TerreNostre 1

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O.G.M.
Il robusto sapore dell’olio nuovo.
L’odore forte e penetrante della selvaggina.
La presa densa e avvolgente del latte appena munto.
Sapori semplici, ma ormai quasi persi nel calderone dell’alimentazione industrializzata generata dalla società dei
consumi e oscurati da quantità di aromi artificiali. Sapori che si perdono, ma anche sicurezze che vengono meno: se
la nutrizione “alla McDonald’s” ci ha riempito di grassi di ogni genere, adesso quella “alla Monsanto” potrebbe
addirittura avvelenarci.
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Notizie delle ultime settimane vanno infatti dall’abbandono di un progetto sui
piselli OGM(Organismi Geneticamente Modificati), portato avanti da un
gruppo di scienziati australiani, a causa della scoperta che il prodotto causava
infiammazioni al tessuto polmonare [1] alla scoperta che il parmigiano,
prodotto di punta della produzione italiana che provoca la frequente
mobilitazione di politici e personalità per contrastare la concorrenza delle
scadentissime copie d’oltreoceano, è prodotto da mucche alimentate con
mangimi geneticamente modificati [2]. Questo solo perché, non valendo per i
mangimi la prescrizione sulle materie prime… non esiste una
regolamentazione in tal senso. Perché non tracciarne e certificarne la
provenienza con un semplicissimo bollino di qualità? Mistero.
Tra le due notizie si inserisce poi la decisione della Svizzera di attuare una moratoria quinquennale sugli OGM. Lo
scorso 27 novembre, infatti, il popolo elvetico ha proibito con un referendum le applicazioni pratiche degli
organismi geneticamente modificati, questo a causa soprattutto della scarsità di informazioni relative alle possibili
conseguenze che l’impiego di questi prodotti può avere sugli uomini e sugli animali e sulle quali le multinazionali
del settore tendono a mantenere il più stretto riserbo [3].
Riserbo, ma anche omertà disinformativa e presenza di collusioni politiche.
Ma proseguiamo con gli esempi e, dato che non si può parlare di OGM senza
parlare del leader del settore, vediamo per un attimo cosa ha combinato negli
ultimi mesi la Monsanto. Cominciamo con una chicca estiva: è notizia del 2
agosto [4] che la multinazionale svizzera avrebbe fatto domanda al WIPO [5]
per ottenere il brevetto di maiali con determinate caratteristiche e di alcuni
metodi di allevamento in 160 nazioni nel mondo. Brevetto che permette
all’azienda di avere l’esclusiva su questi e per utilizzare i quali, se la domanda
verrà accolta, sarà necessario pagare royalties alla Monsanto stessa.
Allucinante. Ma forse non troppo: ricordiamo che la Monsanto è l’azienda che
nel 1969 creò il tristemente famoso agente orange, utilizzato in Indocina
dall’esercito americano come defoliante… sui vietnamiti!
Le azioni di questo periodo continuano poi con la prosecuzione dell’aggressiva politica di sfondamento sui mercati
per la soia e il mais transgenici. Un’operazione per portare avanti la quale la multinazionale trova un solido alleato
nella Commissione Europea. La turba di tecnocrati e banchieri che governa il continente infatti, come sempre prona
ai desideri ed alle richieste dei giganti economici e finanziari, ha utilizzato il periodo estivo (e la conseguente
difficoltà di mobilitazione popolare) per dare il via libera al mais transgenico della Monsanto MON863, per il quale
Greenpeace e varie altre associazioni ambientaliste, dei consumatori e di tutela della salute (Eeb, Friends of the
Earth, Eurocoop) hanno vivacemente protestato per il volontario dilettantismo nelle sperimentazioni, e per
consentire l’importazione della colza Ogm Gt73, sia per usi industriali (e quindi per l'eventuale produzione di olio
di colza) che per la mangimistica. Proprio quest’ultimo prodotto, perché di prodotti stiamo parlando e non di frutti
della terra, è stato causa infatti del primo caso accertato di contaminazione genetica: in Gran Bretagna, infatti, i
geni di una coltivazione sperimentale di colza OGM si sono trasferiti in una pianta locale, la senape selvatica. I
semi e i pollini di migliaia e migliaia di specie vegetali sono infatti, com’è naturale che sia, facilmente disperdibili
nell’ambiente grazie alla sola azione del vento; azione che è fortemente alimentata da mulini, porti e trasporti
terrestri, con l’azione combinata dei quali si possono avere contaminazioni anche a decine di chilometri di distanza
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e il pericolo di una velocissima diffusione in un territorio ristretto e densamente sfruttato come quello europeo.
Effetti involontari? Negativo. Potremmo anche spingerci nel cospirazionismo…
Il brevetto di prodotti geneticamente modificati permette infatti alle multinazionali biogeniche di impedire ai
coltivatori la tradizionale pratica di mettere da parte una frazione delle sementi generate dai raccolti per poterle
riutilizzare nella semina dell’anno successivo. Questo genera da una parte un danno alle comunità tradizionali in cui
si condividono socialmente i mezzi di produzione(in questo caso le sementi), dall’altra si dà luogo ad un danno
economico e alla nascita di una dipendenza totale dei coltivatori nei confronti delle multinazionali. Queste infatti,
per garantire il loro “diritto” al possesso esclusivo dei semi, dotano questi stessi di un gene che li rende sterili(i
cosiddetti “Terminator”) così da renderne automaticamente impossibile il riutilizzo e obbligando ogni anno i
contadini ad acquistare nuovamente le loro sementi, controllando e imponendo il prezzo senza alcun rischio per i
loro fatturati.
Tirando le conclusioni: forti rischi per la salute, disinformazione,
sperimentazioni fasulle, contaminazioni genetiche e sterilizzazione dei
raccolti. Ci stanno colpendo nella salute, nelle tradizioni e nel
portafogli… vogliamo sodomizzarci ancora oppure tentare una
reazione?
Certo, non è facile combattere la Monsanto o altri colossi del genere,
specialmente se sostenuti nei loro programmi dalle istituzioni
internazionali, ma qualche iniziativa può essere apportata dai governi
nazionali e dalle regioni per respingere, sia in modo diretto che
indiretto, l’invasione dell’alimentazione-frankenstein. Si potrebbe
cominciare col sostenere le colture tradizionali, ad esempio apportando finanziamenti e sgravi fiscali per
l’agricoltura e l’allevamento classici e biologici e creando i presupposti per contrastare il fenomeno
dell’inurbamento a favore di un ritorno ai piccoli insediamenti rurali e alle piccole aziende agricole a conduzione
familiare. Allo stesso tempo si può combattere la diffusione degli OGM e il rischio di contaminazione genetica
limitando queste coltivazioni nell’ambito della sperimentazione, ossia decretando moratorie(come quella svizzera)
sulla vendita di cibi transgenici e circoscrivendo la coltivazione per scopi di ricerca scientifica a serre e luoghi
simili totalmente isolati dall’esterno.
Le soluzioni sono varie, è solamente necessaria la volontà politica per attuarle.
[1] Fonte: Journal of Agricultural and Food Chemistry
[2] Fonte: “Il Manifesto” 30/10/2005 e www.disinformazione.it
[3] Per maggiori informazioni: Jacqueline Oggier, responsabile del progetto Ingegneria genetica al WWF Svizzera, tel. 022.939.39.77
oppure 079.286.75.62, e-mail: [email protected]
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[4] Eric Gall di Greenpeace, conferenza internazionale su biodiversità e biopirateria di Nuova Delhi
[5] World Intellectual Property Organisation, con sede a Ginevra
Per approfondimenti: http://ogm.greenpeace.it; http://www.disinformazione.info/paginaogm.htm.
MONTEPULCIANO E MONTEFOLLONICO
Una leggenda narra che la cittadina di Montepulciano abbia avuto origine da una secessione degli aristocratici di
Chiusi, forse durante le prime invasione barbariche, che si sarebbero ritirati sulla collina che avrebbe quindi preso il
nome di "Mons Politus e Polictus", cioè Monte dei Nobili mentre la plebe, si sarebbe spostata a Città della Pieve
che, per questo, prendeva il nome di "Civitas Plebis". Più improbabile è la
versione secondo cui Porsenna avrebbe fondato la città dopo una ipotetica
distruzione di Chiusi ai tempi di Papirio Carbone e di Silla. In realtà sono
numerosi i resti che testimoniano la presenza di insediamenti etruschi sul
colle Poliziano.
Sicure testimonianze di questa città si trovano per la prima volta in un
documento del 715 dove è esplicitamente nominato "Mons Politianus". Da
Ottone I, Montepulciano ricevè il titolo di "città imperiale" ed è stata per
lungo tempo contesa da Firenze, Siena, Perugia e Orvieto. Montepulciano,
infatti occupa una posizione strategica tra la Val di Chiana e la Val d’Orcia.
Passeggiano per il paese si ammirano i palazzi rinascimentali e Piazza
Grande, centro di Montepulciano, che è una delle più belle piazze delle città
minori italiane, che nel silenzio custodiscono nobili memorie di momenti di
splendore e di alta civiltà. Dalla cima del Palazzo comunale (molto simile a
quello di Firenze) si gode una vista suggestiva che spazia dall’Appennino Umbro alle più dolci colline Senesi.
Montepulciano è famosa soprattutto per il "Vino Nobile ", uno dei più
importanti vini rossi italiani, derivato dal vitigno Prugnolo gentile
(Sangiovese grosso). La visita alle cantine è estremamente interessante,
perché permette di osservare parte di un’attività tradizionale ancora legata
ai lenti ritmi della terra.
Poco distante da Montepulciano è Montefollonico: un piccolo borgo
medioevale sorto tra il XII e il XIII secolo come borgo fortificato della
Repubblica Senese su insediamenti preesistenti Etruschi e Romani. Questo
piccolo paese è arroccato in cima ad un colle nel cuore della Val d’Orcia, e
di fronte al più famoso Montepulciano.
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Montefollonico viene difficilmente menzionato tra i classici circuiti
turistici, e forse anche per questo motivo, già percorrendo la strada
tortuosa che raggiunge il paese, si ha la sensazione di aver lasciato il
nostro secolo alle spalle per ritrovarsi in un mondo antico e semplice,
scandito dai ritmi della terra. E la stessa rasserenante impressione si
prova passeggiando per i vicoli e costeggiando le mura in parte diroccate.
La vista sulla valle e su Montepulciano sono eccezionali. Da visitare è la
pieve di San Leonardo: uno degli esempi più importanti di architettura
romanica dell'antico territorio senese.
IN CUCINA!
Ed eccoci giunti alla seconda puntata di questo piccolo ricettario di tradizionale, semplice, ma soprattutto genuina
cucina toscana ed italiana.
Oggi partiamo da un antipasto semplicissimo, ma dal gusto deciso, tipico delle colline toscane: la Fettunta.
Due spicchi d'aglio fresco, fette di pane toscano (in mancanza va bene anche il pane pugliese), olio extravergine
d'oliva toscano, possibilmente nuovo. Sale e pepe.
Fate abbrustolire sulla griglia le fette di pane, dorandole da entrambi i
lati ma avendo cura di far si che la parte centrale, rimanga morbida.
Mondate l'aglio, poi tagliatelo a metà e strofinatelo su una faccia della
fetta di pane abbrustolita, ancora calda. Al termine, salate e pepate
leggermente, prima di aggiungere abbondante olio nuovo toscano.
E come primo piatto, una zuppa di semplice preparazione, ma dal sapore gustoso, cui volendo, si può aggiungere
della pasta corta da minestra in cottura, anche se noi la preferiamo semplice, come vuole la tradizione: Minestra di
ceci e castagne.
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Ceci gr. 300, castagne g. 300, aglio, olio di oliva, rosmarino, sale, pepe.
Mettere a bagno i ceci la sera precedente in acqua e sale e cuocerli quindi il
mattino seguente in una pentola possibilmente di coccio, a fuoco lento.
Contemporaneamente in un’altra pentola mettere a lessare le castagne con la
loro buccia, quindi quando saranno cotte privarle sia della buccia dura
esterna che della pellicina interna. Nel frattempo fare un soffritto in un
tegamino con olio di oliva, due spicchi di aglio e foglioline di rosmarino.
Quando sarà ben insaporito versarlo nella pentola dove sono in cottura i ceci,
aggiungervi le castagne lessate mondate, schiacciare due o tre cucchiai di
ceci per addensare il brodo, lasciare insaporire ancora un poco e servire.
E per secondo, affettati: prosciutto crudo toscano, dall'inconfondibile sapore sapido e
speziato; la finocchiona, salame morbido che viene insaccato miscelando la carne di maiale
con vino rosso, sale, pepe ed erbe aromatiche; oppure il lardo di Colonnata, che deve
stagionare con le spezie almeno tre mesi in vasche di marmo, dove si forma una sorta di
salamoia che aiuta il processo di ammorbidimento delle carni e l'insaporimento delle stesse.
Magari accompagnati da pecorino di pienza e verdure sott'olio...
In ultimo, il dolce: la Schiaccia briaca
Kg. 1 di farina bianca, gr. 500 di zucchero, gr. 200 di uva secca, gr. 300 di frutta secca tritata (noci, mandorle,
nocciole), pinoli, due bicchieri d’olio, aleatico a piacere, un bicchiere di alchermes, una noce di lievito di birra.
La sera preparate un piccolo pane con il lievito di birra sciolto in un bicchiere d’acqua tiepida e con gr. 100 di farina
e lasciarlo lievitare tutta la notte, coperto con un panno.
Mettere la farina sulla spianatoia, aggiungervi il pane lievitato, la frutta secca tritata, l'uva secca ammollata
precedentemente in acqua tiepida, l’olio, l’aleatico, l'alchermes. Impastare il tutto, lavorando lungamente: l'impasto
deve risultare omogeneo e morbido. Ungere una teglia rotonda con olio, foderare il fondo con carta oleata, che
copra anche il bordo, ungere anche la carta oleata e stendervi l'impasto.
Prima di mettere in forno, coprire l'impasto con i pinoli. Cuocere in forno caldo per 40/45 minuti. Sfornare, lasciar
raffreddare e disporre la schiaccia su di un piatto, lasciando la carta sulla quale è stata cotta.
Buon appetito!
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