Le sentenze della Corte di Giustizia dell`Unione Europea rilevanti in
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Le sentenze della Corte di Giustizia dell`Unione Europea rilevanti in
Le sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione Europea rilevanti in materia di asilo analizzate da Asilo in Europa A, B e C contro Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie cause riunite C-148/13, C-149/13 e C-150/13, 2 dicembre 2014 Dopo la sentenza resa poco più di un anno fa (7 novembre 2013) nelle cause riunite X, Y e Z (potete trovare qui la nostra analisi), questa domanda di pronuncia pregiudiziale ha permesso alla Corte di fornire ulteriori precisazioni in merito alle condizioni di attribuzione dello status di rifugiato a richiedenti che invocano il proprio orientamento sessuale a fondamento del rischio di persecuzione nel Paese di origine. Nello specifico, la Corte è stata chiamata dal giudice del rinvio olandese a pronunciarsi sulla conformità con il diritto dell'Unione – l’art. 4 della direttiva 2004/83/CE (Direttiva Qualifiche, oggi sostituta dalla Direttiva 2011/95/UE) e artt. 1 e 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea – di alcune modalità di valutazione delle dichiarazioni e delle prove documentali prodotte a sostegno del proprio orientamento sessuale dai tre richiedenti asilo. Chiarito che l'orientamento sessuale dei richiedenti non può considerarsi un fatto assodato solo sulla base delle loro dichiarazioni – che rappresentano solo il punto di partenza nella valutazione - la Corte conclude escludendo la compatibilità con il diritto dell'Unione delle seguenti modalità di valutazione dell'omosessualità adottate dall'autorità giudicante o proposte dagli stessi richiedenti: 1. le valutazioni che si basano esclusivamente su stereotipi riguardo agli omosessuali violano il dovere di esame individuale e circostanziato contemplato sia dalla Direttiva Qualifiche sia dalla Direttiva 2005/8/CE (Direttiva Procedure, oggi sostituita dalla Direttiva 2013/32/UE); 2. gli interrogatori dettagliati relativi alle pratiche sessuali del richiedente sono incompatibili con il diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dalla Carta; 3. la possibilità di accettare che il richiedente si sottoponga a un “test” idoneo a dimostrare la sua omosessualità e/o produca registrazioni video dei suoi atti intimi si pone in contrasto con il diritto al rispetto della dignità umana garantito dalla Carta; 4. la possibilità di dedurre l'assenza di credibilità dalla semplice circostanza che il richiedente non abbia invocato il proprio orientamento sessuale alla prima occasione concessagli viola nuovamente il dovere di esame individuale e circostanziato. I fatti alla base del rinvio A, B e C, cittadini di Paesi terzi, presentano domanda di asilo nei Paesi Bassi, adducendo a fondamento il timore di essere perseguitati nel rispettivo Paese di origine a causa della loro omosessualità. A presenta due distinte domande fondate sul suo orientamento sessuale, entrambe respinte a motivo dell'assenza di credibilità anche se A, nella seconda, si è dichiarato disponibile a sottoporsi a un “test” idoneo a comprovare la sua omosessualità e, allo stesso fine, a compiere un atto omosessuale. Anche la domanda di B è respinta in prima istanza perchè non credibile in quanto B, che proviene da una famiglia musulmana e da un Paese dove l’omosessualità non è accettata, avrebbe dovuto fornire maggiori dettagli sui suoi sentimenti e sul processo interiore relativo al suo orientamento sessuale. C presenta due distinte domande di asilo, ma solo la seconda (anch'essa respinta) è fondata sul suo orientamento sessuale. In questo caso l'assenza di credibilità si evince proprio dall'atteggiamento incoerente del richiedente, che avrebbe dovuto dichiarare il suo orientamento sessuale nel corso del primo procedimento. Peraltro, viene ritenuto irrilevante il fatto che C abbia prodotto un video che lo rappresenta mentre compie atti sessuali con un uomo. Al contrario, viene ritenuto rilevante che il medesimo non abbia saputo rispondere a domande sulle organizzazioni che nei Paesi Bassi operano in difesa dei diritti degli omosessuali. A, B e C presentano ciascuno un ricorso giurisdizionale contro le decisioni assunte dall'autorità amministrativa e, in seguito, propongono appello contro le sentenze di rigetto del giudice di primo grado. In tutte e tre le cause, il giudice di appello decide di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte un'identica questione pregiudiziale. La questione pregiudiziale “Quali limiti siano posti [dall’articolo 4 della direttiva 2004/83] e [dalla Carta], e segnatamente dai suoi articoli 3 e 7, alle modalità di valutazione della credibilità di un orientamento sessuale asserito e se detti limiti siano diversi dai limiti vigenti per la valutazione della credibilità di altri motivi di persecuzione e, in tal caso, sotto quale profilo”. Il ragionamento della Corte Ricordato che la Direttiva Qualifiche deve essere interpretata nel rispetto sia della Convenzione di Ginevra e degli altri trattati internazionali pertinenti sia dei diritti contemplati dalla Carta, e che le garanzie procedurali minime da adottare nei confronti di ciascun richiedente asilo sono disciplinate non da questa direttiva, ma dalla Direttiva Procedure, la Corte risponde al quesito sottopostole, impiegando argomenti volti (in sostanza) a fare luce su due questioni fondamentali: (i) se le dichiarazioni e gli elementi di prova documentali o di altro tipo, allegati dal richiedente asilo a fondamento del suo orientamento sessuale, possano formare oggetto di un processo di valutazione (parr. 48-52); (ii) se nello svolgimento di questa valutazione le autorità competenti debbano rispettare dei limiti precisi (parr. 53-72). (i) Sulla possibilità di sottoporre l'orientamento sessuale a una valutazione Allineandosi alle conclusioni dell'Avvocato Generale, la Corte constata che, ai sensi dell'art. 4 (in particolare parr. 1 e 5) della Direttiva Qualifiche, le autorità nazionali competenti per l’esame di una domanda di asilo non sono obbligate a considerare l'orientamento sessuale come un fatto assodato solo sulla base delle dichiarazioni del richiedente. Tali dichiarazioni possono invece essere considerate come punto di partenza per l'esame dei fatti e delle circostanze e possono dunque essere “oggetto di un processo di valutazione”. (par. 52) Ciò vale naturalmente per tutte le richieste di asilo, quale che sia il motivo di persecuzione invocato. Chiarito questo, fino a che punto l'autorità nazionale competente può spingere questo processo di valutazione? Può questa svolgere interrogatori fondati su stereotipi riguardo agli omosessuali e/o interrogatori dettagliati relativi alle pratiche sessuali del richiedente asilo? Può accettare che detto richiedente si sottoponga a un “test di omosessualità” e/o che produca registrazioni video di atti intimi? Può, infine, dedurre la mancanza di credibilità delle prove addotte dal richiedente dal solo fatto che questi non ha menzionato l’asserito orientamento sessuale alla prima occasione utile? (ii) Sui limiti del processo di valutazione Innanzitutto, la Corte sottolinea che le modalità di valutazione delle dichiarazioni e degli elementi di prova documentali o di altro tipo relativi a una domanda di asilo, da un lato devono essere conformi alle disposizioni delle Direttive Qualifiche e Procedure, nonché ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta, quali il rispetto della dignità umana e della vita privata e familiare e, dall'altro lato, devono essere adeguate alle caratteristiche di ciascuna categoria di richiesta d’asilo. (par. 54) Dunque, è possibile (anzi, doveroso), per le autorità competenti adeguare le modalità di valutazione alle caratteristiche delle diverse richieste di asilo, ma sempre nel rispetto delle regole, in primis (ovviamente) dei diritti fondamentali. Successivamente, la Corte ricorda che, ai sensi della Direttiva Qualifiche, nel corso dell'accertamento delle circostanze di fatto che possono costituire elementi di prova a sostegno della domanda di asilo, le autorità competenti a decidere devono: - cooperare con il richiedente (art. 4 par. 1); - tenere conto della sua situazione individuale e delle circostanze personali, in particolare l’estrazione, il sesso e l’età (art. 4, par. 3, lett. c); - non pretendere una conferma delle dichiarazioni del richiedente, pur non suffragate da prove, nel caso in cui siano soddisfatte le condizioni elencate all'art. 4, par. 5, lettere da a) a e) 1. Si tratta, senza voler approfondire, di condizioni che fanno riferimento all'attendibilità e sincerità del richiedente e alla coerenza delle sue dichiarazioni con il contesto pertinente. Quindi, la Corte entra nello specifico delle modalità di valutazione adottate dalle autorità o proposte dagli stessi richiedenti nei procedimenti principali, fornendo così le risposte al giudice del rinvio. 1. Gli interrogatori fondati su stereotipi riguardo agli omosessuali, sebbene possano “costituire un elemento utile a disposizione delle autorità competenti” ai fini della valutazione, non possono costituire la sola base di tale valutazione. Ciò sarebbe in contrasto con l'obbligo, di cui si è detto sopra, di considerare la situazione individuale e le circostanze personali del richiedente. (par. 61-63) Insomma, gli stereotipi – secondo i giudici di Lussemburgo – possono aiutare gli organi competenti a esaminare le domande di asilo quando queste sono basate su un timore di persecuzione legato al proprio orientamento sessuale. Ma non fino al punto da poter ritenere non credibile un richiedente per il solo fatto che non ha saputo rispondere a domande basate su tali stereotipi. 2. Gli interrogatori dettagliati relativi alle pratiche sessuali del richiedente asilo sono incompatibili 1 Si noti che in realtà il testo italiano della sentenza (al par. 58) fa riferimento alle “lettere da a) a c)”, ma riteniamo si tratti di una svista dei traduttori (infatti nel testo inglese si trova il riferimento corretto “Article 4(5)(a) to (e)”) con il diritto al rispetto della vita privata e familiare, sancito dalla Carta (art. 7). (par. 64) 3. La possibilità per le autorità nazionali competenti di accettare che il richiedente asilo provi la propria omosessualità mediante il compimento di atti omosessuali, l'assoggettamento a un “test di omosessualità”, ovvero la produzione di registrazioni video di atti intimi è incompatibile con il diritto al rispetto della dignità umana, contemplato dalla Carta (art. 1). Peraltro, secondo i giudici, ammettere questa possibilità equivarrebbe, di fatto, a imporre la produzione di questo genere di prove a ogni richiedente. (par. 65-66) 4. La possibilità per le autorità nazionali competenti di considerare che un richiedente asilo non sia credibile solo perché non ha rivelato il proprio orientamento sessuale alla prima occasione concessagli per esporre i motivi di persecuzione – senza quindi tenere nel dovuto conto la delicatezza della questione e la naturale reticenza a rivelare aspetti intimi della propria vita – è di nuovo incompatibile con il diritto dell'Unione. Infatti, l'obbligo dei richiedenti asilo di presentare tutti gli elementi alla base della domanda (di cui all'art. 4 par. 1 della Direttiva Qualifiche) è “temperato” dal dovere di “condurre il colloquio tenendo conto della situazione personale o generale in cui si inserisce la domanda, segnatamente della vulnerabilità del richiedente”. (par. 70) Pertanto, la mancata tempestività nella rivelazione del proprio orientamento sessuale potrà inficiare l'attendibilità del richiedente ma mai essere l'unico motivo alla base di una valutazione di non credibilità. Le conclusioni della Corte Alla luce delle argomentazioni sopra esposte, la Corte risponde alla questione pregiudiziale posta in ciascuno dei procedimenti da C-148/13 a C-150/13 come segue: “– L’articolo 4, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/83 e l’articolo 13, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2005/85 devono essere interpretati nel senso che ostano a che, nell’ambito dell’esame, effettuato dalle autorità nazionali competenti, che agiscono sotto il controllo del giudice, dei fatti e delle circostanze riguardanti l’asserito orientamento sessuale di un richiedente asilo, la cui domanda è fondata su un timore di persecuzione a causa di tale orientamento, le dichiarazioni di tale richiedente nonché gli elementi di prova documentali o di altro tipo presentati a sostegno della sua domanda siano oggetto di una valutazione, da parte di dette autorità, mediante interrogatori fondati unicamente su nozioni stereotipate riguardo agli omosessuali. – L’articolo 4 della direttiva 2004/83, alla luce dell’articolo 7 della Carta, deve essere interpretato nel senso che osta a che, nell’ambito di tale esame, le autorità nazionali competenti procedano a interrogatori dettagliati sulle pratiche sessuali di un richiedente asilo. – L’articolo 4 della direttiva 2004/83, alla luce dell’articolo 1 della Carta, deve essere interpretato nel senso che osta a che, nell’ambito di tale esame, dette autorità accettino elementi di prova, quali il compimento di atti omosessuali da parte del richiedente asilo considerato, il suo sottoporsi a «test» per dimostrare la propria omosessualità o ancora la produzione da parte dello stesso di registrazioni video di tali atti. – L’articolo 4, paragrafo 3 della direttiva 2004/83 nonché l’articolo 13, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2005/85 devono essere interpretati nel senso che ostano a che, nell’ambito del predetto esame, le autorità nazionali competenti concludano che le dichiarazioni del richiedente asilo considerato manchino di credibilità per il solo motivo che il suo asserito orientamento sessuale non è stato fatto valere da tale richiedente alla prima occasione concessagli per esporre i motivi di persecuzione”.