Gli acquisti di Angelo Pezzana
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Gli acquisti di Angelo Pezzana
Gli acquisti di Angelo Pezzana Una raccolta libraria si arricchisce solitamente tramite acquisti e doni di singoli pezzi. La straordinaria attività di Angelo Pezzana, che riuscì nei 58 anni di direzione della Parmense ad acquistare le importantissime raccolte per cui ancora oggi la Biblioteca è nota nel mondo, non escluse l’acquisto di volumi di editoria contemporanea o il dono di quei testi che amici o corrispondenti gli offrivano nell’ambito dei dibattiti culturali a cui il Prefetto della Parmense prendeva parte. Giovanni da Prato Summula contractuum Ms. Parm. 1440 Membranaceo; sec. XV (1463); ff. IV, 38, III’. Iniziali istoriate ai ff. 3r e 33v. Legatura in pergamena su quadranti, restaurata. Il codice contiene la Summula contractuum dello ps. Giovanni da Prato e un testo inedito, noto sinora solo attraverso questo codice (Interrogationes faciendae circa principes et barones seculares). Proviene dalla biblioteca Costabili di Ferrara, il cui primo lotto venne messo in vendita a Parigi il 18 febbraio 1858: è infatti descritto al nr. 104 del Catalogo della prima parte della biblioteca appartenuta al sig. Marchese Costabili di Ferrara. Pezzana lo acquistò dai librai parigini Rey e Belhatte, come si ricava dalla minuta della lettera datata 26 febbraio 1858 a loro indirizzata, nella quale propone l’acquisto (cf. Copialettere Pezzana, XXIII – anni 1857-1858 -, p. 63-64). L’interesse di Pezzana per il codicetto è certamente legato alla storia della sua realizzazione; al f. 37v, infatti, il copista sottoscrive: Scriptum est hoc opus per me Baptistam de Parma et completum die veneris 21 aprilis 1463, in domo Iohannis et heredibus quodam Bartolamei fratres de Valibus, ad laudem omnipotentis Dei et salvatoris nostri Ihesu Christi, cui sit honor et gloria in saecula saeculorum. Amen. Il copista ci informa dunque di essere originario di Parma, ed è certamente per questo che Pezzana lo acquistò. Lo stemma al f. 1r è quello della famiglia ferrarese dei Crana, committente o dedicataria del codice. BIBLIOGRAFIA: Catalano – Pecorella, Manoscritti giuridici, 76. Pietro Zani Enciclopedia critico-metodica ragionata delle belle arti. Classe Quarta: soggetti mitologici favolosi Ms. Parm. 3617 Dopo l’acquisto della collezione Ortalli, Pezzana si rivolse al Ministro dell’Interno sollecitando l’acquisizione dei manoscritti dell’Enciclopedia di Pietro Zani. Una parte dell’opera dell’abate era infatti rimasta inedita dopo la sua morte e giaceva inutilizzata presso la tipografia Ducale. L’utilità dell’opera era ben nota a Pezzana, che nella lettera al Ministro, datata 26 giugno 1828 (Copialettere Pezzana, VII, anni 1826-28), provvide a segnalarla puntualizzandone gli aspetti salienti, a cominciare dalla immensa mole di informazioni che se ne ricavavano fino alla praticità delle indicazioni fornite per riconoscere i vari stati di un’opera, o le contraffazioni. Dell’Enciclopedia era stato pubblicato il Prodromo nel 1789 e il Manifesto nel 1804. Si cominciò poi a stampare, a partire dal 1817, la Seconda parte, ossia il Catalogo ragionato universale delle stampe classiche antiche e moderne, ordinato per soggetti e preceduto da un Discorso preliminare, della quale venne però edita solo la prima sezione, corrispondente ai soggetti biblici ed evangelici;fu successivamente stampata l’intera Prima parte, cioè l’Indice alfabetico dei Professori tutti ed Artefici, dei quali in qualunque ramo delle nostre belle Arti si sieno essi in qualche modo distinti...; l’indice comprendeva quarantamila artefici antichi, moderni e persino contemporanei, oltre ai falsi nomi e i soprannomi, dei quali indicava arte, patria, merito, nascita, estremi cronologici. 1816 Il Fondo orientale e la raccolta di testi di Gian Bernardo De Rossi Gian Bernardo De Rossi (Villa Castelnuovo 1742 – Parma 1831) arrivò a Parma nel 1769 chiamato da Padre Paciaudi per rivestire la cattedra di Lingue orientali all’Università presso la quale divenne in seguito preside della Facoltà teologica. Angelo Pezzana nel 1816 incrementò il fondo orientale già iniziato da Paolo Maria Paciaudi con 32 codici ebraici, alcuni arabi e turchi, stampati cinesi e qualche manoscritto in alfabeti non occidentali con l’acquisto della biblioteca personale di Gian Bernardo De Rossi. La collezione raccolta dal De Rossi tramite acquisti da privati, colleghi docenti di lingue orientali in varie Università, oppure da librai e vendite all’asta, al momento della cessione al Pezzana che il 17 gennaio 1817 dichiarava la presa in carico, contava 1442 stampati ebraici e 1432 manoscritti ebraici, 6 siriaci, 34 arabi, 8 persiani, 1 turco, 2 armeni, 1 iberico, 1 malabarico, 2 cinesi, 10 greci, 85 latini, 31 italiani, 7 spagnoli, 2 yiddish, 1 russo e 2 polacchi. L’intensa attività del De Rossi come studioso e bibliografo, collazionatore di manoscritti con le varie lezioni della Bibbia, attento indagatore della tipografia ebraica delle origini, l’aveva condotto a mettere insieme una straordinaria raccolta tanto che lo stesso De Rossi faceva pubblicare sulla “Gazzetta di Parma” il 14 maggio del 1816 un Prospetto di manoscritti e libri stampati definendo il suo “gabinetto unico nel suo genere e degno di un sovrano…. Parlano bastamente a suo favore il nome e la celebrità che ha ottenuto in Europa, gli elogj che ne fanno i primari letterati…” Contemporaneamente Angelo Pezzana faceva allestire una sala per ospitare la raccolta derossiana. Il locale identificato era prospiciente la Galleria dell’Incoronata, gli scaffali furono disegnati dall’architetto Nicolò Bettoli e la volta fu affrescata da Giambattista Borghesi. Fra il 1831, data della morte di De Rossi, e il 1833 Pezzana acquistò dalle eredi altri manoscritti e il carteggio. Pezzana continuò ad arricchire il fondo orientale della Biblioteca acquistando nel 1828 19 manoscritti ebraici di Pietro Vitali di Busseto, nel 1846 i 111 manoscritti ebraici di Mordechai Bislichis di Brody in Austria e di Shelomoh Gottlieb Stern di Rohonoz in Ungheria. Il contenuto dei testi è estremamente vario. Vi sono rappresentati quasi tutti i campi del sapere e degli studi ebraici. In essi si riflettono chiaramente la ricchezza spirituale e intellettuale dei gruppi della diaspora e le loro molteplici attività culturali. CBibbia Ms. Parm. 2668 Membranaceo, a. 1276-1277, Toledo, ebraico, mm 228 × 205, 386 cc., illustrato (cc. 16r380r: antica numerazione in ebraico sull’angolo sup. sinistro). Legatura in marocchino rosso del sec. XVIII, di committenza derossiana, recentemente restaurata, con piatti riquadrati con semplici filetti e dorso con tasselli con titolo, indicazione del materiale, datazione, e fregi impressi in oro; sul contropiatto anteriore: etichetta originaria di Gian Bernardo De Rossi ed etichette della Biblioteca di cui due del sec. XIX, una delle quali con antica segnatura manoscritta. Diverse indicazioni di possesso, anteriori all’acquisto da parte di De Rossi: Yosef Asher Lewi Fubini (c. 1r); Yes‘ya ben Yehudah Massarani, Revere 3 maggio 1564 (c. 3r); Ya‘aqob Valle (?); Ya‘aqob ben Refa‘el Masseran (c. 4r); Mordecay ben Yosef Kohen (c. 3r); Yiṣḥaq ben Dani’el Norzi (c. 385v), che probabilmente registra le nascite avvenute nella sua famiglia dal mese di settembre 1507 all’aprile 1517. Vari atti di vendita, con indicazione degli acquirenti e di alcuni testimoni (cc. 3r e 384v). Il codice fu utilizzato da Yeda’yah Shelomoh Norzi, che lo cita come “un accurato libro di Toledo”, per la compilazione del suo trattato masoretico Goder Paretz [Restauratore di rovine] composto a Mantova nel 1626 e qui dato alle stampe nel 1742-1744 come Minṣat Shay [Offerta di dono]. Prodotto da Ḥayyim ben Yishra’el per il committente Yiṣḥaq ben Shemu’el ha-Lewi e i suoi figli Shemu’el, Yosef e Me’ir (c. 383v), il codice si compone di carte in scrittura quadrata sefardita, con vocali puntate, accenti e masorah magna et parva [raccolta delle regole per la corretta ortografia e vocalizzazione dei testi biblici]. Prima della Bibbia, dopo il Pentateuco e gli Agiografi, lo scriba aggiunge, entro cornici decorate, vari testi masoretici: una lista di Haftarot [Profeti] secondo il rito sefardita, alcuni elenchi delle differenze masoretiche sul Pentateuco tra Ben Asher e Ben Naftali e una dozzina di simili elenchi minori. Di mano più tarda sono alcune note relative al rito sinagogale e alla lettura della Torah [Pentateuco]. Notevole l’apparato illustrativo del manoscritto, con miniature e decorazioni islamizzanti a piena pagina, in oro, raffiguranti gli oggetti liturgici del Tempio. Alla c. 7v, in alto a destra, è l’immagine della menorah [grande candelabro a sette braccia] affiancato da due pinze e due smoccolatoi; a sinistra, l’Arca dell’Alleanza con le tavole della Legge, rettangolari, in argento; sopra, due cherubini alati; in basso, la tavola dei 12 pani disposti in scomparti. La c. 8r è divisa in due parti: nella prima, in alto, sono rappresentati l’altare per l’incenso con gli angoli rialzati a simboleggiare i corni, l’anfora della manna con il coperchio, tra la verga di Mosè e quella di Aronne; in basso, due lunghe trombe. Nella seconda parte, è raffigurato l’altare dei sacrifici, al di sotto del quale appaiono il vaso lustrale con protomi di draghi e sofar [il corno d’ariete ricurvo]; alle c. 9v e 384r interessanti disegni in micrografia. BIBLIOGRAFIA: De Rossi 1803, ii, p. 170, n. 782; Tamani 1968b, p. 46, n. 1; Richler & Beit-Arié 2001, p.3, n. 1; Ugolotti Serventi & Zanichelli, in Cum picturis ystoriatum 2001, pp. 238-241, n. 47 Bibbia Ms. Parm. 2810 Membranaceo, a.1300 circa, ebraico, mm. 265 × 212, 376 cc., illustrato. Legatura moderna in cuoio, con recupero del dorso del sec. XVIII con tassello con titolo, e fregi impressi in oro; sul contropiatto anteriore: etichetta originaria di Gian Bernardo De Rossi ed etichette della biblioteca di cui due del sec. XIX una delle quali con antica segnatura manoscritta. Un possessore del testo, tale Shabbetay Menaḥem è il probabile autore di una nota manoscritta (c. 1r) datata Marḥeswan (ottobre-novembre) 1571. Il codice, plausibilmente di origine spagnola, si compone di carte in scrittura sefardita quadrata con vocali e accenti (varianti di Ben Asher e Ben Naftali); in esso sono contenuti: il Pentateuco, i Profeti anteriori, Isaia, Geremia e, entro un fascicolo separato (cc. 1v-7r) non incluso nella numerazione regolare, i trattati masoretici, probabilmente aggiunti da mano diversa. La caratteristica masorah [raccolta delle regole per la corretta ortografia e vocalizzazione dei testi biblici] è parzialmente scritta in micrografia (con scrittura sefardita quadrata). Le decorazioni con figure grottesche di animali e forme geometriche realizzate a inchiostro rosso ornano le bifore con archi trilobati a sesto acuto o a tutto sesto che incorniciano il testo. La datazione del codice è suggerita dal repertorio di motivi decorativi fitomorfi che fondono differenti tradizioni: tralci, entrelacs geometrici tipici dei contesti ashkenaziti si uniscono a foglie e palmette tipiche della cultura mozarabica; l’inizio del sec. XIV è infatti un momento di intensificazione dei contatti tra le comunità ebraiche sparse per l’Europa, probabilmente come reazione alla pressante propaganda antigiudaica del sec. XIII che raggiunge l’apice col Giubileo del 1300. Splendidamente illustrate in oro sono le cc. 7v-8r, dove miniature a piena pagina raffigurano gli arredi del Tempio; tra essi spiccano: la menorah [il grande candelabro a sette braccia] su piede trilobato e con le fiamme convergenti verso il centro, il sofar [corno di ariete ricurvo], l’anfora della manna con il coperchio, il vaso lustrale e altri particolari biblici. Gli oggetti aurei sono raffigurati su un fondo decorato a piastrelle monocrome in rosa, verde e blu. BIBLIOGRAFIA: De Rossi 1803, ii, p. 70, n. 518; Tamani 1968b, pp. 51-52, n. 10; Richler & Beit-Arié 2001, p. 4, n. 5; Ugonotti Serventi & Zanichelli, in Cum picturis ystoriatum 2001, pp. 241-245, n. 48. Tehillim con commento di Avraham ibn ‘Ezra Ms. Parm 1870 Membranaceo, a. 1300 circa, Roma (?), ebraico, mm. 130 × 98, 226 cc., illustrato. Legatura in mezza pelle con punte della fine del sec. XVIII di committenza derossiana con dorso con tassello con titolo e indicazione del materiale e fregi impressi in oro; tagli dorati e goffrati; sul contropiatto anteriore: etichetta originaria di Gian Bernardo De Rossi ed etichette della biblioteca, di cui due del sec. XIX, una delle quali con antica segnatura manoscritta. Questo salterio, in scrittura italiana quadrata, è provvisto di vocalizzazione e accenti, con commento nei margini (opera di Avrham ibn ‘Ezra); nelle cc. 215v-225r vi sono preghiere e benedizioni per particolari occasioni, in scrittura sefardita quadrata, aggiunte probabilmente non prima della fine del sec. XV; nelle cc. 225v-226v vi è un indice, incompleto, dei salmi, redatto intorno al sec. XVI in scrittura ashkenazita italiana; più tardi sono state aggiunte, in una tarda scrittura sefardita semicorsiva, in genere in testa alla pagina, come titolo corrente, l’indicazione della divisione dei salmi in sette sezioni, una per ciascun giorno della settimana; alla c. 226v vi è una nota del censore fra’ Luigi da Bologna risalente al 1600. La scrittura del testo, del commento e delle iscrizioni inserite nelle miniature, così come le caratteristiche codicologiche, sono italiane, ma gli studiosi non concordano sull’area geografica di provenienza; il codice, sulla base di elementi diversi, è così stato ricollegato all’ambiente emiliano, toscano, o romano; gli studi più recenti hanno però presentato nuove evidenze che fanno propendere per una provenienza romana. La prima parola di ogni salmo, dal momento che l’ebraico non conosce le lettere maiuscole, è evidenziata da una decorazione che variamente la incornicia, con elementi vegetali, animali, oggetti, figure umane e ibridi. L’apparato iconografico si basa su un tipo di illustrazione “letterale”, dove una figura, un oggetto, un gesto visualizzano una parola o un concetto del salmo. L’anonimo miniatore attinge a modelli grafici di varia provenienza, segno di quella cultura cosmopolita che la mobilità delle comunità ebraiche favoriva, ma sa rielaborarli secondo una personale cifra stilistica, raggiungendo un risultato estetico di grande equilibrio e raffinatezza. In ebraico il termine che designa i salmi è, genericamente, tehillim [inni], ma il termine più sovente utilizzato nei titoli per indicare i diversi salmi è mizmor, che significa canto e presuppone un accompagnamento strumentale. Frequenti sono pure i riferimenti al canto e a strumenti anche nel testo dei salmi; così il miniatore illustra il primo versetto del salmo 96 utilizzando una figura con testa d’aquila che canta e dirige due uccelli, anch’essi nell’atto di cantare, mentre, nell’analogo incipit del salmo 149, raffigura un maestro di coro mentre dirige cinque cantori di fronte ai quali sta aperto un libro in cui si legge, sotto alla notazione musicale, il versetto 8 del salmo 86. L’invito al canto è sovente associato all’utilizzo di strumenti musicali, “cantate lodi all’Eterno con la cetra [kinnor] ... mandate grida di gioia con le trombe [hasoserot] e il suono del corno [sofar]” (Sal. 98,5-6), la liturgia del tempio infatti prevedeva l’utilizzo di strumenti (cfr. 2Cr. 29, 27), ma dopo la sua distruzione, nel 70 d.C., il loro uso venne bandito dalla liturgia per lasciare spazio solo alla musica vocale. Solo il corno [sofar] mantiene uno spazio nella liturgia, in particolare nelle due feste di rosh ha-shana e di yom kipur. Lo strumento, ricavato dal corno di ariete, evoca infatti la vittima che fu sostituita a Isacco, attraverso di esso i suoi discendenti supplicano la misericordia divina di tener conto dei meriti acquistati da Abramo e Isacco il giorno della prova sul monte Moria. Il miniatore per questo lo utilizza, benché nel testo non si faccia esplicito riferimento allo strumento, per illustrare i salmi 66, 95 e 123 in cui il grido di lode è strettamente connesso con il tema della prova e della salvezza ricevuta. Accanto al corno è raffigurata anche la tromba, altro strumento di grande valenza simbolica (cfr. Num. 10,1-10), non a caso due trombe sono raffigurate anche nell’arco di Tito, fra gli oggetti sacri rubati dal tempio; entrambi gli strumenti si ritrovano anche nelle miniature che riproducono gli arredi del tempio, immagini che, con il loro significato escatologico, simboleggiano il desiderio della sua ricostruzione e l’avvento dell’era messianica (cfr. nn. 1-2 in questo catalogo). A prescindere dal significato simbolico e dal loro uso nella sinagoga, i riferimenti testuali a diversi strumenti musicali ispirano sovente il miniatore, che nelle sue raffigurazioni riproduce la realtà musicale del suo tempo. Tra gli strumenti a fiato, oltre allo shofar e alle trombe, è raffigurato anche un piccolo flauto dritto, che un solo musico suona assieme al tamburo. Un altro strumento a percussione potrebbe essere riconosciuto nella decorazione relativa al salmo 131 (“canto delle ascensioni, di Davide”), dove è raffigurata una sorta di scala, terminante con un elemento vegetale, con sette gradini, che Davide percuote con una bacchetta. I gradini presentano una forma leggermente ondulata e sono alternativamente di color porpora e arancio, con un tocco di bianco al centro, come un riflesso della luce su una superficie metallica. I dettagli piuttosto insoliti per la rappresentazione di una scala, la presenza di Davide e il suo particolare gesto possono far avanzare l’ipotesi che si tratti del sistema di campanelle accordate in scala e battute da martelli, frequenti nelle miniature medievali dei codici latini, anche se la loro posizione risulta essere alquanto improbabile, quasi che il miniatore abbia voluto fondere, con un fantasioso ma efficace sincretismo, l’effetto sonoro della scala musicale (insita nella serie di campane) con l’immagine dell’ascensione dei pellegrini, sintetizzata in una serie di gradini. Numerosi sono invece gli strumenti a corde; si possono agevolmente riconoscere dai dettagli costruttivi gi strumenti caratteristici del tempo: il kinnor [cetra] diventa così un liuto o una ribeca, a cui si affiancano la viella e il salterio. è invece sorprendentemente assente l’arpa, strumento associato di frequente, anche in ambito ebraico, al salterio e a Davide. BIBLIOGRAFIA: De Rossi 1803, ii, p. 68, n. 510; Ugolotti Serventi, in Tesori della Palatina 1990, pp. 49-50; The Parma Psalter, 1996; Zanichelli 2000; Richler & Beit-Arié 2001, pp. 75-76, n. 371; Ugolotti Serventi & Zanichelli, in Cum picturis ystoriatum 2001, pp. 248251, n. 50; Zanichelli 2002. Haggadah [Racconto] di Pasqua Ms. Parm. 2411 Membranaceo, sec. XIV, ebraico, mm 200 × 171, 56 cc., illustrato. Legatura in mezza pelle del sec. XVIII, con i piatti ricoperti in carta marmorizzata; sul dorso: titolo e fregi impressi in oro. Sul contropiatto anteriore: etichetta originaria di Gian Bernardo De Rossi ed etichette della Biblioteca di cui due del sec. XIX, una delle quali con antica segnatura manoscritta. L’origine viene localizzata dagli studiosi in area spagnola o provenzale; esso è composto da carte in pergamena, vergate in scrittura quadrata sefardita e, come si legge a c. 9r, risulta essere appartenuto a un certo Shemu’el. Al testo della Haggadah, proposto a cc. 3-42 secondo il rito Sefardita o Provenzale, segue, a cc. 43r- 56v, la versione della Torah [Pentateuco] “Targum [testo biblico in lingua aramaica] di Gerusalemme”. A c. 7r sono inserite poesie mnemoniche per l’ordine dei servizi ed altre poesie simili sono aggiunte da un anonimo possessore e attribuite al di lui padre, certo Dawid ben Yiṣḥaq. Il codice è riccamente illustrato, sia nella parte relativa al racconto, sia nel Targum; in particolare, alle cc. 3-6, possiamo ammirare scene della Bibbia, mentre l’iconografia delle cc. 2629, 39v descrive le cerimonie relative al Seder [letteralmente “ordine”: è l’insieme dei rituali utilizzati durante la cena di Pasqua]; in particolare alle c. 28r e 29r sono raffigurati la matzah [pane azzimo] e il maror [erba amara], alimento che ha la funzione di ricordare l’amarezza degli ebrei schiavi in Egitto. La Haggadah è il testo più importante della Pasqua ebraica e viene letto nel corso del Seder pasquale; secondo gli studiosi, essa fu redatta per la prima volta verso il settimo o l’ottavo secolo dell’era cristiana. Tale redazione è però tardiva, infatti i riti e le preghiere che essa contiene sono molto più antichi; i più importanti si trovano già nella Mishnah [la prima raccolta scritta della Torah orale dell’ebraismo risalente al 200 d.C.] e alcuni di essi risalgono anche a un’epoca precristiana. BIBLIOGRAFIA: De Rossi 1803, iii, p. 65, n. 1107; Tamani 1968b, p. 112-113, n. 191; Richler & Beit-Arié 2001, p. 294, n. 1123. Yehudah ben Selomoh ha-Kohen Midrash ha-Hokhmah Ms. Parm. 2769 Cartaceo, sec. XIV, Medio Oriente, ebraico, mm 250 × 185, 214 cc., illustrato. Legatura in mezza pelle della fine del sec. XVIII di committenza derossiana con dorso con tassello con titolo e indicazione cronologica e fregi impressi in oro; sul contropiatto anteriore: etichetta originaria di Gian Bernardo De Rossi ed etichette della Biblioteca di cui due del sec. XIX, una delle quali con antica segnatura manoscritta. Il manoscritto, composto di carte vergate in semi-corsiva di mano del copista Sasson, il cui nome appare a larghe lettere puntate a c. 56r e a c. 210v, contiene l’opera principale di Yehudah ben Shelomoh di Toledo (originariamente prodotta in lingua araba e successivamente da lui tradotta in ebraico) che in questo volume riunisce frammenti di Aristotele, Euclide, Tolomeo e altri autori. Numerose illustrazioni corredano il testo: di particolare rilevanza è la sezione astronomica, dove disegni e calcoli a penna mostrano i movimenti delle orbite e dei pianeti alimentati da un collegamento meccanico, quasi a manifestare la connessione fra Dio e l’Universo. BIBLIOGRAFIA: De Rossi 1803, ii, p. 37, n. 421; Richler & Beit-Arié 2001, p. 348, n. 1282. Tehillim Ms. Parm. 1711 Membranaceo, a.1391, Perugia, ebraico, mm 322 × 231, 188 cc., illustrato. Legatura in mezza pelle della fine del sec. XVIII di committenza derossiana con dorso con tassello con titolo e indicazione del materiale e fregi impressi in oro; sul contropiatto anteriore: etichetta originaria di Gian Bernardo De Rossi ed etichette della Biblioteca di cui due del sec. XIX, una delle quali con antica segnatura manoscritta. Il codice, vergato dallo scriba Yequti’el ben ‘Immanu’el per Netan’el ben Avraham a Perugia nel 1391 (colophon a c. 186v) è redatto in scrittura italiana semi-corsiva vocalizzata con punti e accenti ed è suddiviso in 148 Salmi. Si presume che il committente Netan’el sia stato lo stesso del manoscritto Czartoryskich. MNK 307 della Biblioteca di Cracovia. Il codice fu poi venduto il 16 gennaio 1424 a Città di Castello da Yehi’el ben Menahem Immanuel di Perugia, residente a Narni a un certo Shelomoh ben Yeoshua‘, che lo acquistò per la somma di 36 fiorini d’oro (c. 188r). Di interesse il linguaggio iconografico che offre una perfetta fusione tra testo immagine mediante una sequenza di riferimenti simbolici ai passi del salmista: Re David, l’arpa, la cerva che si abbevera alla fonte, l’uomo in preghiera con il capo coperto dal tallit [tradizionale scialle ornato di righe e frange] che ha a funzione di ricordare, a chi lo indossa, l’ubbidienza ai Comandamenti di Dio. Notevoli sono anche le decorazioni che ornano l’incipit dei cinque salmi che coincidono con le cinque partizioni del salterio ebraico: sinuose cornici vegetali di foglie d’acanto e foglie a calice, talora allineate lungo aste e con ibridi zoomorfi, e inframmezzate da soli d’oro. Il codice costituisce una testimonianza della equilibrata fusione di elementi orientali e occidentali che caratterizza le comunità ebraiche umbre, ma rappresenta anche il coerente rapporto produttivo instauratosi tra scribi e miniatori delle diverse etnie operanti nelle botteghe che seppero adeguare le proprie tradizioni alle esigenze della committenza. BIBLIOGRAFIA: De Rossi 1803, i, p. 1410, n. 234; Tamani 1968b, p. 82, n. 86; Richler & Beit-Arié 2001, p. 77, n. 376; Ugolotti Serventi & Zanichelli, in Cum picturis ystoriatum 2001, pp. 260-262, n. 54. Haggadah [Racconto] di Pasqua Ms. Parm. 2998 Membranaceo, sec. XV, ebraico, mm 280 × 210, 23 cc., illustrato. La legatura è moderna in cuoio; sul contropiatto anteriore: etichetta originaria di Gian Bernardo De Rossi ed etichette della Biblioteca di cui due del sec. XIX, una delle quali con antica segnatura manoscritta. Appartenne a diversi proprietari: Yequthiel ben Kalonymus Yaffe, Kalonymus Kalman ben Yequthiel Yaffe e Dawid e Samson Yaffe, i cui nomi sono posti a penna a carta 1r. Il codice, la cui origine viene localizzata in ambito italiano o tedesco, è redatto secondo il rito ashkenazita; si compone di carte vergate in scrittura quadrata ashkenazita su pergamena italiana, ma con squadratura e rigatura di tipo tedesco. Per la censura ecclesiastica hanno vagliato il testo Domenico Gerosolimitano, Camillo Jaghel (1612), fra’ Girolamo da Durazzano (1640), le cui firme si leggono a c. 23v. Riccamente miniato e decorato dalla stessa mano del copista, Joel ben Simeon, le illustrazioni presentano figure umane di vario colore; gli incipit sono a caratteri grandi, talora aurei, decorati con girali filiformi di colore viola. BIBLIOGRAFIA: De Rossi 1803, i, p. 72, n. 111; Tamani 1968b, p. 114, n. 197; Richler & Beit-Arié 2001, p. 293, n. 1120. Tehillim, Iob, Mishle, Brit Mila‘,Kiddushin [Salmi, Giobbe, Proverbi, Rituale della circoncisione e del matrimonio] Ms. Parm. 3596 Membranaceo, sec. XV, Italia, ebraico, mm 117 × 90, 286 cc., illustrato. Legatura in mezza pelle della fine sec. XIX; sul contropiatto anteriore: etichetta originaria di Gian Bernardo De Rossi ed etichette della Biblioteca di cui due del sec. XIX, una delle quali con antica segnatura manoscritta. Alle cc. 282v-284v sono apposte note sulle famiglie dei possessori con le date delle nascite avvenute nella famiglia Sforni di Monticelli, comprese tra il 1684 e il 1699. Vi è pure annotato il nome del mohel [colui che pratica la circoncisione] e dei partecipanti alle diverse cerimonie della circoncisione. Il codice, che si compone di carte vergate in semi-corsiva italiana con vocalizzazione e accenti, è stato prodotto in Italia, come testimonia il colophon a c. 155r che lo dice “Copiato da Dani’el ben Dawid Carpi”. I libri hanno il seguente ordine: Salmi (cc. 4r-155v); Giobbe (cc. 157r-213v); Proverbi (cc. 215v264r); Rituale della circoncisione (cc. 267v-274v); Rituale del matrimonio (cc. 275-281v). Alle cc. 155v-156r è aggiunto, da mano più recente, un sommario degli argomenti presentati da Giobbe e dai suoi discepoli. Ricca e interessante l’iconografia che si intercala al testo: miniature a piena pagina precedono i tre libri veterotestamentari con le immagini di tre personaggi in trono: David, quale autore dei Salmi (c. 3v), Giobbe in atto di ricevere il messaggero (c. 156v), ancora David fra due consiglieri (c. 214 v). Gli incipit sono tracciati in grandi lettere auree e incorniciati da fregi di vario colore e tutte le carte contenenti i salmi hanno nei margini verticali dei fregi fogliacei, mentre nel libro di Giobbe a c. 160r compare a margine il protagonista col corpo piagato. Nel Rituale sono invece rappresentate due scene di circoncisione e una di matrimonio, mentre nelle cc. 267r, 268v, 275r, sono riprodotte scene della circoncisione e del servizio matrimoniale. BIBLIOGRAFIA: Tamani 1968b, p. 81, n. 84; Richler & Beit-Arié 2001, p. 74, n. 363. Siddur Ms. Parm. 2895 Membranaceo, sec. XV (1450-1453), Ulm (Germania) e Treviso, ebraico, mm 257 × 200, 470 pp., illustrato. Legatura moderna in cuoio, eseguita nel laboratorio di Praglia, con recupero del dorso del sec. XVIII con fregi impressi in oro; sul contropiatto anteriore: etichetta originaria di Gian Bernardo De Rossi ed etichette della Biblioteca di cui due del sec. XIX una delle quali con antica segnatura manoscritta. Come indicato a p. 1, il manoscritto apparteneva a Yehudah ben Shelomoh che lo acquistò a Venezia nel 1551 dalla vedova di Eliyyah Halfon (probabilmente Eliyyah Menaḥem ben Abba Mari Halfon), la quale tenne il manoscritto come pegno. Il nome del probabile copista, tale Mosheh, compare alla p. 110 e in un acrostico nella p. 297. Il testo presenta cancellature anche sui passi normalmente non censurati. Il codice, inizialmente steso a Ulm nel 1450 e terminato a Treviso nel 1453, come riportano i colofoni alle pp. 366 e 466, si compone di carte in scrittura ashkenazita quadrata per la parte relativa al testo, mentre è in semicorsiva la parte relativa al commento. Oltre al Siddur [Ordine di preghiere], in accordo con il rito di Ulm, il codice contiene la Haggadah [termine generalmente indicante il racconto di Pasqua] (pp. 231-269) preceduta da rime mnemoniche per l’ordine dei servizi. Il racconto pasquale è corredato da raffinate ed eleganti miniature acquerellate, realizzate sicuramente da un professionista, che trasmettono la ricchezza dei rituali ebraici; alcuni esempi sono: la tavola imbandita con al centro la matzah [pane azzimo], la consegna della Legge a Mosè sul Monte Sinai, il passaggio del Mar Rosso, la costruzione della città di Gerusalemme. Gli incipit sono decorati e attribuibili alla mano dello scriba; alcuni di essi sono realizzati in lettere auree contenute entro tabelle in tempera blu ornate agli angoli da volute vegetali acquerellate, altri hanno lettere di modulo grande tracciate in inchiostro nero e contornate con semplici ornamenti grafici. BIBLIOGRAFIA: De Rossi 1803, iii, p. 118, n. 653; Tamani 1968b, p. 102, n. 153; Ugolotti Serventi, in Tesori della Palatina 1990, pp. 51; Richler & Beit-Arié 2001, pp. 259-260, n. 1038; Ugolotti Serventi & Zanichelli, in Cum picturis ystoriatum 2001, pp. 265-267, n. 56. Haggadah Ms. Parm. 3143 Membranaceo, tardo sec. XV, Italia settentrionale, ebraico, mm 295 × 231, 56 cc., illustrato. Legatura del sec. XVIII, di committenza derossiana, in mezza pelle con piatti ricoperti di carta rossa; sul dorso: fregi impressi in oro, tassello con titolo e materia abbreviati; sul contropiatto anteriore: etichetta originaria di Gian Bernardo De Rossi ed etichette della Biblioteca di cui due del sec. XIX, una delle quali con antica segnatura manoscritta. Possedettero il codice: Azariah Susslein, Jesse ben Jesse e Ya‘aqob ben Mosheh Yaffe, i cui nomi sono indicati a c.1r; per l’autorità ecclesiastica ha vagliato il testo il censore Domenico Gerosolimitano, 1598 (c. 25v). Il manoscritto, restaurato nel 2009 dallo Studio P. Crisostomi di Roma, si compone di carte in scrittura ashkenazita quadrata con punteggiatura usata secondo gli usi della vocalizzazione liturgica. La parte iconografica del testo, costituita da splendide immagini policrome, richiama le cerimonie del Seder [letteralmente “ordine”: è l’insieme dei rituali utilizzati durante la cena di Pasqua]; particolarmente significativa l’immagine della matzah [pane azzimo] (c.1r), rappresentato con intrecci di cerchi a forma di rosa, dove i sei petali mostrano pesci stilizzati; gli incipit sono a caratteri grandi di vario colore, talvolta aurei. BIBLIOGRAFIA: De Rossi 1803, iii, p. 24, n. 958; Tamani 1968b, pp. 114, n. 196; Richler & Beit-Arié 2001, p. 293, n. 1118. .Megillah [Rotolo] di Ester Ms. Parm. 3345 Membranaceo, sec. XVII (?), Italia, ebraico, rotolo di lunghezza 220 mm, illustrato. Manoscritto in scrittura quadrata sefardita-italiana, con apparato illustrativo che si snoda attraverso il racconto biblico della storia di Ester (sposa del re Assuero di Persia) e della liberazione del popolo ebraico. Le immagini sono costituite da incisioni ritagliate e incollate sul margine superiore della pergamena, con una tecnica ad acquerello simile a quella del pochoir. Le scene si svolgono in ambienti agresti, con figure di cavalieri e musici, banchetti della regina e delle sue dame. Il testo della Meghillah [rotolo] viene letto a Purim [festa delle sorti] che ricorre alla fine dell’inverno, in ricordo della salvezza del popolo ebraico a opera della regina Ester. La lettura è accompagnata dal calpestio rumoroso dei piedi ogni qualvolta viene richiamato il nome di Aman, nemico del popolo ebraico ai tempi di Mosè. Purim costituisce anche un appuntamento irrinunciabile per i bambini, che in questa occasione vanno in Sinagoga mascherati, non solo quale segno di scherno nei confronti di Aman, ma anche per ricordare che molto spesso si può cadere nell’errore di assumere usi e costumi sociali non conformi alla religione. Bibliografia: De Rossi 1803, iii, p. 8, n. 888; Tamani 1968b, p. 89, n. 113; Richler & BeitArié 2001, p. 87, n. 473. St. De Rossi 1178 esemplare che si conservi al mondo, a cui si aggiunge solo un frammento di due carte custodito al Jewish Theological Seminary di New York. Reggio Calabria: Avraham ben Garton ben Yiṣḥaq, 18 febbraio 1475, [118?] cc., in folio. BIBLIOGRAFIA: De Rossi 1795, pp. 3-5, n. i; De Rossi 1812, pp. 40, 77; IGI 8569 = IGI E67; Tamani 1973a, p. 270, n. 63; Ugolotti Serventi, in Tesori della Palatina 1990, p. 57; ISTC, is00625180. Shelomoh ben Yishaq (Rashi) Perush ‘al Torah Legatura moderna in cuoio con recupero del dorso originario del sec. XVIII, con titolo, dati editoriali e fregi impressi in oro; sul contropiatto anteriore: etichetta originaria di Gian Bernardo De Rossi ed etichette della Biblioteca di cui una del sec. XIX con antica segnatura manoscritta, l’altra con segnatura attuale e indicante l’appartenenza alla libreria derossiana. Esemplare di sole [115] carte, mutilo in principio di due o tre carte, con carte iniziale e finale integrate dal restauro. Testo censurato con cancellature; a c. [1r]: postille in ebraico; a c. [115v]: note del censore domenicano Domenico Gerosolimitano. Si tratta del primo libro stampato in ebraico con data certa, che costituisce anche la seconda edizione, dopo quella romana databile tra il 1469 e il 1473, del commento al Pentateuco del noto erudito e talmudista Shelomoh ben Yiṣḥaq detto Rashi (1040-1105), di Troyes, rappresentante più autorevole della scuola esegetica della Francia settentrionale medievale. L’edizione, uscita il 18 febbraio 1475 (2 adar 5235) a Reggio Calabria dai torchi dell’israelita Avraham ben Garton che presumibilmente ne tirò circa 300 esemplari, venne stampata con matrici xilografiche incise con caratteri rabbinici. Due copie dell’edizione furono acquistate da Gian Bernardo De Rossi, che cercò di procurarsi tutti gli esemplari disponibili sul mercato, ma purtroppo, mentre era in navigazione sul Po, una di queste cadde in acqua e andò perduta; quindi allo stato attuale delle conoscenze il pezzo qui presentato è l’unico Ya’aqob ben Asher Arba‘ah turim St. De Rossi 1170 Piove di Sacco: Meshullam Kuzi con i suoi figli, 3 luglio 1475, [464] cc., in folio. Emissione su pergamena, stampata con tre tipi di caratteri e con pagine lasciate bianche e spazi lasciati vuoti da completare con miniature o integrazioni manoscritte; esemplare incompleto, di sole [230] cc., contenenti il III e IV ordine, con tre carte di guardia cartacee e due membranacee. Legatura moderna in cuoio con recupero dei piatti originari del sec. XVI con fregi impressi a secco; sul contropiatto anteriore: etichetta originaria di Gian Bernardo De Rossi ed etichette della Biblioteca di cui una del sec. XIX con antica segnatura manoscritta, l’altra con segnatura attuale e indicante l’appartenenza alla libreria derossiana. Testo interfoliato e con censure manoscritte; a c. [230v]: nomi dei censori [Giacomo] Geraldini confessore con data 17 dicembre 1555, Caesar Balthasar Cuni (?) […]; alla c. [65r e v]: prove di penna; nelle carte di guardia posteriori: postille in ebraico e memorie in ebraico e in italiano. L’edizione costituisce l’editio princeps del codice di leggi di Ya‘aqob ben Asher (ca. 1270-1343), giurista ed esegeta nato in Germania e trasferitosi in Spagna dove visse a Barcellona e Toledo. L’opera, la più stampata nel XV sec. dopo la Bibbia, organizza tutta la legge giudaica, tralasciando le norme desuete e abbandonate dopo la distruzione del Tempio e inserendo le diverse modalità di applicazione dei precetti secondo l’uso degli ebrei francesi, tedeschi e spagnoli. Il testo, un compendio quindi delle decisioni giuridiche del Talmud babilonese e del Talmud di Gerusalemme, contenente anche commenti e codici più antichi, si compone di quattro volumi così distinti: Orah hayyim [Il sentiero della vita], con regole concernenti la condotta quotidiana, quindi sulla sinagoga, le preghiere, le feste e i digiuni; Yoreh de‘ah [Colui che insegna la conoscenza], con le leggi alimentari, della carità, del rispetto dei genitori, del lutto e delle pratiche religiose, Even ha-‘ezer [La pietra dell’aiuto], con le leggi relative alle donne, in particolare quelle su matrimonio e divorzio e sulla famiglia, Hoshen ha-mishpat [La corazza del giudizio], con la legge civile e la giurisprudenza in generale. L’edizione, la seconda opera in ebraico data alle stampe con data certa (28 tammuz 5235, corrispondente al 3 luglio 1475), venne prodotta nella cittadina di Piove di Sacco dove era attiva una fiorente comunità e dove si trasferirono, chiamati probabilmente dal banchiere Salomone Marcuzio, l’editore Meshullam Kuzi con i suoi figli dalla vicina Padova. Costui, nato agli inizi del sec. XV, padre di almeno quattro maschi e tre femmine, apparteneva a una famiglia dal nome Coen Rapa che dalla Germania era migrata in Italia nel 1460; bibliofilo collezionista di manoscritti (la Biblioteca Palatina ne possiede uno con la sua firma, Ms. Parm. 1927 = De Rossi 1429, c. 188r), grande esperto di cultura rabbinica, coinvolto in alcune dispute tra il 1467 e il 1468, diventò parnas [direttore] della comunità ebraica di Padova. Egli morì prima della fine della stampa del primo volume, come si evince dal colophon in cui il libro, in prima persona, parla “Dell’eccellente rabbino Cusi uomo magnanime e conciliante, ma che purtroppo non fu con me fino alla fine; la qual cosa mi addolora doppiamente; sia lui mi ha abbandonato su questa terra sia è salito in terra dei vivi. I suoi figli si sono allora alzati dalle rovine ed hanno racimolato le vestigia”. La stessa informazione veniva ribadita nel colophon del terzo volume in cui si dice che “Fu l’eccellentissimo ed esperto rabbino Cusi ad iniziare la mia opera e ad alzarmi il capo, ma il momento in cui stavo per venire alla luce egli mi lasciò e mi abbandonò per sempre. Salito negli eccelsi cieli, vi fu accolto dal Signore mio Santo. Allora mi son detto: stringerò il sacco e indosserò gli abiti della vedovanza. Ma i figli dissiparono tutti i dubbi e non mi fecero fare brutta figura sino alla fine [...]”. Il De Rossi, valutando il fatto che l’edizione fosse più voluminosa del Commento di Rashi (vedi n. 1 del catalogo) e che impiegasse tre differenti caratteri (uno piccolo, ma estremamente chiaro, utilizzato per risparmiare carta; uno grande per numerare i capitoli, per gli indici, i capilettera e le parole finali di tutti i quattro volumi; uno intermedio usato solo sporadicamente nel quarto volume), fatti che potevano far pensare a una maturazione della tecnica, affermò che l’edizione piovese fosse antecedente a quella calabrese, e fissò la data di fondazione della prima tipografia ebraica al mondo a Piove di Sacco tra il 1473 e il 1474. La novità della stampa era tra l’altro pure sottolineata dal testo finale del quarto volume in cui si diceva: “Io sono l’arte, corona di tutte le arti. Sono un segreto a tutti sconosciuto: pur senza l’aiuto del calamo, il testo risulta chiaro; esco composta in quaderni senza aver bisogno di uno scriba. L’inchiostro passa sopra di me in un momento, io scrivo dritta senza bisogno di righe. Meraviglia coglierebbe Debora la Signora che cantava con la verga degli scribi: se mi avesse conosciuto quand’ero segreta, mi avrebbe posto sul suo capo come una corona”. L’esemplare qui presentato è mutilo e proveniva dal libraio Moisé Beniamin Foà di Reggio Emilia; venne consultato dal rabbino J. D. Azulai nel 1777, da cui lo acquistò il De Rossi. Pur non possedendola, quest'ultimo consultò e studiò l’edizione integra a Torino, alla Biblioteca Universitaria, dove l’abate Bencini l’aveva inserita tra i manoscritti, ingannato dal supporto di pergamena, e a Roma alla biblioteca del cardinale F. S. Zelada, dove si trovava un’altra copia membranacea, ora alla Biblioteca Nazionale di Madrid. BIBLIOGRAFIA: De Rossi 1795, pp. 5-9, n. ii; De Rossi 1812, pp. 57, 78; IGI 5089 = IGI E76; Tamani 1973a, p. 272-273, n. 70; ISTC, ij00000200; Nissim 2004, pp. 14-23.