Bennet a spendere le lodi più alte di Amy Winehouse, le uniche, in
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Bennet a spendere le lodi più alte di Amy Winehouse, le uniche, in
Bennet a spendere le lodi più alte di Amy Winehouse, le uniche, in fondo, e le sole di cui lei sarebbe stata orgogliosa. E non è certo la delicatezza che lo guida: al contrario, il film non risparmia nulla al suo soggetto, nemmeno la fotografia del cadavere, però non lascia il contatto coi fatti, rifiuta i voli pindarici, dà voce all'ipotesi psicologica solo laddove è l'interessata stessa a formularla ("I can't help but demonstrate my Freudian fate ..."). Del resto, la sciacallaggine del padre e del fidanzato, l'influenza positiva ma troppo debole delle amiche e del primo manager, e l'assenza della madre, parlano da sole. Non è un film artisticamente rilevante, Amy, non è il primo dietro le quinte della sua storia né sarà l'ultimo, però ha alcune qualità speciali. Pur mostrando ciò che la protagonista non ha scelto di mostrare, non dà l'impressione di violare una soglia dolente, come accade in Cobain: Montage of Heck, il recente ritratto dell'autocombustione di Kurt Cobain. Perché Amy Winehouse era probabilmente superiore alla propria immagine struccata e alle inquadrature impietose; la sua debolezza era un'altra, era la coppia, e lì dentro Kapadia non scava, non sgomita, ancora una volta è Blake Fielder-Civil a dare il peggio di sé, e a farlo da solo. L'altro motivo d'interesse sta nell'accento posto sulle parole delle canzoni, associate al suo vissuto, stavolta proprio come nel film di Brett Morgen, con un effetto ancora più trasparente, perché le sue canzoni parlavano ancora più chiaro, con la loro grafia giovane ma il vocabolario scelto. Sarà anche impietoso, ma il ritratto che esce da Amy è quello di una piccola grande donna, con un dono unico, a cui la vita avrebbe insegnato a vivere, per dirla con Tony Bennet, se solo il suo fisico gliene avesse lasciato il tempo. Marianna Cappi www.mymovies.it Mercoledì 6 aprile, ore 16.30-19-21.15 Giovedì 7 aprile, ore 19-21.15 Un film di Adam McKay, con Brad Pitt e Christian Bale Quattro investitori visionari - al contrario di quanto detto dalle grandi banche, dai media e dal governo stesso intuiscono che l'andamento dei mercati finanziari condurrà alla crisi mondiale dell'economia. Mettono quindi in atto coraggiose operazioni che li porteranno nei meandri oscuri dei sistemi bancari. Venerdì 8 aprile, ore 21 (vers. originale) MERCOLEDí 30 MARZO 2016, ORE 16.30-19.00-21.00 GIOVEDí 31 MARZO 2016, ORE 16.30-19.00-21.00 Il cast tecnico. Regia: Asif Kapadia. Montaggio: Chris King. Musiche: Antonio Pinto. Origine: Gran Bretagna, 2015. Durata: 1h30. Gli interpreti. Amy Winehouse, Andrew Morris, Blake Fielder, Blake Wood, Chip Somers, Dale Davis, Darcus Beese, Cristina Romete, Guy Moot, Janis Winehouse, Juliette Ashby, Lauren Gilbert, Lucian Grainge, Mark Ronson, Mitchel Winehouse, Monte Lipman, Nick Gatfield, Nick Shymansky, Peter Doherty, Phil Meynell, Raye Cosbert, Salaam Remi, Sam Beste, Shomari Dilon, Tony Bennett, Tyler James, Yasiin Bey (Mos Def). La trama. Dedicato alla tormentata voce di "Back To Black", Amy Winehouse, include immagini e filmati d'archivio inediti sull'intensa e carismatica artista, scomparsa nel 2011 a soli 27 anni per cause ancora non completamente accertate. Il film restituisce aspetti meno noti della vita della cantante, tutti raccontati attraverso le sue stesse parole e la sua musica. La cosa più incredibile sono i mille fuori scena ripresi nei momenti più disparati che ce la restituiscono in tutta la sua faccia tosta e la sua simpatia, qualsiasi cosa stesse facendo. La più toccante sono quei fogli a quadretti pieni di cancellature e cuoricini su cui scriveva i testi strazianti delle sue canzoni. La scena più sorprendente è quella d'apertura, in cui canta 'Happy Birthday' con mille vocalizzi alla festa per i 14 anni di una sua amica - ed è già lei: 'Amy', come recita il titolo del bel documentario di Asif Kapadia (...) un piede nel passato e uno nel futuro (...) il film di Kapadia, che oltre a comporre un ritratto davvero complesso e commovente della persona e del suo mondo, costituisce una specie di 'prova generale' di ciò che saranno sempre più spesso i documentari oggi che gli archivi pubblici e privati traboccano di immagini riprese su ogni tipo di supporto, che moltiplicano all'infinito le possibilità di raccontare un personaggio. E volendo di reinventarlo, mistificarlo, tirarlo in una direzione o in un'altra, a piacimento. Difficile non pensare che Amy Winehouse è stata vittima anche di questa accelerazione, che non riguarda solo le star, anche se naturalmente la celebrità centuplica i rischi. (...) Ma la cosa più bella del film di Kapadia, che peraltro non fa sconti a nessuno (il padre di Amy minaccia azioni legali), è anche il rispetto con cui tratta una storia così recente e dolorosa. Limitando al massimo le interviste e usando solo il sonoro, mai le immagini dei testimoni, mentre sullo schermo un montaggio sapiente intreccia filmini di famiglia, dietro le quinte, programmi tv, scherzi con amici e fidanzati ritrovando, dentro questa vita così singolare e insieme così pubblica, un calore e un'intimità davvero incredibili. Fabio Ferzetti Il Messaggero 17 Maggio 2015 A volte accade che un documentario superi in commozione la più toccante delle fiction. È avvenuto a Cannes, dove (...) 'Amy' di Asif Kapadia ha mostrato un ritratto di Amy Winehouse davvero struggente, che risarcisce - almeno in parte - la giovane regina del soul (morta a ventisette anni per abuso di alcol e droghe) delle volgari aggressioni di tabloid, televisioni e comici che hanno speculato sul suo dolore. La storia di Amy è ripercorsa mediante una grande quantità di materiale di repertorio, assem- blato con bravura dal regista anglo-indiano. Dribblando la retorica dell'artista maledetto, ne esce il ritratto di una ragazzina fragile, dall'assurda acconciatura e dalle gambe da trampoliere, che tanti facevano a gara per sfruttare (...). Roberto Nepoti La Repubblica 17 Maggio 2015 Uno degli aspetti più inquietanti di 'Amy', (...) è l'ambivalenza fra talento e manipolazione. Il vero dramma di Amy Winehouse (...) non è tanto la fine (...) quanto l'estenuante battaglia per difendere la propria identità. Il documentario di Asif Kapadia è per un verso il ritratto di una dissoluzione, ma alza anche il velo su una ragazza che viveva due vite parallele: lo smacco di non uscire da alcol e droga e la pretesa di una vita ordinaria. (...) Il biopic di Kapadia (...) mette in luce l'autonomia luciferina di Amy, la sua autoironia. In tanti fotogrammi è bellissima, in altri, con quel taglio british che l'ha consegnata ai posteri come un fumetto, è comicissima. In altre parti ancora è devastata invece dalla pressione di media e paparazzi. (...) Anche i fans più preparati, rimarranno sorpresi dalla ricchezza del materiale, che Universal Music Uk e il manager di Amy, Nick Shymansky, hanno consegnato al regista. Si rimane colpiti proprio dall'intermittenza fra spettacolo vero e proprio, le canzoni per dirne una, e la bulimia o la generosità, dipende ai punti di vista, nel farsi riprendere a ogni ora del giorno e della notte. (...) 'Amy' fa vedere, anche intuire, che la cantante più brava degli ultimi vent'anni sapeva esattamente chi era, cosa trasmetteva al pubblico ma anche che non era affatto intenzionata a essere teleguidata. Manipolata, appunto. (...) Non si capisce bene, nel film, proprio perché siamo abituati a leggere la morte di Amy come una tragedia annunciata, chi abbia la responsabilità di non averla fermata in tempo. Fa tenerezza vedere la Amy post adolescente che straripa energia e buon umore. Ci hanno tramandato quella spenta e confusa degli ultimi mesi. Ora abbiamo l'opportunità di restituirle un pensiero gentile, non per come cantava per com'era bella sull'orlo del crepaccio. Renato Tortarolo Il Secolo XIX 27 Agosto 2015 C'era una volta Amy Winehouse, star della musica, jazz singer del calibro di Ella Fitzgerald e Billie Holiday, morta di arresto cardiaco a 27 anni, nella sua casa di Londra, provata nel corpo minuto dall'eccesso di alcol e droga, forse proprio mentre ne stava venendo fuori. E c'era una volta Amy, prima del cognome, prima del successo, prima del dimagrimento eccessivo, della vertigine romantica e della perdita di sé, appunto. Asif Kapadia va indietro nel tempo a recuperare la ragazzina in carne che fa le boccacce nei video fatti in casa e non ha ancora avuto l'idea di cotonarsi i capelli, tanto meno di cantare per professione. La segue, attraverso il materiale di repertorio privatissimo, amicale, mentre scopre il suo dono e il piacere di cantare per un pubblico raccolto, a cui raccontare le proprie esperienze in musica. Quel piacere resterà sempre tale ma diverrà una chimera, un sogno impossibile, man mano che le platee dei suoi concerti si allargano a dismisura, le copie vendute non si contano più, la macchina della finanza gira ad alti livelli e pretende il prezzo del carburante. Il documentario procede in ordine cronologico, apparentemente non dissimile da un lungo servizio televisivo, di quelli che ricapitolano le parabole biografiche delle glorie del rock, finendo magari per spruzzare del mistero sulla morte, ribadendo l'enormità del talento sprecato, di chiunque si stia parlando. Ma il film di Kapadia non cerca il mistero né ribadisce alcunché. Lascia che sia un mostro sacro come Tony