compiere.
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