Aristotele etica

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Aristotele etica
ARISTOTELE, IL FINE DELLA MORALE (ETICA NICOMACHEA)
11 Ciò che è degno di perseguirsi di per se stesso diciamo che è piú perfetto di ciò che lo è in
ragione di altro; e ciò che non è mai sceglibile a motivo di altro diciamo che è piú perfetto delle
cose che sono sceglibili talvolta per se stesse, talvolta a motivo di quell’altro; e pertanto diciamo
che è perfetto in senso assoluto ciò che è sempre sceglibile per se stesso e non mai a motivo di altro.
Ora, una tale cosa tutti ritengono che è soprattutto la felicità. [1096b] Questa infatti noi scegliamo
sempre per se stessa e non mai a motivo di altro; invece l’onore, il piacere, l’intelligenza ed ogni
virtú li scegliamo sí anche per se stessi (infatti sceglieremmo ciascuno di essi anche se non ci
pervenisse alcun vantaggio), ma li scegliamo anche in vista della felicità, supponendo che mediante
essi saremo felici. Invece nessuno sceglie la felicità in vista di questi beni, né, in generale, a motivo
di altro.
12 In tutta evidenza la stessa conclusione deriva anche partendo dall’autosufficienza: infatti – ad
avviso comune – il bene perfetto è sufficiente in sé. Intendiamo quello che è sufficiente in sé non
per un individuo singolo, che viva una vita solitaria, ma anche per i suoi genitori, per i suoi figli, per
sua moglie e, in generale, per i suoi amici e per i concittadini, poiché per natura l’uomo è un essere
politico. Per il momento poniamo che ciò che è sufficiente in se stesso è ciò che, pur essendo da
solo, rende la vita sceglibile e non bisognosa di nulla; ora una cosa di questo genere noi riteniamo
che è la felicità. Inoltre riteniamo che è la piú degna di scelta di tutte le cose senza che sia sommata
ad altro – se poi fosse sommata, è chiaro che sarebbe piú degna di scelta in unione con il piú piccolo
dei beni: infatti l’unione rende superiore la somma dei beni e, fra due beni, quello piú grande è
sempre piú degno di scelta. Pertanto la felicità è manifestamente alcunché di perfetto e di
autosufficiente, essendo il fine delle cose che sono oggetto d’azione.
1) Quali caratteristiche assume la felicità nel brano? Perché?
2) Spiega perché onore, piacere, intelligenza e virtù non sono fini a se stessi, ma sono
semplicemente mezzi.
ARISTOTELE, LA FELICITÀ COINCIDE CON LA REALIZZAZIONE DELL'ESSENZA
RAZIONALE
Ma, certo, dire che la felicità è il bene supremo è, manifestamente, un'affermazione su cui
c'è completo accordo; d'altra parte si sente il desiderio che si dica ancora in modo più chiaro che
cosa essa è. Forse ci si riuscirebbe se si cogliesse la funzione [25] dell'uomo. Come, infatti, per il
flautista, per lo scultore e per chiunque eserciti
un'arte, e in generale per tutte le cose che hanno una determinata funzione ed un determinato tipo di
attività, si ritiene che il bene e la perfezione consistano appunto in questa funzione, così si potrebbe
ritenere che sia anche per l'uomo, se pur c'è una sua funzione propria. Forse, dunque, ci sono
funzioni ed azioni proprie del falegname e del calzolaio, [30] mentre non ce n'è alcuna propria
dell'uomo, ma è nato senza alcuna funzione specifica? Oppure come c'è, manifestamente, una
funzione determinata dell'occhio, della mano, del piede e in genere di ciascuna parte del corpo, così
anche dell'uomo si deve ammettere che esista una determinata funzione oltre a tutte queste?
Quale, dunque, potrebbe mai essere questa funzione? È manifesto infatti che il vivere è comune
anche alle piante, mentre qui si sta cercando ciò che è proprio dell'uomo. [1098a] Bisogna dunque
escludere la vita che si riduca a nutrizione e crescita. Seguirebbe la vita dei sensi, ma anch'essa è,
manifestamente, comune anche al cavallo, al
bue e ad ogni altro animale. Dunque rimane la vita intesa come un certo tipo di attività della parte
razionale dell'anima. Poiché anche questa ha due sensi, bisogna considerare quella che è in atto,
perché è
essa che sembra essere chiamata vita nel senso più proprio. Se è funzione dell'anima dell'uomo
l'attività secondo ragione o, quanto meno, non senza ragione, e se diciamo che nell'ambito di un
genere è identica la funzione di un individuo e quella di un individuo di valore, come del citaredo e
[10] del citaredo di valore, questo vale, dunque, in senso assoluto anche in tutti i casi, rimanendo
aggiunta alla funzione l'eccellenza dovuta alla virtù: infatti, è proprio del citaredo suonare la cetra, e
del citaredo di valore suonarla bene. Se è così, se poniamo come funzione propria dell'uomo un
certo tipo di vita (appunto questa attività dell'anima e le azioni accompagnate da ragione) e funzione
propria dell'uomo di valore attuarle bene [15] e perfettamente (ciascuna cosa sarà compiuta
perfettamente se lo sarà secondo la sua virtù propria); se è così, il bene dell'uomo consiste in
un'attività dell'anima secondo la sua virtù, e se le virtù sono più d'una, secondo la migliore e la più
perfetta.
Ma bisogna aggiungere: in una vita compiuta. Infatti, una rondine non fa primavera, né un
sol giorno: così [20] un sol giorno o poco tempo non fanno nessuno beato o felice. Il bene, dunque,
resti delineato in questo modo: è certo infatti che bisogna prima buttar giù un abbozzo e poi, in
seguito, svilupparlo. Si può ritenere che chiunque è
in grado di portare avanti e di delineare nei particolari gli elementi che si trovano bene impostati
nell'abbozzo, e che il tempo conduce a ritrovarli o comunque è un buon aiuto; di qui sono derivati
anche [25] i progressi delle arti: chiunque infatti può aggiungere ciò che manca.
3) Come arriva Aristotele a sostenere che la funzione propria dell’uomo è l’attività secondo
ragione?
7. [La felicità consiste soprattutto nell’attività contemplativa].
Ma se la felicità è attività conforme a virtù, è logico che lo sia conformemente alla virtù più alta: e
questa sarà la virtù della nostra parte migliore340. Che sia l’intelletto o qualche altra cosa ciò che si
ritiene che per natura governi e guidi[15] e abbia nozione delle cose belle e divine, che sia un che di
divino o sia la cosa più divina che è in noi, l’attività di questa parte secondo la virtù che le è propria
sarà la felicità perfetta. S’è già detto341, poi, che questa attività è attività contemplativa. Ma si
ammetterà che questa affermazione è in accordo sia con le nostre precedenti affermazioni sia con la
verità. [20] Questa attività, infatti, è342 la più alta (giacché l’intelletto è la più alta di tutte le realtà
che sono in noi, e gli oggetti dell’intelletto sono i più elevati); inoltre, è la più continua343 delle
nostre attività: infatti, possiamo contemplare in maniera più continua di quanto non possiamo fare
qualsiasi altra cosa. Noi pensiamo che il piacere sia strettamente congiunto con la felicità344, ma la
più piacevole delle attività conformi a virtù è, siamo tutti d’accordo, quella conforme alla
sapienza; [25] in ogni caso, si ammette che la filosofia ha in sé piaceri meravigliosi per la loro
purezza e stabilità, ed è naturale che la vita di coloro che sanno trascorra in modo più piacevole che
non la vita di coloro che ricercano. Quello che si chiama "autosufficienza" si realizzerà al massimo
nell’attività contemplativa345. Delle cose indispensabili alla vita hanno bisogno sia il sapiente, sia il
giusto, sia tutti gli altri uomini; [30] ma una volta che sia sufficientemente provvisto di tali beni, il
giusto ha ancora bisogno di persone verso cui e con cui esercitare la giustizia, e lo stesso vale per
l’uomo temperante, per il coraggioso e per ciascuno degli altri uomini virtuosi, mentre il sapiente
anche quando è solo con se stesso può contemplare, e tanto più quanto più è sapiente; forse vi
riuscirà meglio se avrà dei collaboratori, ma tuttavia egli è assolutamente autosufficiente. [1177b] E
questa sola attività si riconoscerà che è amata per se stessa346, giacché da essa non deriva nulla oltre
il contemplare, mentre dalle attività pratiche traiamo un vantaggio, più o meno grande, al di là
dell’azione stessa. … Se, dunque, tra le azioni conformi alle virtù, quelle relative alla politica ed
alla guerra eccellono per bellezza e grandezza, e se queste azioni sono affatto impegnative, mirano a
qualche fine e non sono degne di essere scelte per se stesse; se, d’altra parte, si riconosce che
l’attività dell’intelletto si distingue per dignità [20] in quanto è un’attività teoretica, se non mira ad
alcun altro fine al di là di se stessa, se ha il piacere che le è proprio (e questo concorre ad
intensificare347 l’attività), se, infine, il fatto di essere autosufficiente, di essere come un ozio, di non
produrre stanchezza, per quanto è possibile ad un uomo e quant’altro viene attribuito all’uomo
beato, si manifestano in connessione con questa attività: allora, per conseguenza, questa sarà la
perfetta felicità dell’uomo, [25] quando coprirà l’intera durata di una vita348: giacché non c’è nulla
di incompleto tra gli elementi della felicità. Ma una vita di questo tipo sarà troppo elevata per
l’uomo: infatti, non vivrà cosi in quanto è uomo, bensì in quanto c’è in lui qualcosa di divino: e di
quanto questo elemento divino eccelle sulla composita natura umana, di tanto la sua attività eccelle
sull’attività conforme all’altro tipo di virtù. [30] Se, dunque, l’intelletto in confronto con l’uomo è
una realtà divina349, anche l’attività secondo l’intelletto sarà divina in confronto con la vita umana.
Ma non bisogna dar retta a coloro che consigliano all’uomo, poiché è uomo e mortale, di
limitarsi a pensare cose umane e mortali; anzi, al contrario, per quanto è possibile, bisogna
comportarsi da immortali e far di tutto per vivere secondo la parte più nobile che è in noi.
Infatti, sebbene[1178a] per la sua massa sia piccola, per potenza e per valore è molto superiore a
tutte le altre. Si ammetterà, poi, che ogni uomo si identifica con questa parte, se è vero che è la sua
parte principale e migliore350. Sarebbe allora assurdo che egli non scegliesse la vita che gli è
propria ma quella che è propria di qualcun altro. Ciò che abbiamo detto prima351 [5] verrà a
proposito anche ora: ciò, infatti, che per natura è proprio di ciascun essere, è per lui per natura la
cosa più buona e più piacevole; e per l’uomo, quindi, questa cosa sarà la vita secondo l’intelletto, se
è vero che l’uomo è soprattutto intelletto352. Questa vita, dunque, sarà anche la più felice.
4) Quale differenza istituisce Aristotele tra gli uomini giusti e virtuosi e il sapiente? Perché
solo il sapiente può raggiungere la somma felicità? (Cerca sul manuale la differenza tra virtù
etiche e dianoetiche.)
5) Rifletti sulle frasi in grassetto: cosa intende Aristotele? Come interpreti tu queste
affermazioni?
ARISTOTELE, TUTTA LA REALTA' E' DEGNA DI INDAGINE
Perfino circa quegli esseri che non presentano attrattive sensibili al livello dell'osservazione
scientifica la natura che li ha foggiati offre grandissime gioie a chi sappia comprenderne le cause,
cioè sia autenticamente filosofo. Sarebbe del resto illogico e assurdo, dal momento che ci
rallegriamo osservando le loro immagini poiché al tempo stesso vi riconosciamo l'arte che le ha
foggiate, la pittura o la scultura, se non amassimo ancora di più l'osservazione degli esseri stessi
così come sono costituiti per natura, almeno quando siamo in grado di coglierne le cause. Dunque,
non si deve nutrire un infantile disgusto verso lo studio dei viventi più umili: in tutte le realtà
naturali v'è qualcosa di meraviglioso. E come Eraclito, a quanto si racconta, parlò a quegli stranieri
che desideravano rendergli visita, ma che una volta arrivati, ristavano vedendo che si scaldava
presso la stufa della cucina (li invitò ad entrare senza esitare: "anche qui - disse - vi sono dei"), così
occorre affrontare senza disgusto l'indagine su ognuno degli animali, giacché in tutti v'è qualcosa di
naturale e di bello. Non infatti il caso, ma la finalità è presente nelle opere della natura, e
massimamente: e il fine in vista del quale esse sono state costituite o si sono formate, occupa la
regione del bello. Se poi qualcuno ritenesse indegna l'osservazione degli altri animali, nello stesso
modo dovrebbe giudicare anche quella di se stesso; non è infatti senza grande disgusto che si vede
di che cosa sia costituito il genere umano: sangue, carni, ossa, vene, e parti simili.
(Aristotele, De partibus animalium, I 5)
6) Con quale argomentazione Aristotele evidenzia che nulla nella realtà è indegno di essere
indagato?