Chiesa, faro del mondo

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Chiesa, faro del mondo
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VENERDÌ 28 GENNAIO 2011
«La sola cosa che dobbiamo
temere è la paura»
Cultura
L
Letti per voi
Francesca
Avanzini
Intervista
e religioni - tutte - lo sapevano
prima, che l’io non è una grande
idea ma causa solo di problemi.
Anche certa arte lo sa, coi suoi simboli
aperti a più interpretazioni che riportano a quanto di comunemente umano
c'è in ognuno. La contemplazione del
misterioso «Acquaiolo di Siviglia» di
Velázquez suscita in Tim Parks una serie di associazioni, di cui alcune relative
al proprio corpo. Il calice d’acqua limpida con dentro un fico nero potrebbe
rimandare, anche, a organi interni e al
loro funzionamento. E' questo il punto
dolente. Da tempo indefinito lo scrittore
Franklin Delano Roosevelt
MALATTIA
E GUARIGIONE
NEL DIARIO
DI TIM PARKS
«INSEGNACI
LA QUIETE»
soffre di dolori che gli rendono difficile il
quotidiano. Beh, un disturbo alla prostata in un uomo sui cinquanta non è poi
così raro, e Parks si sottopone a tutti gli
esami del caso.
Le analisi non rivelano niente di
anomalo, e però il dolore persiste. La
soluzione chirurgica, pur prospettata,
non convince. E' la medicina a non convincerlo più, con le sue parcellizzazioni
e specializzazioni che non tengono mai
conto dell’insieme. Forse non crede
neanche più tanto alle scienze cosiddette esatte: un bello smacco per chi,
reagendo a un’educazione ultrareligio-
Manlio Graziano Autore del saggio «Il secolo cattolico»
sa e a un padre pastore, si è sempre
definito scettico nei confronti di misticismi, religioni e filosofie vagamente
orientali. Risolversi a provare la via della meditazione e della ricerca di un guru, come tanti altri «disturbati» in cerca di salvezza, è un colpo per l’orgoglio.
Ma non c'è altra soluzione alla sofferenza, creata, egli intuisce, dalla tensione continua occorrente a sostenere
l’ambizione, la lotta, il raggiungimento
degli obiettivi. «Insegnaci la quiete» è
il diario molto sincero, appassionante,
ironico, di una malattia e di un percorso di guarigione. E' lo specchio di
una condizione comune, il ritratto
dell’homo technologicus la cui identità
non esiste più senza supporti esterni.
Con affascinanti excursus negli
scritti di vari autori, il libro indica un
via e fa da guida lungo un percorso di
consapevolezza. Lasciando insoluto il
dilemma di fondo. Come fa chi basa la
sua identità sulla scrittura ad abbandonare tale scrittura garante di successo, oltre che sofferenza, e vivere un
po' più come tutti?
Insegnaci la quiete
Mondadori, pag. 342, € 18,00
Libri «Siamo uomini o giornalisti»
Chiesa, faro del mondo
«Con il Concilio si è consacrata al presente: quarant'anni fa era la sola voce
natalista, oggi i paesi più moderni le danno retrospettivamente ragione»
di Sergio Caroli
B
isogna adattare le nostre società al Vangelo, e non adattare il Vangelo ai costumi
del tempo». Queste parole
pronunciate nel 1976 da
François Marty, arcivescovo di Parigi,
costituiscono l’«architrave» concettuale
del volume di Manlio Graziano «Il secolo cattolico. La strategia geopolitica
della Chiesa» (Laterza , pagine 166, euro
18). Docente di Geopolitica delle religioni all’Università Paris IV-Sorbonne,
l’autore analizza la strategia che ha portato la Chiesa ad imprimere il suo sigillo
al nuovo ordine mondiale, mettendo a
fuoco le vie maestre da essa perseguite
nell’affrontare e nel dar risposte alle difficoltà della società contemporanea: decadenza dell’istituto familiare, calo demografico in Occidente, migrazioni di
massa, contraccezione, aborto, omosessualità. In tal guisa la Chiesa non solo
ha arginato una crisi che pareva irreversibile, ma ha conquistato un prestigio che da secoli le era ignoto. Nell’ultimo ventennio l’apostolato dei laici ha
conosciuto uno sviluppo vertiginoso; i
diaconi permanenti e i catechisti sono
raddoppiati, i missionari laici si sono
moltiplicati per cento. Grazie al pontificato di Karol Wojtyla la crisi delle vocazioni appartiene al passato. Tesi di
fondo del saggio è che i responsabili della Chiesa sono più lungimiranti di qualunque altro leader politico internazionale. Di questi temi parlo con l’autore.
Professor Graziano, in termini di strategia globale della Chiesa che cosa
c'era prima del Concilio che non ci
sarebbe stato più dopo?
Due aspetti, essenzialmente: l’idea che
la forza della Chiesa dipendesse dal
numero (di sacerdoti, di fedeli eccetera) e che, al di fuori di essa, ci fosse solo
spazio per l’errore e il peccato. Dalla
Rivoluzione francese in poi, la Chiesa è
una forza di minoranza nella società. Il
Concilio ne ha preso atto, facendone
una 'minoranza creativà, nel senso descritto da Arnold Toynbee: il «sale della terra», per dirla con Josef Ratzinger.
Questo la porta a cercare degli alleati,
come ogni forza politica realista; il suo
obiettivo fondamentale è, oggi, riportare la religione al centro della vita
pubblica: su questo terreno essa tende
conosce bene le tare della modernità,
cioè del capitalismo, ossia di una società per la quale la distruzione è condizione della produzione, e la produzione sbocca sempre nella distruzione
(crisi e guerre). Quando la crisi non c'è,
la Chiesa sa che ci sarà e quindi vi si
prepara; quando c'è, si trova paradossalmente all’avanguardia (e quindi appare più «moderna») e riscuote i dividendi della sua «opposizione profetica», per citare ancora Ratzinger.
A quali altri grandi appuntamenti storici la Chiesa non si è fatta trovare
impreparata?
Giovanni Paolo II Karol Wojtyla (1920 - 2005).
Profilo
Lo studioso è docente
di Geopolitica
delle religioni
all'università
Paris IV-Sorbonne
a stringere alleanze con le altre grandi
religioni, e per far questo è stato necessario cambiare atteggiamento nei
loro confronti. Ne è emersa una Chiesa
tanto più elastica nella tattica quanto
più rigida nella strategia.
Quale fu il ruolo di papa Wojtyla nel
processo che ha visto il più fragoroso
crollo di mitologie politiche della storia umana?
Nel suo «Memoria e identità» lo stesso Wojtyla ha definito «ridicola» la te-
si che lo vuole «decisivo» nella caduta
dei regimi sostenuti da Mosca. Quel
che è invece certo è che in Polonia e in
alcuni altri Paesi dell’Est la Chiesa era
l’unica forza organizzata più o meno
legale oltre al partito al potere; così,
quando la crisi sociale si è manifestata, l’opposizione - anche quella «laica» - si è raccolta sotto le sue bandiere. Il vantaggio personale di Wojtyla era di conoscere perfettamente i
rapporti di forza polacchi: quando le
ideologie sono crollate, i partiti ideologici per prima cosa hanno dismesso
il loro impianto organizzativo; la
Chiesa ha fatto esattamente l’opposto.
Lei scrive che la Chiesa presenta oggi
due volti. Può delinearli in estrema
sintesi?
Con il Concilio, la Chiesa ha smesso di
rimpiangere un passato che non c'era
più, e si è consacrata interamente al
presente. «La Chiesa può essere moderna solo essendo anti-moderna»,
scriveva nel 1997 Ratzinger: per essa,
quindi, «progresso» e «reazione» sono
due categorie complementari. Perché
la Chiesa appare lungimirante? Perché
Essenzialmente l’unificazione europea e la crisi demografica. Ma penso
che soprattutto su questo secondo
aspetto essa potrà accrescere in futuro il suo ruolo pubblico. Quarant'anni fa la Chiesa era la sola voce natalista (udibile) al mondo: oggi tutti i
responsabili delle società avanzate
sono costretti a darle retrospettivamente ragione. Inoltre tutti i responsabili delle società avanzate hanno bisogno di massicce quote di immigrati
per tenere in piedi le loro economie e
per pagare le pensioni agli autoctoni,
ma non possono dirlo per non urtare
gli elettori. La Chiesa, che non ha
elettori da lusingare, può permettersi
di essere al tempo stesso contro la
contraccezione e per la difesa (anche
e soprattutto pratica) degli immigrati. Si tratta di un vantaggio strategico
di primissima importanza.
Quale l’atteggiamento della Chiesa di
fronte alle guerre del nostro tempo?
La Chiesa si è opposta alle guerre nel
Golfo, ma non perché sia pacifista:
nel disastro post-jugoslavo, anzi, è
stata apertamente interventista. Ma
si è opposta alle guerre del Golfo perché sapeva che la presenza cristiana
nella regione ne sarebbe stata indebolita, come è successo; e perché ha
sempre sostenuto il processo europeo
in chiave di riequilibrio della potenza
americana. È qui che la rigidità degli
obiettivi strategici e la duttilità della
pratica quotidiana sul terreno si manifestano al più alto livello.
Il secolo cattolico
Laterza, pag. 166, € 18,00
Ironia Una delle vignette di Forattini pubblicate nel libro.
Matita di Forattini:
ciclone colorato
di ironia travolgente
Le vignette del disegnatore
satirico sui fatti politici
avvenuti tra il settembre
2009 e il settembre 2010
Christian Stocchi
II Rieccolo.
Esce, con infallibile puntualità prenatalizia, Giorgio Forattini
con le sue vignette, raccolte da Mondadori in un’edizione assai colorata e
graficamente accattivante. Il titolo,
«Siamo uomini o giornalisti?», è una
provocazione che si rivolge a una categoria spesso finita, negli ultimi tempi, nell’occhio del ciclone; la domanda,
d’altra parte, trova la sua (non scontata, verrebbe da dire...) risposta all’interno del libro: «Coraggio, si può essere tutt'e due insieme».
Ma questi disegni, che ci fanno ripercorrere gli avvenimenti più significativi registrati, giorno dopo giorno,
dal settembre 2009 al settembre 2010,
ci raccontano (e ci ricordano) molto
altro: la politica italiana e internazionale, i fatti e le polemiche legate all’economia, la cronaca di casa nostra. Non
manca nemmeno lo sport, con quella
vignetta delle undici bare azzurre proposta dopo l’eliminazione al Mondiale,
che tanto ha fatto discutere nei mesi
scorsi. I protagonisti delle vignette?
Berlusconi, che - diciamolo - ha dato
molto lavoro negli ultimi tempi agli autori satirici, sembra quasi onnipresente. Ma troviamo pure Fini (anche con la
Tulliani: «la principessa di Monaco»);
e poi ancora il presidente Napolitano,
Di Pietro, Veltroni, a cui Bersani chiede: «Ma non eri espatriato in Africa?»,
mentre lui risponde: «Nella legione
straniera, ma per fortuna Berlusconi
mi ha pagato il riscatto!». Non può
mancare nemmeno un tipo come Marchionne. Lo stesso Forattini, peraltro,
si insinua beffardamente nelle sue vignette: e allora lo troviamo a confronto
con Massimo D’Alema. Lui, la matita
meno amata da Baffino, si presenta come paladino della libertà di stampa,
l’altro invece assume i panni di uno
spietato censore di indole sovietica. La
rassegna ci fa vedere con occhio diverso il tumultuoso incedere della nostra recente vita nazionale. Ormai alle
porte del 2011, osiamo calarci nelle vesti di (facili) profeti: vista la cronaca di
queste settimane e gli impagabili personaggi che, dal Parlamento alla tv, si
stanno affacciando sulla scena nazionale, Forattini godrà di un periodo ricco di spunti per esercitare la sua matita.
E noi per esercitare l’arte (sempre più
difficile, di questi tempi) del sorriso.
Siamo uomini o giornalisti
Mondadori, pag. 263, € 18,50
Arte «Etruschi in Europa», mostra a Bruxelles fino al 24 aprile
Meraviglie di un popolo misterioso
Edda Lavezzini Stagno
II Siamo a Bruxelles, ma possiamo fare
una passeggiata nella Necropoli della
Banditaccia di Cerveteri, camminando di stanza in stanza nelle straordinarie tombe collegate tra loro da strade ben disegnate. Come in una città.
Siamo al Museo del Cinquantenario
per la mostra, «Etruschi in Europa»
fino al 24 aprile.
Il Musée Royaux du Cinquantenaire ha deciso di esporre i reperti etruschi della sua collezione completandola con animazioni in 3D. Quello tra
arte e tecnologia è un matrimonio consolidato. E come molti musei nel mon-
do, anche il Cinquantenario ha intuito
la potenzialità del mezzo per arricchire i suoi tesori: una ricostruzione virtuale del mondo degli Etruschi. La mostra, promossa dal progetto «Terre degli Etruschi», è stata ideata e curata da
Elisabetta Siggia, storica dell’arte al
Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma.
Visto il successo e l’interesse per il tema dell’esposizione, «Etruschi in Europa» sarà esportata in altre città europee col proposito di continuare a far
fare al visitatore l’incredibile viaggio
nel tempo, illustrando questo popolo
attraverso opere d’arte e manufatti che
lo hanno caratterizzato dalle origini,
nel IX secolo a.C., all’affermazione del
suo dominio nel VI secolo a.C. La Siggia riporta nel catalogo edito da Historia, che Erodoto, riteneva che gli
etruschi provenissero dall’Asia Minore e che fossero stati spinti sulle coste
italiane da una carestia che aveva colpito le regioni di origine. Secondo lo
storico Dionigi di Alicarnasso sarebbero invece autoctoni del suolo italico.
Durante il percorso espositivo si
ammirano i tanti oggetti nelle vetrine
come un casco del VIII secolo, brucia
profumi a forma di animali, statuette
in ceramica decorata, spille, spilloni
per capelli e collane, oggetti funerari di
grande raffinatezza in bronzo, artigia-
In esposizione Vaso etrusco.
nato nel quale questa gente eccelleva.
Numerose postazioni video con immagini riprese nei siti originali e nei musei italiani, raccontano la civiltà etrusca facendoci conoscere la vita quotidiana nelle case, i costumi, gli eserciti, le guerre,l'organizzazione sociale,
il mondo dell’oltretomba. Su un enorme schermo passano i filmati realizzati durante l’apertura di alcune tombe Etrusco-Falische. Non mancano le
immagini delle più famose tombe delle Necopoli di Lazio, Toscana ed Umbria con visioni a 360°. Per queste sono
necessari gli occhiali forniti all’ingresso del Museo. Gli Etruschi, avvolti ancora in un’aura misteriosa, credevano
nella continuazione della vita nell’aldilà, e accanto ai propri cari mettevano
oggetti del mondo dei vivi. Particolarmente interessante e ben documentata è la sezione riservata alla scrittura.
Loro scrivevano su materiale deperi-
bile, come tavolette in legno ricoperte
di cera: le lettere venivano incise con
un bastoncino appuntito. Quando
scrivevano su rotoli di stoffa, usavano
un giunco o una penna d’oca intrisa di
inchiostro nero o rosso. Comunque le
iscrizioni ritrovate sono quasi tutte di
carattere funebre e generalmente contenevano solo i dati del defunto.
Il testo più lungo rinvenuto è la Tegola di Capua, un calendario festivo
suddiviso in dieci sezioni, per ricordare le cerimonie da compiere a favore
di alcune divinità in certi giorni e luoghi. Tra una vetrina e una proiezione il
visitatore è allietato dalla musica, che
gli etruschi tenevano in grande considerazione come la danza. Nelle pitture parietali, nei bassorilievi dei cippi
funerari e sulle decorazioni del vasellame, spesso le figure erano quelle dei
danzatori, a volte vivaci nei movimenti
e con i colori molto contrastanti.