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Qe e inflazione: poche illusioni
03.11.15
Tommaso Monacelli
Funziona la politica di Quantitative easing della Bce? A giudicare dall’andamento dell’inflazione e soprattutto del Pil nominale, il vero
obiettivo di quella politica, sembrerebbe di no. Non è il livello medio di inflazione nell’Eurozona che conta, ma quello dei singoli paesi.
L’obiettivo da darsi.
La linea del Pil
La figura qui sotto illustra, con la linea blu, l’andamento del Pil nominale (cioè il valore del Pil a prezzi correnti) nell’Eurozona a partire dal
2001. La linea rossa indica il trend (lineare) del Pil estrapolato con dati fino al primo trimestre 2015, mentre la linea verde indica il trend
estrapolato con dati fino al primo trimestre 2008 (dove dovrebbe essere oggi il Pil nominale europeo se il suo andamento avesse continuato
a seguire il normale trend seguito fino a prima della crisi del 2008). È evidente quanta strada resti ancora da fare perché il Pil nominale si
avvicini sufficientemente al trend (che si tratti di quello pre o post crisi).
La Banca centrale europea ha iniziato nel gennaio 2015 una politica di Quantitative Easing. L’obiettivo formale è quello di riportare
l’inflazione al suo target (vicino al 2 per cento). Ma anche, e soprattutto, di stimolare il Pil nominale dell’area, cioè riavvicinare la linea blu
alla linea rossa (ma se possibile anche a quella verde).
Gli effetti del Quantitative easing
Sta funzionando la politica di Qe della Bce? A giudicare sia dall’andamento del Pil nominale, sia dell’inflazione, sembrerebbe di no. In realtà,
che programmi di Qe abbiano effetti modesti sul Pil nominale, in generale, e sul livello dei prezzi in particolare, è quello che è lecito
aspettarsi sulla base di una serie di considerazioni di teoria economica. Ne illustro, in breve, cinque.
1. L’anello di trasmissione tra la quantità di moneta e il Pil è la velocità di circolazione della moneta. Un’espansione della quantità di
moneta produce un aumento proporzionale del Pil nominale sotto l’ipotesi che la velocità di circolazione sia costante. Dal 2008 in avanti
la velocità di circolazione ha continuato a cadere, a causa di una crescente volontà di conservare moneta (nelle sue varie forme), invece
che di spenderla.
2. Un’espansione della quantità di moneta produce un effetto sul livello generale dei prezzi (e quindi sul livello del Pil nominale) solo se è
percepita come permanente. In nessun momento, però, la Bce ha lasciato intendere che l’espansione in corso del bilancio conseguente
al Qe rimarrà invariata. Prima o poi è lecito aspettarsi che la quantità di moneta immessa nel sistema bancario verrà riassorbita.
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percepita come permanente. In nessun momento, però, la Bce ha lasciato intendere che l’espansione in corso del bilancio conseguente
al Qe rimarrà invariata. Prima o poi è lecito aspettarsi che la quantità di moneta immessa nel sistema bancario verrà riassorbita.
3. Le politiche di impulso alla domanda stimolano l’inflazione molto di più quando sono attuate a partire da condizioni normali (o di
boom) dell’economia, rispetto a quando sono attuate a partire da condizioni di crisi, soprattutto con un mercato del lavoro con
persistente disoccupazione. In altre parole, è difficile far rialzare l’inflazione quando l’economia ristagna in modo significativo e
persistente.
4. Si dice spesso che, con tassi di interesse nominali a zero, il beneficio di maggiore inflazione dovrebbe essere quello di comprimere i
tassi di interesse reali (cioè i tassi nominali al netto dell’inflazione attesa). Minori tassi reali spingerebbero imprese e consumatori a
sostituire risparmio (che produce capacità di spesa futura) con consumo e investimento correnti, stimolando la domanda. L’argomento
E INFLAZIONE
però ripone molta fiducia nella sensibilità della domanda a variazioni del tasso di interesse reale. Nelle fasi di recessione aumenta la
percentuale di agenti la cui domanda diventa insensibile alle variazioni dei tassi di interesse. Ad esempio, per i consumatori che non
possono indebitarsi ulteriormente (perché ritenuti rischiosi, oppure perché le banche restringono il credito) è del tutto irrilevante che i
tassi di interesse reale si abbassino per effetto di maggiore inflazione.
5. Il Qe della Bce ha come obiettivo formale quello di far crescere l’indice generale di inflazione nella zona euro. Ma questo obiettivo è
difficilmente giustificabile in termini di efficienza della politica monetaria. Non andrebbe dimenticato, infatti, che ciò di cui la zona euro
ha veramente bisogno è un aggiustamento dei tassi di inflazione relativi (tra paesi); cioè dei tassi di cambio reali. In altre parole, ciò che
conta veramente non è il livello medio di inflazione nell’Eurozona, ma la sua composizione.
Quali alternative rimangono quindi per la Bce? Innanzitutto, sembra sorprendente che la Bce abbia abbandonato l’enfasi sulle politiche di
forward guidance. La teoria e l’evidenza ci dicono che Qe e forward guidance sono politiche complementari (che cioè si rafforzano a
vicenda), e non sostitute. In secondo luogo, esistono forme di forward guidance innovative, come il targeting del Pil nominale, che
affrontano direttamente il problema della distanza tra la linea blu e quella verde (o, ancora meglio, rossa). Con il targeting del Pil nominale,
un tasso di crescita negativo del Pil nominale oggi induce l’aspettativa di un tasso di crescita positivo domani. Questa semplice aspettativa
genera un effetto espansivo già oggi, rafforzando l’azione corrente della banca centrale.
Lascia quindi perplessi che la Bce abbia condizionato il termine e, di fatto, il successo del Qe all’impatto quantitativo sull’inflazione, che è
probabilmente la variabile meno sensibile a questa politica. Se il Qe rimanesse il solo “game in town” (per citare Mario Draghi), è difficile
immaginare effetti significativi di aumento del Pil nominale anche se si decidesse di iniziare un round successivo, il cosiddetto Qe2.
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In questo articolo si parla di: Bce, inflazione, Pil, quantitative easing
BIO DELL'AUTORE
TOMMASO MONACELLI
Tommaso Monacelli è professore ordinario di Economia all'Università Bocconi di Milano, e Fellow di IGIER Bocconi e
del CEPR di Londra. Ha ottenuto il Ph.D. in Economia presso la New York University, ed è stato in precedenza
assistant professor a Boston College e professore associato all'Università Bocconi. E' associate editor di riviste
scientifiche internazionali, tra cui il Journal of the European Economic Association, il Journal of Money Credit and
Banking, e la European Economic Review. E' stato adjunct professor presso la Columbia University, visiting professor
presso la Central European University, e research consultant per Bce, Ocse, IMF, e Riksbank. I suoi interessi di
ricerca riguardano la teoria e politica monetaria e la macroeconoma internazionale.
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