LA GESTIONE DEL RISCHIO NELLE MEDIE IMPRESE IL

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LA GESTIONE DEL RISCHIO NELLE MEDIE IMPRESE IL
LA GESTIONE DEL RISCHIO NELLE MEDIE IMPRESE
IL CASO DEL NORD-EST
FLAVIO BAZZANA(*)
Ricercatore
Dipartimento di informatica e studi aziendali
Università degli Studi di Trento
Via Inama, 5
38100 - TRENTO
[email protected]
Abstract
Risk management has become an important instrument even for the non-financial firms. In this article
we analyze, with a survey on 85 medium-sized firms, the state of the art of this technique, both on
theoretical and empirical view, and the possible future development on the consultant supply.
(*)Questa indagine fa parte del progetto MIUR 2001-2002: “Fonti, valutazione e gestione integrata dei
rischi nelle imprese non finanziarie”. Desidero ringraziare il prof. Luca Erzegovesi, direttore di Alea, per
gli utili suggerimenti e la dott.ssa Monica Potrich per l’aiuto nella raccolta ed elaborazione dei dati.
Rimane dell’autore la responsabilità di eventuali errori e inesattezze.
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Introduzione
La recente evoluzione nel risk management per le imprese ha incrementato l’offerta di servizi e di
prodotti da parte dei vari attori presenti sul mercato. Le associazioni di professionisti e le organizzazioni
di categoria, riviste finanziarie, portali per la finanza d’impresa e di risk management aggiornano e
diffondono le conoscenze e le informazioni sui concetti e sulle tecniche di gestione del rischio. Gli istituti
bancari e le compagnie di assicurazione forniscono un’ampia varietà di prodotti; nel contempo anche le
società di consulenza manageriale, così come quelle specializzate in finanza d’impresa o in risk
management offrono la loro assistenza. Le società di software adattano alle esigenze del risk management
i pacchetti per il controllo di gestione o per la tesoreria. Altri fornitori offrono sistemi di supporto alle
decisioni per la pianificazione finanziaria in condizioni di incertezza (librerie e add-in per simulazioni
Monte Carlo). Inserita in tale ambiente, l’impresa può condurre nel modo più efficiente la sua attività di
gestione del rischio avendo a disposizione un’offerta consulenziale ad ampio raggio.
Per lungo tempo le imprese hanno però gestito i vari tipi di rischi in maniera non coordinata: le
diverse tipologie venivano cioè misurate e controllate da vari soggetti aziendali, che utilizzavano
linguaggi, strumenti e metodologie non omogenee. Per la copertura dei rischi puri, ad esempio si faceva
riferimento al risk manager assicurativo basandosi su tecniche attuariali e diagrammi di flusso; i rischi
finanziari venivano invece controllati dalla tesoreria, con strumenti derivati o mediante tecniche più
innovative di valutazione del valore a rischio (VaR) o di stress tests. La gestione dei rischi di business,
infine, era di competenza dei direttori di divisione o dell’alta direzione, i quali si servivano di checklists,
di questionari, di diagrammi di flusso e di statistiche. Recentemente si è manifestata l’esigenza di
incrementare il livello di integrazione, al fine di limitare le inefficienze latenti e di rendere ottimale il
livello di copertura, minimizzando i problemi di sovra-protezione, derivanti dalla copertura di posizioni
che potrebbero essere compensate tra di loro e di sotto-protezione. Per implementare un sistema integrato
di gestione del rischio è necessaria la costruzione di una mappatura completa dei rischi a cui l’azienda è
esposta, e delle loro procedure di misurazione e controllo. Questo per raggiungere una maggiore
consapevolezza del problema, incrementando le informazioni disponibili ai fini di una corretta politica
aziendale. Ad ogni alternativa possono essere così associati i rischi connessi rendendo la visione
aziendale più organica e affinando la scelta da parte degli organi di governo.
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1. Il dibattito teorico sul risk management
Il risk management come attività strutturata e integrata si è sviluppata solo recentemente e si fonda più
su modelli nati in ambito accademico, che sulla pratica operativa. In particolare tutte le forme moderne di
quantificazione del rischio traggono origine dalla teoria classica delle scelte di portafoglio, a partire dal
modello di Markowitz (1952, 1959) in avanti. Le assunzioni di Markowitz sono riprese ed integrate con
altre, più restrittive, nel Capital Asset Pricing Model (Sharpe, 1964) per poi essere successivamente in
parte alleggerite da Ross (1976) nell’Arbitrage Pricing Theory (APT). L’elemento comune a tutti i
modelli è il riconoscimento dell’importanza della diversificazione da parte degli investitori in titoli e
quindi della ridondanza del risk management a livello aziendale.
Il dibattito sulla gestione del rischio nelle imprese si è sviluppato anche nell’ambito di un secondo
filone fondamentale della teoria finanziaria: quello relativo agli studi sulle scelte di finanziamento delle
imprese industriali e finanziarie. Mentre la teoria di Modigliani e Miller (1958), che di fatto ha costituito
un freno allo sviluppo del risk management, i modelli successivi, riconoscendo l’inefficienza dei mercati,
hanno attribuito un ruolo decisivo al risk management nella creazione di valore. Secondo tali modelli,
infatti, l’hedging, riducendo la volatilità dei risultati attesi fornisce svariati benefici, che incrementano il
valore aziendale. Altro vantaggio derivante dal risk management è collegato alla struttura e al carico
fiscale dell’impresa: in presenza di aliquote marginali crescenti un’impresa con entrate costanti sosterrà
un carico fiscale inferiore ad una con risultati volatili. In tale contesto gli azionisti possono eliminare i
costi di agenzia e monitoraggio forzando i responsabili (mediante partecipazione azionaria o incentivi
manageriali) ad intraprendere iniziative poco rischiose. Negli anni seguenti, grazie al determinante
contributo di Merton e Perold (1993), viene evidenziata in maniera più marcata l’interdipendenza tra le
scelte di finanziamento e le forme di assicurazione contro il rischio, sottolineando quindi l’utilità del risk
management ai fini della creazione di valore. Il modello proposto dai due autori è imperniato sul concetto
di capitale a rischio, inizialmente rivolto al solo mondo finanziario, definito come “il più piccolo
ammontare di capitale necessario per assicurare il valore dei net asset d’impresa, contro una perdita del
valore delle stesse attività, se venissero investite ad un tasso privo di rischio”. A seguito della
pubblicazione del lavoro di Merton e Perold numerosi autori hanno approfondito e sviluppato i concetti
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1
teorici fondamentali applicandoli a varie istituzioni finanziarie . Nel 2001 questa impostazione viene
ampliata a tutte le imprese, non solo a quelle finanziarie, con l’importante contributo di Shimpi (2001),
dove la struttura finanziaria dell’impresa viene legata alla gestione dei rischi. In questo modo il costo del
capitale raccolto diventa una funzione che dipende anche dal risk management. Tali contributi hanno
avuto il merito di rivalutare il ruolo della gestione dei rischi alimentando lo sviluppo di modelli integrati
di risk management aziendale e di enterprise-wide risk management. Successivamente il concetto di
capitale a rischio è stato sviluppato e ampliato nei modelli di Value at risk (VaR), utilizzati nelle
istituzioni finanziarie, in quelli di VaR ibrido (o simulato) o di Cash flow at risk (CfaR), introdotti nelle
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imprese industriali e in quelli di Dynamic Financial Analysis (DFA), adottati dalle compagnie
assicurative.
2. L’evidenza empirica sul risk management
Sono numerosi gli studiosi e gli istituti di ricerca che negli ultimi anni si sono occupati di raccogliere
informazioni, sotto forma di questionari e di survey, al fine di delineare l’approccio delle imprese nei
confronti del rischio. Ciò è dovuto alla sempre maggiore importanza che la sua adeguata gestione sembra
assumere per il successo del business d’impresa. La maggior parte degli studi si è concentrata sull’analisi
dell’impatto dei rischi finanziari sui risultati d’impresa e sulle tecniche utilizzate nei differenti paesi per la
loro gestione. Ci riferiamo, in particolare alle survey svolte, in successione, nel 1994-1995-1997, dalla
Wharton School in collaborazione con CIBC World Markets (Bodnar et al., 1995, Bodnar e Marston,
1996 e 1998). L’utilizzo dei derivati nelle imprese non finanziarie canadesi è stato studiato nel 1996 in
una survey di Downie, McMillan e Nosal (1996); di rilievo sono anche le survey del 1997 e del 2002 sulla
realtà tedesca (Bodnar e Gebhardt, 1998, Glaum, 2002). Più recente è invece quella che la Price
Waterhouse & Coopers (2002) ha realizzato in collaborazione con AITI (Associazione Italiana Tesorieri
d’Impresa), ovvero un’analisi dello stato dell’arte dell’operatività delle aree di tesoreria e finanza nelle
imprese italiane. Anche le strategie, i processi e gli approcci alla gestione dei rischi puri sono stati
analizzati in numerose survey: gli studi del 1984 e del 2002 sono stati effettuati rispettivamente dalla
AEAI (Association Europeenne des assurés de l’industrie), in collaborazione con l’Association de Genève
1
Tra i numerosi lavori sull’argomento possiamo ricordare Froot et al. (1993, 1994) e Froot e Stein (1998)
2
Si veda, per esempio, Ellis et al. (2001)
4
(Urcioli e Crenca, 1989) e dalla Marsh (2002), su campioni di imprese europee. Quello pubblicato nel
1995 dal Centro Europeo per gli Studi sulla Protezione Aziendale dell’Università Bocconi di Milano si
concentrava invece sull’analisi degli stessi aspetti su un campione di imprese italiane (Misani e
Tagliavini, 1995). Le survey finalizzate a comprendere le prospettive e le strategie del risk management
aziendale, con un particolare riguardo all’enterprise-wide risk management come obiettivo strategico,
sono invece numericamente inferiori e si sono concentrate sull’analisi della realtà anglosassone. Per
quanto riguarda le imprese statunitensi due sono le indagini di rilievo: quella effettuata dalla Arthur
Andersen, in collaborazione con la FEI (Financial Executives International) Research Foundation (Arthur
Andersen, 2001) e quella condotta da CFO Research Services (unità del CFO Publishing Corp.) e AON
Risk Services (unità della AON Corporation), che estende lo studio alle imprese europee (CFO, 2002).
Un’analisi delle tecniche e dei processi di risk management diffusi tra le imprese britanniche è stata
invece effettuata nel 1998 dalla Pricewaterhouse & Coopers (1998). Una particolare attenzione è stata
dedicata anche alla ricerca di survey “generaliste”, volte ad analizzare i profili finanziari delle imprese di
piccola e media dimensione; tra di esse ricordiamo quella sviluppata dall’Università Bocconi, in
collaborazione con la Camera di Commercio di Milano (Caselli, 2001) che analizza in maniera esaustiva,
giungendo a risultati di rilievo, il comportamento finanziario delle imprese della provincia. Citiamo anche
le survey effettuate dall’Università di Modena in collaborazione con la Camera di Commercio (Bisoni et
al., 1994), dall’Università di Bari in collaborazione con la Banca d’Italia (Bianco et al., 1999) e
dall’IRCEL (Istituto di Ricerca del Gruppo del Credito Cooperativo – ex CRA) (Andreozzi et al., 1997).
Dall’analisi delle survey emerge inoltre il fatto che per anni esse si sono concentrate sull’analisi delle
metodologie e degli strumenti di gestione dei rischi finanziari o dei rischi puri, mentre solo recentemente
si è manifestata la tendenza a verificare lo stato dell’arte del risk management strategico, inteso come
approccio di tipo enterprise-wide alla misurazione e gestione del rischio e del suo supporto al
raggiungimento degli obiettivi strategici dell’impresa. Occorre inoltre notare che tale tendenza va di pari
passo con lo sviluppo all’interno dell’azienda di una cultura di risk management maggiormente sensibile
all’individuazione e al controllo delle varie tipologie di rischio. Dalle indagini più recenti è emerso che la
percentuale di imprese che attribuisce al risk management un’importanza fondamentale per il business è
elevata. L’attività di gestione del rischio viene intesa da un numero crescente di imprese come un’arma
strategica che può apportare vantaggi competitivi di rilievo, permettendo un utilizzo efficiente del
capitale, riducendo la volatilità dei risultati e migliorando la redditività del business. Il tradizionale
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utilizzo ai fini del confronto tra le alternative di copertura non è più predominante. Mentre nelle prime
indagini sembravano assumere maggiore rilievo i rischi finanziari e i rischi puri, in quelle più recenti
l’attenzione delle imprese si rivolge in maniera preminente all’individuazione e al controllo dei rischi
ambientali e di business.
Se passiamo ad analizzare la struttura organizzativa, la funzione di gestione del rischio è inserita
nell’area finanza, ed è spesso assegnata al responsabile della stessa. Anche se le competenze nell’attività
di risk management stanno diventando più elevate, è ancora poco diffusa la figura di responsabile unico
del rischio (CRO). Elevato è il livello di comunicazione e coordinamento con l’area finanziaria e di
pianificazione e controllo. La soddisfazione riguardo alle procedure in essere per la gestione del rischio è
scarsa, così come la percentuale di imprese che hanno implementato pratiche di risk management
integrato (si tratta nella maggior parte dei casi di realtà con prospettive di crescita elevate). Sono tuttavia
numerose le imprese che hanno programmato, nei prossimi anni, interventi di questo genere.
3. L’indagine sul risk management: il caso del Nord-Est
Nelle conclusioni del paragrafo precedente vengono evidenziate una serie di argomentazioni a favore
della diffusione delle pratiche di risk management integrato nelle imprese di media dimensione. Per una
prima verifica empirica di tali argomentazioni abbiamo deciso di svolgere un’indagine su un campione di
imprese di una particolare area geografica: il Nord Est. La scelta di questa zona nasce in quanto il
modello veneto, che presenta una gestione finanziaria aggressiva, orientata allo sfruttamento del massimo
potenziale di crescita, dovrebbe mostrare maggiore interesse verso le pratiche risk management. I risultati
potrebbero essere quindi utilizzati come indicazioni per le linee di sviluppo delle best practicies aziendali.
L’indagine si è svolta con la somministrazione di un questionario suddiviso in cinque parti. Nella
prima abbiamo raccolto le informazioni ed i dati aziendali utili ad inquadrare la dimensione,
l’organizzazione e l’attività della singola impresa. Nella seconda parte abbiamo analizzato la percezione
che l’azienda ha del rischio cui è esposta e l’importanza che assegna alle attività di misurazione, gestione
e controllo dello stesso. Nella terza parte vengono analizzate, per le tre tipologie di rischio più importanti,
individuate dall’azienda nella parte precedente del questionario, le modalità e gli strumenti predisposti per
la loro quantificazione, il loro controllo e la loro consuntivazione. Nella quarta parte abbiamo cercato di
comprendere il grado di integrazione delle procedure di controllo del rischio e di coordinamento tra i
soggetti che se ne occupano, analizzando inoltre i collegamenti con la finanza e con la pianificazione ed il
controllo aziendali. Alla luce delle informazioni e dei dati raccolti nelle prime quattro sezioni, nell’ultima
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parte abbiamo cercato di far emergere le esigenze insoddisfatte delle imprese in merito ai servizi di
consulenza alla gestione dei rischi aziendali.
Il nostro lavoro presenta alcune caratteristiche originali rispetto alle precedenti indagini
sull’argomento. Innanzitutto si focalizza su un campione di imprese di medie dimensioni, mentre nella
maggior parte degli studi il focus è su aziende di dimensione superiore. L’indagine è poi rivolta in
maniera organica alla maggior parte dei rischi aziendali, individuandone anche le diverse fasi della sua
gestione: misurazione, controllo e consuntivazione. Le altre indagini pubblicate si concentrano su
determinati rischi o categorie di rischi, e analizzano solo alcune parti del processo complessivo di risk
management.
Classificazione dei rischi d’impresa
Per le finalità che ci proponiamo di realizzare con questo lavoro ci sembra opportuno distinguere i
rischi delle imprese non finanziarie in tre grosse categorie: rischi legati all’ambiente esterno, rischi
derivanti dalla gestione operativa e rischi inerenti la gestione finanziaria (Tabella 1).
Tabella 1
Schema di classificazione dei rischi nelle imprese non-finanziarie
Classe di rischio
Rischio ambientale
Rischio operativo
Rischio finanziario
Tipo di rischio
Danni ambientali
Innovazione tecnologica
Regolamentazione
Politico
Business
Tecnologia produttiva
Legali
IT
Tasso di cambio
Tasso di interesse
Prezzo delle attività
Credito
Liquidità
Prezzo delle materie prime
Per rischi legati all’ambiente esterno si intendono le perdite potenziali che possono derivare
all’impresa da scelte unilaterali di soggetti, enti ed istituzioni esterne o da altri eventi che interessano il
macro-ambiente entro il quale l’impresa opera. Le altre due classi di rischio si riferiscono invece a
relazioni interne nascenti nell’ambito dell’attività caratteristica o finanziaria. La prima categoria può
essere ulteriormente suddivisa in rischi derivanti da danni ambientali, dall’innovazione tecnologica, dalla
regolamentazione e dalla politica. Per rischio derivante da danni ambientali si intende il rischio di
incorrere in perdite, sia operative che pecuniarie, in seguito all’emissione di sostanze tossiche inquinanti o
dannose per l’ambiente. Il rischio derivante dall’innovazione tecnologica è il pericolo di veder diminuita
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la propria quota di mercato o superato il processo produttivo in seguito ad un’innovazione di prodotto o di
processo attuata dalla concorrenza. Il rischio da regolamentazione consiste nel danno potenziale che può
essere subito, in settori particolarmente regolamentati, a causa di modifiche della normativa vigente. Il
rischio politico è infine il pericolo che la situazione politica di un paese diventi instabile, con tutti i
problemi connessi.
Tra i rischi derivanti dalla gestione operativa è possibile distinguere rischi di business, rischi legati ai
processi produttivi, rischi legali e di information technology. I rischi di business sono legati alla struttura
del mercato e all’ambiente competitivo in cui opera l’impresa. I rischi operativi in senso stretto, invece,
sono legati alla tecnologia produttiva. Il rischio legale consiste nel pericolo di dover comparire in
tribunale, come attore o convenuto, impegnando mezzi consistenti per la causa e con la possibilità di
subire un giudizio negativo e di dover rispondere di danni causati a terzi. Infine il rischio di information
technology, che sta trovando sempre maggiore diffusione, consiste essenzialmente nel pericolo di
interruzione di servizio, diffusione di informazioni riservate o di perdita di dati rilevanti archiviati tramite
mezzi computerizzati.
La terza categoria di rischi, quelli inerenti la gestione finanziaria, si può ulteriormente suddividere in:
rischi di cambio, di tasso di interesse, da variazione di prezzo delle attività finanziarie acquisite, rischi
legati ai crediti commerciali e alla liquidità. Il rischio di cambio deriva dai movimenti intervenuti nei
mercati valutari ed è sentito sia nelle imprese che operano su mercati esteri e che fatturano in valute
straniere, contabilizzando poi in moneta nazionale (rischi da transazione e da traduzione), sia dalle
imprese locali che possono risentire della variazione dei rapporti di competitività rispetto ai concorrenti
esteri (rischio economico-competitivo). Il rischio di tasso di interesse deriva invece dalle fluttuazioni dei
tassi, che possono modificare la spesa per interessi su passività a tasso variabile già in essere o il costo di
raccolta di nuovi capitali. Il rischio di prezzo delle attività finanziarie consiste invece nella possibilità che
gli investimenti di tesoreria vengano intaccati da perdite provocate da oscillazioni dei prezzi sui mercati
mobiliari. Il rischio di credito deriva dalla possibilità di incorrere in perdite causate dal deterioramento
delle condizioni economiche dei debitori dell’impresa e dalla loro conseguente incapacità di fronteggiare
gli impegni assunti. Il rischio di liquidità insorge da squilibri inattesi tra le entrate e le uscite monetarie
della gestione aziendale. Ai rischi gestiti dalla funzione finanza si può aggiungere il rischio di prezzo
delle materie prime che si collega al pericolo di veder incrementato il costo sostenuto per le stesse in
seguito alle fluttuazioni dei relativi prezzi.
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Caratteristiche del campione
3
Il campione analizzato è composto da imprese di media dimensione , con sede nell’Italia nord4
orientale , operanti sotto la veste giuridica di società per azioni, in settori non finanziari. Al fine di
eliminare dall’ambito dell’indagine imprese di dimensioni inconsistenti o dalle caratteristiche reddituali e
finanziarie non adeguate, abbiamo elevato i limiti minimi dei requisiti UE a 60 dipendenti e a 10 milioni
di euro di fatturato, ponendo come condizione aggiuntiva il ROI maggiore del 5% e l’incidenza della
gestione finanziaria sul fatturato inferiore al 5% (Tabella 2).
Tabella 2
Criteri di individuazione del campione
Tipo di variabile
Dati di bilancio
Indici di bilancio
Nome della variabile
Criteri di scelta
Numero dipendenti
Totale attivo
Fatturato
ROI
Gestione finanziaria / Fatturato
60 ≤ n ≤ 250
€ 5.000.000 ≤ n ≤ € 27.000.000
€ 10.000.000 ≤ n ≤ € 40.000.000
r ≥ 5%
r ≤ 5%
Per l’individuazione delle aziende ci siamo avvalsi della banca dati AIDA, della società olandese
Bureau van Dijk, aggiornata con i dati di bilancio al 31.12.2000. Le 141 imprese del campione sono state
contattate tra i mesi di giugno e di settembre del 2002 mediante visita aziendale per quelle con sede in
Trentino, e canale telefonico per le altre. Fra tutte le imprese contattate, quelle che hanno risposto in
maniera esauriente al questionario sono state 85 con una percentuale di risposta del 60%. La
composizione geografica e settoriale di tali aziende è evidenziata nella Tabella 3 e nella Tabella 4.
Tabella 3
Composizione geografica del campione
Regione
Numero di aziende
Percentuale sul campione
Trentino – Alto Adige
Friuli Venezia Giulia
Veneto
14
15
56
17
18
65
Totale
85
100
3
Per la definizione di media impresa abbiamo fatto riferimento ai parametri UE (50-250 dipendenti; 7-40 milioni
di euro di fatturato; 5-27 milioni di euro di attivo; requisito di indipendenza).
4
Per Italia nord-orientale intendiamo il Triveneto, ovvero l’area comprensiva delle regioni Trentino-Alto Adige,
Veneto e Friuli Venezia Giulia.
9
Il Veneto presenta il maggior numero di aziende, segno del grado di vitalità e di sviluppo di questa
regione, rispetto al Trentino – Alto Adige e al Friuli Venezia Giulia che risentono, oltre ad altri fattori,
anche della caratteristica di Regione a statuto speciale.
Tabella 4
Composizione settoriale del campione
Settore
Numero di imprese
Percentuale sul campione
Fabbricazione di macchine
Produzione e lavorazione metalli
Fabbricazione da minerali non metalliferi
Fabbricazione di mobili
Fabbricazione prodotti chimici
Fabbricazione gomma e materie plastiche
Fabbricazione prodotti elettronici
Industria tessile
Commercio all’ingrosso
Ingegneria civile ed estrattiva
Industria del legno
Industria alimentare
Fabbricazione mezzi di trasporto
Editoria e stampa
Fabbricazione della carta
18
12
7
6
6
6
5
4
4
3
3
3
3
3
2
21,2
14,1
8,2
7,1
7,1
7,1
5,9
4,7
4,7
3,5
3,5
3,5
3,5
3,5
2,4
Totale
85
100
I dati economici e finanziari del campione sono riportati nella Tabella 5 ed evidenziano una certa
dispersione intorno ai valori medi, particolarmente nei valori relativi all’incidenza della gestione
finanziaria sul fatturato.
Tabella 5
Dati economici e finanziari del campione (bilancio al 31.12.2000)
Variabili
Valore minimo
Valore medio
Valore massimo
Dev. std. / media %
Dipendenti
Dipendenti in amministrazione
Fatturato (€ milioni)
Totale attivo (€ milioni)
ROI
Gestione finanziaria / fatturato
61
2
10,1
7,4
5,1%
0,0%
112
6
19,8
16,6
11,5%
1,5%
229
20
38,0
27,0
29,0%
4,9%
42,3%
48,7%
31,7%
34,9%
48,2%
74,6%
Le funzioni svolte dal personale addetto all’amministrazione variano da impresa a impresa, anche se si
riesce ad individuare una caratteristica comune: la propensione ad occuparsi in prevalenza della gestione
contabile e finanziaria, e meno delle pratiche inerenti il controllo e il risk management. La quasi totalità
dell’ufficio amministrativo delle imprese del campione si occupa di contabilità generale, intrattiene i
rapporti con le banche, gestisce la tesoreria e valuta le alternative di finanziamento; minore è il numero di
quelle dove il personale addetto all’amministrazione si occupa del controllo e della gestione del rischio; in
tali casi la funzione è assistita da esperti esterni o dal top management aziendale.
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I profili di gestione del rischio
La seconda parte del questionario ha previsto l’indicazione da parte delle imprese, all’interno di un
elenco dato, delle tipologie di rischio a cui sono esposte; successivamente, scegliendo da tale elenco, ogni
azienda ha individuato e ordinato i tre rischi più importanti. Come si nota nella Tabella 6, sono il rischio
di credito (ovvero il rischio legato alla solvibilità dei clienti), indicato da 79 aziende, e i rischi collegati
alla tecnologia produttiva a costituire la minaccia più diffusa, seguiti dai rischi legali e da quelli che
vanno ad incidere sul margine operativo (rischi di business e rischi da variazione del prezzo delle materie
prime). Una fetta più contenuta di imprese sembra essere esposta ai classici rischi finanziari: interesse,
5
prezzo delle attività finanziarie e cambio .
Considerazioni simili possono essere effettuate considerando i rischi posti, per importanza, alle prime
tre posizioni. Il rischio di credito, probabilmente per ragioni di carattere congiunturale, primeggia e viene
considerato tra i primi tre rischi per la quasi totalità delle imprese che vi sono esposte. A seguire troviamo
i rischi che vanno ad incidere sul margine operativo: il 56,5% del campione cita la volatilità del prezzo
delle materie prime fra i primi tre rischi per importanza, mentre il 34,1% considera tali i rischi di business
(da variabilità della domanda, dei prezzi di vendita e della concorrenza). Una consistente fetta di imprese
attribuisce importanza ai rischi assicurabili (legali e legati alla tecnologia produttiva) e a quelli strategici
(da innovazione tecnologica). Gli altri rischi finanziari vengono citati tra i primi tre per importanza da un
numero inferiore di imprese. Occorre tuttavia notare che la volatilità del tasso di interesse, pur
interessando un numero superiore di imprese, è considerata di importanza primaria da una fetta esigua;
viceversa, il tasso di cambio preoccupa una parte consistente delle imprese che ne risultano esposte.
Seguono quei rischi che vengono considerati rilevanti per settori specifici.
5
Occorre precisare che l’incidenza contenuta del rischio di cambio è da ricondurre, almeno in parte,
all’introduzione dell’euro.
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Tabella 6
Esposizione al rischio (numero di aziende)
Classe di rischio
Rischio ambientale
Rischio operativo
Rischio finanziario
Tipo di rischio
Soggetto a
Importante
Il più importante
Danni ambientali
Innovazione tecnologica
Regolamentazione
Politico
Business
Tecnologia produttiva
Legali
IT
Tasso di cambio
Tasso di interesse
Prezzo delle attività
Credito
Liquidità
Prezzo delle materie prime
29
47
34
3
73
79
74
47
32
42
21
79
30
70
6
18
4
2
8
1
29
25
27
6
15
9
1
65
2
48
6
6
8
2
6
28
18
Tra gli obbiettivi della gestione del rischio (Tabella 7) prevalgono le scelte strategiche, più che quelle
tecniche in senso stretto. Per le aziende è importante conoscere e controllare i rischi a cui sono esposte in
modo da ottenere un vantaggio competitivo sul mercato, mentre viene data minore importanza agli aspetti
di consuntivazione, come la minimizzazione della copertura o l’allocazione del capitale fra le diverse
attività dell’impresa.
Tabella 7
Obbiettivi della gestione del rischio (numero di aziende)
Classe di obbiettivo
Strategico
Tecnico
Tipo di obbiettivo
Scelto da
Individuare e fronteggiare
Vantaggio competitivo
Minimizzare la copertura
Ridurre la volatilità
Allocazione del capitale
42
27
19
5
4
Per ognuno dei tre rischi più importanti abbiamo chiesto alle aziende quali fasi del processo di
gestione del rischio, misurazione, controllo e consuntivazione, vengono effettuate (Tabella 8). Prezzo
delle materie prime, rischio di credito e rischio di business sono le componenti più importanti e che
“mantengono” la loro importanza in tutto il flusso di gestione del rischio. Queste sono anche le tipologie
più consolidate nella prassi aziendale: la prima è responsabile della variabilità dei costi di input, le altre
due di quelli di output, il rischio di business di quelli diretti, e il rischio di credito per quelli indiretti. Da
segnalare, probabilmente dovuto alla variabilità del tasso di cambio della lira nel passato e alla
conseguente radicamento della prassi aziendale, la completezza della gestione del rischio di cambio.
Notiamo, inoltre, come la consuntivazione non sia una pratica particolarmente seguita dalle aziende,
tranne per i rischi più importanti, credito e materie prime.
12
Tabella 8
Sistema di gestione del rischio (numero di aziende)
Classe di rischio
Tipo di rischio
Importante
Misurato
Controllato
Consuntivato
Rischio ambientale
Generico *
26
6
25
6
Business
29
23
20
11
Tecnologia produttiva
25
2
25
9
Rischio operativo
Legali
27
10
27
13
IT
6
2
5
3
Tasso di cambio
15
14
14
13
Tasso di interesse
9
8
6
5
Prezzo delle attività
1
1
1
1
Rischio finanziario
Credito
65
59
60
41
Liquidità
2
2
2
2
Prezzo delle materie prime
48
44
36
25
* La classe di rischio ambientale, scomposta in diversi tipi di rischio nelle domande relative alla percezione, è stata qui ricompatta in
un’unica voce generica.
Nelle tabelle successive abbiamo evidenziato, per la fase di misurazione e per la fase di controllo dei
rischi scelti tra i primi tre dalle aziende, il soggetto incaricato dell’operazione e i metodi utilizzati nella
stessa. La seconda colonna di ognuna delle tabelle evidenzia il numero di aziende che misurano (Tabella
9 e Tabella 10) o controllano (Tabella 11 e Tabella 12) il rischio corrispondente, mentre le colonne
successive evidenziano le scelte delle aziende in ordine di importanza. Ricordiamo che erano previste
anche scelte multiple, per cui la somma delle stesse può anche essere maggiore del numero di aziende che
hanno indicato quel tipo di rischio. Per esempio, nella Tabella 10 il rischio di tasso di cambio viene
misurato dalle 14 aziende con diversi metodi: l’andamento dei cambi (13 scelte), l’ammontare dei ricavi
sensibili al cambio (9) e l’ammontare dei costi sensibili (7). In questo caso varie aziende utilizzano più di
un indicatore per la misurazione.
Tabella 9
Chi misura il rischio (numero di aziende)
Tipo di rischio
Misurato
Ambientale
Business
Tecnologia produttiva
Legali
IT
Tasso di cambio
Tasso di interesse
Prezzo delle attività
Credito
Liquidità
Prezzo delle materie prime
6
23
2
10
2
14
8
1
59
2
44
Prima scelta
Seconda scelta
Terza scelta
Chi misura
N.
Chi misura
N.
Chi misura
N.
Resp. sicurezza
Resp. vendite
Resp. amministrativo
Resp. qualità
Resp. IT
Resp. amministrativo
Resp. amministrativo
Titolare
Resp. amministrativo
Resp. amministrativo
Resp. acquisti
2
10
2
6
2
12
8
1
37
2
27
Resp. amministrativo
Resp. amministrativo
2
4
Resp. amministrativo
4
Ufficio tecnico
Consulente IT
Responsabile vendite
3
2
2
Resp. vendite
17
Società factoring
4
Resp. amministrativo
10
Resp. vendite
4
Quello che emerge dai dati della Tabella 9 è che buona parte della misurazione dei rischi aziendali
viene svolta dal responsabile amministrativo. Gli unici rischi con una certa significatività numerica nei
quali il responsabile amministrativo non compare, il rischio legale e di IT, sono quelli ad elevata
specificità la cui misurazione viene effettuata da altri soggetti.
13
Tabella 10
Metodi di misurazione del rischio (numero di aziende)
Tipo di rischio
Misurato
Ambientale
Business
Tecnologia produttiva
Legali
IT
Tasso di cambio
Tasso di interesse
Prezzo delle attività
Credito
Liquidità
Prezzo delle materie prime
6
23
2
10
2
14
8
1
59
2
44
Prima scelta
Seconda scelta
Metodi
N.
Specifici
Prezzi di mercato
Attuariali
Numero anomalie
Numero crash
Andamento tassi
Andamento tassi
Specifici
Rapporti solvibilità
Budget di cassa
Andamento prezzi
6
21
2
9
2
13
7
1
54
2
43
Terza scelta
Metodi
N.
Metodi
N.
Volume vendite
13
Rapporto costo qualità 6
Tipi di anomalia
7
Parametri di qualità
4
Ricavi sensibili
Posizione netta
9
4
Costi sensibili
Curva dei tassi
7
4
Ammontare insoluti
15
Giorni di ritardo
14
Quantità
15
Ordinativi
5
Per quanto riguarda i metodi di misurazione del rischio (Tabella 10), le metodologie più utilizzate
sono quelle standard, che si basano sull’analisi dell’andamento delle variabili chiavi relative al rischio che
si sta misurando (prezzi per i rischi finanziari, numero eventi avversi per i rischi operativi) spingendosi a
livelli più approfonditi solo in casi specifici.
Tabella 11
Chi controlla il rischio (numero di aziende)
Tipo di rischio
Controllato
Ambientale
Business
Tecnologia produttiva
Legali
IT
Tasso di cambio
Tasso di interesse
Prezzo delle attività
Credito
Liquidità
Prezzo delle materie prime
25
20
25
27
5
14
6
1
60
2
36
Prima scelta
Seconda scelta
Terza scelta
Chi controlla
N.
Chi controlla
N.
Chi controlla
N.
Ufficio tecnico
Resp. vendite
Resp. amministrativo
Resp. amministrativo
Resp. IT
Resp. amministrativo
Resp. amministrativo
Titolare
Resp. amministrativo
Resp. amministrativo
Resp. acquisti
8
12
24
22
2
14
6
1
41
2
25
Ricerca e sviluppo
Resp. amministrativo
Resp. produzione
Resp. qualità
Consulente IT
4
5
4
8
1
Resp. vendite
Titolare
Titolare
Resp. produzione
4
2
2
5
Resp. vendite
17
Broker
2
Resp. amministrativo
8
Resp. vendite
2
Come per la misurazione del rischio anche nel controllo (Tabella 11) il responsabile amministrativo
gioca un ruolo fondamentale coprendo praticamente la totalità dei rischi finanziari e di quelli operativi
(rimangono fuori quelli specifici di IT e ambientale che richiedono competenze specifiche).
14
Tabella 12
Metodi per il controllo del rischio (numero di aziende)
Tipo di rischio
Controllato
Ambientale
Business
Tecnologia produttiva
Legali
IT
Tasso di cambio
Tasso di interesse
Prezzo delle attività
Credito
Liquidità
Prezzo delle materie prime
25
20
25
27
5
14
6
1
60
2
36
Prima scelta
Seconda scelta
Terza scelta
Metodi
N.
Metodi
N.
Metodi
N.
Partecipazione fiere
Analisi del mercato
Assicurazione
Assicurazione
Protezione dati
Valuta a termine
Diversificazione debiti
Diversificazione
Controlli di solvibilità
Affidamento multiplo
Forn. a lungo termine
14
19
25
25
5
14
2
1
53
2
27
Ricerca e sviluppo
Fissazione budget
Controllo produzione
Controllo processi
Back-up dei dati
Passività in valuta
Derivati
13
8
8
14
5
11
2
Controlli di processo
Accordi commerciali
Controllo processi
Controllo qualità
Manutenzione
Opzioni sui cambi
Analisi di sentività
7
6
5
10
5
5
1
Fissazione di limiti
41
Limiti di credito
25
Magazzino
26
Fissazione budget
11
Anche per quanto riguarda il controllo del rischio (Tabella 12) non si nota una particolare
sofisticazione nelle metodologie utilizzate, tranne per i rischi finanziari, che presentano alcune tecniche
diventate standard nelle imprese di più elevate dimensioni. Alcuni rischi vengono caricati ad altri soggetti
al di fuori dell’azienda, come le compagnie di assicurazione o gli stessi fornitori della materia prima.
La gestione integrata del rischio
Nel paragrafo precedente abbiamo raccolto numerosi segnali sull’approccio alle singole categorie di
rischio. Si delineano diverse tendenze ben definite e plausibili. Se però passiamo al livello della gestione
integrata dei rischi, i segnali che si raccolgono sono molto più deboli e sfumati (Tabella 13). In sostanza,
l’integrazione tra aree di rischio non è una priorità, quanto meno non a livello di processi aziendali
espliciti e sistematici.
Tabella 13
Gestione integrata del rischio (numero di aziende)
Mappate la gestione del rischio?
Usate tecniche di gestione integrata del rischio?
Sì
No
Sì
8
15
No
8
53
Totale
16
68
Totale
23
61
84
Un’azienda non ha risposto a questa domanda
Dato l’esiguo numero di imprese che procede a misure e programmi integrati e il più consistente
ricorso a polizze multirischio (Tabella 14), sembra lecito ipotizzare che il terreno di sperimentazione,
parziale, di forme integrate di copertura sia la gestione dei rischi assicurabili.
15
Tabella 14
Tecniche di gestione integrata del rischio (usate dalle 16 imprese che usano tecniche integrate)
Tipo di tecnica
Numero di scelte
Polizze multilinea
Sistemi di budgeting integrato
Sistemi di reporting integrato
Altro
12
4
2
3
Anche se una gestione integrata del rischio viene ritenuta utile da circa il 55% delle imprese,
solamente il 22% di queste ha pianificato nei prossimi cinque anni l’introduzione di qualche tecnica di
questo tipo (Tabella 15). I problemi più rilevanti per tale difficoltà sono stati indicati nei tempi di
realizzazione e nei costi, sia operativi che di risorse, per l’implementazione di una gestione dei rischi a
livello integrato.
Tabella 15
Prospettive di gestione integrata (risposte delle 68 aziende che non usano tecniche integrate)
Ritenete utile la gestione integrata?
Avete pianificato gestioni integrate nei 5 anni?
Sì
8
29
No
Sì
No
30
Totale
8
59
Totale
37
30
67
Un’azienda non ha risposto a questa domanda
Conclusioni
Le conclusioni che possiamo trarre da questo lavoro possono essere sviluppate seguendo due livelli di
analisi: nel primo cercheremo di individuare e riassumere le informazioni più importanti che sono emerse
dall’analisi dei risultati dell’indagine, nel secondo ci soffermeremo sulle indicazioni che tali risultati
sembrano esprimere.
I risultati del questionario hanno evidenziato una consapevolezza diffusa sulle tematiche del risk
management, che viene tendenzialmente gestito in azienda dalla funzione di amministrazione e finanza. I
rischi vengono presidiati e controllati in maniera sistematica e sostanzialmente efficace, con un approccio
attivo soprattutto per quanto riguarda il loro controllo. La fase di consuntivazione non è ancora
adeguatamente sviluppata nel processo complessivo di gestione del rischio, e il processo di integrazione
risulta ancora limitato nelle aziende del campione. La tendenza, nelle medie imprese del campione, ad
accentrare all’interno della funzione di amministrazione e finanza il risk management, potrebbe però
essere il primo passo verso l’implementazione di un processo completo e integrato nella gestione del
rischio.
16
Per quanto riguarda i tipi di rischio che le aziende del campione hanno evidenziato, si nota una
particolare attenzione ai rischi derivanti dalla gestione caratteristica: la forbice operativa (rischi di
business e di materie prime), i rischi assicurabili (rischio operativo e legale) e il controllo della solvibilità
della clientela (rischio di credito). Minore considerazione, probabilmente a causa dell’avvento della
moneta unica, viene data ai classici rischi finanziari (rischio di interesse e rischio di cambio). Il quadro
complessivo evidenzia un utilizzo abbastanza dinamico del risk management, privilegiando le varie classi
di rischio a seconda del momento e della situazione congiunturale dell’economia (lo stesso accentuato
focus sul rischio di credito può essere dovuto all’attuale congiuntura recessiva).
Il quadro complessivo presenta indubbiamente una interessante dinamica evidenziando anche un
cambiamento culturale nelle aziende per quanto riguarda la gestione del rischio. Si nota, infatti, una
tendenza all’accentramento di tale gestione nella funzione di amministrazione e finanza, cercando nel
contempo di sviluppare la possibilità di un suo controllo più integrato. Questi aspetti sembrano indicare
una domanda potenziale e non ancora espressa in maniera palese di servizi che potrebbero incrementare
l’efficienza aziendale e la stessa creazione di valore. Rimane ora da verificare l’altro aspetto del mercato,
l’offerta, così da sviluppare il secondo livello di analisi.
Una chiave di indagine per capire quali potrebbero essere i servizi potenzialmente offribili alle medie
imprese è quella di analizzare la direzione intrapresa dalle grandi multinazionali e di vedere se tali best
practices potrebbero essere adattate e offerte al segmento mid-corporate. Citiamo, a titolo di esempio, i
casi dei gruppi aziendali Novartis, Michelin e Siemens nei quali sono state costituite delle vere e proprie
risk management unit che svolgono sia attività con valenza informativa e di intelligence, sia con valenza
gestionale. Nel primo caso l’unità gestisce un sistema informativo integrato per la pianificazione
finanziaria, la gestione del rischio e l’attività di reporting, che viene condiviso e utilizzato in tutto il
gruppo. Nel secondo caso l’unità svolge il ruolo di banca interna gestendo l’allocazione del capitale e il
trasferimento efficiente del rischio alle varie unità del gruppo. Traslare direttamente tali sistemi alle
medie imprese non è chiaramente possibile per due problemi principali. Il primo è quello dei costi: la
creazione di una nuova unit per la gestione del rischio, che deve necessariamente essere formata da un
livello minimo di risorse umane molto qualificate, con hardware e software specifico, non risulterebbe
compatibile con la struttura di una media impresa in una logica di costi-benefici. Il secondo problema
riguarda le figure professionali da inquadrare eventualmente in tale unit che sarebbero probabilmente
sotto-utilizzate e di difficile fungibilità all’interno dell’organizzazione di una media impresa. Il passaggio
17
obbligato e probabilmente più efficiente per sviluppare anche nelle medie imprese una gestione del
rischio integrata è perciò quello dell’outsourcing. Vediamo di analizzarlo sotto tre diversi punti di vista: il
software, la consulenza e l’offerta di prodotti e/o servizi finanziari e assicurativi.
L’integrazione tra i sistemi gestionali e di pianificazione con quelli specifici di finanza d’impresa e di
gestione del rischio è il primo passo per ottenere un sistema di supporto alle decisioni di integrated risk
management nelle medie imprese. Difficilmente tale integrazione potrebbe essere sviluppata dall’interno,
mancando probabilmente sia le posizioni professionali, sia le capacità tecniche. Due potrebbero essere
allora le vie percorribili: una società di consulenza informatica che provveda all’integrazione del sistema,
oppure lo sviluppo e l’offerta sul mercato di nuovi pacchetti integrati costruiti ad hoc sul target delle
medie imprese. Rimane comunque aperto il problema dell’interpretazione dei dati che, senza figure
professionali specifiche all’interno dell’azienda, potrebbe limitare in maniera sensibile l’efficacia
dell’intero processo. Anche in questo caso l’outsourcing tramite una consulenza di tipo continuativo
potrebbe essere una soluzione. D’altronde esistono già due consulenti che attualmente svolgono il loro
6
operato in maniera continuativa nelle medie imprese: il commercialista e il broker assicurativo . Tali
figure dovrebbero però ampliare le proprie conoscenze operative alla consulenza su rischi specifici e sulla
loro integrazione, avvalendosi anche di esperti esterni. Questa soluzione, software integrato e
riqualificazione della consulenza, se coordinata e gestita in maniera continuativa potrebbero essere una
prima risposta efficace alla domanda di risk management integrato espressa dalle medie imprese. Ma
esiste un’altra via, forse più innovativa e radicale, ma per questo non meno percorribile, e che introduce il
terzo punto di vista: esternalizzare i principali rischi aziendali o gli interi processi di risk management.
Due sono i principali sistemi di outsourcing: creare nuovi prodotti per la gestione dei rischi (servizi
finanziari) o nuovi prodotti per il loro trasferimento (servizi assicurativi). Un esempio per il primo caso,
che viene già utilizzato da alcune medie imprese, è il servizio di full factoring, dove l’azienda cede tutta
la gestione clienti, e il corrispondente rischio di credito, alla società di factoring, non solamente le fatture
da portare in cessione. Per il secondo caso possiamo pensare alle polizze multilinea con le quali ci si
copre da più di un tipo di rischio aziendale, riducendo quindi le incombenze del risk manager. Come
scrive Drucker (1999) in un efficace articolo pubblicato sull’Economist, esistono ampi spazi per creare
6
Questo dato è emerso dai risultati della nostra indagine che qui, per motivi di spazio, non è stata pubblicata
interamente.
18
società di servizi che si pongano come outsourcer, non solamente dei rischi, ma anche di tutta la gestione
finanziaria delle medie imprese. Tra i prodotti che potrebbero essere appetibili, sempre a parere
dell’autore, uno strumento finanziario a copertura dei rischi catastrofici, per esempio sul tasso di cambio,
sarebbe in grado di ridurre la gestione del rischio sui cambi al pagamento della commissione su tale
strumento, garantendo in contropartita la conversione dei flussi in divisa ad un cambio target. Si tratta di
un servizio del tutto analogo a quello che la risk management unit di un gruppo multinazionale offre alle
proprie divisioni di business.
Gli spazi sembrano quindi essere molti e interessanti, oltre che redditizi, per potere essere sfruttati da
società con prodotti e servizi innovativi. Le banche, punti di riferimento per quanto riguarda la finanza,
saranno in grado di sfruttare questo mercato? Da ulteriori risultati della nostra indagine, non pubblicati in
questo articolo per motivi di spazio, è sorprendente notare come nessuna delle aziende intervistate indichi
le banche come potenziali offerenti di servizi innovativi per la gestione dei rischi. Si può desumere che le
banche stesse rischiano di rimanere al margine nel processo di evoluzione della gestione finanziaria
aziendale. E questo si rileva nonostante le recenti riorganizzazioni in atto nel nostro paese con la
creazione di divisioni bancarie specifiche per il segmento corporate, che non sembrano però suscitare
grandi attese, lasciando spazi aperti ad altre organizzazioni, come per esempio le società di consulenza, i
broker assicurativi, o iniziative consortili da parte di associazioni industriali o imprenditoriali. Forse si
può ancora rientrare in tali spazi ricalibrando l’offerta di prodotti e servizi in una logica di relazione ad
alto contenuto consulenziale. Forse, come scrive in conclusione Drucker: “It may not be too late for the
existing big financial-services firms to become innovators again. But it is surely very late”.
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