Periti Agrari News - Collegio Periti Agrari Napoli
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Periti Agrari News Numero 2 – Febbraio 2015 Numero 2 - Febbraio 2015 Sommario PERITI AGRARI: CHI SIAMO 4 CONVENZIONI 7 NEWS 9 RASSEGNA DI NORMATIVA Leggi, decreti, circolari RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA 35 2 38 APPROFONDIMENTI Edilizia L’EDIFICIO RURALE ACCATASTATO SE È ABUSIVO VA DEMOLITO La realizzazione di una costruzione strumentale rurale effettuata senza titolo abilitativo va demolita perché considerata abusiva, anche se il Comune competente l’abbia accatastata d’ufficio e abbia preteso il relativo pagamento dell’Ici. (Antonio Piccolo, Il Sole 24 ORE – Agrisole Tabloid – 20-26 febbraio 2015) Agricoltura UN MIX DI COLTURE DARÀ PIÙ RACCOLTO Entro il 2050, per sfamare i nove miliardi di abitanti che secondo la Fao per allora abiteranno il pianeta, dovremo produrre il sessanta per cento in più di cibo. Usando però meno acqua, meno energia, meno suolo. E facendo i conti con cambiamenti climatici sempre più aggressivi. (Alessandra Viola, Il Sole 24 ORE – Nova24, 18 febbraio 2015) Agricoltura LE STRATEGIE INNOVATIVE CONTRO LE MINACCE ALL’AGRICOLTURA 40 42 Nubifragi e conche di sabbia, erosione dei terreni e salinizzazione delle acque di falda: sono queste le principali minacce che incombono sull’agricoltura, effetto della nefasta combinazione di cambiamenti climatici e cattiva gestione del territorio e delle risorse. (Alessandra Viola, Il Sole 24 ORE – Nova24, 18 febbraio 2015) Alimentazione LE TECNOLOGIE CHE CAMBIERANNO LA NOSTRA ALIMENTAZIONE 44 Mettere una bandiera coi “toni” dell’innovazione affinchè l’Italia abbia un ruolo di primo piano nella filiera agroalimentare. Francesca Cerati, Il Sole 24 ORE – Nova24, 18 febbraio 2015 45 Agevolazioni PPC, NIENTE «SCONTI» SE NON SI PRESENTA IL CERTIFICATO CHE ATTESTA I REQUISITI Il certificato rilasciato dall’Istituto provinciale agrario (Ipa), che attesta la sussistenza dei requisiti per usufruire delle agevolazioni fiscali previste dalla legge 604/1954 in materia della cosiddetta «Piccola proprietà contadina» (Ppc), ha natura sostanziale e non formale. Antonio Piccolo, Il Sole 24 ORE – Agrisole Tabloid – 20-26 febbraio 2015 46 L’ESPERTO RISPONDE 48 Chiuso in redazione il 20 febbraio 2015 Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 3 Proprietario ed Editore: Il Sole 24 Ore S.p.A. Sede legale e amministrazione: Via Monte Rosa 91- 20149 Milano Redazione: Piazza dell’Indipendenza 23 b/c – 00185 Roma © 2015 Il Sole 24 ORE S.p.a. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi strumento. I testi e l’elaborazione dei testi, anche se curati con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità per involontari errori e inesattezze. Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Legge 28 marzo 1968, n. 434, così come modificato dalla L. 21.01.1991, n. 54, dal D.lgs. 26 marzo 2010, n. 59 ed integrata dal D.P.R. 05.06.2001, n. 328 Titolo di perito agrario - Art. 1 1. Il titolo di perito agrario, al fine dell'esercizio delle attività di cui all'art. 2, spetta a coloro che abbiano conseguito il diploma di perito agrario in un istituto tecnico agrario statale o parificato e la abilitazione all'esercizio della professione, con tutte le relative specializzazioni, e siano iscritti 4 nell'albo professionale a norma dell'articolo 4. Agli iscritti con il titolo di laurea spetta il titolo professionale di perito agrario laureato (D.P.R. 05.06.2001, n. 328, art. 55) Attività professionale - Art. 2 1. Formano oggetto della professione di perito agrario: a) la direzione, l'amministrazione e la gestione di aziende agrarie e zootecniche e di aziende di lavorazione e commercializzazione di prodotti agrari e zootecnici limitatamente alle piccole e medie aziende, ivi comprese le funzioni contabili, quelle di assistenza e rappresentanza tributaria e quelle relative all'amministrazione del personale dipendente dalle medesime aziende; b) la progettazione, la direzione ed il collaudo di opere di miglioramento fondiario e di trasformazione di prodotti agrari e relative costruzioni, limitatamente alle medie aziende, il tutto in struttura ordinaria, secondo la tecnologia del momento, anche se ubicate fuori dai fondi; c) la misura, la stima, la divisione di fondi rustici, delle costruzioni e delle aziende agrarie e zootecniche, anche ai fini di mutui fondiari; d) i lavori catastali, topografici, cartografici e tipi di frazionamento, inerenti le piccole e medie aziende e relativi sia al catasto terreni sia al catasto urbano; e) la stima dei tabacchi e lavori nelle tecniche dei tabacchi; f) la stima delle colture erbacee ed arboree e loro prodotti e la valutazione degli interventi fitosanitari; g) la valutazione dei danni alle colture, la stima di scorte e dei miglioramenti fondiari agrari e zootecnici, nonché le operazioni di consegna e riconsegna dei beni rurali e relativi bilanci e liquidazioni; h) la direzione e manutenzione di parchi e la progettazione, la direzione e la manutenzione di giardini, anche localizzati, gli uni e gli altri, in aree urbane; i) le rotazioni agrarie; l) la curatela di aziende agrarie e zootecniche; m) la consulenza, le stime di consegna e riconsegna, i controlli analitici per i settori di specializzazione enotecnici, caseari, elaiotecnici ed altri; n) le funzioni di perito e di arbitratore in ordine alle attribuzioni sopra menzionate; o) la progettazione e la direzione di piani aziendali ed interaziendali di sviluppo agricolo limitatamente alle medie aziende; p) le attività tecniche connesse agli accertamenti, alla valutazione ed alla liquidazione degli usi civici; q) l'assistenza tecnica ai produttori agricoli singoli ed associati; r) le attribuzioni derivanti da altre leggi; s) l'esercizio delle competenze connesse al titolo di specializzazione ottenuto a seguito di regolare corso istituito dallo Stato o dalle regioni. Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Art. 31. Requisiti per l'iscrizione nell'albo o nell'elenco speciale. Abilitazione. 1. Per essere iscritto nell'albo o nell'elenco speciale e' necessario: a) essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell'Unione europea, ovvero italiano appartenente a territori non uniti politicamente allo Stato italiano, oppure cittadino di uno Stato con il quale esista trattamento di reciprocita'; b) godere dei diritti civili; c) avere la residenza anagrafica o il domicilio professionale, nella circoscrizione del collegio nel cui albo o elenco speciale si chiede di essere iscritti; d) essere in possesso del diploma di perito agrario; e) avere conseguito l'abilitazione professionale. 2. L'abilitazione all'esercizio della libera professione e' subordinata al compimento di un periodo di pratica biennale presso un perito agrario o un dottore in scienze agrarie o forestali iscritti ai rispettivi albi professionali da almeno un quinquennio ovvero allo svolgimento per almeno tre 5 anni di attivita' tecnico agricola subordinata, anche al di fuori di uno studio professionale, ed al superamento al termine del biennio o del triennio di un apposito esame di Stato, disciplinato dalle norme della legge 8 dicembre 1956,n. 1378, e successive modificazioni. (1) 2-bis. Il decreto di riconoscimento del titolo professionale ai sensi del Titolo III, del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, costituisce titolo per l'iscrizione nell'albo. -----------(1) La L. 21 febbraio 1991, n. 54 ha disposto (con l'art. 10, 2 comma) che "Le disposizioni relative all'abilitazione si applicano a partire dall'anno scolastico in corso alla data dell'entrata in vigore della presente legge. Sono valide a tutti gli effetti le iscrizioni all'albo professionale effettuate dai collegi prima di tale data, secondo le norme precedentemente in vigore." Possono altresì partecipare agli esami di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di Perito Agrario coloro i quali, in possesso del diploma di perito agrario, abbiano frequentato con esito positivo, corsi di istruzione e formazione tecnica superiore, a norma del decreto 31 ottobre 2000, n. 436 del Ministero della Pubblica Istruzione, recante norme di attuazione dell’articolo 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144, della durata di quattro semestri, comprensivi di tirocini non inferiori a sei mesi coerenti con le attività libero professionali previste dall’albo chi si chiede di accedere (così integrato dal D.P.R. 5 giugno 2001, n. 328, art. 55), oppure aver conseguito una laurea comprensiva di un tirocinio di sei mesi di una delle seguenti classi: 1,7,8,17,20,27,40. Il perito Agrario è un Tecnico polivalente la cui figura professionale si è molto evoluta ed ampliata nel corso degli ultimi decenni. Questo è dovuto soprattutto alla necessità di adeguare la pratica agricola e renderla compatibile con le crescenti esigenze di protezione e difesa dell’ambiente, nell’ottica che l’esercizio dell’agricoltura sia comunque legato alla tutela dell’ambiente e del territorio, visti i rapporti diretti e le interazioni che questa pratica ha sul territorio stesso. Le moderne linee guida dell’agricoltura europea e mondiale, mirate ad ottenere agroecosistemi ecocompatibili ed ecologicamente sostenibili, le impellenti problematiche di salvaguardia delle risorse primarie ambientali, di tutela del territorio e della biodiversità, ed infine la riscoperta del ruolo positivo del settore paesaggistico e della progettazione di spazi verdi e boschivi, hanno permesso di aprire nuove ed interessanti prospettive di lavoro libero professionale per il Perito Agrario. Accanto ai tradizionali ambiti professionale, di cui all’art. 2 – l. 438/68 e s.m.i., il Perito Agrario oggi espleta la sua attività anche: Come certificatore di sistemi di qualità, ambiente, sicurezza e prodotto in campo agroalimentare e nell’industria di trasformazione dei prodotti agricoli; Come addetto al controllo della qualità dei prodotti ai diversi livelli nella filiera produttiva sia agricola che zootecnica; Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Come Tecnico: -Esperto addetto al controllo produttivo e assistenza tecnica delle aziende che seguono linee produttive dell’agricoltura integrata e biologica; -Addetto alla progettazione, allestimento e manutenzione di spazi verdi pubblici e privati; -Addetto al settore ambientale nella valutazione di impatto ambientale e progetti di mitigazione; -Negli studi di pianificazione urbana e territoriale; -Progettista di interventi di restauro ambientale e paesaggistico; -Direttore di Parchi e di Aree Protette. 6 Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 ISAGRI Propone diverse linee di software che si adattano ad ogni tipologia di azienda agricola, sia essa colturale, zootecnica o di servizi. ISAPLAN: Programma di gestione cartografica dell’azienda ISAGPS: Sistema per la misurazione di superfici e distanze tramite rilevamento satellitare ISACOLTURE: Un programma di gestione delle produzioni agricole e delle attività di campagna. ISACONTAB: Si rivolge a chiunque abbia la necessità di tenere una contabilità interna, non fiscale ISAGRI è lieta di informare che ai Periti Iscritti al Collegio Nazionale viene applicato uno sconto del 25% sul prezzo di listino di tutti i software. Per maggiori informazioni, è possibile rivolgersi all’Ufficio Commerciale, chiamando il numero 0377 43 11 89, oppure mandando un’e-mail all’indirizzo [email protected] GEOWEB S.p.A Società che offre servizi telematici per professionisti Grazie alla stipula del protocollo d'intesa fra Collegio Nazionale dei Periti agrari e Periti Agrari Laureati (CNPAPAL) e GEOWEB S.p.A. si propone come punto di riferimento rappresentativo per la categoria professionale, offrendoti l’opportunità di iscriversi ai servizi con la modalità “Zero Canone”. I servizi che attualmente GEOWEB offre alla categoria sono Effettuare la PRESENTAZIONE TELEMATICA DEGLI ATTI DI AGGIORNAMENTO CATASTALE (Docfa, Pregeo); Accedere e consultare le banche dati – quali CAMERE DI COMMERCIO, PUBBLICO REGISTRO AUTOMOBILISTICO; Eseguire facilmente rilievi topografici tramite il servizio GEO-POINT; Ottenere la sovrapposizioni degli estratti di mappa alle ortofoto del territorio (dagli anni ’80 fino ad oggi) grazie al servizio GEO-SIT; Disporre del Punto di Accesso (PdA) al Processo Civile Telematico, consentendo il deposito degli atti, la gestione dei fascicoli, dei documenti, delle comunicazioni e dei pagamenti (GEO-CTU); Gestire online le proprie fatture, azzerando il consumo di carta e riducendo i tempi per l’incasso (GEO-FATTURA); archiviare qualsiasi tipologia di documento, garantendo integrità, visualizzazione e riproducibilità nel tempo (GEO-CONS); Operare nell’ambito dell’Assistenza Fiscale (GEO-CAF); Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 7 Avere la possibilità di accedere al market place della Tipografia del Genio Civile (DEI STORE), che mette a disposizione cataloghi online di volumi tecnici e banche dati dei Prezzari per l’edilizia. www.geoweb.it 8 Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Agricoltura e zootecnia Imu agricola, saldo senza sanzioni al 31 marzo C’è più di un mese per mettersi in regola sull’Imu agricola, dopo la tempesta normativa che ha condotto moltissimi contribuenti a versare importi sbagliati entro il termine del 10 febbraio. La 9 scadenza, originariamente prevista per il 16 dicembre, era stata infatti spostata prima al 26 gennaio 2015 e, successivamente, al 10 febbraio 2015 con il Dl 4/2015). La mini sanatoria, che consiste nella possibilità di effettuare il versamento complessivo dell’Imu sui terreni agricoli entro il 31 marzo 2015 senza l’applicazione di sanzioni e interessi, è il risultato di un emendamento approvato alla commissione Finanze e Tesoro del Senato nel corso della discussione del Dl sull’Imu agricola. Per il presidente della Commissione, Mauro Marino, si tratta di un risultato importante: «È stato accolto all’unanimità un emendamento del relatore secondo il quale non saranno applicati sanzioni ed interessi nel caso di ritardato versamento dell’imposta complessivamente dovuta per l’anno 2014, qualora lo stesso sia effettuato entro il termine del 31 marzo 2015». L’emendamento era stato presentato da Federico Fornaro (Pd). Un’altra proposta del relatore passata all’unanimità prevede il diritto al rimborso da parte del Comune per il contribuente che abbia pagato l’Imu sui terreni agricoli ma sia esentato con le nuove norme (che esentano dal pagamento i Comuni montani). Inoltre viene estesa dal 2014 al 2015 l’esenzione per le aree agrosilvo-montane a proprietà collettiva. A questo punto per chi non ha versato l’Imu sui terreni o ha effettuato solo un versamento parziale si tratta di rifare i conti tenendo presente i complessi meccanismi di esenzione e saldare il conto. (Saverio Fossati, Il Sole 24 ORE, 20 febbraio 2015) Arriva il robot per «curare» la vigna VineRobot è un progetto europeo che ha lo scopo di sviluppare un robot autonomo in grado di ispezionare le vigne e fornire dati utili agli agricoltori. Dotato di avanzati sensori non invasivi e di sistemi di intelligenza artificiale, sarà in grado di fornire velocemente dati affidabili e obiettivi sulla condizione delle viti, come lo sviluppo vegetativo, lo stato di irrigazione, il quantitativo prodotto e la composizione dell’uva. Vantaggio principale del progetto sarà la disponibilità di una grande quantità di dati, facili da interpretare in quanto visualizzati su semplici mappe, e trasmessi direttamente ai vignaioli attraverso una connessione wireless. Javier Tardaguila, coordinatore del progetto, ha dichiarato: «La robotica e l’agricoltura di precisione forniscono agli agricoltori potenti strumenti per migliorare la competitività dei loro campi. Un robot come quello che stiamo sviluppando non sostituirà i vignaioli, ma li faciliterà, evitando loro la parte più dura del lavoro nelle vigne. Ha diversi vantaggi, inclusa la possibilità di predire la produzione d’uva o il suo grado di maturazione, stimandone immediatamente la qualità senza toccarla». Il sistema è più veloce rispetto ai dispositivi manuali oggi disponibili, ed è più flessibile, più preciso e meno costoso rispetto ai droni. Di recente è stato presentato un primo prototipo del robot, che include un circuito di sicurezza di base, con molti interruttori di emergenza e un sensore che interrompe la marcia al contatto con Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 qualsiasi ostacolo. È il prodotto di un primo anno di lavoro, nel corso del quale ci si è concentrati da un lato sulla mobilità, donando al robot la capacità di muoversi sui pendii erbosi dei vigneti, e dall’altro sullo sviluppo dei vari sensori di cui il robot è dotato. L’obiettivo per il prossimo anno è renderlo in grado di muoversi autonomamente tra i filari usando una visione stereoscopica, e integrando inoltre una videocamera laterale per monitorare la crescita delle piante. Il progetto VineRobot, che si concluderà nel 2016, è incluso nel settimo programma quadro di ricerca (Fp7) con un finanziamento di oltre due milioni di euro, e viene realizzato da un consorzio guidato dal Laboratorio di robotica agricola dell’Università di La Rioja, Spagna. Del consorzio fanno parte aziende e istituti universitari di Francia, Germania e Italia. In particolare la startup italiana di optoelettronica Sivis ha partecipato alla progettazione del robot e dei suoi sistemi, fornisce assistenza tecnica e contribuisce alle dimostrazioni sul campo. (Il Sole 24 ORE –Nova24, 18 febbraio 2015) 10 Il laser che rivela se la mela è matura Chi non ha provato la delusione di addentare un frutto e scoprirlo troppo acerbo, oppure troppo maturo? Perché la qualità sia quella che ci aspettiamo è essenziale che la raccolta della frutta avvenga al momento giusto, che non è sempre facile valutare a occhio. Ora una ricerca è venuta incontro agli agricoltori, proponendo l’utilizzo di un laser per stabilire il grado di maturazione. Ci hanno lavorato due gruppi di ricercatori, basati all’Università Saint-Joseph di Beirut e all’Università della Bretagna occidentale di Brest. I frutti si dividono in climaterici, che comprendono tra l’altro banane, pesche, mele, kiwi, pere, meloni, pomodori, kaki, albicocche, e aclimaterici. «I frutti climaterici continuano a maturare anche dopo il distacco dalla pianta, con produzione di etilene, l’ormone della maturazione», spiega Rene Nassif, uno degli autori della ricerca. «Sono perciò caratterizzati da un picco climaterico, il massimo rilascio di etilene, che indica che il frutto e maturo. Dopodiché diventa più suscettibile a invasione da parte di funghi, o comincia a degradarsi a causa della morte cellulare». Per identificare il picco climaterico, i ricercatori hanno studiato due partite di mele Golden, mantenute sia a temperatura ambiente sia refrigerate, e hanno esaminato l’evoluzione delle “biomacchie” che si producono illuminando i frutti con luce laser. Viene sfruttato cioè il fenomeno per cui la luce coerente, quando colpisce un mezzo disordinato, non perde la propria coerenza ma subisce cambiamenti casuali di fase. Tali cambiamenti generano interferenze che, proiettando la luce su una superficie, si traducono in una serie di “speckle” (macchioline). Se il mezzo è biologico, lo schema di macchie varia nel tempo seguendo l’evoluzione del mezzo stesso. I ricercatori si sono serviti di un semplice allestimento, con un laser, dispositivi in grado di ottenere vari tipi di polarizzazione della luce, e una videocamera digitale per registrare l’evoluzione delle biomacchie. Una volta ottenuti, gli schemi di biomacchie possono essere correlati con una misura delle concentrazioni di etilene. «Questo approccio – spiega Nassif – ci ha permesso di validare le biomacchie come metodo non invasivo per valutare l’entità della respirazione del frutto e la produzione di etilene, che sono usati oggi come indice di maturazione e per determinare il picco climaterico». L’équipe ha lavorato anche sulle pere Conference, affiancando l’analisi delle biomacchie con misure di fluorescenza e biochimiche. «In questo modo – spiega ancora Nassif – siamo riusciti a dimostrare che con l’aumento della concentrazione di glucosio diminuisce il grado di polarizzazione circolare della luce». Ora i ricercatori sono impegnati nel creare una simulazione matematica che dia conto di tutte le variazioni dello schema delle macchie in funzione dei cambiamenti all’interno del frutto. Ma lo scopo ultimo è quello di realizzare uno strumento portatile che permetta ai contadini di misurare la maturazione quando i frutti sono ancora sulla pianta. «Sarebbe di grande interesse, visto che la maggior parte dei test usati oggi sono distruttivi, o si basano su criteri visivi spesso fallibili». (Il Sole 24 ORE –Nova24, 18 febbraio 2015) Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 La cooperazione agroalimentare cresce, nonostante la crisi La cooperazione agroalimentare sfida la crisi e cresce nonostante il calo dei consumi. A salvare il modello è il forte legame con il territorio, la capacità di valorizzare la materia prima (il 40% della produzione agricola passa attraverso le coop), una forte connotazione nazionale con il 97% dei prodotti agricoli trasformati provenienti dal territorio nazionale (solo l'1% è reperito sui mercati esteri) e una spinta all'export. Un'altra caratteristica è la presenza capillare sul territorio anche se le performance fotografano un andamento a due velocità con un Nord che corre di più grazie a realtà produttive di maggiori dimensioni e un Sud che arranca. È il quadro tracciato dall'annuale rapporto dell'Osservatorio sulla Cooperazione agricola istituito dal ministero delle Politiche agricole e sostenuto da Agci-Agrital, Fedagri-Confcooperative, LegacoopAgroalimentare e Unicoop. Forte radicamento territoriale Il perseguimento della mission – spiega il rapporto – è confermato dalla quantità di materia prima locale: il 73% dei prodotti infatti viene acquisito nella regione in cui opera la coop, il 26% è 11 nazionale. Un radicamento territoriale che– secondo quanto sostiene lo studio – garantisce prezzi più remunerativi rispetto al mercato. Due gli esempi di coop che assicurano ai propri soci prezzi più alti. Latteria Soresina, una coop del settore lattiero caseario (225 i soci) che nel periodo preso in esame (2007-13) ha pagato agli allevatori il 10% in più rispetto a quanto riconosciuto in Lombardia (394 euro a tonnellata contro 357). Stesso discorso per il vino: Mezzacorona (che rappresenta il 40% della viticoltura trentina) ha pagato il 23% in più per il Pinot grigio rispetto al prezzo in Trentino e il 9% per il Teroldego rotaliano. Valorizzato il 29% della produzione agricola (15 miliardi) La cooperazione valorizza il 29% della produzione agricola nazionale pari a circa 15 miliardi su 51 e se si considerano anche i fornitori non soci la quota sale a 19 miliardi (37%). Nel sistema agroalimentare nazionale – rileva lo studio – le performance delle coop sono migliori di quelle delle società di capitali. Il sistema cooperativo fa leva su poco più di 5mila coop, 93.437 addetti e un fatturato di 35 miliardi pari al 23% del giro d'affari complessivo dell'agroalimentare (130 miliardi) con un peso del 13% dell'export. Il fatturato 2013 ha segnato sull'anno precedente una crescita del 5,8% a fronte del +1,5% del totale alimentare. In un'analisi per un periodo di 4 anni la cooperazione esce vincente dal confronto con le società di capitali sul fronte del fatturato (+15% su 10%), valore aggiunto (15% contro 10%) e retribuzioni (+18% a fronte del 14%). Imprese a due velocità, deficit di competitività al Sud Ma ci sono anche dei coni d'ombra legati alla dimensione ancora insufficiente, soprattutto al Sud, a garantire la competitività. Segni negativi infatti per le imprese sotto il fatturato di 2 milioni, mentre i dati in crescita sono direttamente proporzionali all'aumentare della dimensione con il top per le realtà produttive oltre i 50 milioni che mettono a segno +17% del fatturato, +16% del valore aggiunto e +20% delle retribuzioni. «Le adeguate dimensioni – sottolinea il report– sono un fattore nevralgico per garantire migliori performance di impresa». Ed è al Nord che si concentrano i big: 45% delle imprese che realizzano un giro d'affari pari all'82% del totale, il Sud con il 41% di coop si ferma all'11 per cento. Il trend positivo viene confermato anche dai numeri di inizio anno e il presidente dell'Alleanza delle coop agroalimentari, Giorgio Mercuri nel sottolineare la buona tenuta dei principali indicatori macroeconomici ha affermato come sia questo «il grande merito che ha avuto la cooperazione negli ultimi anni, ovvero quello di indirizzare la produzione delle aziende agricole in un'ottica tutta orientata al mercato, nazionale ed estero, valorizzando al massimo i prodotti conferiti dai soci». Ci sono ancora spazi per crescere e raggiungere i livelli di Francia e Olanda Ma ci sono spazi per crescere, ha rilevato Ersilia Di Tullio responsabile scientifico dell'Osservatorio: «oggi grazie ai suoi approvvigionamenti di materia prima la cooperazione italiana valorizza il 39% della produzione agricola nazionale. In altri paesi europei, a forte matrice cooperativa, questa quota è superiore, assestandosi al 55% in Francia e al 68% in Olanda». Ma c'è anche un'autocritica fatta dall'interno. Il presidente di Legacoop agroalimentare, Giovanni Luppi, ha invitato tutte le organizzazioni a passare dalle dichiarazioni di intenti ai fatti spingendo alle aggregazioni anche tra coop associate a centrali diverse: «in questi ultimi 4 anni non ho visto un'operazione di fusione». Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Martina: spazio agli investimenti anche grazie alla nuova mission di Isa Il ministro Martina, da parte sua, si è impegnato a sostenere gli investimenti in progetti coop e ha ricordato come nell'ultimo anno le scelte siano andate in questa direzione, dai contratti di filiera (rifinanziati dal Cipe a novembre scorso con 130 milioni) alle reti di impresa fino al nuovo decreto in cantiere per rafforzare le Organizzazioni dei produttori. E anche Isa (la finanziaria dell'agroalimentare che fa capo al Mipaaf) si è schierata al fianco di soggetti forti compiendo così un salto di qualità nella sua mission. E ora Martina ha auspicato che la funzione di Isa si possa ulteriormente rafforzare con un intervento normativo che dovrà passare dal collegato. (Annamaria Capparelli, Il Sole 24 ORE – Impresa & Territorio, 17 febbraio 2015) Una cabina di regia per riqualificare il lavoro agricolo In tempi brevi i prodotti alimentari potranno fregiarsi sullo scaffale anche di una certificazione etica del lavoro. Un bollino che oggi viene dato dalle catene distributive, ma in modo autonomo. La 12 svolta potrebbe arrivare dalla cabina di regia del lavoro agricolo di qualità, insediata da qualche giorno presso l'Inps, che potrà certificare le pratiche virtuose. È stato così inserito un altro tassello nel puzzle di «Campolibero» il provvedimento del ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, finalizzato a riqualificare il lavoro nel settore e favorire il turn over. Ma anche un atto importante verso una semplificazione degli adempimenti e dei controlli. Fabio Vitale alla guida della nuova struttura La cabina, guidata da Fabio Vitale (direttore centrale vigilanza dell'Inps) è composta dalle organizzazioni agricole e sindacali, dai ministeri delle Politiche agricole, Lavoro ed Economia e dalla conferenza delle regioni. Il Mipaaf ha ricordato i requisiti richiesti alle imprese che vogliono aderire al nuovo strumento: non aver riportato condanne penali e non avere procedimenti penali in corso per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale e in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto; non essere stati destinatari, negli ultimi tre anni, di sanzioni amministrative definitive per le violazioni inerenti a lavoro e imposte; essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi. Martina: un passo importante per la semplificazione e competitività «Con la Rete del lavoro agricolo di qualità - ha dichiarato il ministro Martina - diamo il via a una semplificazione dei controlli previdenziali sulle imprese agricole che aderiranno, mettendo un altro tassello utile per la competitività delle imprese e per il contrasto al lavoro nero. Abbiamo fortemente voluto questo strumento anche per costituire un coordinamento tra istituzioni e parti sociali che potrà essere utile per il rilancio del settore e per un rafforzamento del lavoro sul piano della legalità. Siamo certi, poi, che anche le filiere agroalimentari ed i consumatori sapranno apprezzare la forma di certificazione etica che la rete del lavoro agricola di qualità sarà in grado di offrire». Sindacati: premialità per le aziende virtuose Soddisfatti i sindacati agricoli (Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil) che proprio la settimana scorsa da Rosarno, città simbolo del lavoro illegale, avevano lanciato un ennesimo appello a porre fine alle condizioni di irregolarità. Per i sindacati la cabina è uno strumento importante della riforma del mercato del lavoro agricolo. Sarà così possibile – spiegano Fai, Flai e Uila – «orientare l'attività ispettiva e di vigilanza nei confronti delle imprese non iscritte alla Rete; confermare un principio di condizionalità, ma anche di premialità, nei confronti dei datori di lavoro che rispettano la legislazione sociale ed i contratti collettivi di lavoro». La prima convocazione della cabina è fissata il 2 marzo prossimo e a seguire altre due riunioni sono state già programmate per il 16 e il 30 marzo. Anche la Confederazione italiana degli agricoltori (Cia) valuta positivamente lo strumento che «può creare un sistema virtuoso fatto di azioni positive e non semplicemente punitive, purché si introducano meccanismi semplici e non ulteriori appesantimenti burocratici». (Annamaria Capparelli, Il Sole 24 ORE – Impresa & Territorio, 17 febbraio 2015) Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Una piattaforma di dati per raccontare la realtà Le informazioni diventano terreno fertile per trasformare la notizia in un lavoro complesso. Alla portata di tutti i lettori «Data is the new oil», recita un adagio ormai già vecchio e divenuto negli anni una sorta di mantra per schiere di direttori marketing ossessionati da Google Analytics. Un parallelismo tanto infelice quanto calzante quello tra il petrolio, su cui era fondata l’economia del XX secolo, e la fonte eternamente rinnovabile dei dati su cui è fondata invece l’odierna economia digitale. Fu probabilmente l’esperto di marketing Michael Palmer a proporre per primo questo paragone in un articolo del 2006 in cui notava come i big data, così come il petrolio, non valgono nulla se prima non vengono “raffinati”, cioè processati. E il parallelismo si estende a molti altri concetti, come quello di data spill (una fuga accidentale in palese analogia con oil spill) e data pollution (inquinamento di dati) senza trascurare il rischio che attorno ai dati possano generarsi veri conflitti 13 internazionali. A tal proposito sono ben noti i rapporti tra Cia e Google che custodisce e commercia centinaia di milioni di profili-utente ricchi di informazioni private. Le problematiche più vicine a chiunque sia utente della grande rete sono dunque quelle legate a un certo tipo di dati che si definiscono user generated. Si tratta cioè di quei dati immessi o generati inconsapevolmente dagli utenti che vengono registrati sui server di alcune grandi corporation e poi venduti in pacchetti da 50 o 100mila profili-utente ad aziende che desiderano fare pubblicità mirate sulla loro target audience. I meccanismi di analisi e messa a sistema delle informazioni raccolte sono molti e complessi e l’approvvigionamento (tecnicamente data harvesting o data scraping) non avviene solo su internet. In un episodio di cronaca abbastanza recente una quindicenne statunitense che aveva da poco scoperto di essere incinta ha ricevuto per posta buoni sconto per pannolini e biberon dal supermercato di fiducia. Questo ancora prima di aver comunicato la sua condizione ai genitori. L’incidente, cui è seguita una disputa legale, è stato generato da un meccanismo di promozioni mirate basato sull’analisi di comportamenti apparentemente non rilevanti di cui la giovane consumatrice aveva lasciato traccia con pagamenti elettronici (una maggior spesa in vitamine, l’acquisto di una borsa più capiente e di altri beni che secondo le statistiche sono maggiormente ricorrenti nei carrelli delle donne in dolce attesa). Al di là di questo fatto di cronaca che stigmatizza l’evidente problema di privacy connesso all’utilizzo di internet e ai pagamenti elettronici, il potenziale dei dati, che oggi si è in grado di raccogliere in grande quantità, ma soprattutto di computare, è immenso. Le nuove frontiere dell’agricoltura, giusto per fare un esempio apparentemente lontano dal mondo digitale, passano infatti attraverso i Big data, con il crescente uso di sensori tra i filari e l’applicazione ai dati raccolti di modelli statistici ed epidemiologici. Questo avviene per l’elaborazione di modelli comportamentali legati all’andamento meteorologico o lo studio degli eventi avversi quali infestazioni e parassiti: un applicazione chiamata Vite.net, creata da Horta in seno all’Università Cattolica di Piacenza, ha già consentito nei primi due anni di sperimentazione di abbattere del 24% i trattamenti fitosanitari. Cosa occorre dunque fare per promuovere un uso responsabile dei Big data e prevenire gli errori già commessi maneggiando la principale risorsa della vecchia economia? Una possibilità per un cambio di paradigma la propone il designer e data journalist David McCandless con l’enfatica aggiunta di una lettera S: «Data is the new soil», ovvero un terreno fertile, un medium piuttosto che un bene da commerciare. Visualizzazioni e infografiche, in questa allegoria, sono fiori e germogli che avvicinano con la loro bellezza e immediatezza una grande platea di potenziali osservatori a dati altrimenti troppo complessi per essere considerati interessanti. Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Perché, come sottolinea Jer Thorp, data artist e docente presso l’Università di New York, una presa di coscienza collettiva sul tema dell’uso etico dei Big data si può ottenere solo se tutti ne faranno esperienza. Questa è la grande missione dell’information design: incuriosire noi utenti e poi agevolare il nostro orientamento all’interno della complessità e della ridondanza delle moltissime informazioni che è oggi possibile raccogliere, evitando però i rischi dell’ipersemplificazione, poiché nella vastità del pubblico «sono presenti tanti Bart Simpson quante Lisa Simpson» come ama dire Shan Carter del «New York Times» per sottolineare l’importanza di saper parlare a una platea quanto più ampia possibile. (Il Sole 24 ORE – Nova 24, 15 febbraio 2015) Una via «green» per smaltire i reflui In Lombardia è possibile presentare domanda di contributo per realizzare interventi di fitodepurazione: è quanto prevede il bando lanciato per promuovere la sostenibilità ambientale delle attività agricole e del settore rurale, oltre che, in generale, la qualità dell’ambiente. Le richieste di contributo possono essere presentate fino al 2 marzo 2015 da Provincie, Comunità montane, Comuni, Consorzi di bonifica e Consorzi di miglioramento fondiario di II grado. Il budget a disposizione, spiegano i tecnici dell’assessorato all’Agricoltura, è di oltre 400mila euro ma potrebbero aggiungersi altre risorse generate da economie di scala di analoghe tipologie di bandi. La fitodepurazione è una tecnica naturale di rimozione degli inquinanti utilizzabile per i reflui agricoli oltre che civili e industriali. È, allo stesso tempo, anche uno strumento efficace di miglioramento e salvaguardia ambientale e una soluzione economicamente interessante per la gestione delle acque di scarico di derivazione agricola e zootecnica. Il bando è stato emanato in applicazione della delibera della Giunta regionale del 2005 «Iniziative in materia agro-forestale» in attuazione dell’articolo 24 atto integrativo Accordo di Programma «Ambiente ed Energia» e dell’articolo 13 dell’Accordo di programma «Tutela delle acque e gestione integrata delle risorse idriche». L’obiettivo è quello di incentivare la realizzazione e la ricostituzione di zone umide favorendo la fitodepurazione per prevenire l’apporto diffuso di nutrienti di origine agricola nella gestione e riqualificazione del territorio rurale e migliorare la qualità delle acque superficiali e sotterranee. Gli interventi devono avere una connessione con l’attività agricola e il settore rurale. Le acque in entrata devono essere acque di origine agricola (coltivazione, allevamento e attività connesse) o acque provenienti da piccole aziende agroalimentari, provenienti in ogni caso da corpo idrico superficiale o acque provenienti da impianto di trattamento delle acque reflue urbane. Il bando, entrando nel dettaglio, finanzia la realizzazione e ricostituzione di aree umide con creazione di filtri vegetali; la realizzazione di aree a parziale sommersione con impiego di essenze arboree ed erbacee e creazione di filtri vegetali. Per ogni singolo beneficiario è ammesso solo un intervento: fanno eccezione le Amministrazioni provinciali, che possono presentare più domande di intervento se localizzati in comuni diversi. L’importo massimo del contributo non può superare 150mila euro e viene concesso in conto capitale fino al limite del 70% della spesa ammessa. Per gli interventi previsti a valle di impianti di trattamento delle acque reflue urbane, il contributo è concesso fino a un limite massimo del 40%. La domanda di adesione deve essere presentata sul modello predisposto dalla direzione generale Agricoltura con in allegato il progetto definitivo, sottoscritto da un tecnico progettista abilitato. Gli interventi possono essere realizzati in tutta la regione. I bandi lanciati in passato hanno consentito di realizzare in Lombardia 20 impianti di fitodepurazione oggi operativi e concorrono alla depurazione delle acque di scarico delle aree rurali. (Francesca Baccino, Il Sole 24 ORE – Agrisole Tabloid – 20-26 febbraio 2015) Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 14 Rispunta la voglia di fare impresa E sono tre. Dopo le indicazioni in arrivo dal Centro Studi di Confindustria e da Bankitalia - tutte volte a disegnare un 2015 come spartiacque, dopo anni di recessione - anche il dato diffuso ieri da Unioncamere sulla nati-mortalità delle imprese (sulla base di Movimprese, la rilevazione condotta da Infocamere) sembra spingere a guardare con maggiore fiducia ai prossimi mesi. Un numero su tutti: il bilancio tra aperture e chiusure nel 2014 è stato positivo per 30.718 unità. Lo stock di imprese registrate è quindi cresciuto dello 0,51%, ben più del +0,21% di crescita messo agli atti nel 2013. «I segnali che vengono dall’economia reale - ha commentato il presidente di Unioncamere Ferruccio Dardanello - indicano che, a differenza delle tante false partenze registrate in questi anni, stavolta forse siamo davanti ad una reale opportunità di invertire la rotta». A incidere positivamente sul risultato è senz’altro la marcata frenata delle cessazioni, che sono state 31.541 in meno rispetto a quanto avvenuto nei dodici mesi precedenti. In numero assoluto, le chiusure sono state 340.261. Analizzando la serie storica si tratta del secondo miglior risultato degli ultimi sette anni, dietro solo dopo a quello del 2010: l’anno della “ripresina” con il saldo fra aperture e cessazioni più elevato del periodo (allora 72.530). In questo quadro, per Unioncamere dai dati sulla nati-mortalità nel 2014 emerge un’ulteriore elemento che potrebbe spingere a pensare a una crescita “non effimera”. L’intero saldo positivo dell’anno è infatti totalmente spiegato dalla forte crescita delle società di capitali: 47.508 in più in termini assoluti, pari a una crescita del 3,29% rispetto al 2013. «Il dato - si legge nella nota diffusa da Unioncamere - conferma un orientamento ormai consolidato tra i neo-imprenditori italiani che, per affrontare il mercato, si affidano sempre più spesso a formule organizzative più “robuste” e strutturate. Non solo perché più capaci di intercettare gli incentivi pubblici opportunamente messi al oro disposizione, ma soprattutto perché la società di capitali si presta a essere più attrattiva rispetto a nuovi investitori e, dunque, a consentire un percorso di crescita all’idea di business». A livello territoriale i saldi fra aperture e cessazioni sono stati positivi in Nord Ovest (6.902), ma soprattutto Centro (12.908) e Sud-Isole (11.893). Leggero segno meno invece nel Nord Est (-985). Da sottolineare il risultato del Lazio il cui tasso di crescita dello stock di imprese è stato dell’1,80%: tre volte il dato nazionale. Quanto invece ai settori, i saldi maggiori in termini assoluti si sono registrati nelle “Attività di alloggio e ristorazione” (+10.910 unità), nei “Servizi di supporto alle imprese” (9.290) e nel “Commercio” (7.544). All’estremo opposto manifattura (-3.984 rispetto al 2013), costruzioni (-7.308 unità) e agricoltura (-15.742 unità). (Andrea Biondi, Il Sole 24 ORE – Impresa e Territori, 4 febbraio 2015) Agevolazioni per agricoltura Abruzzo: approvata la misura 1.3 del Fep 2007-2013 Approvato il bando della Misura 1.3 del PO FEP 2007/2013 relativo al finanziamento degli Investimenti a bordo dei pescherecci e selettività con determinazione dirigenziale n. DH42/11 del 6 febbraio 2015. Le domande di contributo dovranno essere presentate entro e non oltre il 10 Aprile 2015. La dotazione finanziaria è di 270.251 Euro. (Il Sole 24 ORE - Agevolazioni24 per l’agricoltura, 16 febbraio 2015) Campania: Ocm vino, approvata la misura "investimenti" Con decreto dirigenziale regionale n. 40 del 13 febbraio 2015 è stato emanato il bando relativo alla misura Investimenti per la campagna 2014/2015. Le domande dovranno essere presentate dai beneficiari entro e non oltre il termine del 6 marzo 2015, a pena di esclusione, mentre il termine Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 15 ultimo per la trasmissione delle domande complete di tutta la documentazione è fissato all'11 marzo 2015. L'importo a disposizione per la misura è pari 1.409.979,00 euro. (Il Sole 24 ORE - Agevolazioni24 per l’agricoltura, 16 febbraio 2015) Italia: Fondo di credito in agricoltura Con decreto del ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali 11 dicembre 2014, pubblicato nella G.U. n. 35 del 12 febbraio 2015, sono stati stabiliti i criteri e le modalità per l'accesso al Fondo di credito in agricoltura istituito con l'articolo 17 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102 Possono beneficiare dei Finanziamenti agevolati del Fondo di credito le Imprese agricole che possono richiedere finanziamenti a breve, medio e lungo termine destinati alle attività agricole e connesse, mediante la presentazione della domanda di contributo alla Banca convenzionate (Il Sole 24 ORE - Agevolazioni24 per l’agricoltura, 16 febbraio 2015) 16 Sicilia: la nuova classificazione degli agriturismi Con decreto dirigenziale n. 38 del 21 gennaio 2015, la regione siciliana ha approvato la nuova classificazione delle aziende agrituristiche in Sicilia". Per la classificazione sarà utilizzato il marchio nazionale "agriturismo Italia" e le aziende agrituristiche saranno assegnati da uno a cinque girasoli a seconda dei requisiti censiti. La classificazione ha validità triennale e la sua assenza comporta l'esclusione da ogni finanziamento pubblico regionale alle aziende agrituristiche. (Il Sole 24 ORE - Agevolazioni24 per l’agricoltura, 9 febbraio 2015) Lazio: OCM vino: approvata la misura della "ristrutturazione e riconversione dei vigneti" Con la determinazione n. 926 del 6 febbraio 2015 sono stati aperti i termini per la presentazione delle domande di aiuto per la partecipazione al bando 2014-2015 relativo alla misura della ristrutturazione e riconversione dei vigneti. Il termine ultimo per la presentazione delle domande e delle eventuali domande di rettifica sul SIAN è stato fissato al 27 febbraio 2015, mentre le domande in forma cartacea, in originale e corredate degli allegati, devono essere trasmesse alle Aree Decentrate Agricoltura competenti per territorio entro il 5 marzo 2015. Sono ammessi al sostegno esclusivamente gli interventi da realizzare su vigneti, iscritti o da iscrivere nei disciplinari di produzione dei vini a Denominazione di Origine ovvero ad Indicazione Geografica. L'importo a disposizione dei viticoltori che operano nel territorio laziale è di circa 2.545.506,00 Euro. (Il Sole 24 ORE - Agevolazioni24 per l’agricoltura, 9 febbraio 2015) Sardegna: Ocm vino: approvata la misura "investimenti" Approvato, con determinazione dirigenziale n. 1324/31 del 02/02/2015 Il bando a sostegno degli investimenti nel settore del vino che prevede aiuti ai viticoltori sardi per gli investimenti materiali e/o immateriali in impianti di trasformazione, in infrastrutture vinicole e nella commercializzazione del vino da realizzare esclusivamente sul territorio regionale. La compilazione e la presentazione delle domande dovrà essere effettuata esclusivamente in via telematica entro il 6 marzo 2015. L'importo a disposizione per l'annualità 2015 è pari a Euro 1.613.355,00. (Il Sole 24 ORE - Agevolazioni24 per l’agricoltura, 4 febbraio 2015) Marche: Carburante agricolo agevolato Pubblicata sul BUR del 19 gennaio 2015, n. 5, la deliberazione della giunta regionale n. 1423 del 22 dicembre 2014 con cui la regione Marche intende avviare in via sperimentale nuove modalità di assegnazione anticipata di prodotti petroliferi agevolati in agricoltura. I soggetti aventi titolo ad accedere all' agevolazione fiscale di cui all'art. 2 del Decreto Ministeriale n. 454 del 2001 possono richiedere l'anticipo previa dichiarazione dei consumi di carburante assegnati nell'anno precedente Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 senza necessità di validare il fascicolo aziendale. A tale richiesta di anticipo deve far seguito la presentazione entro il 30 giugno dello stesso anno, la richiesta annuale ai sensi dell'art. 2, comma 4 del D.m. n. 454 del 2001. In caso di inadempimento verrà avviato tempestivamente il procedimento per il recupero dell'accisa sul carburante agricolo agevolato prelevato a titolo di anticipo. (Il Sole 24 ORE - Agevolazioni24 per l’agricoltura, 2 febbraio 2015) Ambiente Stop regionali al consumo di suolo In attesa della legge quadro nazionale, alcune Regioni hanno già varato una legge per frenare il consumo del suolo e altre stanno valutando proposte di legge dirette in tal senso. In materia di 17 governo del territorio, del resto, Stato e Regioni hanno potestà legislativa concorrente. Spetta quindi allo Stato determinare i principì fondamentali e alle Regioni assumere i provvedimenti legislativi di dettaglio. Il contenimento del consumo del suolo, la valorizzazione del territorio inedificato e la rigenerazione urbana ad oggi sono obiettivi comuni, riconosciuti anche su scala europea. Il traguardo dettato da un recente studio della Commissione europea prevede che l’incremento della quota netta di occupazione di terreno debba tendere ad arrivare a zero entro il 2050. La legge regionale lombarda 28 novembre 2014, n. 31 riconosce il suolo come bene comune fondamentale per l’equilibrio dell’ambiente, la salute, l’alimentazione, la tutela degli ecosistemi naturali e la difesa dal dissesto idrogeologico. La legge pone innanzitutto due paletti: -prevede che gli strumenti urbanistici comunali possano autorizzare consumo di suolo esclusivamente qualora sia dimostrata l’insostenibilità tecnica ed economica della riqualificazione delle aree edificate; stabilisce che gli strumenti comunali non possono disporre nuove previsioni comportanti ulteriore consumo del suolo sino a che non siano state del tutto attuate le previsioni di espansione e trasformazione vigenti alla data di entrata in vigore della legge stessa. Ancora, la normativa lombarda riconosce incentivi economici e tecnici: -gli ambiti di rigenerazione urbana in cui vengano inseriti interventi di ristrutturazione urbanistica godono della riduzione del contributo di costruzione; la superficie lorda di pavimento relativa agli interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente che migliorino l’efficienza energetica in misura superiore al 30% sia calcolata al netto dei muri perimetrali portanti e di tamponamento, nonché dei solai che costituiscono involucro esterno delle ristrutturazioni. La legge non ha tuttavia mancato di destare qualche perplessità. La norma transitoria, infatti, chiede ai Comuni di adeguare i piani di governo del territorio (Pgt) alle disposizioni della legge stessa in occasione della prima scadenza del documento di piano successiva all’adeguamento degli strumenti sovraordinati. Poi però consente l’approvazione - secondo la normativa previgente - di piani attuativi conformi ai Pgt attualmente in essere, nonché di piani attuativi in variante ai medesimi strumenti, sempre che la relativa istanza sia stata presentata entro 30 mesi dall’entrata in vigore della Lr 31/2014. La legge, per questo, è stata tacciata di andare in senso contrario e di sollecitare l’attuazione delle possibilità edificatorie, ma del resto non si è ritenuto corretto ritirare per legge l’affidamento dei privati sulle legittime previsioni degli strumenti urbanistici vigenti. Parimenti attiva nel contrasto al consumo di suolo è stata la Regione Toscana che, con la legge regionale 10 novembre 2014, n. 65. La normativa toscana prevede che gli interventi comportanti impegno di suolo non edificato siano consentiti solo all’interno del territorio urbanizzato individuato dal piano strutturale dei comuni. Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Le trasformazioni non residenziali fuori dal territorio urbanizzato, che comportino impegno di suolo inedificato, sono ammesse esclusivamente previo parere favorevole della conferenza di copianificazione, cui è rimessa la verifica che non sussistano alternative sostenibili di riutilizzazione degli insediamenti esistenti e l’indicazione di eventuali interventi compensativi degli effetti indotti sul territorio. Si affidano ad altre normative locali, tra le altre, il Piemonte che, con legge regionale n. 3 del 25 marzo 2013 ha sancito il principio secondo cui gli strumenti di pianificazione assicurano lo sviluppo sostenibile attraverso la riqualificazione degli ambiti urbanizzati e il contenimento del consumo di suolo, e la Regione Umbria, la quale, prima con la lr 12/2013 ha previsto premialità e compensazioni al fine di contenere il consumo di suolo e poi ha sancito questo principio nella legge sul governo del territorio (n. 1/2015) come principio guida. A queste si aggiungono poi le numerose Regioni che stanno vagliando in Consiglio progetti di legge volti alla salvaguardia del territorio. LA MAPPA Le Regioni che hanno una legge o un progetto di legge sul contenimento del consumo di suolo Abruzzo In vigore la lr 28 aprile 2014, n. 24 “Legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo” Basilicata Progetto di legge per il contenimento dell’uso del suolo agricolo Bolzano (Provincia autonoma) La legge del suolo Calabria Nel 2013 è stato presentato un disegno di legge concernente norme per il contenimento del consumo di suolo Campania La legge regionale 16/2004 dispone che la pianificazione urbanistica debba perseguire la «promozione dell’uso razionale e dello sviluppo ordinato del territorio urbano extraurbano mediante il minimo consumo di suolo» provinciale 167/2013 prevede criteri per un utilizzo razionale È stato depositato un disegno di legge (n. 5674/2014) che persegue la Emilia Romagna valorizzazione e la tutela del suolo, con particolare riguardo alle superfici agricole e alle aree sottoposte a tutela paesaggistica Lazio La Regione ha recentemente approvato modifiche al piano casa (lr 10/2014) volte, tra l’altro, al contenimento del consumo del suolo Liguria Il nuovo Ptr all’esame (delibera 32/2014) contiene norme per la limitazione del consumo di suolo Lombardia È vigente la legge regionale 31/2014 contenente «norme per il contenimento del consumo di suolo» Marche È all’esame del Consiglio regionale la nuova legge urbanistica con criteri per la rigenerazione urbana (Pdl 367/2013) Piemonte Secondo la legge regionale 3/ 2013 gli strumenti di pianificazione assicurano il contenimento del consumo di suolo Puglia È in vigore la legge regionale 26/2014 volta a conferire a giovani agricoltori le aree agricole appartenenti alla Regione Sardegna Presentata una proposta di legge (n. 147/2014) per coordinare le politiche territoriali con quelle sul contenimento del consumo di suolo agricolo Trento (Provincia autonoma) La legge provinciale 1/2008 contiene alcune disposizioni che prendono in considerazione la limitazione del consumo di suolo Toscana È in vigore la legge regionale 65/2014 che dispone come le trasformazioni che comportano impegno di suolo non edificato siano consentite esclusivamente all’interno del territorio urbanizzato individuato dal piano strutturale Umbria La legge regionale 1/2015 attesta il principio secondo cui la pianificazione Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 18 urbanistica deve essere orientata al contenimento del consumo di suolo In discussione Pdl con «Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo, la rigenerazione urbana e il miglioramento della qualità insediativa» Veneto (Guido Inzaghi, Il Sole24 ORE – Norme e Tributi, 9 febbraio 2015) Antincendio Ricostituito il Comitato tecnico scientifico per la prevenzione degli incendi Con decreto del Ministro dell’Interno 28 gennaio 2015, n. 9 è stato ricostituito il Comitato tecnico 19 scientifico per la prevenzione degli incendi (C.C.T.S.). Giova rammentare, in proposito, che il Comitato è stato per la prima volta istituito con il D.P.R. 29 luglio 1982, n. 577 con funzioni di come organismo collegiale in seno al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco con il compito prioritario di elaborare ed aggiornare le normative di prevenzione incendi ed esprimere pareri su questioni e problematiche in tale settore. Il D.Lgs. 139/2006 - recante il riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco - conferma, all'art. 21, il suddetto Comitato quale organo tecnico consultivo e propositivo sulle questioni riguardanti la prevenzione degli incendi. In base all'art. 10 del citato D.P.R. 577/822, come modificato dall'art. 3 del D.P.R. 200/2004, fanno parte del C.C.T.S. esperti dei Vigili del Fuoco e di altre Amministrazioni dello Stato, rappresentanti di confederazioni imprenditoriali e dei lavoratori, del settore della ricerca e degli ordini professionali. Si tratta di una rappresentatività larga, non ispirata ad equilibri formali ma idonea a convogliare ai problemi della prevenzione incendi l'esperienza e la cultura più adeguata in campo nazionale onde assicurare il miglior risultato tecnico connesso all'interdisciplinarietà della prevenzione stessa. È pertanto evidente l'importanza di tale organismo che costituisce un tavolo tecnico di confronto dialettico tra il C.N.VV.F. e gli esponenti della società civile, presupposto indispensabile per una condivisione degli obiettivi e delle scelte nel delicato settore della sicurezza antincendio Il Comitato Centrale Tecnico Scientifico è presieduto dal Dirigente Generale Capo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco ed opera funzionalmente alle dipendenze della Direzione Centrale per la Prevenzione e la Sicurezza Tecnica. La segreteria, composta da un funzionario tecnico direttivo che svolge le mansioni di segretario e da personale amministrativo, provvede agli adempimenti tecnici, amministrativi e contabili per il corretto funzionamento della struttura finalizzato allo svolgimento delle riunioni plenarie, circa 10 annuali, e delle riunioni dei vari gruppi di lavoro. L'attività del Comitato, iniziata nel 1983, costituisce dunque un importante supporto all'azione dell'amministrazione nel settore della prevenzione incendi e viene espletata secondo un apposito regolamento che stabilisce le modalità per la formulazione del programma e della relazione annuale, per la costituzione dei gruppi di lavoro, per la elaborazione delle normative, per l'espressione dei pareri e per lo svolgimento delle riunioni. (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24ORE – Tecnici24, 18 febbraio 2015) Catasto Riclassamento illegittimo se manca la motivazione È illegittimo il provvedimento di riclassamento catastale se non è adeguatamente motivato. Ad affermarlo è la Corte di cassazione con la sentenza n. 3156/15 depositata ieri. Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 La vicenda traeva origine da un avviso di accertamento per il riclassamento di unità immobiliari di proprietà di un contribuente. In particolare, dalla motivazione indicata nel provvedimento, la nuova rendita derivava dal miglioramento del contesto urbano nel quale era inserito l’immobile. Il provvedimento era stato impugnato dinanzi al giudice tributario, il quale, in entrambi i gradi di merito, ne confermava l’illegittimità. La Commissione tributaria regionale, sul punto, precisava che era privo degli elementi concreti sul presupposto dei quali l’ufficio aveva riclassificato l'immobile. L’agenzia del Territorio ricorreva così per Cassazione, evidenziando che la riqualificazione urbanistica richiamata nell’avviso di accertamento costituisce un fatto notorio e pertanto il mero richiamo era di per sé sufficiente a giustificare il riclassamento. I giudici di legittimità, confermando le decisioni di merito, hanno dato continuità ad un 20 orientamento che si sta ormai consolidando. L’atto con cui l’agenzia del Territorio attribuisce d’ufficio un nuovo classamento ad un’unità immobiliare a destinazione ordinaria deve chiaramente specificare a cosa sia dovuto il mutamento. Tale principio è stato affermato per consentire al contribuente di individuare agevolmente il presupposto della riclassificazione ed approntare le consequenziali difese, delimitando così l’oggetto del successivo ed eventuale contenzioso. È necessario, infatti, che sia dettagliata la qualità urbana del contesto in cui l’immobile è inserito, quindi le infrastrutture, i servizi, ecc., così come servono dettagli sulla qualità ambientale, ossia sul pregio o degrado dei caratteri paesaggistici e naturalistici della zona di mercato immobiliare in cui l’immobile è ubicato. Infine, è necessario che si dia evidenza delle caratteristiche edilizie dell’unità stessa e del fabbricato che eventualmente comprende l'unità e quindi specificando l'esposizione, il grado di finitura, ecc… Il contribuente deve così essere posto nella condizione di poter contestare efficacemente l’an e il quantum, svolgendo un’adeguata difesa. Recentemente peraltro la Corte di cassazione (sentenza 23247/14) ha precisato quale deve essere il contenuto minimo per gli atti catastali. Per garantire il diritto di difesa del contribuente, l’atto deve contenere: - la specifica menzione dei rapporti tra valore di mercato e catastale nella microzona di riferimento, qualora la modifica sia stata avviata su richiesta del Comune ai sensi dell’articolo 1, comma 335, della legge 311/04; - l’analitica indicazione delle trasformazioni edilizie nell’ipotesi di variazione ai sensi dell’articolo 1, comma 336, della legge 311/04; - l’indicazione dei fabbricati, del loro classamento e delle caratteristiche analoghe che li rendono simili all’unità oggetto di riclassamento, quando l’atto sia conseguenza ad un aggiornamento ovvero ad una palese incongruità rispetto ad altri immobili. È auspicabile che gli uffici si adeguino quanto prima a tali precise indicazione, non fosse altro per evitare inutili contenziosi. (Laura Ambrosi Il Sole24 ORE – Norme e Tributi, 18 febbraio 2015) Catasto a metri quadri anche senza mappa La riforma del catasto sta per approdare al Consiglio dei ministri (non si sa ancora se con un passaggio preventivo alla mini bicamerale). La bozza del decreto che ne prevede dettagli e procedure (già anticipati nei giorni scorsi, come i metodi di determinazione dei nuovi valori patrimoniali e delle nuove rendite a partire dai dati di mercato) è ormai pronta e tra i contenuti non mancano interventi pesanti sulle situazioni un po’ arrugginite e sedimentate nei decenni. Sono infatti 3-4 milioni le unità immobiliari ancora senza planimetria: un problema per il passaggio Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 obbligatorio ai metri quadrati previsto dalla delega fiscale per la riforma del catasto. Un problema che ha radici antiche: quando sono iniziati i lavori per il nuovo catasto, nel 1939, erano ancora tante le case senza «mappa», soprattutto quelle più antiche o quelle in campagna. Nei decenni le cose sono migliorate e tutte le planimetrie esistenti sono state «rasterizzate», cioè sono state ricavate le metrature in base alla scala indicata nel disegno. Ma è sempre rimasto uno zoccolo duro che le varie norme (anche quelle che imponevano a vario titolo di presentare le mappe o indicare la metratura) non sono riuscite a scalfire davvero. Sinora non era un problema, dato che le rendite catastali erano calcolate sulla base dei «vani» che componevano l’unità immobiliare: si considera vano utile il locale che ha destinazione principale (camera, stanza, salone). Il vano accessorio (bagno, ingresso, corridoio) si computa normalmente per un terzo di vano; i vani accessori strumentali (soffitte, cantine, eccetera) valgono un quarto di vano. Ora, però, i nuovi valori saranno calcolati sulla base dei metri quadrati. Come fare? La possibilità di costringere tutti i proprietari a mettersi in regola è utopica, perché in molti casi (si pensi alle case 21 ex rurali) non sono magari neppure consapevoli della proprietà o comunque riottosi a spendere per l’intervento di un professionista. Con metodo piuttosto spiccio, a quanto risulta, nella bozza del decreto legislativo è indicato un sistema per raccordare i vani ai metri quadrati. In sostanza, se un appartamento di categoria A/2 (civile) ha una consistenza di 6,5 vani, si troverà ad avere una metratura catastale di 136,5 metri quadrati. Lo stesso sistema (si veda la scheda qui a fianco) si applicherà a tutte le categorie catastali abitative e agli uffici (da A/1 lusso ad A/11 abitazioni tipiche dei luoghi), agli immobili vari come negozi (C/1), magazzini (C/2), laboratori (C/3), stalle, scuderie e,garage (C/6), tettoie (C/7) e magazzini sotterranei (B/8). Si consideri poi che per gli immobili di categoria catastalie C, anche se privi di planimetria, la «consistenza» è già ufficialmente in metri quadrati, anche se molto approssimativi, quindi in ogni caso (tranne che per i B/8, valutati in metri cubi) scatterà un aumento. Dato che le misure sono uniche a livello nazionale, mentre nelle diverse province (e anche in molti comuni) i vani sono di misura media assai diversificata, è evidente che saranno avvantaggiati fiscalmente (cioè avranno meno metri quadrati) i proprietari di case fuori dalle città, o in zone dove le abitudini edilizie facevano sì, almeno un tempo, che le stanze avessero dimensioni mediamente più grandi di 20-21 metri quadrati. Il grosso delle abitazioni italiane, infatti, è raggruppato nelle categorie A/2, A/3 e A/4, i cui vani, nella riforma “valgono” tra i 20 e 21 metri quadrati. È chiaro che un metodo così approssimativo non mancherà di suscitare polemiche e molti proprietari si affretteranno a comunicare tempestivamente le loro planimetrie, affrontando la spesa prima di vedersi attribuire metri quadrati in più. Che è poi quello che vorrebbe il Fisco e che probabilmente otterrà. LA TAVOLA DI CONVERSIONE Il nuovo valore in metri quadri del vano o del metro catastale attuale Vano Mq A/1 Abitazioni signorili 27 A/2 Abitazioni civili 21 A/3 Abitaz. economiche 20 A/4 Abitazioni popolari 21 A/5 Abitaz. ultrapopolari 21 A/6 Abitazioni rurali 23 A/7 Villino 23 A/8 Villa 30 A/9 Castelli e palazzi 32 Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 A/10 Uffici e studi privati 23 A/11 Abitazioni tipiche 20 B/8 Magazz. sotterraneo 0,85 C/1 Negozi e botteghe 1,3 C/2 Magazzini e depositi 1,2 C/3 Laboratori artigiani 1,1 C/6 Stalle e garage 1,1 C/7 Tettoie chiuse o aperte 1,1 (Saverio Fossati, Il Sole 24 Ore – Norme e Tributi, 14 febbraio 2015) Economia, Fisco Terreni, vecchi ammortamenti ammessi caso per caso La nuova versione del principio contabile Oic 16 relativo ai beni materiali ha fatto sorgere alcuni dubbi sulla sorte del Fondo ammortamento dei terreni iscritto in contabilità, perché è ormai evidente che i terreni, come tutti gli altri beni la cui utilità non si esaurisce, non sono soggetti ad ammortamento. Fanno eccezione i terreni la cui utilità è destinata a esaurirsi nel tempo, come cave e siti utilizzate per le discariche. Qual è, dunque, il destino contabile degli ammortamenti calcolati in precedenza? La risposta è articolata perché dipende dalle specifiche situazioni. L’Oic 16 non detta una regola transitoria perché già in precedenza l’ammortamento del terreno era ammesso nella sola ipotesi descritta di seguito. Ne consegue che i dubbi devono essere risolti applicando i principi generali, analizzando le motivazioni precedenti che hanno comportato l’ammortamento del terreno. Preliminarmente si deve effettuare la suddivisione tra terreno e fabbricato, individuando i rispettivi valori, e poi si deve ricostruire la situazione pregressa. Se si riconosce trattarsi di un errore, questo dovrebbe essere rettificato, come prevede l’Oic 29: gli ammortamenti sono eliminati in contropartita della voce E.20 del conto economico, con la scrittura contabile “Immobilizzazioni (Fondo amm.to) a Sopravvenienze attive”. Ovviamente, il trattamento fiscale della sopravvenienza dovrà tenere conto del comportamento seguito nei precedenti esercizi con riferimento agli ammortamenti. Se invece, nella situazione piuttosto rara in cui l’ammortamento era giustificato dalla frase contenuta nel precedente Oic 16 e lo stesso corrispondeva, di fatto, all’accantonamento a un fondo di bonifica, lo si può riclassificare in tale ambito. Infatti, il precedente Oic 16 già prevedeva che i terreni non fossero ammortizzabili e precisava che nel caso in cui il valore dei fabbricati incorporava anche quello dei terreni sui quali essi insistono, il valore dei terreni doveva essere scorporato ai fini dell’ammortamento sulla base di stime. In quei casi, invece, in cui il terreno aveva un valore in quanto vi insisteva un fabbricato, se lo stesso veniva meno il costo di bonifica poteva azzerare verosimilmente quello del terreno, con la conseguenza che anch’esso andava ammortizzato. In sostanza, il precedente Oic 16 consentiva una sorta di compensazione (sostituzione) tra costi di bonifica e costi derivanti dall’ammortamento. Pertanto, nel bilancio 2014, si effettua una riclassificazione, imputando gli ammortamenti pregressi al Fondo oneri di bonifica con la scrittura contabile in partita doppia: “Immobilizzazioni (Fondo amm.to) a Fondo oneri di bonifica”. Inoltre, si deve decidere cosa fare successivamente perché si possono presentare tre diverse situazioni: il fondo è congruo, oppure esuberante o deve essere incrementato ma, in questo caso, Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 22 nel rispetto delle condizioni previste dall’Oic 31 anche in relazione al presupposto di iscrizione dei fondi per oneri. Di conseguenza, quanto riguarda esubero e incremento del fondo, si seguono le regole contenute nell’Oic 31. In alternativa, per non effettuare una sorta di compensazione imputando direttamente gli ammortamenti pregressi al Fondo oneri di bonifica, si stornano gli ammortamenti nella voce E.20 del conto economico e successivamente si addebita nella voce E.21 l’accantonamento al Fondo per oneri di bonifica. Scritture in partita doppia: “Immobilizzazioni (Fondo amm.to) a Sopravvenienze attive” e “Accantonamento a Fondo oneri di bonifica”. Il risultato è uguale al precedente, ma nel conto economico sono imputati, nella parte straordinaria, proventi e oneri: tuttavia, questo doppio passaggio può essere evitato perché con la singola scrittura illustrata in precedenza si “riqualifica” una passività e non pare si effettui una compensazione. Infine, nell’ipotesi di scarsa significatività dei valori, le imprese potrebbero lasciare immutata la situazione contabile e, pertanto, mantenere l’ammortamento pregresso nel fondo. In ogni caso, a prescindere dalla decisione, è necessario fornire l’informazione del comportamento seguito nella nota integrativa. Invece non è corretta la soluzione di contabilizzazione la quota parte del fondo riferita al terreno direttamente tra le riserve del patrimonio netto dello stato patrimoniale con la scrittura “Immobilizzazioni (Fondo amm.to) a Riserve”, comportamento riservato solo alle imprese che, in situazioni analoghe, transitano ai principi contabili internazionali. (Franco Roscini Vitali, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 12 febbraio 2015) Reverse charge, fatture integrate per i regimi a forfait Il nuovo reverse charge coinvolge molte imprese e professionisti più di quanto non accadesse in passato ed inoltre rende debitori di Iva soggetti che prima non lo erano. La procedura dell’inversione contabile già in vigore al 31 dicembre 2014 e tuttora operante, prevista per alcune operazioni, coinvolge un debitore dell’imposta (e cioè il soggetto che riceve la fattura senza applicazione dell’Iva) che applica generalmente il regime ordinario Iva, senza limiti alla detrazione e quindi il reverse charge non genera alcun debito di imposta. Infatti per le prestazioni di servizi nel settore dell’edilizia già previste nella lettera a) del sesto comma dell’articolo 17 del decreto Iva, il reverse charge si applica dal terzo soggetto della filiera e cioè dal subappaltatore; quindi il debitore d’imposta è l’appaltatore il quale generalmente detrae interamente l’Iva risultante dalle annotazioni fra gli acquisti. Per i soggetti in regime ordinario le fatture ricevute in reverse charge ed integrate dell’Iva, che devono essere registrate nel registro delle fatture emesse ed in quello degli acquisti, impattano l’imposta e nulla è dovuto all’erario. Invece per le operazioni soggette a reverse charge dal 1 gennaio 2015 quali le prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici, l’inversione contabile ai fini Iva coinvolge anche il committente poiché si applica in ogni caso quando essa è effettuata a favore di soggetti passivi. Quindi ad esempio un medico, o qualsiasi altro soggetto che effettua operazioni esenti da Iva, che ha affidato ad una impresa le pulizie dello studio, riceve la fattura non soggetta ad Iva, deve integrarla dell’Iva e registrarla sia nel registro degli acquisti che vendite; però siccome il predetto soggetto non ha il diritto alla detrazione, dovrà versare periodicamente l’imposta, adempimento che prima non faceva; per di più perde l’esonero dalla dichiarazione annuale Iva. Analoga situazione si presenta per un imprenditore agricolo che opera nel regime speciale Iva di cui all’articolo 34 del Dpr n. 633/72 per il quale non opera la detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti e quindi se ad esempio ha appaltato l’installazione di un impianto elettrico dovrà versare l’Iva all'erario. La norma non prevede l’ipotesi in cui l’agricoltore committente sia in regime di esonero Iva (volume d’affari dell’anno precedente non superiore a 7mila euro) il quale fra l’altro è esonerato dai versamenti. In base al dato letterale della norma l’agricoltore esonerato dovrebbe Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 23 fare nulla, ma però tale situazione intralcia il sistema. Si osserva che in ordine agli adempimenti Iva l’agricoltore esonerato si trova in una situazione analoga ai contribuenti minimi/forfettari per i quali però la norma prevede espressamente che tali soggetti, versano l’Iva sugli acquisti in reverse charge. I contribuenti minimi (articolo 27 commi 1 e 2 del Dl n. 98/2011) ed i nuovi forfetari (comma 54 e seguenti, legge n. 190/2014), emettono fattura senza applicazione dell’imposta ma segnalando che applicano il particolare regime; quindi il committente non deve integrare la fattura. Invece per le fatture di acquisto essi risultano debitori di imposta ed ai sensi del comma 100 della legge n. 244/2007 e comma 60 della legge n. 190/2014 integrano le fatture ricevute in reverse charge e versano l’Iva entro il giorno 16 del mese successivo a quello di effettuazione delle operazioni. Non meno complicata è la situazione degli enti non commerciali, come i Comuni, che svolgono prevalentemente una attività istituzionale ed anche una attività commerciale. Questi soggetti dovranno comunicare al prestatore di un servizio rientrante nella inversione contabile la 24 percentuale di incidenza della attività istituzionale per la quale l’Iva viene addebitata nei modi ordinari e di quella commerciale per la quale invece l’ente committente integrerà la fattura. (Gian Paolo Tosoni, Il Sole 24 Ore – Norme e Tributi, 10 febbraio 2015) Split payment, rimborsi semplificati Meno vincoli per i rimborsi Iva da split payment. È l’effetto del Dm Economia datato 20 febbraio che corregge il precedente decreto attuativo del 23 gennaio. Non è più necessario che il contribuente sia in attività da almeno tre anni, né che l’ammontare del credito Iva sia superiore a 10mila o 3mila euro rispettivamente per i rimborsi annuali o trimestrali, né che l’eccedenza superi al 10% dell’imposta complessivamente assolta sugli acquisti/importazioni effettuati nel periodo di riferimento della richiesta. Il nuovo decreto cancella, infatti, il riferimento alle condizioni previste dall’articolo 2 del Dm Finanze del 31 marzo 2007 e stabilisce che le nuove disposizioni si applicano già alle richieste di rimborso relative al primo trimestre 2015. In pratica, le istanze che potranno essere presentate alle Entrate entro il 30 aprile anche se allo stato attuale mancano sia il nuovo modello TR sia il codice che identificherà la priorità nei rimborsi. Ma andiamo con ordine. Le operazioni in regime di split payment rientrano come operazioni ad aliquota zero fra quelle rilevanti per il requisito stabilito dall’articolo 30, comma 2, lettera a), del Dpr 633/1972, ossia quello dell’aliquota media sugli acquisti superiore a quella media sulle operazioni attive. Ciò consente di chiedere il rimborso del credito annuale, ma anche di presentare istanza trimestrale, purché si superi la soglia di 2.582,28 euro. Chi effettua operazioni in scissione dei pagamenti, inoltre, può ottenere il rimborso in via prioritaria ai sensi dell’articolo 38-bis, comma 10, del Dpr 633/1972. Il primo Dm attuativo sullo split payment (quello del 23 gennaio 2015) precisa che il beneficio compete già per le richieste relative al primo trimestre di quest’anno. Per accedere alla corsia preferenziale occorre – anche alla luce della semplificazione arrivata con il Dm correttivo del 20 febbraio – rispettare il presupposto dell’articolo 30, comma 2, lettera a). Il primo decreto del Mef, infatti, ha stabilito che la priorità spetta per un importo non superiore a quello dell’Iva addebitata in regime di split payment sulle operazioni effettuate nel periodo di riferimento del rimborso. Accertato il rispetto di questi vincoli, il credito effettivamente erogabile in via prioritaria potrebbe dunque ridursi di molto. In ogni caso, una volta definiti gli importi recuperabili, il contribuente dovrà fare i conti anche con le nuove regole in materia di rimborsi annuali e trimestrali. Al pari di quanto previsto per gli altri contribuenti, infatti, gli operatori che applicano lo split payment e che chiedono il rimborso di crediti oltre 15 mila euro, se non intendono prestare la garanzia (quando non vi sono obbligati per legge), dovranno far apporre il visto di conformità/sottoscrizione del revisore sulla dichiarazione annuale o sull’istanza trimestrale e rilasciare la dichiarazione sostitutiva di notorietà per attestare i requisiti fissati dall’articolo 38-bis, comma 3, del Dpr 633/1972. Il modello TR per i rimborsi del primo trimestre 2015, pertanto, dovrà essere adeguato per recepire tali novità, in linea con quanto già avvenuto per la dichiarazione annuale, e per precisare il codice da indicare nel frontespizio al fine d’individuare i nuovi contribuenti ammessi al rimborso prioritario. Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 La compensazione Apparentemente più semplice l’utilizzo del credito Iva in compensazione orizzontale. Se si compensano più di 15mila euro, infatti, serve il visto di conformità sulla dichiarazione annuale (fino a tale limite il visto non è richiesto). L’adempimento, peraltro, non pare necessario se la compensazione è chiesta con istanza trimestrale, salvo sorprese in sede d’approvazione del nuovo TR. In presenza di crediti da split payment d’importo non particolarmente elevato oppure destinati a verificarsi solo in certi periodi dell’anno (perché conseguenti ad attività caratterizzate da una marcata stagionalità, per esempio), il contribuente potrebbe dunque valutare più conveniente non chiedere il rimborso del credito, preferendo compensarlo con altri debiti. I CASI PRATICI Le modalità di richiesta dei rimborsi da split payment L'ALIQUOTA MEDIA LA SITUAZIONE 25 Un’impresa presta servizi di manutenzione macchine ufficio esclusivamente a enti pubblici locali. Nel primo trimestre 2015, l’impresa ha fatturato complessivamente un importo di 8mila euro e maturato un credito Iva di 6mila euro per l’acquisto di servizi con Iva 22 per cento. Sulla base di quale presupposto normativo previsto dagli articoli 38-bis e 30, comma 2, del Dpr 633/1972 è possibile richiedere il rimborso Iva trimestrale? Quali sono le modalità? È obbligatoria la garanzia? IL POSSIBILE COMPORTAMENTO L’impresa può chiedere il rimborso Iva trimestrale sulla base del presupposto dell’aliquota media. L’istanza deve essere presentata tramite il modello TR solo per via telematica direttamente dal contribuente o tramite intermediari abilitati, entro il mese successivo al trimestre di riferimento (quindi entro il 30 aprile per il primo trimestre 2015). I rimborsi Iva fino a 15mila euro sono eseguiti senza obbligo di prestare garanzie e senza ulteriori adempimenti specifici, tenendo presente quanto previsto dai due decreti del Mef LA VERIFICA DEI PRESUPPOSTI LA SITUAZIONE Una società vende l’80% dei prodotti a enti territoriali e il restante 20% a imprese industriali. Nel primo trimestre 2015, la società ha fatturato complessivamente 100mila euro (80mila in regime di split payment e 20mila con Iva al 22 per cento). Nello stesso periodo, la società ha acquistato servizi per 50mila euro + Iva 22% e materie prime per 10mila euro + Iva 10 per cento. Il trimestre chiude con un credito di 7.600 euro. Sussiste il presupposto dell’aliquota media? IL POSSIBILE COMPORTAMENTO Il presupposto dell’aliquota media sussiste se l’aliquota media sugli acquisti è superiore a quella delle vendite aumentata del 10 per cento. Sono esclusi dal calcolo acquisti, importazioni e cessioni di beni ammortizzabili. Nel caso esaminato, l’aliquota media sugli acquisti è pari a 20 %, mentre l’aliquota media sulle vendite maggiorata del 10% è pari a 4,84 % (4,40+0,44). Siccome l’aliquota media sugli acquisti è maggiore di quella sulle vendite, spetta il rimborso del credito Iva di 7.600 euro IL VISTO DI CONFORMITÀ LA SITUAZIONE Una società farmaceutica vende, per il 90% dei suoi ricavi, farmaci ad aziende ospedaliere. Nel corso del primo trimestre, la società ha maturato un credito Iva di 50mila euro. Si può compensare il credito Iva per l’importo di 15mila euro con altri tributi e richiedere Il restante credito a rimborso? Qualora non siano stati notificati avvisi di accertamento nel biennio antecedente alla data di richiesta del rimborso, è obbligatorio prestare la garanzia? IL POSSIBILE COMPORTAMENTO Va indicato distintamente nel modello Iva TR l’importo del credito Iva che si chiede a rimborso e quello che si desidera compensare. Non è obbligatorio prestare la garanzia per l’importo chiesto a rimborso di 35mila euro, non essendo la società un soggetto a rischio. L’istanza di rimborso Iva trimestrale deve recare il visto di conformità/sottoscrizione da parte dell’organo che esegue il controllo contabile, nonché la dichiarazione sostitutiva di atto notorio Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 IL LIMITE ANNUALE DEI 15MILA EURO LA SITUAZIONE Una società fornisce servizi di mensa scolastica al Comune. Nel primo trimestre, la società chiede il rimborso Iva per l’importo di 14mila euro. Nell’ipotesi in cui la posizione creditoria persista per tutto l’anno 2015, ai fini del calcolo del limite di 15mila euro per l’esonero dalla garanzia e dal visto di conformità/sottoscrizione, si deve fare riferimento alla singola richiesta o alla somma degli importi chiesti a rimborso per l’intero anno? IL POSSIBILE COMPORTAMENTO Il limite di 15mila euro per l’erogazione dei rimborsi senza garanzie né oneri aggiuntivi riguarda i rimborsi del periodo d’imposta e non la singola richiesta (circolare 32/E/2014). Pertanto, superato tale limite, la società dovrà presentare la dichiarazione/istanza trimestrale munita di visto conformità/sottoscrizione assieme alla dichiarazione sostitutiva di atto notorio. Per i crediti oltre 15 mila euro, resta fermo l’obbligo della garanzia se la società è un soggetto a rischio (Stefano Saccone, Massimo Sirri, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 24 febbraio 2015) Indicazione aggiornata nella fattura elettronica Il formato della fatturazione elettronica Pa ha già recepito anche le novità sullo split payment, aggiungendo un nuovo valore contrassegnato dalla lettera «S». E dal 31 marzo l’e-fattura allarga il raggio d’azione a tutte le altre amministrazioni pubbliche e autonome, comprese quelle locali, mentre una prima tranche di enti sperimenta l’obbligo dal 6 giugno scorso. In considerazione dell’estensione dell’obbligo, è stato imposto alle singole Pa di richiedere il Codice univoco Ipa almeno 3 mesi prima della suddetta decorrenza (entro il 31 dicembre 2014). Una volta ottenuto il Codice univoco, le Pa sono tenute a comunicarlo ai propri fornitori entro il 28 febbraio. È possibile reperire il Codice univoco delle Pa sul sito www.indicepa.gov.it. L’indicazione del Codice Ipa sulla fattura elettronica è un requisito fondamentale per la corretta elaborazione della fattura da parte del Sdi (Sistema di interscambio) e la sua mancanza comporta il rifiuto della fattura. Oltre al Codice Ipa, la fattura deve riportare i dati previsti dall’articolo 21 del Dpr 633/1972 (numero progressivo, partita del cedente/prestatore), ma anche il codice Cig (Codice identificativo di gara) tranne nei casi di esclusione dall’obbligo di tracciabilità, e il codice Cup (Codice unico di progetto) per le fatture relative a opere pubbliche o interventi di manutenzione straordinaria. La mancata indicazione dei codici non comporta il rifiuto della fattura ma le Pa non possono provvedere al pagamento. (Stefano Saccone, Massimo Sirri, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 24 febbraio 2015) Edilizia Sanzione demolitoria: limiti e applicabilità Il rifacimento della copertura di un fabbricato con aumento di altezza di 50 cm non costituisce intervento soggetto al rispetto delle distanze dal confine in quanto non si configura come realizzazione di nuovo corpo di fabbrica (T.A.R. Toscana, Sez. III, 13 gennaio 2015, n. 30). Il caso sottoposto all’esame del Collegio è il seguente: “intervento di manutenzione straordinaria” sulla “struttura di copertura del locale autorimessa”, intervento “finalizzato al mantenimento della sua funzione” e consistente nella “rimozione completa di tutta la struttura tetto”, con la previsione poi che “le due falde del tetto verranno ricostruite mediante solaio leggero in laterocemento”, oggetto di SCIA. I lavori sono stati realizzati in modo difforme da quelli indicati nella SCIA presentata, giacché quest’ultima prevedeva la riedificazione del solaio e la copertura a due falde, mentre in sede di esecuzione si è poi proceduto a ricostruire una sola falda del tetto, lasciando una porzione di solaio a cielo aperto, con realizzazione di un parapetto in muratura di altezza pari a m. 1,03 e previsione di scala a chiocciola esterna di accesso, che però non è stata poi realizzata. Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 26 Nella riedificazione parziale del tetto di copertura la ricorrente ha realizzato un rialzamento di 50 cm sul lato est, il quale a parere dell’Amministrazione sarebbe in contrasto con le previsioni dello strumento urbanistico vigente del Comune e in particolare con quanto previsto dal R.E. in punto di distanza degli edifici dai confini di proprietà, nel senso che “il suddetto rialzamento, trovandosi alla distanza inferiore di 5 mt dal confine, sarebbe stato assentibile previa formale produzione di atto di assenso del confinante”, che è mancato. In altre parole, secondo la prospettazione dell’Amministrazione, il rifacimento della copertura con aumento di altezza nel colmo di 50 cm ha comportato la realizzazione di nuovo corpo di fabbrica che avrebbe dovuto rispettare le distanze dal confine. Il Collegio ha ritenuto che tale inquadramento non appare convincente: “in particolare non sembra che nella presente fattispecie si possa parlare di nuova opera la cui edificazione impone il rispetto delle distanze dai confinanti, essendo piuttosto in presenza di un intervento su opera già esistente e consistente nella realizzazione di falda di copertura di un manufatto in essere, che nella 27 riedificazione è stata innalzata di 50 cm rispetto al tetto esistente”: Infatti, la ricorrente ha realizzato un intervento su opera esistente, giustificato da esigenze di statica dell’edificio, come risulta dalla relazione del tecnico di parte e dalla documentazione fotografica allegata (inserimento di armatura metallica e cordolo), il che giustifica la lettura dell’intervento edilizio posto in essere come sostanzialmente conservativo della pregressa edificazione, con un limitato quid novi imposto da esigenze tecniche, con le conseguenze che ne derivano in punto di mantenimento delle distanze esistenti. A conferma di ciò deve essere evidenziato che il R.E. del Comune prevede il mantenimento delle distanze esistenti in caso di interventi su edifici esistenti, compresa la demolizione e ricostruzione. Pertanto, il Collegio dichiara l’illegittimità dell’ordine di demolizione del realizzato innalzamento. Infine, il Collegio evidenzia che in base alla Lr 1/2005 solo il contrasto con le norme urbanistiche locali può giustificare, ai sensi dell’art. 135, comma 2 l’applicazione della sanzione demolitoria (infatti, la suddetta norma richiede, ai fini della demolizione, che le opere realizzate in assenza o in contrasto con la SCIA siano anche in difformità dalla normativa urbanistica, applicandosi altrimenti la sola sanzione pecuniaria di cui al primo comma dello stesso art. 135 cit.). (Francesco Garritano, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 9 febbraio 2015) Il deposito si trasforma in abitazione. Scatta il reato edilizio senza permesso di costruire Il Tribunale di Napoli, sottopone a sequestro preventivo un corpo di fabbrica di 100 mq, contestando al titolare della ditta committente, di aver effettuato dei lavori di ristrutturazione edilizia, trasformando un deposito in una unità abitativa, in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza la preventiva richiesta del permesso di costruire. L’indagato, impugna l’ordinanza del Tribunale partenopeo, adducendo che gli interventi edilizi effettuati rientrano nel novero della ristrutturazioni edilizie e il mutamento di destinazione d’uso, nel caso di specie, non ha trasformato esteriormente il fabbricato, i volumi e le superfici, per cui era sufficiente la Scia. Sicché i reati contestati non erano applicabili. Di diverso avviso, invece, la Corte di Cassazione, che con sentenza 28 gennaio 2015, n. 3953 precisa che i titoli abilitativi esistenti alla data di accertamento non erano idonei per i lavori effettivamente realizzati. Infatti, se pur rientranti nella categoria delle ristrutturazioni edilizia, i lavori effettuati non potevano essere realizzati mediante semplice Scia perché i lavori di ristrutturazione sono stati realizzati in zona vincolata senza l’autorizzazione paesaggistica. Inoltre, durante i lavori di ristrutturazione, non ci si era solo limitata da un “semplice” accorpamento dei locali ma si era concretizzato un mutamento sostanziale della destinazione d’uso: il deposito era stato trasformato in una vera abitazione. Con tale modifica l’immobile passa da una categoria funzionale all’altra, entrando, nella fattispecie in quella residenziale. Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 La Corte, coglie l’occasione anche per precisare che, le novità introdotte dallo Sblocca Italia (dl 133/14), non possono essere richiamate per scriminare l’opera realizzata dal committente: il reato edilizio si configura per il solo mutamento di destinazione d’uso che, grazie alla legge di conversione del decreto si configura, ora automaticamente quando l’immobile passa da una categoria funzionale all’altra. L’art. 23 introdotto dal D.L. 12 settembre 2014, n. 133, (convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n. 164) ha stabilito quali siano i mutamenti urbanisticamente rilevanti, facendo però salva la facoltà di una diversa previsione ad opera della legislazione regionale. Il passaggio da una destinazione d’uso ad un’altra è sempre consentita se avviene all'interno della stessa categoria funzionale (es. da laboratorio a ufficio). Qualora, invece, vi sia un “salto” da una categoria all’altra sarà necessaria la compatibilità con gli strumenti urbanistici. Per individuare la corretta destinazione d’uso in immobili che ne possiedono più di una è previsto che si debba far riferimento a quella prevalente in termini di superficie utile. (Ivan Meo, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 2 febbraio 2015) 28 Professionisti Le Casse riorganizzano gli asset Le casse di previdenza mettono mano al portafoglio immobiliare. C’è chi razionalizza i costi, chi riqualifica il patrimonio, chi dismette degli asset e vende gli immobili pregiati – in primis quelli residenziali – e chi sceglie i fondi immobiliari per garantire gli investimenti. E c’è anche chi, infine, nonostante all’orizzonte la normativa imponga un tetto sui capitali impegnati nel real estate, compra nuove unità. A cambiare le regole del settore sarà lo schema di regolamento attuativo del Dl 98/2011 (ora nelle mani del ministero dell’Economia per le ultime modifiche): se il vaglio del Consiglio di Stato e la successiva registrazione presso la Corte dei conti non tarderanno, è il 1°luglio 2015 la prima data utile per l’entrata in vigore del provvedimento. Poi ci saranno 5 anni di tempo per adeguarsi all’art. 9, comma 4, che impone di contenere gli investimenti in beni immobili e diritti reali entro il 20% del patrimonio complessivo. Solo 18 mesi, invece, sono concessi per mettersi in regola sul fronte degli investimenti indiretti (vedi articolo sotto): salvo modifiche al testo, che ha raccolto numerose osservazioni nella fase di consultazione chiusa a dicembre, i capitali impegnati in fondi immobiliari chiusi (Oicr non armonizzati) non dovranno superare il 30% delle disponibilità. L’obiettivo è rendere più sostenibili i bilanci. In base all’analisi dei consuntivi 2013 di venti Casse di previdenza (elaborata da Scenari Immobiliari, vedi Il Sole 24 Ore del 19 gennaio scorso), a fronte di un patrimonio complessivo di oltre 7 miliardi, circa la metà in termini di superficie è composta da residenziale. Solo dalle dismissioni obbligatorie si stima potranno arrivare sul mercato 800 milioni di asset. Superano il tetto del 20%, ad esempio, Fondazione Enasarco, Enpaia, Inpgi, Onaosi e il Notariato che – complessivamente – dovranno cedere proprietà per circa 550 milioni. Ma alcuni enti stanno vendendo anche senza aver superato la soglia del 20%, per cui la cifra potrebbe risultare molto più elevata. Di fronte alla crisi di liquidità, la strategia comune degli enti previdenziali di diritto privato è quella di fare cassa: da un lato tramite la dismissione del patrimonio abitativo, dall’altra conferendo immobili ai fondi. Nel 2009 Enasarco ha avviato il progetto Mercurio che prevede la cessione (con opzione agevolata per gli inquilini) di numerose unità residenziali. Il patrimonio è per il 48% localizzato a Roma. Il programma, per effetto della contemporanea crisi del settore e della lentezza dei procedimenti amministrativi, è partito solo a gennaio 2011. A metà dell’anno scorso, dei 12mila immobili in vendita quasi 6mila erano stati alienati con un incasso di poco più di un miliardo. Le vendite dirette agli inquilini hanno riguardato circa 2.300 unità, per un valore di bilancio di 327 milioni e una plusvalenza di 100 milioni. Le unità libere e rimaste invendute verranno conferite ai fondi immobiliari Enasarco Uno e Due. Anche Enpam ha deliberato la vendita di parte del residenziale (pari al 41% degli investimenti immobiliari, in prevalenza situato a Roma), per circa 1,8 miliardi di euro (stima dell’agenzia delle Entrate). L’anno scorso sono finiti sul mercato otto complessi, tra cui uno nella via semi-centrale Ugo de Carolis e un altro in via Ricci Cubastro a Trastevere. Entro il 2016 la cassa dei medici prevede di dismettere altri immobili residenziali e alberghieri, mentre nel 2013 l’ente ha deliberato di non procedere all’acquisto di Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 nuove unità, se non tramite fondi immobiliari (investimenti indiretti). In particolare, tra il 2014 e il 2019, sono previste dismissioni per oltre 1,1 miliardi. Il nuovo schema di regolamento del Mef dovrebbe spingere le Casse a razionalizzare i loro investimenti, secondo regole più trasparenti. Negli ultimi anni gli investimenti delle Casse sono finiti spesso sotto i riflettori: attorno al business delle pensioni si sono sviluppati affari opachi, fiorenti consulenze e intermediazioni, a volte conflitti di interesse che hanno sconfinato nel penale. Con la legge di stabilità 2014, poi, è arrivato l’aumento dal 20 al 26% della tassazione dei rendimenti a bilancio. Così, nel tempo, i gestori hanno cambiato rotta e, dopo gli azzardi del passato, molti sono tornati a puntare sui “sicuri” titoli di Stato, anche se l’investimento principe resta il mattone (con rendimenti che, comunque, difficilmente superano il 2% annuo). Per ottimizzare i margini di guadagno c’è anche chi, come Inarcassa, ha messo in campo una strategia volta alla riqualificazione degli asset: migliorare la sostenibilità edilizia significa rendere più appetibili gli immobili da locare. Infine c’è chi conferma l’interesse per il mattone e continua a investire su proprietà pregiate: la cassa dei commercialisti nel 2014 ha acquisito da Beni Stabili un 29 immobile a uso ufficio in via dell’Areonautica a Roma per 16,87 milioni; il Notariato ha rilevato un immobile da 880mila euro in via Silvio Pellico a Trento per uso strumentale; l’Inpgi ha comprato un’unità a Pescara per circa 453mila euro. DATI IN BILANCIO Incidenza % Ente Patrimonio(mq) residenziale previdenziale Enpam (medici) Enasarco (agenti commercio) Valore patr. in bilancio (€) Var % Quote in fondi 2013/2012 immobiliari 980.000 41,7 1.689.189.539 -15,0 2.690.787.000 1.090.000 88,2 1.590.211.000 -21,0 1.719.910.000 Inarcassa (ingegneri) 392.800 26,0 693.358.000 -1,2 397.652.000 Inpgi (giornalisti) 324.000 71,0 626.477.829 -11,3 85.048.000 Cassa Forense (avvocati) 236.000 36,5 433.691.209 0,1 107.000.000 Enpaia (periti agrari) 190.500 56,7 376.132.007 -1,1 - Cnpadc (dottori commercialisti) 260.000 11,0 334.734.084 0,0 - Notariato (notai) 201.700 36,0 303.172.762 -9,3 445.940.000 Cipag (geometri) 129.000 39,4 209.799.872 -1,0 319.687.000 Cassa dei ragionieri 175.000 8,4 204.862.817 -10,1 867.575.000 Enpaf (farmacisti) 110.500 84,7 179.109.156 0,2 201.076.000 Enpacl (consulenti lavoro) 70.000 50,0 123.658.670 0,0 - Onaosi (orfani sanitari) 55.400 2,3 106.676.049 0,2 - Enpap (psicologi) 29.400 36,1 48.678.994 -19,5 Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 128.213.000 Enpapi (infermieri) 16.000 75,0 30.796.458 0,0 - Fasc (spedizionieri e corrieri) 14.500 0 25.287.554 -1,7 - 7.000 0 16.910.314 0,2 - Enpav (veterinari) 12.320 5,0 15.738.016 0,0 - Eppi (periti industriali) 2.100 0 14.363.289 0,4 Artigiancassa (artigiani) 1.000 0 1.386.000 -9,5 Epap (assistenza) 94.500.000 - Elaborazione Casa24 Plus su dati Scenari immobiliari (Michela Finizio, Il Sole 24 ORE – Casa 24, 19 febbraio 2015) La segnalazione alla Centrale rischi del professionista è legittima se questo è esposto con le banche Sempre più di interesse ed attuale è il tema della Centrale Rischi, ossia della banca dati centralizzata dove convergono le informazioni che il sistema finanziario usa per la valutazione del merito creditizio. La Cassazione - con la sentenza 26361/14 - questa volta interviene nel valutare come legittima la segnalazione alla Centrale Rischi del professionista che non ha adempiuto - per modesto importo ad un impegno verso una società di credito al consumo. In tale circostanza non hanno trovato accoglimento le ragioni di "mero ritardo" in attesa di spiegazioni chieste dal professionista alla finanziaria. Quindi - a giudizio della Cassazione - la segnalazione alla centrale Rischi come credito in sofferenza non si configurava come "impropria", tenendo presente la seria esposizione del professionista verso le banche. (Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 18 febbraio 2015) Il Milleproroghe «prolunga» il regime dei minimi Il prolungamento del regime dei minimi al 2015 disposto dal decreto Milleproroghe – atteso oggi al voto finale dopo che ieri, con 354 «sì», 167 «no» e un astenuto, ha incassato la «fiducia» alla Camera – mette al riparo i soggetti che avevano aperto la posizione Iva a fine 2014 senza aver concretamente iniziato l’attività: questi potranno in ogni caso applicare il regime che sconta la sostitutiva al 5 per cento. L’inizio dell’effettivo svolgimento dell’attività cui fa riferimento la circolare 6/E/15 rappresenterà pertanto il momento da cui si conteggerà l’accesso al regime dei minimi, che a questo punto può decorrere dal 2015. La stessa circolare di ieri risponde a un quesito posto all’agenzia delle Entrate in un momento anteriore all’emendamento al Milleproroghe che “resuscita” il regime dei minimi nel 2015, e che ora può essere rivalutato per svolgere ulteriori considerazioni. In particolare, nel quesito era stato chiesto se un soggetto che aveva aperto la partita Iva a fine 2014 (il 28 dicembre) esercitando l’opzione per il regime dei minimi poteva continuare ad applicare questo regime anche nel 2015. Questo in quanto l’articolo 1, comma 88 della legge di Stabilità 2015 (190/2014) consente ai contribuenti, già in attività al 31 dicembre 2014, che applicavano il regime dei minimi, di permanervi. L’agenzia delle Entrate conferma quindi che il contribuente può restare nel regime con sostitutiva al 5%, laddove continuino a esserne soddisfatti i requisiti per l’applicazione. Unica condizione: che al 31 dicembre l’attività possa essere considerata effettivamente esercitata. Secondo l’amministrazione ciò significa che a tale data dovevano essere Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 30 state effettuate operazioni che comprovino il concreto esercizio di un’attività. Bisogna quindi concludere che, se la partita Iva è stata aperta nel 2014, ma nel medesimo anno non sono state effettuate operazioni nell’esercizio dell’attività, questa può intendersi iniziata nel 2015. Visto l’emendamento al Milleproroghe i contribuenti che si dovessero trovare in una situazione del genere potrebbero comunque, se più conveniente, applicare il regime dei minimi (e non il forfettario). Il chiarimento si presta poi a un’ulteriore considerazione: il momento dal quale conteggiare il quinquennio di permanenza nel regime dei minimi decorre dall’inizio attività, e non dall’apertura della partita Iva. Quindi, il soggetto che ha aperto la partita Iva a fine 2014 ma che ha iniziato effettivamente l’attività nel 2015 dovrebbe poter applicare il regime dei minimi fino al 2019 (trascurando l’ulteriore possibilità di proseguire fino al 35esimo anno di età e ipotizzando il perdurare dei requisiti). Resta quindi solo un solo nodo da sciogliere: cosa si intende per «effettuate operazioni che comprovino il concreto esercizio di un’attività»? L’effettuazione di operazioni attive? O anche di quelle passive? (Matteo Balzanelli, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 20 febbraio 2015) Nuove partite Iva al bivio tra minimi e forfettari Nuove partite Iva al bivio tra minimi e forfettario. L’emendamento introdotto nella conversione parlamentare del decreto Milleproroghe (atteso oggi al voto di fiducia della Camera) che estende l’opzione per il vecchio regime a tutto il 2015 mette le persone fisiche che avviano una nuova attività nel 2015 nella condizione di valutare – in presenza dei requisiti – se scegliere il regime con imposta sostitutiva al 5% e soglia di ricavi a 30mila euro o quello con imposta al 15% e con soglie di ricavi/compensi da 15mila a 40mila euro. E la variabile del prelievo non è l’unica da considerare. Comportamento concludente Anzitutto si pone la questione di come rendere nota alle Entrate la scelta, in quanto per entrambi i regimi occorre barrare la casella del regime di vantaggio (inteso come quello dei minimi al 5%) nella dichiarazione di inizio attività. Al riguardo si ritiene che debba prevalere il comportamento concludente del contribuente che sulle fatture emesse indicherà la diversa norma che permette l’esclusione dall’applicazione dell’Iva: l’articolo 1, comma 100, della legge 244/2007 per i minimi l’articolo 1, comma 58 per i nuovi forfettari. Inoltre la scelta apparirà in modo inequivocabile dalla compilazione di Unico 2016 in cui verranno compilati quadri diversi, dato che il primo regime (minimi) prevede la determinazione analitica del reddito, mentre il secondo (forfettario) prevede la determinazione forfettaria con una percentuale di componenti negativi predeterminata. Requisiti di accesso Poi non sono del tutto uguali i requisiti di accesso. Per esempio, nel regime forfettario il reddito da lavoro autonomo o impresa deve essere superiore a quello da lavoro dipendente o assimilato. Pertanto un contribuente pensionato che inizia una nuova attività difficilmente potrà beneficiare del regime forfettario, mentre in quello dei minimi non esiste la necessità di eseguire tale confronto. Inoltre a complicare i ragionamenti sulla convenienza vi è la regola comune secondo cui se i requisiti di accesso, previsti nel momento in cui si inizia l’attività, non sono confermati a fine 2015, è solo dal periodo d’imposta 2016 che il regime agevolato viene meno. Quest’ultimo assunto va però esaminato alla luce di un’ulteriore regola che potrebbe indirizzare la scelta verso il nuovo regime forfettario: chi inizia un’attività e a consuntivo risulta aver incassato ricavi o compensi superiori alla soglia prefissata esce dal regime dal periodo d’imposta successivo, ma nel caso dei minimi occorre fare attenzione che il superamento della soglia non sia superiore del 50% rispetto al tetto previsto, poiché in tal caso già dall’anno in corso verrebbe azzerato il regime agevolato, con pesanti conseguenze sul fronte dell’Iva che occorrerebbe riaddebitare Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 31 dall’origine. La stessa conseguenza non si manifesta invece nel forfettario. Ad esempio, se un professionista nei minimi incassa 60mila euro dovrà ricostruire la sua posizione fiscale come se già dal 2015 fosse un soggetto ordinario, mentre se si è scelto il regime forfettario si esce dal forfait solo dal 2016 quindi mantenendo inalterata la posizione fiscale nell’anno del superamento (cioè il 2015). Valutazione diverse anche sul fronte delle imposta dovute, poiché sono diverse le modalità di determinazione del reddito e dell’imposta sostitutiva. A prima vista potrebbe sembrare sempre conveniente il regime dei minimi che prevede una sostitutiva del 5% rispetto al 15% del regime forfettario, va però considerato, a favore di quest’ultimo regime, che vengono riconosciuti costi forfettari mentre il minimo deve documentare gli effettivi costi sostenuti. Inoltre le nuove attività nel regime forfettario hanno diritto all’abbattimento di un terzo del reddito per i primi tre anni oltre alla possibilità, riservata a commercianti e artigiani, di fruire del regime contributivo agevolato che prevede il pagamento dei contributi senza considerare il minimale fisso, che in molti casi costituisce 32 un notevole aggravio. Queste ultime agevolazioni non sono previste i minimi. Sul fronte Iva l’esclusione dall’addebito dell’imposta (e il divieto di detrazione) e il versamento dell’Iva acquisti per le operazioni interne soggette a reverse charge accomuna i due regimi. Qualche differenza si registra sulle operazioni con soggetti esteri, soprattutto per gli acquisti di beni intracomunitari. Per quanto riguarda i minimi la circolare 36/E/2010 ha affermato che si tratta sempre di operazioni Intra che necessitano il versamento di Iva mentre per il forfettario gli stessi acquisti, entro la soglia di 10mila euro annui, non sono considerate operazioni intracomunitarie. IN SINTESI 01 LA SCELTA L’emendamento introdotto nella conversione parlamentare del decreto Milleproroghe che estende l’opzione per il vecchio regime a tutto il 2015 mette le persone fisiche che avviano una nuova attività nel 2015 nella condizione di valutare – in presenza dei requisiti – se scegliere il regime con imposta sostitutiva al 5% e soglia di ricavi a 30mila euro o quello con imposta al 15% e con soglie di ricavi/compensi da 15mila a 40mila euro 02 L’INDICAZIONE Per entrambi i regimi occorre barrare la casella del regime di vantaggio (inteso come quello dei minimi al 5%) nella dichiarazione di inizio attività. Quindi per indicare alle Entrate qual è il regime scelto, si ritiene che conti il comportamento concludente con l’indicazione in fattura della diversa norma che permette l’esclusione dall’applicazione dell’Iva 03 LE DIFFERENZE Le differenze tra i due regimi non riguardano solo la diversa imposizione fiscale. Nel forfettario il reddito da lavoro autonomo o d’impresa deve essere superiore a quello da lavoro dipendente o assimilato. In pratica un pensionato che inizia una nuova attività difficilmente potrà beneficiare del regime forfettario, mentre in quello dei minimi non esiste la necessità di eseguire tale confronto. Inoltre va considerato che, se i requisiti di accesso (previsti nel momento in cui si inizia l’attività) non sono confermati a fine 2015, soltanto dal periodo d’imposta 2016 viene meno il regime forfetttario (Paolo Meneghetti, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 19 febbraio 2015) Il decoro non entra nella tariffa Il decoro non è più un parametro valido per verificare le tariffe professionali. Lo sottolinea il Consiglio di Stato con la sentenza 22 gennaio 2015 n. 238, generata da un ricorso dell’Ordine dei geologi, ma estensibile a tutte le professioni. Si discuteva infatti delle sanzioni dell’Autorità garante della concorrenza (Antitrust), irrogate perché l’Ordine aveva adottato criteri e parametri per determinare tariffe. Quindi, una situazione identica a quella di altre professioni collegiate (avvocati, notai, professioni tecniche). Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Il problema è sorto con il Dl 223/2006 (articolo 2), che ha eliminato i minimi tariffari: minimi che secondo l’Antitrust non possono essere reintrodotti attraverso principi deontologici di corretto comportamento. Ora, con questa sentenza del Consiglio di Stato, i prezzi praticati dai professionisti non sono più oggetto di una verifica di decoro deontologico, concludendo un percorso che ha coinvolto la Corte di giustizia Ue. Al giudice comunitario era infatti stato chiesto se l’articolo 101 (sulla libera concorrenza) del Trattato dell’Unione consentisse un riferimento alla «dignità» e al «decoro» del professionista nella determinazione il compenso professionale. La libertà dell’articolo 101 del Trattato sembrava infatti collidere con l’articolo 2233 del Codice civile, che inserisce un obbligo di “decoro” nelle tariffe. La Corte di giustizia (sentenza 18 luglio 2013, causa C-136/12) ha sottolineato che spetta al giudice nazionale (il Consiglio di Stato) verificare se la qualità delle prestazioni professionali richieste dal consumatore esiga che il compenso sia commisurato al “decoro” professionale. Ora la sentenza 238/2015 del Consiglio di Stato ha escluso tale collegamento, perché la qualità 33 delle prestazioni professionali non è intaccata da un’ipotetica mancanza di decoro a sua volta scaturente da importi ritenuti troppo bassi. Prevalgono quindi libertà di concorrenza e possibilità di prezzi ridotti. Ciò significa che il professionista non corre più il rischio di vedersi accusato di comportamento “indecoroso”, rischiando la sospensione, se applica tariffe particolarmente ridotte. Le conseguenze nei confronti degli Ordini sono immediate: viene meno la possibilità di indagine sulle tariffe applicate, qualora tale indagine si fondi sull’intenzione di garantire il decoro della professione. Via libera, quindi, alla più ampia concorrenza, perché - sottolinea il Consiglio di Stato il consumatore ha specifici rimedi civilistici per tutelarsi e la qualità della prestazione non può essere verificata dall’Ordine attraverso il parametro del decoro. Questa più ampia libertà sulle tariffe si collega alla pubblicità, consentita ai professionisti dagli articoli 3 del Dl 138/2011 e 4 del Dpr 137/2012, e completa l’equiparazione dei professionisti alle imprese. Venuto meno il «decoro» rimangono i generici divieti di concorrenza sleale (articolo 2598 del Codice civile), di pratiche commerciali scorrette (articolo 27 del Codice del consumo, Dlgs 206/2005) e di offerte basse in modo anomalo (Codice dei contratti pubblici, Dlgs 163/2006). Divieti che vengono attutiti dalle pronunce Antitrust favorevoli alle offerte che i professionisti offrono su Groupon o circuiti tipo Carta Amica, come avvenuto per odontoiatri (provvedimento Antitrust 25078/2014) e avvocati (provvedimento 22 ottobre 2014). Gli Ordini quindi hanno mani legate su tariffe e pubblicità. A vantaggio, si spera, del consumatore. (Guglielmo Saporito, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 29 gennaio 2015) Rifiuti SISTRI: Restituzione dei contributi di iscrizione per le annualità 2010, 2011 e 2012 Il Sottosegretario per l’ambiente e la tutela del territorio e del mare Silvia Velo ha risposto il 5 febbraio scorso in Aula della Camera alle interrogazioni nn. 3-00990 e 3-01265 sulle iniziative volte a garantire la prosecuzione del funzionamento del Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (Sistri). La richiesta era motivata dalla considerazione che il 21 luglio 2014 proprio la Selex Service Management, società controllata di Finmeccanica Selex Es, ha comunicato al Ministero dell'ambiente l'intenzione di non proseguire la propria attività nell'ambito del programma Sistri oltre la scadenza contrattuale del 30 novembre 2014. Tale circostanza, a giudizio dell’interrogante, alimenta il rischio di vedere sospeso il servizio di tracciabilità dei rifiuti pericolosi nonostante le ditte obbligate ad aderirvi abbiano già versato la quota annuale. E’ stato inoltre evidenziato nell’interrogazione che, attraverso l'ordine del giorno presentato dal deputato Mirko Busto n. 9/01682-A/077 e accolto dal Governo pro tempore nella seduta 24 ottobre 2013, n. 104, il Governo medesimo si è impegnato «ad adottare un piano di intervento che Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 preveda che ogni onere versato a titolo di contributi di iscrizione al SISTRI per le annualità 2010, 2011 e 2012 dai soggetti di cui all'articolo 3 del 17 dicembre 2009 sia restituito o compensato secondo le modalità previste ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241»; In conseguenza è stato richiesto al Ministro dell'ambiente: - Se non ritenga necessario fare ordine in questa materia mettendo a disposizione delle imprese un cronoprogramma completo, ufficiale e attendibile sulle prossime scadenze per poter programmare al meglio le proprie attività; - Se non ritenga di riportare i punti essenziali che dovranno essere la base del nuovo contratto di affidamento e del nuovo regolamento del sistema di tracciabilità dei rifiuti; - se e come si intenda dare attuazione e con quali tempistiche a quanto previsto nell'ordine del giorno di cui in premessa per la restituzione dei contributi di iscrizione al Sistri per le annualità 2010, 2011 e 2012. In risposta all’interrogazione, il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e 34 del mare, Silvia Velo, ha rassicurato gli onorevoli interroganti che il servizio di gestione del programma Sistri ad opera della società Selex non si è mai interrotto dalla data del 30 novembre 2014 e che lo stesso continuerà ad essere assicurato sino al 31 dicembre 2015 in base alla proroga del termine di efficacia del relativo contratto disposta con l'articolo 14, comma 2-bis, del decretolegge n. 91 del 2014. La stessa disposizione normativa, peraltro, prescrive che, entro il 30 giugno 2015, il Ministero dell'ambiente avvii le procedure per l'affidamento della concessione del servizio ad altro idoneo soggetto, nel rispetto dei criteri e delle modalità di selezione disciplinati dal codice degli appalti pubblici e dalle norme dell'Unione europea, nonché dei principi di economicità, semplificazione, interoperabilità tra sistemi informatici e costante monitoraggio tecnologico. Appunto a tal fine, il Ministero dell'ambiente, in conformità alle previsioni normative di cui all'articolo 11, comma 9-bis, del decreto-legge n. 101 del 2013, ha ritenuto di avvalersi della società Consip, la quale, una volta individuate e definite le modalità e le condizioni, anche operative, per la concessione del servizio, procederà alla indizione e alla gestione della gara pubblica. Allo stato, pertanto, non appare ancora possibile riferire circa i contenuti specifici del nuovo contratto di affidamento, mentre per la tempistica si ritiene che, allo stato, non vi sia motivo per dubitare che verranno rispettati i termini previsti nella richiamata normativa. Per quanto attiene, in ultimo, alle problematiche inerenti agli oneri indebitamente versati a titolo di contributi di iscrizione al Sistri per le annualità 2010, 2011 e 2012, il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha dichiarato che sono in fase di studio le modalità operative in ordine alle quali poter definire un piano di intervento finalizzato alla loro restituzione o compensazione, laddove e nei limiti in cui ne ricorrano i presupposti citati. (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 6 febbraio 2015) Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Legge e prassi Circolari INPS Circolare n. 47 del 18-02-2015 35 Oggetto: Convenzione fra l’INPS e la Confederazione Esercenti Agricoltura Artigianato Commercio (ES.A.AR.CO.) per la riscossione dei contributi di assistenza contrattuale, ai sensi della legge 4 giugno 1973, n.311. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti. Circolare n. 46 del 18-02-2015 Oggetto: Convenzione fra l’INPS e la Confederazione delle Associazioni e Sindacati Liberi dei Lavoratori Europei (CONFEURO) per la riscossione dei contributi di assistenza contrattuale, ai sensi della legge 4 giugno 1973, n.311. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti. Circolare n. 45 del 18-02-2015 Oggetto: Convenzione fra l’INPS e Confederazione Europea Sindacati Autonomi Lavoratori e Pensionati (C.E.S.A.L.P.) per la riscossione dei contributi di assistenza contrattuale, ai sensi della legge 4 giugno 1973, n.311. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti. Circolare n. 44 del 18-02-2015 Oggetto: Convenzione fra l’INPS e la Confederazione delle Piccole e Medie Imprese (FEDERAZIENDE) per la riscossione dei contributi di assistenza contrattuale, ai sensi della legge 4 giugno 1973, n.311. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti. Circolare n. 43 del 18-02-2015 Oggetto: Convenzione fra l’INPS e la Confederazione Italiana Lavoratori (CONF.I.L.) per la riscossione dei contributi di assistenza contrattuale, ai sensi della legge 4 giugno 1973, n.311. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti. Circolare n. 42 del 18-02-2015 Oggetto: Convenzione fra l’INPS e FedImprese per la riscossione dei contributi di assistenza contrattuale, ai sensi della legge 4 giugno 1973, n.311. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti. Circolare n. 41 del 18-02-2015 Oggetto: Convenzione fra l’INPS e la Confederazione Nazionale Coldiretti (COLDIRETTI) per la riscossione dei contributi di assistenza contrattuale, ai sensi della legge 4 giugno 1973, n.311. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti. Circolare n. 40 del 18-02-2015 Oggetto: Convenzione fra l’INPS e la Confederazione delle Associazioni di Lavoratori e Pensionati (CONF.A.L.P.) per la riscossione dei contributi di assistenza contrattuale, ai sensi della legge 4 giugno 1973, n.311. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti. Circolare n. 39 del 18-02-2015 Oggetto: Convenzione fra l’INPS e la Federazione Autonoma Sindacati Piccoli Imprenditori (F.A.S.P.I.) per la riscossione dei contributi di assistenza contrattuale, ai sensi della legge 4 giugno 1973, n.311. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti. Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Circolare n. 37 del 18-02-2015 Oggetto: Convenzione fra l’INPS e la CONFIMPRESE - Confederazione Sindacale Imprenditoriale (CONFIMPRESE ITALIA) per la riscossione dei contributi di assistenza contrattuale, ai sensi della legge 4 giugno 1973, n.311. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti. Circolare n. 36 del 18-02-2015 Oggetto: Convenzione per adesione tra l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e L’Ente Bilaterale Settore Privato (EBISEP) avente ad oggetto la riscossione dei contributi da destinare al finanziamento dell’Ente Bilaterale Circolare n. 35 del 18-02-2015 Oggetto: Convenzione per adesione tra l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e l’Ente Bilaterale Terziario Italiano (E.B.T.I.) avente ad oggetto la riscossione dei contributi da destinare al finanziamento dell’Ente Bilaterale Circolare n. 32 del 11-02-2015 Oggetto: Convenzione tra l’INPS e Sindacato Sociale e Lavoro Insieme (SLI)ai sensi dell’art. 18 della legge 23 luglio 1991 n. 223, per la riscossione dei contributi associativi dovuti dai propri iscritti sulle prestazioni temporanee. Istruzioni procedurali e contabili. Variazioni al piano dei conti. Circolare n. 31 del 10-02-2015 Oggetto: Convenzione fra l’INPS e la ES.A.AR.CO. – Confederazione Esercenti Agricoltura Artigianato Commercio per la riscossione dei contributi associativi degli imprenditori agricoli e dei coltivatori diretti, ai sensi dell’art.11 della legge 12 marzo 1968, n.334. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti. Circolare n. 30 del 10-02-2015 Oggetto: Convenzione tra l’INPS e la Confederazione Esercenti Agricoltura Artigianato Commercio (ES.A.AR.CO.) per la riscossione dei contributi associativi delle aziende assuntrici di manodopera e dei piccoli coloni e compartecipanti familiari (P.C.C.F.), ai sensi della legge 12 marzo 1968, n.334. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti. Circolare n. 27 del 05-02-2015 Oggetto: Gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335. Aliquote contributive, massimale e minimale di reddito per l’anno 2015; aliquote di computo. Circolare n. 25 del 04-02-2015 Oggetto: Gestione Pubblica - Conguaglio previdenziale di fine anno 2014. Circolare n. 24 del 03-02-2015 Oggetto: Convenzione fra l’INPS e la A.L.P.A.I. – Associazione Lavoratori Pensionati Autonomi Italiani per la riscossione dei contributi associativi degli imprenditori agricoli e dei coltivatori diretti, ai sensi dell’art.11 della legge 12 marzo 1968, n.334. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti. Circolare n. 23 del 03-02-2015 Oggetto: Convenzione fra l’INPS e la Confederazione e Unione di Sindacati Autonomi (CONFUNISCO) per la riscossione dei contributi sindacali sulle prestazioni pensionistiche ai sensi della legge 11 agosto 1972, n. 485. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti. Circolare n. 22 del 03-02-2015 Oggetto: Convenzione per adesione tra l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e l’Ente Bilaterale Confimprese Italia – CSE (EBICC MULTISERVIZI) avente ad oggetto la riscossione dei contributi da destinare al finanziamento dell’Ente Bilaterale Circolare n. 20 del 03-02-2015 Oggetto: Convenzione per adesione tra l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e l’Ente Bilaterale Generale (EN.BIL.GEN.) avente ad oggetto la riscossione dei contributi da destinare al finanziamento dell’Ente Bilaterale Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 36 Circolare n. 17 del 29-01-2015 Oggetto: Esonero contributivo per le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato nel corso del 2015 ai sensi dell’articolo unico, commi 118 e seguenti, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190. Circolare n. 16 del 29-01-2015 Oggetto: Determinazione per l’anno 2015 delle retribuzioni convenzionali di cui all’art. 1 e 4, co.1, del decreto-legge 31.7.1987, n. 317, convertito con modificazioni in legge 3.10.1987, n. 398 per i lavoratori all’estero in Paesi non legati all’Italia da accordi in materia di sicurezza sociale. Regolarizzazioni contributive. Circolare n. 14 del 29-01-2015 Oggetto: Convenzione tra l’INPS e l'E.N.P.T.A. (Ente Nazionale Perfezionamento Tecnico Agricolo) 37 ai sensi dell’art. 18 della legge 23 luglio 1991 n. 223, per la riscossione dei contributi associativi dovuti dai propri iscritti sulle prestazioni temporanee. Istruzioni procedurali e contabili. Variazioni al piano dei conti. Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Giurisprudenza Esproprio Tribunale di Firenze - Sezione III - Sentenza 3 settembre 2014 n. 2589 NOTA Esproprio, l'offerta dell'indennità apre al risarcimento per l'opera non realizzata Nell'ambito di un procedimento di esproprio, non può inquadrarsi come «cessione volontaria» dell'area, e dunque come tale soggetta alla retrocessione del bene (o al risarcimento) in caso di mancata realizzazione dell'opera, quella intervenuta dopo la dichiarazione di pubblica utilità ma in assenza dell'«offerta amministrativa dell'indennità». Lo ha stabilito il Tribunale ordinario di Firenze, sentenza 2589/2014, rigettando la richiesta di una Srl contro il comune di Figline Valdarno per quasi 2mln di euro per ingiustificato arricchimento. Il caso - L'azienda attrice affermava di aver ceduto «bonariamente» al municipio alcune particelle di terreno a seguito dell'avvio di un procedimento espropriativo al fine di realizzare opere di urbanizzazione primaria, una discarica ed un'area a verde pubblico attrezzata. Quest'ultima però non solo non veniva realizzata ma nel successivo piano regolatore veniva riqualificata e destinata ad edificazione industriale. A questo punto, visto il mutato valore del terreno, era scattata prima la richiesta stragiudiziale di retrocessione del bene, e poi quella giudiziale per il pagamento del controvalore, stimato in 1.975.000 euro. Il Comune però aveva eccepito che non ricorreva un caso di «cessione bonaria», trattandosi invece di una «ordinaria compravendita», non risultando «alcun procedimento per la determinazione dell'indennità né l'offerta di questa». La norma - Il tribunale ha confermato tale lettura ricordando in primis che «il proprietario espropriato ha diritto alla retrocessione del bene, ovvero, in caso di impossibilità, al risarcimento del danno quando l'opera di pubblico interesse, per la quale era stato disposto l'esproprio, non venga realizzata (artt. 46 e 47 Dpr n. 327/2001)». E tale diritto secondo la giurisprudenza, amministrativa e di Cassazione, compete al privato «non solo quando l'amministrazione abbia adottato un formale provvedimento di esproprio, bensì anche quando vi sia stata la cessione volontaria dell'area». La motivazione - Ora, prosegue la sentenza, siccome «è pacifico» che non vi è stato esproprio autoritativo, occorre accertare se gli atti di compravendita siano da qualificare in termini di «cessione volontaria», ovvero siano da reputarsi «ordinarie compravendite», con conseguente inesistenza di alcun vincolo di destinazione sui beni. La Suprema corte (n. 5390/2006) sul punto ha chiarito che «onde distinguere … va tenuto conto che la pendenza del procedimento espropriativo può dirsi esistente non per il semplice fatto della dichiarazione di pubblica utilità dell'opera realizzanda, occorrendo anche che sia stato avviato il sub procedimento di determinazione indennitaria, e sia stata formulata l'offerta amministrativa dell'indennità, solo in presenza della quale il proprietario può valutare la convenienza della cessione». E un altro elemento di differenziazione è costituito dal prezzo che nel caso di trasferimento volontario del fondo «deve correlarsi in modo vincolante ai parametri di legge stabiliti per la determinazione dell'indennità spettante per la sua espropriazione, dai quali non è possibile in alcun modo discostarsi». Ora, conclude la sentenza, l'azienda attrice «non ha né dedotto né provato che nell'ambito del procedimento di esproprio era stato avviato il sub-procedimento per la determinazione Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 38 dell'indennità dovuta, né risulta minimamente che alla data del rogito la P.A. avesse formulato l'offerta amministrativa dell'indennità». Né tantomeno che il prezzo corrispondesse all'indennità di esproprio così come determinata legalmente. Per queste ragioni «difetta il presupposto fondamentale» del diritto alla retrocessione e dunque anche del risarcimento. (Francesco Machina Grifeo, Il Sole 24 ORE –Guida al Diritto, 17 febbraio 2015) 39 Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Edilizia L’edificio rurale accatastato se è abusivo va demolito (Antonio Piccolo, Il Sole 24 ORE – Agrisole Tabloid – 20-26 febbraio 2015) La realizzazione di una costruzione strumentale rurale effettuata senza titolo abilitativo va demolita perché considerata abusiva, anche se il Comune competente l’abbia accatastata d’ufficio e abbia preteso il relativo pagamento dell’Ici. Lo ha stabilito il Tar del Lazio (sezione I-quater) che, con sentenza n.8235/2014, ha respinto il ricorso di un coltivatore diretto (Cd). Questi era proprietario di un’unità immobiliare ubicata a Roma, destinata a uso agricolo, presso la quale svolgeva attività di allevatore di cavalli e di coltivatore diretto, producendo in particolare ortaggi e verdure per provvedere al nutrimento degli animali. Per far fronte alle esigenze imposte dall’esercizio della propria attività agricola, egli aveva realizzato sulla sua proprietà due manufatti adibiti esclusivamente a deposito degli attrezzi da lavoro e di vari prodotti agricoli. Con provvedimento notificato nel corso dell’anno 2006 il Comune, ai sensi dell’articolo 31 del Dpr 380/2001 e sue modificazioni, aveva ordinato al coltivatore diretto la demolizione delle opere realizzate senza alcun titolo abilitativo e il conseguente ripristino dello stato dei luoghi. L’ordinanza è stata impugnata per eccesso di potere, travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti, violazione di legge e insufficienza della motivazione. In particolare il ricorrente, nel chiedere ai primi giudici amministrativi la sospensione del provvedimento, ha sostenuto che il Comune non avrebbe tenuto conto che le costruzioni realizzate sono strumentali all’attività lavorativa svolta e comunque l’ordinanza impugnata non espone le ragioni per le quali sia stata disposta la demolizione dei citati manufatti. Il Comune si è costituito in giudizio e ha insistito sulla correttezza del proprio operato. Con ordinanza n. 447/2007 il Consiglio di Stato (sezione IV) ha confermato l’ordinanza n.3982/2006 con la quale il Tar ha respinto la domanda cautelare avanzata dal ricorrente, mentre con l’ordinanza in commento lo stesso tribunale ha respinto nel merito il ricorso perché infondato. In primo luogo il Collegio amministrativo ha rilevato che nel caso di specie non sussiste alcuna contestazione sull’abusività dei manufatti realizzati dal ricorrente sull’area di sua proprietà, cioè realizzati in difetto di un titolo abilitativo, essendosi il ricorrente stesso limitato ad affermarne la necessità per l’attività agricola condotta direttamente. Sicché, per costante giurisprudenza condivisa anche dal Collegio giudicante, l’ordine di demolizione di abusi edilizi resta comunque un atto vincolato alla constatata illegittimità del manufatto, che per tale sua natura non richiede alcuna specifica valutazione delle ragioni d’interesse pubblico; né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione (conforme, Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza n. 5060 del 24 settembre 2012). In altri termini, proseguono i giudici amministrativi, l’amministrazione comunale non è incorsa nel lamentato travisamento dei fatti né ha errato nel valutare i presupposti, essendo l’ordinanza di demolizione fondata sulla oggettiva circostanza della realizzazione dei manufatti senza alcun titolo abilitativo. In buona sostanza l’ordinanza di demolizione era un atto «dovuto», non avendo avuto il Comune alcuno spazio per poter diversamente valutare la questione né ha senso la doglianza del ricorrente Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 40 secondo cui i manufatti andrebbero considerati regolarmente realizzati solo perché funzionali e strumentali allo svolgimento della propria attività agricola. Il provvedimento impugnato risulta quindi sufficientemente motivato con l’affermazione che l’opera è stata realizzata abusivamente. Del resto, puntualizza il Collegio, l’ordinanza di demolizione di opere abusive si configura quale atto vincolato, in relazione al quale non occorre una motivazione particolarmente stringente. Né rileva, ai fini dell’accertamento, l’avvenuto accatastamento dei manufatti da parte del Comune né che l’amministrazione comunale abbia preteso con riferimento ai manufatti stessi il pagamento dell’Ici. Infatti, concludono i giudici amministrativi, l’accatastamento di un immobile costituisce adempimento di tipo tributario che fa stato a fini specifici e non si atteggia a strumento idoneo a evidenziare una situazione di conformità edilizia. In altre parole, nel caso di specie le doglianze sollevate dal ricorrente sono tutte irrilevanti al fine di 41 confutare la configurazione di abuso edilizio (conforme, Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza n. 666 del 4 febbraio 2013). Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Agricoltura Un mix di colture darà più raccolto (Alessandra Viola, Il Sole 24 ORE – Nova24, 18 febbraio 2015) Entro il 2050, per sfamare i nove miliardi di abitanti che secondo la Fao per allora abiteranno il pianeta, dovremo produrre il sessanta per cento in più di cibo. Usando però meno acqua, meno energia, meno suolo. E facendo i conti con cambiamenti climatici sempre più aggressivi. Per riuscirci, nei prossimi decenni l’agricoltura dovrà cambiare faccia: «Diventerà forzatamente più tecnologica, un’agricoltura di precisione in cui tutti i processi dovranno essere ottimizzati come in 42 un’attività industriale, dosando esattamente le risorse occorrenti e minimizzando gli sprechi – dice Francesco Loreto, direttore del dipartimento di Scienze bioagroalimentari (Disba) del Cnr, che coordina la partecipazione dell’ente all’Expo e i ventiquattro eventi sull’agricoltura del futuro che si terranno nel Padiglione Italia di Milano da maggio a ottobre –. L’attività agricola dovrà intensificarsi il più possibile e fare i conti con le cosiddette “risorse limitanti” che oltre al suolo e all’acqua oggi comprendono anche l’aumento della temperatura, che rende difficoltose alcune colture a certe latitudini e sta già causando migrazioni agricole, la calante disponibilità di sostanza organica nei terreni e la cosiddetta phosphate starvation, ovvero l’esaurimento delle riserve mondiali di fosforo, uno dei tre principali componenti dei fertilizzanti». Per far fronte alle minacce che incombono sull’alimentazione mondiale, la ricerca ha già individuato alcune strategie di punta: intercropping, miglioramento vegetale, integrated pest management, reintroduzione delle piante perenni, nutraceutica. «Non si tratta sempre e solo di innovazioni, ma a volte anche del recupero di antiche tradizioni agricole su cui oggi sappiamo di più – continua Loreto –. Per esempio nel caso dell’intercropping, la pratica di seminare varietà diverse vicine tra loro per lottare contro i parassiti in maniera assolutamente naturale, che era già praticata dai nostri antenati. Alla natura non piace la monocoltura, che per noi è così comoda. In un ecosistema piante diverse vivono le une accanto alle altre e in alcuni casi sono in grado di proteggersi tra loro. Siamo ancora alle prime fasi ma è una linea di ricerca molto promettente ed esistono diversi progetti in varie parti del mondo: si seminano per esempio le fave tra i limoni e gli aranci, perché i terpeni prodotti dagli agrumi confondono gli insetti o li repellono, e nel frattempo le fave, come tutte le leguminose, arricchiscono di azoto il terreno. Oppure si mettono l’aglio tra le banane o la cipolla tra le carote, perché alcune delle sostanze secrete da queste piante meno “nobili” disturbano i parassiti, come quelli del banano o la mosca della carota». Una volta si chiamava lotta integrata, oggi queste sono alcune delle soluzioni dell’integrated pest management (Ipm), che si basa in pratica sulla necessità per gli agricoltori di convivere con i fitofagi e le malattie parassitarie facendo un uso fino all’80% inferiore dei pesticidi, ormai in gran parte proibiti dalla legislazione europea. Insieme all’uso dei fitofarmaci ancora legali, l’Ipm si basa su specifici trattamenti per rafforzare le difese vegetali (anche le piante infatti dispongono di una sorta di “sistema immunitario”) e poi su trappole chimiche o meccaniche in cui attirare gli insetti. Banditi ormai i vecchi trattamenti “a calendario” da effettuare in specifiche stagioni, si punta su trattamenti specifici da somministrare solo in caso di necessità, per minimizzare l’impatto su piante, terreni e prodotti finali. E una delle soluzioni potrebbe arrivare dalle piante perenni. «Reintrodurle al posto dei cereali annuali risolverà numerosi problemi legati all’uso delle risorse – spiega Loreto – perché la pianta perenne ha radici più lunghe e dunque esplora il terreno a maggiore profondità. Per questo ha bisogno di meno acqua e meno fertilizzanti, e rende stabile il suolo creando una sorta di rete neurale con le proprie radici e con il network di organismi che lì convivono». «Rimane il grosso problema della produttività – continua Loreto –, che in queste specie è in genere molto inferiore rispetto a quelle annuali. Grazie alla variabilità genetica conservata nelle banche del germoplasma, prima fra tutte quella del Cnr di Bari che contiene oltre sessantamila semi di cui oltre la metà di cereali, riusciremo però nei prossimi anni a selezionare varietà più produttive. Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Sempre più in futuro l’agricoltura si baserà infatti sulle nuove tecniche del miglioramento vegetale, basate sul sequenziamento del Dna di un numero crescente di specie. Conoscendo la sequenza completa dei geni di diverse piante, abbiamo scoperto che ognuna ha già in sé la maggior parte della variabilità utile a ulteriori tentativi di miglioramento genetico». Non si tratta quindi di inserire un gene estraneo, come si faceva con gli Ogm, per portare la caratteristica voluta, ma di utilizzare quelli che già ci sono, modulandoli. «Lo faremo sempre più spesso – conclude l’esperto –, per esempio per eliminare sostanze antinutrizionali come i composti sulforati nel fagiolo, che scoraggiano il consumo di questo prezioso legume perché provocano meteorismo. Oppure per aggiungere vitamine o altre sostanze nutritive pregiate creando cibi funzionali e ad alto valore nutritivo, in grado di sconfiggere pericolose malattie da carenza alimentare che ancora piagano intere aree, specialmente nelle nazioni più povere». 43 Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Agricoltura Le strategie innovative contro le minacce all’agricoltura (Alessandra Viola, Il Sole 24 ORE – Nova24, 18 febbraio 2015) Nubifragi e conche di sabbia, erosione dei terreni e salinizzazione delle acque di falda: sono queste le principali minacce che incombono sull’agricoltura, effetto della nefasta combinazione di cambiamenti climatici e cattiva gestione del territorio e delle risorse. Partiamo dall’acqua: crisi idriche senza precedenti si sono verificate quest’anno negli Stati Uniti e sono tuttora in corso in Brasile, e anche in Italia abbiamo già tastato (si veda la grande crisi idrica del Po) il polso del clima che cambia. 44 «Con l’aumento della temperatura mondiale (il 2014 è stato l’anno più caldo di sempre, ndr) il ciclo idrologico sta cambiando drasticamente e diventando più veloce, così ora mentre nel Centronord europeo le alluvioni sono in aumento, i deserti allo stesso tempo fanno la loro comparsa nel nostro continente – dice Mauro Centritto, direttore dell’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Cnr e coordinatore dell’evento Siccità, degrado del territorio e desertificazione in Italia e nel mondo che si terrà il 26 agosto a Expo –. Si teme persino che la combinazione di ondate di calore più frequenti e megasiccità possa portare tra pochi anni alcune zone del mondo oltre il punto di non ritorno, la cosiddetta dust bowlification. È un concetto differente rispetto alla desertificazione: i deserti, anche nelle condizioni più estreme, sono comunque degli ecosistemi. Le dust bowl saranno invece solo delle enormi conche di sabbia, prive di vita». Se i cambiamenti climatici si combineranno con il degrado e la cattiva gestione del territorio, tutto il bacino del Mediterraneo entrerà in crisi, e noi con esso. Le cifre parlano chiaro: il 21% del territorio nazionale è già a rischio. «In Italia il degrado del suolo è continuo – continua Centritto –. Negli ultimi quaranta anni abbiamo ridotto di continuo la sostanza organica presente nel terreno e la capacità di ritenzione idrica è scesa del 30 per cento. I nostri suoli stanno perdendo fertilità». Le ultime frontiere della ricerca sull’acqua potrebbero risolvere in parte questi problemi eliminando gli sprechi e utilizzando le cosiddette “acque non convenzionali” (acque di scarico depurate) in aggiunta alle fonti tradizionali. «L’acqua dolce disponibile per l’irrigazione è in continua diminuzione per quantità e qualità, sia per le condizioni ambientali che per l’aumento della competizione con altri usi – spiega Riccardo d’Andria, direttore dell’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo e coordinatore dell’evento Expo dell’1 luglio La fame di acqua: l’uso sostenibile dell’acqua per i sistemi colturali –. In agricoltura però la richiesta di acqua è in continuo aumento, sia per incrementare la produzione sia per rendere più stabili i raccolti. Oggi si punta su strategie innovative come l’irrigazione di precisione o la cosiddetta “irrigazione dallo spazio”. Acquisendo da satellite immagini multispettrali è possibile infatti conoscere lo stato idrico e vegetativo di una coltura e tramite algoritmi ed elaborazioni ottenere una stima del fabbisogno irriguo in modo da poter erogare la quantità di acqua esattamente necessaria evitando inutili sprechi. Altra risorsa sono le “acque non convenzionali”, che si usano già con ottimi risultati in molti Paesi come ad esempio in Israele, e che possono anche presentare contenuti di sostanze preziose per la nutrizione delle piante. La ricerca e le tecnologie da noi sono già mature, ma occorrono volontà politica e investimenti». L’emergenza acqua è destinata a peggiorare rapidamente nei prossimi anni anche a causa dell’intrusione dell’acqua salina nelle falde. «Nelle aree irrigue costiere della nostra penisola l’eccessivo pompaggio delle acque dai pozzi – continua d’Andria – comporta l’abbassamento della falda sotto il livello del mare, con la conseguente intrusione di acqua salina. L’uso di queste acque determina la salinizzazione dei suoli, con il conseguente rischio di desertificazione». Problemi complessi e di difficile soluzione, in merito ai quali una sola cosa è chiara: non riguardano la Terra, riguardano noi. Il pianeta troverà nuovi equilibri. Ma occorre chiedersi cosa comporteranno per l’uomo la desertificazione di una parte importante del pianeta, la perdita di fertilità dei suoli, la scarsità d’acqua. Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Alimentazione Le tecnologie che cambieranno la nostra alimentazione (Francesca Cerati, Il Sole 24 ORE – Nova24, 18 febbraio 2015) Mettere una bandiera coi “toni” dell’innovazione affinchè l’Italia abbia un ruolo di primo piano nella filiera agroalimentare. «Se nel mondo raccontiamo che vogliamo diventare leader nelle tecnologie, nelle applicazioni, nei big data etc - dice Marco Gualtieri, ideatore di Seeds&Chips, il primo salone internazionale dedicato alle aziende e startup digitali che stanno innovando nella filiera agroalimentare ed enogastronomica - rischiamo, forse, di non essere presi molto in considerazione. Se invece a questi ci aggiungiamo la parola Food, allora il racconto si fa completamente diverso. L’Italia, infatti, è anche leader nelle macchine agricole e quindi le innovazioni nell'agricoltura di 45 precisione, avrebbero anche un agevolato ecosistema in cui svilupparsi, nelle vending machine, che applicate al concetto di Internet of Food, aprono altri scenari. Inoltre, fattore non irrilevante, in Italia abbiamo sia l'Agenzia europea per la sicurezza alimentare, che la Fao. Ma non bisogna dimenticare che molte delle soluzioni di Internet of Food sono anche un'opportunità per il mondo del design e dell'architettura». Un mese prima dall’apertura di Expo, Seeds%Chips (a Milano dal 26 al 29 marzo) ha l’obiettivo di anticipare e focalizzare le soluzioni tecnologiche che stanno rivoluzionando interi processi e settori ma che, soprattutto, sono lo strumento necessario per affrontare i temi della sostenibilità, della lotta agli sprechi, della tracciabilità e sicurezza alimentare così come il mezzo per la sopravvivenza e lo sviluppo di micro imprese locali di produzione, vendita e somministrazione. I Big Player, così come i grandi investitori internazionali e migliaia di startup in tutto il mondo stanno presidiando e creando questo settore (Internet of Food o Food Tech) che è necessariamente destinato a crescere in maniera esponenziale nei prossimi anni in considerazione del fatto che non solo impatta con la più grande attività economica mondiale, ma che è componente fondamentale nel risolvere la sfida più importante e vitale: alimentare tutta la popolazione mondiale che nei prossimi 15 anni aumenterà di un miliardo di persone. Dall'agricoltura di precisione, alle innovazioni ed evoluzioni nel mondo dell'idroponica che arriveranno nelle nostre case, condomini e negozi; dalle stampanti 3d per il cibo, ai sensori molecolari portatili che ci indicano il contenuto di un alimento; dai nuovi modelli e piattaforme di ecommerce nel food ai nuovi sistemi di comunicazione, promozione, valorizzazione di prodotti, territori o filiere; dalle etichette intelligenti per la tracciabilità dei prodotti o l'indicazione del loro contenuto, alle applicazioni per ridurre gli sprechi in ogni passaggio della filiera; dai sistemi di cognitive cooking alle smart kitchen che renderanno più facile, sicuro e spesso anche più sostenibile il nostro rapporto con i prodotti alimentari che abbiamo in casa. Il tutto accompagnato e supportato dai Big Data o Food Data. «Molto di quello che sta succedendo e succederà - continua Gualtieri - nasce e arriva prevalentemente dalle startup. I casi evidenti fino ad ora lo raccontano e lo confermano tutti i big player. Noi abbiamo intercettato alcune startup italiane che potrebbero essere dirompenti e diventare aziende importanti a livello internazionale: un progetto italiano, l'isola idroponica galleggiante, è appena stata nominata in Francia come una delle invenzioni che potrebbero cambiare il mondo; un'altra startup italiana che ha realizzato uno dei primi sistemi idroponici casalinghi, è, secondo alcuni esperti americani, una potenziale “billion company”. Ma quante altre ce ne sono che non conosciamo e/o che potrebbero nascere se accompagnate in un ecosistema che noi vogliamo cercare di stimolare, creare e aggregare?». Seeds&Chips (www.seedsandchips.com) può rappresentare una delle legacy di Expo ampliandosi negli anni successivi e alimentando un ecosistema non solo importante ma strategico per l'Italia, dove la filiera delle startup e della ricerca universitaria, unita alla creatività e alla unicità del sistema agroalimentare ed enogastronomico possono giocare un ruolo chiave a livello internazionale attirando attenzione, interessi ed investimenti. Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Agevolazioni Ppc, niente «sconti» se non si presenta il certificato che attesta i requisiti (Antonio Piccolo, Il Sole 24 ORE – Agrisole Tabloid – 20-26 febbraio 2015) Il certificato rilasciato dall’Istituto provinciale agrario (Ipa), che attesta la sussistenza dei requisiti per usufruire delle agevolazioni fiscali previste dalla legge 604/1954 in materia della cosiddetta «Piccola proprietà contadina» (Ppc), ha natura sostanziale e non formale. Lo ha stabilito la Comm. Trib. Reg. di Milano, sezione staccata di Brescia, con sentenza n. 42/65/15 46 depositata il 13 gennaio 2015. Raggiunti da un avviso di liquidazione delle imposte dovute (registro e ipotecaria) per l’anno 2005, con riferimento all’acquisto di un terreno agricolo, due contribuenti avevano proposto ricorso alla Comm. Trib.Prov. di Mantova. L’ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate, nel revocare le agevolazioni fiscali richieste e ottenute dai contribuenti, aveva preteso da questi le maggiori imposte dovute, non avendo gli stessi prodotto nel triennio la certificazione definitiva (rilasciata dall’Ipa) attestante la qualifica di coltivatore diretto (Cd). In sede di ricorso i contribuenti avevano invece sostenuto che l’allegazione della citata certificazione non era necessaria, essendo di fatto in possesso della qualifica di coltivatore diretto già al momento dell’acquisto del bene immobile. I primi giudici tributari mantovani, nell’accogliere il ricorso, hanno ritenuto sufficiente ai fini delle agevolazioni tributarie in questione le circostanze che i contribuenti fossero coltivatori diretti al momento dell’acquisto del terreno agricolo e che nessuna contestazione sia stata mossa nei loro confronti all’atto dell’acquisto stesso. La decisione è stata impugnata dall’ufficio che, alla luce dei contenuti degli articoli 3 e 4 delle legge 604/1954, ha sostenuto che il certificato attestante la sussistenza dei requisiti per godere dei benefici fiscali deve essere in ogni caso prodotto al momento della registrazione del rogito notarile, oppure entro il termine decadenziale di tre anni dalla registrazione dell’atto di compravendita. L’ufficio appellante, inoltre, ha osservato che nel caso di specie non rilevano le disposizioni di cui al comma 4-bis dell’articolo 2 del Dl 194/2009 (convertito dalla legge 25/2010), in quanto applicabili esclusivamente agli atti stipulati dal 28 febbraio al 31 dicembre 2010. Per tali ragioni l’ufficio ha chiesto ai giudici del riesame la riforma della sentenza impugnata e, per l’effetto, la conferma del proprio operato. Nel costituirsi nel giudizio di appello i contribuenti hanno invece sostenuto che la mancata presentazione del certificato nel termine triennale determina la decadenza dai benefici fiscali previsti per la piccola proprietà contadina soltanto quando l’acquirente non sia provvisto dei requisiti richiesti al momento della stipula dell’atto di compravendita, mentre nel caso di specie i requisiti necessari sussistevano già in sede di rogito notarile. In ogni caso, concludono gli appellati, dalla disposizione di cui al citato comma 4-bis dall’articolo 2 del Dl 194/2009 emerge la natura esclusivamente formale dell’adempimento della presentazione della certificazione rilasciata dall’Ipa. Inoltre, ai sensi del comma 4 dell’articolo 6 della legge 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), l’ufficio avrebbe dovuto rivolgersi direttamente all’ente provinciale per svolgere gli accertamenti del caso, appartenendo entrambi alla pubblica amministrazione. Secondo il Collegio regionale, che ha riformato la decisione dei primi giudici, per potere godere delle agevolazioni fiscali l’articolo 3 della legge 604/1954 disponeva espressamente che l’acquirente doveva produrre, al momento della registrazione dell’atto di compravendita, un Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 certificato dell’Ipa competente per territorio, attestante la sussistenza dei requisiti richiesti dall’articolo 2. Il successivo articolo 4 prevedeva che, in luogo del citato certificato, potesse essere prodotta un’attestazione provvisoria del medesimo Ipa dalla quale risultasse essere in corso gli accertamenti per il rilascio e che, in tal caso, le agevolazioni tributarie erano concesse al momento della registrazione, ma entro tre anni da tale formalità l’interessato avrebbe dovuto presentare all’ufficio il certificato definitivo attestante che i requisiti richiesti sussistevano sin dal momento della stipula dell’atto; in difetto i contribuenti avrebbero dovuto corrispondere le imposte (registro e ipotecaria) nelle misure ordinarie. Stante il dettato normativo – così i giudici di appello – non può essere accolta la tesi dei contribuenti, secondo cui il certificato avrebbe mero contenuto ricognitorio, nel senso che la sua presentazione costituirebbe un adempimento meramente formale e riguardante solo chi non possedeva i requisiti al momento dell’atto di compravendita. Il Collegio ha respinto anche le altre 47 doglianze sollevate dai contribuenti. In primo luogo è stato ritenuto che la nuova disciplina prevista dal citato comma 4-bis dell’articolo 2 del Dl 194/2009, che ha abrogato le norme della legge 604/1954, non può trovare applicazione al caso di specie, essendo entrata in vigore in epoca successiva al rogito notarile e non avendo efficacia retroattiva. Infine è stato osservato che non sussistono neppure i presupposti per l’applicazione della disposizione di cui al predetto comma 4 dell’articolo 6 dello Statuto dei diritti del contribuente, dato che per il rilascio del certificato in questione è necessaria un’apposita richiesta da parte del soggetto interessato Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 Casi pratici Agricoltura L'IMPRENDITORE AGRICOLO NON PUÒ FALLIRE D. L'imprenditore agricolo può fallire? Oppure è ancora un soggetto escluso da tale procedura? In base a quale articolo? ----R. L'imprenditore agricolo non è soggetto a fallimento in quanto questa procedura è riservata agli imprenditori commerciali. La legge fallimentare (Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267) individua, infatti, determinati requisiti di natura soggettiva e oggettiva in presenza dei quali un’impresa rientra nel campo di applicazione del fallimento. In particolare, sotto il profilo soggettivo, l’articolo 1 della legge fallimentare dispone che sono soggette al fallimento solamente le imprese private, sia in forma individuale che in forma societaria, che esercitano un’attività commerciale. Per individuare la nozione di impresa commerciale, dovrà farsi riferimento all'articolo 2195, Codice civile, ove sono elencate le attività che qualificano un’impresa come tale: si tratta delle attività di produzione di beni o servizi; di intermediazione nella circolazione dei beni; di trasporto per terra, acqua, aria; bancarie e assicurative e attività ausiliarie delle precedenti. Pertanto, per espressa previsione dell’articolo 1 della legge fallimentare, l’imprenditore agricolo non rientra tra i soggetti fallibili. A conferma si ricorda che l’articolo 23 del Dl 99/2011 ha esteso, in via eccezionale, la procedura di ristrutturazione del debito di cui all’articolo 182 bis della legge fallimentare alle imprese agricole che sarebbero naturalmente escluse dalla predetta disciplina. (Gian paolo Tosoni, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 9 febbraio 2015) I REQUISITI PER DIVENTARE COLTIVATORE DIRETTO O IAP D. Vorrei coltivare un terreno agricolo di circa 5.000 mq, in Emilia Romagna, che ho in comproprietà con mio fratello (libero professionista). Attualmente ho solo redditi da locazione immobiliare per circa 30mila euro annui. Quali requisiti reddituali, personali o di altra natura dovrei avere per assumere la qualifica di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo? Con tale qualifica si gode anche dell'eventuale diritto di prelazione nel caso di vendita di confinanti terreni incolti, agricoli o con diversa destinazione urbanistica? ----R. Lo svolgimento di un'attività di coltivazione è requisito necessario, ma non sufficiente, per ottenere la qualifica di imprenditore agricolo professionale o coltivatore diretto. Sono coltivatori diretti (Cd), ai sensi dell’articolo 31 della legge 590/1965, «coloro che direttamente ed abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi ed all'allevamento e al governo del bestiame», a condizione che la forza lavorativa complessiva del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità di coltivazione del fondo. La qualifica di Imprenditore agricolo professionale (Iap), in base al dettato dell’articolo 1 del Dlgs 99/2004, spetta invece a chi, in possesso di conoscenze e competenze professionali, dedichi alle attività agricole di cui all'articolo 2135 del Codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro. La qualifica di coltivatore diretto si basa quindi sullo svolgimento diretto dell'attività agricola da parte dell’imprenditore e dei suoi familiari. In questo caso, l’incidenza del lavoro esterno (dipendenti o contoterzisti) deve essere inferiore a un terzo del totale. Per la qualifica di Iap è necessario invece che i redditi da attività agricola (verificati dal Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 48 quadro della dichiarazione Irap) siano maggiori degli altri redditi di lavoro e che all'attività agricola venga destinato almeno il 50% del proprio tempo lavorativo. Quest’ultima valutazione è basata su apposite tabelle di conversione dell’estensione del fondo coltivato in giornate lavorative annue. Entrambe le qualifiche sono soggette a verifica da parte degli ispettorati agrari delle Province di appartenenza. Si ritiene che, nel caso prospettato, la qualifica di Iap sia difficilmente ottenibile a causa della ridotta estensione del fondo. Viceversa, la qualifica di Cd, se il fondo è veramente, direttamente coltivato, potrà essere più facilmente riconosciuta. In merito alla prelazione agraria, si segnala che solo ed unicamente la qualifica di Cd, in base all’articolo 8 della legge 590/1965, consente di poter esercitare il diritto di prelazione sul fondo condotto ovvero, a specifiche condizioni, sui fondi confinanti. (Gian paolo Tosoni, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 9 febbraio 2015) EDILIZIA LAVORI IN GIARDINO, CONTANO ANCHE I MILLESIMI DEI BOX D. Abito in un fabbricato condominiale composto da 16 abitazioni e sette garage. Dovendo effettuare lavori di taglio di bosco e piante sul retro del condominio, per il computo totale della spesa dovranno essere conteggiati anche i millesimi dei garage? ----R. Ai fini del Codice civile, in materia di condominio non ha importanza la destinazione d'uso del bene (abitativo, commerciale, garage eccetera). Ciò che rileva è l'unità immobiliare privata che ha in comune alcuni beni con altre unità immobiliari. Trattandosi, pertanto, di un unico corpo di fabbrica, composto da 23 unità immobiliari, tutto ciò che riguarda la manutenzione (sia essa ordinaria o straordinaria) della parte comune costituita dal giardino, dev'essere ripartita sulla base della tabella millesimale ex articolo 1123, comma 1, del Codice civile. (Edoardo Riccio, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 6 febbraio 2015) SUI CHIUSINI DELLE FOGNE INTERVIENE SOLO IL COMUNE D. Uno scarico dell’acqua piovana del tetto va a finire in un pozzetto a bordo strada; da lì scarica direttamente in fognatura. Durante i lavori di ristrutturazione, mi sono accorta che il pozzetto a bordo strada, anche in caso di piogge moderate, non riesce a raccogliere tutta l’acqua con reflusso verso la mia abitazione e danneggiamento dei muri. Da un controllo, rompendo un po' di asfalto, si è visto che il tubo originario su proprietà comunale, che scarica in fogna, è stato rotto, sicuramente non da lavori effettuati da privato, ed è stato riparato introducendo un altro tubo di sezione, più piccolo, diventato causa del reflusso. A chi competono i lavori di ripristino della situazione originaria? Il problema persiste da più di 10 anni. ---R. L’articolo 908 del Codice civile prescrive che il proprietario deve costruire il tetto in maniera che le acque piovane scolino sul suo terreno e non può farle cadere nel fondo vicino; se esistono pubblici colatoi, deve provvedere affinchè le acque piovane vi siano immesse con gronde o canali, nel rispetto dei regolamenti locali e le leggi sulla polizia idraulica. Il regolamento del Comune di Torino stabilisce che nessuno può riparare o costruire qualsivoglia canale di scolo, anche di acque pluviali, senza che sia stato concesso speciale permesso dal sindaco. È altresì vietato rimuovere il pavimento stradale o i chiusini delle pubbliche fogne, essendo ciò riservato ai soli agenti od incaricati del municipio. Ne discende che non può essere attivato alcun intervento, se non previa acquisizione di autorizzazione del Comune. Si dovrà, quindi, segnalare il disservizio al Comune, anche per una verifica delle responsabilità in ordine agli errati interventi di manutenzione effettuati in passato, e chiedere di effettuare la riparazione sotto la sorveglianza del municipio, salvo che lo stesso non intenda intervenire direttamente, evidenziando l’urgenza della riparazione a causa del Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2 49 riflusso di acqua verso i muri dell’abitazione, anche ai fini di eventuali azioni di tutela giurisdizionale. (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 9 febbraio 2015). 50 Periti Agrari News – Febbraio 2015 n. 2